ITINERARI - CULTURA E CIVILTA - MESOPOTAMIA E ASIA MINORE

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ITINERARI - CULTURA E CIVILTA - MESOPOTAMIA E ASIA MINORE














ITINERARI - CULTURA E CIVILTÀ - MESOPOTAMIA E ASIA MINORE

INTRODUZIONE

La parte centrale del Vicino Oriente è occupata dal bacino dei fiumi Tigri e Eufrate, che soggetti a piene periodiche, meno regolari di quelle del Nilo, nonostante l'aridità del clima rendono fertili le terre lungo il corso inferiore. I Greci diedero a questa regione il nome di Mesopotamia, «terra in mezzo ai fiumi» (dal greco mesos = «medio», in mezzo a potamòs = «fiume»); più precisamente si chiamava Babilonia, o Bassa Mesopotamia, il territorio tra l'odierna Bagdad e il mare, diviso anticamente nei Paesi di Sumer e di Accad, e Assiria, la valle media del Tigri. Mentre l'Egitto, isolato e chiuso alle frontiere, costituì uno Stato unitario legato ad una cultura e religiosità monolitiche, la Mesopotamia, priva di valide barriere naturali e crocevia di traffici, nel corso della sua storia fu popolata da ondate successive di popoli nomadi scesi dalle regioni montane settentrionali e orientali, subì infiltrazioni e invasioni dall'esterno e conobbe conseguentemente un continuo farsi e disfarsi di culture che spiega la complessità delle sue vicende storiche. La regione mesopotamica si prestava all'allevamento e alla produzione cerealicola su vasta scala, a condizione che l'irrigazione artificiale supplisse alla scarsità delle precipitazioni atmosferiche e regolasse le piene dei fiumi. L'esigenza di un sistema di arginatura e canalizzazione, simile a quello sorto in Egitto, favorì il raggrupparsi delle popolazioni sotto un'autorità centrale capace di pianificare, comandare, controllare e assicurare la circolazione dei beni. Nella Mesopotamia meridionale, nel Paese dei Sumeri, popolo di origine sconosciuta e di lingua non indoeuropea né semitica, è possibile seguire il processo formativo delle prime società urbane tra il V e IV millennio a.C. Nel IV millennio il processo di crescita della città è evidente a Uruk, centro commerciale da cui provengono i più antichi documenti scritti conosciuti. A partire dal IV millennio l'intera regione meridionale si frantumò in numerose città-stato, sorta di principati riuniti intorno ad un centro amministrativo-religioso, separati tra loro da zone desertiche e acquitrinose: Umma e Lagash a Est, Uruk Kish e Ur a Ovest sono testimonianze di tale civiltà urbana. Il principe della città (i Sumeri lo chiamavano en, ensi, lugal) traeva la sua legittimità a governare dal dio protettore della città, il sovrano vero, di cui il re era rappresentante. Nella sua qualità di vicario del dio nazionale ed intermediario tra mondo umano e divino, le sue funzioni erano di soprintendere agli atti di culto, onorare il dio con l'erezione di templi, controllare l'amministrazione e l'economia della città, dirigere l'escavazione di canali d'irrigazione e comandare l'esercito. Per lungo tempo le città sumeriche prosperarono come tanti piccoli Stati partecipi di una cultura comune, ma spesso in guerra tra loro. La necessità di reperire le materie prime di cui la regione non disponeva (legno, pietra, metalli) e l'eccedenza della produzione agricola sufficienti a procurarsele determinarono, accanto al commercio interno, frequenti contatti con il mondo esterno in direzione dell'Asia Minore e della Siria, per via marittima, fluviale, e lungo le vie carovaniere. Verso la metà del III millennio il signore di Umma, Lugalzaggishi, riuscì in una parziale riunificazione della regione introducendo per la prima volta in Mesopotamia l'idea della monarchia universale. Accanto ai Sumeri il principale gruppo etnico della Mesopotamia era quello dei Semiti (da Sem figlio di Noè; alla famiglia linguistica semita appartengono l'ebraico e il fenicio), popolazioni nomadi o seminomadi che in ondate successive si sedentarizzarono, oltre che in Mesopotamia, in Siria e in Palestina, assorbendo gli influssi delle popolazioni preesistenti. Recenti ricerche archeologiche hanno permesso di verificare come il modello urbano sumerico (ed elamita, poiché in Elam, Stato dell'Iran sud-occidentale, si era sviluppata una civiltà urbana all'incirca contemporanea a quella sumerica) si fosse diffuso nell'area mesopotamica per tutto il III millennio a.C. Archeologi francesi, a partire dal 1933, hanno portato alla luce i resti della città di Mari sul medio Eufrate, in posizione chiave fra la regione mesopotamica e quella siro-palestinese, all'incrocio di importanti vie carovaniere; Mari sembra essere stata una stazione sulla via del commercio dello stagno (tra l'Asia interna e il Mediterraneo), essenziale per la fabbricazione del bronzo. Gli scavi iniziati nel 1964 da una missione archeologica italiana nella Siria settentrionale, a Tell Mardikh (Tell = «collina» artificiale formata da strati di detriti corrispondenti a stadi di civiltà diversi) hanno localizzato i resti dell'antica città di Ebla, fino ad allora nota solo di nome. L'archivio di tavolette di argilla a caratteri cuneiformi in lingua semitica locale (l'eblaica) e in sumerico (testimonianza di una cultura comune diffusa con le attività coloniali dei Sumeri), rinvenuto nel 1975, ha permesso di accertare la potenza di Ebla. La città, che raggiunse il suo apogeo nella metà del III millennio a.C., per la sua felice posizione fra l'Eufrate e il Mediterraneo fu sede di un importante impero economico-commerciale che esercitò per un certo periodo la sua egemonia nell'Alta Siria e in molte terre intorno, compresa Mari, estendendo la sua penetrazione commerciale su una vasta area. Il declino di Ebla coincise con l'ascesa della dinastia di Sargon I re degli Accadi, popolazione semitica insediata nella Mesopotamia centrale, che aveva assimilato la cultura sumerica e adattato la scrittura cuneiforme sumerica alla propria