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Padre Pio Aneddoti e Ricordi.

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Dizionari Enciclopedia Storia Link utili

Non chiedete che cosa il vostro Paese può fare per voi; chiedete che cosa potete fare voi per il vostro Paese.
John Fitzgerald Kennedy

La scuola consegue tanto meglio il proprio scopo quanto più pone l'individuo in condizione di fare a meno di essa.
(Ernesto Codignola)

Papi e Beati Padre Pio Aneddoti e Ricordi pp1 pp2 pp3 pp4 pp5 pp6 pp7 pp8 pp9 pp10

Papi e Beati video

Sotto la protezione di Padre Pio per tutta la vita

Affido a te questa creatura

Incontro con Padre Pio nella Basilica di San Pietro

Incontro con Padre Pio a San Giovanni Rotondo

Terziaria Francescana

Sotto la guida illuminata del padre

Una testimonianza di umiltà

Giovanna sposa e madre

Uno schiaffo sonoro

Vieni subito a San Giovanni Rotondo

Assiste alla morte di Padre Pio

Una dichiarazione di Margherita Hamilton

La morte di Margherita Hamilton

Profezia e bilocazione Cinquant'anni dinanzi a noi Ritornerete a Pietrelcina! Pensasse alla morte Con Madre Speranza al Sant'Uffizio

Grazie e favori celesti Intercedeva per la sua guarigione Padre Pio è venuto a prenderla! Verrà a prendermi il 5 febbraio! Un'immagine di Padre Pio sotto il cuscino Padre Pio è stato buono con me

Alla vigilia della sua morte Non lasciarmi solo! Mi hanno tradito tutti! Se ritarderanno, non mi troveranno più Quindici giorni prima di morire La rosa ridiventata bocciolo L'ultima grazia dal cuore della Madonna?

Padre Pio, uomo di questo mondo Faccia gialla di poca luce Costante serena coerenza Cuore d'oro Il meno mistico Rimasugli di natura Signore, donami il buonumore

Chi soffre conquista Frutto fuori stagione? Come un profeta Le vie più sicure Dio e il prossimo Già l'alba...

Appendice Omelia del Papa Discorso del Papa nel Santuario Saluto del Papa al personale medico e agli ammalati della "Casa Sollievo della Sofferenza" Coroncina al Sacro Cuore di Gesù Preghiera per ottenere la glorificazione di Padre Pio

Profilo delle stigmate di Padre Pio I due periodi della stigmatizzazione Le stigmate delle mani Le stigmate dei piedi La stigmate del costato Le qualità delle stigmate La scomparsa delle stigmate La teologia delle stigmate Conclusione

La beatificazione di Padre Pio da Pietrelcina Padre Pio proclamato Beato Lettera circolare del ministro provinciale La gioia per la beatificazione di Padre Pio Lunedì, 3 maggio 1999: Messa di ringraziamento per la beatificazione di Padre Pio La Beatificazione come evento mediatico Padre Pio meno star e più uomo Un domani ricco di storia

La canonizzazione di Padre Pio

Dizionario

Yahoo! Video Padre Pio

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PAPI E BEATI - PADRE PIO - ANEDDOTI E RICORDI

SOTTO LA PROTEZIONE DI PADRE PIO PER TUTTA LA VITA

«Affido a te questa creatura»

Nel febbraio del 1905 Padre Pio si trovava di residenza nel convento di S. Elia a Pianisi (Campobasso) come chierico studente di filosofia. Un giorno del suddetto mese descrisse su un foglio di carta una sua bilocazione in un palazzo signorile di una città del Veneto (Udine) e un'apparizione della Madonna, che gli parlò e gli affidò un incarico delicato. Egli così scrisse: «Giorni fa mi è accaduto un fatto insolito: mentre mi trovavo in Coro con Fra Anastasio, erano circa le ore 23 del 18 m.s. (gennaio 1905) quando mi ritrovai lontano in una casa signorile, dove il padre moriva, mentre una bimba nasceva. Mi apparve allora Maria SS.ma che mi disse: "Affido a te questa creatura; è una pietra preziosa allo stato grezzo, lavorala, levigala, rendila il più lucente possibile, perché un giorno voglio adornarmene..."». Padre Pio rispose alla Madonna: «Come sarà possibile, se io sono ancora un povero chierico e non so se un giorno avrò la fortuna e la gioia di essere sacerdote?. - Ed anche se sarò sacerdote, come potrò pensare a questa bimba, essendo io molto lontano da qui?». La Madonna soggiunse: «Non dubitare, sarà lei che verrà da te, ma prima la incontrerai in S. Pietro... a Roma». Padre Pio conclude: «Dopo di ciò mi sono ritrovato nuovamente in Coro». La bimba di cui parla Padre Pio si chiamava Giovanna Rizzani, la quale mi consegnò una fotocopia del foglio scritto dal caro Padre, arricchendolo di preziose notizie. La Signora Giovanna Rizzani Boschi nacque nella città di Udine la sera del 18 gennaio 1905 da Leonilde Serrao e dal marchese Rizzani Giovanni Battista mentre questi moriva. Cresciuta negli anni, non aveva mai sentito parlare di Padre Pio: quindi ignorava del tutto lo scritto del caro Padre che riguardava la sua nascita e il suo futuro. Il foglio fu conservato gelosamente dal M.R. Padre Agostino da S. Marco in Lamis, Direttore spirituale di Padre Pio e Superiore del Convento di S. Giovanni Rotondo, il quale, dopo molti anni lo consegnò alla Signora interessata.

Questa, dopo averlo letto e meditato, ne parlò con Padre Pio, ne ebbe assicurazione dell'autenticità e, fattene alcune fotocopie, lo riconsegnò al Padre Superiore del Convento di S. Giovanni Rotondo, perché fosse a disposizione della Curia Arcivescovile di Manfredonia, dove la signora Giovanna è stata chiamata a testimoniare ed è stata ascoltata dal Vescovo Cunial, Amministratore della Diocesi, e da alcuni Canonici. Quando nel settembre del 1923 Giovanna Rizzani non più bimba, ma giovanetta di 18 anni e studentessa di liceo, per divina disposizione si recò la prima volta a S. Giovanni Rotondo e s'incontrò con Padre Pio, venne a conoscenza dei fatti misteriosi che accompagnarono la sua nascita. Il padre della ragazza era iscritto alla Massoneria e viveva da vero massone. Nella malattia che doveva portarlo alla tomba, il palazzo, sito in Via Tiberio De Ciani, n. 33, attualmente adibito a Collegio Toppi, fu sorvegliato giorno e notte dai fratelli massoni, perché non vi entrasse alcun sacerdote. Qualche ora prima della morte, la moglie Leonilde, religiosa e pia, era presso il letto del moribondo, raccolta in lacrime e in preghiera, quando all'improvviso vide uscire dalla camera ed allontanarsi attraverso la galleria del palazzo la figura quasi evanescente di un Frate cappuccino. Si alzò subito, lo chiamò e lo seguì nella galleria, mentre il Frate si dileguava. Era addoloratissima, pensando che il marito stava morendo senza l'assistenza religiosa. In quel momento sentì il cane di guardia, legato presso l'ingresso del palazzo, ululare e guaire lamentosamente, presentendo prossima la fine del padrone. La donna, non potendo sopportare quel continuo guaire del cane, scese la scalinata per slegarlo e dargli la libertà. Fu precisamente in quell'istante, che, presa dalle doglie del parto, con incredibile celerità, diede alla luce una graziosa bimba con l'aiuto del castaldo, come veniva chiamato in quei tempi l'amministratore del palazzo. Appena la giovane madre partorì, ancora sanguinante, ebbe tanta forza e coraggio, da prendere nelle sue braccia la neonata, risalire la scalinata, posarla sul letto e correre presso il marito moribondo. Alla scena del parto assistettero da lontano alcuni massoni di guardia e il Parroco di San Quirino, accorso per assistere il moribondo, ma impedito di entrare nel palazzo. Il castaldo, sapendo che presso l'ingresso vi era il sacerdote, in attesa di potere entrare, vedendo la nascita prematura della bimba, e la prepotenza dei massoni, preso da forte sdegno, gridò: «Fate entrare il sacerdote. Voi potete impedire che vada ad assistere il moribondo, ma non avete alcun diritto d'impedirgli che vada a battezzare la fragilissima bimba, nata or ora prematura». Così si permise al sacerdote di entrare nel palazzo e di amministrare i sacramenti al moribondo, che implorava perdono, ripetendo: «Mio Dio, mio Dio, perdonami». Spentosi serenamente il signore Giovanni Battista Rizzani, il sacerdote si affrettò a battezzare la fragile bimba, appena nata. La giovane vedova, rimasta sola coi suoi bimbi, decise di trasferirsi a Roma presso i genitori. Qui la piccola Giovanna crebbe sotto lo sguardo vigile della mamma e dei parenti nella bontà, nella pietà e negli insegnamenti della religione cattolica. Frequentò con profitto le scuole ginnasiali e liceali. Durante l'ultimo anno di liceo, fu molto tormentata da dubbi di fede, istillati da professori agnostici e increduli. Non trovò mai un sacerdote disposto ad illuminarla e a dissiparle i dubbi.

Incontro con Padre Pio nella Basilica di S. Pietro

Un tardo pomeriggio dell'estate 1922, Giovanna si recò insieme con un'amica nella Basilica di S. Pietro, sperando d'incontrare un dotto e santo sacerdote, che l'avesse illuminata nei dubbi di fede, che tanto la molestavano. Ma a quell'ora non vi era servizio di sacerdoti. Avanzando con l'amica lungo la Basilica, quasi deserta, incontrò uno dei sacristi, al quale domandò dove trovare un sacerdote. Il sacrista, rispose che, data l'ora tarda, quasi della chiusura, i sacerdoti, addetti al servizio, erano andati via. Poi aggiunse: «Ci vuole ancora una mezz'ora per chiudere... girate... potrebbe darsi che ne incontriate qualcuno...». Le due giovanette, giunte nel centro della Basilica, dove comincia la crociera, si diressero a sinistra e qui incontrarono un giovane sacerdote cappuccino. Giovanna lo avvicinò e gli chiese se potesse ascoltarla, per rasserenare il suo animo. Il Padre rispose di sì ed entrò nel secondo confessionale. La ragazza disse: «Padre non sono venuta per confessarmi, ma per essere illuminata in tanti dubbi di fede, che mi tormentano, specialmente quello sul mistero della SS. Trinità». Il Padre con parole semplici e facili, cominciò a dissiparle le ombre del dubbio. Le disse: «Figlia mia, chi può spiegare i misteri di Dio? Si dicono misteri, perché non si possono comprendere con la nostra piccola intelligenza. Possiamo farci qualche pallida idea dalle similitudini. Hai visto qualche volta ammassare la pasta per fare il pane? La massaia che cosa fa? Prende la farina, il lievito e l'acqua. Sono tre elementi distinti: la farina non è lievito, né acqua; il lievito non è farina, né acqua; l'acqua non è farina, né lievito; li ammassa insieme e da tre elementi, distinti l'uno dall'altro, forma una sola sostanza. Quindi, tre elementi distinti ammassati insieme, danno una sola sostanza. Con questa pasta fa tre pani, che hanno la medesima e identica sostanza, ma sono distinti nella forma l'uno dall'altro. Quindi tre pani distinti l'uno dall'altro, ma un'unica sostanza. Da questa similitudine portiamoci a Dio. Dio è Uno nella Natura, Trino nelle Persone, eguali e distinte l'Una dall'Altra. Il Padre non è il Figlio, né lo Spirito Santo; il Figlio non è il Padre né lo Spirito Santo; lo Spirito Santo non è il Padre, né il Figlio. Il Padre genera il Figlio; il Figlio è generato dal Padre; lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio. Sono tre Persone uguali e distinte e un solo Dio: perché unica e identica è la natura divina». Soffermandosi su questo concetto, il dotto sacerdote, illuminato dalla grazia, seppe dissipare con facilità i dubbi dalla mente della giovane, la quale, raggiante di gioia, dopo avere ricevuto la benedizione, si tolse dallo sportello del confessionale e si avvicinò all'amica, esclamando: «Quanto è buono questo Frate! È un sacerdote dotto e santo. Mi ha dissipato ogni dubbio... Aspettiamo che esca dal confessionale per chiedergli l'indirizzo della sua residenza, così quando avremo bisogno di confessione e di consigli, andremo da Lui». Il Padre cappuccino non usciva dal confessionale. Ripassò il sacrista e disse: «Signorine, siete pregate di uscire dalla Basilica, perché bisogna chiudere. Venite domani mattina e vi confesserete». Giovanna rispose: «Nel confessionale c'è un Padre cappuccino: aspettiamo che esca per baciargli la mano». Il sacrista, temendo di chiuderlo dentro, si avvicinò, aprì lo sportello e non vide nessuno... «Signorine, qui non c'è nessuno!...». Giovanna, turbata e sbalordita, esclamò: «Da dove è uscito? Siamo state qui senza muoverci e non l'abbiamo visto uscire!... È un mistero...».

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Incontro con Padre Pio a San Giovanni Rotondo

Nelle vacanze estive del 1923, la giovane universitaria Giovanna, insieme con una zia e con delle amiche, si recò la prima volta a S. Gio- vanni Rotondo per conoscere Padre Pio. Era di pomeriggio. Il corridoio, che dalla piccola sacrestia immette nella clausura del convento, era gremito di fedeli, fra cui alcune distinte personalità. La signorina Giovanna si trovò davanti nella prima fila. Padre Pio, passando, la guardò, si avvicinò, le porse a baciare la mano e le disse: «Giovanna! io ti conosco, tu sei nata il giorno in cui morì tuo padre». A queste parole, la ragazza rimase sbalordita. Come poteva sapere Padre Pio il giorno della sua nascita in coincidenza con la morte di suo padre? Il mattino seguente, Padre Pio confessava le donne senza la prenotazione. Dopo la confessione della zia, Giovanna si avvicinò allo sportello. Padre Pio, la benedisse e cominciò subito: «Figlia mia, finalmente sei venuta! Da quanti anni ti sto aspettando...». La ragazza immediatamente rispose: «Padre, che cosa volete da me? Io non vi conosco. È la prima volta che vengo a S. Giovanni Rotondo. Ho accompagnato la zia. Forse avete preso un abbaglio, mi avete scambiata con qualche altra ragazza». Padre Pio: «No: non mi sono sbagliato, né ti ho scambiata con un'altra ragazza. Tu già mi conosci». Giovanna: «No, Padre; ripeto: non vi conosco. Non vi ho mai visto». Padre Pio: «L'anno scorso, in un pomeriggio d'estate, ti recasti con un'amica nella Basilica di S. Pietro, in cerca di un sacerdote che ti avesse illuminata nei tuoi dubbi. È vero?». Giovanna: «Sì, Padre è vero». Padre Pio: «Si presentò un Padre cappuccino, il quale ti ascoltò, dissipò i tuoi dubbi e ti ridonò la serenità; ricordi?». Giovanna: «Sì, Padre, ricordo benissimo». Padre Pio: «Quel cappuccino ero io». Alle parole di Padre Pio, la ragazza rimase emozionata e allibita. Ecco svelato il mistero della scomparsa del Padre cappuccino dal confessionale in S. Pietro di Roma. Padre Pio si era bilocato, come già molti anni prima gli aveva predetto la Madonna, quando disse: «Non dubitare, sarà lei che verrà da te, ma prima la incontrerai in S. Pietro». Padre Pio continuò: «Figlia mia, ascoltami. Quando tu stavi per nascere, la Madonna mi ha portato a Udine nel tuo palazzo. Mi ha fatto assistere alla morte di tuo padre, dicendomi: "Vedi, in quella camera sta morendo un uomo: è il capo della famiglia. Egli è salvo per le preghiere e per le lacrime della moglie e per la mia intercessione. Tu prega per lui". La Madonna poi riprese: "La moglie dell'uomo che muore sta per dare alla luce una bimba. Affido a te questa creatura. È una pietra preziosa allo stato grezzo: lavorala, levigala, rendila il più lucente possibile, perché un giorno voglio adornarmene". Figlia mia, disse Padre Pio, tu mi appartieni. Sei stata affidata alle mie cure dalla Madonna. Quando io risposi alla Madonna che mi sarebbe stato impossibile prendermi cura della tua anima, a causa della lontananza, Ella mi disse: "Non dubitare, sarà lei che verrà da te, ma prima la incontrerai in S. Pietro". L'anno scorso t'incontrai in S. Pietro: ora sei venuta qui, a S. Giovanni Rotondo spontaneamente, senza che io ti avessi chiamata. È ora che io prenda cura dell'anima tua, come vuole la Mamma celeste». La ragazza, emozionatissima, scoppiò a piangere; poi rispose: «Padre, poiché io vi appartengo, prendete cura di me. Ditemi che cosa debbo fare. Mi devo fare suora?». Padre Pio: «Nulla di questo. Tu verrai spesso a S. Giovanni Rotondo; io avrò cura della tua anima e conoscerai la volontà di Dio». La ragazza, benedetta da Padre Pio, si tolse dal confessionale con le lacrime agli occhi, tra la meraviglia e la curiosità della zia, che voleva sapere la ragione della lunga confessione e delle lacrime. Giovanna conservò gelosamente il suo segreto; si mise sotto la direzione spirituale di Padre Pio, e spesso da Roma intraprendeva il viaggio per S. Giovanni Rotondo, per essere diretta ed illuminata dal caro Padre nelle vie della perfezione. Un giorno, dopo la confessione, con l'animo pieno di gioia, esclamò: «Padre, mi volete bene davvero?». Padre Pio: «Come non dovrei volerti bene! Tu sei il primo parto del mio cuore. Ama Gesù. Ama la Madonna, che ha pensato a te, prima di nascere».

Terziaria Francescana

Dopo qualche tempo, Padre Pio disse alla figlia spirituale, affidatagli dalla Madonna: «Figlia mia, desidero tanto che tu entri a fare parte della Famiglia Francescana nel Terz'Ordine. Qui potrai attingere e vivere lo spirito evangelico del Serafico Padre. È mio ardente desiderio che tutti i miei figli spirituali appartengano ad una delle Famiglie Francescane, per sentirmi vero Padre e Fratello». La ragazza, con l'animo sovrabbondante di gioia, rispose all'invito del caro Padre, il quale le impose lo scapolare e il cordone all'altare della Madonna delle Grazie, dandole il nome di Suor Iacopa. Quando la signorina sentì il nome di Iacopa, impallidì e disse: «Padre! che brutto nome. Non mi piace. Datemi il nome di Suor Chiara». Padre Pio: «No. Ti chiamerai Suor Iacopa». La ragazza: «Perché mi date questo nome?». Padre Pio: «Hai letto la vita di S. Francesco? In un capitolo si legge di una nobile matrona romana, Iacopa de' Settesoli, chiamata da S. Francesco "Madre carissima del nostro Ordine" e "nostro fratello Iacopa" per la sua grande carità e generosità verso i Frati e per il suo carattere forte nel proteggere e difendere l'Ordine: ebbene, questa signora ebbe il privilegio di assistere alla morte del Serafico Padre S. Francesco. Ricordati che un giorno tu assisterai alla mia morte». Giovanna tacque.

Sotto la guida illuminata del padre

Un giorno si recò nella Basilica di S. Maria Maggiore a Roma per ascoltare la S. Messa ed avvicinarsi alla S. Comunione. Volle prima riconciliarsi e si accostò al confessionale del P. Innocenzo Taurisano, Penitenziere Domenicano. Questi, conoscendo la delicatezza e la bellezza dell'anima di Giovanna, le disse: «Cara figliola, la tua vita non è fatta per la famiglia e per le cose di questo mondo, ma per il Signore. Ti consiglio di abbracciare la vita religiosa in un monastero o in un Istituto di Suore». La giovane non rispose, ma restò perplessa e disorientata. Il consiglio del P. Taurisano era in contrasto con le direttive di Padre Pio. Decise di partire subito per S. Giovanni Rotondo e parlarne al suo Padre Spirituale. Padre Pio, senza esitazione, con parole chiare e distinte le disse: «Figlia mia, non sul Tabor, ma sul Calvario ti vuole Gesù. La vita religiosa è il Tabor. Il matrimonio è il Calvario. Sul Tabor si cerca, si trova e si vive l'unione con Dio nella preghiera e nella contemplazione. Sul Calvario si trova la sofferenza nella crocifissione con Gesù». La signorina Giovanna, rasserenatasi alle parole di Padre Pio, ritornò lieta a Roma. Ormai non aveva alcun problema della sua vita, che era nelle mani di Dio e sotto la guida e la responsabilità di un santo Sacerdote e grande maestro di spiritualità. Questa prediletta figlia spirituale di Padre Pio, un giorno gli chiese una preghierina da recitare prima del pranzo e della cena. Padre Pio le raccomandò il «Padre Nostro» e poi le dettò questa preghiera: «O Signore, tu che provvedi e pasci gli uccelli dell'aria, provvedi e pasci anche noi, che non sappiamo né seminare, né mietere e né raccogliere. Vieni, benedici il nostro cibo e dànne anche a chi non ne ha». La signora Leonilde Serrao, nota scrittrice dei suoi tempi, non aveva mai conosciuto Padre Pio. Ne sentì parlare, ma non si recò mai a S. Giovanni Rotondo. Un giorno, incoraggiata dalla figlia, intraprese il viaggio per S. Giovanni Rotondo. Volle confessarsi con Padre Pio, il quale, dopo la confessione le disse: «Signora, quel monacello che tu vedesti allontanarsi per la galleria nel palazzo di Udine, mentre moriva tuo marito, ero io. Ti assicuro che tuo marito è salvo. La Madonna che mi apparve nel palazzo e che mi esortò a pregare per il moribondo mi disse che Gesù gli aveva perdonato tutte le sue colpe e che era salvo per la sua materna intercessione». Così Padre Pio spiegò il mistero del fraticello che usciva dalla camera del moribondo e si dileguava nella galleria del palazzo.

Una testimonianza di umiltà

La signora Giovanna Rizzani mi ha consegnato un foglio, in cui ha scritto un giudizio del Padre Taurisano riguardo all'umiltà ed alla sottomissione di Padre Pio alla S. Chiesa. Riporto fedelmente il suo scritto. «Posso attestare che quanto dichiaro mi fu narrato da Padre Innocenzo Taurisano, domenicano, penitenziere di S. Maria Maggiore in Roma, che per diversi anni è stato mio confessore. Durante il periodo che il nostro venerato Padre Pio non scendeva in Chiesa e celebrava la santa Messa nella Cappellina interna del Convento (allora noi si andava a San Giovanni Rotondo solo per riconoscere i suoi colpi di tosse in Coro), Padre Innocenzo Taurisano fu inviato a interrogare il Padre. Egli mi disse: "Ero partito prevenuto". (So che Padre Taurisano era discorde da Padre Pio anche nell'indirizzo da dare alla mia vita). Dopo averlo interrogato, gli dichiarò: "Padre, sa che ho avuto la facoltà di farla sospendere a divinis?". Egli umilmente, chinando commosso la testa, rispose: "Basta che non mi tolgano la S. Eucaristia". A questa risposta Padre Taurisano disse: "Hic est digitus Dei". Dopo un mese, il 16 luglio 1933, Padre Pio riapparve in Chiesa a celebrare la santa Messa. Ho voluto dichiarare quanto sopra in fede per un'ennesima dimostrazione dell'infinita umiltà del venerato ed amato Padre». Giovanna Rizzani

Giovanna sposa e madre

Un giorno si presentò alla signorina Giovanna Rizzani un giovane di bell'aspetto della nobile famiglia dei Principi Chigi di Roma. La chiese in sposa. A Giovanna fece subito colpo e piacque l'aristocratico e nobile giovane, ma prese tempo per dargli la risposta. Partì per S. Giovanni Rotondo a consigliarsi col suo Padre spirituale, al quale disse che il giovane apparteneva ad un'ottima famiglia cattolica, molto vicina al Vaticano, che era ben formato moralmente, religiosamente e intellettualmente. Padre Pio le rispose: «Figlia mia, se ti senti di abbracciare la croce, fai pure il passo: è questo il giovane che ti affida la divina Provvidenza; altrimenti non ci pensare più». Giovanna, sposando il giovane marchese, sapeva che il suo matrimonio doveva essere una missione di bene ed un calvario; ma la donna forte, sorretta dalla grazia del Signore, dai consigli e dalle preghiere di Padre Pio abbracciò con generosità la croce e non vacillò mai. Con una grande fede, con l'amore e coi sacrifici, seppe formarsi una famiglia secondo il cuore di Dio. Non lasciò mai solo il marito. La sua presenza e compagnia gli era di grande aiuto e conforto. Lo seguì in diverse città, dove egli aveva impegni di lavoro. Peregrinando di qua e di là per l'Italia non cambiò mai il suo programma di vita. Da sposa docile e fedele fu sempre pronta a seguirlo nei continui spostamenti. La sua vita cominciò ad essere dura e insostenibile. Un giorno trovandosi sola in una villa incantevole dell'isola di Rodi, stanca della solitudine, decise di ritornare a Roma presso i suoi cari di famiglia. Mise qualche indumento nella valigia e si avviò verso l'uscita, dove le apparve Padre Pio, e le disse: «Dove vai? Hai dimenticato la tua missione? Torna indietro». La visione scomparve. Confortata dalla vista e dalla voce del suo Padre spirituale, rientrò rasserenata in casa. Ritornata a Roma, riprese le sue peregrinazioni a S. Giovanni Rotondo per corroborare il suo spirito dalla viva voce di Padre Pio. Ogni mattina andava ad ascoltare la S. Messa e a ricevere Gesù Sacramentato nel suo cuore. Delicata di coscienza, si confessava con frequenza. In ogni confessionale soleva ripetere, contro la volontà di Padre Pio, i medesimi difetti e peccati, già confessati tante altre volte. Un giorno Padre Pio le disse: "Se non smetti di ripetere continuamente gli stessi difetti, dovunque ti troverai, verrò e ti darò un ceffone, che ricorderai per tutta la vita". La penitente promise che non li avrebbe più confessati, ma erano vane promesse.

Uno schiaffo sonoro

La signora Giovanna, trovandosi a Napoli per impegni di lavoro del marito, una mattina si recò nella chiesa dei Padri Missionari del Sacro Cuore a Marechiaro di Posillipo per confessarsi. Alla fine della confessione, dimentica della promessa fatta a Padre Pio, accusò nuovamente i soliti peccati e si accostò all'altare del SS. Sacramento per soddisfare alla penitenza. Mentre stava pregando, ricevette da una mano invisibile uno schiaffo così sonoro, da essere avvertito in tutta la Chiesa. Il confessore, alla risonanza dello schiaffo, sporse il capo fuori del confessionale per vedere che cosa fosse successo; ma si rassicurò, non vedendo altra persona, presso l'altare del sacramento, che la penitente in ginocchio. Quando la signora Giovanna ritornò da Padre Pio, gli disse: «Se non smetti di accusare sempre le stesse colpe, avrai un altro schiaffo più tremendo di quello che hai ricevuto». D'allora in poi la penitente non osò più ripetere i peccati già confessati.

«Vieni subito a San Giovanni Rotondo»

Nell'ultimo anno della vita terrena di Padre Pio, Giovanna per alcuni mesi si assentò da S. Giovanni Rotondo. Un giorno Padre Pio le fece sentire la sua voce: «Vieni subito a S. Giovanni Rotondo, perché me ne vado. Se ritardi, non mi vedrai più». L'anziana signora, senza perdere tempo, accompagnata dall'amica Margherita Hamilton, si recò subito a S. Giovanni Rotondo e prese alloggio presso una pensione vicina al Convento. Quattro giorni prima della morte di Padre Pio, ebbe la fortuna e la gioia di confessarsi per l'ultima volta. Il Padre, quando la vide, disse: «Questa è l'ultima confessione che fai con me. Ora ti do l'assoluzione da tutti i peccati commessi dall'uso di ragione fino a questo momento». La signora: «Perché, Padre?». Padre Pio: «Già te l'ho detto che non posso più confessarti, perché me ne vado... È arrivata l'ora mia... Gesù mi viene incontro». La signora capì subito che Padre Pio stava per lasciare questa terra e con le lacrime agli occhi si tolse dallo sportello; si fece davanti per baciargli la mano e per offrirgli cinquantamila lire a beneficio dell'ospedale. Padre Pio: «Ti ho detto di tenerti il denaro, perché ne avrai bisogno... ti tratterrai qui ancora parecchi giorni», alludendo alla permanenza prolungata a causa della sua morte e dei funerali. La signora scoppiò a piangere.

Assiste alla morte di Padre Pio

Nel pomeriggio del 22 settembre 1968, mentre sul piazzale del convento si commentavano in varie lingue le stazioni della Via Crucis, in programma in occasione del Congresso Internazionale dei Gruppi di Preghiera, riconosciuti ufficialmente dalla Sacra Congregazione dei Religiosi, la signora Giovanna si trovava con l'amica Margherita presso l'entrata centrale della grande Chiesa. Passandole io dinanzi, mi fermò e mi disse: «Padre Alberto, posso chiedervi un favore?». Le risposi che, se potevo, ben volentieri, l'avrei fatto. Ella soggiunse: «Vorrei una di quelle rose, che sono nei vasi di cristallo sull'altare, dove Padre Pio questa mattina ha celebrato la sua ultima S. Messa». In quell'istante non feci riflessione alle parole «la sua ultima S. Messa» pensando che fosse l'ultima in ordine di tempo, e non nel senso pronunziato dalla signora, che già era a conoscenza della prossima morte di Padre Pio. Risposi che l'impresa si presentava difficile, dato che la Chiesa era gremita di fedeli e che Padre Pio già si trovava in preghiera sul matroneo dell'Altare Maggiore, ma avrei fatto il possibile per accontentarla. Andai direttamente sull'Altare, finsi di preparare l'occorrente per la celebrazione della S. Messa; poi allungando la mano, tirai due rose, incurante delle proteste di alcune donne. Portai le due rose alla signora Giovanna, che attendeva all'ingresso della Chiesa. Mi ringraziò e pianse. Quella medesima sera, Padre Pio, dopo avere benedetto più volte le migliaia di figli spirituali acclamanti, venuti a S. Giovanni Rotondo da varie parti del mondo, si ritirò nella cella per prepararsi all'incontro con la sorella morte. Fu allora che Suor Iacopa si trovò in spirito nella cella di Padre Pio per assistere al suo beato transito, come le aveva predetto il caro Padre molti anni prima, quando la vestì Terziaria francescana e le impose il nome di Suor Iacopa. La pia signora assistette minuto per minuto alle ultime ore del Padre. Lo vide soffrire; lo vide pregare... confessarsi con Padre Pellegrino... rinnovare i voti religiosi... lo vide alzarsi da letto e portarsi da solo sulla veranda... vide poi i tre medici in camice bianco che lo assistevano. Vide Padre Paolo che gli somministrava l'Olio Santo. Quando Padre Pio spirò, la signora emise un forte grido: «È morto Padre Pio! È morto Padre Pio!». Si svegliò l'amica Margherita che riposava nella medesima camera, dicendole di smettere di gridare, che era un sogno, un incubo. Si svegliarono tutti nella pensione. Suor Iacopa si vestì frettolosamente, uscì dalla pensione e corse sul piazzale del Convento, dove già si erano radunate molte persone, mentre un Padre Cappuccino dava l'annunzio ufficiale della morte di Padre Pio. La signora Giovanna, qualche giorno dopo, mi chiamò alla pensione, dove alloggiava, e mi raccontò quanto ho scritto su questi fogli, concludendo che si trovò nella cella di Padre Pio nelle ultime due ore della sua vita e assistette al suo beato transito. Io non ci volli credere. Allora la signora mi disse: «Padre Alberto, io vi descriverò la cella di Padre Pio nei minimi particolari: voi mi dovete rispondere semplicemente: "Sì" o "no"». Quando la signora mi descrisse la cella del Padre e tutto ciò che vi era dentro, nei minimi particolari, esclamai: «Basta signora! Sì, io credo che lei è stata nella cella di Padre Pio ed ha assistito alla sua morte». Debbo chiarire che la cella di Padre Pio prima del dicembre 1969 non era mai stata fotografata e che nessuna donna vi era entrata. La signora Giovanna Rizzani, nel Terz'Ordine Suor Iacopa, è un'anima molto pia, mite, umile e caritatevole. Schiva del chiasso, del mondo e dei facili entusiasmi delle anime superficiali, soffre quando si presentano a lei persone fanatiche, che si dicono figlie spirituali di Padre Pio ed avanzano strane ed insulse proposte. È stata chiamata dalle Autorità Religiose a testimoniare su quanto ho narrato per il processo di beatificazione di Padre Pio.

Una dichiarazione di Margherita Hamilton

Margherita Hamilton, deceduta nell'aprile 1974, ha lasciato scritto su un foglio la scena dolorosa che si stava verificando nella camera di una pensione in S. Giovanni Rotondo, dove alloggiava insieme con l'amica Giovanna, durante le ultime ore della vita terrena di Padre Pio. Con semplicità e con verismo descrive la trepidazione, la paura, la sofferenza di Giovanna, che, già presente la fine del caro Padre, si ritrova in spirito nella sua cella, come le predisse quando le impose il nome di «Iacopa» nella ammissione al Terz'Ordine Francescano. Riporto fedelmente quanto la Hamilton ha scritto a matita. «Il 23 settembre 1969, primo anniversario del transito di Padre Pio, una mia amica cara ed io ci recammo a S. Giovanni Rotondo per prendere parte alle onoranze tributate al nostro amatissimo Padre spirituale. Furono una vera apoteosi e, finite le imponenti funzioni, ci ritrovammo con altri figli spirituali per una commemorazione più ristretta, nella quale alcuni di loro narravano il proprio ricordo personale del Padre. Finita anche questa, mentre uscivamo dalla sala, venne chiesto alla mia amica se anch'essa non avesse qualcosa da raccontare. Nella sua modestia ella non volle parlare, ma m'incaricò di scrivere quanto avvenne nella notte della morte del Padre, essendo io stata testimone di quanto le era accaduto. Il 20 settembre l'affluenza delle persone, venute per il 50mo anniversario delle Stigmate del Padre e per la riunione dei Gruppi di Preghiera nei giorni seguenti, fu grandissima e non si trovava più un posto per dormire in tutto il paese. Per carità cristiana, noi che normalmente dormiamo in camere singole, fummo pregate di accontentarci di una sola camera, lasciandone una per quelli che non avevano alloggio e noi lo facemmo volentieri. La sera del 22 ci coricammo stanchissime e addolorate per l'aspetto sofferente del Padre e continuammo a discorrere tra noi fin verso la mezzanotte quando spegnemmo il lume. Dopo circa mezz'ora Giovanna si lagnò con me per i cani, che guaivano. Io non li avevo sentiti, ma quando essa me lo disse, prestai orecchio ed udii distintamente i cani guaire a morto (come suol dirsi in Toscana), come se dialogassero tra loro; pensai e dissi che forse c'era la luce e che per questo mugolavano così. Finalmente ci addormentammo. Improvvisamente fui destata di soprassalto da un grido della mia amica. Accesi il lume, vidi l'ora e dissi: "Ma che ti piglia! Sono le 2.25..." Ma lei, agitatissima: "O Dio mio, il Padre sta malissimo! Ero nella sua cella e c'erano tanti frati! e tristi!...". "Quanti?" "Credo cinque, e mi pare che uno avesse un saio sul braccio e due vestiti di bianco..." "Ma il Padre dov'era?". "Non l'ho visto, perché erano tutti chinati, guardando in giù. Il Padre sta male, ne sono certa". Io tentai di calmarla, dicendo che era un incubo, che aveva fatto un brutto sogno, che si calmasse; ma lei continuò a dire: "L'ho visto, ti dico che l'ho visto...". Dopo pochi minuti, saltò giù dal letto, dicendo: "devo sapere... io vado a vedere... a sentire...". Si vestì frettolosamente ed uscì. Io restai a letto, persuasa che sarebbe tornata presto tranquillizzata. Invece pochi minuti dopo, sentii delle grida fortissime e, pur non percependo le parole, conobbi la voce della mia cara amica. Saltai giù dal letto e così come stavo mi precipitai verso l'ingresso della pensione, giungendovi proprio mentre lei stava arrivando urlando: «ll Padre è morto! è morto! siamo tutti orfani... Come faremo a vivere senza di lui?». A questa notizia provai un acutissimo dolore al cuore e pensai: "Adesso mi viene un infarto; ma non posso, devo occuparmi di lei". La presi tra le braccia, la trascinai sul letto e la sgridai severamente, facendole presente che il Padre non avrebbe mai approvato una simile disperazione, perché Lui ci voleva come le bibliche donne forti. Pian piano si stava calmando e riuscì presto a dominarsi. Ma una cosa resta da dire, la cosa più importante, che mi era stata detta da Giovanna circa nel 1955, oltre dieci anni prima della morte del Padre. Quando Giovanna nel 1926 divenne Terziaria Francescana chiese a Padre Pio che nome dovesse prendere, sperando nel suo cuore che fosse «CHIARA», invece si sentì dire: "IACOPA... Iacopa!". "Padre, perché IACOPA?". "Non ti rammenti che IACOPA dei Settesoli fu presente alla morte di San Francesco?... Tu sarai presente alla mia morte". Così è stato». Margherita Hamilton

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La morte di Margherita Hamilton

Il 29 aprile 1974, passando per Roma, telefonai alla signora Giovanna Rizzani per sapere se avesse ricevuto una mia lettera. Mi rispose emozionata, comunicandomi la notizia della recente ed improvvisa morte della sua amica Margherita Hamilton, che io conoscevo da parecchi anni. Mi disse che l'Hamilton la notte precedente alla morte aveva visto Padre Pio, in sogno, presso il letto, che, sorridendole, la benedisse tre volte. La mattina di buon'ora, svegliatasi con l'animo pieno di gioia, le telefonò, dicendo: «Giovanna, questa notte ho sognato Padre Pio sorridente presso il mio letto e per tre volte mi ha benedetta». Giovanna: «Beata te, che hai fatto un bellissimo sogno! Io non l'ho mai fatto così bello». Margherita: «Sì, il sogno è bello e consolante, ma io ora sono tormentata da un cruccio. Ti ricordi quando ci confessammo l'ultima volta con Padre Pio?». Giovanna: «Si, mi ricordo molto bene. Ci confessammo alcuni giorni prima del suo beato transito. Mi confessai prima io e dopo ti confessasti tu». Margherita: «Dopo la confessione, chiesi a Padre Pio di venire ad assistermi nel momento della morte, ed egli mi rispose col sorriso sulle labbra: "Figlia mia, non abbandonerò mai i miei figli spirituali. Quando arriverà l'ora tua, certamente verrò. Ricordati, ti benedirò tre volte". Questa notte Padre Pio è venuto, mi ha sorriso e mi ha benedetta tre volte, dunque è arrivata l'ora della mia morte!». Giovanna: «Ma no, stai tranquilla; è un sogno. Non bisogna dare importanza ai sogni. Nel pomeriggio verrò a trattenermi un po' con te e ne riparleremo». Nel pomeriggio, Giovanna si recò a fare visita all'amica Margherita; si riprese il discorso su Padre Pio e sul sogno della notte. Mentre si stava discorrendo, improvvisamente Margherita impallidì, si sentì venire meno, colpita da un violento collasso cardiaco, che la stroncò in pochi minuti. Si spense serenamente nelle braccia di Giovanna senza un grido, senza un gemito. - Giovanna, dinanzi alla morte dell'amica, rimase turbata e impressionata. Dopo tali notizie la signora Giovanna aggiunse un altro particolare, dicendomi: «Padre Alberto, vi debbo ancora dire qualche altra cosa. Durante la nostra lunga amicizia, parecchie volte ci scambiammo la promessa, non per tentare il Signore, ma per scherzo, che chi fosse morta prima, sarebbe apparsa all'altra per assicurarla dell'altra vita. La terza sera dopo la sepoltura di Margherita, mentre mio marito si tratteneva nel salotto, io, seduta sul letto, con la corona nelle mani e con la luce accesa, stavo recitando il santo rosario in suffragio dell'anima benedetta della mia cara amica, allorché, fissando lo sguardo sul seggiolone, dove mio marito nel pomeriggio è solito fare il pisolino, vidi seduta Margherita. Non volevo credere a tale visione, pensai subito ad una allucinazione o ad un'autosuggestione; mi stropicciai gli occhi, per fare svanire l'immagine, ma Margherita non si muoveva, era lì seduta che mi guardava. Mi feci coraggio e gridai: "Margherita, sei tu?". Margherita, alzandosi rispose: "Sì, Giovanna, sono io. Non temere. Il Signore nella sua infinita bontà mi ha permesso di venire a dirti che sono in luogo di salvezza; ma tu prega, prega per me. Non puoi immaginare quanto mi è stata dolce la morte. Padre Pio mi fu vicino ad assistermi". Pronunziate queste parole, l'immagine della mia cara amica, svanì nel nulla, lasciandomi in una grande serenità di spirito. Scesi subito dal letto e andai nel salotto a raccontare l'accaduto a mio marito, che rimase impressionato e pensoso».

