Video Corso di Latino e Inglese.
Notizie del giorno per documentarsi su ciò che accade nel mondo!
Ti invitiamo a dedicare qualche minuto per aiutarci a capire meglio quanto soddisfiamo le tue esigenze! |
Dizionari Enciclopedia Storia Link utili La scuola consegue tanto meglio il proprio scopo quanto più pone l'individuo
in condizione di fare a meno di essa. |
Scienza Tecnica Geografia Europa America Africa Asia Oceania Italia Animali Storia Medievale Moderna Contemporanea Storia Antica e Medievale Storia Antica Dizionario Roma Antica Glossario Storia Moderna e Contemporanea Divinità Egizie Glossario Egitto Epoche Dinastie Re Attualità Video Enciclopedia 1 2 3 Monografie Itinerari Culturali I Grandi Classici La Cultura Medicina Enciclopedia Medica IE8 Corso di Latino Inglese 1 2 3 IE8 Matematica
Del Lazio antico, o di Roma, dei Romani. ║ Dei popoli che da Roma hanno ereditato la lingua e la civiltà (più propriamente neolatino). ║ Ferie l.: antica festa annuale dei Romani che si celebrava sul Monte Albano in onore di Giove Laziale. Le ferie l. appartenevano alle cosiddette ferie indittive, indette cioè dai consoli anno per anno, e duravano 4 giorni. ║ America l.: la parte dell'America colonizzata da Spagnoli (Messico, Antille, America Centrale e Meridionale) o da Portoghesi (Brasile). ║ Alfabeto l.: è derivato da un alfabeto greco di tipo occidentale di qualche colonia greca della Campania. Tipica l'innovazione del digramma greco usato per esprimere il fonema f sconosciuto al greco, e il fatto che a c, probabilmente per influsso etrusco, fu dato il valore di sorda. Nel processo di trasformazione che l'alfabeto l. subì nell'età repubblicana, notevoli sono le riforme ortografiche di Appio Claudio Cieco. Al tempo di Cicerone l'alfabeto l. si presentava formato di 21 lettere: A B C D E F G H I K L M N O P Q R S T V (=u) X. In senso più largo: qualsiasi alfabeto, anche di lingue diversissime per origine e struttura, che sia costituito essenzialmente dalle lettere dell'alfabeto l., alcune delle quali eventualmente modificate con segni diacritici per esprimere suoni particolari. - Mar. - Vela l.: vela dal taglio triangolare inserita con il lato maggiore a un'antenna o a un cavo, adatta a stringere il vento fino a 4-5 quarti della prora. ║ Albero l.: albero che porta vele l. - Rel. - Chiesa l.: la Chiesa cattolica romana, contrapposta alla Chiesa greca o d'Oriente. ║ Rito l.: il rito cattolico romano. - Ling. - Il l. appartiene alla famiglia linguistica indoeuropea, risale cioè a una lingua che in età preistorica, tra il IV e il III millennio a.C., dovette essere parlata con una certa unitarietà nella zona centro-settentrionale del continente eurasiatico. I Protolatini, termine con cui si chiamano convenzionalmente in linguistica i primi gruppi di popolazioni di lingua indoeuropea giunti in Italia, entrano qui in contatto con le popolazioni preesistenti, che parlavano lingue di tipo mediterraneo (così definite perché in tutte le lingue non indoeuropee e non semitiche del Mediterraneo antico si riscontrano delle costanti, che fanno postulare tra di esse un rapporto di parentela o almeno di affinità culturale e linguistica). Giunti nell'Italia centro-meridionale, i Protolatini si suddividono in diversi gruppi, accogliendo e assimilando molti elementi della civiltà e della lingua mediterranea preesistente: i Latini rappresentano, nel Lazio antico, il gruppo più settentrionale. In questa età, ancora preistorica, il l. doveva già presentare un carattere composito, una convivenza di elementi indoeuropei ereditari, più o meno conservati o trasformati, e di elementi mediterranei acquisiti, più o meno assimilati. Questo carattere composito si accentua, tra il 1000 e il 500 a.C., per i nuovi rapporti e contatti politico-economici e culturali, e quindi linguistici, che i Latini hanno con popoli preindoeuropei e indoeuropei dell'Italia antica. Tra i primi gli Etruschi; tra i secondi gli Osco-Umbri e i Greci delle colonie e della Sicilia e della Magna Grecia. E così, quando tra il VI e il IV sec. a.C. appaiono le prime documentazioni epigrafiche, e quando nel III sec. ha inizio la tradizione letteraria, la lingua l., uscita ormai dalla preistoria, presenta un sistema grammaticale sostanzialmente indoeuropeo, ma con profonde trasformazioni, e un lessico composito in cui alle voci ereditarie si affiancano numerose parole di origine mediterranea ed etrusca, osco-umbra e greca. Le più antiche testimonianze dirette della lingua l. sono costituite da iscrizioni, di natura religiosa o giuridica. Il primo documento pervenutoci è una scritta incisa su di una spilla d'oro del VII sec. a.C., nota come fibula Praenestina, scoperta in una tomba di Preneste, piccola città l. (oggi Palestrina). Più importante è l'iscrizione del cippo del Foro Romano sottostante al Lapis Niger, che risale al VI sec. a.C.: si tratta di una legge sacra che indica il modo per evitare l'effetto di auspici sfavorevoli. Le più antiche testimonianze indirette, e cioè conservate dalla tradizione letteraria posteriore, sono costituite dal Carmen Arvale e dal Carmen Saliare (formule di preghiere), dalle Leges regiae e dalle Leges XII Tabularum. Ma tra la lingua delle iscrizioni epigrafiche e dei Carmen Arvale e Saliare, e la lingua del testo tramandato delle Leges regiae e delle Leges XII