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MUSICA E FOLCLORE

Cina: per gli antichi Cinesi la musica aveva delle possibilità sovrumane (secondo Confucio, l'arte del suono avrebbe potuto spingere l'uomo verso pericolose avventure metafisiche). I filosofi cinesi trovarono relazioni segrete fra le leggi universali e la musica; perciò i cinque suoni della scala originaria furono considerati come manifestazioni degli elementi primari: terra, metallo, legno, acqua e fuoco. La scala originaria cinese si basava su cinque suoni intervallati, l'uno dall'altro, di una quinta: fa, do, sol, re, la (che formavano la scala ascendente: fa, sol, la, do, re). Il fa era detto kung (imperatore); il do si chiamava she (energico); il sol era shang (ministro); il re era lo yu (lo splendente, forse perché il più acuto) e il la aveva nome kio (dolce). Ogni nota aveva una propria funzione, legata ad aspetti diversi della vita; così il do era adatto alle cerimonie sacrificali, il re era vicino agli antenati e anche alla primavera, il la riguardava la luna o l'imperatrice, e così via. L'arte dei suoni influenzava anche la vita politica dell'Impero (come insegnava lo stesso Confucio). Probabilmente la nascita della musica cinese avvenne intorno al 3000 a.C., epoca alla quale vengono attribuiti i primi strumenti musicali. Prima dell'avvento della Dinastia degli Han, comunque, e cioè prima del 206 a.C., in Cina esistevano già i cordofoni kin e seh (ambedue salterii) e l'organo a bocca noto come sheng, tutti usati per accompagnare il canto e formanti una "grande orchestra di corte". Un altro tipo di orchestra era costituito da strumenti a percussione, campane, piatti, tamburi e veniva usato a scopi militari o per riti magici. Puccini, nella sua Turandot, fece uso del tema di un Inno per il sacrificio degli antenati imperiali, tramandato a noi dal principe Tze-yu (XVI sec.); ma lo si fa risalire a un'epoca anteriore all'avvento degli Han. Sotto questa dinastia (202 a.C. - 220 d.C.), i complessi orchestrali furono ampliati per accompagnare le sacre rappresentazioni e, successivamente, i drammi teatrali. Maggior sviluppo ebbe la musica orchestrale con la Dinastia T'ang (618-906 d.C.), anche per gli apporti avuti da altre aree culturali quali l'India, la Mongolia, il Tibet, ecc. I primi esempi di musica stampata risalgono alle Dinastie Sung del Nord e del Sud (960-1279); in questa epoca la musica classica cinese raggiunse le sue più alte vette. In questo periodo, oltre alla scala pentafonica, i musicisti si servirono anche di una scala eptafonica, soprattutto per certe melodie popolari. Sotto la Dinastia degli Yuan (1278-1368), nacque l'opera cinese del Teatro del Nord che comprendeva canti armonizzati, musiche strumentali, danze ed esibizioni acrobatiche a tempo di musica. La scala eptafonica regnò sovrana anche per l'inserimento in essa di intervalli di semitono. La scala pentafonica, invece, si mantenne integra nel Teatro del Sud, con l'impiego del flauto traverso come strumento per eccellenza. Il Kin, una specie di salterio, conobbe la sua epoca d'oro durante la Dinastia dei Ming (1368-1644), quando fu molto di moda il virtuosismo su tale strumento. Sotto la Dinastia dei Ch'ing, che regnò fino al 1911, nulla di nuovo caratterizzò la musica cinese, salvo il linguaggio musicale detto del circolo delle quinte (successione di intervalli di quinta).

La musica di carattere folcloristico, in Cina, è impostata su forme responsoriali, ovvero sul canto di un solista cui risponde il coro. È notevole il fatto che esista una certa affinità stilistica fra gli antichi canti popolari cinesi e la musica sacra buddhista. Molta parte della tradizione popolare sinica è contenuta negli spettacoli del teatro classico, sia per gli accessori che ne fanno parte, sia per il trucco che ha precisi significati, sia ancora per il balletto che esprime fatti appartenenti alla più pura tradizione popolare cinese.