lingua. Il re sumero Lugalzaggishi, verso il 2300 a.C., fu sconfitto da Sargon, che ingrandì ulteriormente i suoi domini con campagne militari a Est e a Ovest dei propri confini, dando vita ad un impero fortemente centralizzato i cui confini si estendevano dal Mediterraneo al golfo Persico. L'enorme edificio creato da Sargon durò solo un secolo, ma il suo modello politico finì col caratterizzare per sempre la regione mesopotamica consacrando l'egemonia dei Semiti. I successori di Sargon si fregeranno del titolo di «re delle quattro parti del mondo», vale a dire delle terre poste ai quattro punti cardinali, e quindi, secondo la concezione dell'universo di questa civiltà, del mondo intero. Intorno al 2200 a.C. gli Accadi furono travolti da un invasione di barbari, i Gutei, provenienti dai monti Zagros. Dopo poco più di un secolo (2100-2000 a.C.) si registrò una vivace ripresa politica, economica, culturale dei Sumeri sotto la terza dinastia della corte di Ur. All'inizio del II millennio le pressioni degli Amorrei, popolazione semitica stanziata nelle regioni desertiche tra Arabia e Siria, e degli Elamiti determinarono il crollo del II impero sumerico, che scomparve lasciando però alle genti mesopotamiche un ampio retaggio di civiltà. La scoperta relativamente recente della civiltà sumerica ha dimostrato che le concezioni politiche e religiose, il carattere delle opere letterarie, l'arte e la scienza babilonese e assira hanno molti precedenti in quella civiltà. Una volta gli storici pensavano che tutti gli elementi della cultura mesopotamica derivassero da Babilonia; oggi tra Sumeri e Semiti si riconosce un rapporto di contiguità culturale, espresso tra l'altro dal fatto che la lingua sumerica continuò ad essere impiegata per la cultura e la liturgia, e la scrittura cuneiforme si diffuse tra le popolazioni semitiche (Accadi, Babilonesi, Assiri) e indoeuropee (Ittiti, Persiani) del Vicino Oriente. Tra i vari Stati amorrei prevalse il regno di Babilonia che raggiunse l'apice della sua potenza all'inizio del XVIII secolo a.C. con Hammurabi (1792-1750), che unificò il Paese attorno alla città di Babilonia attraverso un sistema monarchico centralizzato. La vita culturale dell'età di Hammurabi fu intensissima. I matematici arrivarono all'estrazione delle radici quadrate e cubiche, alle equazioni algebriche; gli astronomi accumularono un valido patrimonio di conoscenze scientifiche fra cui l'osservazione e registrazione delle fasi lunari, della posizione e dei moti apparenti degli astri; interessi astrologici spinsero ad interpretare i fenomeni celesti per trarre deduzioni sugli eventi futuri, pubblici e privati; fu elaborato un calendario di dodici mesi con 354 giorni l'anno (un tredicesimo mese era aggiunto periodicamente per ristabilire la concordanza con le stagioni). Intorno al 1600 a.C. Babilonia fu saccheggiata dagli Ittiti, popolo di lingua indoeuropea stabilitosi in Anatolia; poco dopo genti provenienti dai monti Ircani, i Cassiti, si insediarono nella Mesopotamia centrale, sulla quale esercitarono il loro dominio per circa cinque secoli. La regione di Babilonia, pur restando un centro commerciale di primaria grandezza, perse in buona parte l'importanza politica di un tempo. Dopo l'invasione dei Popoli del Mare intorno al 1200 a.C., mentre nuovi popoli nomadi di stirpe semitica, gli Aramei, dilagavano in Arabia compiendo incursioni su vasta scala in Mesopotamia e in Siria, nel Nord della Mesopotamia gli Assiri, che avevano ritrovato la propria indipendenza intorno alla loro prima capitale, Assur, assunsero un ruolo di primo piano nella regione mesopotamica. Abilissimi guerrieri, temuti e famosi per la loro combattività, gli Assiri, che dagli Ittiti avevano appreso l'arte di lavorare il ferro e l'uso di carri leggeri trainati da cavalli appositamente addestrati, diedero alla guerra un carattere di estrema brutalità. Anche il fanatismo religioso sosteneva questa potenza militare senza eguali: il dio nazionale Assur si distingueva per le stesse prerogative guerriere che caratterizzavano la sua gente. Tappe della ripresa e dell'espansione armata degli Assiri, (la cui bellicosità traspare dal loro genere letterario più tipico, gli Annali del re) furono la conquista nell'VIII secolo a.C. dell'Asia Minore, della Siria, della Palestina, e dell'Egitto nel VII secolo a.C. La figura del sovrano assiro era più vicina alla tradizione semitica che a quella sumerica: egli accentrava su di sé un potere assoluto a base militare, non era divinizzato, ma era l'alto sacerdote di Assur e come tale in lui convergevano autorità politica e religiosa: il rapporto con il dio guerriero era confermato dai successi bellici del sovrano e dalla prosperità del Paese in tempo di pace. L'unità politica raggiunta dagli Assiri con un impero esteso dal Mediterraneo al golfo Persico, dai monti dell'Armenia all'Egitto, ebbe come contropartita un accentuato dispotismo nei confronti delle popolazioni assoggettate: ogni forma di autonomia fu negata, per spezzare l'identità nazionale dei vari gruppi etnici furono compiute deportazioni in massa, un'economia di rapina e una legislazione ferocemente oppressiva resero ancor più insopportabile il dominio assiro. Nel 612 a.C. con la distruzione della nuova capitale Ninive l'impero assiro si dissolse sotto i colpi di Babilonia alleata con i Medi. Il crollo degli Assiri permise per breve tempo a Babilonia di ritrovare la sua antica potenza e supremazia, sotto i Caldei. Il nuovo impero babilonese, che durò meno di un secolo, ebbe il suo apogeo al tempo di Nabucodonosor (604-562 a.C.). Con lui la città diventò famosa per la magnificenza delle opere pubbliche; fu conquistata Gerusalemme e gli abitanti deportati a Babilonia (cattività babilonese). Nel 539 a.C. Ciro, re dei Persiani, conquistò Babilonia e la regione mesopotamica nel giro di pochi anni divenne provincia dell'impero persiano.