Tabularum, e dei più antichi testi letterari esiste uno stacco nettissimo. Quei primi testi, la cui interpretazione è incerta, così come già lo era per i Latini pur colti dell'ultima età repubblicana, presentano uno strato arcaico, quasi preistorico di elementi lessicali e grammaticali. Le Leges, invece, per il lungo e intenso processo di modernizzazione, e i primi documenti letterari, riflettono ormai una fase nuova della lingua l., un aspetto lessicale e grammaticale in cui a una patina di arcaicità corrisponde una struttura sostanziale ormai classica. Nella seconda metà del III sec., sorge in Roma una letteratura l., primitiva sì, come inizio di una nuova tradizione, ma nello stesso tempo ricca dell'esperienza della tradizione letteraria greca, seguita e imitata dai primi poeti l. Questa prima letteratura esercita sulla lingua una duplice azione: da un lato un'azione unitaria, o meglio uniformatrice; dall'altro un'azione di sviluppo, di arricchimento lessicale e grammaticale. È, in definitiva, una letteratura che sin dall'inizio deve cercare di adeguarsi alla raffinata tradizione greca, e deve rispondere a sempre più complesse esigenze tecniche e artistiche; d'altra parte, uno Stato che domina ormai e amministra tutta l'Italia e le isole, ha bisogno di una lingua ricca e precisa. Tra la fine del III sec. e la prima metà del II sec. a.C. si viene formando un l. letterario, che è poi, nelle grandi linee, anche il l. ufficiale. Esistevano profonde differenze, di carattere fonetico, morfologico e sintattico, tra la lingua letteraria e quella parlata. Quest'ultima è documentata dalle opere di autori come Plauto e Petronio, dalle iscrizioni e dalle citazioni dei grammatici. Il l. parlato, a contatto con i popoli barbari, si trasformerà poi, nei secc. VI-VIII, nelle varie lingue neoromanze. È il l. letterario, nel cui ambito vi sono profonde divergenze tra la lingua della poesia e quella della prosa, che ha contribuito alla formazione di quel grande patrimonio culturale e artistico che eserciterà un'influsso determinante sul pensiero occidentale. Le maggiori testimonianze della lingua l. tra il III e il II sec. a.C. sono offerte dalle opere letterarie. Ennio, dopo i primi tentativi di costituzione di una lingua d'arte di Livio Andronico e di Nevio, fonda già una tradizione di lingua poetica elevata e introduce il verso greco dell'epica: l'esametro. Ennio, depurato dagli arcaismi e dai grecismi più urtanti, sarà il modello di lingua, di stile e di metrica di Lucrezio e di Virgilio, e quindi di tutta la poesia epica, tragica e didascalica dell'età posteriore. Più ampia base d'indagine e d'informazione, soprattutto per la lingua parlata, ci offre nella stessa età Plauto, anche per l'abbondanza e la completezza dei testi pervenutici. Predomina infatti nelle sue commedie l'aspetto parlato, espressivo della lingua. Le commedie di Plauto documentano l'intervento di forze e fatti nuovi nella lingua l. Il lessico rivela una nuova penetrazione di grecismi, di carattere sia dotto sia popolare. Per la prosa, la sola testimonianza è, per questa età, quanto ci è pervenuto dell'opera di Catone, che rappresenta probabilmente un primo tentativo di creare una prosa letteraria e tecnica all'interno della tradizione l. e italica. La storia della lingua l. dal II sec. a.C. all'Impero, è caratterizzata da tre fatti fondamentali: la diffusione del l. al di là delle Alpi e del mare; la fissazione di una lingua letteraria e in particolare di una prosa d'arte; il distacco sempre maggiore tra la lingua letteraria e la lingua parlata. Alle conquiste politiche, si accompagna la diffusione e l'acquisizione della lingua di Roma. La conseguenza più notevole, per la lingua l., è da un lato il suo differenziarsi nelle varie regioni, e dall'altro l'accogliere alcuni elementi delle lingue dei popoli latinizzati. Nella lingua letteraria si va creando una più netta differenziazione tra la lingua della poesia e quella della prosa. Mentre la lingua della poesia continua ad avvalersi di voci e forme arcaiche, di libertà di costrutti, ecc., la lingua della prosa raggiunge nel I sec. a.C. una notevole unità e fissità. Si viene così delineando una lingua d'arte ben regolata e strutturata, simmetrica e coerente, che Cicerone e Cesare da un lato, e Virgilio e Orazio dall'altro, impongono come modello a tutta la prosa elevata e a tutta la poesia della loro età e delle età successive. È naturale che una lingua così solidamente fissata, così simmetrica e intellettuale, fosse andata sempre più allontanandosi dalla lingua parlata di Roma e delle varie regioni dell'Impero Romano. Al l. letterario, unitario e fisso, si oppone dunque, a partire già dall'ultima età repubblicana, un l. parlato, e cioè il l. volgare. Con questa denominazione, si intende il l. parlato, e solo eccezionalmente scritto, nelle diverse province, da individui di diversa condizione sociale e cultura, nel periodo che va dal II sec. a.C. al VI sec. d.C. Soprattutto dal III sec. in poi, assume una particolare importanza un nuovo aspetto della lingua l., il l. cristiano: il cristianesimo, infatti, porta nuove forme spirituali e nuove necessità pratiche, e influisce sulla lingua scritta e parlata introducendo nuovi tipi sintattici e molti elementi lessicali derivati dal greco. Le fonti per la conoscenza del l. volgare