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adLeggiad   I primi regni nazionali e l'impero restaurato sotto i Sassoni.

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In questa pagina:

Il mondo conosciuto alla fine del secolo X

Cosa scrivono gli storici

I primi regni nazionali e l'impero restaurato sotto i Sassoni

Le prime nazionalità

Il regno di Francia e i primi Capetingi

La cavalleria

La consegna delle armi

Il regno di Germania

L'Italia e le sua debolezza

Ottone I il Grande (936-973) e il regno d'Italia

Il Sacro Romano Impero della nazione germanica

Direttive politiche di Ottone I

Privilegio ottoniano

Feudalità ecclesiastica

Decadenza della Chiesa

Politica di espansione verso l'Italia meridionale

Ottone II (973-983)

Ottone III (983-1002)

I Vichinghi

Storia cronologia dall'anno 0 al 2000

Il mondo conosciuto alla fine del secolo X.

Il mondo alla fine del X secolo

Mentre in Occidente si andava diffondendo il Feudalesimo, alla fine del X secolo nel Nord Europa le popolazioni scandinave, meglio note sotto il nome di Vichinghi già si spingevano verso Nord-Ovest all'occupazione dell'Islanda e delle coste meridionali della Groenlandia; a sua volta anche il mondo slavo cominciava ad uscire dall'isolamento. Tuttavia i più grandi imperi continuavano a gravitare sul Mediterraneo o ad aver sede nell'immenso territorio asiatico. Non va però dimenticato che pure il continente africano contava alcune organizzazioni statali: prima fra esse, nella zona centro-orientale, l'impero cristiano d'Etiopia.

I Sassoni

Gli imperatori della Casa di Sassonia.

Cosa scrivono gli storici.

I primi regni nazionali e l'impero restaurato sotto i Sassoni.

L'investitura del futuro cavaliere.

Il Signore si china e aggancia lo sprone al piede destro dell'aspirante cavaliere. Prende poi la spada, gliela cinge e gli dà l'abbraccio.

«Consegnandovi la spada», gli dice, «vi accolgo nell'ordine della cavalleria che non tollera nessuna bassezza. Fratello, ricordatevene: quando dovrete combattere e, se il vostro avversario è vinto da voi e vi chiede la grazia, ascoltatelo, ve ne prego, e non uccidetelo deliberatamente. Guardatevi dal parlar troppo: a colui che non sa trattenere la lingua spesso sfuggono parole, che possono essere considerate villanie. Questo dicono i saggi: troppe parole, peccato sicuro; rifuggite dunque da questo peccato. Ed ancora un'altra preghiera. Se vi capita di trovare in pericolo, per mancanza di aiuto, sia un uomo che una donna, sia una dama che una damigella, aiutateli, se ne avete il modo: farete una cosa buona. Ed infine una raccomandazione: andate volentieri in Chiesa a pregare il Creatore di tutte le cose che abbia pietà dell'anima vostra e vi protegga nel secolo come suo fedele cristiano». Chrétien de Troyes.

Compiti di un ordine cavalleresco.

Viene creata una nuova milizia di cavalieri, il cui compito sia: di difendere in guerra la religione, esercitare la carità in pace, devastare le terre dei Mori con continue incursioni e portare sull'abito il segno della religione.

In guerra (i cavalieri) abbiano corazza, spada e lancia, secondo la robustezza di ciascuno; non portino però nulla che sia ornato d'oro, tranne la spada e gli sproni. In tempo di pace si alzino per la preghiera, sentano messa e digiunino ogni venerdì; se mangiano insieme, osservino il silenzio; accolgano i pellegrini, onorino gli anziani e considerino il gran maestro della milizia come padre e duce; in tutte le cose osservino la regola del santo padre Benedetto. Di quel che acquistano in guerra ne diano parte ai poveri, alle vedove e alle chiese e, se faranno prigionieri dei Mori, facciano in modo di condurli alla fede mediante santi ammonimenti. Se prenderanno un castello o una città, ne avvisino il re e dispongano tutto secondo i suoi ordini; siano infine soggetti all'autorità non solo dei buoni, ma anche dei malvagi. Dai Monumenta Germaniae Historica.

Fondazione dell'ordine cavalleresco della Stella

Investitura di un vescovo-conte.

