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Che cos'è l'esobiologia di Peter Kolosimo.

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«Che cos'è l'esobiologia» di Peter Kolosimo

Esobiologia è un termine che fa comodo un po' a tutti: agli scrittori di romanzi utopici, ai fanatici dei «dischi volanti», ai cultori di «scienze esoteriche» e a molta altra gente ancora, che vi guazza voluttuosamente conoscendone il significato solo per approssimazione o non conoscendolo affatto, facendone una specie di pseudonimo per marziani, venusiani e omini verdi in genere.

Ma esobiologia è una parola seria, una parola che impegna un numero sempre crescente di scienziati tesi a fare luce sulla possibilità di esseri non soggetti alle condizioni di vita terrestri.

Il sostantivo deriva ovviamente dal greco (eso sta per fuori, mentre la biologia, si sa, è lo studio dei fenomeni della vita e delle leggi che la governano) e si applica a branche scientifiche differenti ma, per certi versi, interdipendenti, che possiamo così classificare: Cosmobiologia, volta ad accertare le influenze del cosmo intero sul nostro pianeta.

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Medicina spaziale, diretta ad approfondire i problemi connessi alla permanenza dell'uomo nello spazio.

Esobiologia in senso stretto, tesa ad esaminare la possibilità della presenza di forme di vita su altri corpi celesti.

Ad affrontare per primi tali problemi furono, negli anni cinquanta, J. Lederberg, H. Strughold, J. Eugster e Irene Sänger-Bredt; assieme ad una vasta équipe dell'Accademia delle Scienze sovietica.

A questi studiosi va il grande merito di avere posto e sviluppato su un piano rigorosamente scientifico questioni tanto ardue quanto affascinanti, che già nell'antichità avevano acceso sporadiche, favolose intuizioni, soprattutto per quanto concerne l'ultima accezione del nostro termine.

Il filosofo Anassagora (499/98 - 428/27 a.C.) ebbe a manifestare, ad esempio, la convinzione che la Luna fosse abitata e non molto diversa dalla Terra.

Un altro pensatore ellenico, Metrodoro da Làmpsaco (330-278 a.C. circa), disse ai suoi contemporanei come «credere che possa esistere un solo mondo abitato, sia tanto pazzesco come sostenere che in un vasto campo di grano possa crescere una sola spiga piena di chicchi».

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Sarebbe troppo lungo enumerare sia pur soltanto i principali assertori dell'abitabilità di altri mondi dell'epoca precristiana.

Veniamo dunque alla semplice, logicissima osservazione del celebre storico greco Plutarco di Cheronea, vissuto nel secolo successivo alla nascita di Gesù: «Se noi non potessimo avvicinarci al mare e se, vedendolo da lontano, sapessimo che le sue acque sono amare e salate, considereremmo un visionario colui che venisse ad assicurarci che esso è popolato d'ogni sorta di animali, i quali vivono in quel pesante elemento tanto bene quanto viviamo noi nell'aria leggera».

La professoressa Irene Sänger-Bredt calcola il numero delle stelle componenti la Via Lattea in 220 miliardi circa, «con un'oscillazione notevole».

Il professor Otto Struve parla di 100 miliardi di Soli e formula così la sua ipotesi: «Uno su dieci è sicuramente attorniato da diversi pianeti.

Se uno soltanto di essi offre condizioni favorevoli alla vita, abbiamo nella Via Lattea 10 miliardi di corpi celesti biologicamente fecondi.

Non tutte le forme di esistenza sono intelligenti: lo spirito è un dono raro nell'Universo, tanto che solo un millesimo o un decimillesimo degli abitanti di questi mondi lo avranno ricevuto.

Ma anche così la Via Lattea deve ospitare da 10 a 100 milioni di globi popolati di esseri che hanno la nostra stessa possibilità di sviluppo intellettuale.

E si tenga presente che esistono miliardi di galassie».

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Attorno ad Alfa del Centauro, posta a 4,3 anni-luce dal nostro sistema, ruota, ad esempio, un globo poco più grande di Giove: ci è lecito supporre, guardando alla schiera planetaria di cui la Terra fa parte, che non sia il solo, che ne esistano anche altri più piccoli e, di conseguenza, più adatti ad ospitare forme di vita.

Così, alfine, si esprime il Dipartimento dell'Aeronautica di Washington: «Si crede che almeno 22 stelle fra quelle che meglio possiamo osservare abbiano, come il nostro Sole, un sistema planetario.

Il Sole ha nove pianeti. Uno di questi nove, la Terra, presenta ideali condizioni di sviluppo per esseri intelligenti, e su due altri esistono, al minimo, le basi necessarie a primitive forme di vita.

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Di conseguenza, gli astronomi ritengono accettabile la tesi secondo cui ognuna delle 22 stelle citate avrebbe almeno un pianeta fornito di condizioni ideali come la Terra».

Comunque sia - affermano alcuni esobiologi - il miracolo della vita deve compiersi con fattori ambientali che possiamo solo sospettare e che caratterizzavano il nostro pianeta milioni e milioni di anni fa: da allora nulla nasce più sulla Terra, se non attraverso i processi di propagazione delle varie specie.

La vita può dunque avere origine là dove il carbonio ha modo di formare idrocarburi.

E soltanto in queste condizioni, aggiunge il professor Bernhard Rensch, di Münster, costruendo su tale base la sua teoria, sostenuta e rafforzata dagli studiosi dell'università californiana di Berkeley.