A. Centrale: in Mongolia esiste tuttora il cantastorie girovago che diffonde i canti epici raccolti nella Storia segreta dei Mongoli (1240 circa). La musica che lo accompagna è fornita dall'ohotraka (liuto ad arco) e dal bihur (flauto di terracotta o di bambù), e si basa su ritmi liberi o tutt'al più con andamento binario: molto in uso la sincope. Nelle danze popolari hanno grande parte i tamburi, mentre nelle cerimonie buddhiste non mancano mai le lunghe trombe del tipo tibetano. Molto in voga, nella musica popolare, il tremolo glissato per gli strumenti e l'oscillazione delle note nel canto. Si percepiscono, di conseguenza, molte dissonanze che non appaiono, invece, nella musica cinese. Presso i Kazachi la danza ha inconfondibile carattere erotico. I Mongoli attribuiscono grande importanza al tamburo e per costruirne la cassa si servono esclusivamente del legno fornito dall'albero del mondo (tronchi colpiti dal fulmine, o indicati dallo sciamano in stato di trance). Presso i Calmucchi lo strumento base è la balalaika arcaica, dalla quale sicuramente deriva quella russa, la dom 'ra; queste genti usano anche una tromba di legno simile all'alpenhorn. Nel Turkestan i cantori di musiche popolari, per ottenere il vibrato, sogliono picchiare il loro pomo di Adamo mentre emettono le note, abitudine comune agli antichi popoli dell'Assiria. Caratteristiche sono certe musiche popolari del Shing-Kiang basate spesso sulla scala eptafonica, ma ancora poco note agli studiosi.

Corea: anticamente in questo Paese si usavano vari strumenti come lo y'ack (flauto traverso), il koan (flauto doppio), lo haing-pipa (una specie di strana chitarra), oltre al kum (un salterio di cui si fabbricavano alcune varianti); l'esistenza di questi strumenti è comprovata dalla loro figurazione nei famosi affreschi di Pyongyang (X sec.). Essi esistono tuttora, sia pure lievemente modificati. I Coreani, a differenza dei Cinesi, fecero uso dei ritmi ternari, di tremoli, di glissandi e di altri abbellimenti. La loro musica subì certamente l'influsso di quella cinese e di quella giapponese, ma è certo che essa diede un sensibile apporto a quella dei due Paesi vicini. Tipiche le pantomime esoteriche che fanno parte del folklore locale.