sono: gli scritti letterari che riflettono, volutamente, aspetti della lingua popolare o della lingua dell'uso quotidiano; gli scritti che per la loro destinazione si adeguano alla lingua parlata e usuale; gli scritti di persone di scarsa cultura, le iscrizioni non ufficiali e le formule magiche; le glosse, le notazioni e le opere normative dei grammatici; la comparazione delle lingue e dei dialetti romanzi. Mentre il l. volgare si trasforma e si differenzia sempre più rapidamente, specialmente dopo la caduta dell'Impero romano e la formazione dei regni barbarici e di altre unità politiche e amministrative, e si avvia a identificarsi nei vari dialetti romanzi, il l. scritto continua oltre l'Impero romano, nel l. medievale. Questo presenta due aspetti: da un lato è la lingua della cultura, la sola lingua letteraria dell'alto Medioevo, conservata nei monasteri e nelle grandi scuole, relativamente fedele ai modelli classici; dall'altro, è la lingua scritta prima del sorgere delle nuove lingue nazionali romanze, di tutto l'Occidente: lingua ufficiale diplomatica, notarile, amministrativa, lingua viva, aderente alle esigenze della vita pratica. Nel primo aspetto il l. medievale si distacca sempre più da ogni contatto e possibilità di comprensione del popolo; nel secondo aspetto, e cioè come lingua pratica, si distacca quindi sempre più dal modello dei classici, accostandosi spesso alla lingua parlata. Con l'Umanesimo i due aspetti si riavvicinano e si fondono in una lingua l. fondata sui modelli antichi, e il l. continua ancora a vivere a fianco delle lingue nazionali come lingua ufficiale e internazionale della tcChiesa, della diplomazia e della scienza, e di una nuova letteratura l. Tra il XVII e il XVIII sec. il l. viene abbandonato in tutta l'Europa occidentale come lingua della diplomazia e della scienza; esso resta solo come lingua della Chiesa e di una mai abbandonata letteratura. Ma più che per questi due aspetti, la lingua l. è sempre restata viva per gli elementi lessicali e derivati, e per i tipi sintattici e stilistici, che ha incessantemente offerto alle lingue nazionali, e per le voci e gli elementi compositivi che ha offerto alle varie terminologie scientifiche di tutte le lingue di cultura europee. • Lett. - I documenti l. più antichi hanno esclusivamente valore storico e filologico. Il periodo delle origini comprende la lirica religiosa (Carmina Saliaria, Carmen fratrum Arvalium), i trattati, le leggi (XII Tabulae, V sec. a.C.), gli atti pubblici (Commentarii, Fasti, Annali), le lodi funebri. Dal punto di vista metrico, era utilizzato il verso saturnio, di cui è incerto se l'andamento fosse accentuativo o quantitativo. Accanto al saturnio, il verso quadrato e una forma cadenzata indistinta tra prosa e poesia (prosa ritmica), costituivano il patrimonio formale della letteratura l. delle origini. Notevole importanza ebbero anche le canzoni epiche celebranti le gesta degli avi (Carmina convivalia). Le prime forme drammatiche (Fescennina), che influenzarono la nascita del teatro l., erano recitazioni dal carattere ingiurioso e osceno. Dopo Appio Claudio Cieco (IV sec. a.C.), scrittore di versi, oratore, giurista, con Livio Andronico (prima metà del III sec.) comincia la letteratura l. vera e propria. Egli dà inizio al genere letterario teatrale e traduce in versi saturni l'Odissea. Nelle tragedie, di argomento greco, ricorre largamente all'uso dei metri greci. Poco più giovane di Andronico, Gneo Nevio racconta nel poema Bellum punicum, in versi saturni, la prima guerra punica, a cui partecipò. Egli è il primo poeta comico a ricorrere alla contaminatio, cioè alla fusione di più modelli teatrali greci; inoltre dà vita alla commedia togata e alla praetexta, tragedia di argomento romano. Il chiaro influsso della tradizione letteraria greca sui primi testi l., ha suscitato la discussione sull'originalità della letteratura l. Considerando la validità dei risultati, è lecito affermare che Roma non ha mai subito passivamente il peso della cultura greca, e che, proprio per questa sostanziale libertà nell'accettazione, non ha mai neppure inteso il bisogno di ribellarsi ad essa. Se le forme letterarie sono desunte dai Greci, esse si permeano però dello spirito e del costume delle popolazioni l. La tradizione iniziata con Andronico e Nevio prosegue e si approfondisce con le due maggiori figure della letteratura del III sec. a.C.: Plauto ed Ennio. Le commedie (palliate) di Plauto - delle 100 attribuitegli ne sono pervenute 21 -, giocose e spregiudicate, rielaborano liberamente i modelli ellenistici; esse sono il frutto dell'incontro fra la società italica, in piena espansione, e le forme più raffinate del mondo ellenistico. Dopo Plauto, la letteratura l. perde il contatto diretto con il mondo popolare, ponendosi gradualmente al servizio dell'aristocrazia e dei suoi ideali. Nell'età delle guerre puniche, nasce la storiografia romana, con l'intento di far conoscere fuori confine la potenza di Roma; tra gli autori: Fabio Pittore, Cincio Alimento, Cornelio Scipione figlio dell'Africano, C. Acilio, Postumio Albino. Questi cronisti e storici scrivono in greco. Quinto Ennio (239-169 a.C.) è ritenuto il maggior poeta epico e nazionalista dell'età arcaica. La sua imponente produzione letteraria, della quale ci sono pervenuti solo frammenti, comprende