Noi, Ottone imperatore Augusto, concediamo a Uberto, vescovo della chiesa di Parma, tutto il territorio della città e diocesi, con il potere di deliberare, giudicare e punire i suoi abitanti, come se fosse un conte del nostro palazzo; inoltre gli affidiamo ogni pubblica funzione sia all'interno del centro abitato che fuori entro tre miglia e gli assegniamo le strade regie, i corsi d'acqua, le terre coltivate e incolte comprese entro detti limiti e tutto ciò che appartiene allo Stato. In conseguenza di ciò trasferiamo i nostri diritti e poteri in diretto suo dominio, in modo che nessun marchese, conte, visconte e qualsiasi persona grande o piccola del nostro regno abbia ad occuparsi di quei beni e di quelle famiglie. Pertanto il vescovo di Parma potrà e dovrà definire, deliberare e decidere ogni cosa. Dai Diplomata Regum et Imperatorum.

Consenso imperiale per eleggere un papa.

Nel nome del Signore Iddio onnipotente, Padre e Figliolo e Spirito Santo. lo, Ottone, per grazia di Dio augusto imperatore, dichiaro che tutto il clero e tutta la nobiltà del popolo romano si obbligano con giuramento a fare in modo che la futura elezione dei pontefici non avvenga e non sia consacrata da alcuno, se prima non ottenga il consenso nostro, alla presenza dei nostri ambasciatori o di nostro figlio.

Questo fu stabilito nell'anno dell'incarnazione del Signore 962, nel tredicesimo giorno di febbraio, correndo l'anno XXVII dell'impero dell'invitto imperatore Ottone. Dai Monumenta Germaniae Historica.

Usi e costumi della cavalleria.

Gli usi e i costumi cavallereschi sono assai curiosi e interessanti. Un cavaliere si educava press'a poco così. Bambino e giovanetto, veniva addestrato nella scherma e nell'equitazione. A circa 12 anni era inviato alla corte di un gran principe o di un re, ove, dopo qualche tempo, il giovane (o «donzello» da donnicello = signorino; o «valletto» da vassalletto = piccolo vassallo) poteva venire incaricato delle speciali funzioni proprie dello scudiere. Ma non era necessario essere stati scudieri per essere fatti cavalieri. Fra i 15 ed i 20 anni si veniva armati cavalieri. In generale si coglieva l'occasione di qualche grande solennità ecclesiastica; ma si potevano armar cavalieri in ogni tempo, specialmente sul campo di battaglia, dopo qualche atto di prodezza, o si armavano prima, perché si esponessero tosto ai maggiori rischi e si facessero onore. Era principio fondamentale che ogni cavaliere avesse diritto di creare nuovi cavalieri, anche con la forma semplicissima di consegnarli una spada, esortandolo ad essere «prode».

Col tempo però si introdussero cerimonie lunghe e complicate e la Chiesa fece assumere alla ordinazione l'aspetto di una festa sacra, a cui, perciò, il cavaliere si preparava vegliando e pregando. Il momento cruciale dell'ordinazione consisteva nella consegna delle armi all'aspirante cavaliere da parte di un anziano, che gli tiene il posto di padrino, e nella prova fornita subito dopo dal neo-promosso delle sue attitudini militari. Di solito il padrino, dopo aver aiutato il giovane a cingere la spada, gli dava una piattonata simbolica sul collo (collata): atto del tutto simbolico, che trasferiva al giovane le qualità e le virtù militari dell'anziano. Poi si faceva un finto combattimento: l'eroe della festa saltava sul suo cavallo, lo spronava al galoppo e si slanciava, lancia in resta, contro un fantoccio armato da cavaliere (la quintana), di cui doveva perforare lo scudo. Questa prova, in mancanza di quella del campo di battaglia, permetteva agli intenditori che assistevano di giudicare dei talenti del neo-cavaliere, della sua abilità e del suo vigore.

Chiunque, in teoria, poteva essere fatto cavaliere, anche un borghese o un villano, ma doveva aver l'«onore», non essere infermo e non esercitare certe professioni. Naturalmente si consacravano d'ordinario e di preferenza i figli delle famiglie nobili.