Giappone: dopo la vittoria ottenuta dall'imperatrice giapponese Jingo sui Coreani, intorno alla metà del III sec. d.C., fra i tributi pagati dai principi della Corea vi furono anche quelli musicali. È da quel momento, dunque, che ebbe inizio la storia della musica giapponese. Più tardi, musici cinesi e coreani vennero accolti presso la corte del Sol Levante. Fu l'imperatore Mommu, nel 724, a istituire il ga-gakuryo, ovvero la prima scuola di musica cinese in Giappone. Già prima dell'anno 1000 d.C. i Giapponesi disponevano di vari strumenti, quasi tutti di derivazione continentale, e tra questi ricordiamo: la biwa, il flauto shakuhaci, una specie di oboe detto hichiriki, l'organo a bocca sho, oltre a vari tipi di tamburo, di flauto, di gong, e ad alcuni tam-tam. Prima di possedere tale patrimonio di strumenti, i Giapponesi basavano la loro musica sui canti o-uta o sui canti tatsi-uta, dai quali poi derivarono gli spettacoli bugaku e kagura, ancor oggi rappresentati nelle grandi solennità. Musiche popolari e danze folcloristiche ebbero un periodo felice subito dopo l'anno mille con i canti dei vassalli (saibara), gli adzuma-maki, il ballo delle scimmie (detto sarugaku) e la danza dei raccoglitori di riso, la ta-mahi. Nuovi strumenti arricchirono il patrimonio nazionale: il tamburo kakko, il gong detto skoko e il soono-koto, sicuramente derivato dallo tcheng cinese a 13 corde. Famosi musicisti furono i Minamoto e i Fujiwara; grandi mecenati si dimostrarono, per la musica, molti nobili del tempo. Moltissimi artisti ciechi suonavano la biwa e, appoggiati dai Bonzi, costituirono una potente organizzazione sindacale di suonatori (biwa-bozu). Alla fine del XIII sec. diventò di moda un genere nuovo: il nogaku, spettacolo musicale di finissimo gusto, rappresentato da tre personaggi più un coro e l'orchestra. È il cosiddetto Teatro del no, in cui la prosa si alterna alla poesia e l'orchestra è composta soltanto da un flauto e due tamburi; lo spettacolo è di intonazione molto triste e pessimistica. Dopo il XVII sec. si ebbe in Giappone una grande fioritura di musica popolare imperniata su nuovi modi e su nuovi tipi di scale (rosen e inrosen). Nella musica colta si affermarono i modi kumoi (fa diesis, sol, si, do diesis, re), ivato (fa diesis, sol, si, do, re), hiragioshi (fa diesis, sol diesis, la, do diesis, re), modi che ebbero origine dalle accordature degli strumenti koto. Nel XVII sec. nacque anche il teatro delle marionette, il famoso bunraku, che si valeva della musica giuguri, la più popolare fra le forme in voga allora. Oltre al bunraku prese piede anche lo spettacolo kabuki, presentato da compagnie miste e offerto principalmente ai clienti delle case da tè (iniziò, dunque, uno spettacolo un po' equivoco, ma forse per questo ancora in voga ai nostri giorni). La musica, in questa forma teatrale, è molto importante, anche perché aiuta nella comprensione dei soggetti naturalistici che costituiscono lo spettacolo kabuki. Oltre alle musiche di carattere liturgico e teatrale, il Giappone conobbe anche una forma di musica "da camera", eseguita soprattutto da cordofoni e dai koto in particolare. In questo secolo sono sorte in Giappone numerose scuole di musica all'europea e non pochi sono i musicisti che si sono distinti in questo campo (Ifukube, Kobune, Matsudaira, Kob, Mayuzumi, ecc.). Interessanti sono anche le danze, e tra queste la celebre danza paesana sui trampoli, la raffinata danza con le mani, oltre alle tipiche danze delle case di piacere con l'uso dei tradizionali ventagli.

India: la musica indiana è di origine squisitamente filosofica in quanto, secondo questo popolo, il suono è pura manifestazione divina legata alle grandi leggi cosmogoniche. Ogni suono, infatti, discenderebbe da un suono non percepibile a un orecchio umano non preparato, un suono di natura prettamente spirituale (anahatanada). Solo coloro che, perseguendo la via dell'ascesi e dello yoga, vanno alla ricerca della beatitudine liberatrice dei sensi, possono percepire l'anahatanada, a patto che non si ricerchi in essa nessun compiacimento edonistico (ciò è insegnato dal Vakya padiya, antico e classico testo induista, come da molti altri testi sacri). Il più antico modo della musica indiana, il cosiddetto bhairava (modo di Shiva) si fa risalire al II millenio a.C.: esso si basa su una scala pentafonica (do, re bemolle, fa, sol, la) ed è il modo che ha influenzato tutta la musica indiana, particolarmente quella delle regioni settentrionali. Imperniato sui quattro libri sacri, i Veda (1500-1200 a.C.), è, invece, il sistema musicale sorto dopo il bhairava, che si basa sul samgita (termine sanscrito che significa: "armonia del Paese con il suono e con la voce", in quanto considera la musica un tutt'uno formato dal canto, dagli strumenti e dalla danza). Nelle manifestazioni vediche, ovvero nella musica sacra, melodia e ritmo - nei tempi veloci - si basavano sulla scala discendente di fa (fa, mi, re, do, si, la, sol). La musica profana, invece, usava scale ascendenti. Oltre alle scale pentafoniche ed eptafoniche, gli indiani usarono anche scale di nove suoni e, più tardi, scale di ventidue suoni ineguali; questi ventidue suoni, sfruttando gli intervalli di comma, potevano diventare anche sessantasei. Si ebbero così i raga, i modi della musica classica indiana; ma anche la ritmica indiana è assai complessa, presentando valori temporali del suono che risultano difficilmente comprensibili per gli Occidentali. Tali variazioni di ritmo - non divisibile per due e suoi multipli, come avviene per le nostre musiche - erano possibili anche per l'uso di tamburi percossi con le dita o con il palmo della mano. Un quadro della musica popolare indiana a livello primitivo è quanto mai complesso, perché storicamente l'India fu soggetta a notevoli influssi estranei e contrastanti. Strutturazioni musicali polifoniche, tuttavia, si riscontravano presso i Naga dell'Assam, per esempio; così pure tra i Gond dell'India centrale e i Santal del Bengala. Nell'India meridionale ebbe grande importanza la musica carnatica, ossia una forma di musica colta che si basava essenzialmente sul ritmo anziché sulla melodia (caratteristica questa che distingue la musica classica delle regioni settentrionali). Anche la danza indiana è ricca e interessante.

