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![]() RIVOLUZIONE AGRICOLA Insieme di trasformazioni della tecnica e della società rurale che permisero un sostanziale aumento della produttività del sistema agricolo. PARALLELA ALLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE. In tutte le società rurali tradizionali con uno sviluppo demografico positivo, la crescita del prodotto finale necessario alla sussistenza era ottenuta per lo più attraverso un lento allargamento della superficie coltivata. La rivoluzione agricola rese invece possibile accrescere la produzione, in termini di volume fisico e di valore di mercato, non attraverso l'aumento dei suoi fattori (terra e lavoro), ma attraverso l'aumento dei rendimenti della terra e della produttività del lavoro. Coniata in parallelo a quella di rivoluzione industriale, l'idea di rivoluzione agricola ha condotto a concentrare l'attenzione sull'Inghilterra del periodo 1760-1800, nel quale viene generalmente individuato l'avvio dei primi processi di industrializzazione. Il legame così proposto non è di pura coincidenza cronologica. La rivoluzione agricola fu infatti un prerequisito essenziale di quella industriale (mentre irrilevante fu in principio la relazione inversa, dato che la comparsa delle macchine agricole fu posteriore al 1810): senza un notevole aumento della produttività agricola e una crescente disponibilità di beni primari non sarebbe stato possibile lo spostamento della forza lavoro dall'agricoltura all'industria e i processi di urbanizzazione avrebbero presto incontrato dei limiti invalicabili. Nella più avanzata delle società tradizionali, almeno il 75 per cento della popolazione attiva doveva essere impiegata nell'agricoltura, per soddisfare i bisogni propri e del restante 25 per cento; fra il 1740 e il 1820 la popolazione britannica raddoppiò, ma alla fine del periodo l'agricoltura occupava solo circa un terzo della popolazione attiva. Ma il parallelismo cade quanto alla durata delle trasformazioni dell'agricoltura, ben più lunga di quella dell'avvio dell'industrializzazione, poiché frutto non di drastica rottura ma di movimenti assai lenti. UN PROCESSO SECOLARE. Già nell'età medievale una prima rivoluzione agricola aveva interessato l'Europa nel lungo arco di tempo che va dall'VIII al XIII secolo. Si affermò allora un gruppo di innovazioni fra di loro connesse: la rotazione triennale (che consentiva un migliore utilizzo della superficie coltivata), l'aratro pesante (che rendeva più efficace l'opera dei dissodamenti), l'uso in agricoltura del cavallo ferrato e bardato con il collare di spalla (che accresceva la rapidità dell'aratura), il mulino ad acqua o a vento (che liberava una gran quantità di forza lavoro). In complesso tali innovazioni giocarono soprattutto a favore dell'allargamento della superficie coltivata e solo in misura minore a favore della produttività del lavoro e dei rendimenti del suolo. Inoltre si affermò nell'Europa continentale e in Inghilterra il sistema dei villaggi di campi aperti, che poi si irrigidì fino a diventare un freno a ulteriori sviluppi (vedi agricoltura comunitaria). Questi avrebbero richiesto in primo luogo il superamento del principale limite dell'agricoltura tradizionale: la separazione fra coltivazione e allevamento, che non erano in grado di crescere insieme e che erano in concorrenza nell'uso del suolo. La soluzione tecnica di questo problema (nella quale si sostanzia gran parte della rivoluzione agricola contemporanea) era stata trovata e provata già nel XV secolo nella bassa pianura padana lombarda e nel XVI nei Paesi bassi, ma le forme della proprietà della terra, più ancora che l'arretratezza tecnologica, si opposero a lungo alla sua generalizzazione. Tale soluzione consisteva nell'inserire l'allevamento nelle rotazioni agricole, sostituendo quello sui prati artificiali a quello effettuato nell'openfield e nei vasti