commedie, tragedie, opere didascaliche (Euhemerus), satire, epigrammi e il poema epico Annales, in cui Ennio si propose di cantare la storia di Roma da Enea ai suoi tempi. Con Ennio e con Catone il Censore (234-149 a.C.) entriamo nel II sec. a.C. Catone, che si oppone all'eccessiva invadenza dell'ellenismo nel mondo l., è autore delle Origines, prima opera della storiografia arcaica scritta in l. Inoltre, le sue Orationes e il suo trattato De agri cultura rappresentano gli inizi di due tra gli aspetti più caratteristici della cultura romana, quello politico e quello pratico-erudito. L'esperienza ellenistica viene rinnovandosi. Il circolo degli Scipioni, formatosi attorno all'Emiliano e al suo amico Lelio, simboleggia questa esperienza, d'incalcolabile portata nella storia del mondo antico: qui Polibio e Panezio conversarono e familiarizzarono con i nobili romani, ammaestrandoli ma altresì ricavandone una decisiva esperienza. Nel circolo dell'Emiliano e di Lelio, le commedie di Terenzio (190-159 a.C.) e le satire di Lucilio rappresentano la più elevata ricerca letteraria e poetica. Terenzio sostituisce alla vivacità comica e plebea di Plauto, un'arte più riflessiva e aristocratica, allontanandosi sempre di più dal gusto del teatro popolare. Con Lucilio, il genere satirico assume dignità letteraria; nei trenta libri di Satire, di cui ci restano però solo 1300 versi, riversa un vasto contenuto di osservazioni sulla società del suo tempo, di meditazioni, di rappresentazioni, di polemiche. Nel cenacolo si raccolgono, intanto, i migliori artisti nei diversi campi della eloquenza, storiografia, filosofia, giurisprudenza: Manio Manilio, Q. Tuberone, D. Giunio Bruto, L. Furio Filo, Spurio Mummio, P. Rupilio, Sempronio Asellione, C. Fannio, Quinto Mucio Scevola, Rutilio Rufo. La tragedia ha in Pacuvio e nel più giovane Accio i massimi esponenti; la commedia, nella quale alla palliata si sostituisce dopo Terenzio la togata, ha i suoi rappresentanti in Afranio, Titinio e Atta. Il teatro comico trapasserà poi nelle forme della farsa osca (l'atellana) e del mimo. Con i Gracchi e con M. Antonio e Licinio Crasso l'oratoria arriva a una classica eccellenza; con Celio Antipatro e Sempronio Asellione, la storiografia matura problemi e forme sempre più complessi. Lutazio Catulo, Emilio Scauro, Rutilio Rufo scrivono autobiografie, come poi Silla, dando inizio a un genere straordinariamente vitale nel mondo romano. Nel frattempo la filologia trova in Elio Stilone il massimo esponente, che si vale dei metodi greci temperati tra loro ecletticamente (scuola pergamena e scuola alessandrina). Il I sec. a.C. è considerato il secolo classico: in esso scrissero quegli autori nei quali fin dall'antichità si ritrovò un perfetto equilibrio di forme e di contenuti, e una più alta ispirazione poetica; dal punto di vista storico, esso ha inizio con gli esordi di Cicerone e ha termine con la morte di Augusto. La letteratura l. offre in questo periodo capolavori di poesia, di storiografia, di oratoria, che eserciteranno notevole influenza sulle età successive. Cicerone (106-43 a.C.) è il massimo rappresentante della cultura romana del suo tempo. Accanto al grandissimo contributo da lui dato alla formazione di una cultura filosofica, politica, giuridica l., emerge significativa la sua ricca personalità d'oratore e d'uomo immerso nella sua società. Le orazioni e l'epistolario ciceroniano sono monumenti della storia letteraria, e non soltanto letteraria, nei quali l'eleganza, la forza, il dominio completo della lingua, il senso del limite e della graduazione degli effetti, sono rimasti un modello. Varrone (116-27 a.C.), figura complessa di erudito, affronta con organicità e metodo problemi come quelli dell'antiquaria (Antiquitates), della linguistica (De lingua latina), della filosofia (Logistorici); la sua opera più imponente sono le Saturae Menippeae, di argomento vario, che alternano alla poesia brani in prosa. Attorno a lui è una serie di studiosi, quali L. Ateio Pretestato, Santra, Nigidio Figulo; tra gli scrittori di quest'epoca, è Cornelio Nepote, iniziatore del genere delle biografie (De viris illustribus). Dominatore nella politica, Gaio Giulio Cesare (100-44 a.C.) è anche una delle maggiori figure della letteratura del suo tempo. Accanto a una produzione minore (poetica, grammaticale, polemica) egli primeggia nell'oratoria e soprattutto nella storiografia, della quale i Commentarii De bello gallico e De bello civili, modello perfetto di stile, rappresentano uno dei più vivi e interessanti testi l. Fondamentalmente diverso da Cesare è il cesariano Gaio Sallustio Crispo (86-35 a.C.), del quale sono conservate due originalissime monografie, sulla guerra giugurtina (De bello Iugurthino) e sulla congiura di Catilina (De coniuratione Catilinae). Sallustio è il creatore di uno stile che, nella sua forma tendenzialmente anticlassica, anticipa la grande esperienza spirituale ed espressiva di Tacito. Nell'età augustea nasce la grande poesia l.: Lucrezio, Catullo, Virgilio, Orazio. Con il poema didascalico De rerum natura, fedelmente ispirato alla dottrina filosofica di Epicuro, Tito Lucrezio Caro (99-55 a.C.) si propone di liberare l'umanità dalle paure che la ossessionano. La forma lucreziana ha il merito di riproporre abilmente in lingua l. le espressioni