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ARMI NON CONVENZIONALI
Armi che sfruttano a scopo distruttivo sostanze diverse dagli usuali esplosivi, che in diverso modo producono energia mediante una reazione chimica. Poiché i loro effetti si estendono a grandi quantità di persone, su ampio territorio e per un tempo prolungato, vengono anche chiamate "armi di distruzione di massa" e come tali sono oggetto di complessi accordi politici limitativi. I loro effetti e la certezza che un loro impiego avrebbe suscitato immediate ritorsioni di analoga gravità, contribuirono a limitarne l'impiego dopo le prime disastrose applicazioni (bomba atomica). Le armi chimiche vennero per la prima volta impiegate durante la Prima guerra mondiale: si trattava di proietti d'artiglieria che, scoppiando, diffondevano gas tossici. Dopo di allora furono approntate grandi quantità di armi (bombe aeree, missili) capaci di diffondere sostanze chimiche venefiche: allo stato gassoso, liquido, solido, con effetti invalidanti o letali sulla pelle, sugli organi della respirazione, sul sistema nervoso. Benché l'uso delle armi chimiche -così come di quelle biologiche (o batteriologiche) che in modo analogo diffondono germi infettivi a danno dell'uomo o degli animali oppure parassiti nocivi alla vegetazione - fosse stato vietato dal protocollo internazionale firmato a Ginevra il 17 giugno 1925, ne fu fatto uso dagli italiani nella guerra di aggressione all'Etiopia (1935-1936). Durante la Seconda guerra mondiale, e in successivi conflitti locali, furono più volte scambiate tra i belligeranti accuse in proposito; probabilmente il regime iracheno di Saddam Hussein ne usò contro la minoranza curda negli ultimi anni ottanta, e l'accusa di fabbricarne fu rivolta all'Iraq durante la guerra del Golfo (1992), anche se non ne furono utilizzate in quel conflitto.
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