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A. sud-orientale: la musica dei Miao, stanziati nelle montagne del Myanmar e dell'Indocina, presenta caratteristiche arcaiche: melodie sobrie scandite da ritmi alquanto marcati; strumento principe di queste genti è lo sheng. Presso i Minkia, i Lolo e gli stessi Miao sono in gran voga i tamburi, usati nelle feste e nelle cerimonie funebri; i flauti di bambù vengono adoperati dai giovani per le serenate amorose. Improvvisazioni coreografiche molto interessanti caratterizzano la danza annamita, ricca di inventiva, sviluppatasi sulle figure del quadrato e del cerchio. Polifonica e di origine molto antica è la musica dell'Annam, come testimoniano le famose pietre sonore, caratteristico strumento in uso migliaia di anni fa. Nel Laos e nella Cambogia sono in uso ben quattro sistemi musicali: uno di tipo cinese, un secondo, colto, di origine indiana, un terzo detto sinothailandese e un quarto, probabilmente originario del luogo, derivato forse dal sistema antico degli Khmer. In questa zona esistono veri complessi strumentali tipici che vengono impiegati nelle varie cerimonie. Esiste, poi, un'orchestra classica indocinese costituita da un oboe, uno o due flauti, uno xilofono, un carillon di gong, due tamburi (o timpani) e un grande metallofono: è usata in teatro e in particolari cerimonie. Alle cerimonie magiche partecipa invece l'orchestra khmer, formata da una specie di chitarra, un violino, uno strumento a una sola corda, tamburi e piatti. Talvolta l'orchestra classica viene integrata dall'orchestra khmer, per formare il complesso detto mohori. Della musica tipica del Laos fanno parte i complessi formati da khen (ovvero lo sheng dei Cinesi, il noto organo a bocca). Celebri canti popolari della regione sono il bok-srou (canto della pesatura del riso) e i damhang dek (piccolo e delicato).

Tibet: anche qui la concezione del suono è meramente metafisica e mitologica, in un certo qual modo collegata a quella indiana, ma più accentuatamente a sfondo magico; ciò si deve soprattutto all'influenza dei Bon-po, i primitivi abitatori del Tibet. Nella regione coesistono una musica sacra, una musica da teatro e una musica popolare. La prima viene eseguita da voci e strumenti (coro e voce solista, coro e metallofoni: campane, gong, ecc.); gli strumenti oltre che accompagnare il canto danno luogo a veri interludi musicali: si tratta di una musica ieratica, assai suggestiva. Nel teatro gli spettacoli si manifestano soprattutto con danze come la Danza dello scheletro (nelle rappresentazioni dette tcham), che ricorda le danze degli sciamani delle steppe; nella musica da teatro hanno pure importanza la voce solista, specie nei drammi storici rnam-t'ar, e i cori che cantano in falsetto. Caratteristici della musica popolare tibetana sono i canti del lavoro. Interessantissima è la cerimonia di iniziazione dei preti buddhisti, i Lama; apre la cerimonia il suono di lunghe trombe di bronzo che si alternano a seconda del suono emesso; poi, il flauto accompagna il tchoed, ovvero la rinuncia a tutte le illusioni del mondo, che ha luogo nei "campi della morte". Il flauto è ricavato da una tibia umana.