TEMPIO E PALAZZO

I due poli politico-economici della società mesopotamica erano il palazzo del sovrano e il tempio del dio, tra loro coordinati o in conflitto per questioni di competenze. I primi edifici mesopotamici identificabili come templi o santuari risalgono a poco dopo il 6000 a.C. e segnano l'inizio di una lunga tradizione religiosa caratterizzata dalla conservazione delle rovine di un santuario sotto le fondamenta di quello successivo. A Eridu nella Mesopotamia meridionale una serie di templi eretti nell'arco di 3000 anni culmina nella grande torre a gradini (ziggurat), costruita sul finire del II millennio. E gli ziggurat sono edifici tipici della civiltà sumero-accadica. In età babilonese il ruolo del tempio, oltre a rendere servizi di culto alla comunità, era quello di attenuare i torti di cui erano vittime gli individui economicamente più sfruttati, stabilendo norme, come fissare le misure di peso o rendere uniformi i tassi di interesse, che evitassero prevaricazioni. Nel periodo neobabilonese i documenti attestano l'offerta di bambini al tempio per salvare le loro vite durante le carestie. Il tempio permetteva che essi esercitassero un mestiere ricavando così un'entrata. Nel complesso il personale del tempio era costituito da operai e artigiani, che ricevevano razioni e salari, scribi e supervisori necessari ad amministrare gli affari del tempio, esorcisti ed esperti di divinazione, e al vertice della gerarchia il capo sacerdote con gli assistenti. Tra le entrate del tempio una voce importante erano i doni: terreni donati dai re e, secondariamente, occasionali offerte di bottini, oggetti preziosi e prigionieri di guerra. Il palazzo traeva le sue entrate dai tributi dei popoli assoggettati, dalle rendite e dai prodotti delle proprietà regie ed era il centro di ridistribuzione delle risorse. Come il tempio, anche il palazzo manteneva con razioni e paghe il personale addetto alla sua gestione. Il re poteva imporre ai singoli e all'intera comunità tributi in natura e in lavoro. Tra i servizi (corvées) prestati al palazzo i più comuni erano il tracciare e mantenere efficienti canali e strade e il prestare il servizio militare.