PROFEZIA E BILOCAZIONE

«Cinquant'anni dinanzi a noi»

Alle prime ore del 23 settembre 1968, si avverarono le parole profetiche di Padre Pio, dette cinquant'anni prima al signore Vinelli Modesto, giovane fotografo ambulante, che, nel 1918, quando il Padre ricevette le sacre stimmate, riuscì a scattare qualche foto e, stampandone parecchie copie, le vendeva a chi ne volesse. Avvenne un increscioso incidente a Rodi Garganico, dove un uomo, vedendo le foto di Padre Pio, cominciò a imprecare e a bestemmiare, chiamandolo impostore ed avutane una nelle mani, la strappò e la calpestò sotto i piedi. Il Vinelli reagì immediatamente con calci e ceffoni. Si accese una zuffa violenta, in cui quell'uomo fu ferito, Vinelli fu chiuso in carcere per quaranta giorni. Uscito dalla prigione, ritornò a S. Giovanni Rotondo e presentatosi a Padre Pio, gli disse: «Padre, per causa vostra, sono andato in galera». Padre Pio: «Per causa mia? Che cosa hai fatto?». Vinelli gli raccontò l'accaduto. Padre Pio lo riprese, dicendogli di tenere le mani a posto e di essere più paziente. Poi, ringraziandolo dell'affetto e del coraggio nel rimproverare il bestemmiatore, gli disse: «Modesto, ricordati, abbiamo cinquant'anni dinanzi a noi». Vinelli non capì il significato delle parole di Padre Pio; ogni anno immancabilmente, il 20 settembre, porgeva gli auguri per l'impressione delle stimmate. Nel venticinquesimo anniversario, secondo il solito, dando gli auguri, si sentì rispondere: «Modesto, sono passati venticinque anni! Abbiamo ancora venticinque anni dinanzi a noi!...». Vinelli cominciò a preoccuparsi e a pensare agli anni che passavano velocemente. La scena degli auguri si ripeteva ogni anno; Modesto con trepidazione sempre crescente, man mano che passavano gli anni, cominciò a contare alla rovescia. Alcuni giorni prima del cinquantesimo anniversario delle stimmate di Padre Pio, Vinelli mi raccontò questo piccolo episodio della sua vita, che iniziato nel 1918, stava per concludersi dopo cinquant'anni. Mi espresse il timore della sua prossima fine. La mattina del 20 settembre, prima che Padre Pio vestisse i paramenti sacri per la celebrazione della S. Messa, vidi entrare in sacrestia Vinelli. Mi meravigliai come fosse entrato, essendo le porte chiuse. Mi disse che lo aveva fatto entrare un Padre. Avvicinatosi a Padre Pio, s'inginocchiò, baciò la mano e diede gli auguri. Padre Pio, vedendolo, disse: «Modesto sono passati i cinquant'anni». Per poco Modesto non cadde morto a terra. Lo aiutai a rialzarsi: tremava come una foglia. Lo incoraggiai, dicendogli che le parole di Padre Pio non erano rivolte a lui, come immaginava, ma alla prossima fine del venerato Padre. Il 1918 nel dire che vi erano cinquant'anni dinanzi, Padre Pio voleva alludere ai cinquant'anni della sua crocifissione e nello stesso tempo fargli capire che per cinquant'anni avrebbe beneficiato dei meriti delle sue sofferenze, delle sue SS. Messe, delle preghiere, delle benedizioni e dei consigli. Infatti, due giorni dopo, Padre Pio si spense serenamente. Modesto, purificato dalla sofferenza e dalla preghiera, ha raggiunto Padre Pio nella patria celeste, il 2 marzo 1983.

«Ritornerete a Pietrelcina!»

Nell'aprile del 1960 incontrai sul piazzale di S. Maria delle Grazie a S. Giovanni Rotondo due figlie spirituali di Padre Pio e insigni benefattrici del convento di Pietrelcina, Grazia Pannullo e Lucia Iadanza, le quali, dopo avermi salutato, dissero: «P. Alberto, l'anno venturo ritornerete a Pietrelcina, ce lo ha detto Padre Pio». Risposi: «Non è possibile. Sono Parroco a S. Severo e non credo che i superiori mi vogliano trasferire ora che ho preso conoscenza di tutta la Parrocchia e mi trovo in piena attività di lavoro e di apostolato. Non ci verrei neppure volentieri, perché mi dispiacerebbe cambiare lavoro ed abitudini per ritornare indietro». Le donne soggiunsero: «Padre Alberto, vi abbiamo voluto sempre bene, perché non volete più venire a Pietrelcina? La popolazione vi ricorda con stima e con affetto e desidera che torniate a Pietrelcina». «Sono sempre grato alla popolazione pietrelcinese per la stima e per la benevolenza prestatami in tutti i momenti, nei tre anni di residenza. Ormai sono passati tanti anni, tutto è cambiato. Del resto, sono Religioso e in caso di trasferimento, dinanzi all'obbedienza, non potrò rifiutarmi». Le donne: «Vi attendiamo in mezzo a noi, come ci ha assicurato Padre Pio». Nel settembre del 1961, alla distanza di un anno e mezzo, la profezia di Padre Pio si avverò. Nella congregazione capitolare fui trasferito a Pietrelcina come Vicario e l'anno dopo fui nominato Superiore, riprendendo tutta l'attività del primo triennio nel Terz'Ordine, nella Gifra e nella stessa Parrocchia, assistita da noi Religiosi, per una lunga malattia del vecchio Parroco. Padre Pio era prodigo di consigli e di incoraggiamenti nelle varie iniziative per il bene del suo paese nativo. La permanenza a Pietrelcina questa volta durò poco, due anni e tre mesi. Con la venuta dell'Amministratore Apostolico, P. Clemente da S. Maria in Punta, in Provincia ci fu uno spostamento generale di tutti i Frati ed io fui trasferito per la seconda volta a S. Severo come Superiore del convento. Non tutti i mali vengono per nuocere. Il Signore, nei disegni della sua divina bontà, aveva disposto che negli ultimi anni della vita terrena di Padre Pio gli fossi vicino. Infatti, gli incontri col venerato Padre divennero settimanali. Potevo dire che gli ero sempre vicino, ora per un motivo, ora per un altro, per accompagnare persone, per domandare consigli per me, e per tutti quelli che non potendo avvicinare il Padre, venivano a chiedere il mio aiuto. Ordinariamente andavo a chiedergli consigli per gli infermi, che non sapevano quale decisione prendere, in casi difficili di discordanza dei medici; o per risolvere situazioni delicate; o per tranquillizzare anime tormentate da dubbi e da scrupoli; o per preghiere. Quante volte Padre Pio mi disse: «Rispondi tu... dagli tu il consiglio... Tu non sai dare il consiglio?». «Padre, temo di sbagliare». Padre Pio: «Prima di scrivere o di dare a voce il consiglio, prega. Il Signore ti assiste e non puoi sbagliare». Spesso mi capitava che, quando davo un consiglio, autorizzato dal caro Padre, mi sentivo inquieto e timoroso di avere sbagliato, mi recavo subito da lui a riferire il consiglio dato. Padre Pio mi rinfrancava con poche parole: «Hai consigliato bene... avrei dato anch'io lo stesso consiglio». I consigli di Padre Pio erano illuminati e sapienti. Qualche volta le sue parole sembravano errate e, alle osservazioni, rispondeva: «Non sono il Padre eterno. Do il consiglio secondo ciò che mi dicono e mi raccontano... secondo il modo di espormi e di presentarmi i casi... Se travisano le mie parole, che colpa ho io!...».

«Pensasse alla morte»

Un episodio conferma l'asserzione di Padre Pio. In una città dell'Italia centrale, una vedova mi diede l'incarico di chiedere a Padre Pio se poteva risposarsi con un vedovo. Entrambi di età sulla cinquantina, avevano una figlia ciascuno sui diciotto anni. Recatomi a S. Giovanni Rotondo, riferii il desiderio della vedova a Padre Pio, che mi rispose: «Pensasse alla morte». Soggiunsi: «Padre, che cosa devo rispondere?». Padre Pio: «Ti ho dato la risposta». Scrissi alla signora addolcendo l'espressione, dicendo di pensare a santificarsi. La signora, non soddisfatta della risposta per corrispondenza si rivolse al Cappellano di Casa Sollievo della Sofferenza e ad una suora, pregandoli d'interrogare Padre Pio sul suo secondo matrimonio. I due incaricati le risposero, l'uno che Padre Pio benediceva il matrimonio ed augurava numerosa prole, l'altra che Padre Pio approvava e benediceva il matrimonio. L'anno successivo, recatomi nella stessa città e incontrata la signora, non sapendo che ella si fosse rivolta ai due Religiosi per lo stesso incarico dato a me, chiesi scusa della risposta negativa di Padre Pio. La signora sorridente mi disse: «Padre non si offenda, se dopo la sua risposta, mi sono rivolta a Padre S. e a Suora M., ai quali Padre Pio disse che benediceva il mio matrimonio». Io: «Non credo che Padre Pio ci abbia ripensato...». La signora, per convincermi, mi presentò le due lettere, che io lessi stupito ed incredulo, per gli auguri espressi in una delle lettere. Pregai la signora di darmele, per portarle a Padre Pio; ma si rifiutò, dicendomi che non era il caso, dato che si era già sposata. Ritornato a S. Giovanni Rotondo, andai da Padre Pio e gli dissi: «Padre Spirituale! Che figuraccia mi ha fatto fare!». Padre Pio: «Che cosa è successo?». «Se ben ricorda, l'anno scorso, venni a chiedere un consiglio per incarico di una vedova, che voleva risposarsi con un vedovo, Lei mi rispose: "Pensasse alla morte"». Padre Pio: «Sì, mi ricordo bene». «Perché a Padre S. e a Suor M., che ebbero lo stesso incarico dalla vedova, lei disse di sposarsi e benedisse anche il matrimonio?». Padre Pio: «Da me sei venuto solo tu e nessun altro. Mi fanno dire tante cose, che non ho mai dette». Recatomi all'ospedale, parlai prima col Cappellano e poi con la Suora; sia l'uno che l'altra mi risposero che per non importunare il Padre non lo interrogarono affatto, ma si regolarono secondo il pensiero di Padre Pio in simili circostanze.

Con Madre Speranza al S. Uffizio

Nel febbraio 1970 mi recai a Terni per una conferenza su Padre Pio al Gruppo di preghiera. Fui ospite dell'Avvocato Giordanelli Guglielmo, che m'invitò ad una gita a Collevalenza, dove viveva in concetto di santità Madre Speranza. Visitai il grandioso complesso di costruzioni e di opere, eseguito per volere della Madre a scopo di bene per le anime. Dallo stesso Avv. Giordanelli e dal Superiore P. Gino, fui presentato a Madre Speranza, che mi accolse con grande semplicità ed umiltà. Cominciai subito un discorso: «Madre, sono un Cappuccino di S. Giovanni Rotondo: non voglio farle perdere tempo; le chiedo soltanto di pregare per me e per la glorificazione di Padre Pio». Madre Speranza, piccola di statura e curva, alzando gli occhi e guardandomi, rispose: «Lei ha conosciuto Padre Pio?». «Sì; l'ho visto molte volte». «Dove? A S. Giovanni Rotondo?». «No: non sono mai venuta a S. Giovanni Rotondo». «Allora, dove lo ha conosciuto?». «A Roma». «Madre, lei non ha potuto conoscere Padre Pio, perché questi a Roma è stato solo una volta, quando, giovanissimo, il 17 maggio 1917, accompagnò la sorella a farsi monaca di clausura nel Convento di S. Brigida. Lei in quel tempo si trovava in Spagna. Certamente ha preso un abbaglio, scambiando Padre Pio con qualche altro Frate Cappuccino». «No, non mi sono ingannata. Era Padre Pio». «In quale località di Roma lo ha visto?». «L'ho visto tutti i giorni al S. Uffizio per un anno intero; portava i mezzi guanti per nascondere le piaghe. Io lo salutavo, gli baciavo la mano e qualche volta gli rivolgevo la parola, ed egli mi rispondeva». «In quale anno è avvenuto questo incontro giornaliero?». «Quando io ero a disposizione del S. Uffizio. Sono stata per tre anni: dal 1937 al 1939». «Madre, mi sembra strano e inverosimile il suo racconto: stento a crederci...». «Padre, debbo confessarle che non sono mai andata soggetta ad allucinazione. Anzi, debbo aggiungere che spesso veniva in aereo da Milano un personaggio misterioso con la barba bianca, brutto di aspetto, che mi faceva tremare». «Chi era?... Un Frate?...». «Non lo so, al solo vederlo ero presa da grande timore e volevo fuggire. Mi sembrava il demonio». «Che cosa veniva a fare al S. Uffizio?». «Veniva a deporre contro Padre Pio». «Madre, non si offenda, se le dico che non credo a quanto mi ha raccontato». Madre Speranza, senza alcun segno di risentimento, con dolcezza mi rispose: «Padre, lei è libero di pensare come vuole. Le ripeto che ho visto Padre Pio per un anno, tutti i giorni a Roma. Ho sempre pregato per lui ed ora prego per la sua glorificazione». Che Madre Speranza abbia potuto conoscere Padre Pio è possibile: dato che il venerato Padre era insignito del dono della bilocazione. Infatti le bilocazioni di Padre Pio sono state molto numerose. Ne abbiamo riferite alcune in questo nostro lavoro.

GRAZIE E FAVORI CELESTI

Intercedeva per la sua guarigione

Nel maggio del 1970, la signora Lilia Glorioso di Castelbuono (Palermo) m'invitò per un ritiro spirituale ai suoi due Gruppi di preghiera. In quella circostanza mi disse che doveva la sua salute alle preghiere di Padre Pio. Mi narrò infatti che era ammalata di ematuria renale, dovuta ad un grosso calcolo, e che si era ridotta ad uno scheletro, per una grave forma di anemia, per cui si rese impossibile l'operazione chirurgica. Nonostante le cure consigliate dai medici locali e dai professori specialisti di Palermo, si era sempre più aggravata. In un consulto medico, si decise per l'intervento chirurgico. Ricoverata nell'Ospedale di Palermo per le analisi e per l'operazione, mentre tutto era pronto, venne a mancare il Primario chirurgo, che avrebbe dovuto operarla. Allora, uno dei chirurghi presenti, non assicurando l'esito dell'atto operatorio, consigliò l'inferma di ritornare a casa. Un'amica, recatasi a visitarla, la consigliò di scrivere una lettera a Padre Pio per impetrare la grazia della guarigione. Era il 1967. La Glorioso, a tale consiglio, si ribellò, protestandosi devota della Madonna, dalla Quale sola aspettava la grazia. L'amica soggiunse che Padre Pio era prediletto e devotissimo della Madonna, dalla Quale otteneva grazie e miracoli con le sue fervide preghiere e con le sue grandi sofferenze, quindi gli sarebbe stato facile ottenerle la guarigione e la salute. Convinta da queste parole, la Glorioso scrisse una lettera a Padre Pio; ma l'indomani si aggravò. Nel pomeriggio, stando a letto, circondata dalle persone care e trepidanti, le sembrò di vedere Padre Pio ai piedi della Madonna, che intercedeva per la sua guarigione. La sera cominciò a migliorare e in piena lucidità di mente raccontò ai parenti la visione. Il giorno successivo si sentì bene e si alzò dal letto. Nella lettera indirizzata a Padre Pio, non chiedeva la guarigione, ma un miglioramento per potere subire l'operazione. Dopo tre mesi, precisamente il 6 gennaio 1968, si recò a S. Giovanni Rotondo. Nel pomeriggio del giorno successivo, mentre Padre Pio si recava a confessare gli uomini, vedendo la signora Glorioso in mezzo alla folla, la fece avvicinare e le disse: «Che cosa vuoi?». La Glorioso: «Padre, sono venuta a chiedervi un consiglio se debbo operarmi o curarmi». Padre Pio: «È bene che ti faccia operare. Io pregherò per te». La Glorioso, piena di fede, ritornò a Castelbuono; si ricoverò in un Ospedale di Palermo, fu operata e guarì completamente. In segno di gratitudine ha formato due fiorenti Gruppi di preghiera, che tanto bene operano nella cittadinanza di Castelbuono.

«Padre Pio è venuto a prenderla!»

Nell'ottobre del 1972 ero stato invitato dalla Capo Gruppo di preghiera, Signora Lilia Glorioso, a tenere una «Tre sere» ai Gruppi di Castelbuono, d'accordo col Rev.mo Parroco della Chiesa Matrice. Quindici giorni prima della data fissata, la signora Glorioso mi telefonò, pregandomi di anticipare di una settimana la mia andata per partecipare alla celebrazione del venticinquesimo anniversario di matrimonio. Dati i molteplici impegni che avevo in altre città della Sicilia, risposi che mi era impossibile spostare le date, ma che avrei partecipato alla festa di famiglia, quando sarei andato nei giorni fissati. Giunto a Palermo, appresi la dolorosa notizia della tragica morte della figlia Marianna di 23 anni al termine della festa, in un incidente automobilistico; a causa del gravissimo lutto, non si faceva più nulla. Telefonai al Parroco della Chiesa Matrice per sapere notizie più dettagliate. Il Parroco mi rispose con voce emozionata che la cittadinanza era in lutto e non era il caso di tenere la «Tre sere». Alcuni giorni dopo, accompagnato dal Rag. Di Girolamo Umberto e dalla Sig.na Gaudesi Giovanna, mi recai a Castelbuono per porgere alla famiglia Glorioso le condoglianze e dire una parola di conforto. Ammirevole e dignitoso è stato il comportamento di Lilia Glorioso, la quale, nel vederci, pur prorompendo in lacrime e singhiozzi, disse: «Padre Alberto, se mi vedete ancora in vita, lo debbo alla fede che mi ha sorretta e a Padre Pio che mi ha assistita. Il mio atroce dolore mi avrebbe fatto commettere un atto insano, mi sarei suicidata, se il Signore e Padre Pio non mi avessero assistita». Calmatasi, cominciò a raccontarci tra le lacrime lo svolgimento della funzione religiosa, tenutasi in Chiesa con la partecipazione di una folla di parenti e di amici; poi ci parlò del tragico incidente. La Glorioso volle rimarcare un episodio molto significativo. Prima di recarsi in Chiesa, i cinque figli prepararono ed offrirono un dono ai genitori a ricordo del loro venticinquesimo anniversario di matrimonio. La mamma, nell'accettare il dono, disse: «Figli miei, il dono più gradito e più prezioso, che ci potete fare, è di accostarvi quest'oggi ai sacramenti insieme a noi...». Tutti risposero affermativamente, ad eccezione della figlia primogenita Marianna, impiegata a Palermo, fidanzata e prossima al matrimonio, che rispose di non essere disposta. Ma dietro le insistenze della mamma, si decise anch'ella a confessarsi e a comunicarsi. Terminata la funzione religiosa, ci furono i rinfreschi per i partecipanti e la cena per gli intimi. A sera inoltrata, Marianna, contenta e gioiosa, disse ai genitori: «È bene che torniamo ora a Palermo, così domani ci troveremo riposati e pronti per andare in ufficio». Si decise di partire subito. Salirono in macchina il fratello di Marianna e una signorina giapponese, che si accomodarono nei sedili posteriori. Nei posti anteriori, si sedettero Marianna e il fidanzato alla guida. Si era giunti alla periferia di Palermo, quando il giovane autista, preso da un colpo di sonnolenza, perdette il controllo e andò a schiantarsi violentemente contro un muro, riducendo la macchina in rottami. Marianna, che sonnecchiava poggiata sulla spalla del fidanzato, scossa dall'urto tremendo, gridò: «Che cosa è successo?», chinò il capo e morì. I due giovani, seduti dietro, furono estratti gravemente feriti e sanguinanti dalle lamiere contorte. Il giovane autista uscì quasi illeso con poche contusioni ed escoriazioni. Trasportati ad uno degli ospedali di Palermo e controllati i loro documenti, si telefonò alle famiglie. Il fatto straordinario e significativo è il sogno, che stava facendo, nel momento dell'incidente, una signorina di Castelbuono, Concetta Di Garbo, amica della famiglia Glorioso, che io intervistai in una seconda andata a Castelbuono nel maggio 1974. La signorina Concetta Di Garbo stava sognando di camminare lungo il corso principale di Castelbuono per recarsi a casa di una sorella ammalata, quando incontrò una macchina, che si fermò dinanzi a lei. L'autista la chiamò e le disse che nella macchina vi era Padre Pio. Infatti, aperto lo sportello, la signorina vide Padre Pio, che la invitò a sedersi a fianco a Lui e la interrogò: «Concetta, dove vai?». Concetta: «Vado da mia sorella, che è molto malata». Padre Pio: «Vengo anch'io». Giunta la macchina presso la casa dell'inferma, Padre Pio uscì e preceduto dalla ragazza, salì la scalinata, dirigendosi verso la camera dell'inferma, la benedisse e le posò la mano sulla parte malata. Poi andò ad affacciarsi alla finestra prospiciente la casa della famiglia Glorioso e disse a Concetta: «Chiama Marianna, perché deve venire con me. Su, grida, dille di fare presto, perché non posso aspettare». Al grido di Concetta, si presentò sul balcone una donna vestita di nero con le lacrime agli occhi. Padre Pio vedendola, esclamò: «È la mamma! È Lilia!... povera mamma, quanto deve soffrire!...». Dette queste parole, scomparve. Concetta si svegliò di soprassalto, spaventata e madida di sudore. Non potendo ripigliare il sonno, scese dal letto, andò ad aprire la finestra della camera e, nel silenzio della notte, sentì grida e pianti. Si vestì in fretta, uscì di casa e si diresse verso l'abitazione dei Glorioso, da dove provenivano le grida. Qui apprese la notizia della morte di Marianna, avvenuta nello stesso tempo in cui faceva il fatidico sogno. La signora Glorioso terminò il suo racconto con queste parole: «Padre Alberto, mi sorregge e mi conforta il pensiero che Padre Pio è venuto a prendersela e se l'ha portata in Paradiso. Marianna era tanto buona e comprensiva, sempre attenta a non arrecarci un dispiacere. Quella sera in cui chiesi a tutti i miei figli di accostarsi alla santa comunione, mi rispose che non era disposta, ma poi subito mi ubbidì. Dopo la funzione religiosa si mostrò la più contenta e la più felice di tutti. Il Signore la volle per sé e Padre Pio venne a prenderla». La signorina Concetta Di Garbo, nella tarda mattinata si recò dalla sorella gravemente inferma, e quale non fu la sua sorpresa nel vederla molto migliorata!... L'inferma le disse di sentirsi bene e che le erano scomparsi anche i dolori che la tormentavano e non la lasciavano riposare un'ora. Poi aggiunse: «Non ho mai riposato così tranquillamente, come questa notte. Ora sento appetito, dammi qualche cosa da mangiare». Concetta le raccontò il sogno, la visita e la benedizione di Padre Pio e poi le comunicò la morte dell'amica Marianna, avvenuta mentre ella sognava. Quindi, il miglioramento e la guarigione dell'inferma si devono all'intercessione di Padre Pio. Qualche mese dopo questo misterioso avvenimento, Concetta accompagnò la sorella a Palermo e la fece ricoverare in un ospedale per controlli ed analisi. Il risultato fu negativo. Non fu trovata alcuna traccia di malattia. Dopo due anni dalla guarigione, recatomi di nuovo a Castelbuono, volli vedere e intervistare la donna miracolata, la quale mi confermò quanto mi aveva narrato la sorella Concetta, assicurando di godere ottima salute, di essere aumentata di peso e di avere ripreso il suo lavoro e la sua attività,, senza avvertire alcun disturbo della malattia sofferta.

«Verrà a prendermi il 5 febbraio!»

Un pomeriggio del giugno 1973, ero sul sagrato di S. Maria delle Grazie a S. Giovanni Rotondo, quando una signora di Roma si avvicinò e mi disse: «Padre, io sono una figlia spirituale di Padre Pio, sono venuta da Roma a ringraziarlo per la morte di mio marito». Incuriosito dallo strano linguaggio della donna risposi: «Signora, lei desiderava la morte di suo marito, forse perché non lo amava più?». La signora risentita, soggiunse: «Ma no, Padre, non è così, come pensa lei. Io ho sempre amato con tenerezza mio marito ed ho tanto sofferto per la sua morte. Mi ascolti. Mio marito era affetto da un tumore maligno. Soffriva molto, notte e giorno, senza tregua. Noi di famiglia ci prodigavamo per lui; pregavamo la Madonna per la sua guarigione e lo raccomandavamo all'intercessione di Padre Pio. Un giorno, mio marito, dimesso dall'ospedale, perché incurabile, mentre era a letto in condizioni gravissime, cominciò a gridare: "Cacciate via quel frate... cacciate quel frate... mi dice di andare con lui... cacciatelo... non voglio andarci". Io ed altre persone di famiglia, non vedendo in casa alcun frate, rispondemmo che non c'era nessuno. Mio marito agitatissimo, continuava ad urlare: "Non lo vedete? eccolo ai piedi del letto... insiste di andare con lui, mandatelo via...". Pensammo che delirasse e cercammo di rasserenarlo. Dopo qualche minuto, calmatosi, disse: "È un frate cappuccino... ha la barba bianca... ora se ne sta andando... mi ha detto che verrà a prendermi il 5 febbraio". Preoccupati, non sapevamo spiegare il mistero. Pensammo allora a Padre Pio, alla cui intercessione raccomandammo l'infermo. Gli presentammo una foto di Padre Pio e lo interrogammo se fosse il frate, che lo aveva invitato di andare con lui. Mio marito, vista la foto, esclamò: "Sì, è proprio lui". Noi: "Ma questo frate è Padre Pio". Da quel momento cominciò la miglioria dell'infermo da sembrare quasi guarito. Per due mesi si sentì bene, usciva di casa, ogni mattina andava alla S. Messa in chiesa, si comunicava, pregava. Verso la fine di gennaio 1973 si aggravò improvvisamente. Questa volta era sereno. Pregava quasi ininterrottamente. Riceveva ogni giorno la santa comunione. Aspettava il ritorno di Padre Pio, che lo avrebbe accompagnato dinanzi al Signore. Il 5 febbraio 1973, Padre Pio, puntuale alla promessa, ritornò a prenderselo. Mio marito spirò serenamente col nome di Gesù sulle labbra. Ora sono venuta a sciogliere il mio voto. Sono venuta a ringraziare Padre Pio di avere assistito mio marito sul punto di morte».

Un'immagine di Padre Pio sotto il cuscino

Il 30 novembre 1973 mi recai a Mistretta in Sicilia per la predicazione del novenario dell'Immacolata. Prima di andare nella Casa Canonica, il Parroco P. Longo Filadelfio mi accompagnò all'ospedale civile per benedire un ammalato grave. Entrato solo in una cameretta, trovai una giovane donna, che piangeva ai piedi del letto, su cui era disteso un uomo in gravissime condizioni. All'apparenza mi sembrava vecchio, ma in realtà era molto giovane, appena quarantenne. Chiesi alla donna il nome dell'infermo, mi disse: Antonio Indovino. Mi avvicinai presso il letto e lo chiamai ad alta voce, ma non si scosse. Aveva l'aspetto cadaverico, le labbra bluastre, il respiro rantoloso. Feci una preghiera, impartii l'assoluzione e la benedizione con l'indulgenza plenaria in articulo mortis, rivolsi parole di conforto alla giovane consorte e le diedi un'immaginetta di Padre Pio, pregandola di porla sotto il cuscino dell'infermo e dicendole: «Padre Pio voglia assisterlo e intercedere per lui! Il Signore può fare tutto se vuole, può ridonare la guarigione e la salute a suo marito per i meriti e l'intercessione di Padre Pio... Noi, questa sera, nella Chiesa parrocchiale di S. Nicola, pregheremo tutti insieme per l'ammalato». La donna prese l'immaginetta e la mise sotto il cuscino del marito, che non si accorse di nulla. Uscito dalla camera dell'infermo, trovai nel corridoio P. Longo con un medico, al quale rivolsi la parola per sapere notizie più dettagliate circa la malattia e le condizioni dell'infermo, che avevo visitato. Mi rispose: «Padre, il signore Indovino sta molto male, si trova in gravissime condizioni ed in pericolo di vita. Noi abbiamo fatto tutto il possibile per strapparlo alla morte. Ora sta a Dio fare il resto». Mi trattenni dieci giorni a Mistretta e in quei giorni l'infermo, sebbene in gravi condizioni, non morì. Dopo qualche mese, il Parroco P. Longo, in una lettera, mi comunicò la notizia che il signore Antonio Indovino, da me visitato nell'ospedale, era perfettamente guarito. Esclamai: «Dio sia benedetto! Il Signore nella sua bontà ha fatto il miracolo per fare conoscere, amare e glorificare Padre Pio». L'anno seguente, precisamente nel maggio 1974, ritornai a Mistretta per preparare con un triduo di conferenze i Gruppi di preghiera all'acquisto del Giubileo. Avevo del tutto dimenticato l'infermo, guarito miracolosamente. L'ultima sera il Parroco mi pregò di partecipare insieme ad altri due sacerdoti ad una visita presso una famiglia. Mi dettero la precedenza nel salire la scalinata. Sul pianerottolo mi venne incontro un simpatico uomo, molto giovane, di bella presenza che, sorridente, mi invitò ad entrare. Vidi nel centro della camera su un tavolo, coperto da una candida tovaglia, vassoi di dolciumi, bottiglie di liquori, bicchieri, tazze... Pensai subito ad una festa di famiglia e domandai: «Fate festa? Per quale ricorrenza?...». Il signore, che mi ricevette, sempre sorridente, rispose: «Sì, Padre, abbiamo organizzato una festicciuola per voi». Io, stupito: «Per me? Io non vi conosco. Non vi ho mai visto...». Il signore: «Padre, voi mi avete strappato dalla morte, mi avete guarito». Sentendo questa asserzione, pensai subito ad uno scherzo e, risentito, rivolgendomi al Parroco ed ai Sacerdoti, dissi: «Mi avete preso in giro». I Sacerdoti sorridevano di compiacenza. Non ancora mi rendevo conto dello scherzo. Allora il padrone di casa spiegò il motivo della festicciuola. «L'anno scorso, disse, io ero gravemente malato nell'ospedale di Mistretta. Avevo perduto la conoscenza; mia moglie, quando migliorai, mi raccontò ciò che avvenne. Voi, accompagnato da P. Longo, siete venuto all'ospedale a visitarmi. Avete pregato, mi avete benedetto e poi avete fatto mettere sotto il cuscino un'immaginetta di Padre Pio. Da quel momento cominciò la miglioria. Ora, come vedete, sono perfettamente guarito. Sono stato due volte a Palermo per analisi e controlli: il risultato è stato sempre negativo, senza alcuna traccia della mia grave malattia. Sono aumentato di peso, ritornando al normale, ho ripreso il mio lavoro e sto benissimo. Dato che voi siete ritornato a Mistretta, in segno di gratitudine vi abbiamo organizzato questa piccola festa». Indi, preso il portafoglio, estrasse l'immaginetta di Padre Pio e la mostrò: «Ecco, Padre, l'immaginetta miracolosa, che io porto sempre addosso». Risposi: «Sì, è l'immaginetta che io diedi alla vostra consorte e feci mettere sotto il cuscino. Permettete, caro Antonio, di dirvi che non sono stato io che vi ho guarito, ma il Signore mediante l'intercessione di Padre Pio. Dovete ringraziare anzitutto il Signore poi Padre Pio. Raccogliete i documenti e le cartelle mediche della vostra malattia, della sua gravità e della vostra guarigione e portateli o spediteli a S. Giovanni Rotondo per la Causa di Beatificazione di Padre Pio. Anzi, farete bene, quando verrete nel continente, di arrivare anche a S. Giovanni Rotondo per ringraziare Padre Pio presso la sua tomba»

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Padre Pio con l'On. Aldo Moro (1968)

Padre Pio con l'On. Aldo Moro (1968)

«Padre Pio è stato buono con me»

Una mattina del settembre 1974 ero di turno per le confessioni delle donne nella Chiesa di S. Maria delle Grazie, quando si presentò dinanzi al confessionale una distinta signora, Giancarla M. di Milano, che mi disse: «Padre, prima di confessarmi ho bisogno di parlarle. Debbo anzitutto dirle che io ho sempre avuto nell'animo una inspiegabile animosità contro Padre Pio e ne ho anche parlato male. Non so se Padre Pio vorrà perdonarmi». «Signora, Padre Pio ha sempre perdonato e perdonerà anche lei. Perché ha avuto tanto risentimento contro Padre Pio? Forse ha ricevuto qualche sgarbatezza?». «No. Non sono mai venuta a S. Giovanni Rotondo. Ora è la prima volta. Non so neppure io, perché abbia preso posizione contro Padre Pio. Forse, perché si parlava molto di lui, della sua santità, che per me era un rimprovero ed un richiamo. Invece di venire a conoscerlo, ne sentivo antipatia e ripugnanza». «Signora, parlare male di una persona che non si conosce, è da stolto. Perché, ora che Padre Pio non c'è più, si è decisa di venire a S. Giovanni Rotondo?». «Padre, non lo so. Anche questa mia venuta quassù, per me, è un mistero. Appartengo ad una famiglia benestante. Nella vita non mi è mancato nulla. Mi sono presa tutte le soddisfazioni, ma non ho mai goduto un giorno di pace. Ieri, litigai ancora una ennesima volta con mio marito, gridando che me ne sarei andata via. Infatti, uscita di casa, non sapendo dove andare, mi diressi alla stazione centrale. Dinanzi a me presso lo sportello vi erano alcune donne allegre e ciarliere che chiesero il biglietto per Foggia. Avvicinatami, l'impiegato mi chiese: "Signora, per dove?". In quel momento, ancora agitata, senza riflettere risposi: "Per Foggia". Mi recai ai marciapiedi e salii sul treno già pronto senza rivedere le donne che mi precedettero. Questa mattina, arrivata a Foggia, scesa dal treno, mi sono interrogata: "Che cosa sono venuta a fare a Foggia? Qui non conosco nessuno e non so dove andare. Ma sono diventata matta?..." Mentre stavo così fantasticando, mi è passato dinanzi il gruppetto delle donne, che si dirigevano verso un pullman. Le ho seguite, sono salita anche io sul pullman, che mi ha portato a S. Giovanni Rotondo ed ora sono qui, nella Chiesa di Padre Pio. Mai avrei pensato di venire sul Gargano, di venire da Padre Pio. Questa mattina, entrando in Chiesa ho sentito tanta pace da sfogare in pianto. Sono scesa nella cripta, mi sono inginocchiata presso la tomba di Padre Pio, ho chiesto perdono, ho pianto e per la prima volta, dopo tanti anni, ho pregato. Padre, ho bisogno di riconciliarmi con Dio. Da molti anni non entro in una chiesa». La signora fece la sua confessione tra un profluvio di lacrime. Poi disse: «Padre, sono tanto contenta di essere venuta presso la tomba di Padre Pio: qui ho ritrovato Dio». «Cara signora, ringrazi il Signore e Padre Pio di tanta bontà e benevolenza. Lei sentiva antipatia e animosità contro Padre Pio e il caro Padre sentiva pietà, tenerezza ed amore per la sua anima. Padre Pio è venuto a Milano, l'ha presa per mano e l'ha accompagnata nella sua dimora per ridonarle la serenità e la pace». Signora: «Padre Pio è stato tanto buono con me. Mi ha ridonato la fede e Gesù; la serenità e la pace. Questo luogo è un lembo di Paradiso. Ritornerò altre volte insieme con la mia famiglia».

ALLA VIGILIA DELLA SUA MORTE

«Non lasciarmi solo!»

Un giorno di aprile del 1968, venne a trovarmi in convento l'amico Dr. Francesco Ricciardi, il quale mi disse: «Padre Alberto, sono stato a S. Giovanni Rotondo per le feste della S. Pasqua, ho rivisto ed ho potuto avvicinare e scambiare poche parole con Padre Pio. Sono rimasto impressionato per le condizioni di salute in cui si è ridotto. Oltre a non poter più muoversi, è molto consumato dalle sofferenze e dall'estenuante lavoro delle confessioni. Penso che non duri a lungo. Sarebbe bene che lei gli fosse vicino». Risposi: «Ho sempre desiderato di stare vicino a Padre Pio, che ho sempre amato sin dalla mia fanciullezza, ma non dipende da me. Sto pregando il Signore ogni mattina nella S. Messa, che mi faccia trovare presso il caro Padre negli ultimi giorni della sua vita terrena». Il Signore infatti dispose, in un modo a me non gradito, sotto l'aspetto umano, ma provvidenziale, che nel maggio fossi trasferito nel convento di S. Giovanni Rotondo, dove trascorsi circa quattro mesi vicino al caro Padre. Ogni pomeriggio, dalle tredici alle quindici e mezzo, gli facevo compagnia sulla veranda insieme con alcuni confratelli addetti al turno di assistenza. Sono state le ore più belle fra i tanti incontri avuti con Padre Pio. Ho potuto parlargli con calma tante e tante volte. Un pomeriggio per circa un'ora rimasi solo col Padre. Era tormentato dall'asma bronchiale e da una tosse molesta. Io ero seduto a fianco, pronto a porgergli la sputacchiera. Ci fu un momento, in cui ebbe ripetuti e violenti colpi di tosse, da sentirsi soffocato, fino a quando emise un abbondante e vischioso spurgo. Allora, sollevato, esclamò: «Non ne posso più! Signore, che cosa faccio più sulla terra... vienimi a prendere!...». Mi ero alzato per andare a svuotare la sputacchiera, il Padre mi disse: «Dove vai? Non lasciarmi solo!». Temeva la solitudine.

«Mi hanno tradito tutti!»

Un altro giorno con le lacrime agli occhi proruppe: «Signore, quante sofferenze! Mi hanno tradito tutti!». Non so a chi volesse riferire l'espressione, né ebbi il coraggio d'interrogarlo. Certamente doveva alludere a persone che facevano il doppio gioco, che pensavano ai propri interessi, che non gli dicevano la verità. Negli ultimi mesi ci furono momenti di angosce, di timori, di sofferenze inaudite. Man mano che si avvicinava sorella morte, Padre Pio, che tanto l'aveva desiderata ed invocata, sentiva la ripugnanza e lo spavento della separazione. Spesso esclamava: «Pregate per me: ho paura di incontrarmi con Cristo... non ho corrisposto al suo amore e alle sue infinite grazie...». Anche Gesù, alla vigilia della sua dolorosa passione e morte, sentì tale ripugnanza, da esclamare: «Padre, se è possibile, allontana da me questo calice...».