Fra i doveri del cavaliere era il rispetto verso la donna e la sua difesa, poiché la donna era un essere debole, anzi il più delicato fra i deboli. Questa devozione verso la donna prese particolare vigore fra i sentimenti dei cavalieri, i quali amarono farsi devoti ad una donna determinata, giurarle «fede» e a lei dedicare le loro nobili azioni. Tale devozione fu una delle maggiori fonti della poesia medioevale; ma non si deve considerare come parte essenziale della cavalleria, se non in tempi tardi. F. Comani - L. Halphen.

Il torneo dei cavalieri

La politica degli Ottoni e la "chiesa imperiale".

Conferendo le nomine ai vescovi, Ottone I non fece che seguire una prassi diffusa fin dal tempo dei Carolingi, i quali avevano sempre disposto a loro arbitrio delle sedi vescovili. Tuttavia il passo decisivo fu quello di trasmettere ai vescovi i diritti e le funzioni dei conti, dapprima solo nell'ambito della loro residenza, ma ben presto anche per i territori circonvicini. Era un modo di garantirsi contro la strapotenza dei potentati laici (duchi, conti, grandi proprietari terrieri) e di creare un ceto sociale, i cui interessi coincidessero con quelli della Corona, che mirava ad abbassare la potenza dei grandi feudatari a vantaggio del potere centrale. Rare furono le obbiezioni di carattere religioso da parte dei vescovi investiti di così alte funzioni secolari, anche perché Ottone si mostrò sollecito nei riguardi di una riforma morale della Chiesa e conferì poteri comitali a persone degne. Si venne così costituendo una gerarchia ecclesiastica di stretta osservanza regia, che può ben essere definita «Chiesa imperiale». E per l'appunto il sistema della «Chiesa imperiale» ottoniana finì per garantire come in nessun altro Stato e in nessun altro momento della storia dell'alto Medioevo la sovranità del monarca. J. Dhondt.

Miniatura di cavalieri che assaltano una città

I PRIMI REGNI NAZIONALI E L'IMPERO RESTAURATO SOTTO I SASSONI.

Un altro positivo elemento di quel tormentato periodo, nel quale sembrarono regnare quasi indisturbati la prepotenza, il sopruso e l'anarchia, va Cercato nella formazione delle prime naziónalità, che nel corso dei secoli X e XI sulla base di una certa comunanza di tradizioni, di sentimenti e di interessi dovevano concretarsi in forme statali, anche se ancora malferme e instabili a causa dell'aperta e aspra opposizione all'autorità regia, già limitata dal punto di vista territoriale, da parte dei più forti signori feudali.

Le prime nazionalità.

Mentre nel Nord-Europa si costituivano i tre Stati scandinavi di Norvegia, Svezia e Danimarca, e verso Oriente quelli slavi di Croazia, Boemia, Serhia e Polonia, nonché quelli di Bulgaria e di Ungheria, nelle isole britanniche, meta di numerosissime invasioni, si vennero creando sin dal secolo IX i primi nuclei dei regni di Inghilterra e di Scozia. Il territorio della penisola iberica rimase invece diviso tra gli Arabi a Sud e i regni feudali cristiani a Nord: divisione, questa, destinata a rimanere tale sino alla fine del 1400 e cioè sino alla definitiva cacciata degli Arabi e alla formazione dei due nuovi regni di Spagna e di Portogallo.

Il regno di Francia e i primi Capetingi.

Quanto poi ai tre regni di Francia, d'Italia e di Germania, costituitisi nell'887 con la deposizione di Carlo il Grosso, sarà sufficiente ricordare che rimasero anch'essi in preda alla più profonda anarchia e che soltanto in quello di Francia uno dei feudatari maggiori, Ugo Capeto, fondatore della dinastia capetingia, riuscì ad affermare nel 987 il proprio incontrastato dominio e a trasformare la nomina del monarca da elettiva in ereditaria. Si venne così, iniziando quel processo di unificazione territoriale, che doveva attuarsi in forma completa e definitiva solo dopo secoli di lotta contro i grandi feudatari.

Il Cavaliere

La cavalleria.

Ed è per l'appunto in Francia e in questo periodo che ebbe a svilupparsi in modo del tutto particolare la cavalleria, una caratteristica istituzione propria dell'età feudale, quantunque avesse tradizioni molto antiche di origine germanica. In Francia, infatti, a differenza di quanto avveniva altrove, era pienamente applicato l'istituto del maggiorasco, in base al quale presso le famiglie nobili venivano esclusi dal godimento della eredità paterna tutti i figli maschi non primogeniti (cadetti), spettando il feudo nella sua indivisibilità al primo nato. Pertanto ai cadetti, restii ad accettare la carriera ecclesiastica, non era data altra scelta se non quella di offrire i propri servigi a qualche signore o di vagare in cerca di stravaganti avventure.