SCRITTURA E LETTERATURA

La scrittura comparve nel Paese di Sumer verso il 3000 a.C. e prese il nome di cuneiforme dalla forma dei tratti che compongono i vari segni. Uno stilo di canna impresso nell'argilla fresca lascia all'inizio un segno profondo che si assottiglia col diminuire della pressione della mano per porre fine al segno. La forma così ottenuta è quella di un cuneo. Dopo una prima fase pittografica, la scrittura divenne ideografica e quindi, come in Egitto, la necessità di specificare le varie funzioni grammaticali e altri concetti astratti inesprimibili ideograficamente portò ad utilizzare i segni non solo per il loro valore figurativo, ma anche come segni fonetici. Da semplice strumento di registrazione degli atti amministrativi, si trasformò in strumento di acquisizione e diffusione delle conoscenze, pur rimanendo appannaggio di una classe poco numerosa, gli scribi. L'intero sistema di scrittura fu trasferito dalla lingua sumerica a quella accadica. Le tavolette di argilla con liste e combinazioni di segni cuneiformi con le rispettive letture e le liste di parole sumeriche con traduzioni accadiche ritrovate negli archivi erano probabilmente sillabari e dizionari usati per insegnare agli scribi. Una parte essenziale dell'addestramento degli scribi era la ricopiatura dei testi della tradizione, pratica che ha permesso l'accumulazione di un gran numero di copie dei medesimi testi eseguite in località differenti. L'ultimo grande re assiro, Assurbanipal (669-627 a.C.) riuscì a riunire a Ninive quella che può essere chiamata la prima biblioteca del Vicino Oriente, che raccoglieva una gamma di argomenti rappresentativa dell'intera tradizione degli scribi. Per questa biblioteca fu approntata l'edizione principale dell'epopea di Gilgamesh, il poema epico-mitologico che rappresenta nel Vicino Oriente ciò che saranno l'Iliade e l'Odissea nel mondo greco. Il poema, ricostruibile da frammenti in varie lingue di racconti in origine indipendenti e separati, si incentra sulla figura di Gilgamesh, re di Uruk, l'eroe per due terzi divino e un terzo mortale, superiore a tutti per forza e bellezza. Ascoltando le preghiere dei sudditi esasperati dalla frenetica attività di Gilgamesh, gli dei creano come suo antagonista Enkidu, l'uomo selvaggio che l'educazione sentimentale di una prostituta della città trasforma in uomo civilizzato. Dallo scontro tra i due nasce un'amicizia profonda. Insieme i due eroi uccidono il mostro Humbaba, a guardia della Foresta dei Cedri, e il Toro celeste, suscitato dalla dea Ishtar, offesa perché Gilgamesh ha rifiutato il suo amore. La morte di Enkidu, incorso con le sue imprese nell'ira divina, distoglie Gilgamesh dalla ricerca della fama terrena, acquisibile attraverso le imprese eroiche, e lo volge alla ricerca della vita eterna. Ai confini del mondo, oltre le acque della morte, l'eroe incontra Utnapishtim, il Noè mesopotamico, immortale, che dopo il racconto del diluvio rivela a Gilgamesh che l'immortalità è un dono gratuito degli dei, non raggiungibile per virtù propria. L'ultimo atto, la morte di Gilgamesh, esiste solo nella versione sumera. La dolorosa constatazione dell'eroe che «i giorni dell'uomo sono contati, qualunque cosa egli faccia non è altro che vento» esprime una concezione pessimistica dell'esistenza, frutto di un'esperienza storica fondata sulla precarietà della vita nelle città-stato, dipendenti com'erano dai capricci di piene e siccità dall'atteggiamento dei popoli vicini e dal carattere degli dei, le potenze ritenute responsabili di tali condizioni. Anche con la trasformazione del caos in cosmo (ordine), narrata nel poema intitolato con le due parole iniziali Enuma elish («Quando in alto») in cui il dio babilonese Marduk assurge a organizzatore dell'universo, l'uomo non si sentì mai garantito e rimase sotto l'angoscia costante che quell'ordine potesse essere sconvolto da forze misteriose. Una religiosità fondata sul timore, per cui l'offerta continua di preghiere, libagioni e sacrifici aveva il fine di placare la divinità, se offesa, o di propiziarsene il favore, spiega lo sviluppo che ebbero in Mesopotamia la divinazione (tecnica di comunicazione con le forze soprannaturali) e le pratiche esecratorie (sviluppate per allontanare il male presagito da avvenimenti di cattivo augurio).