«Se ritarderanno, non mi troveranno più»

Nel luglio del 1968, trovandomi a Genova di passaggio, fui pregato dai coniugi Ing. Sergio e Augusta La Torre, miei amici e figli spirituali di Padre Pio, d'interpellare il caro padre, se potevano accompagnare a S. Giovanni Rotondo la figlia Maria Pia, per ricevere dalle sue mani la prima comunione. Ne parlai con Padre Pio, il quale mi rispose: «Se vogliono che faccia io la prima comunione alla bambina, vengano al più presto». Comunicai la risposta affermativa e si fissò la data del 25 agosto, ultima domenica del mese. Dieci giorni dopo, mi giunse una lettera espressa dai coniugi La Torre, i quali mi annunziavano la notizia, che, per motivi di famiglia, erano costretti a rimandare la loro venuta a S. Giovanni Rotondo e la prima comunione della bambina alla primavera dell'anno successivo. Riferii al venerato Padre il rinvio della prima comunione di Maria Pia. Padre Pio mi rispose: «Se vogliono che faccia io la prima comunione alla bambina, vengano per la data fissata. Se ritarderanno non gliela potrò più fare». «Padre spirituale, perché non gliela potrà più fare?». Padre Pio: «Chissà... Se sarò ancora vivo!». «Padre, chissà... quanti anni vivrà ancora! Il Signore la conserverà a lungo in mezzo a noi. Io gliene auguro tanti...». Padre Pio: «Fai sapere che vengano ad ogni costo per la data fissata; se ritarderanno, non mi troveranno più». Infatti telefonai immediatamente alla famiglia La Torre, riferii il pensiero e le parole pressanti del Padre e insistetti di non rimandare la prima comunione della bambina, ma di venire a S. Giovanni Rotondo il sabato 24 agosto. Così fecero. La domenica mattina, appena aperta la Chiesa, la bimba bianco-vestita, insieme coi genitori e con le altre due sorelle più grandi, era già presso il presbiterio alla S. Messa del Padre per ricevere dalle sue mani la S. Comunione. Dopo la Messa, Padre Pio posò le mani sul capo della bimba, la esortò a conservare sempre candida la veste dell'innocenza e della purezza e ad amare Gesù. La benedisse insieme coi genitori e con le sorelle. Ripartirono per Genova con la pienezza della gioia nel cuore e con la gratitudine verso di me, che avevo tanto insistito, perché non avessero rimandato la prima comunione della bimba.

Quindici giorni prima di morire

Nelle prime ore di domenica, 8 settembre 1968, ero di turno per le confessioni delle donne, nella Chiesa grande. Avevo terminato di confessare una penitente, quando questa mi disse: «Padre, vi chiedo un favore. Vi prego di farmi baciare la mano a Padre Pio». Risposi che, data la grande folla, non era possibile per quel giorno, ma che l'avrei accontentata il giorno seguente. La donna, insistendo, mi disse: «Padre, ho fatto un lungo viaggio. Sono venuta dalla Sicilia con tanti sacrifici! Sono povera e non ho denaro per andare all'albergo. Vi prego di farmi almeno il favore di vedere da vicino Padre Pio». Soggiunsi: «Scusi, signora, se lei non ha denaro per andare all'albergo e trattenersi qualche giorno, dopo un sì lungo viaggio, e se, per venire qui, ha fatto tanti sacrifici, perché è venuta?». La donna: «Padre, nella mia vita, ho sempre desiderato vedere Padre Pio: ma non ho mai avuto la possibilità di venire a S. Giovanni Rotondo per mancanza di denaro. Pochi giorni addietro, Padre Pio mi è venuto in sogno e mi ha detto: "Se vuoi vedermi, vieni subito a S. Giovanni Rotondo, perché fra pochi giorni morrò". Mi sono data da fare per avere un po' di denaro in prestito e sono venuta. Non posso trattenermi, perché non mi basterebbero i soldi per il ritorno». «Signora, lei mi sta raccontando delle fandonie per commuovermi. Non mi dica più che Padre Pio è venuto in Sicilia ad annunziarle la sua prossima fine». La donna scoppiò in pianto. Allora, considerando i suoi sacrifici e la sua particolare situazione, per accontentarla, le dissi: «Ora io esco dal confessionale e vado in sacrestia, lei mi segua». L'accompagnai presso l'ascensore, dove s'inginocchiò e la raccomandai di non muoversi da quel posto. Ritornai in Chiesa per riprendere le confessioni. Dopo dieci minuti, rividi la donna con le lacrime agli occhi dinanzi al confessionale. Venne a ringraziarmi e a dirmi che Padre Pio, quando le fu vicino, sostò qualche minuto, la guardò con dolcezza, le rivolse alcune parole di conforto e, posandole la mano sul capo, la benedisse con paterna bontà. Nella stessa giornata, incurante della stanchezza, con l'animo traboccante di gioia per l'incontro e per la benedizione di Padre Pio e nello stesso tempo col cuore ricolmo di amarezza per le parole udite nel sogno, intraprese il lungo ed estenuante viaggio di ritorno a Catania. Mentre mi baciava la mano, le dissi: «Signora, Padre Pio ha premiato i suoi desideri e i suoi sacrifici: può partire contenta, ora è sotto la sua protezione; ma non ripeta più che Padre Pio deve morire presto». La donna, ancora emozionata, soggiunse: «No, Padre, non voglio che Padre Pio muoia. Il Signore lo lasci ancora per molti anni sulla terra». Quindici giorni dopo, Padre Pio se ne volava al cielo.

La rosa ridiventata bocciolo

Qualche mese prima della morte di Padre Pio, Don Bruno Botto, Parroco di Crosa Biellese, mi fece interpellare il caro Padre, se volesse aderire al messaggio della Madonna di Lourdes di offrirsi vittima per la Chiesa, per il Papa, per la santificazione dei Sacerdoti, per la salvezza delle anime e per la pace del mondo. Padre Pio mi fece rispondere che benediva il movimento, che avrebbe pregato per il suo sviluppo e che ben volentieri rinnovava l'offerta della sua vita, già fatta altre volte. Il Signore questa volta l'accettò. La Madonna volle dimostrare il gradimento dell'offerta del suo servo prediletto, con un episodio singolare e significativo. Il 19 settembre 1968, nel primo pomeriggio, Padre Pio era seduto nella veranda, assorto in preghiera, quando venne un distinto signore di Napoli, con un fascio di bellissime rose rosse, che gli offrì per il cinquantesimo anniversario delle stigmate. Io ero presente con altri due confratelli. Padre Pio guardò quelle rose, ne prese una, la consegnò al figlio spirituale e lo pregò di portarla alla Madonna di Pompei. Il gentile signore, emozionato, prese la rosa dalla mano di Padre Pio e promise che all'indomani l'avrebbe portata al Santuario di Pompei. Il mattino seguente portò la rosa a Pompei, la consegnò ad una Suora dicendole che la mandava Padre Pio e pregandola di metterla dinanzi all'effigie della Madonna. La Suora, sentendo che la mandava Padre Pio, prese la rosa e la infilò in un vaso di cristallo, insieme con altri fiori. La mattina del 23 settembre, quando Padre Pio era volato al cielo, la suora, vedendo che i fiori dinanzi alla Madonna erano appassiti, prese il vaso per gettarli, ma, con suo grande stupore e gioia, notò che la rosa di Padre Pio si era richiusa e ridiventata un bocciolo fresco e profumato. Si gridò al miracolo, ma non fu un miracolo. Fu un segno eloquente della predilezione e dell'amore della Madonna verso Padre Pio, che tanto l'aveva amata e l'aveva fatta amare da centinaia di migliaia di fedeli. La notizia del simbolico episodio arrivò subito alle orecchie del vescovo del Santuario, Mons. Signora, figlio spirituale di Padre Pio, il quale volle vedere la rosa, ritornata bocciolo, la prese, la mise in un astuccio col vetro e la fece esporre alla vista dei visitatori nella camera del Beato Bartolo Longo. Un anno dopo, accompagnai, il pellegrinaggio del Terz'Ordine Francescano di S. Giovanni Rotondo a Pompei; tutti vedemmo la rosa conservata nell'astuccio, ancora fresca con lo stelo leggermente ingiallito.

L'ultima grazia dal cuore della Madonna?

Per la ricorrenza del cinquantesimo anniversario delle stimmate di Padre Pio, il 20 settembre 1968, venne a S. Giovanni Rotondo il signor Gino Pin, conosciuto ed amato dal venerato Padre per la sua instancabile attività a favore dei Gruppi di Preghiera del biellese. Col Pin venne pure la sua famiglia, per passare alcuni giorni presso il caro Padre e per prendere parte alle varie manifestazioni, che si sarebbero svolte in quei giorni. Essendo io obbligato al signor Pin, per le tante gentilezze avute da lui durante le mie predicazioni a Biella, pensai di fargli cosa gradita donandogli un'immaginetta sacra con a tergo un pensiero scritto da Padre Pio. Nel pomeriggio del 21 settembre, alle ore 14, mentre Padre Pio era seduto nella veranda, lo avvicinai e lo pregai di scrivermi un pensiero dietro un'immaginetta della Madonna col Bambino Gesù. Non gli dissi, però, che quella immaginetta era destinata al signor Pin. Il Padre la prese, la guardò, la baciò e la benedisse; poi scrisse: «Gesù e Maria addolciscano sempre i tuoi dolori». Quando lessi il pensiero, rimasi turbato. Conoscevo bene le continue ed incessanti prove, mortificazioni, sofferenze e malattie, che da anni pesavano gravemente sulla famiglia e sul lavoro del signor Pin. Pensai quindi di non dargli l'immaginetta, per risparmiargli un'altra dolorosa emozione. Alle ore 14,30, accompagnai Pin da Padre Pio, il quale si trovava sulla veranda, in compagnia di P. Mariano da S. Croce. Padre Pio si mostrò buono, paterno e comprensivo verso il signor Pin. Gli chiese notizie della famiglia, gli rivolse parole d'incoraggiamento, lo rassicurò che avrebbe pregato per lui e per la sua famiglia; poi gli posò le mani sul capo e lo benedisse. Il Pin era molto emozionato. Nel riaccompagnarlo verso l'uscita del Convento, gli diedi l'immaginetta, precedentemente benedetta e scritta da Padre Pio. Quando il Pin lesse il pensiero di Padre Pio, con le lacrime agli occhi, mi disse: «Padre Alberto! Avete letto che cosa ha scritto Padre Pio?». Gli risposi: «Coraggio! Padre Pio è con te». Ritornò all'albergo, dove lo attendevano le persone care di famiglia. La sera me lo vidi ritornare, piangendo. «Padre Alberto! mi disse, le parole di Padre Pio si sono avverate! Mia figlia Maria Pia è stata ricoverata urgentemente in Ospedale con febbre altissima, con atroci dolori addominali e con rigetto. I medici non sanno a che cosa attribuire il malessere. Pensano ad una appendicite acuta, o ad una peritonite perforante, o a un tumore. Domani, terranno un consulto». Cercai di tranquillizzarlo. Il mattino del 22 settembre, dopo la Messa solenne e dopo lo svenimento di Padre Pio, circa le ore 8, il Pin, addolorato e disfatto per la notte insonne, venne da me e mi disse: «Padre Alberto! Maria Pia è grave... sta molto male. Sono tanto addolorato per il malessere del caro Padre Pio e di mia figlia. Non so che cosa fare. Vorrei partire subito per Biella e portarmi la ragazza a casa. Se dovesse succedere qualche disgrazia, già mi troverei a casa mia. Vorrei un consiglio da Padre Pio come regolarmi. Forse, in questo momento, chiedo una cosa impossibile...». Gli risposi: «Vado a vedere se Padre Pio si è riavuto e se è in condizioni di darmi il consiglio». Andai sulla veranda, dove Padre Pio era seduto ed assorto in preghiera con la corona del rosario nelle mani, assistito dal Padre Onorato. M'inginocchiai e lo chiamai; ma non rispose. Era assorto, sembrava fuori di sé. Allora gli diedi, con le dita, un colpetto su un ginocchio e il Padre, come se avesse ricevuto una scossa, abbassò lo sguardo verso di me e disse: «Che cosa vuoi?». Gli raccontai in breve quanto era accaduto al signor Pin e poi dissi: «Padre, il Pin vuole un consiglio. Che cosa deve fare? Deve portarsi la ragazza a Biella o deve lasciarla ricoverata in questo Ospedale?». Padre Pio, senza esitare, mi rispose: «Resti in questo Ospedale. Se è necessaria l'operazione, sia operata qui e non a Biella. Io pregherò». Soggiunsi: «Padre! Il signor Pin è povero e non può sostenere tante spese per trattenersi con la famiglia a San Giovanni. Perché non strappa dalle mani della Madonna la guarigione della ragazza, senza l'operazione?...». Padre Pio, guardandomi con uno sguardo profondo, rispose: «Sì... pregherò». Gli baciai la mano e andai giù, dove mi aspettava il Pin, il quale, sentita la risposta del Padre, si rasserenò. Alle ore 11, il dottore Gusso, Direttore dell'Ospedale, ed alcuni medici andarono a visitare la ragazza; ma, con loro meraviglia, constatarono che non aveva più nulla. La dimisero subito dall'Ospedale. Prima di volare al cielo, Padre Pio aveva strappato, forse, l'ultima grazia dal cuore della Madonna. La sera del 22 settembre, vigilia del suo sereno transito, la folla immensa dei figli spirituali, ammassati nel campo dirimpetto alla finestra della sua cella, cominciò a cantare inni religiosi e ad invocare Padre Pio. Il caro Padre, sorretto dal Superiore si avvicinò alla finestra, con le lacrime agli occhi, rivolse a tutti una buona parola e impartì la benedizione. Un grido formidabile si elevò al cielo: «Padre Pio, ti vogliamo bene; ancora per molti anni con noi!...Vita!...Vita!...Vita!» Padre Pio emozionato rispose: «Vi aspetto tutti in Paradiso». Alle ore due di notte, Padre Pio si sentì male. Padre Pellegrino gli diede l'assoluzione e la sacra unzione. Padre Pio esclamò: «Vedo due mamme... quanto sono belle! Vengono a prendermi». Spirò dicendo: «Gesù, Maria». La salma di Padre Pio esposta per tre giorni nel centro della Chiesa, fu portata in processione per le vie principali della città di S. Giovanni Rotondo, sotto una continua pioggia di fiori, accompagnata da alcuni Vescovi, dalle Autorità Religiose e Civili, da centinaia di Sacerdoti e di Frati e da migliaia di fedeli.

PADRE PIO, UOMO DI QUESTO MONDO

Nessun grande santo - è stato scritto - è un sognatore ozioso; al contrario, gli autentici amanti di Dio sono intensamente personali, perfettamente naturali, umani e appassionati. In essi la loro esemplare umanità è sublimata, ma non cancellata dalla grazia: la santità fiorisce, se Dio aiuta, dappertutto ed ogni ambiente le può giovare, ogni condizione di vita le può essere propria, quando «l'incontro delle due volontà divina e umana» vi provocano la vittoriosa «scintilla della carità»; mentre da maldestri agiografi l'elemento umano sovente è mortificato, quando non lo si lascia addirittura cadere come un fastidioso ingombro, che obnubila lo splendore del proprio eroe. È un conforto sapere che tutti i santi non sono nati santi, e che sono creature anch'esse come noi, «nutriti con lo stesso cibo, curati con gli stessi mezzi, riscaldati e raffreddati dalle stesse stagioni estive ed invernali», e che lottano per risolvere lo stesso problema umano del peccato e della tentazione che ogni giorno aggredisce noialtri. Soltanto non si deve accentuare troppo la nota umana, perché «è una sciocchezza», anche se intesa a fin di bene, esagerare le doti naturali di un santo. In tal modo si finisce di relegare in penombra l'elemento costitutivo della stessa santità: «l'azione di Dio nella creatura». Padre Pio a noi sembra è un modello perfetto: «gronda» spiritualità e umanità.

Faccia gialla di poca luce

Seduto in uno stallo del coro - racconta Antonio Baldini - di lato alla finestra che dava sulla valle, c'era tutto solo un fraticello che a sentirci entrare volse ridente verso di noi «una faccia gialla di poca luce con due occhietti interrogativi. Pregava? Dormiva? Conversava cogli angioli? [...]. Con quegli occhietti interrogativi di sotto una fronte quadrata di coscritto [...] e poi con un fil di voce ci chiede donde venivamo e dove eravamo diretti [...] come se ci confessasse e con un'espressione esagerata di meraviglia [...]. Poi volle sapere con chi e perché eravamo venuti sul Gargano, ma tutto questo ce lo domandava col tono assente e manierato del maestro elementare che parla con uomini che già furono suoi scolari con le stesse inflessioni di voce di trent'anni prima». Antonio Baldini stese questo «servizio», da noi appena accennato, nel lontano 1925 e lo rimise in circolazione nel 1942. Giudicato, da un altro giornalista e scrittore, «pezzo» di mirabile prosa, è un documento prezioso, perché indicativo del metro che i giornalisti e letterati usano per valutare il «fenomeno» Padre Pio. Veramente Padre Pio non ha mai avuto «una faccia gialla di poca luce»: a S. Elia a Pianisi, appena dopo il noviziato, appare «molto bello» «di volto e di compostezza»; passato allo studio teologico di Montefusco (1908), nonostante il suo male persistente ed una grande debolezza generale, «si manteneva sempre roseo in viso ed in apparenza ben nutrito», come ce lo mostra una fotografia di tre anni dopo (1911). Un altro giornalista lo vede così: «Avrà trentacinque o trentasei anni ed è molto diverso dal suo ritratto che si vende in paese e che si direbbe stampato dal demonio tanto è brutto. Questo monaco che parla con noi è invece un bel giovane. Ha la barba di un colore biondo scuro, i capelli grigi alle tempie, lo sguardo sereno e mite, la voce dolce; una voce che appena udita scende nell'anima e non si dimentica più. Ho l'impressione, udendolo e guardandolo, che egli solo, semplice come il più semplice dei frati, ignori la fama di santità che lo circonda». E un anno dopo (1924) ad un corrispondente de «Il Messaggero» non sembrò proprio che Padre Pio avesse «un vocino senza timbro - sempre secondo il Baldini - di grillo parlante»; ma ne constatava, al contrario, «la regolarità e la pienezza del suo volto, su cui i capelli, la barba ed i baffi da forti riflessi, cari al pennello di Tiziano, aggravano il perlaceo pallore; la statura media [...]; occhi neri, di una dolcezza raramente colta in altri occhi [...]; voce che ha tutte le armonie della più squisita e raffinata seduzione». Padre Pio non è un santo impastato di zucchero e miele (esiste realmente un tale santo?) ma ha la taglia di un antico guerriero: «Lo scrutai. Un frate come gli altri. Un cappuccino con la barba brizzolata come se ne vedono parecchi in giro [...]. D'un tratto, avvertendo un certo brusìo alle spalle, si voltò e disse, forte, con voce che non ammetteva disubbidienza: "Silenzio. E in ginocchio"». Era all'altare per iniziare la celebrazione della santa Messa. «Pensai: questo è un uomo deciso, che sa farsi ubbidire [...]. Mi venne in mente l'immagine di un altro cappuccino; piccoletto, quasi rattrappito dagli anni, tutta dolcezza; padre Leopoldo, avvicinato a Padova in tempi per me dolorosissimi. Se volevo cercare un'antitesi totale, assoluta nei confronti suoi, l'avevo trovata in questo Padre Pio, che mi era apparso all'improvviso di fronte di statura attorno alla media, robusto, forte, nella persona e nei modi» (1). Giambattista Angioletti confessa candidamente (agosto 1950) di essersi formata l'idea di un Padre Pio «fraticello» ed invece vede venirsi incontro «un antico guerriero dalla tonaca scura aperta sul collo» e rimane «attonito a guardare quell'uomo inaspettato, così impreveduto, pieno di energia e di vigore, e che invece di cose sacre parlava di cose terrene, della politica di oggi, della riforma agraria, infierendo contro i fiacchi, contro i pavidi, fustigando con la parola quel nostro amico trasecolato, sol perché non si era mostrato animoso e inflessibile quanto lui». Quello, dunque, era Padre Pio: il santo sacerdote, il taumaturgo, il portatore di stigmate! «Fulmineamente ebbi la certezza che la vera grande fede scaturisce dall'energia, anzi - ma non vorrei essere frainteso - dalla violenza, da un indomabile spirito battagliero; e che a scacciare il male dal cuore degli uomini due sono le armi adeguate, la dolcezza prima e poi, insostituibile, la forza; né l'una disgiunta dall'altra può far nulla». E guardando l'«antico guerriero dalla tonaca scura aperta sul collo», il giornalista letterato si figurava S. Francesco d'Assisi simile a lui, cioè lontanissimo dall'immagine esaltata dagli esteti dell'umiltà e della povertà apparente, bensì tenace, deciso, instancabile. Il volto del frate «era affascinante: la fronte possente e priva di rughe malgrado l'età avanzata, le sopracciglia scure e spesse, lievemente volte all'insù, sopra gli occhi lunghi percorsi da un lampeggiare continuo, occhi di una purezza di diamante». Il naso largo, la barba bianca e nera tutto intorno alla guancia e al mento robusto, accentuavano l'impressione di trovarsi di fronte a un «rustico condottiero». E la sua voce «squillante nell'accento meridionale, non aveva mai timore di farsi udire perché nulla trovava da travisare, né mai era fermata da un attimo di pentimento». Sempre parlando - era tempo di ricreazione serotina - e camminando in su e in giù per l'orto, Padre Pio si tirava dietro altri confratelli e laici e gli altri visitatori occasionali, «come se quel corpo, non alto eppure dominante su tutti gli altri, avesse il potere di una calamita». «Quest'uomo che porta nella sua carne, apparse un giorno ormai lontano dopo una breve estasi, le cinque piaghe di Gesù crocifisso e trafitto», par quasi non accorgersene, o almeno li considera fatti privati dei quali la gente non si dovrebbe interessare: «Se fosse possibile, nei santi, qualche barlume di vanità, questa certo non apparirebbe mai in Padre Pio. Quello che invece lo esalta e lo accende ogni giorno, è la dedizione agli altri, la passione per i problemi concreti degli uomini. Operare per il bene dei viventi, specie quelli che soffrono, è la sua unica missione». Non è «uggioso», «retrivo», «moralista» e neppure «un utopista». «Gli basta che gli uomini, anziché perseguire una impossibile perfezione sulla terra, si astengano dal compiere il male, soprattutto il male dettato da astratte ideologie o da sfrenata cupidigia di sopraffazione. Inutile aggiungere che in ciò consistono anche le sue opinioni politiche, le stesse che egli, contro tutti se è necessario, mai si astiene dal proclamare». Rivela un carattere, un temperamento, una individualità così potenti, che anche chi non militi fra le schiere dei devoti deve arrestarsi davanti a lui con animo reverente. Non ci colpisce tanto la spiegazione - conclude il giornalista - più o meno ortodossa, o più o meno scientifica dei suoi miracoli, «quanto il rivelarsi costante di una personalità così completa, così aliena dagli interessi che fanno meschina la folla degli abitatori della terra. Che Padre Pio sia un santo, nessuno di noi ha il diritto di sostenerlo, oggi [1950]. Certo è un uomo. Un vero uomo, che abbiamo avuto la ventura di incontrare, in tempi di inganni e di paure, in uno sperduto villaggio del Sud». Chi ha avuto la fortuna di conoscere Padre Pio e di incontrarsi con lui più di una volta restava affascinato dalla sua persona: nella sua umiltà vi scorgeva «qualche cosa di principesco»; dalla voce «ben timbrata, pastosa, dolce», che a volte cercava di essere «dura», mezzo scherzando mezzo ridendo, per nascondere la dolcezza del suo cuore, così puro, amante; dagli occhi «grandi, neri e belli», «illimpiditi da un lungo fiducioso pianto versato nel grembo di Dio», che conservavano fino all'ultimo giorno terreno la freschezza vivida della gioventù, splendenti di grazia: in quelle pupille vi «si contemplava la grazia di Gesù Cristo».

Costante serena coerenza

All'età di trentatre anni, al dottor Giorgio Festa Padre Pio appare di costituzione «esile ed emaciata», ma senza dimostrare un'età superiore a quella che ha; di statura un po' al di sopra della media, non offre «nessuna anormalità a carico delle articolazioni e dei muscoli degli arti», ed ha tuttavia «un'andatura, ora più ora meno, manifestamente incerta» per le sofferenze che gli procuravano le lesioni che presenta ai piedi: «I lunghi anni trascorsi dal tempo delle mie prime visite non hanno minimamente cambiato in lui le linee del volto, gli atteggiamenti della persona, il carattere, lo stato interiore ed apparente dello spirito. Il suo volto pallido, in contrasto col colorito roseo delle labbra, è incorniciato da una barba breve, bruna, appena ravviata; ed illuminato da uno sguardo sempre limpido, dolce sorridente. La fronte alta, diritta e spaziosa, rispecchia la serenità dell'anima e la intelligenza della sua mente» (2). Cuore normale, polso piuttosto frequente nello stato di riposo (90 battiti al minuto), respiro vescicolare normale in tutto l'ambito toracico, salvo una certa debolezza respiratoria nella regione dell'apice polmonare destro, dove però non si sentono rantoli né altri rumori polmonari anormali, Padre Pio fu esonerato dal servizio militare con la diagnosi di infiltrazione apicale, in seguito ad esame radiologico, ma tale diagnosi non trova riscontro nell'indagine clinica, per quanto più volte, ed anche in epoca recente, accuratamente eseguita. Per ciò che più particolarmente può riferirsi alle funzioni del «sistema nervoso centrale», Padre Pio «non ha mai avuto convulsioni, non deliqui, non paresi, neppur transitorie, in nessuna regione del corpo, non fenomeni di eccitazione, né di depressione psichica. Nulla, dunque, dalle ricerche eseguite appare che permetta di supporre in lui una disposizione, sia pur lieve, a manifestazioni neuro o psicopatiche di qualsiasi natura. Al contrario, durante le indagini compiute sulla sua persona e nel corso delle nostre lunghe conversazioni, ho più volte avuto modo di raccogliere le prove della costante e serena coerenza che caratterizza ogni suo atto, ed il perfetto completo equilibrio del suo sistema nervoso, le facoltà della sua mente e le speciali prerogative delle quali il suo spirito si mostra dotato» (Festa G., Padre Pio o.c., p. 151). Pensieri, giudizi e scritti rivelano un equilibrio così perfetto nelle prerogative della sua anima e una dirittura così rettilinea della sua mente, «da far escludere in modo perentorio l'esistenza in lui di una qualsiasi delle pretese tare psicopatiche colle quali dalla sdrucita retorica di certi maestri di psicologia si vorrebbero anche oggi spiegare le più sorprendenti manifestazioni di una vita che, sfuggendo misteriosamente alle indagini della scienza, si svolge in modo incontrollabile, al di fuori e al di sopra delle ordinarie leggi della natura» (ivi, p. 141). In lui si osservano fenomeni che, oggettivamente parlando, sfuggono al controllo di ogni legge naturale e scientifica: le notevoli «ipertermie» da far salire con tanta rapidità la colonnina mercuriale sino alla temperatura di 48°; C.; il «profumo» fine e delicato che emana dal sangue sgorgante dalle ferite che presenta sulla sua persona; il fenomeno, ancor più interessante, della «stigmatizzazione». Inoltre, per la nutrizione estremamente scarsa e per la mancanza anche di quel minimo di tempo che la natura avrebbe il diritto di reclamare a ristoro della fatica giornaliera, manca una «ragione» di equilibrio nel bilancio delle sue forze organiche, «e tuttavia l'energia del suo spirito, della sua mente e della sua volontà si conservano meravigliose, tanto che, tranne una breve ora di riposo che egli si concede dopo il pasto meridiano per meglio potersi concentrare nella solitudine della sua cella, dalle prime ore del mattino all'imbrunire, spesso anche a notte alta, dedica tutto il suo tempo alla confessione e alla conversazione coloro che si recano a visitarlo» (ivi, p. 124 s; cf. anche pp. 138-140).

Cuore d'oro

Vive con noi - attesta uno dei tanti, che con Padre Pio aveva una certa dimestichezza - «con un senso di vera umanità», ama di vero «amore umano, con gl'impeti, le ansie, gli abbandoni e le tenerezze improvvise», che solo da un gran cuore possono uscire: è «Padre nel più vasto senso della parola, perché con il suo spirito abbraccia tutta la nostra umanità, amando i suoi figli prima di essere amato». Di questo argomento, così incoraggiante per la debolezza spirituale di noi uomini comuni, si può parlare molto a lungo, con la lieta conclusione - e per molti anche sorpresa - che una creatura più è santa e più vive da uomo, come Dio intende e vuole. Padre Pio ama tanto, da definirsi un «malato di cuore»; e pur riconoscendo per esperienza diretta che è una «brutta cosa vivere di cuore», il suo è un «vulcano sempre acceso». Chi ebbe la fortuna e la gioia di vivergli accanto esperimentò un po' del calore di quel vulcano, e tenta, alla meglio, di dirne qualcosa, definendolo - non trovando altra espressione - «cuore d'oro»: «Il cuore di Padre Pio! No, non riesco a tradurre l'armonia gentile che lo spirito di Dio vi alitava dentro. Per me è stato un eterno bambino, esultante alle sorprese che gli si procuravano, dalla presa di tabacco all'offerta di un cioccolatino. Gustava il delicato piacere dell'amicizia, purificata e garantita dalla povertà. Sensibilissimo alla minima cortesia che riceveva e che ricambiava con preghiere e grazie di vita eterna. Penetrantissimo, di una sensibilità di mimosa, intuiva a distanza il desiderio degli uomini e rispondeva a chi lo amava con immediata prontezza. Se ne era accorto anche il cane del convento se trovava la porta aperta che mena nell'orto, si faceva la sua passeggiata sino alla camera del Padre, raspava un istante vicino all'uscio e andava via solo quando il Padre gli diceva: "Beh, adesso basta: puoi andar via!". Cuore d'oro Padre Pio! Anche per quelli, e forse di più, che ricevevano qualche strigliata. Il senso di umanità e di bontà che gli riluceva negli occhi è difficile precisarlo con parole». L'uomo che viveva con Dio, provava anche lui gioia di conversare con gli uomini: gli sarebbe piaciuto - continua p. Pellegrino da S. Elia a Pianisi - avere vicino tutti i suoi figli spirituali e tutti i suoi confratelli, salutando il loro arrivo con gioia festosa e rattristandosi, se pensava alla loro partenza «e pregava come un bambino: "E resta un altro poco, statti un po' con me qualche altro giorno!"». Non dimenticava mai d'inviare i suoi saluti a tutti gli amici e confratelli lontani, che conosceva e sapeva in attesa di un suo ricordo, «il confratello poi o l'amico non si contentava di abbracciarlo una sola volta. Anzi, bonario, con il viso atteggiato ad un furbo sorrisetto e con gli occhi ridenti, prendeva garbatamente in giro (con una mimica quanto mai indicativa e penetrante) quelli che si salutano con abbracci e baci non sentiti, forzati, finti» (3). Nella vita di un uomo tutta di Dio, qual'è quella di Padre Pio, non è raro il caso di gesti delicatamente umani: «Il 16 ottobre - racconta un padre vicario del convento di S. Giovanni Rotondo - ricorreva il mio onomastico. Come sempre, mi ero ritirato in ufficio a lavorare. Non avevo veduto il Padre ed aspettavo, perciò, con impazienza le ore 11 per salutarlo. Quella mattina non sentii il suo passo cadenzato e strisciante, accompagnato dai forti colpi di tosse. Continuavo il mio lavoro quando, all'improvviso, mi sembrò che qualcuno si fosse fermato vicino all'uscio e lo toccasse delicatamente. Insospettito, mi alzai ed aprii. Era lui: sorridente e un po' imbarazzato come un fanciullo sorpreso dalla mamma a fare qualche marachella. "Auguri" mi disse; e togliendo dalla toppa dove l'aveva inserito, mi diede un fiorellino. Lo ringraziai commosso e gli baciai la mano. Conservo quel fiorellino tra le mie cose più care». Il suo atteggiamento, in qualche occasione, è quello di un avvocato che vuole a tutti i costi salvare il reo e non danneggiare l'innocente: «Era sempre pronto a piangere sul reo e sull'innocente, come se i guai dell'uno fossero staccati e indipendenti da quelli dell'altro. E poi il cuore non si controlla e i sentimenti di tenerezza non sono frutti di riflessione, ma impulsi primitivi». L'applicazione di certi principi è meno rigida di altri moralisti, perché sostenuta da un sottofondo di comprensione e di bontà, ammorbiditi da circostanze attenuanti, spinte sino ai limiti ultimi del lecito. La sua tenerezza ha forme impreviste, profonde: «Tutte le feste della Chiesa - diceva - sono belle. La Pasqua, sì, è la glorificazione... ma il Natale ha una tenerezza, una dolcezza infantile che mi prende tutto il cuore». E difatti in qualunque giorno della seconda metà dell'anno gli si domandava quanti giorni mancavano a Natale, egli rispondeva subito con precisione enumerando i giorni e certe volte anche le ore. Questa sua paternità amorosa fa parte di quella visione bella e chiara della vita, che palpita in lui di un ritmo largo e possente. Vive, e sa vivere, ovunque, con chiunque. Tratta familiarmente con tutti e familiarmente risolve tutti i problemi, anche quelli vasti e complicati. Sa amare genuinamente e semplicemente, come ama e si comporta un «uomo naturale», di una semplicità e sincerità incapace di ingannare o di dire un «sì» per un «no». Nei giorni di canicola sente il caldo e va in cerca di una boccata d'aria fresca; nei crudi inverni il freddo lo tormenta e non rifiuta la vampa di frate fuoco: «Le sue mani ed i suoi piedi stigmatizzati non sono mai riscaldati abbastanza. L'inverno scorso [1925] - è un amico che lo riferisce - si metteva vicinissimo ad una gran fiammata, accanto alla quale nessuno poteva resistere e, tolte le scarpe, metteva i piedi a pochi centimetri dalla fiamma, tenendoli per delle mezz'ore e talvolta fino a un'ora sovra il fuoco. Sovente si vedeva la calza fumare, qualche volta anche la si abbruciava». Quando si sente spremuto dal torchio di pesanti prove, Padre Pio ricorre a Dio, offre a lui le sue sofferenze, ma va in cerca anche di un sostegno e di una persona umana e non nasconde le lacrime: sono i «fiottarelli» della natura - come li chiama Leonardo da Porto Maurizio - rimasti anche nei santi, nostri amici e modelli, che con il loro comportamento insegnano a noi poverelli come possiamo sfogarci filialmente con il Signore senza offenderlo. Non prende la morte a cuor leggero, come coloro che dicono di aver lo spirito tutto intento alla nuova vita: «Anche l'umanità - diceva - vuole la sua parte». Alla morte della mamma - dopo averla assistita con attenta e delicata premura - dà sfogo, come un torrente impetuoso, al suo amore di figlio, ripetendo chissà quante volte tra singulti e lacrime: «Mammella mia, mammella mia!...», rimettendosi poi completamente alla volontà di Dio. La stessa scena si ripete alla morte del padre ed alla improvvisa scomparsa del dottor Guglielmo Sanguinetti si addolorò moltissimo, tanto da risentirne anche nel fisico per molti giorni, pur continuando il quotidiano lavoro. La misericordia lo trascinava, a volte, in una complicità che potrebbe sembrare strana in un uomo di Dio; lui, così nemico del peccato, sapeva discernere caso per caso, e perciò a chi una frustata, a chi un sorridente abbraccio; solo chi lo conosceva troppo bene poteva accorgersi che egli dissimulava per non far soffrire i suoi fratelli. Per contenere nei limiti di un saggio questa vita di Padre Pio, siamo costretti a staccarci dal suo «cuore d'oro», aggiungendo soltanto qualche altro particolare di questo - per noi - capolavoro di santità e di umanità, attingendo sempre da fonti a lui vicine. Manifestava fino alla commozione la più limpida nobiltà di cuore nel ringraziare per un piacere ricevuto, specialmente se un sacerdote gli offriva l'applicazione di una santa Messa; «sembrava a volte che si sottraesse addirittura alle proprie rigide norme, perché l'umanità e la tenerezza di cuore verso i sofferenti porta talvolta a un contrasto reale o apparente con qualche altro dovere [...]. Sentimenti di intensa compassione sorgevano nell'anima sua, allorché gli si presentavano gli ammalati, specialmente se piccoli. A volte restava come paralizzato, e non riusciva a far altro che piangere su di essi. Disse infatti una volta: "Oh, se potessi distruggere il dolore dalla faccia della terra!" Ma subito si corresse: "E chi sono io che voglio fare quello che Dio non fa?"». Lui - Padre Pio - è il vero poeta della vita, di cui fa un inno di lode e di ringraziamento a Dio. Disse una volta: «Chi vuole amare può. Basta togliersi quello che è disordine. Entrando nell'ordine si ama Dio!» Un frate esclamò: «Sì, sì spogliarsi di tutti gli affetti delle creature!». «...No, amare Dio e tutto il creato!». Verace figlio di Francesco d'Assisi, non accetta l'opposizione tra creazione e Creatore: non è la natura che è corrotta, ma è la volontà che la corrompe; non si onora affatto il Creatore, maledicendo la creatura, quasi che il Dio redentore ci impedisca di credere nel Dio creatore. La natura è cattiva soltanto se si stacca da Dio, il pensiero del soprannaturale non fa diventare miserabili le cose di questo mondo, ma ridona ad esse la interiorità di cui sono state svuotate ed il santo reale ci mostra il mondo come è stato voluto da Dio: è una luce che Dio mette nel mondo e che lo rischiara tanto più quanto meno ne vediamo la sorgente.