La maggior parte di questi nobili senza feudo finì per prestare servizio militare a cavallo negli eserciti feudali, la cui efficienza era spesso in funzione del loro valore personale e della loro combattività, stimolata soltanto dal desiderio di guadagnare onorificenze e «benefici» e con essi la possibilità di essere accolti nella gerarchia feudale. Stando così le cose, era inevitabile che nell'esercizio delle armi, fondato sul predominio della forza e non sul diritto, essi acquistassero tali abitudini di violenza da divenire pericolosi, specie quando, riuniti in gruppi organizzati, si abbandonavano al ricatto, al saccheggio e al brigantaggio.

Contro un simile comportamento intervenne però la Chiesa. Essa infatti diffuse il principio che la forza doveva essere messa al servizio della giustizia, dei deboli e della fede: a suo avviso, proprio perché erano guerrieri forti e coraggiosi, i cavalieri formavano una grande comunità di combattenti, che dovevano sottostare a severe regole di condotta morale e non soltanto militare, destinate a porre un freno al dilagare della guerriglia e della ferocia dei feudatari (ricorda la cosiddetta «tregua di Dio» o forzata sospensione delle armi nei giorni festivi) e a liberare nello stesso tempo la società in generale e la cavalleria in particolare dall'estrema rozzezza di costumi e di sentimenti, che sino allora le aveva caratterizzate.

La consegna delle armi.

Per diffondere ed imporre un simile convincimento, la Chiesa si avvalse della cerimonia della consegna delle armi ai nuovi cavalieri effettuata dopo un breve tirocinio nei castelli. A tale cerimonia assegnò infatti il carattere di un rito religioso, che comprendeva un bagno di purificazione, preghiere, digiuno, confessione, messa, comunione, e culminava nel giuramento di non fare uso delle armi se non in difesa della legge evangelica e cristiana, di non mancare alla parola data, di lottare contro ogni forma di slealtà, di prepotenza e di sopruso e di imporsi nello stesso tempo il pieno apprendimento delle «costumanze cortesi» e la partecipazione generosa a spettacoli di forza e di destrezza quali erano giostre e tornei.

In tal modo la cavalleria divenne una istituzione legata alla Chiesa e destinata non solo ad esercitare una importantissima funzione nella lotta contro gli infedeli, ma soprattutto a lasciare un segno profondo nella civiltà dell'Occidente.

Il regno di Germania.

Se la Francia già sul finire del x secolo era riuscita ad avviare in qualche modo un proprio processo di unificazione territoriale, gli altri due regni, quelli cioè di Germania e d'Italia, mantennero invece più a lungo un carattere feudale. In particolare quello di Germania, esteso fra l'Elba e il Reno, si presentava caratterizzato da cinque potenti casate feudali in lotta costante fra loro per ottenere la corona regia e più precisamente i ducati di Sassonia, Franconia, Svevia, Baviera e Lorena, tra i quali all'inizio del x secolo finì per prevalere il primo nella persona del re Enrico i di Sassonia, detto l' Uccellatore (918-936), che tra l'altro ebbe il merito di bloccare le continue irruzioni degli Slavi e degli Ungheresi, riuscendo in tal modo a dimostrarel'importanza di un efficiente potere centrale al fine di una valida e costruttiva difesa del territorio germanico. Di qui da parte dei duchi tedeschi l'accettazione di Ottone i, figlio di Enrico, che nel 936 poco prima di morire lo aveva indicatto come il più idoneo a succedergli al trono.

L'Italia e le sua debolezza.

In ben più difficile situazione versava invece l'Italia. Nei territori centrosettentrionali, ove agli antichi ducati creati dai Longobardi si erano aggiunte contee e marchesati di origine carolingia, la violenza e la prepotenza avevano infatti assunto di nuovo valore di legge. Di qui uno stato di crescente disordine, al quale non erano estranei neppure i più potenti signori d'Oltralpe, sempre pronti ad intervenire nella penisola nella speranza di compiere nuove conquiste.