IL CODICE DI HAMMURABI

Più famoso di Hammurabi stesso è il suo codice di leggi; come i precedenti codici sumerici, il codice di Hammurabi non è un documento di carattere strettamente legale come sarà il codice romano o quello napoleonico, ma una tradizionale espressione letteraria delle responsabilità sociali del re e della sua consapevolezza circa il divario tra la situazione esistente e quella auspicabile. Nel complesso di una politica tesa a superare i particolarismi locali, il codice rappresenta la sintesi tra la più evoluta legislazione sumerica e le consuetudini tribali dei Semiti: da una parte si afferma l'obbligo per tutti di sottostare a una legge comune ed è vietato il ricorso alla giustizia privata, tipica dei popoli nomadi, dall'altra alcune pene come la cosiddetta «legge del taglione» (occhio per occhio, dente per dente) risultano una concessione alle usanze tribali. Nel documento gli uomini erano divisi in tre classi: liberi, semiliberi (o mushkenu, da cui attraverso l'arabo il nostro «meschino») e schiavi, con una diversa valutazione giuridica. La pena era commisurata alla posizione sociale dell'offeso e dell'offensore, come si intuisce facilmente dalla citazione testuale di alcuni articoli: «se un libero toglie un occhio ad un altro gli sarà tolto un occhio; se un libero toglie un occhio ad un semilibero pagherà una mina (unità di peso) di argento; se un libero toglie un occhio allo schiavo di un altro libero pagherà metà del suo prezzo» (poiché uno schiavo non aveva personalità giuridica ed era oggetto di compravendita). L'origine divina della legge comportava poi nel codice che fossero contemplate prove come l'ordalia, in cui l'imputato per dimostrare la propria innocenza doveva sopravvivere all'immersione nelle acque di un fiume.

LA TERRA DI CANAAN

La sottile striscia di terra costiera affacciata sul Mediterraneo e fiancheggiata all'interno dal deserto e dalle catene montuose del Libano e Antilibano (famose per l'ottimo legname da costruzione), oggi divisa tra gli Stati di Israele, del Libano e della Siria, era chiamata anticamente terra di Canaan. La posizione continentale a metà tra la Mesopotamia, l'Anatolia e l'Egitto, al centro delle vie di comunicazione che congiungono tre continenti, fece di questa regione luogo di incontro e di scontro delle grandi potenze.