Il meno mistico

Nel 1929 si reca a S. Giovanni Rotondo lo scrittore Riccardo Bacchelli, con l'animo «disposto a rispettare un fatto ed a scrutare un uom senza vana curiosità». Discorrendo del più e del meno, «scherzando anche», lo scrittore non capì se parlando di argomenti seri Padre Pio «si esprimesse con giustezza e criterio, come faceva, per naturale buon discernimento o per esercizio di studio. Diceva cose fini con parole illetterate, di solida semplicità insolita. Così, discorrendo di un suo detrattore invelenito, si espresse con risoluzione e fermezza, con una severa carità, che mi dissero molto sulla saldezza convinta dell'animo suo. Questa nasceva da un non so che di più spontaneo e nativo della umiltà ascetica e degli esercizi spirituali, che avevano contribuito a fortificarla. Parlando d'una ritrattazione del detrattore (pare, assai violento e velenoso), e dicendosi che costui pareva dire e fare sul serio nel pentirsi, il frate disse: "Questo lo spero per lui; per me non ne ho bisogno". Delle stimmate e dei miracoli non si discorre, quasi ci fossero usciti di mente. E questo, per quel che ne posso dir io con criterio naturale, mi fece al ripensarci più disposto alla meraviglia ed al rispetto insieme. Tale è stato il mio incontro con uno che un giorno sarà forse sugli altari, e che vive nella valle che fu di Giano, ed è oggi francescana, in Gargano». Un altro scrittore, fra i tanti, racconta anche lui le sue impressioni. A S. Giovanni Rotondo non esisteva l'immenso ospedale e la sofferenza era diffusa un po' dovunque, tra rocce e case, su stradicciole e sul sagrato del convento, quando arrivava il letterato fiorentino, in compagnia della sua educazione estetica che gli faceva concepire certi religiosi soltanto in atteggiamento ispirato, «con gli occhi rivolti al cielo, la fronte illuminata da un raggio di luce, le braccia aperte o incrociate sul petto». Perciò nel coro dei Cappuccini ricercava tra le ieratiche figure in preghiera, quella di un Padre Pio secondo la sua estetica immaginazione, ed invece «era di no. Padre Pio non aveva né occhi estatici, né barba fluente. Padre Pio era colui che io avrei definito il meno mistico. Invece di provarne delusione, ne fui soddisfatto, temevo, infatti, di trovare una copia di maniera, e invece scoprivo una figura originale. Temevo d'incontrare, non dico un simulatore, ma per lo meno un imitatore di santità, ed invece ero di fronte, semmai, ad un ostentatore di naturalezze, o meglio, ad una rivelazione di sincerità». La seconda sorpresa, assieme ad una profonda impressione, l'ebbe la mattina dopo in chiesa. Accanto all'altare maggiore, l'immagine di Padre Pio gli appariva di profilo: «Notai - dice - durante la lunghissima celebrazione, certi movimenti del suo viso. Stringeva le palpebre arrossate, facendo quasi una smorfia [...]. Piangeva. Piangeva come piange chi non sa o vuole piangere; chi non può raffrenarlo, ma lo reprime e contrasta [...], un pianto tormentoso, antidrammatico: un pianto vero». La stessa mattina attorno al confessionale di Padre Pio la gente si accalcava, si spingeva, quasi altercava: spettacolo di rude ed anche primitiva devozione. Ed il visitatore letterato si teneva in disparte, con una discrezione che aveva dello schizzinoso, e con una ritenutezza che aveva della titubanza: «Indugiai a lungo, più osservando gli altri, in atteggiamento di disappunto, che indagando la mia coscienza, con sentimento di contrizione. Fosse ormai tardi o non meritassi altra accoglienza, quando giunsi ad inginocchiarmi al confessionale, Padre Pio mi sbatacchiò lo sportello sul viso, s'alzò ed uscì borbottando. Intercede l'amico; e nel pomeriggio Padre Pio mi accolse nella sua cella, per confessarmi. Nell'atteggiamento, nei suggerimenti, negli ammonimenti, non fu diverso da un parroco di campagna. Nessuna parola fuor del comune, nessuna espressione sublime. Nulla di straordinario, per me che evidentemente non ero che un ordinario peccatore. Ricordo che accusandomi delle eccessive preoccupazioni familiari, mi batté sulla spalla, dicendomi: "Coraggio, coraggio, i figli non sono chiodi!"». Terza sorpresa, terza lezione che gli venne da Padre Pio, «frate privo di pose ascetiche, sacerdote privo di atteggiamenti mistici, confessore privo di raffinatezze spirituali, almeno con me, che forse mi sarei compiaciuto, se fossi stato trattato come un penitente di eccezione, o per lo meno di riguardo [...]. Padre Pio è Padre Pio. A parte la santità, che non spetta a noi proclamare, è un uomo capace di superare tutte le previsioni, di sconvolgere tutti i disegni, di smentire tutti i preconcetti. La sua autenticità, la sua originalità, la sua genuinità sono fuori discussione. Al di sopra di ogni sospetto sono la sincerità della sua anima e la potenza del suo spirito. Me ne resi conto personalmente, in quella lontana visita a S. Giovanni Rotondo; ne abbiamo le riprove nelle opere che attorno a lui fioriscono, con prodigiosa fecondità, sull'aspra terra garganica, e su quella anche più aridamente ingrata dell'umana sofferenza». Il letterato fiorentino è Piero Bargellini (4). Padre Pio: uomo privo di pose ascetiche, accessibile a tutti, spontaneo e naturale, aperto e amabile con tutti gli uomini che incontra sulla sua strada, per sostenerli ed aiutarli con la sua presenza, continuamente; «uomo semplice, frate comune», che vive nel più comune e normale dei modi «la più straordinaria e anormale delle avventure»: portare nella sua carne le stigmate di Cristo, vivere l'Agonia e la Passione di Cristo tutti i giorni e tutte le ore e in tal guisa che gli altri non se ne debbono accorgere, mostrarsi uguale agli altri, uguale con tutti, senza rifiutarsi a nessuna condizione umana. Pura e santa semplicità, sorella della santa umiltà, che scava quel vuoto dell'anima, per preparare lo spazio vuoto a Dio che verrà a riempirlo: chi si umilia riceve più abbondantemente la grazia, perché crea in sé la china che permette a Dio di discendere fino a lui. Padre Pio credeva veramente che, se il Signore avesse conferito ad un ladrone, ed anche ad un pagano, tanti beni quanti ne ha dati a lui, essi sarebbero stati più fedeli di lui al Signore: «Io riconosco benissimo - afferma - di non aver in me niente che sia stato capace di attirare gli sguardi di questo nostro dolcissimo Gesù. La sola sua bontà ha colmato l'anima mia di tanti beni» (Epist. I, 307). Anche chi lo guarda con occhio clinico ravvisa in lui un atteggiamento «modesto», «compunto», espressione del viso buona e sincera, che ispirano «simpatia», senza nulla che vi sia di «particolarmente attraente» nel suo modo di parlare. Natura «semplice e timida» lo giudica il dottor Festa, desiderosa di sfuggire all'attenzione altrui e «gli stessi segni che porta impressi sulla persona, lungi dall'esser motivo di soddisfazione, costituiscono per lui una vera sorgente di mortificazione. Nel suo insieme la persona di Padre Pio, soprattutto nelle linee del volto e nello sguardo, rivela un che di così semplice, di così buono, talora di così infantile, che ispira simpatia e desta l'impressione di una grande sincerità. La vita che egli conduce nell'eremo che lo accoglie è semplice ed austera. Umiltà e modestia caratterizzano il suo spirito, che costituiscono una delle più simpatiche attrattive di chi lo avvicina» (Festa G., o.c., pp. 132, 134, 143). La «china» che egli preparava a Dio, ogni giorno diventava sempre più ripida e perciò Egli discendeva fino a lui con impetuosità, elargendo al suo servo fedele sempre nuovi beni e «la creazione non finiva mai di fiorire»: come in S. Francesco d'Assisi, suo amato e imitato padre, la spiritualità discendeva nella vita quotidiana e la trasfigurava. Il minimo gesto perdeva la sua materialità e lasciava trasparire soltanto la pura intenzione che lo animava. Con la sua affabile semplicità disarmava tutti, anche quelli che di proposito si recavano a cercare in lui il soprannaturale e che volevano «vedere» qualcosa a tutti i costi. Una sera, mentre si avviava verso il coro, «veramente - diceva - non me la sento di pregare stasera; e non ho neppure la scusa del buon volere, perché non ne ho proprio voglia!...». Il suo pensiero sgorga nitido e senza veli; dice quel che vuole dire con perfetta naturalezza, proprio «cose fini con parole illetterate, di solida semplicità insolita». L'espressione del suo pensiero non ha nessuna delle prerogative «oratorie che sulle labbra di un sacerdote potrebbero rendere smagliante ed efficace l'arte della parola; e tuttavia questa espressione di pensiero è sempre in lui chiara, semplice, precisa, avvincente, piena di buon senso, di valore pratico, di sapienza vera e profonda [...] (ivi, p. 252). La sorgente donde egli trae le energie del suo sapere non è lo studio, ma la continua e profonda meditazione ed «è forse in virtù di questa forza meditativa, unita alla potente facoltà di intuizione che egli possiede, che è per lui cosa facile riassumere, nella sintesi di brevi parole, pensieri vasti e profondi». È proprio vero che mentre noi viviamo tra i problemi, il santo vive tra le soluzioni; o meglio, di tutti i problemi, che l'esistenza presenta, la condotta del santo ci dà la soluzione ed il male presente si converte in bene. Ma di tutte le buone qualità, di cui è ripiena la vita di Padre Pio, l'esempio è l'attrattiva maggiore: molti, un giorno profani in materia di religione e di fede, «dopo aver avuto contatto con lui, hanno sentito di un tratto mutare il loro spirito», hanno incominciato a provare «il fascino e la dolcezza della preghiera soltanto dopo aver conversato con lui», a molti altri, il cui pensiero non si era mai fermato sulle cose divine, «l'esempio salutare e commovente di Padre Pio era riuscito ad insegnar loro la meditazione». È l'esempio, «materiato di realtà contingenti, di fatti intimamente legati alla sua persona, quello che più spicca nell'esame degli avvenimenti che lo riguardano e che più va tenuto in considerazione, per poter giudicare con qualche precisione della elevatezza del suo spirito e della severa dirittura psicologica che presiede ad ogni suo atto» (ivi, p. 213 s).

Rimasugli di natura

Egli - S. Bernardino da Siena - era sempre lieto ed arguto, non di rado sarcastico. La sua dolcezza, se di dolcezza si vuol parlare, non era languida. Era come certi bocci di fiori, che hanno la punta come se dovessero bucare. C'era, anzi tra i frati, chi si scandalizzava dei suoi motteggi e delle sue parole taglienti. Fra Marcellino da Civezza racconta che uno di questi frati, vedendone i miracoli dopo morto, ebbe a chieder perdono con queste parole: «O Padre mio, perdonami ch'io mormoravo di te» (5). Noi lo abbiamo già fatto quest'atto di pentimento, ma non abbiamo rinunciato al principio universale che, in questa vita - pensiero di S. Francesco di Sales -, nessuno sarà così santo da non andar soggetto a imperfezioni. Non crediamo a Padre Pio quando si dice carico di «innumerevoli peccati», dalla «vita avvelenata dal peccato», dal «cuore per molto tempo focolare di moltissime iniquità», perché sappiamo che si tratta di pia - anche se convinta e sincera - esagerazione assai frequente nell'agiografia cattolica, che affonda le sue radici nell'intima conoscenza della umana debolezza e della santità divina. Ma non accettiamo per buone tutte le ingegnose trovate di quelli che a tutti i costi vanno alla ricerca di chi sa quale recondito motivo spirituale e soprannaturale in ogni gesto di poca grazia compiuto, o apparso come tale, da Padre Pio, volendo sostenere la mancanza del pur minimo «rimasuglio di natura» nella sua vita, dalla nascita alla morte. Ci danno l'impressione ch'essi temano di sminuire la santità e perciò soffocano la sua fresca umanità e aperta sincerità, recando così un servigio non vantaggioso al personaggio che amano di un amore... preoccupato; e non sanno, forse, che molti santi si servirono addirittura della collera per esercitare il loro zelo in momenti critici e pur tuttavia «furono dei grandi santi, i quali seppero regolare le loro passioni come il centurione del Vangelo, che diceva ai suoi soldati: "Andate", ed essi andavano; "Tornate", ed essi tornavano». Noi, povera gente, non abbiamo tanto dominio su noi stessi; il nostro cavallo non è tanto ben domato da ubbidir prontamente ai nostri cenni. Però anche accanto a santi che possono servirsi della collera senza pericolo e per zelo apostolico, l'agiografia cattolica ci presenta pure la «irruenza» di altri servi di Dio che, quantunque combattuta assiduamente dall'impegno ascetico, non fu mai vinta del tutto. Son difetti - quando pure voglia parlarsi di difetti, riflette P. Domenico Mondrone - che stanno a ricordare che se il liberarci da essi è un presupposto necessario per raggiungere la santità, è vero anche che la santità non consiste nell'esser liberi da ogni difetto. S. Francesca di Chantal, attesta S. Vincenzo de Paoli suo ultimo direttore spirituale, avrebbe avuto sino alla morte impazienze difficilmente scusabili - si noti bene - secondo il modo umano di concepire, da colpe veniali. Ed a proposito di Padre Pio, «giornalisti, biografi e visitatori d'ogni categoria - scrive lo stesso P. Mondrone - sovente hanno parlato di certa scontrosità ora faceta, ora sbrigativa e agghiacciante usata dal Padre cappuccino con persone venutegli improvvisamente dinanzi e anche con penitenti andati a inginocchiarsi ai suoi piedi. La fioritura di simili episodi pare sia innegabile e abbondante: è un comportamento che andrà studiato e spiegato. Ma di ciò avrà potuto scandalizzarsi chi è a corto di letture agiografiche. Da anni andiamo auspicando un'opera in cui siano raccolte e indagate quelle che diremmo le "stranezze" di certi santi. Oltre tutto, ci aiuterebbe, un tal libro, ad approfondire meglio quello che fa veramente santo un santo, nonostante le dissonanze tra il divino e l'umano» (6). Noi non abbiamo l'intenzione di raccogliere e indagare sulle «stranezze» dei santi, ma ci domandiamo soltanto se la scontrosità di Padre Pio appartenga alla collera esercitata per zelo o a impazienza, almeno qualche volta, apparentate, «secondo il modo umano di concepire», a rimasugli di natura. E rispondiamo: è l'una e l'altra cosa; e perché tale risposta non appaia troppo... salomonica, cerchiamo di spiegarci. È stato scritto che i santi sono l'ultima parte della vita di Gesù, che durerà fino a tanto che vi saranno dei santi nella Chiesa, ossia sino alla fine dei secoli; ed allora anche «l'ultima» deve essere «tutta» simile alla «prima parte» e «sin dall'inizio». L'agiografo che vuol rispettare la verità - siccome anche i santi vanno soggetti alle miserie umane - si trova allora a mal partito e la sua fedeltà dipende molto dalle proprie disposizioni d'animo: chi, convinto che i difetti del santo, combattuti ma non vinti, non nuocciano alla sua gloria ma diano risalto al trionfo della grazia divina e coraggio ai miseri mortali, non lascia al buio il lato umano del suo eroe, guardandosi dal sollevarlo ad altezze inaccessibili; chi, invece, toglierebbe dal Vangelo il rinnegamento di S. Pietro per non oscurare l'aureola del principe degli Apostoli. Padre Pio, per grazia di Dio, non ha mai rinnegato il suo «dolcissimo» Gesù, ma non portava in petto un animo legnoso. Si dispiace, se ingiustamente ripreso dal suo direttore spirituale e padre provinciale Benedetto da S. Marco in Lamis (cf. Epist. I, 309); si lamenta del suo silenzio alle ripetute richieste per la facoltà di confessare gli uomini (ivi, p. 220); difende con una certa vivacità il diritto alla vita (ivi, p. 234s), tanto da essere richiamato da chi lo dirige (ivi, p. 239) che in un'altra occasione lo solleva dal gran dolore per una supposta bugia esortandolo a calmare le ansie per la venialità commessa ed a confidare al buon Gesù la sua debolezza («bisogna che tu non ti meravigli né ti avvilisca per qualche infermità del tuo cuore», ivi, p. 237), anche se è convinto che i santi non hanno i sensi «avventurieri» e tengono sempre in freno le tendenze «discole». Il discepolo sa, quanto il suo direttore, che con la pazienza possediamo la nostra anima, e più sarà perfetta, più il possesso sarà intiero, sicuro; eppure, confessa candidamente il discepolo, in certe «ansie accesissime» dello spirito, «senza che lo voglia, vado soggetto ad atti d'impazienza. E questa è un'altra spina che mi trapassa il cuore» (Epist. I, 883); si rammarica che «qualche volta», «anche senza volerlo e senza avvertirlo», gli accade «di alzare un po' la voce in ciò che riguarda la correzione. Conosco essere una debolezza riprovevole, ma come fare per poterla evitare se mi accade senza accorgermene? Eppure prego, gemo, mi lamento con nostro Signore per questo, ma non ancora mi esaudisce a pieno. E nonostante tutta la vigilanza che vi pongo in questo, qualche volta mi tocca di fare quello che purtroppo io aborrisco e voglio evitare. Continuate anche voi a raccomandarmi alla divina pietà» (Epist. I, 1170). P. Benedetto da S. Marco in Lamis, parlando dell'ira, sorella maggiore dell'impazienza, esorta a non scoraggiarsi e consiglia a raccoglierla sempre, come si fa col gomitolo, e dire dolcemente a Gesù: «Vedi?...Voglio pazientare d'essere impaziente» ed alla «debolezza riprovevole» di Padre Pio dà il seguente consiglio e penitenza: «Non ti agitare per gli scatti, quantunque non ti devi mai quietare. Se il Signore non ti dà la grazia della perenne e continua dolcezza, è per lasciarti una base di esercizio alla santa umiltà. Imponiti per penitenza, ogni volta che ti scappa il freno, di mostrarti subito due volte più soave. Con l'incoscienza non vi è colpa e specialmente negli atti repentini. Io penso che si tratta di un residuo dell'abitudine già contratta» (Epist. I, 1172). Il figlio spirituale, docile, si impegna a possedere completamente la virtù della dolcezza e comunica i suoi sforzi al suo «sempre carissimo padre». «Madama dolcezza pare che vada un po' meglio, ma non sono neppure io soddisfatto. Ma non voglio perdermi d'animo. Son tante, padre mio, le promesse che ho fatto a Gesù ed a Maria. Io voglio questa virtù mediante il loro aiuto ed in ricambio, oltre a mantenere le altre promesse fatte loro, ho promesso anche di formare oggetto delle mie assidue meditazioni ed ancora assiduo soggetto delle mie insinuazioni alle anime. Vedete dunque, padre, che non me ne rimango indifferente nella pratica di questa virtù. Aiutatemi con le vostre e con le altrui preghiere» (ivi, p. 1144). E gli spiega anche la causa delle «sfuriate»: divorato dall'amore di Dio e del prossimo, con Dio sempre fisso nella mente ed a lui legato in tutte le potenze interiori continuamente, le «sfuriate» sono causate proprio «da questa dura prigionia, chiamiamola pure fortunata. Come è possibile vedere Dio che si contrista pel male e non contristarsi parimenti? Vedere Dio che è sul punto di scaricare i suoi fulmini, e per pararli altro rimedio non vi è se non alzando una mano a trattenere il suo braccio, e l'altra rivolgerla concitata al proprio fratello, per un duplice motivo: che gittino via il male e che si scostino e presto da quel luogo dove sono, perché la mano del giudice è per scaricarsi su di esso? Credete pure, però, che in questo momento il mio interno non resta punto scosso e menomamente alterato. Non tento altro se non di avere e di volere quello che vuole Dio. Ed in lui mi sento sempre riposato, almeno coll'interno sempre; coll'esterno qualche volta un po' scomodo» (ivi, p. 1247 s). Il p. Benedetto comprende, vuol sapere e gli fa un augurio: «Fammi sapere come va il fatto tuo, se noti il pieno dominio o non ancora. Quanto m'importa saperti dolce, abitualmente dolce come i santi!» (ivi, p. 1250). I peccati del mondo, prima di rattristare lui, rattristano il cuore di Dio e danneggiano le anime; e per ciò c'erano, talvolta, sul volto, nello sguardo e nel linguaggio, venature di amarezza, che non provenivano da insofferenze o da interiore ribellione a situazioni sconvolgenti, bensì dalla vista di cose che non avrebbe voluto vedere. Uno dei più terribili doni che il Signore possa concedere ad un'anima, specie se sacerdotale, è quello di leggere nei cuori come in un libro aperto e vedere, dietro ingannevoli apparenze, nauseanti ipocrisie. E che dire di un sacerdote come Padre Pio, che se ne stava per ore e ore, per mesi e mesi, per anni e anni, in quello «scolatoio» di tutte le miserie degli uomini? (cf. Mondrone D., art. cit.). Il terribile dono di leggere nei cuori come in un libro aperto Padre Pio lo ha avuto dal Signore, pur escludendo da tale affermazione ogni fanatica esagerazione del «sempre» e «dovunque»: «senti - mi disse un giorno - io tratto le anime come meritano davanti a Dio»; era la risposta ad una mia osservazione circa una personalità che era rimasta un po' male per il trattamento sbrigativo che le era stato usato» (P. Carmelo da Sessano del Molise). Semplice strumento nelle mani di Dio, scuoteva per amore: presso di lui c'erano soltanto anime da salvare e non «dava il dolce a chi aveva bisogno del purgante» - affermazione sua, cioè di Padre Pio. Sul metodo di direzione spirituale di Padre Pio, avendone parlato precedentemente, non vogliamo ripeterci, ma aggiungiamo soltanto che questa «savia durezza», «sdegnosità di superficie», «violenta carità», se a più di qualcuno dava fastidio, come un giorno a Giuliano l'apostata la «rusticità» degli amici di Dio, molti ne intuivano il motivo giusto; egli «mandava via» gli uomini «lontani» per avvicinarli di più: «Ricordo che un giorno bistrattò un'anima. Al lamento di una persona che era presente: "Ma, padre, l'avete ammazzata quell'anima!" spiegò: "No, l'avrei stretta al cuore!". Si faceva forza ad essere burbero, rude; gli costava doversi mostrare in quell'atteggiamento, quando invece il suo temperamento era tutto teso a "stringere al cuore" quanti gli si avvicinavano», ed è un fatto incontestato che i maltrattati non si davano pace e con più voglia ed audacia tornavano a lui (P. Carmelo da Sessano del Molise). Mediatore tra Dio - contristato per il male e pronto a scaricare i suoi fulmini - e gli uomini, che allontana dal luogo dove sono anche con qualche gomitata ben assestata per sottrarli alla mano del giudice che sta per scaricarsi su di esso: così ci appare Padre Pio, attorniato da una turba magna di miseri spirituali, di malati corporali, di anime maldisposte, di soggetti presuntuosi, avventurieri a caccia di straordinario e di tante anime torchiate dal dolore ed assetate di divino. Ognuno viene trattato come si merita. Ricondurre le anime al «dolcissimo Gesù», specie con il sacramento della confessione: questo è un aspetto meraviglioso del suo apostolato sacerdotale. La confessione: sua gioia e suo tormento. Dove non c'è «malizia volontaria» scusa ed aiuta i pusillanimi: «Dio ci ama: e che ci ama è dimostrato dal fatto che ci tollera nel momento dell'offesa»; non compatisce e prende provvedimenti energici, quando scorge «malizia vera»; ed a questa pedagogia del confessionale dalle radici dolci e amare non va mai disgiunto il prezzo della «moneta pregiata» per la salvezza delle anime: «Esco dal confessionale ed ecco il pensiero dubbioso: ho agito bene? Ho agito male? E non riesco a trovare né di che accusarmi né di che scusarmi. Scrollo la testa e tiro avanti, illudendomi con ciò di quietare lo spirito. Mi confesso e dico di confessarmi anche se in certi casi avessi sbagliato, ma il dubbio non mi lascia. E tu credi che sia un tormento da poco? Mi cruccia notte e giorno ed io mi domando: chi sono? Non lo so. Un illuso? Non lo so»; e con la illusione, il dubbio che diventa un tormento continuo: «di non essere in grazia per aver amministrato il sacramento della confessione sbagliando» (P. Giovanni da Baggio). Un altro motivo addotto da chi ha sfiorato il problema dei «gesti di poca grazia» nella vita di Padre Pio è la difesa da una popolarità, che in un certo momento non ebbe più né misura né ritegno, che soltanto pochissimi avranno compreso in pieno quanto riuscisse schiacciante per quelle povere spalle, così contrastante con i suoi intimi convincimenti e «il peso di quei segni» sempre così difficilmente occultati, lo rendevano ad un tempo «vittima felicemente partecipe dei patimenti di Cristo» e oggetto di esaltazioni, che ai suoi orecchi giungevano «rivoltanti e blasfeme». I colpiti dai suoi modi sbrigativi e forti si risentivano, restavano scandalizzati o quasi, ricorrevano ai superiori, i quali cercavano di richiamare la sua attenzione, quando il galateo del cielo sembrava cozzare in modo troppo stridente con quello della terra. Una volta mentre scendeva in chiesa (era il 14 maggio 1954) per la funzione serotina, gli fu presentato un giovane con queste parole: «Padre, ecco un vostro miracolato!». Ed egli, abbassando gli occhi, rispose: «Non sapete quello che dite! Dio vi perdoni!». «Duro» Padre Pio ma anche «dolce» e tanto, che più dolce la mamma sua non lo poteva fare. Un giovane israelita, nobile e distinto, recatosi a S. Giovanni Rotondo per curiosità e diporto, parlando con alcuni cappuccini sull'ingresso della chiesa, avvicinatosi a Padre Pio, dopo averlo per poco fissato in volto, gli chiede: «"Scusi, reverendo, è forse lei il Padre Pio?". E quegli con dolcezza: "Per servirla!...". Ebbene, ricordo che bastò il modo con cui la semplice risposta venne pronunciata perché quel giovane, rimasto per brevi istanti a rimirarlo ancora, superando ogni senso di ritegno e di rispetto umano, piegò alla presenza di tutti le ginocchia dinanzi a lui e poi con un singulto di santa emozione: "Padre - supplicò - sono qui ai piedi del Signore; di qui non parto se lei non mi battezza!"» (Festa G., o.c., p. 202). Alla notizia della morte della sorella Felicita Padre Pio piange, e più ancora per la sorte dei tre nipotini orfani ma, accorgendosi che le sue lagrime rattristano i circostanti, si raffrena, perché «non poteva soffrire che gli altri soffrissero». Quando il pianto faceva bene e «sgretolava le vecchie macerie», lasciava piangere ed aiutava alla purificazione, anche se tale comportamento gli costava: «Non sempre farò questo - diceva - perché chi nasce tondo non può morir quadro; il mio naturale non è portato ad essere tale, ma qualche volta purtroppo faremo il sacrificio per amor di Dio». E proprio perché chi nasce tondo non può morir quadro, il temperamento di Padre Pio - ci conferma chi gli è vissuto vicino - era tutto teso a «stringere al cuore», spiegando così quel rapido cambiamento che si notava sempre dopo un rabbuffo, perché «bastava che volgesse il capo per vederlo di nuovo sorridente, come se nulla fosse stato. Mi capitò una volta di osservarlo, e ne rimasi stupito, tanto che gli dissi: "Ma, Padre, un istante fa sembrava finito il mondo, ora invece tutto è cielo!". E lui: "Figlio mio, mi son turbato solo alla superficie; ma dentro, nel cuore, c'è sempre tanta calma e serenità". La stessa affermazione fatta, il 30 novembre 1953, ad un seminarista di Varazze che gli chiedeva scusa per averlo fatto "inquietare". "Ma no, figlio mio; le parole devono essere esternamente qualche volta così, altrimenti ci ammazzano; internamente però mai va via la serenità, e sapessi quanto amo tutti"». (7) È il biblico irascimini et nolite peccare - nell'ira, non peccate - (Ef. 4,26), la cui non facile applicazione Padre Pio spiega a chi ha modi aspri, quasi avesse mangiato uva acerba, con la esortazione a diventare amorevole, pensando a Gesù mite ed umile: «Io non mi sono mai pentito della dolcezza usata, ma mi sono sentito un rimorso di coscienza e mi son dovuto confessare, quando ho usato un po' di durezza. Però: quando dico mitezza, non dico quella che lascia tutto andare. Quella no! Ma intendo quella che rende dolce la disciplina, la quale non va mai trascurata». Il carattere burbero lo si deve modificare, nelle riprensioni dev'esserci «bontà e cuore»: «Gesù vuole che acquisti la mitezza ed allora potrai anche camminare più spedito nella via della perfezione». E di se stesso candidamente confessa: «Io non posso patire il criticare e il dir male dei fratelli. È vero, a volte, mi diverto a punzecchiarli, ma la mormorazione mi mette nausea. Abbiamo tanti difetti da criticare in noi, perché perdersi contro i fratelli? E poi mancando alla carità, si intacca la radice dell'albero della vita, col pericolo di farlo seccare». Padre Pio non si è mai perso contro i fratelli, anche se qualche volta nella sua vita incontriamo involontarie imperfezioni, acquattate nell'anima «come allo stato di radici», che a volte si manifestano quali rimasugli di difetti naturali. Il padre guardiano non potendo convincere alcuni giornalisti ad andarsene, a malincuore li presentò a Padre Pio. «Ciò che non riuscì a fare il guardiano (a mandare in santa pace i giornalisti) lo fece Padre Pio e con gesto abbastanza vigoroso. Si rifiutò e in modo molto energico e risentito, rispondendo: "Noi qui stiamo ad amministrare i sacramenti e non a concedere interviste". Io restai ammirato del tono con cui Padre Pio rispose al padre guardiano. Alle volte Padre Pio aveva delle uscite troppo energiche e risentite. Io ne restavo alquanto perplesso. Non pensavo a male, ma non me lo sapevo spiegare. Qualcuno mi rispondeva: "Anche il santo ha qualche rimasuglio di difetti naturali"» (P. Damaso da S. Elia a Pianisi). Nell'affiorare di tali «rimasugli» malanimo non ce n'era, mai, e se Padre Pio scorgeva l'ombra dell'offesa alla carità, correva ai ripari. Nella vita di tutti i santi si trovano quelle «care imperfezioni» che ci fanno conoscere la nostra miseria e ci esercitano nell'umiltà; e così anche in quella di Padre Pio, il quale se arriva, a volte, come quelle certe benedizioni che ci entrano in casa fracassando i vetri, non perde mai il senso di quello che agli altri può far male, perché possiede quella virtù che si chiama tatto, che significa saper penetrare nell'animo di un altro.

Signore, donami il buonumore

I cristiani sono i «figli della gioia»; Dio «ha posto la letizia nel nostro cuore» (Sal. 4,8); la Chiesa per la creatura rigenerata dal battesimo, in una magnifica preghiera al Padrone della vita e della gioia, chiede: «Che essa ti serva lieta nella tua Chiesa!»; Gesù nell'ultima Cena prega il Padre di darci, non soltanto la gioia, ma «la pienezza della gioia» (Gv. 15,11); S. Paolo a tutti grida: «Godete nel Signore sempre; dico di nuovo godete» (Fil. 4,4); S. Agostino incita: «Canta e cammina; canta con la voce, canta col cuore, canta con i costumi» e se il ricordo di te ti fascia di tristezza, il pensiero di Lui ti illumini di gioia. La gioia è «il gigantesco segreto del cristiano» (Chesterton); a ciascun cristiano Dio dà il potere di far sì che chiunque lo guardi - è un pensiero di Claudel - abbia voglia di cantare, come se gl'indichi sotto voce il tono... Eppure la selva dei salici piangenti è sempre folta; è più facile vedere un angelo che scoprire tra i cristiani una faccia allegra. La «buona notizia», data e sparsa da Gesù, non sembra li rallegri un gran che; molti sono i volti tirati e le rughe precoci. «Dove diamine nascondete la vostra gioia? - interroga Bernanos -. A vedervi vivere come vivete, non si crederebbe che a voi ed a voi soli sia stata promessa la gioia del Signore». Chi saprà mai a quanti cristiani Dio rimprovererà la loro tristezza? Mentre non dovrebbero esser tristi che di una sola tristezza: quella di non essere santi. Tale stortura ha infettato anche certi agiografi che a volte ci hanno afflitto con biografie di santi taciturni, corrucciati, mentre al contrario essi ricordano che Dio «ci ha creati nell'amore perché viviamo nella gioia» e son contenti sempre e di tutto, perché la nostra gioia è Qualcuno e non qualcosa; son felici perfino di esser... santi, «non perché la loro santità - osserva Merton - li renda ammirevoli agli altri, ma perché il dono della santità fa che essi possano ammirare gli altri. Quel dono attribuisce loro una visione che può trovare il bene nei delinquenti più terribili». Un aspetto particolare della gioia è il buonumore. Può esserci posto anche per esso non soltanto nella vita di un cristiano, ma perfino in quella di un santo? Come buona introduzione, che anticipa la risposta in senso affermativo, trascriviamo una preghiera, addirittura, che un santo elevava al cielo per ottenere il dono del buonumore: «Signore, donami una buona digestione e anche qualcosa da digerire. Donami la salute del corpo col buonumore necessario per mantenerla. Donami, Signore, un'anima santa che faccia tesoro di quello che è buono e puro, affinché non si spaventi alla vista del peccato ma trovi, alla sua presenza, la via per mettere le cose di nuovo a posto. Donami un'anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri e i lamenti, e non permettere che io mi crucci eccessivamente per quella cosa troppo invadente che si chiama "io". Signore, dammi il senso del ridicolo. Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo, affinché conosca, nella vita, un poco di gioia e possa darne parte anche ad altri. Amen» (Tommaso Moro).

Tentare una definizione dell'«umorismo» (nel senso dell'«humor» inglese) è molto difficile, anzi - è stato scritto - è uno sforzo vano voler restringere questa parola nei limiti di una definizione. Molto più sfumato del riso, più multiforme e meno circoscritto di esso; variabile secondo i costumi, le mentalità e le culture di un'epoca; espresso in maniera, forme e circostanze infinitamente diverse l'una dall'altra, l'umorismo manifesta sempre una disposizione eminentemente personale dello spirito umano, e perciò possiamo dire che esso è «capacità di rilevare e rappresentare il ridicolo delle cose, in quanto non implichi una posizione ostile o puramente divertita, ma l'intervento di una intelligenza arguta e pensosa e spesso indulgente simpatia umana» (Devoto G. - Oli G.C.). Questo ed altro intendiamo, parlando dell'umorismo e del buonumore di Padre Pio: la letizia, l'allegria, la giocondità, la battuta scherzosa e arguta, piacevole, allusiva e pungente, ma non fino a convertirsi in ironia. È un datore ilare, serve Dio e lo serve con gioia, con riso innocente e schietto che gli viene dal cuore puro, possiede quella gioia «sacra» che ha in Dio il suo punto di riferimento. Ammirabile la sua disinvoltura, con cui di solito portava il peso della sua ascesi inimitabile e delle sue croci che Dio e gli uomini caricavano sul suo dorso, uno degli aspetti «proverbiali erano le sue "uscite" divertenti, le battute di spirito, le barzellette, spuntate nel bel mezzo di un discorso, ora per diradare di colpo ogni impressione che potesse aver data di vittimismo, ora per alleggerire l'effetto discostante di stoccate, che di solito erano lezioncine bene azzeccate» (Mondrone D., art. cit., p. 147). «Formidabile» conversatore, «vivace» e «brillante» lo giudica un altro uomo di penna - che possiede ed usa tutte le malizie psicologiche per incatenare il suo uditorio; nel dialogo diretto difficilmente lo si mette in imbarazzo, anche se si cerca di impegnarlo in problemi scientifici, lontani dalla sua dimestichezza. «Alle strette è capace di ricorrere ad una "boutade" d'indubbio effetto demagogico per uscirne vittorioso. Se poi non bastasse, sconcerta il pugnace interlocutore con uscite apparentemente bizzarre e frasi ironiche da sbarrargli le conclusioni. Allora ricorre anche alla mimica [...]. Possiede indiscutibili doti d'attore che un intelligente ascoltatore disincantato non può non apprezzare. Ma soprattutto è la sua grande carica d'umorismo che non sfugge a nessuno» (8). Se durante le conversazioni con gli amici - che Padre Pio si concede dopo le fatiche del confessionale - la presenza di qualche persona sconosciuta raggela la ricreazione, ci pensa lui stesso a ricomporre l'atmosfera di aperta cordialità e il sereno, riposante «divertimento» continua a nervi distesi ed a riposo e godimento dell'anima. Si «divertiva» e faceva divertire, nel senso proprio etimologico della parola, deviando la tensione dell'animo e del corpo dalle abituali attività, per godere una pausa di quiete e di riposo nei brevi gioiosi intercalari del ministero; si «rilassava» («relaxare»; rallentare, che è distensione), partecipando sempre e volentieri alle ricreazioni della comunità religiosa, non dimenticando che l'amabile e fraterna conversazione è pure carità e la carità «è sempre preziosa».

Dal suo inesauribile repertorio traeva le storie «più impensate ed originali», raccontando con «prestigiosa disinvoltura», da far invidia al più brillante narratore. Conosceva e sapeva usare la piacevole virtù dell' «eutrapelìa»: né troppo e né troppo poco, faceto e urbano, impegnato uomo di Dio, che trasfigura anima e corpo nella pace e nella gioia. Anche scegliendo fior da fiore, vi manca il meglio: la sua viva voce. Quand'era studente, con un asciugamano ed un teschio mise in spaventosa fuga un suo compagno, riducendolo al rantolo per la paura. Chiamato alle armi, anche lui ebbe le sue avventure militari. In una giornataccia di pioggia «gli toccò andare non so dove. Il nostro soldato si armò coraggiosamente di ombrello e via, ben riparato per Piazza Plebiscito. "Ehi, soldato!". Ma il soldato tirava dritto come se non avesse sentito. "Neh, per bacco, dico a voi soldato!". Era un colonnello che giustamente si impazientiva. Convenne tornare indietro. "Che novità è questa?", gridò il colonnello sotto l'acqua che lo inondava. "Un soldato con l'ombrello! Siete impazzito?". Mi convenne fare lo stupido - racconta a questo punto Padre Pio con un sorrido furbo - gli offersi il mio paracqua: "Se il signor colonnello si vuol riparare, io l'accompagno...". Il colonnello capì di avere a che fare con una recluta intontita e con un gesto di dispetto mi voltò le spalle e mi piantò lì col mio ombrello in mano». Una recluta sempliciotta viene psicologicamente preparata ad una imminente visita del Re. Il sergente sapeva che, di solito, i colloqui tra il Re e le reclute non sfuggivano a questo formulario: 1. domanda: «Quanti anni hai?», risposta: «Ventidue»; 2. domanda: «Quanti anni di servizio hai?», risposta: «Due»; 3. domanda: «Chi servi più volentieri, il Re o la Patria?», risposta: «Sia l'uno che l'altra». E su questa falsariga il sergente istruisce pazientemente il gregario, che dopo molti sforzi, impara la lezione. Finalmente arriva il Re. Passa in rassegna il reggimento e interroga, come previsto. Le domande sono le stesse, ma l'ordine è invertito. E allora: 1. domanda: «Quanti anni di servizio hai?», risposta: «Ventidue»; 2. domanda: «Quanti anni hai?», risposta: «Due». Il sergente suda freddo e il Re, spazientito, esclama: «O sei scemo tu o sono scemo io!». Il soldato, che sa la lezione a memoria, risponde con la replica del punto 3: «Sia l'uno che l'altro, maestà». Il tipo di barzelletta preferito da Padre Pio è quello per categoria; spesso accomuna i soliti avvocati ai medici, scherzando sulla loro cattiva fama, bonariamente premettendo: «Si fa per ridere». Un giorno, dunque, un Papa è chiamato a risolvere un delicato problema di «precedenze» nelle processioni. Gli avvocati vogliono stare davanti ai medici, e i medici davanti agli avvocati. Il Pontefice salomonicamente si rifà alle procedure per i cortei degli impiccati. E sentenzia: «Praecedant carnifices, sequantur latrones: avanti i medici e dietro gli avvocati...». Un giorno Padre Pio, attorniato da un gruppetto, scorge due medici che si avvicinano e lui, pronto: «Sapete come sta un malato tra due medici? Come un topo tra due gatti!...». E per punzecchiare i «togati»: «Sapete perché sant'Ivone è l'unico avvocato che sia entrato in Paradiso? Ora ve lo dico io» e inizia con vivacità e ricchezza di particolari. Nel raccontare la storiella dell'ubriaco, si alza in piedi dalla poltrona di vimini e rifà il personaggio: «Perché, o Signore - diceva l'ubriaco che aveva visto sul muro camminare un millepiedi - a questo animaletto hai dato mille zampe e a me che non riesco a reggermi in equilibrio solo due?». In genere non racconta soltanto per raccontare, ma utilizza quel tempo ricreativo, servendosi di barzellette a sfondo didattico e morale, che si inseriscono nella conversazione a mo' di risposta a questo o a quell'interlocutore. Per indurre, per esempio, uno di questi a lasciar S. Giovanni Rotondo e far ritorno alla sua città natale per riprendere il lavoro abituale narra come Cristo insieme agli Apostoli avessero affittato un campo di frumento per la mietitura. «La sera del primo giorno non era stato tagliato un solo mannello perché Gesù anziché far lavorare gli Apostoli li aveva intrattenuti a colloquio. Rimproverato dal padrone del campo, Gesù fece un gesto e la distesa di frumento si cangiò in un campo di covoni accatastati. Il giorno dopo S. Pietro volle imitare il Maestro. Affittato un altro campo, invece di far lavorare gli altri Apostoli si mise a conversare con loro sotto gli alberi, ma la sera dinanzi alle furie del padrone inutilmente rifece il gesto di Gesù. Il miracolo non si compì. S. Pietro si prese del farabutto dal padrone e dell'ingenuo da Gesù (Bedeschi L., art. cit., pag. 90). Pronto a scherzare anche sulla propria fede, segno certo - questo - di chi crede sul serio.

