ARMAMENTI, CORSA AGLI Processo di riarmo e di proliferazione degli strumenti bellici convenzionali, nucleari e strategici, sviluppatosi negli Stati Uniti e in Unione sovietica, che rappresentò il motivo dominante dei rapporti tra i blocchi nell'intero secondo dopoguerra, durante e dopo la guerra fredda. Le armi nucleari, già entrate nel sistema della "diplomazia della forza" tipico dello scontro est-ovest durante il blocco di Berlino del 1948 (quando gli Usa attivarono in Gran Bretagna una base aerea dalla quale erano in grado di colpire direttamente il territorio sovietico), divennero il principale strumento della strategia della deterrenza avviata dall'amministrazione Truman. Dopo lo scoppio sperimentale della prima bomba atomica sovietica (1949) la politica statunitense elevò a proprio principale obiettivo lo sviluppo di un arsenale bellico in grado di colmare il distacco creato dal rapido riarmo dell'Unione sovietica. In questo quadro venne incentivata la ricerca per la costruzione della bomba all'idrogeno, realizzata nel 1952. Il New Look varato dall'amministrazione Eisenhower in materia di sicurezza, con forti tagli ai bilanci per la difesa convenzionale, accelerò lo sviluppo degli arsenali atomici, affidando l'efficacia della strategia della deterrenza soprattutto all'arma nucleare, in base alla dottrina della "rappresaglia massiccia" (massive retaliation) il cui potere di dissuasione e distruzione doveva essere assicurato dall'aeronautica, beneficiaria dei più cospicui stanziamenti a favore della ricerca e dell'innovazione tecnologica. Questo processo subì un'ulteriore accelerazione dopo il lancio da parte sovietica del primo satellite artificiale, lo Sputnik (1957), che apriva la possibilità di controllo strategico dell'intera superficie terrestre. Il successivo dibattito sulla sicurezza si incentrò sulla previsione che di lì a pochi anni l'Urss sarebbe stata in grado di sferrare attacchi contro gli Usa con missili balistici intercontinentali; ne derivò un deciso rafforzamento dei programmi missilistici statunitensi, in una drammatica escalation destinata a creare, dopo l'installazione in Europa (Gran Bretagna, Italia) e in Turchia di missili nucleari Nato a portata intermedia, quella situazione di stallo e reciproca vulnerabilità nota come "equilibrio del terrore". La scelta dell'overkill, ossia di una capacità distruttiva più volte superiore a quella necessaria ad annientare l'avversario, fu infine istituzionalizzata nel 1960 con la preparazione del Single Integrated Operation Plan, piano completo degli obiettivi di una eventuale rappresaglia Usa la cui attuazione prevedeva da 360 a 425 milioni di vittime in Urss e in Cina. Fin dalla metà degli anni cinquanta tuttavia emerse all'interno dell'amministrazione statunitense la convinzione che fosse necessario giungere con i sovietici a forme di controllo degli armamenti. Ma nel breve periodo i tentativi fallirono nella conferenza di Ginevra (1955). Solo negli anni successivi furono avviate faticose trattative sulla disciplina della militarizzazione dello spazio e sulla interruzione delle esplosioni atomiche sperimentali nell'atmosfera (ma non nel sottosuolo), conclusesi nel 1963 con la firma del trattato sul divieto parziale degli esperimenti atomici. Parallelamente, dopo la crisi di Berlino (1961) e la crisi dei missili a Cuba (1962), l'amministrazione Kennedy avviò una politica di potenziamento del bilancio militare che durò per tutti gli anni sessanta. Non giustificata sul piano dell'equilibrio strategico, data la netta inferiorità sovietica, la scelta del riarmo fu alimentata dalla concorrenza reciproca tra gli apparati militari delle tre armi, sostenuta dagli interessi del sempre più potente complesso militare-industriale. Frenate dall'amministrazione federale in materia di programmi per la difesa missilistica, le forze armate statunitensi ottennero un successo con lo sviluppo delle tecnologie dei missili a testata multipla e a rientro automatico, che incrementò sensibilmente la loro efficacia penetrativa e distruttiva. Tuttavia, dopo l'abbandono nella seconda metà degli anni sessanta da parte degli Usa delle strategie nucleari di risposta flessibile e "controforze", interpretabili da parte sovietica come strategie di "primo colpo", la politica di sicurezza degli Usa registrò una svolta decisiva. Preceduto dalla proposta formulata dall'amministrazione Johnson nel gennaio 1967 per l'avvio di trattative sulla limitazione degli arsenali strategici, il nuovo orientamento (maturato nel quadro di una crescente protesta dell'opinione pubblica sulla questione dei bombardamenti in Vietnam e illustrato dal segretario alla Difesa R. McNamara nel settembre 1967) denunciava il principio della "distruzione assicurata" e il meccanismo di "azione-reazione" all'origine della corsa agli armamenti, proponendo la fine dell'accumulazione di strumenti distruttivi. Da questa iniziativa prese le mosse un lungo, faticoso e contraddittorio processo di trattative sul disarmo che, con alti e bassi, contraddistinse i rapporti Usa-Urss negli anni della distensione. Dopo la firma del trattato di non proliferazione (Helsinki, novembre 1969) che impegnava Stati Uniti e Unione sovietica ad avviare negoziati sulla limitazione degli armamenti, si approdò ai nuovi importanti accordi Salt 1 nel 1972, Salt 2 nel 1974 e 1979. Nonostante la mancata ratifica statunitense dell'accordo Salt 2, il duro scontro sull'installazione degli "euromissili" e l'esasperazione del confronto con l'Urss perseguita dal progetto reaganiano di Scudo spaziale, nel corso degli anni ottanta si conseguirono ugualmente risultati positivi grazie al trattato Inf (Intermediate Nuclear Force) e all'avvio dei negoziati Start. Rilanciate le trattative dal successo dei numerosi vertici tra il segretario del Pcus M. Gorbaciov e i presidenti R. Reagan e G. Bush e dalla disponibilità sovietica a negoziare la riduzione dei propri armamenti strategici offensivi in cambio della rinuncia degli Stati Uniti ai progetti di difesa spaziale, un'intesa definitiva sulle armi nucleari e convenzionali fu siglata con gli accordi sottoscritti da Bush e Gorbaciov nel summit di Washington (giugno 1990). S. Battilossi |