I FENICI

Nel corso del III millennio a.C. sul territorio dell'attuale Libano si stanziò una popolazione semitica: i Fenici. Il nome con cui sono noti non è quello che essi usavano per definire se stessi (Cananei), ma è di origine greca: Fenici corrisponde al Greco Phoinikes che deriva probabilmente da phoinix «porpora» e si riferisce all'arte della tintura delle stoffe con la porpora ricavata da una conchiglia, il murex, per la quale gli artigiani fenici furono famosi nell'antichità. I poemi omerici e le opere di mitografi, storici e geografi greci e romani concorsero a dare ai Fenici l'immagine di esperti navigatori, mercanti ricchi d'iniziativa, ma privi di scrupoli, artefici abilissimi, produttori di preziosi tessuti. Per quanto le fonti antiche parlino di una naturale inclinazione dei Fenici ai viaggi e alle avventure, è probabile che la loro espansione sul mare e i loro viaggi commerciali siano dovuti alla conformazione naturale del territorio da essi occupato e ad alcuni eventi storici. Intorno al 1200 a.C., vale a dire all'inizio dell'età del ferro, i Popoli del mare rivoluzionarono l'equilibrio del Mediterraneo. La civiltà micenea, a cui erano toccati fino a quel momento il dominio e il controllo sul mare, venne distrutta; le maggiori potenze del Vicino Oriente, l'Egitto e la Mesopotamia, furono fiaccate e costrette a ridurre la propria influenza sulle regioni immediatamente circostanti. È in questo momento che ha inizio la storia delle città fenicie. Costrette dall'immensità del Mediterraneo all'esterno, dalle montagne all'interno, racchiusi pur sempre tra Egitto e Mesopotamia, Biblo, Tiro, Sidone e le altre città fenicie dotate di porti eccellenti e impossibilitate a trarre dall'agricoltura o dalla manifattura mezzi sufficienti per vivere cercarono nuove possibilità di sopravvivenza sul mare. Battere il mare significava intrecciare relazioni con altre genti, cercare le materie prime che mancavano alla madre-patria, esercitare anche la pirateria, che in tutta l'antichità è strettamente collegata al commercio marittimo. Per questo perfezionarono l'arte della navigazione e quella del commercio. Le navi fenicie acquistarono una maggior tenuta e padronanza del mare. La sagoma lunga e sottile (nella costruzione venivano impiegati gli snelli e robusti cedri del Libano), l'introduzione della chiglia a partire dal 1000 a.C. (invenzione paragonabile per importanza a quella della ruota poiché dà stabilità all'imbarcazione), la propulsione a remi e a vela, l'impiego dell'ancora resero le navi fenicie più sicure e veloci. Le città fenicie trovarono un modo assai redditizio per impiegare le loro flotte da guerra: le mettevano a disposizione, come forze mercenarie, degli imperi dell'interno che non disponevano né di accessi al mare, né di capacità tecnologiche per sviluppare una propria forza navale. Fenicie erano le navi che portavano le truppe egiziane o assire ad invadere Cipro, fenicie in gran parte le flotte che i re persiani spinsero verso occidente nei loro tentativi di invadere la Grecia. Tra il 1000 e l'800 a.C., prima da soli, poi in concorrenza con i Greci, i mercanti fenici dominarono con le loro navi il Mediterraneo ed esercitarono una importantissima funzione mediatrice tra Oriente e Occidente. Essi agivano come intermediari per il commercio a lunga distanza; contrattavano e trasportavano merci per conto terzi; andavano a cercare su mercati distanti i prodotti di cui abbisognavano i popoli rivieraschi e i grandi Stati mesopotamici e egizio, per conto dei quali operavano come agenti commerciali. Si assicuravano così il monopolio dell'oro africano, dell'argento spagnolo, dello stagno delle isole britanniche, delle spezie e dei profumi orientali. Importavano i generi di cui difettavano le loro comunità ed esportavano, oltre il legname, i prodotti di una fiorente industria di trasformazione: tessuti, oggetti di vetro (inventato dagli egiziani, ma perfezionato e imposto come prodotto di massa dai fenici), metalli, pietre preziose e avorio. I loro viaggi oltre le Colonne d'Ercole (così gli antichi chiamavano lo Stretto di Gibilterra) verso Nord e verso Sud nell'Atlantico, nel Mar Rosso, nel Mar Nero sempre alla ricerca di merci e manufatti da commerciare valsero ad ampliare molto l'orizzonte geografico del mondo antico. La pericolosità delle rotte d'oltremare fece sì che la navigazione commerciale fosse praticata, finché possibile, lungo la costa con scali frequenti. Le colonie fenicie del Mediterraneo furono anzitutto grandi empori nati come appoggio alla navigazione e destinati ad una vita essenzialmente commerciale. Esse differiscono tanto dalle colonie greche, quanto da quelle che Cartagine, principale colonia fenicia in Occidente, irradiò nel Mediterraneo. La colonizzazione punica fu soprattutto militare, quella fenicia rivestì un carattere economico e pertanto essenzialmente pacifico. Colonie fenicie sorsero nel Mediterraneo orientale, a Cipro, centro dell'estrazione del rame; ma il campo d'azione preferito dai Fenici fu il Mediterraneo centrale e occidentale: isole dell'Egeo come Rodi, Thera e Creta, la penisola iberica, la Sardegna, la Sicilia, Malta, la Tunisia, la Libia e l'Egitto ospitarono numerosi scali. Alcuni di questi divennero vere e proprie città già nei secoli IX e VIII a.C. Tra queste è Cartagine, fondata secondo la tradizione dalla figlia del re di Tiro, Didone, nell'814 a.C. Cacciata dal fratello, Didone si sarebbe rifugiata in Africa e avrebbe fondato non lontano da Utica, già colonia fenicia, la «città nuova» (Qarthadasht). L'individualismo che i Fenici manifestarono in campo economico trova riscontro in campo politico. La Fenicia non si costituì mai in Stato unitario. La forma di organizzazione politica che i Fenici si diedero fu quella della città-stato governata dall'aristocrazia locale. Sebbene ogni città-stato fosse indipendente, fornita di un proprio re e di proprie divinità, è impossibile isolarne la storia da quella delle regioni vicine. Per tutta la prima fase della loro storia (III e II millennio a.C.) le città fenicie gravitarono nell'orbita dell'Egitto; dopo un periodo d'indipendenza furono costrette ad accettare l'autorità assira (IX-VII secolo a.C.), pur riuscendo a mantenere una certa autonomia per la loro posizione geografica di difficile controllo da parte di una potenza terrestre, eccetto un breve periodo successivo alla conquista di Nabucodonosor nel 573 a.C. ebbero sempre dinastie locali. Sotto la dominazione persiana (539-333 a.C.), la Fenicia fu trasformata in una satrapia, e la flotta di Sidone venne posta al servizio dei re persiani. Si ha la sensazione che i Fenici nell'antichità non siano stati ben visti, forse il loro spiccato senso pratico, la loro capacità di individuare fonti di ricchezza, la loro abilità nel commerciare servirono a creare diffidenza nei loro confronti. Greci e Romani non perdonarono mai ai Fenici la pratica dei sacrifici umani testimoniati dai tofet («recinti sacri») nei quali sono stati ritrovati resti di persone immolate, soprattutto bambini.