filosofiche greche. Gaio Valerio Catullo (84-54 a.C.) appartiene ad un gruppo di poeti innovatori, i cosiddetti neoteri o poetae novi (Elvio Cinna, Gaio Licinio Calvo, Furio Bibaculo), che tentano un rinnovamento della letteratura romana in senso alessandrino. È un singolare movimento culturale, che si esprime anche come fermento politico, e ha in Calvo un brillante oratore in stile atticista. Catullo superò i limiti della scuola, e ne fu il grande poeta: è la più potente natura di lirico che abbia la poesia l., ed una delle più intense di tutti i tempi. Tra le sue opere: Carmina docta; il poemetto Attis; Nugae. Pienezza di sviluppo ha ormai la letteratura l., coltivata in tutti i campi. Nel campo del diritto, Antistio Labeone e Ateio Capitone, si oppongono con diverse concezioni; la filologia e la erudizione ha, tra i molti altri, Verrio Flacco e Igino, la scienza architettonica Vitruvio, la geografia Agrippa; la declamazione oratoria ha in Lucio Anneo Seneca padre il suo più autorevole rappresentante. Vario e Ovidio scrivono tragedie rimaste famose e, con essi, Asinio Pollione. La commedia trova un nuovo genere, la trabeata, mentre la farsa atellana e soprattutto le varie forme di pantomima dominano nel teatro. Virgilio (70-19 a.C.) è il più grande poeta del suo tempo. I risultati formali cui egli giunse rimasero definitivo modello per tutta la letteratura dell'Occidente. L'intero mondo virgiliano delle Bucoliche, delle Georgiche e dell'Eneide, costituisce una delle più durature eredità che Roma abbia lasciato al mondo, uno dei più incisivi avvenimenti della storia della nostra cultura, poesia, umanità. Questo eccezionale prodotto d'ispirazione poetica e di consapevolezza culturale non poteva aversi se non in un ambiente che favorisse in ogni modo le esperienze filosofiche, letterarie, etiche: è questo l'ambiente che intorno ad Augusto creò Mecenate. Letterato e coltissimo egli stesso, Mecenate raccolse intorno a sé un gruppo di scrittori, tra i quali primeggiano Virgilio, Orazio e Tito Livio. Orazio (65-8 a.C.) è una delle più originali nature prodotte dal mondo l. Dai giovanili Epodi, alle Odi, Satirae, Epistole, si manifesta con sempre maggior chiarezza il raffinato, cosciente, sottilmente amaro e tuttavia sorridente spirito di Orazio. Il suo temperamento di lirico è congeniale con la forma ellenistica depurata da ogni eccesso e manierismo neoterico, riportata alle fonti della grande lirica classica greca, della quale egli cerca soprattutto la perfezione semplice e la limpidità efficacissima dell'espressione. Con i due massimi poeti augustei, la letteratura l. tocca indubbiamente il vertice d'una maturità che la fa capace di valere per millenni, come esperienza fondamentale del mondo occidentale. Tito Livio (59 a.C. - 17 d.C.), l'unico grande prosatore dell'età di Augusto, ripercorre tutta la storia di Roma, animato dall'amore per le tradizioni e le istituzioni repubblicane, rievocate con nostalgia. Il tono della sua narrazione - in 120 libri - tocca ora l'epos, ora la lirica, ora la tragedia, senza però rinnegare mai la verità dei fatti. Il mondo della poesia augustea non si esaurisce in Virgilio e Orazio, ma in Cornelio Gallo, in Tibullo, in Properzio e in Ovidio vede il trionfo dell'elegia amorosa e della ricca fantasia. Albio Tibullo (50 a.C. - 19 d.C.) ripudia totalmente l'erudizione mitologica e infonde nell'elegia i suoi sogni malinconici e amorosi; Sesto Properzio (50 a.C. - 16 d.C.) è più vigoroso nei suoi slanci appassionati di amore, odio, gelosia; Publio Ovidio Nasone (43 a.C. - 17 d.C.), oltre che dell'elegia amorosa, è poeta di miti romanzeschi (Metamorfosi) e storici (Fasti). L'età imperiale vede un mutamento sostanziale nel costume di vita, negli ideali e nella mentalità romana. Il periodo che va da Tiberio a Traiano è caratterizzato dall'apporto di nuove energie dalle province e dall'influsso sempre maggiore dell'Oriente. Manilio (Astronomica), Germanico (Aratea e Phaenomena) e Fedro, didascalici i primi, favolista e moralista il terzo, sono i migliori artisti dell'età di Tiberio, nella quale la storia ha cultori piuttosto retorici, come Valleio Patercolo e Valerio Massimo. La giurisprudenza è viva; nelle scienze esatte è importante Celso, nella grammatica Remmio Palemone. La grande personalità dell'epoca di Claudio e Nerone è Seneca il filosofo, figlio del retore (4 a.C. circa - 65 d.C.). Uomo di grandissima cultura, erudito, scienziato, ma soprattutto filosofo morale, Seneca è personalità di grandissimo rilievo per l'originalità della meditazione morale. Scrisse anche tragedie. Nello stesso mondo letterario di Seneca vive Persio (34-62 d.C.), autore di sei Satire. Lucano (39-65 d.C.), nipote di Seneca, è forse la maggior figura della poesia l. dell'età imperiale. Il suo Bellum civile (o Pharsalia), che narra la guerra fra Cesare e Pompeo, è tra le opere più interessanti della letteratura l. e nel Medioevo fu uno dei classici più noti e più amati. Ben diversa personalità da quella di Lucano è il contemporaneo Petronio. Nel Satyricon, romanzo misto di prosa e versi su modello greco, sono presenti satira morale e rappresentazione realistica, condotte con atteggiamento plebeo, ma con intenzione raffinatamente aristocratica, di un fantastico mondo immorale e pittoresco. Il periodo dei Flavi, seguente alla breve