Indonesia: grande importanza in questa zona hanno avuto sempre gli strumenti a percussione melodica come lo xilofono, i litofoni, i carillon formati dai gong, ecc. In certe isole l'influenza indiana è notevolissima, in altre si riconosce un forte apporto arabo. Notevole è il complesso orchestrale detto gamelan, tipica orchestra di origine autoctona; questa orchestra è usata principalmente per accompagnare le danze e tutti gli spettacoli. Proprio della zona centrale di Giava è il gamelan-sekati che si esegue su tre toni slendro (uno dei modi fondamentali della musica indonesiana; l'altro è il pelog). Molto interessante la danza cantata ketiak, che descrive episodi del Ramayana. Vi sono pure, in Indonesia, molte orchestre di tipo indiano (rebab, flauti, gong, ecc.). Tra le manifestazioni tradizionali più importanti ricordiamo le danze dei Daiaki, quelle dei Bataki e le melodie di Flores, basate sullo jodel e con cori a tre e quattro voci.

Filippine: nelle Filippine prevale il genere di musica dei Negritos, che si basa sul suono di flauti a quattro fori e di una specie di cordofono ad arco con corde di canapa, nonché sugli scacciapensieri. Citiamo la danza intorno alla vergine su figurazione del cerchio, la danza della vittoria cui partecipano anche le donne e le varie danze celebrative. La danza serenata lulay-lulay, che viene eseguita per la semina del riso, risente di influenze spagnole. Famoso, fra i canti popolari, il kundiman che è una canzone d'amore.

Turchia asiatica: il patrimonio musicale è in gran parte derivato da quello arabo e da quello persiano. Le principali manifestazioni del folclore sono le danze, numerosissime in queste regioni, dall'elettrizzante horon, ai balli bar, dalle danze dei Dervisci, che risalgono al XIII sec., ai canti del sazchair, il cantastorie girovago che si accompagna col saz.

Caucaso: nel Caucaso primeggiano i canti e le danze folcloristiche armene che sono, però, di origine alquanto recente. Qui si trovano anche i caratteristici asciugh, specie di menestrelli che girano il Paese e improvvisano canti popolari nelle feste familiari o comunitarie. Fra le danze, notevoli la danza dei cavalieri e la danza dell'emulazione, che esprimono lo spirito dei cosacchi georgiani.

Persia: antichissima nelle origini, la musica persiana si fa risalire ai tempi delle civiltà mesopotamiche, delle quali impiegava anche gli strumenti, per quanto in parte modificati. La conquista araba influì notevolmente sullo sviluppo dell'arte musicale persiana e vi fu, anzi, uno scambio di lessico e di strumenti. Le scale indigene si basavano su 22 o su 24 intervalli di microtoni e ciò dava alla musica persiana un carattere assolutamente originale. Quasi integro si è mantenuto il patrimonio folcloristico persiano, essendo stato contaminato solo marginalmente dalla cultura araba. Si tratta di canti e di danze tramandate oralmente; le musiche sono strutturate su un preludio strumentale seguito da una sorta di ballata, il tutto in ritmi dal tempo dispari. Famose le lalai, o ninne nanne, i canti d'amore e le canzoni per l'infanzia. Notevoli anche i canti riservati alle varie cerimonie tradizionali. Strumenti a carattere popolare sono, ancor oggi, il sitar, il santir (una specie di salterio), il saz, simile a quello turco, la kerna, tromba dal suono grave, e il tar, forse il più classico fra tutti gli strumenti di quest'area.

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Taiwan: il tempio Wen Wu sul lago del Sole e della Luna

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Cina: il fiume Fu-chun a Hangchow

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Indonesia: villaggio Raca dell'isola di Timor

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India: Scorcio dell'Himalaya dalla valle di Kulu, nell'Himachal Pradesh

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