LA SCRITTURA

L'antichità ricorda i Fenici anche per la scrittura alfabetica. Nata per la registrazione degli atti amministrativi, la scrittura conobbe una serie di processi attraverso i quali si venne gradualmente perfezionando e semplificando. L'alfabeto è l'ultimo e più perfezionato tipo di scrittura. La convenzione secondo cui ad un determinato segno corrisponda un particolare suono (e non un significato come avveniva nelle scritture geroglifica e cuneiforme) si trova già in alcuni sistemi di scrittura del II millennio, ma solo nell'antica città cananea di Ugarit si afferma una scrittura alfabetica in caratteri cuneiformi formata da trenta segni (le tavolette di argilla rinvenute a Ugarit risalgono al XV-XIII secolo a.C.). I Fenici compresero l'importanza del nuovo tipo di scrittura che per la sua semplicità poteva essere utilizzata da tutti e non solo dagli scribi e adottarono una versione semplificata dell'alfabeto ugaritico con ventidue segni tutti consonantici (come in tutte le lingue semitiche). La creazione dei segni fu artificiale, ma molte lettere dell'alfabeto fenicio hanno un nome che equivale a quello di un oggetto e la loro stessa forma richiama l'oggetto corrispondente. La prima lettera dell'alfabeto fenicio alef (in greco «alfa») equivale a «bue» e la sua grafia ricorda la testa e le corna schematizzate dell'animale: la terza, gimel (in greco «gamma») che equivale a «cammello», ricorda la gobba di questo animale. I Fenici non furono dunque gli inventori dell'alfabeto, come si è spesso affermato, ma il loro merito fu quello di averlo semplificato e diffuso, portandolo a contatto dei Greci e attraverso di loro di tutto l'Occidente.

GLI EBREI

Nella regione a Sud della Fenicia in cui si apre la depressione formata dal lago di Tiberiade, dal fiume Giordano e dal Mar Morto, chiamata dai Greci Palestina, vennero a stanziarsi a partire dal XIII secolo a.C. gli Ebrei, un popolo semitico creatore di una concezione religiosa monoteistica e protagonista di un destino singolare. Le vicende degli Ebrei sono ricostruibili attraverso il loro libro sacro, la Bibbia (dal greco biblìa = «i libri»), in cui è rintracciabile un nucleo di eventi storici. Intorno alla metà del II millennio alcune tribù semitiche di pastori nomadi, che poi prenderanno il nome di Ebrei, si spostarono dalla regione di Ur nella bassa Mesopotamia verso Nord. Secondo il Genesi (dal greco gìgnesthai = «nascere» e quindi «origine», è il libro che apre la Bibbia) Dio aveva ingiunto ad Abramo, uno dei patriarchi (individui investiti di autorità religiosa e politica sulla comunità) di recarsi nella Terra Promessa, una terra fertile in cui fermarsi stabilmente. È questa la prima formulazione del patto tra il popolo ebraico e il suo Dio, che ritornerà come filo conduttore nelle vicende successive. Una parte dei nomadi raggiunse la valle del Nilo, fuggendo in seguito dall'Egitto (intorno al XIII secolo a.C.), quando si accentuò l'oppressione dei faraoni egiziani. A guidare gli esuli ebrei era Mosé, capo carismatico la cui figura è circondata da elementi leggendari (come per esempio il suo abbandono da neonato alle acque del Nilo) e storici; sarebbe stato condottiero, legislatore civile e religioso della Nazione ebraica. Durante la fuga dall'Egitto Yahwèh, il Dio degli Ebrei si manifestò sul Sinai. Nel corso di questa teofania (= «apparizione della divinità» dal greco theòs = «dio» e phaino = «apparire») Mosé ricevette le Tavole della Legge, vale a dire i comandamenti: essi contengono alcune importanti enunciazioni o comandi esposti in forma affermativa (ad esempio «Io sono il Signore Dio tuo»), una serie di divieti espressi in forma negativa (ad esempio «non avrai altri dei di fronte a me»), proibizioni tendenti a conservare integro il sistema di una comunità pia e rigorosa. Il Dio di Mosé proclamava il suo intervento diretto sulle vicende storiche del popolo di Israele e per la prima volta vietava esplicitamente l'adorazione di dei diversi. Rinvigoriti dalla parola di Dio, dotati di un codice di leggi applicate con rigore, riorganizzati e guidati da Mosé e poi dai suoi successori, gli Ebrei giunsero finalmente a Canaan, la Terra Promessa, intorno al 1200 a.C. Il popolo di Yahwèh era suddiviso in dodici tribù autonome, strette da un vincolo religioso e accomunate dal culto del santuario federale in cui era custodita l'Arca con le Tavole della Legge; in casi di emergenza il comando di tutto il popolo era assunto da un giudice, capo carismatico che normalmente esercitava nelle diverse tribù solo la suprema funzione giudiziaria. Le dodici tribù in Palestina subirono cambiamenti sociali, politici e economici. Pur considerando la forma di organizzazione tipica della gente nomade, diedero vita a un popolo unitario, quello di Israele, nel quale confluirono anche altre genti cananee che gli Ebrei riuscirono ad assimilare e amalgamare. Da nomade la società ebraica si trasformò in sedentaria; il processo di sedentarizzazione degli Ebrei in Palestina si inquadra nel periodo di crisi del Vicino Oriente seguito all'invasione, nella prima età del ferro, dei Popoli del mare». Il passaggio alla monarchia avvenne sotto la pressione esercitata nell'XI secolo a.C. da uno dei Popoli del mare, i Filistei, organizzati in piccoli, ma agguerriti Stati lungo la costa del Mediterraneo. Saul, il primo re di Israele, combatté a lungo intorno al 1000 a.C. contro i Filistei; gli successe David (1010-970 a.C.) che, grazie ad un'intensa attività bellica, li respinse e fece di Gerusalemme, strappata ai Cananei, la capitale politica e religiosa del regno. Alle conquiste di David seguì l'opera di organizzazione e di incremento economico di Salomone (X secolo a.C.) il cui regno fu famoso per la sua lunga e pacifica durata, per il fasto e la ricchezza della corte, per la saggezza ed equanimità del sovrano. Il simbolo della gloria di Salomone era il famoso tempio da lui edificato sulla collina di Sion, centro della religione e sede dell'Arca dell'alleanza. In un periodo in cui l'Egitto rimaneva chiuso nelle sue frontiere, l'impero ittita era stato sostituito da una miriade di piccoli regni, l'Assiria aveva appena cominciato la sua espansione, il regno ebraico, che con Salomone si valeva di un sistema amministrativo centralizzato, fu per mezzo secolo lo Stato più solido e dinamico del Vicino Oriente. Alla morte di Salomone la distinzione tra una minoranza ricca e potente (dignitari, funzionari, mercanti, dotti) e una maggioranza povera (contadini, artigiani, servi) si fece più netta e le antiche rivalità tribali riaffiorarono. L'effetto fu la divisione in due regni separati: il regno di Israele a Nord, quello di Giuda a Sud. Con il regno diviso si aprì per gli Ebrei un periodo di profonda crisi sociale, politica e religiosa. L'ascesa degli Assiri travolse il regno di Israele la cui capitale, Samaria, fu espugnata da Sargon II nel 722 a.C. Nel 586 a.C. i Babilonesi di Nabucodonosor distrussero Gerusalemme, capitale del regno di Giuda, e il suo tempio; nel tentativo di distruggerne l'identità nazionale i Babilonesi esiliarono la classe dirigente ebraica a Babilonia (tale esilio del popolo ebraico è noto come «cattività babilonese»). Figure emergenti furono in questa fase i profeti (letteralmente «i chiamati»), uomini di fede che si sentivano penetrati dallo spirito divino, i quali interpretavano l'esilio come una vendetta divina, una punizione per lo scadimento religioso e morale, la tolleranza dei culti idolatrici stranieri, gli abusi sociali. I profeti (tra cui Elia, Eliseo, Amos, Isaia nei secoli IX-VIII e Geremia ed Ezechiele nei secoli VII-VI a.C.) volevano che fosse restaurata nella sua purezza la tradizione mosaica. Sotto il dominio persiano, che nel VI secolo a.C. si sostituì a quello dei Babilonesi, gli Ebrei ottennero di ritornare in Palestina, divenuta provincia persiana, e di ricostruire il tempio di Gerusalemme. La Giudea passò quindi ai successori di Alessandro Magno, i Seleucidi, e da questi ai Romani che repressero duramente le insurrezioni giudaiche e nel 70 d.C. sotto l'imperatore Vespasiano distrussero Gerusalemme e il tempio. Disperso per il mondo (è questa la «diaspora» o «dispersione» dal greco diaspeìro = «disseminare») in piccole comunità, lontano dalla Palestina, il popolo ebraico ricercò la sopravvivenza nella fedeltà alla religione dei padri e alla tradizione.