Né certamente migliori apparivano le condizioni delle regioni meridionali, dilaniate come erano dalle incessanti lotte fra i Bizantini, che occupavano la Puglia e la Calabria, gli Arabi, che si erano insediati sul Garigliano, e i principi di Benevento e di Salerno, che si dimostravano sempre più gelosi della loro indipendenza.

In Roma il papato, che aveva perso con i Carolingi i suoi autorevoli protettori e con essi anche una certa floridezza e autorità, era a sua volta dilaniato da continui sanguinosi contrasti fra le più nobili famiglie, che, divise in fazioni, eleggevano o detronizzavano a loro piacimento i papi, quando addirittura non li facevano cadere vittime del loro odio e della loro inestinguibile sete di cariche e di ricchezze.

Ottone I il Grande (936-973) e il regno d'Italia.

In mezzo a tanta confusione fu cosa relativamente facile per il tenace Ottone I di Sassonia ottenere anche la corona del «regno d'Italia».

Con tale denominazione venivano allora indicate soltanto le regioni dell'Italia settentrionale e centrale passate dal predominio longobardo a quello franco e affidate nell'888 con la deposizione dell'ultimo dei Carolingi, Carlo il Grosso, a Berengario I, marchese del Friuli, eletto dai feudatari in quanto vantava legami di parentela con la dinastia deposta.

È inutile dire che egli non ebbe mai una effettiva autorità soprattutto a causa dell'incurabile anarchia in mezzo alla quale si trovò a governare e che provocò una lunga serie di lotte fra diversi rivali, rese ancor più complicate dalle continue e crescenti ingerenze straniere. Di qui il rapido passaggio della corona da un capo all'altro, finché riuscì a farsi proclamare re Berengario II, marchese di Ivrea, dopo aver ucciso però col veleno il suo predecessore Lotario. Fu allora che la giovanissima moglie di quest'ultimo, Adelaide, sfuggita alla prigionia con un'avventurosa fuga e fermamente decisa a vendicarsi, si affrettò a raggiungere in Germania Ottone I, ottenendone formale promessa di aiuto.

Ottone infatti, già da tempo desideroso di ingerirsi nelle questioni italiane, aveva subito avvertito che quella era l'occasione favorevole per realizzare il suo disegno di egemonia sulla penisola. Perciò, fingendo di voler soccorrere la coraggiosa Adelaide al solo scopo di dare una base di maggiore legittimità ai suoi piani, portò facilmente a termine ben due spedizioni al di qua delle Alpi: nel corso della prima cinse a Pavia la corona reale (951), trasformando l'Italia in feudo germanico e facendo così svanire per essa ogni speranza d'indipendenza; undici anni dopo, nel corso della seconda, ottenne invece di essere consacrato imperatore dal pontefice Giovanni XII, al quale riconfermò le concessioni già fatte da Pipino e da Carlo Magno (962).

Il Sacro Romano Impero della nazione germanica.

Risorgeva così in veste germanica il Sacro Romano Impero, la cui costituzione si presentava però molto diversa rispetto a quella carolingia:

1. dal punto di vista territoriale, in quanto escludeva la Francia e comprendeva soltanto la Germania e due terzi dell'Italia;

2. dal punto di vista politico, in quanto i feudatari continuavano a mostrarsi sempre più insofferenti di ogni controllo da parte del potere centrale, indebolito anche dal fatto che la monarchia ottoniana era elettiva e non ereditaria.

Un organismo politico-territoriale, dunque, per molti aspetti nuovo, intorno al quale però era destinata a ruotare tutta la storia del Medioevo.

Per quanto più in particolare concerne il regno italico va precisato che esso ebbe tre fondamentali cause di debolezza: anzitutto la ristretta estensione della sua competenza territoriale, limitata all'Italia settentrionale e a parte della centrale; in secondo luogo l'insufficiente autorità del sovrano, costantemente minacciata dalla potenza dei signori feudali, ognuno dei quali costituiva un pericolo per lui; infine l'esistenza di un potere temporale della Chiesa, la quale, per ovvie ragioni di sicurezza, come non aveva perso occasione per impedire ai Longobardi l'unificazione della penisola, così allora si adoperava in tutti i modi per evitare un rafforzamento del regno italico persino spianando la via all'ingerenza straniera.

Direttive politiche di Ottone I.