ma violenta anarchia del 68-69 d.C., è più tranquillo spiritualmente e non produce grandi personalità di prosatori e poeti. Importante è Quintiliano (35 circa - dopo 95 d.C.), maestro di retorica e teorico di quest'arte nella sua Institutio oratoria. Nella poesia, Valerio Flacco, Silio Italico e Stazio, buoni versificatori, si rifanno al modello virgiliano: Flacco (Argonautica) riprendendo l'uso del mito, bandito da Lucano; Silio aderendo totalmente all'Eneide, pur nel soggetto storico delle sue Punica; Stazio, più originale, trattando l'epopea mitologica, nelle Silvae, riprendendo un tipo di poesia occasionale conversativa. Spirito originalissimo è Marco Valerio Marziale (40-104 d.C.), il maggiore degli epigrammisti l. La tradizione epigrammatica ellenistica era stata ripresa già dai neoteri, e Catullo ce ne dà esempi splendidi; Marziale si dedica interamente a questo genere, e nel corpus vasto e ricchissimo delle sue brevi composizioni ci dà un quadro vivacissimo del mondo del suo tempo. Nella prosa, oltre Quintiliano, hanno importanza Plinio il Vecchio, erudito, storico, filologo, enciclopedico, e Frontino, scrittore di cose militari e di agrimensura, e illustratore degli acquedotti romani. L'epoca di Traiano trova in Cornelio Tacito (55-122 d.C.) la grandezza della migliore letteratura romana: egli è uno dei più profondi spiriti del mondo antico. Famoso pittore di imperatori tiranni (Historiae, Annales), è nello stesso tempo il testimone più eloquente della forza della costruzione politica romana e della vastità del suo dominio. Proverbiale è il suo stile, difficile, a scorci, rapido, calcolatissimo, senza distensioni ma spezzato ad arte. La satira luciliana e poi oraziana ha in Decimo Giunio Giovenale (55-127 d.C.) un rinnovatore aspro, violento. È un'interessante testimonianza di un moralismo che ha le sue radici nel distacco tra la provincia da cui il poeta proviene, e la cosmopolita città. Plinio il Giovane offre nelle sue epistole un prezioso quadro del suo tempo; è scrittore garbato e colto. Con la fine degli Antonini, che in Adriano (117-138) ebbero un raffinato grecizzante e poeta, e in Marco Aurelio (161-180) l'autore, in greco, di splendidi Ricordi, la letteratura l. decade irrimediabilmente. Mentre il mondo antico è travagliato dall'avvento sempre più imponente di nuove correnti religiose, filosofiche, mistiche, e la speculazione filosofico-religiosa si approfondisce e s'arricchisce di fondamentali esperienze (nelle quali si prepara il trionfo del cristianesimo), la retorica trionfa nella prosa e nella poesia; tipico rappresentante della corrente arcaizzante è Frontone; biografo e studioso di letteratura, è Svetonio. Tra tutti si distingue, originale figura di filosofo retore e narratore, l'africano Lucio Apuleio, inventore d'una delle più belle avventure romanzesche che ci abbia lasciato il mondo antico, le Metamorfosi. Buon erudito è Gellio; tra il II e III sec. la filologia ha numerosi rappresentanti, come Cesellio Vindice, Terenzio Scauro, Velio Longo, Elio Melisso, Sulpicio Apollinare, Acrone, Celso, ecc. Sempre vivissima, la scienza giuridica: Salvio Giuliano e Sesto Pomponio sotto Adriano, Gaio, Cervidio Scevola, Papirio Giusto sotto gli Antonini, Papiniano sotto Settimio Severo, Ulpiano e Paolo sotto Caracalla e Alessandro Severo. Con Diocleziano (285-305) l'Impero romano ritrova un potente centro politico; la scissione amministrativa consente un fiorire di spiriti provinciali e un rinsanguarsi della tradizione l., ricca di nuove esperienze; fioriscono il cartaginese Nemesiano e i galli Ausonio e Rutilio Namaziano, poeta della decadenza di Roma, madre dei popoli. Tra il IV e il V sec. si avverte anche il rifiorire dell'oratoria, con Aurelio Simmaco a Roma, ma soprattutto in Gallia. Claudiano, poeta e panegirista imperiale, è anima classicamente pagana. Storico è Ammiano Marcellino, che ha come modello Tacito. La grammatica, la filologia e l'erudizione letteraria prosperano: sono di questa epoca gli scoliasti Donato e Servio, Macrobio, Marziano Capella, Prisciano. Virgilio è il centro intorno a cui si raccoglie la meditazione grammaticale e filosofica di questi epigoni, che trasmetteranno al Medioevo la tradizione classica. Nel IV sec. Rufio Festo Avieno e il ricordato Ausonio rappresentano un certo risveglio del gusto poetico. La letteratura pagana cede ormai in originalità di ispirazione a quella cristiana. ║ Letteratura l. cristiana: la primitiva letteratura cristiana adotta il greco, che è la lingua più diffusa nel mondo ellenistico: in greco scrivono non solo gli autori dei libri neotestamentari, ma tutti i Padri subapostolici e i primi apologisti, da Giustino che, siropalestinese, scrive a Roma, a Ireneo vescovo di Lione, oriundo dell'Asia Minore, a lppolito, prete romano del II sec. La letteratura l. cristiana nasce solo verso la metà del II sec. con le prime versioni l. della Bibbia (la Latina vetus, in cui si è distinta l'Afra e l'Itala) e alcuni atti dei martiri (Acta martyrum Scillitanorum). L'Afra e gli Atti dei martiri scillitani trovano la loro origine nell'Africa romana, dove l'ellenizzazione era meno profonda; ed è precisamente questa provincia romana che darà alla Cristianità, dal II al VI sec., alcuni dei suoi più grandi scrittori: Minucio Felice, Arnobio, Lattanzio, Mario