IL MONOTEISMO EBRAICO

Nell'ebraismo raggiunge la massima chiarezza di espressione il monoteismo, già in un certo senso presente nella riforma religiosa del faraone egizio Amenophis IV, che nel XIV secolo a.C. aveva imposto il culto unico del disco solare Aton. Al monoteismo ebraico si connettono il cristianesimo e l'islamismo. Yahwèh, il dio degli Ebrei, è l'unico dio al di fuori e al di sopra della natura. La sua trascendenza è opposta all'immanenza delle divinità degli altri popoli orientali che vedono negli elementi naturali la divinità stessa. Altre peculiarità di Yahwèh sono la sua irrappresentabilità e innominabilità, caratteristiche che gli derivano dalla sua collocazione al di là della natura e della materia. L'arte ebraica, quindi non rappresenta il volto di Dio. La storia del mondo è governata dal piano divino e orientata verso un fine: il trionfo della fede e della giustizia. Ne deriva una concezione della storia che si definisce «teleologica» (dal greco telos = «fine», «scopo») e si oppone a quella propria delle religioni orientali in cui il tempo è concepito ciclicamente come incessante ripetizione di eventi identici. Il rapporto tra uomo e Dio non culmina nell'unione mistica, ma è fondato su un reciproco impegno, per cui alla benevolenza di Dio che ha scelto Israele come popolo eletto deve corrispondere da parte del popolo ebraico l'osservanza dei comandamenti che, compendiati nel decalogo, abbracciano ogni aspetto della vita individuale e collettiva, religiosa e civile.

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