AFRICA, DECOLONIZZAZIONE DELL' La fine del colonialismo europeo in Africa fu un processo relativamente rapido che, fra la fine della Seconda guerra mondiale e l'inizio degli anni sessanta, condusse all'indipendenza gran parte del continente, dando vita a stati per lo più coincidenti con i territori delle precedenti colonie. Le istanze di liberazione legate alla lotta contro il nazifascismo, cui molti africani parteciparono come membri delle armate delle rispettive potenze coloniali, e, in seguito, i principi della Carta atlantica, ebbero un forte impatto sul nazionalismo anticoloniale e spesso fornirono lo sfondo ideale a insurrezioni e movimenti di protesta come quelli dell'Algeria (1945), del Madagascar (1947-49), della Costa d'oro (1948). Inoltre l'apparire sulla scena politica mondiale delle due nuove superpotenze di Usa e Urss, estranee per storia e per ideologia alle forme del colonialismo europeo, favorì l'instaurarsi di un nuovo tipo di supremazia, basato sull'influenza nella politica interna dei nuovi stati e sulla loro sudditanza economica, in cambio dell'appoggio finanziario e militare ai nuovi capi per il mantenimento dei delicati equilibri interni. Mentre l'Italia aveva perso i suoi possedimenti africani in seguito alla sconfitta nella Seconda guerra mondiale, le colonie degli altri paesi europei giunsero ad affrancarsi dalla dominazione straniera attraverso lo sviluppo di movimenti anticoloniali che portarono in molti casi a vere e proprie lotte per l'indipendenza. La Francia di De Gaulle, bisognosa di sostegni contro il governo collaborazionista di Vichy, aveva promesso riforme sostanziali, riconoscendo alle colonie dell'Africa occidentale francese e dell'Africa equatoriale francese lo status di entità individuali, all'interno di un'associazione con la madrepatria (Conferenza di Brazzaville del 1944 e Union française nel 1946), superando così la dottrina della spersonalizzazione e assimilazione dei popoli colonizzati, nell'ambito della civilisation come obiettivo del colonialismo. Negli anni cinquanta maturò un movimento anticoloniale ormai orientato verso l'autogoverno o l'indipendenza vera e propria, condotto da una nuova generazione di intellettuali e politici sovente formatisi in Europa o negli Stati Uniti e fortemente influenzati dalle dottrine di liberazione e autodeterminazione emerse specialmente nelle lotte antimperialistiche dell'India e dell'Asia orientale. Questa componente si saldò in certi casi con le espressioni della costante resistenza opposta dal mondo africano alla sopraffazione coloniale, che non avevano mai cessato di manifestarsi (rivolta dei Mau Mau in Kenya, 1952-1956). La guerra d'Algeria (1954-1962) costituì un punto di riferimento centrale per i movimenti di liberazione, influenzandone profondamente ideologia e prassi politica. L'indipendenza di vari paesi dell'Africa settentrionale (Libia, Sudan, Marocco e Tunisia) fra il 1952 e il 1956 aprirono la via all'emancipazione dell'Africa nera. In molti paesi essa fu guidata da partiti politici che si ispiravano ai principi di un "socialismo africano" teso a sottolineare, rispetto alla tradizione dottrinale del socialismo di matrice occidentale, le peculiarità della situazione locale e le radici culturali profonde di un comunitarismo e di un egualitarismo considerati propri della tradizione precoloniale rurale africana (K.F. Nkrumah, S. Touré, J.K. Nyerere ecc.). La situazione precipitò dal 1956 quando, in seguito alla crisi di Suez, apparve chiaro che le due superpotenze Usa e Urss, prive di interessi diretti in Africa, non erano disposte ad avallare oltre la repressione colonialista delle potenze europee, ormai ridotte in secondo piano. La colonia britannica della Costa d'oro divenne sovrana nel 1957, col nome di Ghana, dopo alcuni anni di autogoverno, seguita nel 1958 dalla Guinea francese che, unica tra le colonie africane di Parigi, rifiutò la proposta della madrepatria di entrare a far parte della Comunità franco-africana come stato autonomo (i governi autonomi nei vari territori erano stati costituiti nel 1956, in base alla Loi cadre). Ottennero comunque la piena indipendenza nel 1960 i territori che avevano optato per questa soluzione: Alto Volta (Burkina Faso), Camerun, Centrafrica (già Oubangui-Chari), Ciad, Congo, Costa d'avorio, Dahomey (poi Benin), Gabon, Madagascar, Mauritania, Niger, Senegal, Sudan (poi Mali), Togo. Nello stesso anno raggiunsero l'indipendenza anche il Congo belga (poi Zaire), la Somalia (unione di quella britannica e di quella ex italiana) e la Nigeria, seguiti dalle altre colonie britanniche: Sierra Leone e Tanganica (poi Tanzania) nel 1961, Uganda nel 1962, Zanzibar (poi federatosi al Tanganica) e Kenya nel 1963, Malawi (già Nyasaland) e Zambia (già Rhodesia del nord) nel 1964, con la rottura della Federazione dell'Africa centrale (la Rhodesia del sud proclamò unilateralmente la propria indipendenza nel 1965, sotto il controllo della locale minoranza bianca), Gambia, Botswana e Lesotho nel 1965-1966. Ruanda e Burundi, già belgi, divennero indipendenti nel 1962 e nel 1968 fu la volta di Guinea equatoriale (spagnola), Mauritius e Swaziland (britannici). Verso la metà degli anni settanta si ebbe la conclusione della lotta di liberazione nelle colonie portoghesi, condotta da movimenti che operarono scelte di tipo marxista-leninista, attivamente sostenuti dai paesi socialisti: la Guinea Bissau nel 1974, Angola e Mozambico nel 1975. In quell'anno la Spagna abbandonò il suo possedimento del Sahara, aprendo una crisi internazionale per la contrapposizione delle aspirazioni indipendentistiche della popolazione locale alle mire dei paesi vicini. Nel 1977 la Francia concesse l'indipendenza a Gibuti, mentre nel 1980, a conclusione di una lunga guerra civile condotta dalla popolazione nera contro i coloni bianchi, la Rhodesia del sud abrogò la propria dichiarazione unilaterale d'indipendenza del 1965 e, nell'ambito del Commonwealth, varò un nuovo governo di maggioranza e ottenne l'indipendenza col nome di Zimbabwe. L'ultimo paese africano ad acquistare la propria indipendenza fu la Namibia, che nel 1990, a conclusione di una lunga lotta, si affrancò dall'occupazione sudafricana, sancita come mandato della Società delle nazioni, dopo la Prima guerra mondiale, poi non rinnovato dall'Onu. L'istituzione di nuovi stati africani sulla base dei confini dei vecchi domini coloniali, sancita formalmente dalla Carta dell'Organizzazione dell'unità africana (Oua) nel 1963, conteneva in sé innumerevoli contraddizioni, legate fra l'altro alla mancata corrispondenza tra formazioni storiche ed etnico-linguistiche e i confini delle nuove entità statali. Questo fattore con più generali problemi di dipendenza e vulnerabilità politica ed economica dei nuovi stati, è stato fra le cause principali di numerose crisi interne e internazionali (Katanga, Biafra, Eritrea, Sudan). P. Valsecchi |