pascoli bradi di proprietà collettiva dei villaggi. L'aumento dell'allevamento, al di là del suo valore di mercato (carne, latte), consentiva una migliore concimazione del suolo, mentre la coltivazione di piante foraggere di per sé accresceva la sua fertilità; rotazioni poliennali con leguminose e cereali facevano superare il sistema triennale e rendevano inutile l'incolto periodico (vedi maggese). La nascita di proprietà compatte, non disperse nei campi a strisce, non soggette alle regole comunitarie e orientate essenzialmente alla produzione per il mercato, era in ogni caso un presupposto per la "rivoluzione agricola". L'Inghilterra si trovò da questo punto di vista meglio attrezzata di qualunque altro paese europeo. La vendita dei beni terrieri ecclesiastici nazionalizzati al tempo di Enrico VIII aveva creato una nuova classe di proprietari, mentre il movimento delle recinzioni, sempre più attivo fra il XVI e il XVIII secolo, avrebbe nel tempo dissolto le proprietà di villaggio, affermando la proprietà privata e facendo della terra un'azienda capitalistica, orientata al profitto e affidata al lavoro salariato. LA RISTRUTTURAZIONE DELLA SOCIETÁ RURALE. All'inizio del XIX secolo la figura tradizionale del contadino (piccolo proprietario o affittuario) era in Gran Bretagna destinata a scomparire, sostituita dalle due nuove classi dei proprietari-imprenditori agrari e dei salariati. La rivoluzione agricola fu dunque anche una profonda ristrutturazione della società rurale, accompagnandosi a due serie di trasformazioni che riguardavano le tecniche e le piante coltivate: da un lato migliori strumenti aratori, più efficaci sistemi di semina, acquisto sul mercato di sementi selezionate, dall'altro l'inserimento nei sistemi di rotazione di nuove piante ad alta produttività (la patata e, nell'area mediterranea, il mais). Per molti aspetti si trattò di una rivoluzione ininterrotta che si protrasse su scala mondiale per il XIX secolo e anche dopo, venendosi a intrecciare con le possibilità tecnologiche offerte dall'industrializzazione. Così, mentre la Gran Bretagna aveva condotto al suo massimo sviluppo un lungo processo di sperimentazione puramente agronomica che risaliva al XV secolo, nel continente europeo e ancor più fuori di esso la comparsa delle macchine agrarie e dei concimi chimici consentì di abbreviare i tempi della rivoluzione e di sostituire le coltivazioni continue ai complicati sistemi di rotazione escogitati nel Settecento. La natura del suolo, l'inesistenza di una topografia rurale resa assai complicata dalla storia della proprietà terriera e il basso rapporto fra popolazione e terra spinsero gli Stati Uniti a saltare la fase attraversata dall'agricoltura europea e ad applicare subito le macchine all'aratura e alla mietitrebbiatura. Il sistema agricolo americano mirò già nel XIX secolo a risparmiare sui costi del lavoro più che ad accrescere i rendimenti e combinò meccanizzazione ed estensività, realizzando rendimenti assai inferiori a quelli dell'Inghilterra e della Francia. Meccanizzazione e chimica organica (spesso coesistendo nel mondo con tutte le forme più arcaiche di gestione della terra) consentirono alla produzione agricola mondiale di tenere il passo con la crescita demografica fino alla metà del XX secolo. Dopo di allora la rivoluzione verde costituì un ulteriore passo dell'ininterrotta rivoluzione agricola, preparando la strada alle biotecnologie. S. Guarracino ![]() B.H. Slicher van Bath, Storia agraria dell'Europa occidentale, Einaudi, Torino 1972; J.V. Beckett, The Agricultural Revolution, Blackwell, Oxford 1990; M. Bloch, La fine della comunità e la nascita dell'individualismo agrario nella Francia del XVIII secolo, Jaca Book, Milano 1979; The Agrarian History of England and Wales, diretta da J. Thirsk, voll. IV e V, Cambridge University Press, 1967 e 1984. |
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