Riunendo sul suo capo le corone di Germania e d'Italia, Ottone I, senza dubbio uno dei più importanti personaggi che la storia medioevale ricordi, aspirava anche a risollevare il prestigio e la potenza dell'autorità dell'impero, seguendo tre diverse direttive e precisamente:

1. la proclamazione della assoluta superiorità dell'autorità imperiale su ogni altra terrena potestà, non esclusa quella papale;

2. la concessione dell'investitura di nuovi feudi non più a laici, ma ad ecclesiastici;

3. il completamento dei suoi domini mediante l'espansione verso l'Italia meridionale.

Privilegio ottoniano.

Egli infatti, agevolato dalla particolare situazione di disordine morale e materiale in cui si trovava il papato e in cambio del riconoscimento delle donazioni fatte da Pipino e da Carlo Magno, poté anzitutto stabilire, sulla base di un atteggiamento chiaramente cesaropapistico, un preciso controllo sulla Chiesa romana e intervenire con il proprio decisivo assenso nella nomina del pontefice in virtù di una proclamata superiorità dell'imperatore sul papa (privilegio ottoniano).

Feudalità ecclesiastica.

Per rendere poi la sua autorità veramente effettiva contro gli istinti anarchici della grande nobiltà laica, valorizzò la feudalità ecclesiastica molto potente e diffusa in Germania, confermando e accrescendo le immunità dei vescovi e degli abati. In tal modo egli poté contrapporre ai potenti feudatari laici, che si trasmettevano di padre in figlio il governo di estesissimi territori, altri feudatari che nella loro qualità di sacerdoti erano tenuti al rispetto delle leggi canoniche e quindi al celibato: di qui l'importantissima conseguenza della non ereditarietà del feudo, che alla morte del vescovo-conte, mancando egli di eredi legittimi, rientrava a far parte del patrimonio della corona. Fu appunto così che il sovrano, nel mirare all'accentramento del potere nelle proprie mani, cercò di ovviare ai gravi inconvenienti creati dalla legge sulla ereditarietà dei feudi, emanata nell'877 dal debole Carlo il Calvo (Capitolare di Kiersy).

Decadenza della Chiesa.

Naturalmente tale iniziativa, se da un lato contribuì a rafforzare la struttura dell'impero e ad accrescere l'importanza della città, sede del vescovo, dall'altro provocò un rapido decadimento morale e spirituale della Chiesa, i cui alti prelati, tútti presi da preoccupazioni politiche e mondane, andarono sempre più allontanandosi dal mandato morale e religioso loro affidato. Inoltre l'istituzione dei vescovi-conti comportò l'inevitabile intrusione dell'imperatore nella vita della Chiesa e determinò il pericolo di un suo assoggettamento all'impero: infatti da Ottone I in poi i sovrani giunsero persino ad attribuire, oltre all'investitura laica con lo scettro, anche quella ecclesiastica con il pastorale. Di qui ad una sempre più pesante ingerenza nella elezione dello stesso pontefice il passo fu breve: né si dimentichi che proprio l'energica reazione da parte della Chiesa a questo stato di cose fu causa determinante della «lotta delle investiture».

Politica di espansione verso l'Italia meridionale.

Allo scopo di estendere la propria attività a tutta la penisola, nel 967 Ottone I mosse da Roma verso Sud, riuscendo ad imporre l'omaggio feudale ai duchi di Benevento e di Capua. Indi, spintosi in Puglia e in Calabria, costrinse l'imperatore d'Oriente a riconoscergli il titolo imperiale e a consentire al matrimonio fra una principessa bizantina e il figlio Ottone.

Rientrando in Germania, ricco di un prestigio che nessun sovrano aveva goduto dopo Carlo Magno, il 7 maggio del 973 veniva a morte all'apogeo della potenza e della gloria.

Ottone II (973-983).

Il figlio Ottone II raccolse a soli 18 anni una brillante eredità.

Fermamente deciso a continuare la politica paterna, il giovane principe, dopo avere represso alcuni complotti e consolidato il suo prestigio in Germania e l'influenza tedesca in Roma, riprese il progetto paterno di acquisti territoriali nell'Italia meridionale, scatenando nel 982 contro Bizantini Musulmani e duchi longobardi (Benevento), insieme coalizzati, un'aspra guerra, conclusasi però con la sua completa sconfitta a Stilo presso Crotone (Calabria). Pochi mesi dopo, a soli 28 anni, Ottone II moriva, proprio mentre si accingeva a vendicare lo smacco subìto.