Vittorino, Ottato, Ticonio, Mario Mercatore, Virgilio di Tapso, Vittore di Vita, Fulgenzio di Ruspe, Draconzio, Vittore Tunnenense, Facondo di Erminiana, Primazio, Verecondo, Liberato e, soprattutto, Tertulliano, Cipriano, Agostino. Tertulliano, dopo aver scritto le prime sue opere in greco, si volse al l. che era la lingua dell'ambiente borghese e popolare al quale intendeva rivolgere la sua vastissima opera di polemista e di apologeta; l'Apologeticum fa di lui uno dei più efficaci scrittori ecclesiastici. Ben diverso nello stile è Minucio Felice, attento ai canoni dell'eleganza classica ciceroniana che fanno dell'Octavius uno dei capolavori della prosa l. cristiana. Cipriano, seguendo gli esempi della retorica classica, sfoggia uno stile grave, persuasivo, capace di esercitare quella sua larghissima influenza con la quale il mondo culturale ecclesiastico si salda fermamente alla tradizione della retorica classica. Questo congiungimento tra cultura classica e cultura cristiana giunge alla sua più matura e potente espressione in Agostino, che è il più grande scrittore della letteratura l. cristiana: di vastissima preparazione retorica, personalità sensibilissima capace di piegare la lingua l. ad esprimere le più intime esperienze umane e i più grandi misteri divini (le Confessioni, una delle più grandi autobiografie di tutti i tempi, il De Trinitate e il De civitate Dei). Agostino affermerà, con il De doctrina christiana, la necessità dello studio delle lettere antiche e il modo di utilizzarle al servizio dell'educazione cristiana. Parallelamente al rigoglioso sviluppo in Africa, in tutto l'Occidente la letteratura cristiana si arricchiva tra il III e il V sec. di scrittori illustri che cooperavano all'innesto del cristianesimo nel tronco della cultura ellenistico-romana. Tra essi: prosatori come Ilario di Poitiers, Fisico Materno, Filastrio di Brescia, Rufino di Aquileia, Leone Magno; poeti quali Ausonio, Prudenzio, Paolino di Nola, Sedulio e il misterioso Commodiano; ma fra tutte primeggiarono due figure magnanime di scrittori e controversisti, Ambrogio e Girolamo. Il primo, imbevuto di cultura classica, scrive sulla traccia del ciceroniano De officiis, il De officiis monachorum, e inserisce nelle sue omelie e nei suoi trattati esegetici intere pagine di chiara provenienza neoplatonica; il secondo, di vastissima erudizione, padrone perfetto del l. classico, rappresenta, nel suo dramma interiore tra l'esser ciceroniano e l'esser cristiano, il problema delle prime generazioni di scrittori cristiani. Redasse la versione l. della Bibbia. Fra il V e VI sec., con la definitiva decadenza dell'Impero Romano d'Occidente sotto la pressione e l'occupazione dei barbari, anche la letteratura cristiana sembra agonizzare: ma offre ancora due grandi personalità, Boezio e Cassiodoro, che si impegnano nell'estremo tentativo di salvare e trasmettere ai posteri il residuo patrimonio della cultura antica. Boezio, di cultura prevalentemente filosofica, avrebbe voluto tradurre e commentare tutto Platone e Aristotele: ma poté solo tradurre e commentare l'Isagoge di Porfirio e alcuni trattati dell'Organon di Aristotele, opere che, con il commento ai Topica di Cicerone offrirono al Medioevo, fino al XII sec., gli unici testi sui quali si fondò lo studio della logica; non meno larga fu l'influenza dei suoi scritti teologici e, soprattutto, del suo capolavoro, il De consolatione philosophiae. Cassiodoro, meno originale certo di Boezio, lo pareggia nel desiderio di salvare e legare alla cultura cristiana l'antica cultura pagana: dopo aver cercato d'istituire a Roma un Didaskalèion simile a quello alessandrino, fondò il monastero di Vivarium, ove raccolse il più gran numero possibile di scritti greci e l., sacri e profani; scrisse le Institutiones. Con l'opera di Boezio e Cassiodoro tramonta, con quella pagana, la letteratura l. cristiana. Il l. letterario, così come l'avevano costituito i grandi poeti e prosatori, sino a Cicerone e Virgilio, era una lingua a cui mal corrispondeva il l. parlato. Sulla soglia del Medioevo, vi fu un tentativo di fornirne una codificazione: Prisciano. Le sue Institutiones rimasero, insieme con le più antiche e anche più fortunate Artes di Donato, il fondamento della latinità medioevale. A conservare viva la lingua resterà la Chiesa, erede e conservatrice della cultura antica superstite al momento della definitiva scomparsa dell'organizzazione imperiale. In questo periodo spicca papa Gregorio Magno che fu scrittore di tempra, ed esercitò, soprattutto con i Moralia e i Dialoghi, una larghissima influenza sulla teologia e sull'agiografia medioevale. ║ Letteratura l. medioevale: dopo Gregorio Magno, nei VII e VIII sec., l'Italia non ha più nomi illustri, anche se famosi chiostri tennero ancor viva la cultura, non tanto attraverso le povere scholae, ma con gli scriptoria. Carlomagno, restauratore dell'Impero, volle e seppe attuare una restaurazione della cultura l. L'Italia, strappata ai Longobardi, gli offrì prima adatti maestri, Pietro da Pisa, grammatico, Paolino d'Aquileia, teologo e poeta, più tardi Paolo Diacono, storiografo ed esperto filologo, oltre che poeta. Alcuino organizzò e diresse la scuola palatina rendendola mirabile cenacolo di cultura. La crisi del Sacro Romano Impero dopo la morte di Carlomagno non arrestò il nuovo moto