ANARCHISMO Movimento intellettuale e politico sviluppatosi nel XIX secolo. Il termine deriva dalla parola di origine greca "anarchia" (senza governo), con cui si è sempre intesa una società priva di ogni dominio politico e di ogni autorità. Le idee anarchiche, fin dalle prime formulazioni rintracciabili nell'illuminismo e in alcune tendenze radicali della rivoluzione francese, propugnavano l'emancipazione totale dell'uomo da ogni autorità e oppressione ideologica, politica, economica, sociale e giuridica. Questo ugualitarismo costituì solo il riferimento generale dell'anarchismo, che si sviluppò come dottrina e movimento politico nell'età dell'industrializzazione, trasformando quelle idee in un radicale rifiuto del sistema economico capitalistico e della sua organizzazione statuale. L'anarchismo, soprattutto nella seconda metà del XIX secolo, portò un significativo contributo al conflitto di classe, raccogliendo il disagio dei settori più marginali del proletariato industriale e agricolo; la teoria di un "ordine naturale" da ristabilire in contrapposizione alle "costruzioni politiche e ideologiche" (stato, Chiesa, istituzioni economiche capitalistiche), fu una delle risposte del nascente movimento operaio alle radicali trasformazioni sociali e politiche provocate dalla rivoluzione industriale e borghese. In questo contesto di profonde trasformazioni e conflitti, si precisò come un movimento che esaltava il diritto alla libertà, sia dell'individuo che della collettività, senza limiti di norme al di là di quelli imposti dalla natura e da una volontà collettiva accettata non per costrizione ma come libero atto di volontà di ognuno. Nella concretezza della lotta politica l'anarchismo assunse caratteristiche estremamente mutevoli nel corso della sua storia. Pur sviluppando tendenze maggioritarie al suo interno, il movimento anarchico assunse sempre espressioni diversificate, eterogenee e, spesso, contraddittorie. La prima compiuta espressione di una certa rilevanza delle idee anarchiche fu operata dal francese Pierre-Joseph Proudhon, che, alla luce delle rivoluzioni del 1848, riteneva limitata la denuncia della natura oppressiva del vecchio assolutismo e del nuovo capitalismo e sottolineò l'estraneità dei lavoratori agli obiettivi della borghesia democratica, non escluso il regime parlamentare e l'estensione del diritto di voto. Egli riteneva la sostituzione di uno stato di diritto alla monarchia dell'ancien régime come un semplice passaggio da una schiavitù imposta a una schiavitù legittimata dal riconoscimento popolare; le classi oppresse non dovevano perciò partecipare alla lotta politica, ma battersi per costruire una società di liberi lavoratori spontaneamente federati tra loro. Queste teorie ebbero una notevole diffusione tra gli operai francesi e le prime associazioni di lavoratori che contribuirono a fondare la prima Internazionale. Con Michail Bakunin l'anarchismo assunse caratteri più precisi come movimento politico, anche in polemica con le correnti socialiste. Egli rifiutava qualunque forma di transizione verso l'estinzione dello stato (compresa la marxiana dittatura del proletariato) e concepiva la rivoluzione come il prodotto di una sollevazione popolare spontanea, destinata a dare vita a una società collettivistica e ad eliminare ogni forma d'autorità statale. L'anarchismo si diffuse soprattutto in Italia, Spagna, Belgio, Olanda e Svizzera, dove associazioni di lavoratori che si ispiravano all'anarchismo segnarono profondamente le prime fasi di sviluppo del movimento operaio e socialista organizzato. Dopo essere stati espulsi, nel 1872, dalla prima Internazionale a opera della maggioranza marxista, gli anarchici si organizzarono in una propria Internazionale che operò dal 1872 al 1877. Negli ultimi decenni dell'Ottocento il movimento si estese in tutta Europa e nel continente americano (soprattutto in Messico, Uruguay e Argentina), tentando più d'una insurrezione popolare. Il fallimento di queste azioni (in particolare quelle in Italia del 1874 e 1877) assieme alla crescente egemonia del marxismo nel movimento operaio internazionale, portarono a una crisi dell'anarchismo che, tra l'altro, dette spazio alla pratica terroristica: la "propaganda del fatto" (in particolare gli attentati contro re e uomini politici di governo), inizialmente concepita come azione esemplare e mirata per risvegliare le masse dall'apatia, divenne la principale pratica di alcuni gruppi anarchici. Il movimento risultò così sostanzialmente diviso in due tronconi: i propugnatori degli attentati politici e coloro che intendevano ristabilire un legame organico con il movimento operaio organizzato. I tentativi di questi ultimi (soprattutto Malatesta e Kropotkin) furono frustrati dalla definitiva espulsione degli anarchici dalla seconda Internazionale (1896). L'anarchismo sopravvisse come realtà significativa solo dove riuscì a collegarsi col sindacalismo rivoluzionario. Così avvenne in Spagna, Stati Uniti e Francia, dove nacquero organizzazioni sindacali d'ispirazione anarchica (in particolare la Cnt spagnola e gli Iww statunitensi) che perseguivano rivendicazioni radicali e raccoglievano adesioni soprattutto tra quei settori di lavoratori (operai non qualificati, braccianti, emigrati) a cui i sindacati d'ispirazione marxista non dedicavano sufficiente attenzione. Un ulteriore momento di crisi fu rappresentato dallo scoppio della Prima guerra mondiale che divise il movimento anarchico, analogamente a quello socialista, tra pacifisti rigidamente internazionalisti e sostenitori dell'intervento a fianco dei governi dell'Intesa. Da questa crisi il movimento riuscì a risollevarsi parzialmente in Russia durante la rivoluzione d'ottobre (prima d'essere represso dal governo sovietico che fin dal 1918 gli anarchici tacciavano d'autoritarismo) e in Italia durante l'occupazione delle fabbriche del 1920. Soltanto in Spagna l'anarchismo continuò a svolgere un importante ruolo politico che culminò nella partecipazione di alcuni esponenti anarchici al Fronte popolare (1936) e alla successiva guerra civile. Le vittorie della destra in Europa negli anni trenta e la guerra relegarono l'anarchismo in secondo piano; tuttavia esso non scomparve e riemerse con contenuti e forme nuove e originali negli anni sessanta all'interno dei movimenti giovanili di contestazione (vedi Sessantotto). In quegli anni l'anarchismo rinnovò il proprio contenuto antiautoritario e nuovi gruppi anarchici, soprattutto in Europa occidentale, ricollegarono la tradizionale lotta contro ogni forma di costrizione con la denuncia dell'alienazione consumistica presente nella società di massa contemporanea. G. Polo N. Bakunin, Stato e anarchia, 1873; Aa.Vv., Anarchici e anarchia nel mondo contemporaneo, Fondazione L. Einaudi, Torino 1971; G. Woodcock, L'anarchia, Feltrinelli, Milano 1973; E. Malatesta, Scritti scelti, Savelli, Roma 1974. |