Ottone III (983-1002).

Il successore Ottone III, che alla morte del padre aveva solo quattro anni, appena divenuto maggiorenne seguì le direttive dell'avo nei riguardi dell'Italia, del papato e della grande feudalità, perseguendo fra l'altro con l'entusiasmo dei suoi verdi anni il disegno di fare di Roma il centro dell'impero: iniziativa, questa, che, pur essendo frutto della particolare educazione da lui ricevuta e tutta ispirata a ricordi classici e cristiani, sta a dimostrare quanto vivo fosse ancora nelle menti medioevali il fascino della storia e della tradizione classica. Naturalmente tale sogno di restaurazione dell'antico impero e della funzione universale di Roma («Renovatio Imperii»), pur apparendo fragile e inconsistente privo come era di ogni effettivo contenuto politico e di ogni aderenza alla realtà e come tale destinato a sopravvivere soltanto come concetto astratto, come un puro e vuoto simbolo, doveva determinare la inevitabile reazione della Germania, che temeva di trovarsi degradata a paese di secondaria importanza: ecco perché la morte prematura del giovanissimo Ottone e l'assunzione al trono del cugino Enrico II (1002-1024) vennero accolte dall'elemento nazionale germanico con un respiro di profondo sollievo, anche perché il neoeletto non aveva fatto mistero di volere affermare la superiorità del regno di Germania nei riguardi di tutti gli altri Stati europei.

Enrico, comunque, pur rinunciando apertamente all'illusorio sogno del suo predecessore, continuò ad ispirarsi alle linee principali della politica ottoniana e quindi ad appoggiare la feudalità ecclesiastica e a rintuzzare ogni tentativo di rivendicazione «indipendentistica» della feudalità laica. Ed è in questo contesto che vanno inseriti i suoi reiterati interventi in Italia contro i grandi feudatari laici, che, amareggiati per l'appoggio dato alle feudalità ecclesiastiche dalla dinastia sassone, si erano ribellati e avevano eletto re nel 1002, prima ancora che Enrico fosse eletto in Germania Arduino (1002-1014), marchese d'Ivrea, già noto per i suoi aperti contrasti con diversi vescovi del Piemonte. Lo scontro dopo alterne vicende si risolse con l'insuccesso di Arduino, che, dopo tredici anni di lotte e di vani tentativi di resistenza, abbandonato dagli stessi suoi sostenitori, si vide costretto a rinunziare alla vita mondana e a chiudersi in un convento di Benedettini a Fruttuaria nel Canavese (Piemonte), ove dopo appena un anno morì (1015).

Da allora il regno di Italia fu definitivamente legato al regno di Germania.

Nel corso del nostro Risorgimento Arduino venne inteso come un campione della nazionalità e dell'anticlericalismo, nonché come un precursore dei re che combatterono per l'indipendenza italiana contro l'oppressione straniera. A tal riguardo si deve però osservare:

1. che il tentativo di Arduino non può essere inteso che come un semplice episodio della lotta fra feudatari laici ed ecclesiastici;

2. che agli Italiani dell'età feudale mancò quel sentimento unitario nazionale che doveva sorgere soltanto dopo molti secoli di oppressione straniera e manifestarsi in tutta la sua pienezza nella seconda metà dell'Ottocento;

3. che la letteratura patriottica risorgimentale, dando un esasperato rilievo alla parte avuta dalla feudalità ecclesiastica nel rendere vano il tentativo dell'ex marchese d'Ivrea e della feudalità laica da lui rappresentata, non aveva fatto altro che idealizzare re Arduino per ragioni di pura propaganda al di là e al di fuori di qualsiasi fondamento storico.

Né, d'altra parte, si dimentichi che la politica di espansione verso Sud della dinastia Sassone e in particolare la sua costante ingerenza nelle "cose" della penisola, considerata un paese vassallo della Germania, oltre a costituire il germe di una perenne discordia fra le due nazioni, ritardava l'unificazione della stessa Germania: essa infatti, distratta dal miraggio italiano, disperdeva gran parte di quelle energie che le sarebbero state invece assolutamente indispensabili per un lungimirante piano di consolidamento interno e per la conseguente costituzione di uno Stato moderno.

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