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GUERRA FREDDA
(1945-1962). Conflitto politico e ideologico tra i blocchi occidentale e orientale, guidati rispettivamente da Stati Uniti e Unione sovietica dopo la Seconda guerra mondiale, così chiamato secondo una formula inventata dal grande giornalista statunitense Walter Lippmann per sottolinearne il carattere non dichiarato e incruento. Oltre alla volontà di affermare la propria egemonia su scala planetaria, i due grandi paesi incarnavano modelli politici, sociali ed economici opposti. Da parte sovietica rimaneva la convinzione che il conflitto tra Gran Bretagna e Germania fosse stato solo un episodio secondario delle rivalità interne alle potenze imperialistiche e che la guerra tra mondo capitalista e mondo comunista dovesse ancora venire. Il possesso della bomba atomica da parte degli Usa, dimostrato tragicamente a Hiroshima, alimentava inoltre una sensazione di inferiorità strategica, cui l'Urss reagiva mantenendo la mobilitazione di un numero imponente di divisioni pronte ad aggredire l'Europa occidentale. In quegli anni, l'avanzata sovietica in Europa orientale (1946-1948) e, più tardi, l'appoggio ai comunisti cinesi (1946-1949) e la guerra di Corea (1950-1953) sembrarono iniziative dominate dall'esigenza dell'Unione sovietica di creare intorno a sé una zona di rispetto sulla quale combattere un'eventuale guerra, risparmiando il proprio territorio nazionale. Questo consolidamento sovietico indusse il governo degli Stati Uniti a adottare la strategia che, durante l'amministrazione del presidente democratico Harry Truman (1945-1952), prese il nome di containment (contenimento). La linea del contenimento, fondata sulla superiorità americana nei mari e nei cieli, fu applicata con successo nel Mediterraneo orientale e nel medio Oriente ed ebbe la sua formulazione definitiva nella dottrina Truman (1947): impegno americano a difendere i popoli liberi contro i tentativi di asservimento e contrapposizione di due modi di vita, quello democratico occidentale difeso dagli Stati Uniti e quello oppressivo del comunismo sovietico. Il contenimento non doveva quindi limitarsi ad arginare l'Urss, ma voleva combattere l'influenza comunista in Europa occidentale (in particolare in Francia e in Italia, dove agivano forti partiti comunisti). Su pressione degli Usa, i ministri comunisti furono estromessi dai governi di coalizione in Francia, Italia e Belgio. L'egemonia degli Usa sull'Europa occidentale, già solidamente impostata dalla strapotenza industriale sfoderata nello sforzo bellico e ratificata con gli accordi di Bretton Woods (1944) che avevano riorganizzato il sistema monetario internazionale intorno al dollaro e che erano stati rifiutati dall'Urss, fu abilmente confermata dall'attuazione del piano Marshall. I princìpi esposti nella dottrina Truman contribuirono a creare negli Usa un clima di isterismo anticomunista che portò all'esplosione del maccartismo e condizionò pesantemente le scelte di politica estera, oltre che interna, statunitense. La politica di containment istituzionalizzò quella che era stata definita nel 1946 da Churchill la "cortina di ferro", cioè la linea di separazione che dal Baltico all'Adriatico divideva i due blocchi irrigidendo le posizioni. La replica dell'Urss consistette infatti nell'accentuare la subordinazione dei paesi dell'Europa orientale, trasformandoli in satelliti della propria strategia economica e politica. In Germania, la questione di Berlino (1948-1949) ebbe come conseguenza immediata la creazione di due stati separati, la Repubblica federale tedesca, con capitale Bonn, e la Repubblica democratica tedesca, con capitale Berlino (in realtà Pankow). Il timore, anche volutamente fomentato per ragioni interne, di un possibile attacco sovietico spinse le potenze occidentali a stipulare il Patto atlantico (aprile 1949) e quindi a istituire la Nato (1950). A loro volta i paesi del blocco orientale, confortati dalla messa a punto della bomba atomica sovietica (1949), risposero con il Patto di Varsavia (1955). La tensione, culminata nel sanguinoso conflitto coreano, che fece profilare il rischio di una terza guerra mondiale combattuta con le bombe atomiche, spinse l'amministrazione repubblicana Eisenhower, succeduta a quella Truman, a irrigidire il suo atteggiamento nei confronti dell'Urss, e a propugnare la dottrina del roll-back (spinta all'indietro), per la quale alla minaccia di espansione sovietica bisognava rispondere con una strategia di rappresaglia massiccia, fino all'impiego delle armi nucleari. La fase più acuta della guerra fredda si esaurì nella seconda metà degli anni cinquanta, quando il disgelo seguito in Urss alla morte di Stalin (1953) aprì le speranze di distensione. La progressiva crescita dei rispettivi arsenali nucleari impose anzi alle due superpotenze di trovare una qualche forma di coesistenza pacifica, anche grazie alla consapevolezza che la situazione all'interno dell'area orientale (soprattutto dopo il fallimento delle rivolte a Berlino e a Pozna nel 1953 e in Ungheria nel 1956) e di quella occidentale (dove i partiti comunisti erano ovunque ridotti all'impotenza o all'opposizione parlamentare) fosse ormai stabilizzata. Anche negli anni sessanta, tuttavia, non mancarono momenti di grande tensione tra le due superpotenze, come l'incidente dell'U2 (aereo spia americano abbattuto nel cielo sovietico nel 1960) o la crisi dei missli a Cuba (1962); spesso gli scontri furono trasferiti nel Terzo mondo, dove le contraddizioni conseguenti alla decolonizzazione creavano spazi per l'intervento delle due superpotenze. Sullo scenario internazionale emergevano inoltre altri soggetti politici come la Cina o la Comunità economica europea, la cui presenza attenuava la rigidità del confronto bipolare; d'altra parte all'interno dei due blocchi sorgevano movimenti centrifughi e richieste di autonomia (nella Francia gollista, in Cecoslovacchia) che rendevano più articolati i rapporti reciproci.

F. Koch

D.F. Fleming, Storia della guerra fredda (1917-1970), Feltrinelli, Milano 1964.
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