Un giorno il Signore girò per il Paradiso e vide tanti brutti ceffi che assolutamente non dovevano essere presenti nel luogo pieno di ogni delizia e vuoto di ogni male ed il portinaio del Cielo se la passò brutta, fino a quando non si appurò che non era mancanza di sorveglianza, ma abbondanza di misericordia della Madonna e di S. Giuseppe. Morale: al primo posto Dio, centro della nostra adorazione; e dopo invocare i santi, validi intercessori celesti, rivolgendoci ad essi come a dei buoni amici. Dopo i comprensori del Cielo, i terrigeni accolti e trattati con modi cordialmente decisi e sbrigativi. Campanini e Macario, i due noti attori comici, arrivano a S. Giovanni Rotondo per visitare il santuario della Madonna delle Grazie e per ossequiare Padre Pio. Appena li incontra per i corridoi: «Guarda che facce!...» esclama. Il signore che li accompagna e li presenta a lui, dice: «Padre, gli attori hanno deciso di smettere di lavorare con le gambe e cominciare a lavorare con la testa». E Padre Pio: «Facciano quello che vogliono, l'importanza è che mettano giudizio». E congedandosi, con tono ilare aggiunge: «Continuate a farvi disonore; tanto, onore non ve ne siete mai fatto. Cambiate subito altrimenti vi caccio». A chi dice o si crede «giovanotto» dà una pratica dimostrazione del come il vero giovanotto sia lui, sfidandolo a tenergli dietro, anche in salita. Tornava dalla sacrestia, dopo le confessioni degli uomini, per la via del chiostro e, rivolgendosi al giovane padre sacrista che l'accompagnava: «Sti giovani - dice - non sono buoni a nulla! Vedi come si sale». E così dicendo salì le scale a due a due, senza che il padre sacrista potesse tenergli dietro. Giunto sul primo pianerottolo vide della gente e - con molta semplicità - esclamò, poggiando la mano sulla bocca: «Madonna mia!...». L'esplosione di gioia, manifestata a questa maniera, ci fa venire in mente ciò che Chesterton dice di S. Francesco d'Assisi: «Il senso dell'umorismo è il sale di ogni sua birichinata». Per Padre Pio non c'era proprio bisogno di rivolgere al Signore la preghiera di S. Teresa, la quale temeva più una religiosa malcontenta che una banda di demoni: «Liberami, o Signore, dalle devozioni sciocche e dai santi con l'espressione acida». Padre Pio sapeva che il «datore gioioso» non piace soltanto a Dio ma anche agli uomini; che non è da buon cristiano rendere la vita al prossimo più gravosa di quanto lo sia già, opprimendolo col nostro umor nero; perciò, pieno il cuore di quella gioia che ama Dio - «l'allegria, quando sia frutto di serenità e di gioia, il cuore del cristiano è la sua casa, il viso del cristiano è il suo specchio» (Don Giuseppe De Luca) - si mostra aperto amabile e gaio con tutti coloro che incontra sulla sua strada per sostenerli ed aiutarli continuamente con la sua presenza. Ed anche in questo Padre Pio è in perfetta armonia con lo spirito del suo serafico padre Francesco d'Assisi. Così il suo umorismo diventa anche apostolato e non resta soltanto un semplice svago e riposo: la sua anima santa non si spaventa davanti al peccato, ma trova la via «per mettere di nuovo le cose a posto». Nelle sue mani il buonumore, il motto di spirito, la battuta non è soltanto svago e arma spirituale, ma anche difesa dai curiosi ed importuni: «Tra un sorriso ed una barzelletta vi nasconde il suo segreto, per modo che molti vivono accanto a lui senza intuirne nulla e certuni senza intendere nemmeno la sua bontà e l'eroismo delle sue virtù. Dice le cose più gravi con una semplicità piena di naturalezza, che vi fa accogliere il soprannaturale senza che ve ne accorgiate. Egli sta fra due vite, sorridendo a scambiar parole con gli esseri dei due mondi».

Solo rarissime volte risponde a precise domande: "Padre che cosa date sulle vostre mani, che son così profumate?". "Ma nulla, figliuolo...". "Padre, le vostre ferite vi fanno molto male?" "E che credi che il Signore me le abbia date per burla?". "Padre, è un gran pezzo che non sento il vostro profumo...". "Sei qui con me e non ne hai bisogno". In genere, abilissimo, usa l'altra maniera nel nascondere i doni di cui Dio l'ha ricolmo. A chi gli dice, pieno di ammirazione: «Perché io non amo Gesù come te?», lui risponde: «E perché io non l'amo come te?». Passando dal confessionale delle donne all'altare e vedendosi precipitare addosso i devoti, dà di piglio come a spada liberatrice al cordiglio e con voce imperiosa, sotto forma di suggestiva bonarietà: «Ecché! oggi qui c'è la rivoluzione - dice - oh, c'è un campo di mine»; ai peccatori che non avvertono o che scusano il loro stato dicendosi, nonostante le loro gromme, fondamentalmente buoni, usa i modi «ruvidi e fieri»: «Sì, sei buono, buono come il lesso»; ad un mistico un po' tocco che era sicuro di avere le stimmate: «Speriamo di no, altrimenti sarebbero cominciati i guai tuoi», e al celebre avvocato Cassinelli che lo investiva con la sua foga oratoria, interrottolo bruscamente: «Ohé - gli dice - sei troppo complicato per il mio carattere, figliuolo...». «Questo gran viaggio per vedere me?», fa, meravigliato, al grande giornalista Orio Vergani, che voleva intervistarlo per il «Corriere della Sera». «Non lo avete a casa un libro di preghiere? Era un viaggio risparmiato. Dio vi benedica. Un'Ave Maria vale più di un viaggio, figlio mio». Durante la visita dell'ex presidente della Repubblica Antonio Segni (22 nov. 1959) l'illustre ospite presentava il seguito, cominciando dall'onorevole Russo. Nella sala erano in tanti, ma silenzio e venerazione circondavano Padre Pio, che esce dal suo raccoglimento con una delle sue: «Eccellenza, perché mi ha portato un "russo" solo? Me ne porti tanti!». Con una risata generale si ruppe il gran silenzio, sembrava un incontro di vecchi e festosi amici, il tempo dell'incontro passò velocemente e Padre Pio ritornava nel silenzio conventuale, dopo aver steso intorno a sé una cortina di nebbia per difendersi da onori e lodi che gli si tributavano sinceramente. Ecco come racconta un miracolo avvenuto quasi per scherzo, caratterizzato dalla frase dialettale «te' ros' ch': tieni, rosica». Un giorno durante una ricreazione, che teneva lepida e spiritosa, a bruciapelo gli fu domandato:  «Padre spirituale, avete mai fatto qualche miracolo?». Preso così in contropiede, con un sorriso rispose: «Sì, una volta, e quasi per scherzo». E continuò: «C'era un'ammalata, che io andavo ogni tanto a visitare. La poveretta, pur ringraziando, tutte le volte che io mi congedavo, mi pregava perché la prossima volta le portassi qualcosa da mangiare che era stata sulla mia mensa. Un giorno dopo aver pranzato, mentre riponevo la posata nel cassetto notai nel fondo di esso un "propato" (biscotto durissimo) che doveva essere lì da parecchio. Lo misi in tasca ed andai a visitare l'ammalata. Entrato in casa, prima che lei rispondesse al mio saluto, dissi quasi con faceta ironia: "Te' ros'ch'", dandole il biscotto. Voi ci credereste? Quando ritornai da lei la volta successiva, la trovai che mi aspettava in piedi e mi ringraziava, perché era guarita dopo aver mangiato il "propato". E mi fece rimanere con un palmo di naso». Leale, aperto, cordiale, con le sue uscite spiritose spesso capovolgeva situazioni imbarazzanti nel suo spassoso verna-colo che gli fluiva dal labbro anche in momenti solenni e che non si arrestava neppure di fronte alla... morte!  La sua pietà si fonde con un cuor leggero e gaio: dove vi è molta fede - è stato scritto - vi sarà anche moltissimo sorriso («è sempre primavera nel cuore che ama Dio», disse il curato d'Ars - e parlava per esperienza personale). Sorriso condito con un pizzico di quel «sale della vita», che si chiama umorismo: «Padre spirituale, perché ieri sera durante la predica sulla morte, tenuta dal padre eserciziante, lei rideva?». «E ch'aveva fa? Nun m'agge putute mantené: cierti predecature te fanne ride pure 'nnanze' a morte!...». Durante un temporale un frate sta con Padre Pio nel corridoio del convento di S. Giovanni Rotondo, spaventato dai lampi, che sono frequenti per la presenza della cabina elettrica situata in una stanza, dice: «Padre spirituale, allontaniamoci almeno dalla cabina. Ieri per un fulmine sono morte dieci persone». E lui, pronto: «Nuie nun currimme stu pericole: sime duie sule». La santa dottore della Chiesa Teresa d'Avila faceva osservare a frate Giovanni della Miseria, che le aveva fatto il ritratto: «Dio ti perdoni, frate Giovanni, perché mi hai fatta brutta e cisposa».

Non sappiamo se Padre Pio debba lamentarsi anche lui di qualche frate Giovanni della Miseria (fece notare, invece, che lo vendevano a troppo... poco prezzo, quando sentì un ragazzino sul sagrato che strillava: «Padre Pio per due soldi...», offrendo foto ai pellegrini), ma è certo che egli non è né brutto né cisposo e né musone: è «molto bello» (all'indirizzo stizzito di una donna: «Padre brutto e cattivo!», Padre Pio di rimando: «Cattivo sì! ma brutto no, perché Dio mi ha fatto bello!»), i suoi grandi occhi sono «pieni di luce», secondo il suggerimento del suo Fondatore lascia al demonio la tristezza ed al buffone dice di continuare a fare il buffone; e per tale linea di condotta riceve l'approvazione di un filosofo santo: «Etiam officium histrionum, quod ordinatur ad officium hominibus exhibendum, non est secundum se illicitum», il sorriso della Madonna ed un battimani da Gesù bambino: «Carlo Campanini va da Padre Pio: "Padre come posso vantarmi di essere della vostra famiglia spirituale, se ogni sera devo impiastricciarmi la faccia e fare il buffone su un palcoscenico?". Padre Pio sorride: "Figlio, a questo mondo ognuno fa il buffone nel posto che Dio gli ha assegnato". Basta presupporre Iddio e ogni cosa torna al suo posto [...]. Vi fu un giocoliere che andò a farsi monaco e poiché era davvero ignorante non gli riusciva di apprendere i canti e le preghiere dei confratelli. Allora, quando la chiesa era deserta, il frate giocoliere si esibiva davanti alla statua di Nostra Signora, dando saggio delle sue uniche bravure: salti, capriole, giravolte. Fu grande lo scandalo nel convento quando si venne a conoscenza dell'episodio. Ed una bella mattina il padre guardiano si nascose dietro una colonna per sorprendere il frate giocoliere. Quale non fu la sorpresa del padre guardiano allorché vide la Vergine santa sorridere dalla sua statua e il Bimbo Gesù battere le manine compiaciuto per le prodezze del funambolo in tonaca grigia! Ecco: il frate più ignorante della comunità offriva alla Regina del cielo il fiore delle sue qualità: e lei accettava con gioia. Perché quel frate aveva scelto bene il suo posto. Oseremo dire con Padre Pio "faceva bene il 'buffone', nel posto che Iddio gli aveva assegnato". Oh, quella meravigliosa "buffoneria" di Francesco d'Assisi e di S. Giovanni Bosco! Signore, datecene un poco; soltanto un poco. Ne avremmo tanto bisogno per aiutare Padre Pio a condurre a termine la sua opera grandiosa!» (9).

Chi pensa ancora che i Fioretti di S. Francesco siano una singolare rarità? Si ripetono, si rinnovano in multiforme gradazioni ed intensità, a seconda delle esigenze dei tempi.

(1) TRABUCCO C., Il mondo di Padre Pio, Roma 1952, p. 18 s. (2) FESTA G., Misteri di scienza e luci di Fede, 2ª ed. Roma 1949, p. 132 s. (3) Cf. PELLEGRINO DA S. ELIA A PIANISI, Aveva un cuore d'oro, in Testimonianze, a cura di Vincenzo da Casacalenda, S. Giovanni Rotondo 1970, pp. 111-116. (4) Cf. BARGELLINI P., Genuinità di Padre Pio, in Cinquant'anni di sacerdozio (10 agosto 1910 - 10 agosto 1960), a cura della Casa Sollievo della Sofferenza, Foggia 1960, pp. 80-82. (5) Cf. BARGELLINI P., San Bernardino da Siena, 2ª ed. Brescia 1934, p. 93. (6) Cf. MONDRONE D., Ricordo di Padre Pio, in Civ. Catt. 1968, IV, 146. (7) Cf. CARMELO DA SESSANO DEL MOLISE, Il terribile dono della scontrosità, in Testimonianze, a cura di Vincenzo da Casacalenda, S. Giovanni Rotondo 1970, p. 117. (8) Cf. BEDESCHI L., Il suo umorismo, in Cinquant'anni di sacerdozio (10 agosto 1910 - 10 agosto 1960), a cura della Casa Sollievo della Sofferenza, Foggia 1960, p. 90. (9) GIGLIOZZI G., Ognuno al suo posto, in La Casa Sollievo della Sofferenza 8 (1-31 luglio 1957) 1. - Sulla gioia cristiana, cf. l'esortazione apostolica di sua santità Paolo VI del 9 maggio 1975.

CHI SOFFRE CONQUISTA

Un letterato si lamenta con Dio, perché i suoi santi dovrebbero vivere sempre ed invece essi partono troppo presto, sempre troppo presto. Comprendiamo tale rammarico ma dobbiamo pur dire che il santo, «strumento di Dio», è una luce che egli mette nel mondo per rischiararlo e che, una volta accesa, non si spegne più. Il ricordo della loro vita ce li mostra ancora mescolati alla terra, pieni di debolezze e sottomessi a mille tribolazioni e il loro esempio è per noi una sicurezza, che fa considerare la vita con meno inquietudine o meno disprezzo. La loro luce e la forza che ci donano nelle prove, è spinta a spiritualizzarla in tutte le sue manifestazioni. Sono essi a darci «il nostro nome», cosa che non solo li individualizza ma li avvicina anche a noi, in un'atmosfera di intimità, rifugiandoci all'ombra di uno di loro e, mediando tra Dio e noi, ci indicano la «nostra» strada: ognuno di loro è per noi una specie di guida, che ci insegna a seguire la «nostra» via (1). La Provvidenza che governa il mondo si accorge che l'uomo spesso non cammina per la «sua» via; ed allora manda nel mondo cattivo il santo, che fa il bene, per riparare alla cattiveria degli uomini (che fanno il male e, a volte, si danno da fare per dimostrare che agiscono bene) e per aiutarli ad imboccare la via giusta.

Frutto fuori stagione?

Consumato il corso mortale di sua vita, il corpo di Padre Pio riposa nel «tranquillo cantuccio», che ha già testimoniato il suo sacrificio e che, certamente, testimonierà la sua apoteosi nello stesso convento e nella stessa chiesa che per lunghi e sofferti anni lo hanno visto operante. Continua il suo apostolato e la sua voce è sempre viva: in quella cripta s'è accesa una gran luce e dal cielo si è staccato un pezzetto di Paradiso: «Che sblendore!» - esclama in dialetto garganico una donnetta vestita di nero - e sussurra, come se recitasse una preghiera: «Chiste nun è nu sepulcre. Chiste ié nu' uccone [porzioncella] de Paravise», perché quella tomba santa racchiude un corpo che mai altri ha imitato Gesù nel dolore e nella sofferenza: «Noi siamo certi che la Chiesa, madre, maestra e regina, alla quale ogni obbedienza con infinita gioia è data, farà del nostro Gargano la montagna più bella, più santa e splendente della moderna età. In un momento in cui il mondo conquista la luna, il Cristo Signore conquista la terra», (E. Medi). Quand'egli era vivo, a chi domandava di voler diventare un suo figlio spirituale, nell'accettarlo lo avvisava con tutta semplicità e schiettezza: «Ti accetto ad una condizione: che tu viva da buon cristiano e che non mi faccia scomparire». E proprio per vivere da «buoni cristiani», il pellegrinaggio alla sua tomba continua ininterrotto e col passar degli anni si intensifica sempre più. Sfogliando le pagine della cronaca conventuale di S. Giovanni Rotondo, possiamo leggere: «È veramente eccezionale l'afflusso della gente che viene a visitare il nostro santuario per visitare la tomba di Padre Pio. In gran parte è gente che viene a S. Giovanni Rotondo per la prima volta e si rammarica di non essere venuta prima, quando Padre Pio era ancora in vita. Tutti scendono in cripta, piangono, pregano e per devozione a Padre Pio si accostano ai sacramenti della confessione e comunione»; «l'affluenza dei pellegrini continua ad essere veramente straordinaria: i confessori non bastano più, perché tutti chiedono di confessarsi e fare la santa comunione. Continua il frutto e l'opera di Padre Pio che in cinquant'anni ha richiamato qui sul Gargano gli uomini di ogni continente e li rimetteva in grazia di Dio attraverso la confessione e la comunione. È veramente consolante questa dimostrazione di fede e di vera devozione». Segno che la «presenza» è sentita, invocata e il suo «buon esempio» attira alla via del bene; sono gli uomini di preghiera come Padre Pio quelli che rinnovano la vita cristiana e la Chiesa! Sarà l'opera di «anime che pregano e sperano e soffrono con i loro vescovi e col papa - ha detto Paolo VI - e che rigenerano in se stesse la Chiesa nuova, la Chiesa viva, la Chiesa santa». Alla luce di questa esemplarità la figura di Padre Pio «spezza la ristretta cornice di S. Giovanni Rotondo e si offre all'indicazione e all'ammirazione del mondo intero. Padre Pio è ancora qui e vi attende, vi guarda uno per uno, vi ascolta e vi ama. Con la morte la sua carità non ha patito diminuzioni, ma è cresciuta a dismisura. Io sono sicuro che nessuno di voi se ne andrà via da quella tomba senza portare con sé un dono del suo inesausto cuore paterno» (2). È la riprova che solo il santo lascia una traccia, gli altri fanno solo del chiasso e, svaniti loro, si perde anche il loro ricordo: «Da morto - diceva Padre Pio un giorno, scherzando - farò più baccano che da vivo» ed è stato davvero un uomo che ha smosso il mondo. Cosa rispondere, allora, a chi pensa che quella di Padre Pio è una santità oggi non più accettabile e che il suo è un mondo ormai superato? Che la sua santità è attuale, come è sempre attuale il Vangelo, da cui scaturisce: nel delizioso giardino di Dio non esistono frutti fuori stagione. Sarebbe incomprensibile che Iddio si sia dilettato di creare in lui un frutto fuori stagione, un esemplare «pittoresco» quasi un «elemento di curiosità». Padre Pio, visto nel quadro della cultura contemporanea, è di una sorprendente modernità e la sua «ruvida umiltà» nasconde una «conoscenza psicologica impensabile e profonda» dell'epoca nostra e dei mali che l'affliggono. Nei tempi del trionfo della «civiltà tecnica» e dell'«apostolato attivistico e clamoroso», la sua predicazione e il suo apostolato «fu il suo silenzio pieno di Dio e la sua immolazione nel confessionale: una testimonianza silenziosa, e altrettanto potente nella sua irradiazione che è stato uno schiaffo per tanti che pongono l'apostolato, prevalentemente o quasi, nell'attivismo, nelle organizzazioni, nei mezzi materiali, sottovalutando la vita interiore, la preghiera, l'umiltà, l'obbedienza, il sacrificio. Utili la parola, la organizzazione, i mezzi tecnici..., ma essenziale è soltanto la "testimonianza", che è possesso e irradiazione dello spirito di Dio [...]. Vivendo così nella vita la passione del Signore, Padre Pio la esprimeva nella Messa e la riversava nelle anime, rinnovando e cuori e famiglie e società. Ecco il segreto, il mistero di Padre Pio e il suo messaggio» (3). Poiché Gesù Cristo «è lo stesso ieri, oggi e sempre» (Ebr. 13,8), viva e identica rimarrà la mistica cristiana sino alla fine del mondo: l'esempio e la dottrina di Padre Pio gioveranno grandemente alla intelligenza e alla assimilazione di quel Mistero Pasquale, intessuto di passione e di risurrezione, di dolore e di gioia, di umiliazione e di esaltazione, che il Concilio Vaticano II ha riproposto ai credenti del secolo XX nelle costituzioni sulla Sacra Liturgia e sulla Chiesa del mondo moderno, «e che il famoso cappuccino sembra aver compreso, rivissuto e ripresentato in sé medesimo in misura impressionante. La via della Croce è la più rapida e sicura, anche oggi, per salire il monte dell'Ascensione» (CIAPPI L., Oss. Rom. 26-3-1971). All'uomo debole e vacillante nel suo impegno cristiano, che cede troppo al mondo, quale potente richiamo Dio ha mandato Padre Pio, plasmandolo per il mondo di oggi, «che in verità è stato scosso per un cinquantennio dalla sua voce silenziosa ma irrompente, dalla sua testimonianza che è risuonata irresistibile in ogni paese del mondo, e che ora, dopo la sua morte, si approfondisce e si dilata sempre più negli spiriti» (URSI card. C., art. cit.). È stato scritto e ripetuto che Padre Pio è l'uomo contro corrente, un uomo all'antica. Ne conveniamo anche noi, purché ci si intenda sul vero senso di tali espressioni ed aggiungiamo che egli, per noi, è il «vero contestatore», «l'uomo della coerenza», «l'uomo del Vangelo». Chi considera la sua vita svoltasi tra le mura di un convento cappuccino - cella, chiesa, coro, altare, confessionale - potrebbe avere l'impressione che sia in netto contrasto con la dinamica che caratterizza il mondo moderno anche quello ecclesiastico perché la sua azione sacerdotale si riduce alla Messa ed all'amministrazione della Penitenza, proprio in un tempo in cui l'apostolato cattolico assume dimensioni sempre più ampie e si apre sempre a nuovi campi di lavoro: «Devo subito dire - è il padre generale dei Cappuccini - che tale modo di vedere e di giudicare, a mio parere, pecca di semplicismo, si ferma troppo alle apparenze senza penetrare nel profondo, dimostrando di non aver capito né Padre Pio né gli insegnamenti più essenziali del Concilio Vaticano II» [Cf. Voce di padre Pio 1 (ottobre 1970) 6-7]. Alla luce di alcune testimonianze, scelte fra tante nei documenti conciliari e cappuccini, «la vicenda di Padre Pio risulta non solo - per dirla con parola abusata - di palpitante attualità, ma addirittura precorritrice dei tempi nuovi, dei nostri e di quelli che verranno. A provarlo basta rifarci alla sua biografia [...]. Uomo del nostro tempo, egli ha lasciato un ricco messaggio di salvezza che deve essere da noi raccolto e ampliato, in unione col suo grande spirito [...]. I santi - dico nel nostro senso usuale - sono miniere da scoprire. E io penso che in Padre Pio ci sia ancora molto da esplorare» (Idem). La conclusione del padre generale dei Cappuccini sembra l'eco delle parole che un giorno lo stesso Padre Pio diceva ad un suo confratello: «Lascia che un'ombra di cipresso cada sulla mia tomba e vedrai quante meraviglie di Dio si scopriranno!...». Certo per chi va in cerca di un Cristo su misura e di un Gesù senza croce, Padre Pio gli appare più vecchio di un anacoreta e più lontano di un asceta dei secoli bui; per chi imbrocca le vie del secolo, «in aperta opposizione all'itinerario verso Dio, per il "cattolico orizzontale"» che - mal usando il Concilio Vaticano II nella interpretazione della «teologia delle realtà terrestri» - seppellisce ogni «teologia» e rosicchia soltanto l'osso delle «realtà terrestri», Padre Pio è un seguace di Cristo del tutto incomprensibile: oggi, domani e sempre. Per chi invece la pensa diversamente, egli è «l'asse di apostolato in questi anni», figura veramente degna di venerazione, destinata dalla divina Provvidenza a passare in questo mondo per seminare cose belle, per spargere il profumo delle sue virtù, dal Signore purificata con tanto sacrificio, fatta vivere proprio «in questi giorni, per risvegliare nel mondo, e, noi diciamo, per risvegliare in ciascuno di noi, quei sentimenti veri di pietà, di umiltà, di generosità nel servizio di Dio, di carità per i nostri fratelli: tutte virtù caratteristiche che hanno brillato così bene nella vita di Padre Pio, e che noi dobbiamo tenere davanti a noi come un invito, come un incitamento, per brillare anche noi, se non con quella perfezione che veramente è di poche anime privilegiate e generose, ma almeno ricopiandola in una certa misura [...]. Noi siamo certi che il Padre Pio, che ha fatto tanto bene nella sua vita, continuerà a fare del bene con l'influenza del suo pensiero e del suo ricordo, che l'impressione delle sue virtù ha lasciato e lascerà ancora per tanto tempo nelle anime cristiane» (4).

Il suo messaggio è il messaggio di Cristo e perciò sempre attuale e operatore di salvezza; messaggio di preghiera e d'invito alla preghiera; messaggio di lotta incessante, decisa e senza compromessi, contro il peccato, persuaso che il più grande male che potesse colpire l'uomo era il peccato: «Quanto ha detto e fatto per evitarlo e distruggerlo negli altri! Le lunghe ore passate in confessionale, il suo comportamento, talvolta apparentemente duro, con i penitenti, ne sono la prova più tangibile [...]. Contro ideologie alleate al demonio ha sempre avuto parole di fuoco, pur essendo pieno di misericordia verso gli erranti che lo avvicinavano penitenti per implorare il perdono»; messaggio di penitenza e di mortificazione: quanto abbia egli sofferto solo Dio lo sa, «si è unito a Cristo nell'espiazione dei peccati degli uomini, se molte conversioni si sono operate per mezzo di lui, alcune anche clamorose, credo che ciò sia dovuto soprattutto a queste sue sofferenze»; messaggio di «devozione», di «fedeltà» e di «amore» al Papa ed alla Chiesa: «Per lui il Papa era Cristo. E benché talvolta nella sua vita gli sia enormemente costata l'obbedienza al Papa, egli, in silenzio e con perfetta rassegnazione, l'ha accettata come fosse comando di Cristo stesso»; messaggio di carità «verso Dio Padre e verso i fratelli». Questi i messaggi che soprattutto egli ha rivolto a noi - conclude il vescovo di Foggia monsignor Lenotti - con i richiami, i suoi scritti e in modo particolare con l'esempio del la sua vita. «A noi accogliere e mettere in pratica il messaggio che Dio ha voluto, alla fine di questo secolo ventesimo, ripetere agli uomini per mezzo del suo servo umile e fedele Padre Pio da Pietrelcina» (5). Frutto fuori stagione, no; segno di contraddizione, sì. È la storia degli «uomini di Dio» che si ripete immancabilmente, per merito o per colpa di altri figli di Dio, che la pensano diversamente ma che poi sono costretti a ricredersi, perché i frutti buoni non possono produrli che alberi buoni. Di questi uomini il più vicino a noi per volgere di anni è Padre Pio. «Del resto di don Bosco e del canonico Cottolengo non afferrarono a suo tempo l'essenza della loro azione neppure i torinesi. Leggiamo le due storie e vediamo che non hanno camminato su petali di rose né il Cottolengo né il don Bosco; anche nel settore ecclesiastico hanno avuto i loro grossi inciampi. Così di Padre Pio» (Trabucco C.). Il bene che viene da Dio rimane sempre. Un altro cappuccino contemporaneo di Padre Pio, il libanese p. Giacomo da Gazir (1 febbr. 1875 - 26 giu. 1954), che ha riempito la sua lunga vita con opere che hanno fatto di lui un benemerito della sua patria e un candidato alla gloria degli altari, a chi, guardando lo sviluppo delle sue opere per gl'infermi, per i poveri vecchi, per i sacerdoti derelitti, per le vocazioni, si preoccupava per che cosa sarebbe stato di esse dopo la sua scomparsa, rispondeva: «Se me ne vado non cambierà niente. Allora si vedrà che è la mano di Dio che ha costruito. Tutto il bene viene da Dio». Lo stesso si può dire del benefico apostolato di Padre Pio, che continua a seminare il bene su questa terra, come prima e meglio di prima: «Figlio mio - diceva ad un confratello - tu non sai che di là si può fare di più».

Come un profeta

Il lamento del salmista: «Non vediamo più le nostre insegne, non ci sono più profeti» (Sal. 74,9), sembra non essere attuale ai nostri giorni, perché nella Chiesa c'è una forte ventata di profetismo. Assieme ai carismatici di altri generi, i profeti sorgono da ogni parte e non passa giorno che non si dica una parola profetica o non si compia un gesto profetico. Ma non ci sono solo i veri profeti, quelli scelti ed inviati da Dio; pullulano anche i falsi profeti, che profetizzano menzogne ed i tanti profeti che sorgono oggi nella Chiesa sono profeti veri o falsi? La risposta non è sempre facile, però ci sono dei criteri che permettono di discernere i veri dai falsi profeti. Per quanto riguarda il «fedelissimo» servo di Dio Padre Pio, possiamo affermare che egli è un vero profeta inviato da Dio, anche se a volte scomodo. È il destino dei profeti essere persone scomode ed i primi a sentire quanto gravoso, per sé e per gli altri, sia il loro compito sono gli stessi profeti, divenuti uomini di «litigio e di contesa», «oggetto di scherno» (cf. Ger. 20,7s); può perciò, sempre avvenire che quanto essi dicono disturbi o non piaccia. «Di ciò si hanno esempi clamorosi nella storia della Chiesa. È avvenuto, così, che i loro rapporti con l'autorità della Chiesa siano stati spesso difficili. Tuttavia, ciò che li ha distinti dai falsi profeti è stata la loro ubbidienza alla Chiesa, l'umile accettazione del giudizio della Chiesa sul loro carisma. Con la loro ubbidienza, essi hanno mostrato di posseder lo spirito della verità, di essere veramente "da Dio"» (cf. Civ. Catt. 1970, II, 109). Da una parte il richiamo a tornare al Vangelo di Cristo nella sua integrità è ciò che caratterizza il «vero» profeta, ieri come oggi; dall'altra, i profeti cristiani più autentici sono i santi. Ecco perché i santi sono i profeti di cui la Chiesa ha oggi più urgente bisogno. Il Concilio Vaticano II ha puntualizzato l'investitura profetica, che ogni cristiano riceve già nel sacramento del Battesimo, e che deve esercitare in tutti gli stadi della sua vita, secondo le diverse sue responsabilità. Padre Pio da Pietrelcina - ci dice l'arcivescovo di Manfredonia - «per cinquant'anni vissuto nel nostro Gargano, è stato come un "profeta" inviato da Dio. Gesù Cristo chiese un giorno ad alcuni discepoli: "Chi siete andati a vedere nel deserto? Un profeta?... ". Il Santo Padre Paolo VI, in un discorso di alcuni mesi fa, chiedeva: "Chi andava a vedere la folla nel convento cappuccino di S. Giovanni Rotondo?". La risposta è identica a quella che si legge nel Vangelo, a proposito di Giovanni Battista. Lì si trovava Padre Pio, come un profeta, indicava le vie del Signore, testimoniava come incontrarlo nella fede, nella preghiera, nel sacrificio, nella carità. In questo senso Padre Pio fu veramente un profeta, che dedicò la sua vita a "ricostruire la casa del Signore"», quella casa spirituale che è la coscienza cristiana e nessuno può dubitare di questa sua missione profetica, che costruisce la sua vera grandezza, segno della sua provvidenziale presenza a favore non solo di chi lo ha conosciuto, avvicinato personalmente, ma a favore di tutta la Chiesa, che è la «Casa del Signore». Non sono gli innumerevoli episodi, gli avvenimenti stessi straordinari, che a lui si attribuiscono durante e dopo la sua vita, che fanno grande Padre Pio; anzi possono essere un ostacolo a ben vederlo, per chi non è provvisto del vero senso della fede. «Io credo che il Santo Padre Paolo VI abbia indicato con esattezza la missione di Padre Pio: "Che clientela mondiale ha adunato intorno a sé! Ma perché? Forse perché era un filosofo, perché era un sapiente, perché aveva mezzi a disposizione? No. Perché diceva la Messa umilmente, confessava dalla mattina alla sera; ed era, difficile a dirsi, rappresentante «stampato» delle stimmate di Nostro Signore. Era uomo di preghiera e di sofferenza" (20 febbraio 1971). Egli, dunque, si è eroicamente impegnato a ricostruire la casa del Signore, difendendo i valori fondamentali della fede e della morale cattolica, con il coraggio di un profeta». La sua vita e la sua parola, scritta o parlata, ci rivelano apertamente la sua «voce profetica», convergono, «lo possiamo sinceramente affermare, verso il mistero della Croce, adorata, abbracciata, rivissuta, compartecipata ai fratelli redenti. E cosa rimarrebbe della Chiesa santa del Signore, senza il mistero della Croce? Non è forse S. Paolo che giudicava distruttori della fede i nemici della Croce di Cristo?». Il Concilio Vaticano II ci presenta il mistero della Chiesa parallelo al mistero della Croce, da cui prende origine e vita e perennità (Cf. Lumen Gentium, cap. 1, n. 3 s): senza Croce non c'è Chiesa autentica; la presenza della Chiesa, anche nel mondo contemporaneo, non può essere dissociata dalla Croce, come afferma lo stesso Concilio nella costituzione pastorale. Mettendo in bocca a Padre Pio le stesse parole del profeta Aggeo, l'arcivescovo di Manfredonia le risente rivolte ai cattolici di oggi, ai vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi di questa epoca travagliata post-conciliare: «Badate a quanto vi succede. Voi avete seminato molto, ma avete raccolto poco; avete da mangiare, ma non da saziarvi; avete da bere, ma non da inebriarvi; avete da vestirvi ma non da riscaldarvi; il vostro guadagno lo mettete in sacchetto bucato» (Aggeo 1,6); e commenta: «È propria la nostra storia, se non siamo capaci di fare la scelta della Croce e seguire il Cristo. Bisogna averne il coraggio, per non rimanere cristiani a metà». Troppe volte noi impersoniamo Erode, presentato da san Luca (9,7ss) come un personaggio a metà, né caldo né freddo, che non sa prendere le sue decisioni e va di continuo illudendosi nella ricerca di esperienze insolite: «troppe volte noi facciamo così, ci illudiamo di poter sostituire qualche cosa alla croce. Padre Pio, invece, l'ha presa con fede: "Scio cui credidi", e tanto l'amava che non l'ha abbandonata, fino alla morte» [Cf. Voce di padre Pio 2 (nov. 1971) 10s]. Padre Pio, profeta vero, è una persona scomoda, specie per i «profeti menzogneri» che vogliono un cristianesimo «senza croce e senza vita eterna», che desiderano «miele» e non vogliono essere «sale» della terra, perché il sale su una pelle a vivo è una cosa che brucia, anche se impedisce alla piaga di non marcire. Ma Iddio la pensa diversamente. Teresa di Gesù, una santa amata da Dio come poche, oppressa dal peso della sofferenza fino al limite della resistenza umana, che parlava al Signore delle sue croci, si sentì rispondere: «È così che provo coloro che amo». E la santa, di rimando: «Adesso, Signore, capisco perché tu hai pochi amici. Tu li crocifiggi». Padre Pio lo sapeva di essere crocifisso: ad uno dei suoi collaboratori, al quale non erano risparmiati dolori e angustie: «Ti sei scelto - disse un giorno - un padre crocifisso». Attratti da questa voce profetica, le anime si recano pellegrini a S. Giovanni Rotondo per chiedere a lui fermezza nella fede, amore alla preghiera, ubbidienza alla Chiesa. Dopo i concili ecumenici - è la storia della Chiesa - negli anni di contorsione anche interna, Iddio suscita i santi per neutralizzare le voci stonate: «Oggi nell'interno della Chiesa - afferma monsignor Pollio arcivescovo di Salerno - stanno sorgendo tanti falsi profeti che il Papa, con un termine più cristiano, chiama autoeletti-teologi. Ma la Chiesa non li riconosce tali. E dicono tante sciocchezze nei riguardi della fede. E la grazia grande che Padre Pio ci deve ottenere quest'oggi è la "fermezza nella fede", l'"amore alla preghiera" e devozione alla Vergine, perché attraverso la Vergine noi ci salveremo». Il Santo Padre ci ha detto più volte che «l'uomo moderno non sa più pregare e, quel che è peggio, non sente più il bisogno di pregare. Noi vogliamo pregare, noi sentiamo il bisogno di pregare». Un altro punto negativo della società: si vorrebbe togliere l'obbedienza. Eppure Cristo ci ha salvato con l'obbedienza. Il Vangelo è pieno di obbedienza. Noi vogliamo l'obbedienza e Padre Pio ci ottenga di essere docili alla Chiesa: «Sono entrato poc'anzi in una cappellina in clausura, dove Padre Pio dal 1931 al 1933 fu relegato [...] due anni. Non poteva scendere in quella piccola chiesa-santuario; non esisteva ancora la nuova. Non poteva scendere a confessare; eppure aveva già le stimmate. Non poteva incontrare gente di fuori: era relegato. In quel piccolo conventino, in una cella, oggi cappelletta, egli per due anni ha celebrato da solo la santa Messa. E mi si diceva che la sua Messa durava due o tre ore. Ha ubbidito Padre Pio. Se io ho voluto scegliere quale breve argomento di omelia la fortezza nella fede, l'amore alla preghiera, l'ubbidienza alla Chiesa, è perché, leggendo la vita di Padre Pio, leggendo alcune lettere sue, traspare chiaro questo triplice amore» [cf.Voce di Padre Pio 2 (dic. 1971) 8 s]. Per gli ingenui promotori del mondo nuovo, che proclamano scaduto tutto ciò che separa gli «Atti degli Apostoli» dal «Concilio Vaticano II (interpretato, oltre tutto, a modo loro) Padre Pio è un profeta arrivato in ritardo, uomo da storia, vogliamo dire campione di secoli passati: «Forse è morto l'ultimo dei grandi mistici italiani, protagonista involontario e interprete, più sospetto che ammirato, di un genere di spiritualità alla quale apparentemente la Chiesa del dopo Concilio non sembra prestare molta attenzione né dedicare molto spazio della sua riflessione teorica. Padre Pio, se è da riconoscere santo, lo è per tutta una vita intrisa di fede dolorosa e appassionata di amore infuocato per «lo spirituale» contro «il temporale» anche chiesastico - simile in questo a tutti i grandi mistici italiani che si sentono sempre la Chiesa addosso come un cilicio, più spesso matrigna che madre - una vita tutta spesa nella carità spirituale e corporale per i malati di anima e di corpo» (Pisoni E.). Per i Pastori, che hanno il dovere di guidare il gregge di Dio ai pascoli eterni, Padre Pio è «un segno per tutti: per i credenti e per i non credenti»: più per i secondi che per i primi; «e di che cosa è stato segno? segno chiaro, segno evidente? È stato segno della trascendenza e del soprannaturale. In questo senso egli è stato una "teofania", cioè una evidente manifestazione di Dio [...]. La sua sola presenza, così com'essa si mostrava nell'ordine esistenziale, è stata un segno. Ed essendo un segno, egli è stato uno stimolo per tutti. Uno stimolo alla meditazione, alla conversione. Uno stimolo alla santità. E non è stato stimolo attraverso i doni straordinari di cui pure fu arricchito. Ma è stato stimolo perché ha saputo predicare un messaggio. Con la parola indubbiamente. Ma prima e più che con le parole, con la sua vita [...]. Un messaggio di amore. E questo messaggio rimane. Ecco perché non possiamo dire che Padre Pio sia un assente. Rimane il messaggio in tutta la sua validità. E forse questo messaggio è oggi più valido di ieri, perché è un messaggio liberato, è un messaggio purificato. A noi accoglierlo. A noi attuarlo. A noi portarlo agli altri, perché noi tutti siamo chiamati a perseguire gli stessi ideali e a conquistare le stesse mete che furono gli ideali e le mete di Padre Pio. La vocazione alla santità non è un privilegio di pochi. È chiamata per tutti» (6). Ce lo ricorda anche il Concilio Vaticano II: «la vita cristiana deve essere santa» e Paolo VI: «La scala morale di Cristo non discende, ma sale; è la scala del "più", non del "meno"», non è passiva e non esonera l'uomo da uno sforzo morale continuo. E noi ringraziamo il Signore che ci ha inviato Padre Pio per ricordarci a salire per una scelta «accessibile a tutti i cristiani», dovere«morale della vita umana, elevata ad una misteriosa e stupenda dignità soprannaturale» (Paolo VI). Ci ricorda ed aiuta a salire, poiché farsi santo «è facile e difficile» - parole di Padre Pio.