La formazione di tutte le creature esistenti nel cosmo - essi affermano - deve essere avvenuta «su uno strettissimo sentiero»: di conseguenza, anche sugli altri mondi abitabili si dovrebbero trovare uomini, animali e piante simili, più o meno, a quelli terrestri.

Questa teoria si appoggia al fatto che l'intero Universo è costituito da 92 elementi, che le leggi della matematica, della fisica e della chimica sono valide in tutto il creato, e che i processi vitali (crescita, respirazione, reazioni nervose, eccetera) sono legati alle macromolecole, formate appunto dal carbonio.

Secondo gli studiosi citati, gli abitanti di altri pianeti dovrebbero possedere, come i terrestri, un corpo compatto con cavità interne e respirare come noi ossigeno, senza il quale i vari processi propri al nostro organismo sarebbero impensabili.

Tutti dovrebbero, poi, essere caratterizzati da un sistema di circolazione, necessario ad alimentare i tessuti, avere un cuore che presieda alla circolazione stessa, muoversi almeno su un paio di gambe e possedere i nostri sensi, con gli organi relativi.

L'antropologo statunitense William Howells ammette qualche variante, pur non discostandosi molto dalla teoria dei suoi colleghi californiani e dello zoologo germanico.

«Se le creature extraterrestri sono più evolute di noi», afferma, «potranno forse vedere cose che noi 'sentiamo' soltanto.

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Ma avranno ossa come noi, anche se possono essere disposte diversamente; si muoveranno, e, poiché ciò richiede energia, dovranno mangiare.

L'altezza dipenderà dalla forza di gravità del loro pianeta, la grandezza del cervello dallo stadio della loro intelligenza.

Creature di grossa mole potrebbero avere diverse gambe a sostenere il loro peso».

Le deduzioni della scuola che fa capo a Rensch possono essere più o meno accettabili per pianeti simili al nostro, ma solo per questi.

E' vero che tutto il cosmo si compone di 92 elementi, ma non possiamo dire che sia retto dalle stesse leggi chimiche e fisiche che conosciamo, né tanto meno possiamo pretendere di trovare forme di vita vicine alla nostra in globi aventi un volume, una massa, un'atmosfera differenti da quelli propri alla Terra, illuminati e riscaldati da astri le cui radiazioni sono immensamente diverse da quelle solari.

Noi commettiamo, insomma, un errore spiegabile ma fondamentale misurando l'intero Universo sul metro della Terra.

Partendo, ad esempio, dalla considerazione che il protoplasma può vivere soltanto a temperature comprese fra il punto di congelamento dell'acqua e i 50 gradi sopra zero, giungiamo a dedurre che nessun organismo superiore potrebbe mantenersi al di là di questi confini.

Ora, sappiamo che esistono alghe prosperanti in acque termali a 70°, spore atte a sopportare i 100°, sappiamo che un germe di grano tuffato nell'elio liquido a - 270°, una temperatura prossima allo zero assoluto, può ancora regalarci la sua brava spiga (il fisico francese Bequerel lo ha dimostrato), però vediamo che più un organismo è complesso, più è legato al regno della scala termometrica che ci è noto, e sensibile alle escursioni termiche.

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Ma questo concetto potrebbe non essere valido altrove: chi ci dice che altre creature non si siano sviluppate e adattate alla fascia termica propria del loro mondo, che organismi da noi rimasti inferiori non si siano evoluti in organismi superiori in un ambiente tale da indirizzare la vita su questa strada?

Le teorie di Rensch e dei suoi seguaci hanno fatto scalpore, ma numerosissimi sono gli studiosi che non le accettano.

Che gli esseri dominanti sul nostro pianeta abbiano due braccia e due gambe - essi ci dicono - è frutto del puro caso; perché esseri intelligenti di un altro globo non potrebbero vivere meglio con sei gambe, quattro occhi e un corpo corazzato a scaglie?

Nessuna ipotesi, insomma, è troppo azzardata.

Anche Maurice Maeterlinck, il poeta, drammaturgo e filosofo belga, premio Nobel 1911, ne era convinto.

E nella sua opera «I segreti dell'Universo» scriveva: «Non siamo in alcun modo autorizzati a pensare che su corpi celesti simili alla Terra dominino esseri simili agli uomini.

Si potrebbe scommettere cento contro uno che lassù l'evoluzione ha preso vie totalmente diverse.

Le più sorprendenti mutazioni e derivazioni dipendono spesso da insignificanti ed imprevedibili circostanze.

La comparsa, e soprattutto la sopravvivenza dell'uomo, è stata probabilmente sospesa a un filo.

Che egli non sia scomparso come tante forme di vita delle quali abbiamo trovato solo i resti fossili, è un miracolo che non si può ripetere di frequente.

E' quindi pensabile che su un pianeta fratello dominino spaventosi sauri, su un altro pesci mostruosi, su un altro ancora creature diverse da tutto quanto possiamo immaginare».

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Non solo. «L'Universo», ci fa presente il grande viaggiatore inglese Francis Younghusband, «può avere creato altre attività all'infuori di ciò che noi chiamiamo vita, può avere infuso nella materia altre qualità, a noi sconosciute, che potrebbero tuttavia servire, come la vita, da base ad una specie di coscienza, la quale, senza essere inferiore alla nostra, non avrebbe con essa alcunché in comune».

Le teorie di Rensch, Howells ed altri vanno dunque, se non scartate, accolte con molte riserve.

Tuttora validissima ci sembra, per concludere, l'affermazione di Desiderius Papp, il famoso astrofisico e scrittore tedesco: «Certo l'uomo possiede parenti su altri pianeti, ma non ha su alcun mondo sosia o gemelli».

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