culturale: e se scarsi sono i poeti e gli storiografi, molti furono i polemisti e teologi (massimo fra tutti, Giovanni Scoto Eriugena). Il X sec. rappresentò una stasi nella storia della cultura europea; tuttavia ormai in Francia come in Germania erano accesi focolai di cultura, e in Italia le scuole erano restaurate per opera di Lotario II e Eugenio II. Solo nel sec. XI in Italia si nota un notevole sviluppo della cultura: dal lessico di Papia ai trattati musicali di Guido d'Arezzo, alle nuove scuole di retorica, fino a grandi teologi e scrittori come Pier Damiani, Lanfranco di Pavia, Anselmo d'Aosta. Più notevole la vita intellettuale fra la fine del IX e XI sec. in Germania e Francia. Il XII sec. presenta un mirabile allargarsi dell'orizzonte culturale, un più accentuato amore per i classici antichi, un nuovo ardore di ricerche speculative sia nel dominio teologico che in quello delle scienze naturali, in relazione anche agli intensificati rapporti con l'Oriente. All'interno di questo mondo culturale in sviluppo fiorisce la cultura letteraria: si allarga l'insegnamento della grammatica e della retorica con un più attento studio degli auctores. Uscirono le nuove artes dictandi che per ricercare norme fisse di bello scrivere, forme e cadenze poetiche, rischiavano, come effettivamente avvenne, di isterilire, con schemi astratti, la fiorente letteratura. Del resto, anche l'attenzione rivolta alle voci dell'antichità classica pesa spesso sulla letteratura l. del XII sec.; tuttavia essa seppe aprire nuove vie e dare opere originali alla storia della cultura: e ciò non solo nel campo della speculazione filosofica e teologica, dell'arte figurativa, del diritto, ma anche nel dominio più propriamente letterario. Le grandi scuole, che fiorirono nel XII sec. anche in Italia, seguirono prevalentemente indirizzi pratici: agli studi filosofici, letterari, scientifici, preferirono gli studi medici, giuridici, retorici. Salerno era già una famosa scuola di medicina; Bologna diveniva rapidamente la grande e dotta madre del diritto. Il XII sec. nel suo insieme rappresenta l'epoca che più di ogni altra nel Medioevo amò l'antichità classica onde si è potuto parlare da parte di molti storici di Rinascimento del XII sec. Il Duecento invece che per il progresso del pensiero teologico, scientifico e giuridico, appare diretta prosecuzione del secolo precedente, non gli sarà pari nel gusto letterario e nello studio dell'eloquentia. Nel XIII sec., via via che si diffondevano le traduzioni di Aristotele e dei suoi commentatori greci ed arabi, passavano in secondo piano gli studi letterari: nasceva così un tipo nuovo di cultura, che si esprime nello scarno l. scolastico e che trova il suo fondamento nello studio della filosofia aristotelica, via e preparazione alla teologia. La grammatica è via via assorbita dalla logica. Con la decadenza degli studi grammaticali e insieme di quelli letterari, con il trionfo della dialettica aristotelica anche gli scritti teologici si staccano definitivamente dal tipo patristico, per assumere quella nuova forma che trionfa nelle Summae e nei commenti alle Sententiae di Pietro Lombardo. Se questo è l'orientamento di molta parte della cultura del XIII sec. impegnata in un poderoso sforzo di iniziativa teologica che portò ad un nuovo stile l. non mancano tuttavia opere di notevole interesse letterario, particolarmente in un'Italia ormai in pieno sviluppo culturale: illustrata da maestri di scienze giuridiche, di retorica, di filosofia (Bonaventura di Bagnorea e Tommaso d'Aquino), di scienze. Ma l'Italia fiorì soprattutto per la ricca produzione letteraria l., mentre già rigogliosa si affermava la prima letteratura volgare. Assai notevole nel Duecento italiano è la poesia l. Tra i nomi più illustri Bonvesin de la Riva, Tommaso da Celano e Iacopone da Todi. Dalla scuola padovana uscì, sul finire del Duecento, e continuò ad operare nei primi decenni del Trecento, il precursore dell'Umanesimo, Albertino Mussato: insigne prosatore ma soprattutto poeta. Discepolo del Mussato fu il poeta Giovanni del Virgilio che cercò di indurre Dante alla poesia l. E Dante vi si provò; egli aveva già scritto in l. trattati in prosa e tra questi, il De vulgari eloquentia e la Monarchia possono chiudere la letteratura l. medievale. Contemporaneamente, infatti, le lingue volgari si erano dappertutto affermate come nuovo strumento d'espressione artistica. Il l. resterà ancora lingua dotta, sia presso gli umanisti sia soprattutto nelle università, nelle accademie, nella Chiesa, nelle relazioni diplomatiche. Enciclopedia termini lemmi con iniziale a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Storia Antica dizionario lemmi a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w y z Lemmi Storia Antica Lemmi Storia Moderna e Contemporanea Dizionario Egizio Dizionario di storia antica e medievale Prima Seconda Terza Parte Storia Antica e Medievale Storia Moderna e Contemporanea Dizionario di matematica iniziale: a b c d e f g i k l m n o p q r s t u v z Dizionario faunistico df1 df2 df3 df4 df5 df6 df7 df8 df9 Dizionario di botanica a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z |
Buon Giorno! ::::: Grazie per la visita! |
![]() |
Copyright (c) 2002 - 24 Mag. 2025 11:17:18 am trapaninfo.it home disclaim |
Ultima modifica : 08/28/2024 16:32:42