Un'immagine di Padre Pio

Un'immagine di Padre Pio

Le vie più sicure

La Chiesa, testimonio perenne della presenza di Dio nel mondo, popolo di Dio ancora in cammino, ha lo stesso fine che ebbe Gesù Cristo venendo al mondo: comunicare agli uomini i mezzi necessari per la salvezza, distruggendo il peccato, infondendo loro la vita divina ed insegnando con autorità ed amore la via della verità. La Chiesa è la santità di Cristo in mezzo al mondo ed i cristiani devono vivere in santità individuale con mire ecclesiali, perché essa possa presentare al mondo il suo vero volto, così come la configurò Cristo, suo fondatore. La Chiesa cresce sensibilmente nel mondo per virtù della croce di Cristo e con la croce è in strettissima relazione l'altare del sacrificio eucaristico. L'Eucaristia costruisce la Chiesa da cui vengono unità, vita, perfezione, crescita e il Concilio Vaticano, parlando del dovere missionario dei sacerdoti, ricorda che il loro ministero è «incentrato essenzialmente nell'Eucaristia, la quale dà alla Chiesa la sua perfezione» (Ad Gentes, n. 39). E nella costituzione dogmatica sulla Chiesa, nell'affermare che «ad ogni discepolo di Cristo incombe il dovere di diffondere, quanto gli è possibile, la fede», ricorda al sacerdote che è suo «ufficio di completare l'edificazione del Corpo col sacrificio eucaristico» (Lumen Gentium, n. 17). Accanto a questo brevissimo accenno sulla inesauribile ricchezza dottrinale della Chiesa vi è la dovizia dei suoi aspetti spirituali: Chiesa «madre dei cristiani», «Maria, madre della Chiesa»... Maternità che esige corrispondenza e fedeltà da parte dei suoi figli, rispetto, obbedienza e amore: «senza tale amore la vita del cristiano non può essere ecclesiale. L'amore deve stimolare i cristiani ad una corrispondenza generosa, aiutando la Chiesa nelle urgenti necessità di ordine spirituale. Soprattutto deve stimolarli allo spirito di preghiera e di sacrificio. L'obbedienza si manifesterà nel consenso agli insegnamenti ed alle esortazioni del Magistero: consenso ai suoi desideri e ai suoi consigli. Non si deve attendere alla materia quanto allo spirito dell'obbedienza [...]. Il "sentire con la Chiesa" è norma inconfondibile per il vero cattolico» (7). Tutte verità - queste - attualizzate e vitalizzate da Padre Pio, «figlio ubbidiente» della «santa madre Chiesa» (la Chiesa è sempre madre - soleva dire - anche quando percuote). Tutta la sua attività ministeriale non si è trovata mai «fuori dei tempi nuovi»: egli non è stato colto in contropiede dal proposto ed auspicato rinnovamento del Concilio Vaticano II e non si è dovuto affannare a cambiar marcia e dirottarsi per le vie dell'aggiornamento: già le percorreva. Le vie battute dai santi sono le più sicure, le più certe e sempre attuali perché sono le vie del Vangelo (8). «Tra i santi, uno è nostro contemporaneo [Padre Pio] che raggiungerà la santità riconosciuta», perché ha raggiunto la intimità con Dio attraverso le solite vie dei tre amori che sono «gli amori dei santi. Senza di questi non si va in paradiso, non si è santi. Neanche buoni cristiani. L'amore alla Chiesa. L'amore all'Eucarestia. L'amore alla Madonna» (9). Padre Pio ha sempre amato la Chiesa. Diceva: «Voglio vivere e morire nella Chiesa». Intorno a lui vi è stato del rumore: «Non sappiamo perché questo fatto si è verificato. Sarà stata certamente una disposizione della provvidenza di Dio. Un polverone, a un certo momento, si è alzato intorno a questa grande figura che dal momento della sua morte sta onorando la Chiesa in maniera veramente straordinaria e stupenda. Ma della sua santità non era possibile discutere [...] C'era da ammirare in lui l'amore alla Chiesa; come è vissuto nella Chiesa o, meglio, come la Chiesa è cresciuta in lui durante gli anni della sua vita terrena» (10). In Padre Pio, povero frate del Gargano che tutto il mondo conobbe ed ammirò, forse nulla «vi è di più grande che il suo silenzioso persistente, quasi caparbio, sebbene tanto umile, amore alla Chiesa, la sua fedeltà alla Chiesa, la sua disponibilità completa che, nella prima ventata, gli consentiva di prepararsi serenamente a partire per la Spagna e, nella seconda gli consentì di cedere con tutta semplicità la sua più sognata e amata realizzazione terrena. L'ultima sua parola, quando ormai nessun velo gli nascondeva prossimo il transito dal tormentato crocifisso esilio alla Patria, fu perciò una lettera di leale, filiale, affettuosa devozione alla Sede Apostolica. Poi, in silenzio, come era vissuto, se ne andò» (11). Padre Pio era «tenerezza», «rispetto», «devozione» per quello che era il Santo Padre, si chiamasse Pio X o Benedetto XV o Pio XI o Pio XII, quello che sia. «Il mio primo ricordo nella preghiera - diceva - è per il Papa». «La tenerezza per il Papa, Vicario di Cristo! Mai una critica. Sempre il rispetto, la preghiera. Ricordo quando Padre Pio, a bassa voce, in modo che nessuno sentisse, mi ha detto: "Enrico, di' al Papa (Pio XII) che io do con immensa gioia la vita per lui". E poi Pio XII che mi ha detto: "No, professore. Ringrazi Padre Pio. Sono tanto stanco". E in silenzio, si capiva, diceva: "Voglio andare lassù". E dopo sette giorni era lassù». E due giorni prima che morisse Padre Pio, lo stesso professor E. Medi chiedeva a Paolo VI: «Santità, io vado su al Gargano. Son cinquant'anni delle stimmate di Padre Pio. Posso portare la sua benedizione? E il Papa mi ha detto: "Con tutto il cuore. Con tutta la gioia. Con tutto l'affetto"» (12). Padre Pio amava la Chiesa, l'ascoltava e la incarnava nel suo genuino insegnamento: l'amore senza limiti al mistero eucaristico, che ce lo presenta quale «modello eccezionale», è una risposta piena al suo magistero. Se l'azione che un sacerdote può svolgere per la salvezza del mondo è multiforme, la più degna, la più efficace, la più duratura è senza dubbi quella di «farsi dispensatore dell'Eucarestia, dopo essersene egli stesso abbondantemente nutrito. L'opera sua non sarebbe più sacerdotale, se egli, sia pure per lo zelo delle anime, mettesse in secondo luogo la vocazione eucaristica» (Pio XII). Il Concilio Vaticano II ribadisce che i presbiteri nella celebrazione del sacrificio eucaristico svolgono la loro «funzione principale», perché il loro sacerdozio ministeriale è essenzialmente ordinato all'Eucarestia. Il documento sul sacerdozio ministeriale del terzo sinodo dei Vescovi dichiara che «il ministero sacerdotale raggiunge il suo culmine nella celebrazione dell'Eucarestia, che è la fonte ed il centro dell'unità della Chiesa. Solo il sacerdote è in grado di agire "in persona Christi" nel presiedere e nel compiere il convito sacrificale nel quale il popolo di Dio viene associato all'oblazione di Cristo» (n. 4). La vocazione sacerdotale è per eccellenza una vocazione eucaristica, perché «nella santissima Eucarestia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini i quali in tal modo sono invitati e indotti a offrire assieme a Lui se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create» (Presbyterorum ordinis, n. 5). Padre Pio «viveva per la Messa, della Messa»; per lui era «sorgente della luce, della forza, dell'alimento del suo duro servizio per la salvezza dei peccatori», proprio come afferma il citato decreto conciliare: «tutti i Sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere d'apostolato, sono strettamente uniti alla sacra Eucarestia e ad essa sono ordinati» (13). Sottolineava in modo singolare questo atto, «il più sublime, il più alto, il vero atto sacerdotale del suo ministero. La sua Messa celebrata in una maniera inconfondibile richiamava l'attenzione ed incideva sulla devozione di quanti la presenziavano. E pure questo, mi pare, dobbiamo sottolineare, in un momento in cui la santa madre Chiesa ha chiamato tutto il mondo cattolico ad una partecipazione più attiva, più consapevole e più devota alla santa Messa; e quindi anche la nostra partecipazione alla Messa stessa. La Messa di Padre Pio da Pietrelcina ha anticipato gli eventi non nelle forme esteriori (non era compito suo e sarebbe andato fuori dei limiti che doveva osservare); ha anticipato non le forme liturgiche nuove, ma lo spirito che anima queste forme» (14). La Chiesa ha richiamato tutto il mondo cattolico ad una partecipazione più responsabile e devota alla santa Messa; finalizza alla Messa la predicazione e gli stessi Sacramenti, vertice di tutta la sua attività, sorgente di tutte le sue risorse, tutte le sue energie soprannaturali. Tutto questo Padre Pio lo «ha anticipato di cinquant'anni, che poi il Concilio Vaticano II ha consacrato così solennemente; anticipato, dicevo, nello spirito; lo ha sottolineato agli occhi di folle intere che giorno per giorno si avvicendavano intorno al suo altare anche nelle ore più mattutine. Ha anticipato la proclamazione, non a parole ma coi fatti, del "valore vertice della santa Messa" e la sua frase direi teologicamente indovinata ha significato proprio questa anticipazione meravigliosa. "Il mondo - diceva il Padre - potrebbe stare anche senza sole, ma non può stare senza la santa Messa"» (15). Il «Corpus Christi eucharisticum» era la sua fonte di apostolato, centro ed alimento della sua vita interiore; il suo cuore smaniava di unirsi a Lui sin dalle primissime ore del mattino; le sue preparazioni alla Messa o Comunione erano veglie prolungate. Passata la mezzanotte, «per il povero Padre era un tormento, un'ansia continua". «Che ore sono?», mi domandava. «Sono le 12,30; è presto ancora». «Mi raccomando, non fare passare l'orario. Per l'una io debbo alzarmi». Ma l'orario non poteva passare, perché lui era sveglio e all'una mi diceva: «Alzami, che ci faccio in questo letto?". E si levava all'una di notte. Dall'una e mezzo fino alle quattro, seduto sulla poltroncina con la corona che mai lasciava, pregava, si preparava alla Messa. Alle quattro scendevamo in sacrestia e per un'ora egli attendeva alla preparazione immediata alla Messa. Ma anche in quest'ora il solito ritornello: «Che ore sono?». «Ci vuole ancora tempo». «Come, sono già suonate le quattro e mezzo da un bel poco. Presto, presto, vestimi». Ma l'ansia e il tormento si facevano più pressanti. Appena vestito dei sacri paramenti, lo mettevo a sedere per non farlo stancare, aspettando che il sacrestano aprisse la chiesa, mentre io uscivo dinanzi all'altare per le preghiere del mattino. Ad un tratto il Padre grida: «Onorato! Onorato!». Io mi precipito: «Che c'è, Padre spirituale?». «Fa' aprire la chiesa; sbrigati». «Ma ci vuole ancora qualche minuto, non sono ancora le cinque». «Alle cinque debbo essere sull'altare - rispondeva. Sbrigati». Appena aperta la chiesa, la calma era tornata nel suo spirito [...]. Dall'altare pendeva tutta la sua vita, con il suo amore, con il suo dolore, con la sua carità ed ha trasfuso nei suoi figli tutto l'ardore che gli veniva dal Corpo e dal Sangue di Gesù [...]. «Dal suo altare sono partiti i raggi del suo amore e della sua luce, che hanno raggiunto tutti i suoi figli, unendoli come membri di una stessa famiglia. Dalla sua mensa egli ci ha dato lo stesso pane e siamo diventati un solo corpo e un'anima sola con il Cristo. Questa chiesa [di S. Maria delle Grazie] era il Cenacolo ove tutti noi mangiavamo dello stesso pane, lasciatoci da Gesù, e dato a noi dal Padre» (16). Del suo sacerdozio aveva una profonda stima e tanta paura di sciuparlo da fargli dire che, nascendo una seconda volta, cappuccino sì ma sacerdote no, perché troppo sublime. Lo si vedeva quando durante la celebrazione al momento della consacrazione era preso da un'angoscia profonda: «Un giorno me l'ha detto. Parlava poco, molto rapidamente di queste cose: "Tu devi capire cosa significa ogni giorno ammazzare mio Padre, ammazzare Gesù"» (17). È un parlare che potrà non riuscire gradito a quanti discutono sull'identità del sacerdozio, «considerando l'ascetica e la mistica di S. Francesco d'Assisi, di S. Teresa e di S. Giovanni della Croce, di Padre Pio, prassi e fenomeni di un cristianesimo ormai sorpassato, non più adatto al tempo della secolarizzazione del sacerdozio, del trionfo della civiltà tecnica e dell'apostolato attivistico e clamoroso. Ma Gesù Cristo, in cui "abita corporalmente la pienezza della Divinità" (Col. 2,9), è il medesimo ieri e oggi, ed è anche per i secoli (Ebr. 13,8)» (18). La Messa perdura nel culto eucaristico, perciò il magistero ecclesiastico non soltanto ricorda al sacerdote che egli «prima di tutto è ordinato alla celebrazione eucaristica», che di questo sacrificio deve farne «alimento di vita soprannaturale per sé e per i fedeli», ma gli raccomanda anche la «ineguagliabile importanza del culto eucaristico fuori della Messa»: sia sotto l'aspetto «cultuale» - adorazione, ringraziamento, propiziazione, implorazione - che comprende gli stessi fini del Sacrificio; sia dal punto di vista «ascetico e mistico», perché senza «una genuina pietà eucaristica non si dà vero alimento all'apostolato, né si assicura la fedeltà delle vocazioni ecclesiastiche e del ministero sacerdotale (cf. Presbyterorum ordinis, n. 4 s); sia dal punto di vista "ecclesiale-comunitario", perché l'Eucarestia è conservata nei templi e negli oratori come il centro spirituale della comunità religiosa e parrocchiale, anzi della Chiesa universale e di tutta l'umanità (enc. Mysterium Fidei, in AAS 57 [1965] 772); sia dal punto di vista "sociale" e "umano" come ispiratrice di carità e di socialità; sia infine anche da quello "ecumenico', come fonte e alimento di unità» (19). Pare di vedere ancora Padre Pio «come singolare sentinella, al suo posto abituale del vecchio coro o del matroneo della nuova chiesa, con la fronte raccolta nelle sue mani stimmatizzate, per lunghe ore, in atteggiamento di estasi dinanzi all'altare, in un colloquio incessante ed intimo con Gesù Ostia, mentre le anime lo fissano con una protesa attenzione, legate fra loro da una stessa forza: quella dell'unità dello spirito» (20). A chi gli domandava: «Padre, quando non ci sarete più, come faremo senza di voi? - poteva ben a ragione rispondere: «Andate innanzi al tabernacolo: in Gesù troverete anche me». Nel clima di aggiornamento ecumenico e nella riscoperta della teologia contemporanea di un nesso così profondo tra Eucarestia ed ecclesiologia, che non si può riflettere in profondità sulla Chiesa di Dio senza far menzione dell'Eucarestia, segno e fermento dell'unità dei credenti, vi è anche l'esortazione ai fedeli di adorare «con ardore» Cristo Signore nel Sacramento ed ai Pastori il richiamo a guidarli «con l'esempio» ed a spronarli «con opportuni ammaestramenti» (Eucharisticum mysterium; n. 50). Padre Pio per compiere con fedeltà il proprio ministero praticò intensamente «il culto personale della Sacra Eucarestia» e il «dialogo quotidiano con Cristo andandolo a visitare nel Tabernacolo», anticipando di cinquant'anni coi fatti ciò che poi stabilisce il Concilio Vaticano II (cf. Presbyterorum ordinis, n. 18). Lo stesso decreto sul ministero e vita sacerdotale esorta i Presbiteri a venerare e amare «con devozione e culto filiale», «la Madre del Sommo ed Eterno Sacerdote, la Regina degli Apostoli, l'Ausilio dei Presbiteri nel loro ministero» (n. 18) e Paolo VI nella sua esortazione apostolica «Cultus marialis» del 2 febbraio 1974 propone ai singoli cristiani, come «maestra di vita spirituale», Maria «modello di tutta la Chiesa nell'esercizio del culto divino»: guardare a Maria per fare, come lei, della propria vita un culto a Dio e del loro culto un impegno di vita (cf. n. 21). La venerazione e l'amore a Maria santissima è una delle componenti essenziali della spiritualità di Padre Pio, ma non è nostro fine dimostrarlo (21), qui vogliamo soltanto accennare al pio esercizio del santo Rosario o corona della beata Vergine Maria, di cui Padre Pio era talmente innamorato da diventare un «rosario vivente». Il problema dei problemi per ogni cristiano è - anche attraverso il culto - l'esigenza di rivestirsi di Cristo, conoscerlo, approfondire il suo insegnamento, amarlo. Il Concilio Vaticano II valorizza la Liturgia, come una delle vie maestre che conduce a Cristo, «ritenuta come l'esercizio di Gesù Cristo stesso» (cf. Sacrosanctum Concilium, n. 7). Ma vi sono anche altre vie, capaci di condurre anime a Cristo, una di queste è il Rosario e Paolo VI nella citata esortazione (nn. 32-55), tratteggiandone una sintesi teologica e storica, ne sottolinea sempre l'aspetto di via a Cristo; infatti il Rosario ci fissa in Cristo, nei quadri della sua vita e della sua teologia, «non solo con Maria, bensì, per quanto a noi possibile, come Maria, che è certamente quella che più di tutto lo ha pensato». La presentazione allo sguardo spirituale dell'orante dei cosìddetti «misteri del Rosario», fanno di questo «pio esercizio mariano una meditazione cristologica, abituandoci a studiare Cristo dal migliore posto di osservazione, e cioè da Maria stessa» (22). Ci può essere migliore guida di una Madre al Figlio? E ci può essere più sicurezza nel cammino verso Betlem, il Calvario e il Risorto, di quella di un percorso fatto a fianco alla Madre di Gesù, com'è nella pia recita del santo rosario? «Con lei, nel Rosario, percorriamo sicuri il cammino della storia della salvezza nel nucleo centrale di attuazione del piano stesso. È la via storica che anche il Concilio Ecumenico Vaticano II ha vivamente raccomandato» (23). A questa «preghiera evangelica» - come oggi forse più che nel passato amano definirla i pastori e gli studiosi - Padre Pio attingeva continuamente per l'impegno apostolico e la efficace promozione della vita cristiana. L'amore che Padre Pio portava alla Madre di Dio non era impastato di sentimentalismo e melate parole o di sospirosi accenti e facili singhiozzi, ma frutto di meditazione continua, incarnata nella vita: contemplava Maria nel piano della salvezza voluto da Dio e, nella sua luce, si sentiva più vicino a Gesù: «Stretto e legato al Figlio - dice Padre Pio - per mezzo della Madre»: «Questa tenerissima Madre nella sua grande misericordia, sapienza e bontà ha voluto punirmi in modo assai eccelso alla presenza sua ed a quella di Gesù sono costretto ad esclamare: "Dove sono, dove mi trovo? Chi è che mi sta vicino?" Mi sento tutto bruciare senza fuoco; mi sento stretto e legato al Figlio per mezzo di questa Madre, senza neanche vedere le catene che tanto stretto mi tengono; mille fiamme mi consumano; sento di morire continuamente e pur sempre vivo» (Epist. I, 357). L'amore alla Madre di Dio lo inebriò e lo fece diventare apostolo: «Vorrei avere una voce così forte per invitare i peccatori di tutto il mondo ad amare la Madonna» (ivi, p. 277) «amate la Madonna», «la Madonna regni sovrana nei vostri cuori», «la Madonna sia la stella che guidi il vostro cammino», «recitate sempre il Rosario»... erano i suoi messaggi ai figli vicini e lontani. Sfogava il suo tenerissimo amore alla Madonna con la recita senza numero di Rosari, per le scale, per i corridoi, in mezzo alla folla - sempre e dovunque con la corona in mano, nascosta nella pettorina dell'abito; ed è passato al premio eterno stringendo tra le mani la corona del «Rosario benedetto di Maria, catena dolce che ci annoda a Dio», e mormorando forse ancora l'ultima Ave Maria sulla terra, prima di cominciare a dar lode a Dio e alla sua Madre celeste nella vita eterna. Due giorni prima di morire a chi gli chiedeva: «Padre, cosa ci dite?» - egli rispondeva: «Amate la Madonna e fatela amare. Recitate il rosario e recitatelo sempre. E recitatelo quanto più potete». E a chi gli ripeteva l'eco di un certo andazzo del Rosario che «ha fatto il suo tempo», egli diceva: «Facciamo quello che abbiamo sempre fatto, quello che hanno fatto i nostri padri e ci troveremo bene». «Ma satana impera nel mondo». «Perché lo fanno imperare: può uno spirito imperare da sé se non si unisce alla volontà umana? Amate la Madonna e fatela amare, recitate sempre il suo rosario e bene. Satana mira sempre a distruggere questa preghiera ma non ci riuscirà mai: è la preghiera di Colui che trionfa su tutto e su tutti. E lei che ce l'ha insegnata come Gesù ci ha insegnato il Pater noster» (24). Recitare il Rosario sì, ma recitarlo bene, come si conviene ad ogni preghiera perché sia efficace: i due elementi diversi della corona - meditazione dei misteri e preghiera vocale - devono combinarsi tra loro con «un'attenzione speciale» perché non basta pensare a Dio in un modo qualsiasi. E Padre Pio ha una risposta chiarificatrice anche per quelli che vogliono creare un problema tra preghiera mentale e vocale nella recita del santo Rosario. Una figlia spirituale, chiestogli un parere sul modo di recitare praticamente la corona e cioè «se si dovesse fare attenzione alle parole dell'Ave Maria (preghiera vocale) oppure alla raffigurazione mentale della scena del mistero», disse: «L'attenzione dev'essere portata all'Ave, al saluto che rivolgi alla Vergine nel mistero che contempli. In tutti i misteri essa era presente, a tutti partecipò con l'amore e con il dolore». Un altro atto di devozione filiale di Padre Pio alla Madonna era la recita dell'Angelus Domini, a cui partecipavano tanto volentieri gli amici occasionali o abituali, edificati dal suo tono caldo, raccolto e amoroso: la voce scopriva il cuore di un figlio incatenato dall'amore della più tenera fra le madri. Paolo VI nella esortazione apostolica sul culto della beata Vergine Maria parla anche di questo pio esercizio, con parola breve ma viva, per mantenerne «consueta la recita», perché anche a distanza di secoli conserva inalterato il suo valore e la sua freschezza, senza bisogno di «restauro», e «nonostante le mutate condizioni dei tempi, invariati permangono per la maggior parte degli uomini quei momenti caratteristici della giornata - mattina, mezzogiorno, sera - i quali seguono i tempi della loro attività e costituiscono invito ad una pausa di preghiera» (cf. n. 41). Chi si domanda perché Padre Pio ha saputo attirare attorno a sé milioni di anime e riportarle sui sentieri della salvezza, come mai quest'uomo «all'antica» ha esercitato tanto fascino su anime già lusingate dal «miraggio d'una religiosità e d'una spiritualità di nuova moda», risponde: «È perché egli ha saputo tener alta la dignità, la sublimità, la fiaccola del vero autentico sacerdote di Cristo! [...]. Aveva capito che un sacerdote difficilmente riesce ad essere un autentico "alter Christus" senza una profonda e filiale devozione a Maria, e Padre Pio da Colei che fu la prima portatrice di Cristo alle anime - ai piedi della sua cara Madonna delle Grazie - seppe attingere aiuti abbondantissimi per diventare un insigne portatore di anime a Cristo» (25).

Dio e il prossimo

Padre Pio, «affondato» nel Signore, sapeva che nella vita personale si chiacchiera soltanto della «contemplazione per le strade» o della «preghiera diffusa», e non si collocano momenti precisi di contemplazione e di preghiera soprattutto eucaristica. La preghiera «è stata la vita di Padre Pio, è stato il suo destino: noi confessiamo in lui questa grandezza eccezionale» (Vailati V., arciv. di Manfredonia); a noi Padre Pio ha lasciato un testamento, quello evangelico di «preghiera e penitenza. La sua vita era stata tutta una preghiera, era trascorsa ad insegnarci la preghiera, lui come S. Francesco» - l'uomo fatto di preghiera (Pasquale da Lens, generale dei Cappuccini); «come pregava bene Padre Pio! Si sentiva che ci metteva tutta l'anima» (Carta P., arciv. di Sassari); Padre Pio «è come Gesù, l'uomo del colloquio col Padre: uomo di preghiera: un uomo di preghiera che alla preghiera dava il suo calore, consacrandovi le ore della giornata; amando in modo particolare la preghiera comune, ma apprezzando la preghiera individuale che Gesù ha raccomandato» (Lercaro card. G.). L'irresistibile attrattiva della sua persona e la travolgente irradiazione della sua attività sacerdotale non sarebbero comprensibili staccate dalla visione del contatto intimo vitale e personale con il Padre che è nei cieli. «Invece attraverso il prisma della preghiera e della contemplazione, tutto si rischiara nello stimmatizzato del Gargano; tutto si illumina e si spiega; la sua missione non è più una incognita per gli uomini del secolo del benessere, della tecnologia e della secolarizzazione [...]. Affermare che Padre Pio fu "l'uomo d'orazione", non è una esagerazione affettiva o un topico letterario. È la voce univoca dimostrata dai fatti, dai documenti e dalla esperienza di quanti lo conobbero. La vita d'orazione era il centro di gravità del suo apostolato e la chiave di volta del suo edificio spirituale» (26). L'ultimo superiore di Padre Pio, Carmelo da S. Giovanni in Galdo, afferma: «La caratteristica che più brillava in Padre Pio era la preghiera continua, con cui egli si manteneva ininterrottamente unito con Dio. La preghiera era il suo rifugio, la sua arma, la sua forza misteriosa». Anche il sonno, se sonno può chiamarsi il suo, era un alternarsi di sospiri, giaculatorie, invocazioni: «Gesù mio!», «Mamma mia Maria, a te il gemito della povera anima mia!...». Piccole scintille di quel fuoco che gli bruciava dentro; poteva veramente affermare: «Prego di continuo» (Epist. I, 751). La Messa antelucana - ci ricorda il card. Lercaro - in mezzo all'assemblea affollata e pur tanto raccolta e quasi rapita, e l'orazione silenziosa nel coretto erano le radici di quella forza soprannaturale che irrobustiva la sua parola illuminata, burbera talora e dura, ma tanto suasiva e confortante. Profondamente convinto della forza sovrumana della preghiera, Padre Pio non si stancava di esortare i suoi figli spirituali, sempre più numerosi nel mondo, a pregare: «Pregate, pregate molto, figli miei. Pregate sempre, senza stancarvi»; «Ti sei dette le preghiere? Devi pregare. Prega, prega di più...». E quale preziosa eredità a continuazione della sua costante sollecitudine per l'avvento del Regno di Dio nelle anime e nel mondo - del cui sviluppo e della cui efficacia era tanto sollecito, anche se il suo «osservatorio» era un «piccolo convento romito» - Padre Pio lasciava i «gruppi di preghiera» per pregare insieme e insieme meditare sulla provvida efficacia dell'insostituibile forza di Dio per il bene del mondo; e chiudeva tra il coro degli oranti la sua missione terrena, che in realtà era stata «una preghiera continua, una supplica persistente al Padre per presentargli, con Cristo, in Cristo, per Cristo, le necessità e i dolori, le speranze e le ansie della Chiesa e del mondo. Nel suo sacerdozio, la mediazione dell'unico Mediatore, si attuava con l'incessante offerta che lo univa alla vittima dell'altare; e, come intorno all'altare del modesto santuario, così dietro il suo invito, nel mondo tutto, le anime facevano assemblea e univano il coro delle loro voci ai gemiti irresistibili di Cristo» (27). È teologia del Concilio Vaticano II che Padre Pio vive intensamente: «Il vero discepolo di Cristo è contrassegnato dalla carità sia verso Dio che verso il prossimo» (Lumen Gentium, n. 42); e la carità si manifesta e si sviluppa nel «dialogo quotidiano con Cristo andandolo a visitare nel Tabernacolo e praticando il culto personale della Sacra Eucarestia (Presbyterorum ordinis, n. 18). L'amore del cristiano non può essere che carità verso Dio, ma Dio vuole che gliela dimostriamo amando il prossimo: «Carissimi, se Dio ci ha amato anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri», ci dice S. Giovanni nella sua prima lettera (4, 11) perché Dio non può essere «il beneficiario» delle nostre azioni. Per questo la carità quando si trasforma in opere e si attua in favore dei fratelli, «nulla come il prossimo rende prossimo Dio» ed ogni incontro con l'uno è un appuntamento con l'altro: «È a me che l'avete fatto...». Il cristiano vive la carità fraterna perché vive di Dio e con Dio, più ama Dio con fervore più si attacca al fratello che vive o può vivere di Dio, separando l'uomo dal male che ha commesso; la sua carità tende ad edificare il corpo di Cristo, amando e rendendosi amabile per un vicendevole amore: amore personale, tinto di tenerezza, incarnato, vissuto, manifestato in modo umano. Padre Pio si sforza di amare Dio e in Dio generosamente i fratelli, diventando «prossimo di ogni uomo», per edificare il corpo di Cristo, in modo integrale, pensando al bene dell'anima e del corpo. Esercita in modo instancabile e preminente il ministero della Penitenza, «sacramento di grandissimo giovamento per la vita cristiana» e perciò ogni sacerdote deve mostrarsi «sempre disposto e pronto ad ascoltare la confessione dei fedeli» e raccomandarne la frequenza (cfr. Christus Dominus, n. 30, Presbyterorum ordinis, n. 13). Era talmente irrefrenabile il suo desiderio di seminare la salvezza, da potergli far dire, senza esagerazione, quello che ripeteva a sé stesso l'abate Huvelin: «Non posso posare lo sguardo su nessuno senza desiderare di dargli l'assoluzione». Del suo ministero amò costantemente il sacramento della Penitenza e la Santa Messa: «due ministeri fondamentali della attività sacerdotale: fondamentali nella vita della Chiesa. Direi che a questi due ministeri riservò il suo lungo sacerdozio: la Confessione che, conforme alla comune prassi, implica anche la direzione spirituale e la santa Messa. E i pellegrini che andavano a S. Giovanni Rotondo, andavano per incontrare Padre Pio in questi due ministeri» (28). Egli mostrava ai fedeli, e soprattutto ai sacerdoti, il valore della grazia di Dio che si deve attingere principalmente al sacramento della Penitenza: è l'insegnamento più grande e luminoso di Padre Pio: «Io amerei chiamarlo "martire della confessione, martire del sacramento della Penitenza", perché l'ho visto tante volte stanco, sfinito, eppure, nelle ore a lui stabilite dall'ubbidienza (perché era un religioso umilissimo, dolcissimo, obbedientissimo), all'ora stabilita dall'ubbidienza, era pronto a confessare. E io sapevo che cosa gli costavano quelle confessioni, perché dormiva pochissimo. Spesso doveva alzarsi alle due di notte per i dolori fortissimi. Era costretto allora a sedersi su un seggiolone e aspettava così l'ora della Santa Messa, che allora, di solito era le cinque del mattino. E giù tutta la mattinata, e poi tutta la serata, era assediato quando scendeva a confessare o a celebrare funzioni. E più assediato ancora era dentro il convento, per tutte le personalità che venivano da ogni parte del mondo. Chi andava a visitare Padre Pio doveva andare per questo scopo: attingere da lui la grazia santificante, altrimenti non era gradito» (29). Il ministero della Penitenza, sempre delicato e difficile, era per Padre Pio sorgente di tante sofferenze: la sua «passione». Il peccato, «parola taciuta» (Paolo VI) ai nostri giorni, si redime a prezzo di sangue ed alla sua Passione Cristo vuole associate le sofferenze degli uomini, che ha più vicino nell'amore e nella carità, per la remissione dei peccati: «Le anime non vengono date in dono: si comprano. Voi ignorate - diceva Padre Pio - quello che costarono a Gesù. Ora è sempre con la stessa moneta che bisogna pagarle». Perciò spesso si sentiva ripetere: «Quanto, quanto mi è costata quell'anima!...»; «Quanto mi ha fatto penare!...», faceva sapere a certi penitenti. Era sempre la stessa moneta: «Mio Dio - poteva ripetere con S. Veronica - non con voce, ma col mio sangue vengo per chiedervi anime»; perciò Padre Pio quando si prendeva un'anima non la lasciava più: «Una volta che un'anima si è avvicinata a me io la prendo». Lui che «fece tutto da innamorato», come il suo serafico padre Francesco, lui che ha amato il prossimo col cuore di Dio, sapeva che amore è amaro: «L'amore è amaro - diceva - Amore significa amaro, cioè sofferenza. Se realmente vogliamo amare dobbiamo soffrire». E tutta la vita di Padre Pio è stata una «passione»; interiore ed esteriore; il peccato pesava sopra di lui: «il peccato che egli ascoltava, constatava e rimproverava, ma per chiamare su quello la misericordia di Dio; il peccato, che in nome di Dio perdonava, era una ferita alla sua anima. Una sofferenza interiore, che talvolta diventava tanto profonda da non poterla più sostenere e si traduceva anche in sofferenza esterna. Ed egli univa la sua sofferenza a quella di Cristo perché fossero perdonate le colpe dei fratelli» (30). È la passione di tutta la vita di Padre Pio - continua il card. Lercaro - che non possiamo dimenticare, perché è un grande insegnamento che Dio ha dato a noi, proprio a noi, che pensiamo di essere «buoni cristiani», ci chiamiamo qualche volta «cristiani praticanti», proprio noi abbiamo sciupato talvolta il sacramento della Penitenza: «Io mi confesso tutte le settimane e con questo i conti con Dio sono bell'e chiusi...» e la confessione diventa una «pratica di ordinaria amministrazione». Padre Pio, inconciliabile col male, al contrario dei «sempre pronti a mettere guanciali sotto il capo dei peccatori per addormentarli nel vizio» (S. Alfonso de' Liguori), sventava questo pericolo alla sua maniera, senza mezzi termini; dal confessionale: «Egli gridava, inflessibile ed austero, contro il peccato e l'offesa di Dio: "Sciagurato, hai venduto l'anima al diavolo!... Sciagurato, tu vai all'inferno!... Sciagurato, va' a vestirti!... Sciagurato, va' a disporti al divino perdono... ". Il Padre non era l'uomo dei mezzi termini: inconciliabile col male, nemico irriducibile dell'offesa di Dio: da una parte era duro con chi non era convinto e deciso a fuggire il peccato, dall'altra era paterno, accogliente, comprensivo, incoraggiante con chi impegnava tutta la sua buona volontà nel superamento della debolezza e fragilità umana, per proseguire con lena nel cammino dell'amore di Dio» (31). La sofferenza con cui Padre Pio accompagna la sua assoluzione è un monito per il mondo, anche per il mondo cristiano, in cui l'assuefazione, magari fin dall'infanzia, dalla fanciullezza, ha talvolta sminuiti, diluiti i contorni di realtà che nella nostra vita dovrebbero essere profonde e profondamente incise: «Questo lineamento così caratteristico di Padre Pio, lo dobbiamo tenere presente; perché io penso che la Provvidenza abbia voluto sottolinearlo, per un avvertimento al mondo credente e praticante, devoto; infatti se i peccatori, che si inginocchiavano al confessionale di Padre Pio potevano essere figli prodighi e stanchi, noi forse siamo il figlio maggiore». E fu proprio il figlio maggiore «che diede il dolore più grande a suo padre!... Qualche volta siamo noi dei figli maggiori che ci scordiamo di andare a tavola col Padre nostro, perché abbiamo l'abitudine di star sempre in casa» (32). Combatteva il peccato con misericordia e fermezza, perché amministrava il sangue di Cristo: «Ringraziamo Dio che non può confessare - faceva sapere ad un sacerdote -. Se sapesse quanto è tremendo sedersi nel tribunale delle confessioni!... Noi sacerdoti amministriamo il sangue di Cristo. Attenti a non buttarlo con facilità e leggerezza». Anche un'altra santa, Caterina da Siena, secoli prima alla luce della fede scorge tutta la grandezza del sacramento della Penitenza, che con espressione del tutto singolare insiste a definire «battesimo del sangue, il quale si riceve con la contrizione del cuore e colla santa confessione, confessando, quando può ai ministri che tengono le chiavi del Sangue. Il quale sangue [questi ultimi] gittano nell'assoluzione sopra la faccia dell'anima (Dialogo, c. 75). A chi si inteneriva e pietiva per i non assolti, specialmente se l'intercessore era un sacerdote, rispondeva: «Anche tu non mi comprendi? Se sapessi come soffro nel dover negare l'assoluzione... Sappi che è meglio essere rimproverato da un uomo su questa terra che da Dio nell'altra vita». Ad un confratello che un giorno, per metterlo in imbarazzo, gli dice: «Ma lo sa che il p. Leopoldo confessava sedici ore al giorno e non cacciava mai nessuno?», Padre Pio rimbecca: «Sì, perché i peggiori li mandava a me!...» Battuta a parte, Padre Pio ammoniva i sacerdoti a non scimmiottarlo; ad un confessore che mandò via un penitente che non tornò più, disse: «È un lusso che tu non puoi permetterti!...»; e li esortava a regolarsi secondo la propria coscienza. Ad un confratello che gli chiedeva come comportarsi con le anime che andavano a confessarsi da lui, dopo essere state mandate via dal suo confessionale, rispose: «Io mi devo comportare per forza così. Tu regolati secondo la tua coscienza». Padre Pio non si dedicava soltanto alla carità spirituale, ma sull'esempio di Cristo che ha salvato «tutto» l'uomo in «tutte» le sue dimensioni, cercava di sollevare anche le membra doloranti del corpo di Cristo. Per lui, attorno a lui e lontano da lui è nato un fiume di bene che continua a scorrere, alimentato dai suoi figli spirituali e amici, «coscientizzati» dalla sua parola e dal suo esempio nell'impegno della promozione umana: la irradiazione benefica della «carità indiretta» di Padre Pio è concreta ed immensa; nel mondo, oggi, il suo nome e la sua realtà spirituale sono diventati come la «chiave d'oro» per amorosamente violentare qualsiasi cuore umano, proprio com'egli si esprimeva nei riguardi di Dio: «Continuerò a violentare il divin Cuore» (30 gennaio 1921) (33). Tacendo dei tanti «sollievi» a persone bisognose che bussano alla porta del convento, perché anche la mano tesa ha la sua dignità, sin dal 1923 «tra i benefici più noti», in un esposto al prefetto di Foggia il comune di S. Giovanni Rotondo può elencare, oltre a lire novantamila per l'erigendo ospedale, «l'aiuto incessante alla Congrega di Carità [...], i continui sussidi al ricreatorio degli orfani di guerra; l'aiuto materiale (medicine, vitto, vestiario, fitto di casa) a tutti i poveri ammalati e bisognosi del paese [...]; il collocamento in istituti religiosi di una ventina di giovanette povere, sole, abbandonate (non solo di S. Giovanni Rotondo, ma anche dei paesi vicini) che avrebbero potuto traviare senza sostegno ed appoggio; il ricovero in orfanotrofi di dieci orfani di guerra; il ricovero in orfanotrofi di parecchie bambine non solo orfane, ma veramente povere (due delle quali sono adottate per figlie, da rispettabili famiglie di Mola di Bari e di Milano), il ricovero nell'istituto dei sordo-muti di Roma dell'infelice sordo-muta Natale Rosa, orfana di entrambi i genitori. I corredi a parecchie giovanette disonorate, per farle riabilitare; il collocamento di alcuni giovanetti disoccupati; la pace, la concordia, l'amore a tante famiglie tribolate; ed inoltre Padre Pio, mostrandosi estraneo alla politica, ha incoraggiato ed aiutato le organizzazioni cittadine, ha contributo alla tutela ed all'ordine pubblico, inculcando nell'animo dei cittadini, che innumerevoli vanno a confessarsi, l'amore ed il rispetto delle leggi». Dalla sua mente e più dal suo cuore nasce «Casa Sollievo della Sofferenza» con una grandiosità e una ricchezza da reggia, la reggia per gli eredi del Regno: «La "carità" cristiana nella sua accezione evangelica; non elemosina, che getta al povero le briciole avanzate, ma che divide con lui e compartecipa i beni che sono al mondo: "Se dividiamo i beni celesti, quanto più non condivideremo i beni terreni?" La carità che rappresenta nella persona del sofferente, dell'ammalato, del povero "il volto di Cristo" che vi è in maniera tutta particolare presente!» (34). Ed accanto alla sorella maggiore «Casa Sollievo della Sofferenza» è tutto un fiorire di opere sociali: le scuole materne «S. Maria delle Grazie», «S. Francesco d'Assisi» e «Pace e Bene», il «Centro di Addestramento Professionale»; il «Cenacolo di cultura francescana», affiancato dalla rivista «Il fraticello» e le tante altre in cantiere. In rione «Santa Croce», anello di congiunzione tra il paese e la zona d'influenza del convento, sorse una chiesetta con annesso istituto di suore per la istruzione ed educazione dei bambini, nonché della gioventù femminile. All'estremità del paese, nella zona di sant'Onofrio, fu eretta la scuola materna «S. Francesco d'Assisi», con annesso orfanotrofio e laboratorio con corsi ministeriali ed attività varie di assistenza e beneficenza. Nella zona sud del paese si attrezzò la scuola materna francescana «Pace e Bene» ed i tre centri di assistenza accoglievano oltre cinquecento bambini, curati amorosamente da numerose figlie di S. Francesco, infervorate e guidate dalla parola illuminata di Padre Pio. Il suo programma era «combattere il male», non solo con la preghiera ma anche con le opere: «Preghiera e azione». La «nuova ventata» di bene sociale che si veniva stabilendo tra le mura conventuali e il popolo di S. Giovanni Rotondo, richiamava l'attenzione anche dei fanciulli e dei giovani. Fatto inconsueto: «Adulti e giovani si assiepavano lungo la scalinata e nel salottino, a volte anche nel corridoio del convento. Si era stabilito un contatto nuovo non solo con la povertà dei padri di famiglia (il Terzordine francescano femminile, nonostante un'azione preziosa di altissima capillarità, evidentemente non poteva arrivare dappertutto) ma a favore di giovani disoccupati o sottoccupati». Questa processione continua richiamò, naturalmente l'attenzione di Padre Pio, il quale chiamò il padre guardiano Carmelo da Sessano del Molise e lo interrogò: «Uagliò, dimmi un po': che vengono a fare tutti questi giovanotti?... Prima non si vedevano mai!... Che succede?...». «Padre, risposi, questi giovani, poveretti, sono disoccupati, non trovano lavoro. Vorrebbero lavorare, ma purtroppo!...». «Ed allora?...», continuò con un sorrisetto - "malizioso" -. Io tacevo, avendo capito che la risposta che stavo per dare non era la migliore. «Ed allora - dissi con uno sforzo - vengono qui a chiedere l'elemosina ed io do loro a chi cinquecento, a chi trecento lire...». Scoppiò il fulmine. Il Padre sgranò gli occhi e quasi gridò: «Come, giovani di vent'anni che chiedono l'elemosina!... E questi quando lavoreranno per guadagnarsi il pane?... A vent'anni l'elemosina!... Sicché i poveri genitori, che dovrebbero essere aiutati da loro, si trovano nelle condizioni di dover dare da mangiare ai figli di vent'anni!... Lavorassero! Lavorassero!...». La buona volontà c'era ma il lavoro mancava e Padre Pio suggeriva al guardiano. «Insegna loro un'arte o un mestiere!... a questi giovani: devono lavorare e guadagnarsi il pane!... Va' a Roma dai nostri amici e fa' qualcosa». La macchina si mosse: lunghi viaggi e ripetuti contatti a Roma per un grande «Centro di Addestramento Professionale», inaugurato il 26 gennaio 1956, uno dei primi della Capitanata, con locali amplissimi e funzionali, divenuto la fucina di centinaia di giovani del Gargano e fuori, e continua il suo apostolato di bene nel mondo. «Insegna loro l'arte» era diventata un'altra realtà e Padre Pio nelle feste riceveva quegli allievi con immensa gioia. Tra il fervore di opere materiali non poteva mancare l'interessamento per la cultura e la formazione. Un'altra idea di «avanguardia» fu il «Cenacolo di cultura francescana», iniziato con una sala-lettura e poi ampliata in una grande sala nel centro di S. Giovanni Rotondo. Divenne «davvero un piccolo faro di scienza; conferenzieri di fama internazionale, come il sempre caro professore Enrico Medi, ed altri di fama nazionale si susseguirono sulla cattedra francescana. Sacerdoti e laici, forestieri e paesani, portarono un soffio nuovo di spiritualità e di cultura». La voce del Cenacolo arrivava anche lontano con il «Fratozzo», divenuto poi «Fraticello». A S. Giovanni Rotondo la lotta al comunismo, nei vari periodi elettorali, si svolgeva sempre sul taglio del coltello: «Dopo i primi anni di attiva partecipazione a tutte le attività anche politiche della cittadina per fronteggiare la marea del comunismo, ci si trovava sempre di fronte ad uno spiegamento di risorse finanziarie che ci sbalordivano. Radio Praga incitava alla lotta ed alla vittoria con continui richiami di propaganda e con lo slogan: "Bisogna vincere a tutti i costi a S. Giovanni Rotondo, dove c'è il così detto monaco santo"». La democrazia cristiana vinceva, ma dopo estenuanti fatiche di propaganda elettorale, «fatta non solo di parole!...». Una delle fonti di guadagno per i comunisti era la fiorente cooperativa di consumo e in più, quello che ad un attento esame risultò sconcertante, ad essa affluivano anche le organizzazioni cattoliche di ogni ceto, dato il ribasso dei prezzi in essa operato: «C'era quindi un problema morale di fondo. Padre Pio, come sempre, fu chiaro nella impostazione: "Non è lecito aiutare, anche se indirettamente, il male; è un assurdo che i cattolici debbano aiutare i nemici della Chiesa!... Fa' una cooperativa tutta nostra "», dice al padre guardiano Carmelo da Sessano del Molise, il quale commenta: «Ci si accorge che non era facile vivere accanto ad un "Santo"... Fare una cooperativa?!...», dissi, meravigliato e poco disponibile. Ma il Padre replicò: «Va' dai nostri amici e fatti guidare da loro. Bisogna farla: il male si combatte con le opere!». Si trovò subito un gruppo di figli spirituali del Padre, che organizzarono la desiderata 'Cooperativa di Consumo' (23 giugno 1955) che si volle dedicare al Poverello di Assisi. In meno di due anni si ebbe un giro di affari di circa venticinque milioni!... I comunisti non risero più ed accusarono il colpo». Per mezzo di essa con un numero straordinario di «buoni viveri» si riuscì ad alleviare la miseria di tanti bisognosi, nel nome di quel Padre Pio, che rimane «immagine vivente della carità cristiana», fiaccola sempre accesa ed alimentata continuamente dalla sua presenza che spinge a realizzare ciò che egli non poté, perché la sua opera sociale non poteva esaurirsi a quanto è stato esposto in brevi cenni. Tra le altre iniziative in cantiere si possono citare la «Casa per i preti anziani o invalidi». In una di quelle tante mattine vissute insieme tra il 10 ottobre 1953-1959, apprendiamo dal p. Carmelo da Sessano del Molise, Padre Pio «mi chiamò e mi disse: "Senti un po'. Dopo aver pensato ai bambini, ai giovani, ecc., ora dobbiamo pensare a fare una Casa per preti vecchi!...". "Padre, vuol dire una Casa per i frati vecchi!". Egli m'interruppe di scatto e, fissandomi negli occhi, quasi gridò: "Per i preti! ho detto. Questi poveretti quando si fanno vecchi non hanno chi dia loro un bicchiere di acqua!... Noi frati abbiamo sempre qualcuno che ci assiste!...". Tutto mi divenne così chiaro che non potei che dire: "Va bene, Padre, ha ragione. Cercherò di fare quanto posso". Vi furono immediate trattative con benefattori e vi fu chi si disse disposto a tale scopo offrendo duecento milioni!... Ma le opere non sono poesie!... Per cui questa iniziativa di altissimo valore ecclesiale rimase in cantiere». La presenza di Padre Pio aveva attirato a S. Giovanni Rotondo «la potenza delle forze del male: massoneria, comunismo, anticlericalismo, protestantesimo, ecc. si unirono nello sforzo di ostacolare e fermare i frutti meravigliosi dell'apostolato del Padre. Più volte il Padre amorevolmente mi ammonì: "Figlio mio, stiamoci attenti... Satana ha messo qui il suo quartiere generale!... Stiamoci attenti!". Per controbilanciare questa presenza delle tenebre, col consiglio del Padre, si pensò di fondare un convento di clausura di monache cappuccine». Opera che, con l'aiuto dei sempre tanti amici e figli spirituali di Padre Pio e per interessamento dei suoi confratelli cappuccini, oggi è una realtà. In cantiere vi era anche la «Casa del pellegrino» - oggi realizzata - la «parrocchia» nella chiesa conventuale, «programmata già con confini dal bivio di S. Croce a ventaglio verso la pianura, Montenero e il territorio di S. Marco in Lamis». Infine vi era «l'Opera per bambini anormali e subnormali» e il «Villaggio internazionale del fanciullo» (35). I Cappuccini della provincia di Foggia, «continuatori ed eredi della missione spirituale di Padre Pio», hanno eretto un «Centro spastici», inaugurato il 22 gennaio 1971 e per la circostanza l'arcivescovo di Manfredonia Valentino Vailati, durante la Messa celebrata nella cappella del Centro: «Noi salutiamo con gioia - diceva tra l'altro - l'apertura di questa casa. Essa avviene nel nome di S. Francesco e di Padre Pio, per la riabilitazione sociale dei bimbi spastici. Nel nome di S. Francesco, perché è la provincia monastica francescana dei Cappuccini di Foggia, che si è presa l'onore e l'onere di aprire questa casa. Ecco perché l'opera sarà gestita, guidata e sorretta dai frati. Nel corso dei secoli S. Francesco ha avuto tanti, tantissimi figli esemplari, ripieni del suo spirito di carità. Tra questi noi annoveriamo il venerato Padre Pio».

Già l'alba...

«Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi» (Gv. 15,9); e voi «Amatevi come io vi ho amato» (Gv. 13,34; 15,12), ci ricorda Gesù per bocca dell'evangelista S. Giovanni. Dio è un esempio «terribile» per l'uomo. Il Crocifisso: ecco il ritratto autentico di Dio. Quando l'amore si incarna, ecco che cosa diventa. Il cristiano, trasformato e chiamato a vivere dello stesso amore di Dio, ha davanti a sé quello che deve divenire: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv. 15,13). Se ama e conquista chi soffre e si dona, Padre Pio ha conquistato molto, perché ha sofferto molto, lui «tutto sacrificio», «l'umile e grande cireneo di Cristo», lui «crocifisso». E un crocifisso non può incontrarsi che sulla via della Croce e su questa via «cammina oggi e sempre. Egli visse crocifisso come Cristo. Chi vuol trovarlo lo troverà sulla via della Croce. Su questa via ci conforta e ci aiuta a progredire verso la risurrezione [...]. Camminate per questa strada segnata dal sangue divino, con Cristo che vive in mezzo a noi e con Padre Pio, che ha vissuto una lunga Via Crucis in perfetta e amorosa obbedienza alla volontà del Padre del Cielo e che ora ce la lascia in eredità, come il suo testamento di amore, per il nostro incontro col Padre e con i fratelli». Son pensieri della meditazione sul mistero della prima stazione, pronunziata da C. Ursi cardinale di Napoli il 25 maggio 1971, alla inaugurazione della Via Crucis, eretta per espresso desiderio dello stesso Padre Pio (36). All'inizio del 1967 i religiosi della comunità cappuccina del santuario di S. Giovanni Rotondo cominciarono a caldeggiare l'idea di installare ai piedi del monte Castellana una Via Crucis più comoda e più raccolta di quella che sorge lungo il viale che dal paese porta al convento. «L'occasione propizia, per parlarne col Padre, mi venne offerta da lui stesso. In un giorno di febbraio del 1967, Padre Pio, uscendo dal piccolo coro della vecchia chiesina, ancora estatico per la lunga meditazione ai piedi del Crocifisso delle stimmate e dinanzi alla sacra immagine della Madonna delle Grazie, mi salutò con un ampio sorriso. Approfittando di tanta affabilità e confidenza, mi affrettai ad esporgli l'idea della nuova monumentale Via Crucis. Non avevo ancora finito di parlare, quando il Padre mi disse testualmente: "Fra le tante cose belle, questa che si vuole realizzare adesso è una delle più belle"». (37) La Via Crucis accanto alla tomba di Padre Pio e al suo confessionale, che conosce tanti misteri del tormento umano e della misericordia divina, è un elemento «marginale», la «cornice» di un quadro, un «riempitivo» devozionale o «qualcosa centrale» per i pellegrini che vanno in cerca di Dio? Nel santuario di S. Maria delle Grazie c'è la celebrazione dell'Eucarestia, ci sono i confessionali, ci sono le spoglie mortali di colui che fu «l'angelo della resurrezione per tanti peccatori e che ancora intona l'Alleluia per tanti che lo interrogano», ma è facile partecipare alla celebrazione dell'Eucarestia? - continua a interrogare il card. Ursi -. È facile usufruire del sacramento della riconciliazione con Dio? Riescono tutti a percepire nel silenzio del Padre le sue arcane parole ammonitrici e ispiratrici? La Via Crucis che è l'opposto della via che percorriamo nel mondo tutti i giorni, ci rimette alla ricerca dell'Amore, della gioia per la via del pentimento e del sacrificio: «Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc. 9,24), verso il Padre del Cielo e verso i fratelli della terra nel clima della pace. «Salendo con l'animo meditativo per le balze faticose della sacra montagna e sostando alle stazioni della Via Crucis, noi pellegrini, assieme a Padre Pio, l'umile e grande cireneo di Cristo utilmente effigiato nella V stazione, veniamo portati dallo Spirito Santo, sotto gli occhi incoraggianti di Maria, che ci attende al vertice della santa via, a comprendere e ad assimilare il mistero della morte e della resurrezione di Cristo [...]. La Via Crucis acuisce la sete della penitenza e della riconciliazione con Dio e coi fratelli, che si consegue nel sacramento della Confessione, acuisce la fama della vita divina, che viene soddisfatta alla Mensa Eucaristica, rende più viva nel travaglio umano di ogni giorno la "beata speranza" e l'attesa del ritorno del Signore Gesù, giudice e sposo. Chi si esercita bene nella devozione della Via Crucis - ora purtroppo, per un aggiornamento mal inteso della pietà cristiana, tanto vilipesa; ma tanto ricca di valori e di impulsi cristiani - usufruisce bene dei Sacramenti, che sono tutti espressione del ministero pasquale di Cristo, e imbocca la via della Vita. Padre Pio è morto; ma continuerà attraverso le stazioni della Via Crucis, che inizia dalla sua tomba, ad accompagnare nel suo fascino di cireneo di Cristo e di crocifisso con Cristo, verso la vera Vita i pellegrini e a parlar loro nel profondo dello spirito del mistero di amore e di dolore e di speranza e, attraverso loro, al mondo. Se S. Giovanni Rotondo, la cittadina che è destinata a far risuonare vivo e cogente il messaggio di Padre Pio, non avesse la Via Crucis, non avrebbe voce efficace per lanciare l'appello alla rinascita cristiana» (38). Padre Pio ha radunato intorno a sé una «clientela mondiale - diceva Paolo VI al generale dei Cappuccini perché «uomo di preghiera e di sofferenza». Il 25 maggio 1971 il padre generale durante la celebrazione della santa Messa per tutti i benefattori, ricordando tale udienza pontificia, faceva notare che sofferenza e preghiera è l'essenziale nella vita di Padre Pio; tutta la sua vita fu «una continua Via Crucis, per cui egli diventò davvero il "rappresentante di Nostro Signore, 'stampato' dalle sue stimmate" [...]. Quella preghiera continua, umile, fidente che tante grazie strappava dal cuore di Dio; e quella sofferenza che gli veniva dalle ferite sempre aperte nella sua carne, e dalla penitenza eccezionale, a cui egli volontariamente si sottopose per tutta la sua vita. Ora quella Via Crucis si concretizza nel bronzo e nella pietra, si perpetua attraverso i secoli, in modo plastico e visibile, sulla montagna, accanto al convento, dove egli pregò, sofferse e rese la sua bell'anima a Dio. Mi sembra che i miei carissimi figli e fratelli cappuccini di S. Giovanni Rotondo, unitamente ai devoti e figli spirituali di Padre Pio, sparsi in tutto il mondo, non potevano realizzare nessun'altra opera, che meglio di questa ricordasse a tutti quella dolorosa Via Crucis, che il venerato Padre percorse nei suoi lunghi anni di terrena esistenza» (39). Ci piace concludere ribadendo l'idea che Padre Pio non soltanto non è un frutto fuori stagione, ma è il dono di Dio nel quale si legge la vera realtà del nostro tempo, autentico testimone di «evangelizzazione e promozione umana» (40). Un uomo che sta crocifisso per mezzo secolo, Dio che compie cose inaudite, cose che non hanno riscontro a nessun'altra esperienza nel nostro secolo, cosa vuol dire?: «Il fatto di Padre Pio è quello nel quale si legge la vera realtà del nostro tempo, ecco il contesto. Sapete perché Gesù Cristo è andato in croce? È andato in croce per i peccati degli uomini e quando nella storia compare qualche crocifisso con i motivi di credibilità, vuol dire che il peccato degli uomini è grande e che per salvarli occorre che qualcuno rivada sul Calvario, rimonti in croce e stia lì a soffrire per i suoi fratelli» (41). Il nostro tempo ha bisogno di gente che offra quello che l'Unigenito Figlio ha sofferto: la sofferenza, e Padre Pio non è il solo, ma «certo è stata la manifestazione, in questo secolo, più rilevante». Tutta la sua sofferenza deve essere guardata sotto questa prospettiva: la sua sofferenza sta in cima alla sofferenza di tutta la gente che soffre. «Le controversie sollevate anche per la difesa fatta male e a sproposito da taluni zelanti e non sempre ragionevoli non velano il bene, la sofferenza, l'esempio. Il suo caso sta in testa. Credo però che dietro a lui ce ne sia una schiera. A suo tempo forse il mondo saprà. Rispettiamo i segreti di Dio, ma qui c'è tutto il fatto di Padre Pio: le sofferenze per i peccati degli uomini. Forse se non ci fosse questo peccato nel mondo in tutte le direzioni, grave, greve, opprimente, manifestato con satanica malizia, il suo caso sarebbe diverso, forse Dio avrebbe dato i suoi doni mistici a Padre Pio senza obbligarlo a stare mezzo secolo attaccato alla croce. Ma non è così. È un segnale divino [...]. Un giorno il mondo saprà tante cose che noi non sappiamo. Una cosa ci rimane. Quello di cui c'è bisogno oggi non è che si facciano stupidaggini, che si debordi dai limiti della ragionevolezza, del buon senso, che si gettino via sacri usi i quali hanno custodito la grazia del Signore per tanto tempo. Non è questo che Dio chiede a noi. Iddio chiede che tutti portino la loro croce e l'abbraccino. Sappiamo che quando accolgono la loro croce e l'abbracciano diventano benefici per gli altri. Perché c'è questa reversibilità dei meriti: in uno siamo stati salvati tutti. Nell'applicazione della Redenzione molti, moltissimi possono salvare molti. E questo è l'insegnamento di Padre Pio» (42). E se, in senso cristiano, la gloria di un uomo, chiunque sia ed a qualunque professione o categoria appartenga, consiste nel bene che fa, nella misura in cui si sacrifica ed ama gli altri e non vi è gloria suprema se non nel dono totale, considerando il bene che ha fatto e i sacrifici che ha sopportato (era tutto un sacrificio) per gli altri, Padre Pio deve dirsi un uomo pieno di gloria. Monsignor Adolfo Tortolo, arcivescovo di Paranà (Argentina) è convinto della «straordinaria santità» di Padre Pio, che «ha commosso il mondo e che lo continuerà a commuovere. Comincia ora - scrive l'illustre presule - il lavoro storico, che porgerà agli occhi umani pagine meravigliose di lavoro divino compiuto con lui. Sarà certamente un nuovo "dono", una nuova "grazia" che Dio darà agli uomini» (43). Alla fretta di quelli che subito vorrebbero Padre Pio innalzato agli onori degli altari fa riscontro la «prudenza» della Chiesa, che non deve essere interpretata come «indifferenza», perché nessuno potrà provare gioia più grande dei suoi rappresentanti, quando alla conclusione dei processi canonici, che non sono soltanto delle formalità, sarà decisa la proclamazione della venerabilità del Servo di Dio e poi quella più solenne della beatificazione e della santificazione «ufficiale»; perché «non spetta alla Chiesa stabilire il grado di gloria partecipato da Dio al suo servo fedele», ma solo «dichiarare il fatto dommatico, secondo l'espressione classica della teologia, che quel suo degno figlio fa parte della Chiesa celeste, senza pretesa alcuna di determinarne il momento. Se al buon ladrone Gesù sulla Croce ha detto: "Oggi sarai con me in Paradiso", si può pensare a maggior ragione che lo stesso dono sia stato fatto ad un Religioso dalla vita santa come Padre Pio nel momento stesso del sereno transito» (44). Anche per Padre Pio si annuncia l'alba della sua glorificazione «ufficiale». Il 4 novembre 1969 la curia generale dell'Ordine dei padri Cappuccini firmava la domanda al vescovo monsignor A. Cunial, amministratore apostolico dell'archidiocesi di Manfredonia, di aprire il processo di beatificazione e canonizzazione di Padre Pio. Il 23 successivo il Vescovo notificava al postulatore generale dell'Ordine di aver iniziato la raccolta delle informazioni per la fase preliminare del processo stesso. E la documentazione, raccolta in diocesi secondo le norme vigenti, fu consegnata alla Congregazione per le Cause dei Santi da monsignor Valentino Vailati, arcivescovo di Manfredonia, il 16 gennaio 1973. Lieta notizia e fondata speranza. Fra le lettere postulatorie inviate al Sommo Pontefice, riportiamo qualche brano di quella della Conferenza Episcopale della Polonia, firmata da due eminentissimi Cardinali e da quarantatre Arcivescovi e Vescovi, il 3 maggio 1972: «Beatissimo Padre, Padre Pio da Pietrelcina, sacerdote professo dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, può essere annoverato tra gli uomini consacrati a Dio, che, insigni per preclare virtù, sono morti in fama di santità. Alcuni di noi hanno visto con i propri occhi Padre Pio e il suo apostolato; altri hanno attinte notizie da coloro che lo vedevano, lo ascoltavano e scrivevano di lui, tutti noi siamo persuasi della santità di vita e della speciale missione di quest'uomo di Chiesa. Questo è provato dalla sua lunga vita esemplare, adorna di virtù, principalmente di continua preghiera con speciale devozione verso la Passione di Nostro Signore Gesù Cristo e verso la beatissima Vergine Maria, di diversi eroici sacrifici e di penitenza, di ammirevole apostolato, sgorgante dall'amore di Dio e del prossimo. Questa lunga vita esemplare è ben nota in tutto il mondo cristiano, ed anche nella nostra patria». La conferma e la comprova della sua fama di santità sono le sue opere: «Casa Sollievo della Sofferenza» e i «Gruppi di preghiera», che sono in continua espansione ed apportano benefici frutti sotto l'aspetto religioso e sotto l'aspetto sociale; e le diverse e molteplici grazie, che i fedeli attribuiscono alla sua intercessione. «In un'epoca nella quale, spesso, tante cose non vere e non rette si proclamano della vita religiosa, dell'apostolato dei religiosi, della dignità e dei doveri dei sacerdoti, la persona di Padre Pio, religioso e sacerdote a noi contemporaneo, col suo modo di vivere e con la sua attività, offre al mondo inquieto un ottimo e desiderato esemplare di un uomo ripieno di Dio su questa terra». Il Concilio Vaticano II richiede dai religiosi un apostolato, che «essi sono tenuti a promuovere soprattutto con la preghiera e con la penitenza della loro vita» (Christus Dominus, n. 33); e lo stesso Concilio richiede che «i Religiosi sacerdoti [...] siano provvidenziali collaboratori dell'Ordine Episcopale [...], date le aumentate necessità delle anime» (ivi, n. 34). «Tutte queste cose sono palesemente manifestate in Padre Pio, uomo "divenuto preghiera" e uomo di inenarrabili sacrifici per i peccatori; sacrifici che provenivano dalla retta cognizione dell'ufficio sacerdotale di cooperare con Cristo all'opera della redenzione, completando nella propria carne ciò che manca alle tribolazioni di Cristo, in vantaggio del Corpo di lui, che è la Chiesa (Col. 1, 24). Tenendo presente tutto questo e considerando la fama di santità, che anche in Polonia esiste e continua e che si manifesta specialmente nelle preghiere, che i fedeli rivolgono a Dio per ottenere le grazie più diverse per intercessione di Padre Pio, abbiamo ritenuto opportuno pregare la Santità Vostra, perché si degni d'introdurre la Causa di Beatificazione e Canonizzazione di questo servo di Dio, per la maggior gloria di Dio e per utilità della santa Chiesa» (45). Nel ricordo vivo del loro confratello, «ottimo e desiderato esemplare di un uomo ripieno di Dio su questa terra», religioso e sacerdote a loro contemporaneo, i capitolari della provincia cappuccina di Foggia, impegnati nell'ansiosa ricerca di nuovi metodi di lavoro, come testimonianza e presenza di Dio tra gli uomini, vedono «un segno dei tempi in un fatto storico emergente quale la vita di lavoro e di passione del Padre Pio da Pietrelcina. Questi, pur presentandosi al mondo contemporaneo nella forma classica del Cappuccino, ha seminato con mezzi tradizionali e nuovi, fermenti di redenzione umana e cristiana, in tutti gli strati sociali, perché la novità non era in lui forma esteriore, ma rinnovamento interiore nello sforzo quotidiano di andare verso Dio nell'incontro con tutti gli uomini. In lui l'Incarnazione ha riassunto il suo significato storico di impoverimento nella forma di servo per arricchire il mondo della forma di Dio; come Gesù nel perimetro del Lago di Genezareth aveva incluso nel vincolo dell'amore di Dio e degli uomini l'universo intero, così Padre Pio dalle anguste dimensioni di un chiostro ha attirato alla Croce vivente nella sua carne soprattutto l'umanità sofferente ed ha ridato alla stessa il senso di Dio. Il suo passo cadenzato e stanco risuonava e risuona ancora come l'avanzarsi del Cristo povero, umile, carico di Croce». E la dichiarazione capitolare (4 luglio 1972) termina con un augurio, a nome di tutti i frati della provincia cappuccina di Foggia, auspicando che «al più presto la dignità e la attualità dell'esempio di Padre Pio da Pietrelcina vengano riconosciute e presentate in modo solenne alla Cristianità dalle competenti Autorità ecclesiastiche» (46). Il 23 ottobre 1982, la Sacra Congregazione per le Cause dei Santi tenne una riunione, nella quale discusse l'opportunità o meno di concedere all'Arcivescovo di Manfredonia la facoltà di aprire il processo cognizionale sulla vita e le virtù del Servo di Dio Padre Pio da Pietrelcina. Il parere dei membri di quel Sacro Dicastero fu favorevole e Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Pietro Palazzini, Prefetto dello stesso Dicastero, in data 29 novembre 1982, presentò in merito una relazione al Santo Padre Giovanni Paolo II, il quale, nello stesso giorno, approvò e confermò il responso della Sacra Congregazione per le Cause dei Santi. In tal modo veniva aperta la via alla costituzione del Tribunale ecclesiastico, che, nell'Archidiocesi di Manfredonia, deve celebrare l'atteso processo cognizionale. Il Tribunale si è costituito a San Giovanni Rotondo, nel Santuario «Santa Maria delle Grazie», domenica 20 marzo 1983, e si è concluso in sessione pubblica, nello stesso Santuario, domenica 21 gennaio 1991. In sette anni di lavori ha interrogato 73 testimoni ed ha raccolto una imponente documentazione (104 volumi), che è stata consegnata alla Congregazione delle cause dei santi. Questa, dopo circa dieci mesi di attento esame, il 7 dicembre 1991, ha emesso il decreto «de validitate» sul processo diocesano ed ha nominato il padre Cristoforo Bove dell'Ordine dei frati minori conventuali relatore ufficiale per la preparazione della «positio super virtutibus». Intanto dobbiamo ricordare che, il 23 maggio 1987, il Santo Padre Giovanni Paolo II è andato in visita pastorale a San Giovanni Rotondo e si è fermato in preghiera sulla tomba di Padre Pio. Nel corso di quella visita ha pronunziato tre discorsi, che qui di seguito pubblichiamo per intero (cf. Appendice). (1) Cf. LAVELLE L., Quattro Santi, Brescia 1953, pp. 30-40. (2) MONDRONE D., La vera grandezza di Padre Pio, S. Giovanni Rotondo 1969, p. 23s. (3) URSI card. C., Il messaggio di Padre Pio, in Voce di Padre Pio 2 (luglio-agosto 1971) 4. (4) ROSSI C., vescovo di Biella: Egli continua a fare del bene col suo ricordo, in La Casa Sollievo della Sofferenza 20 (16-31 genn. 1969) 5. (5) LENOTTI G., vescovo di Foggia, Il messaggio di Padre Pio e il messaggio di Cristo, in La Casa Sollievo della Sofferenza 21 (16 febbr.-31 marzo 1970) 11. (6) Sono parole di NICODEMO E., arciv. di Bari, cf. La Casa Sollievo della Sofferenza 20 (16-21 marzo 1969) 11. (7) Cf. LLAMAS E., Chiesa, in Dizionario enciclopedico di spiritualità, diretto da ANCILLI E., Roma 1975, col. 374a. (8) Perché la nostra affermazione non sembri stravagante, basta confrontare la dottrina del Magistero (Enchiridion Vaticanum, ed. Dehoniana in tre voll.; Insegnamenti di Paolo VI della ed. Vaticana, finora, 1976, voll. 14; e gli studiosi, quali LLAMAS E., Chiesa art. cit., coll. 369-375 (con bibliografia); VODOPIVEC G., Chiesa (con bibliografia), in Dizionario del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, Roma 1969, pp. 710-769; AA.VV., La Chiesa nel mondo contemporaneo, 3ª ed. Torino 1967; AA.VV., La costituzione pastorale sulla Chiesa, 2ª ed. Torino - Leumann 1966; AA.VV., La costituzione dommatica sulla Chiesa, 3ª ed. - Leumann 1966; AA.VV., La Madonna nella Costituzione «Lumen Gentium», Milano 1967; DE FIORES S., Maria nella teologia contemporanea, 2ª ed. Roma 1987; e la vita, l'apostolato e gli scritti di Padre Pio. (9) Cf. VOZZI A., vescovo di Cava dei Tirreni, I tre amori dei santi: gli amori di Padre Pio, in La Casa Sollievo della Sofferenza 21 (16-30 giugno 1970) 6.; Cfr. anche BERNARDINO DA SIENA, Padre Pio, la Chiesa, la Madonna, in Atti del primo convegno sulla spiritualità di Padre Pio (S. Giovanni Rotondo, 1-6 maggio 1972), S. Giovanni Rotondo 1973, 131-153. (10) PELLECCHIA R., vescovo di Castellamare di Stabia, cf. La Casa Sollievo della Sorrerenza 21 (16-30 aprile 1970) 10. (11) LERCARO card. G., Padre Pio da Pietrelcina. Commemorazione [8 dic. 1969], Roma 1969, p. 30 s. (12) Cf. La Casa Sollievo della Sofferenza 21 (1-30 sett. 1970) 13; 20 (1-30 sett. 1969) 12. (13) URSI card. C., Il messaggio di Padre Pio, in Voce di Padre Pio 2 (luglio - agosto 1971) 4. (14) LERCARO card. G., Commemorazione di Padre Pio da Pietrelcina (Trapani 25 maggio), Trapani 1969, p. 19. (15) Ivi, p. 19. (16) Cf. La Casa Sollievo della Sofferenza 20 (1-15 maggio 1969) 9. (17) MEDI E., cf. La Casa Sollievo della Sofferenza 20 (1-15 novembre 1969) 10. (18) CIAPPI L., Padre Pio alla luce del suo epistolario, in Oss. Rom. 26.3.1971. (19) Parole di PAOLO VI, cf. Oss. Rom. 2.3.1972. (20) Cf. La Casa Sollievo della Sofferenza 20 (1-15 maggio 1969) 9. (21) Cf. PADRE PIO DA PIETRELCINA, Pensieri, esperienze, suggerimenti. Florilegio dall'Epistolario a cura di Melchiorre da Pobladura, S. Giovanni Rotondo 1972, 177-189; BERNARDINO DA SIENA, Padre Pio, la Chiesa, la Madonna, in Atti del 1°; convegno sulla spiritualità di Padre Pio (S. Giovanni Rotondo, 1-6 maggio 1972), S. Giovanni Rotondo 1973, pp. 131-153. (22) PALAZZINI card. P., La «Marialis cultus» e il rosario, in Oss. Rom. 18.5.1974. (23) Ivi. (24) Cf. LOTTI F., Il rosario e Padre Pio, in La Casa Sollievo della Sofferenza 21 (1-15 luglio 1970) 11. (25) MONDRONE D., La vera grandezza di Padre Pio, S. Giovanni Rotondo 1969, p. 21. (26) Cf. PADRE PIO DA PIETRELCINA, Pensieri, esperienze, suggerimenti. Florilegio dall'Epistolario a cura di Melchiorre da Pobladura, S. Giovanni Rotondo 1972, pp. 11-28. (27) LERCARO card. G., Padre Pio da Pietrelcina, Commemorazione (8 dic. 1968), Roma 1969, pp. 14-17. (28) LERCARO card. G., Commemorazione di Padre Pio da Pietrelcina (25 maggio 1969), p. 16ss. (29) CARTA P., arciv. di Sassari, cf. La Casa Sollievo della Sofferenza 20 (1-30 aprile 1969) 6. (30) LERCARO card. G., Commemorazione di Padre Pio da Pietrelcina (25 maggio 1969), Trapani 1969, pp. 16ss. (31) Ivi, p. 18. (32) Ivi. (33) CRISPINO DI FLUMERI. Irradiazione benefica della carità di Padre Pio. Itinerarium mentis in Deum et homines, in Atti del 1°; convegno di studio sulla spiritualità di Padre Pio (S. Giovanni Rotondo 1-6 maggio 1972), S. Giovanni Rotondo 1972, pp. 285-300. (34) LERCARO card. G., Commemorazione di Padre Pio da Pietrelcina (25 maggio 1969), Trapani 1969, pp. 11-23. (35) Cf. CARMELO DA SESSANO DEL MOLISE, Brevi cenni sulle opere sociali di Padre Pio, dattiloscritto, pp. 1-13. (36) Cf. URSI card. C., I due cortei, in Voce di Padre Pio 2 (settembre 1971) 15. (37) Cf. MICHELE DA S. GIOVANNI ROTONDO, Come è sorta la Via Crucis, in Voce di Padre Pio 2 (luglio-agosto 1971) 45. (38) URSI card. C., art. cit., p. 5. (39) Cf. Voce di Padre Pio 2 (giugno 1971) 6. (40) Cf. La esortazione apostolica di PAOLO VI, Evangelii nuntiandi (8 dic. 1975). (41) Cf. SIRI card. G., Commemorazione nel quarto anniversario del transito di Padre Pio, in Liguria Francescana 6 (ottobre 1972) 2s. (42) Ivi. (43) Cf. La Casa Sollievo della Sofferenza 20 (16-30 giugno 1969) 15. (44) Cf. LAMBRUSCHINI F., Padre Pio e la vocazione universale alla santità, in Oss. Pom. Dom. 6. 1968. (45) Cf. Voce di Padre Pio 4 (gennaio 1973) 11. (46) Cf. Voce di Padre Pio 3 (settembre 1972) 7.

Appendice.

Omelia del Papa

23 maggio 1987, ore 18.35 "Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi" (Gv. 14,18). Il tempo pasquale, cari Fratelli e Sorelle di San Giovanni Rotondo è tempo del Cenacolo. Cristo disse queste parole agli Apostoli nel Cenacolo, mentre si stava avvicinando il momento della dolorosa separazione. In quella stessa sera sarebbe stato catturato nel Getsemani e consegnato al Sinedrio per essere giudicato. Il giorno seguente sarà condannato e si separerà dagli Apostoli morendo sulla croce. Nel pronunziare le parole che leggiamo nell'odierno Vangelo, Gesù era consapevole della sofferenza che essi avrebbero dovuto incontrare insieme con Lui. Era consapevole di "lasciarli orfani" e che ciò li avrebbe rattristati profondamente. Al fatto di rimanere orfani si aggiunse il sapore amaro della delusione. Nonostante che Cristo avesse preannunziato spesso la sua passione e la sua croce, i discepoli non erano interiormente preparati a tale prova. Quando essa è giunta, hanno provato una forte delusione. Non hanno perserverato con il loro Maestro. "Non vi lascerò orfani" Oggi, ascoltiamo queste parole, mentre esse sono soltanto un'eco di quei difficili giorni. Gesù è tornato presso i discepoli. Non li ha lasciati orfani. È venuto a loro da Risorto. Così come è stato tra di loro assunto in cielo (cfr. At. 1,11), come se ne è andato morendo sulla croce. Il tempo del Cenacolo si collega costantemente con il ricordo di quella dipartita e con l'esperienza della nuova venuta. In questa venuta è confermato ciò che Cristo aveva predetto: "Voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi" (Gv 14,20). Sì. Veramente. Cristo è nel Padre come Figlio prediletto e della stessa sua sostanza. Quel giorno doloroso, che sembrava offuscare questa verità con il buio della morte, è ormai passato. Adesso, con la risurrezione, questa verità risplende con una nuova luce. Con una luce piena. Il Figlio è nel Padre. "Questo è il giorno fatto dal Signore" (Sal. 117/11/,24). Cari Fratelli e Sorelle, anche noi oggi ripetiamo con gioia col Salmista: "Questo è il giorno fatto dal Signore"! Gioia, perché la luce della Pasqua illumina tutto il percorso della storia umana. Gioia, anche per questo nostro incontro, che avviene in questa luce di fede, in questo periodo di interiore esultanza che segue alla festività pasquale. Con questi sentimenti saluto cordialmente tutti i presenti: gli Arcivescovi di Manfredonia-Vieste, e di Foggia-Bovino, insieme con gli altri Presuli delle diocesi della Capitanata. Saluto con deferenza le Autorità civili. Un saluto particolare ai numerosi malati: al gruppo accompagnato dall'UNITALSI e a quello dei fanciulli spastici della provincia di Foggia. Saluto poi cordialmente tutti voi, fedeli qui presenti, i giovani, gli anziani, le famiglie, tutti. La vostra Città, San Giovanni Rotondo, sta vedendo da un po' di tempo - possiamo dirlo - un giorno "fatto dal Signore": penso in modo speciale allo sviluppo che ha conosciuto in seguito alla presenza e all'opera di Padre Pio da Pietrelcina, per le quali essa ha acquistato una fama internazionale. Tuttora, grazie all'attività dei Frati Cappuccini che degnamente continuano l'opera del Servo di Dio, la vostra Città attira numerosi pellegrini. Cari fratelli e sorelle di San Giovanni Rotondo, siate sempre degni della testimonianza qui data da Padre Pio. Nella luce del giorno "fatto dal Signore" i discepoli di Gesù vedono tutto rinnovato. L'intera creazione appare più che mai ai loro occhi come l'opera di Dio, l'opera piena di gloria. Quindi dicono a Dio: "Stupende sono le tue opere". "Venite e vedete le opere di Dio, mirabile nel suo agire sugli uomini". (Sal. 65/66/,3.5) E soprattutto ricordano quell'avvenimento del lontano passato, che tutti i figli e le figlie di Israele commemoravano con entusiasmo riconoscente: la liberazione dalla schiavitù d'Egitto. "Egli cambiò il mare in terra ferma, passarono a piedi il fiume; per questo in lui esultiamo di gioia. Con la sua forza domina in eterno" (Sal. 65/66/,6-7) Gli Apostoli, i discepoli di Cristo hanno sempre custodito nel cuore il ricordo dell'Esodo. Il ricordo di quella liberazione. Ed ecco, nel mezzo della stessa Pasqua, che era un grande preannunzio, si è adempiuto ai loro occhi ciò che era stato predetto dai Profeti: Gesù con la sua croce ha iniziato e ha portato a tutti la liberazione definitiva. "È morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito". Così dice San Pietro (1 Pt 3,18). Questa vita, la vita nuova, è dallo Spirito Santo. Egli è quello Spirito di verità che era stato annunziato da Gesù prima della passione: "Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore... lo Spirito di verità" (Gv 14,16-17). Ecco, Gesù vive nella potenza di questo Spirito. Nella sua potenza Egli compie la promessa data ai discepoli: "Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi". Nella risurrezione di Cristo è rivelata la potenza dello Spirito Santo. E' riconfermata la potenza dello Spirito di Verità. Subito la prima sera dopo la risurrezione, Gesù viene nel Cenacolo, alita sugli Apostoli riuniti e dice: "Ricevete lo Spirito Santo" (Gv 20,22). Per questo essi non sono più orfani. Non sono abbandonati. E non saranno abbandonati mai, nemmeno quando saranno passati i giorni successivi alla risurrezione e Gesù sarà assunto nel cielo. Gli Apostoli non saranno orfani. Non saranno, non sono orfane le generazioni sempre nuove dei cristiani, dei seguaci di Cristo. Gesù è con loro costantemente. Viene costantemente a loro nella potenza dello Spirito Santo. Per primi, gli Apostoli dovevano convincersene nel giorno della Pentecoste. "Lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce, voi lo conoscete" (Gv 14,17). Non dal mondo, ma da Dio. Tale è la verità più profonda sulla Chiesa, e - nella Chiesa - su ciascuno di noi. Su ciascuno che è rinato mediante la morte e la risurrezione di Cristo: mediante il Battesimo e la fede. Tale è la realtà: Il tempo del cenacolo dura sempre nella Chiesa. Dura in noi. Esso sempre è aperto agli uomini di tutti i tempi. Se dall'esterno giunge un'afflizione, se il mondo è pieno di pericoli e di tentazioni, Cristo continua a ritornare a noi nello Spirito Santo. Egli vive e noi viviamo in Lui (cfr. Gv 14,19). E riconosciamo continuamente che Egli, il Figlio, è nel Padre. E nello stesso tempo riconosciamo che Egli è in noi - e noi siamo in Lui. L'Eucarestia ne è una particolare attuazione. È sacramento della presenza di Cristo in noi e della nostra presenza in Lui. Ecco, noi stiamo celebrando questo mirabile, santissimo Sacramento, l'Eucarestia. Si realizza ancora una volta la preghiera del Redentore nel cenacolo. Riceviamo il Consolatore, lo Spirito di verità che soltanto Lui può darci. Il mondo non può darLo, "perché non lo vede e non lo conosce" (cfr. Gv 14,17). Ma neppure può riceverLo? Il mondo non può ricevere lo Spirito di verità? Proprio per questo Lo riceviamo in mezzo al mondo, per portarLo in noi ovunque, in ogni luogo dove non c'è. E dove soltanto Lui può diventare sorgente della vita nuova: sorgente della Verità e dell'Amore. Discendi Santo Spirito! Così, mediante ciascuno di noi, risuona costantemente in mezzo al mondo la preghiera del cenacolo. Giovanni Paolo II

Discorso del Papa nel Santuario

23 maggio 1987, ore 20.00 Cari Padri Francescani, cari Fratelli e Sorelle! Ringrazio innanzitutto il p. Flavio Roberto Carraro, Ministro Generale dei Frati Minori Cappuccini, per l'affettuoso saluto che mi ha rivolto anche a nome dell'intera Famiglia Francescana, qui rappresentata nei suoi quattro rami. Grande è la mia gioia per questo incontro e ciò per vari motivi. Come sapete, questi luoghi sono legati a ricordi personali, cioè alle visite da me fatte a Padre Pio sia durante la sua vita terrena, sia, spiritualmente, dopo la morte, presso la sua tomba. È, inoltre, sempre una lieta occasione per me incontrare i Figli di San Francesco, che oggi vedo qui numerosi. Amo molto la spiritualità francescana. Uno dei miei primi viaggi apostolici in Italia fu presso la tomba del p. Serafico ad Assisi, e tutti certamente ricordate la Giornata ecumenica ivi celebrata nell'ottobre dell'anno scorso. Mi rallegro, infine, di trovarmi in questo Tempio, dedicato a Santa Maria delle Grazie. Certamente, questo luogo sacro ha conosciuto, in epoca recente, un grande irradiamento spirituale grazie all'opera di Padre Pio: ma come è avvenuta quest'opera, se non per una continua effusione di grazia che è discesa, attraverso Maria, sulle folle che qui giungono alla ricerca della pace e del perdono? Padre Pio fu devoto della Madonna, madre dei Sacerdoti che svolge, nei loro confronti una funzione speciale per renderli conformi al modello supremo del suo Figlio. Il desiderio di imitare Cristo, fu in Padre Pio particolarmente vivo. Docile fin da fanciullo alla grazia, già a dodici anni ebbe da Dio il dono di veder chiaro nella sua vita. Ricordando quel periodo, egli ci narra: «Il posto sicuro, l'asilo di pace era la schiera della milizia ecclesiastica. E dove meglio potrò servirti, o Signore, se non nel chiostro e sotto la bandiera del poverello d'Assisi?... Che Gesù mi faccia la grazia di essere un figlio meno indegno di San Francesco, che possa essere di esempio ai miei confratelli». E il Signore lo esaudì, possiamo dire, oltre le sue stesse aspettative. Difatti, come Religioso visse generosamente l'ideale del Frate Cappuccino, come visse l'ideale del Sacerdote. Per questo, egli offre anche oggi un punto di riferimento, poiché in lui si trovano sviluppati i due elementi o poteri, che caratterizzano il Sacerdozio cattolico nella sua specificità e nella sua vera essenza: la facoltà di consacrare il Corpo e il Sangue del Signore e quella di rimettere i peccati. Non furono forse l'altare e il confessionale i due poli della sua vita? Questa testimonianza sacerdotale contiene un messaggio tanto valido quanto attuale. Basta ricordare, in proposito, quel che insegna il Concilio Vaticano II sul Sacramento del Sacerdozio, soprattutto nel Decreto "Presbyterorum Ordinis". Esso ribadisce quei valori essenziali e perenni del Sacerdozio, che in Padre Pio si sono realizzati in modo eccellente. Certo, esso propone anche nuove prospettive e nuove forme di testimonianza, più adatte alla mentalità dei nostri tempi. Ma sarebbe un grave errore se, per una mal orientata spinta al rinnovamento, il Sacerdote dimenticasse quei valori fondamentali; e non ci si può certo appellare al Concilio per motivare una simile dimenticanza. Un aspetto essenziale del sacro ministero, ravvisabile nella vita di Padre Pio, è l'offerta che il sacerdote fa di se stesso, in Cristo e con Cristo, come vittima di espiazione e di riparazione per i peccati degli uomini. Il sacerdote deve avere sempre davanti agli occhi la definizione classica della propria missione, contenuta nella Lettera agli Ebrei: "Ogni sommo sacerdote, scelto fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati" (Eb. 5, 1). A questa definizione fa eco il Concilio, quando insegna che "nella loro qualità di ministri delle cose sacre, e soprattutto nel Sacrificio della Messa, i presbiteri agiscono in modo speciale a nome di Cristo, il quale si è offerto come vittima per santificare gli uomini" (Decr. Presbyterorum Ordinis, 13). Questa offerta deve raggiungere la sua massima espressione nella celebrazione del Sacrificio eucaristico. E chi non ricorda il fervore col quale Padre Pio riviveva, nella Messa, la Passione di Cristo? Da qui la stima che egli aveva della Messa - da lui chiamata "un mistero tremendo" - come momento decisivo della salvezza e della santificazione dell'uomo mediante la partecipazione alle sofferenze stesse del Crocifisso. «C'è nella Messa - diceva tutto il Calvario». La Messa fu per lui la "fonte ed il culmine" il perno ed il centro di tutta la sua vita e di tutta la sua opera. Questa intima ed amorosa partecipazione al Sacrificio di Cristo fu per Padre Pio l'origine della dedizione e disponibilità nei confronti delle anime, di quelle soprattutto impigliate nei lacci del peccato e nelle angustie della miseria umana. È cosa tanto nota, che non intendo soffermarmi su di essa; ma vorrei solo sottolineare alcuni punti che mi sembrano importanti, perché anche qui troviamo aderenza tra il comportamento di Padre Pio e l'insegnamento conciliare. L'umile Religioso accolse con docilità l'infusione di quello "spirito di grazia e di consiglio", del quale parla il Concilio stesso, quello spirito cioè che deve consentire al Pastore di anime di "aiutare e governare il popolo con cuore puro" (cfr. Decr. Presbyterorum Ordinis, 7). Egli si impegnò in particolare - secondo un altro insegnamento conciliare (cfr. ibid. 9) - nella direzione spirituale, prodigandosi nell'aiutare le anime a scoprire ed a valorizzare i doni e i carismi, che Dio concede come e quando vuole nella sua misteriosa liberalità. Anche questo può essere un esempio per molti Sacerdoti a riprendere o a migliorare un "servizio ai fratelli" così legato alla loro missione specifica, che è sempre stato ed ancor oggi dev'essere ricco di frutti spirituali per l'intero popolo di Dio, soprattutto in ordine alla promozione della santità e delle sacre vocazioni. Se l'elemento caratterizzante del Sacerdozio è l'amministrazione dei Sacramenti, questo stesso ministero non potrà essere credibile agli occhi degli uomini, se il Sacerdote non soddisfa al tempo stesso le esigenze della carità fraterna. E anche su questo punto sappiamo bene quel che ha fatto Padre Pio: quanto vivo fosse il suo senso di giustizia e di misericordia, la sua compassione verso i sofferenti, e quanto fattivamente si impegnasse per loro, con l'aiuto dei validi e generosi collaboratori. «Nel fondo di quest'anima - dice Padre Pio di se stesso - parmi che Iddio vi ha versato molte grazie rispetto alla compassione delle altrui miserie, singolarmente in rispetto dei poveri bisognosi... Se so poi che una persona è afflitta, sia nell'anima che nel corpo, che non farei presso il Signore per vederla libera dai suoi mali? Volentieri mi addosserei, pur di vederla salva, tutte le sue afflizioni, cedendo in suo favore i frutti di tali sofferenze, se il Signore me lo permettesse». Voglio ringraziare con voi il Signore per averci donato il caro Padre, per averlo donato, in questo secolo così tormentato, a questa nostra generazione. Nel suo amore a Dio e ai fratelli, egli è un segno di grande esperienza e tutti invita, soprattutto noi Sacerdoti, a non lasciarlo solo in questa missione di carità. La Vergine del Santo Rosario, alla quale fu tanto devoto, e che veneriamo in modo speciale in questo mese a lei dedicato, ci aiuti ad essere perfetti imitatori dell'unico Maestro: il suo Figlio Gesù. Con la mia affettuosa Benedizione.

Saluto del Papa al personale medico e agli ammalati della "Casa Sollievo della Sofferenza"

23 maggio 1987, ore 20.45 Cari Fratelli e Sorelle, cari malati, Ringrazio vivamente Mons. Riccardo Ruotolo, Presidente di quest'Opera, per l'indirizzo di saluto rivoltomi. A tutti voi il mio cordiale saluto: al personale medico e paramedico, ai sacerdoti, ai malati, ai fedeli. Grande è la mia emozione nel trovarmi ancora in questo luogo, che visitai la prima volta nel lontano 1947, quando era da poco iniziata l'erezione di questo Ospedale. Sono lieto di vedere nella sua moderna realizzazione quanto Padre Pio ideò e predisse: "Una città ospedaliera tecnicamente adeguata alle più ardite esigenze cliniche e insieme 'ordine ascetico' di francescanesimo militante. Luogo di preghiera e di scienza dove il genere umano si ritrovi in Cristo Crocifisso come un solo gregge con un sol pastore". E questa città sta crescendo ancora. Una "Cittadella della carità" accanto al Santuario di Maria, che - per volere di Padre Pio - ha il significativo nome di "Casa Sollievo della Sofferenza". Il sollievo della sofferenza! In questa dolce espressione si riassume una delle prospettive essenziali della carità cristiana, di quella carità fraterna, che Cristo ci ha insegnato e che, per suo espresso avvertimento, è e dev'essere il segno distintivo dei suoi discepoli: di quella carità, il cui fattivo esercizio, soprattutto verso i più bisognosi, è un imprescindibile motivo di credibilità di quel messaggio di Verità, di Amore e di Salvezza che il cristiano è tenuto ad annunciare al mondo. Quest'Opera per la quale Padre Pio tanto pregò e tanto si prodigò è una stupenda testimonianza dell'amore cristiano. La grande intuizione di Padre Pio è stata quella di unire la scienza a servizio degli ammalati insieme con la fede e la preghiera: la scienza medica, nella lotta sempre più progredita contro la malattia; la fede e la preghiera, nel trasfigurare e sublimare quella sofferenza che, nonostante tutti i progressi della medicina, resterà sempre, in certa misura, un retaggio della vita di quaggiù. Per questo, un aspetto essenziale del grande disegno di Padre Pio, era ed è che la degenza in questa Casa deve poter costituire sì una cura del corpo, ma anche una vera e propria educazione all'amore inteso come accettazione cristiana del dolore. E ciò deve poter avvenire grazie alla testimonianza di carità offerta dal personale medico, paramedico e sacerdotale che assiste e cura i malati. In tal modo, si deve formare una vera e propria comunità fondata sull'amore di Cristo: una comunità che affratella coloro che curano e coloro che sono curati: "Qui - diceva Padre Pio nel 1957 - ricoverati, medici, sacerdoti, saranno riserve di amore, che tanto più sarà abbondante in uno, tanto più si comunicherà agli altri". Questo era l'intento di Padre Pio, e questo sia sempre l'intento fondamentale di questa bella Istituzione! Nell'assicurare la mia affettuosa vicinanza a tutti gli ammalati degenti in questa Casa, auspico che siano sempre più beneficiari di un clima di amore e di solidarietà, fondato sulla fede e sulla preghiera. "In ogni ammalato - diceva Padre Pio - vi è Gesù che soffre. In ogni povero vi è Gesù che langue. In ogni ammalato povero vi è due volte Gesù che soffre e langue". Chiedo a Dio che lo spirito di amore fraterno che anima questa "Casa Sollievo della Sofferenza" continui a fiorire e a progredire. La vostra testimonianza, cari medici, cari infermieri, cari sacerdoti, è estremamente preziosa non solo per coloro che qui vengono ricoverati, ma è un segno importante anche per tutta la Chiesa e per la società. E a voi, cari malati, la Vergine Santissima conceda dal suo Figlio la luce e la forza per comprendere, nella fede, il valore della croce che state portando! A voi tutti e ai vostri cari la mia affettuosa benedizione. Giovanni Paolo II

Coroncina al Sacro Cuore di Gesù

O mio Gesù, che avete detto: «In verità vi dico, chiedete ed otterrete, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto» - ecco che io picchio, io cerco, io chiedo la grazia... Pater, Ave, Gloria. S. Cuore di Gesù, confido e spero in voi. O mio Gesù, che avete detto: «In verità vi dico, qualunque cosa chiederete al Padre mio nel mio nome, egli ve la concederà» - ecco che al Padre vostro, nel vostro nome, io chiedo la grazia... Pater, Ave, Gloria. S. Cuore di Gesù, confido e spero in voi. O mio Gesù, che avete detto: «In verità vi dico, passeranno il cielo e la terra, ma le mie parole mai» - ecco che appoggiato all'infallibilità delle vostre sante parole, io chiedo la grazia... Pater, Ave, Gloria. S. Cuore di Gesù, confido e spero in voi. O Sacro Cuore di Gesù, cui è impossibile non aver compassione degl'infelici, abbiate pietà di noi miseri peccatori, ed accordateci le grazie che vi domandiamo per mezzo dell'Immacolato Cuore di Maria, vostra e nostra tenera Madre. S. Giuseppe, padre putativo del S. Cuore di Gesù, pregate per noi. Salve, Regina, madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra, salve. A te ricorriamo, esuli figli di Eva; a te sospiriamo, gementi e piangenti in questa valle di lacrime. Orsù dunque, avvocata nostra, rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi. E mostraci, dopo questo esilio, Gesù, il frutto benedetto del tuo seno. O clemente, o pia, o dolce vergine Maria (1). (1) La presente coroncina era recitata, ogni giorno, daPadre Pio per tutti quelli che si raccomandavano alle sue preghire.

Preghiera per ottenere la glorificazione di Padre Pio

O Gesù, pieno di grazia e di carità e vittima per i peccatori, che, spinto dall'amore per le anime nostre, volesti morire sulla croce, io ti prego umilmente di glorificare, anche su questa terra, il servo di Dio, Padre Pio da Pietrelcina, che, nella partecipazione generosa ai tuoi patimenti, tanto ti amò e tanto si prodigò per la gloria del Padre tuo e per il bene delle anime. Ti supplico, perciò, di volermi concedere, per la sua intercessione, la grazia..., che ardentemente desidero. Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Come era nel principio e ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen (Tre volte)

Profilo delle stigmate di Padre Pio

I due periodi della stigmatizzazione

Sebbene il nostro scopo non sia quello di presentare uno studio sulle stigmate del venerato Padre, tuttavia non possiamo esimerci dal dovere di tracciarne almeno un profilo, sulla base della documentazione qui pubblicata. Nella lunga storia della stigmatizzazione di Padre Pio, bisogna distinguere due periodi: uno di preparazione al grande fenomeno, che durò otto anni (sett. 1910 - sett. 1918); l'altro della stigmatizzazione permanente, che si protrasse per ben cinquanta anni (sett. 1918 - sett. 1968). Durante il primo, che potremmo definire il periodo delle stigmate «invisibili», i segni della passione del Signore apparvero ad intermittenza sul corpo del venerato Padre. I primi sintomi risalgono all'estate (agosto-settembre) del 1910, soltanto qualche mese dopo la sua ordinazione sacerdotale (1). Esterrefatto, com'egli stesso confessa, per la presenza di quei segni, il giovane sacerdote cappuccino «pregò il Signore che avesse ritirato un tal fenomeno visibile». E il Signore lo ascoltò. Però, anche quando non erano visibili i segni delle ferite, era sempre presente il dolore, che si faceva sentire «specie in qualche circostanza e in determinati giorni» (Epist. I, 669), in modo particolare il martedì, e dal giovedì a sera fino al sabato (Epist. I, 266). Questa presenza del dolore, nonostante la scomparsa delle «trafitture», come le chiama Padre Pio, ci sembra che giustifichi la denominazione di «invisibili» da noi data alle stigmate del primo periodo. Durante il secondo periodo, le stigmate furono sempre visibili e permanenti, dalla mattina di venerdì 20 settembre 1918 fino alla morte (23 sett. 1968). La loro impressione avvenne ad opera di un «misterioso personaggio», che il Padre Agostino dice «crocifisso», ma del quale Padre Pio afferma solamente che «aveva le mani ed i piedi ed il costato che grondava sangue». Era lo stesso «personaggio» apparso al venerato Padre la sera del 5 agosto precedente.

Le stigmate delle mani

Nella regione palmare della mano destra, la stigmata si trovava al livello del 3°; metacarpo (a metà, secondo il dottor Festa) (2). Aveva forma circolare della grandezza di cinque centesimi (Romanelli), del diametro di poco più di due centimetri (Festa). Era una membrana lucente pigmentata di color rosso viscoso, alquanto sollevata nel centro, che formava un piccolissimo bottoncino, da cui partivano tante sottili strie più oscure e tendenti quasi al centro. I suoi contorni erano lievemente frangiati. Nella regione dorsale della stessa mano destra, la stigmata aveva identiche caratteristiche di quella della regione palmare. Salvo qualche lieve differenza, i medici che la visitarono concordano sostanzialmente nella descrizione della sua configurazione. Essi però non sono d'accordo sulla sua ubicazione. Mentre il Romanelli e il Bignami parlano di «punto (regione) corrispondente al primo», il Festa afferma esplicitamente che questa stigmata non era «in esatta corrispondenza della palmare». Infatti, sempre secondo il Festa, la stigmata della regione dorsale si trovava «un po' più ravvicinata all'articolazione metacarpo-falangea del 3°; dito». Le stesse caratteristiche sono attribuite dai tre medici alla stigmata esistente nella regione palmare e dorsale della mano sinistra. C'è però tra di essi una divergenza notevole nella valutazione della zona sottostante alle membrane o escare, accuratamente descritte. Sotto di esse c'era il vuoto (un foro) oppure le ossa e le parti molli erano perfettamente normali? Per il Romanelli non c'è dubbio: «Quelle zone pigmentate non sono altro che membrane, che ricoprono un foro, che si origina in una parte e termina nell'altra». E lo stesso dottore riferisce del suo esperimento fatto applicando il pollice nella palma e l'indice nel dorso: la percezione del vuoto esistente fra le due dita era esatta. Il metacarpo era interrotto. Infatti, «alla palpazione, delicatamente fatta», non si percepiva «al disotto alcuna resistenza ossea». Invece, per il Bignami e il Festa, tutto era perfettamente normale. Forse non sapremo mai la verità. A questo punto ci sembra utile far presente che, il 14 ottobre 1954, il dottor Alberto Caserta di Foggia eseguì alcune radiografie sul corpo del venerato Padre. Ebbene l'esame eseguito in proiezione dorso-palmare, sia alle mani che ai piedi, non rivela nessuna interruzione ossea. A meno che non si voglia ammettere una evoluzione delle stigmate, con gravi e radicali modificazioni.

Le stigmate dei piedi

Per quanto riguarda le stigmate dei piedi, esistono tra i tre medici le stesse convergenze e divergenze riscontrate nella descrizione di quelle delle mani. Nel maggio 1919, nelle regioni dorsali e plantari, esse apparivano al dottor Romanelli come zone di forma circolare, della grandezza di una moneta di cinque centesimi, ricoperte di membrane di color rosso vivo e di aspetto lucente con contorni ben netti e precisi, circondate da tessuti normali. Anche per esse il dottor Romanelli ripeté lo stesso esperimento (anche se non in modo perfettamente esatto) della compressione, e il risultato fu identico: la manifesta impressione del piede perforato e ricoperto sui fori dalle membrane descritte. Nel luglio seguente, il dottor Bignami precisava che le stigmate ai piedi si trovavano «in corrispondenza del 2°; metatarso». Egli, però, notava soltanto «una piccola e superficialissima escara scura rotondeggiante, intensamente colorata insieme ad un sottile alone della cute circostante, con tintura di iodio». Nel mese di ottobre dello stesso anno (1919), il dottor Festa aggiungeva una ulteriore precisazione: quelle stigmate erano localizzate «in corrispondenza della metà del 2°; metatarso». Qui, sul dorso di ambedue i piedi (e nelle regioni plantari), si notava «una lesione circolare, di colorito rosso bruno, ricoperta da sottile escara nerastra», che ripeteva esattamente i caratteri di quelle descritte sulle mani. Ma, come per le mani, così anche per i piedi: niente vuoto o foro, giacché «il metatarso sottostante appariva integro in tutta la sua estensione». Forse non è inutile ricordare anche per i piedi quanto osservato per le mani, e cioè che le radiografie effettuate dal dottor Caserta nel 1954 non denunciano nessuna interruzione . A meno che anche per le stigmate dei piedi non si voglia ammettere una evoluzione, con gravi e radicali modificazioni.

La stigmate del costato

Queste vanno certamente ammesse per la ferita del costato. Nel maggio 1919, il dottor Romanelli vide soltanto «una sola branca trasversale e profonda», che così descrive: «Nell'emitorace sinistro e propriamente tra la linea mammillare e l'ascellare anteriore quasi in corrispondenza del 6°; spazio intercostale sinistro notasi una ferita lacera, lineare, secondo la direzione delle costole, lunga circa sette centimetri a margini netti e leggermente accartocciati, interessante i tessuti molli». La ferita, sempre secondo il dottor Romanelli, giaceva «diretta dal basso in alto ed alquanto da fuori in dentro con fuoriuscita di sangue arterioso». Sempre secondo lo stesso dottore, «riesce difficile giudicare fin dove penetra e quale direzione assuma nella cavità». Tuttavia il 9 agosto 1920, scrivendo al Padre Agostino, il Romanelli la definisce «profonda». Circa due mesi più tardi, nel mese di luglio dello stesso anno (1919), la stigmata del costato subiva due importanti modificazioni: assumeva la forma di croce e si spostava verso l'esterno. Scrive, infatti, il dottor Bignami: «Nel torace a sinistra, tra la linea ascellare anteriore e la ascellare media, si osserva una figura di croce, la cui branca più lunga disposta obliquamente va dalla 5ª alla 9ª costola raggiungendo il bordo costale, mentre la branca trasversale è della metà circa più breve... In nessun punto la lesione si approfonda». Il dottor Bignami non precisa se la forma della croce fosse diritta o capovolta. La forma di croce è confermata dal Padre Paolino, il quale, però, parla di «forma quasi di una X» e si discosta dal Bignami, ritenendo la ferita profonda e non superficiale. Ma c'è da tener presente che il Padre Paolino non era medico. Nella relazione della sua prima visita, effettuata nel seguente mese di ottobre, il dottor Festa ci ha lasciato una descrizione, che concorda con quella del Bignami. Anche per lui, infatti, la stigmata del costato aveva una forma di croce, ma capovolta, ed era superficialissima. Ecco la descrizione esatta che ne fa: «Nella regione anteriore del torace sinistro, circa a due dita trasverse al di sotto della papilla mammaria, presenta un'ultima e più interessante lesione, in forma di croce capovolta. L'asta longitudinale di questa misura all'incirca 7 cm di lunghezza: parte dalla linea ascellare anteriore a livello del 5°; spazio intercostale, e discende obliquamente fin presso al bordo cartilagineo delle costole, solcando la cute in un punto che, come ho già rilevato, è a circa due dita trasverse al di sotto della papilla mammaria. L'asta trasversale della croce è lunga circa 4 cm, interseca non ad angolo retto, ma in modo un po' obliquo e pressapoco a 5 cm dal suo punto di partenza, l'asta longitudinale, e si presenta più espansa e rotondeggiante alla sua estremità inferiore. Questa figura di croce è superficialissima». Gli stessi caratteri furono osservati, sempre dal dottor Festa, il 16 luglio 1920, nel corso della seconda visita, fatta insieme al dottor Romanelli, il quale, nella sua lettera al Padre Agostino del 9 agosto 1920, sottolinea un'altra modificazione della stigmata del costato: «Insieme ora abbiamo visto una croce con una branca più larga e l'altra più stretta». Però il dottor Romanelli non specifica quale sia la branca più larga e quale quella più stretta, né se le branche fossero eguali o disuguali (3). Su un bigliettino da visita del Cardinale Silj, che, molto probabilmente, deve essere posteriore al 1921, lo stesso venerato Padre Pio disegnò la stigmata che aveva sul costato. Da quel disegno resta confermata la forma di croce, ma rimane problematica la sua esatta posizione, dal momento che non sappiamo da qual verso il venerato Padre l'abbia disegnata. Le soluzioni possibili, com'è ovvio, sono quattro. La stigmata del costato rimase praticamente immutata fino al 5 luglio 1964, quando fu vista dal Padre Eusebio Notte, che così la descrive: «Era una piaga a forma di croce, grosso modo così: la branca verticale era lunga un sei-sette centimetri, leggermente obliqua, con la parte inferiore spostata verso il lato sinistro. La branca trasversale era molto più corta». Riconoscendo un carattere d'indeterminatezza alla versione del Bignami, ci sembra che l'indicazione più esatta sia quella del Festa, verificata in seguito anche dal Romanelli. Quindi, molto probabilmente, la stigmate, che il venerato Padre Pio aveva sul costato, almeno a partire dal mese di ottobre 1919, doveva avere questa forma: con l'asta longitudinale di circa cm 7 di lunghezza e l'asta trasversale di circa cm. 4 di lunghezza. Per quanto riguarda l'ubicazione, riteniamo che l'indicazione più esatta sia quella del Romanelli, confermata sostanzialmente dal Festa: la stigmata doveva trovarsi tra la linea mammillare e l'ascellare anteriore, partendo da questa e solcando la cute a circa due dita trasverse al di sotto della papilla mammaria (4). In merito all'affermazione del Padre Paolino, c'è da osservare che egli scrive testualmente: «Ha la forma quasi di una X». Quel «quasi» sta ad indicare che la X non era perfetta. Il che ci porta di conseguenza alla figura di una croce (capovolta?). Una osservazione anche sul disegno di Padre Pio. Ci sembra che la lettura migliore sia la prima, quella cioè che segue la direzione dello scritto del bigliettino e che non si discosta molto dalla descrizione del dottor Festa. Infine, per quanto concerne il Padre Eusebio, dobbiamo far presente che egli, da noi interrogato, ha ribadito la sua versione. Cosa, questa, che c'induce ad ammettere una importante modificazione, prima della definitiva scomparsa (5). Le cause di queste modificazioni non devono essere ricercate necessariamente nella sfera del soprannaturale, bastando per la loro spiegazione anche delle cause di ordine puramente naturale (6). Ma la stigmata del costato pone ancora un altro problema, quello relativo al tempo della sua comparsa. Il Padre Paolino da Casacalenda, che la vide a forma di una X, scrive: «Dal che si deduce che sono due le ferite e ciò si riconnette col fatto che ho sentito dire, ma che io non posso provare per mancanza di documenti sicuri, che molto prima delle stigmate Padre Pio fu ferito con una spada da un Angelo dalla parte del cuore». In questo caso, il venerato Padre avrebbe ricevuto una prima ferita al costato al momento della transverberazione (5-7 agosto 1918), e una seconda, sempre al costato, all'atto della stigmatizzazione (20 settembre 1918). Questa seconda ferita, sovrapponendosi alla prima, avrebbe dato origine alla forma di croce o di X. Questa supposizione, però, cade se, col Romanelli, riteniamo che nel mese di maggio 1919 la stigmata del costato non aveva affatto la forma di croce. Essa, inoltre, non sembra trovare giustificazione nel resoconto della transverberazione fatto il 21 agosto 1918 dallo stesso Padre Pio. In esso il venerato Padre parla di arnese scagliato «nell'anima», che provocò anche delle conseguenze nell'ordine fisico: «Persino le viscere vedevo che venivano strappate e stiracchiate». Tuttavia la «ferita» era di ordine puramente spirituale: «Sento nel più intimo dell'anima una ferita che è sempre aperta». (Epist. I, 1065). Sembra, quindi, che sia da escludere una ferita fisica al cuore o al costato. Tuttavia, stando alla testimonianza del Padre Agostino, il personaggio celeste del 5-7 agosto «trapassò il cuore» del venerato Padre, il quale «fisicamente sentì il cuore squarciarsi e fece sangue, che si versò per il corpo, uscendo parte per la bocca, parte di sotto». La mancanza di ulteriori informazioni non ci consente di dire se questa sia un'interpretazione del Padre Agostino oppure il resoconto accurato di una confidenza a lui fatta dallo stesso Padre Pio. Comunque, secondo le affermazioni del Padre Agostino, Padre Pio avrebbe riportato una ferita fisica al cuore, durante il fenomeno della transverberazione del 5-7 agosto (7). Però, in base all'interrogatorio del Padre Raffaele, fatto negli anni 1966-1967, dovremmo ritenere che, durante quel fenomeno abbia riportato una ferita fisica al costato. Ci permettiamo di rimandare ad un nostro studio sull'argomento (8), del quale riassumiamo qui le conclusioni. A nostro giudizio, Padre Pio riportò una ferita fisica al costato il 5-7 agosto (interrogatorio del Padre Raffaele) e una ferita fisica al cuore nel mese di dicembre 1918 (cfr. Epist. I, 1106). Ma qui sorge una difficoltà. Se la ferita al costato era già in atto fin dal mese di agosto, perché mai Padre Pio, facendo la relazione della stigmatizzazione, avvenuta il 20 settembre, afferma che, dopo l'apparizione del misterioso personaggio, egli si avvide che «mani, piedi e costato erano trapassati e grondavano sangue» (Epist. I, 1094)? Dobbiamo confessare che a questa domanda non siamo in grado di dare una risposta adeguata. La soluzione migliore sarebbe quella proposta dal Padre Paolino, se non vi si opponesse la constatazione del Romanelli. A meno che non si voglia ammettere anche per il periodo di settembre 1918 - maggio 1919 una modificazione della stigmata del costato. In questo caso, detta stigmata, sarebbe passata attraverso le seguenti fasi: agosto 1918, una sola ferita; settembre 1918, due ferite (= una ferita a forma di croce o di X); maggio 1919, una sola ferita; luglio 1919, due ferite (= una ferita a forma di croce o di X). Infine, per concludere queste brevi annotazioni sulla stigmata del costato di Padre Pio, dobbiamo accennare al suo significato teologico o alla finalità intesa dal «misterioso personaggio» che la causò. La transverberazione del 5-7 agosto trasfigurò il venerato Padre nell'anima, rendendolo pronto ed idoneo ad essere trasfigurato anche nel corpo (piaga al costato) con la prossima stigmatizzazione, definitiva e permanente, del 20 settembre seguente. La transverberazione del mese di dicembre fu un «suggello di amore» (ferita al cuore), che, in modo completo e irreversibile, affidò il venerato Padre alle braccia dell'Amore (Epist. I, 1112) (9).

Le qualità delle stigmate

Le stigmate di Padre Pio ebbero due qualità: il profumo e la luminosità. Le testimonianze in merito al profumo (10), in vita e post mortem, sono innumerevoli: da sole basterebbero a riempire un grosso volume. Il fatto, quindi, è fuori dubbio. Ma qual è la sua origine? Il dottor Festa, che ne parla nella seconda relazione, scrive testualmente: «Sembra che tale profumo, più che dalla persona del Padre Pio in genere, emani dal sangue che stilla dalle sue piaghe» (26). Lo stesso dottore parla a lungo dell'esperienza da lui fattane, proprio da lui che era «affatto privo del senso dell'odorato». Per quanto ne sappiamo, la seconda qualità è attestata soltanto dallo stesso dottor Festa e limitatamente alla piaga del costato. Essa fu constatata nel corso della visita da lui fatta nel 1925, subito dopo l'intervento chirurgico: «Per amore di verità e di esattezza debbo soltanto aggiungere che la sottile escara, da cui nel precedente esame avevo trovato ricoperta la ferita che ha sull'emitorace sinistro, è ora caduta; di modo che questa appare fresca e vermiglia, in forma di croce, e con brevi, ma evidenti radiazioni luminose che si sprigionano da suoi contorni» (27).

La scomparsa delle stigmate

Sul corpo del venerato Padre Pio le stigmate rimasero aperte, fresche e sanguinanti per mezzo secolo (1918- 1968). Ma, verso la fine della sua vita, cominciarono a chiudersi. Le prime a rimarginarsi furono quelle dei piedi e del costato, probabilmente circa due anni prima della morte. Nell'estate (luglio-agosto) del 1968, non si vedevano le piaghe alle mani, almeno sui dorsi. Noi stessi lo constatammo. Durante la celebrazione dell'ultima Messa (22 sett. 1968), era ancora visibile la stigmata nel palmo della mano sinistra. In meno di 24 ore, anche questa scomparve completamente. L'ultima rilevanza crostosa dalla faccia palmare sinistra cadde al momento della morte. Così la mano sinistra, che era stata la prima ad essere interessata in modo più sensibile ad una delle prime apparizioni delle stigmate (cfr. Epist. I, 234), fu anche l'ultima a perdere ogni segno di ferita.

La teologia delle stigmate

Il mistero della croce è essenzialmente il mistero pasquale: cioè, il mistero della morte e della risurrezione di Cristo. Secondo la dottrina di San Paolo, ogni cristiano, per mezzo del Battesimo, diviene partecipe di questo mistero (Rom. 6,3-5). Nel corso dei secoli, però, Dio sceglie delle anime, nelle quali, in modo particolare, rinnova il mistero pasquale del Figlio suo. Nel sec. XX ha scelto Padre Pio da Pietrelcina, l'umile cappuccino del Gargano, passato alla storia della Chiesa come il primo sacerdote stigmatizzato. Gli elementi, con i quali Dio ha rinnovato in lui il mistero della morte di Cristo, sono due: la volontà di coimmolazione e i dolori, morali e fisici, tra i quali occupano il primo posto le stigmate. Il cumulo di sofferenze, che la Provvidenza divina si degnò di caricare sulle sue spalle, costituirono il suo «calvario» e lo posero in uno stato di continua agonia, per tutta la vita. Ma Dio ha rinnovato in Padre Pio da Pietrelcina anche il mistero della risurrezione di Cristo. Per illustrare questo punto è necessario ricordare che, in Padre Pio, la scomparsa delle stigmate fu accompagnata dall'assenza completa di ogni segno di cicatrizzazione. Al posto delle stigmate, c'era nuova carne, rigenerata (ri-creata?). Questo fenomeno, che giustamente viene considerato «fuori di ogni tipologia di comportamento clinico e di carattere extra naturale» (dottor Sala), non trova alcuna spiegazione scientifica. Ci chiediamo, pertanto: che cosa rappresenta il fenomeno della scomparsa delle stigmate e della rigenerazione di nuova carne al posto delle ferite? La risposta è duplice. In relazione a Padre Pio, esso ci appare come il segno manifesto che Dio ha gradito ed accettato il suo lungo e cruento sacrificio, ed ha dato a lui, primo sacerdote stigmatizzato, glorificata ricompensa attraverso quel germe di risurrezione della carne. In relazione agli uomini, ci sembra che quel germe di glorificazione sia un segno dell'entrata di Padre Pio nella gloria del cielo, per continuare, presso Dio, il ruolo di intercessione in loro favore.

Conclusione

Volendo indicare brevemente il significato teologico globale delle stigmate di Padre Pio da Pietrelcina, viste nel contesto della sua vita santa, tutta dedicata alla gloria di Dio ed al bene delle anime, ci sembra di poter citare con ragione le parole dell'Apostolo San Paolo ai Colossesi: «Io godo delle sofferenze in cui mi trovo per voi, e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo, che è la Chiesa» (Col. 1,24). Chiuso nel suo mistero, in profondo raccoglimento e in costante colloquio con Dio, il venerato Padre poteva esclamare con lo stesso grande Apostolo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo... D'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo» (Gal. 6,14.17). San Giovanni Rotondo, 23 settembre 1984, 16°; anniversario della morte di Padre Pio da Pietrelcina. Padre Gerardo Di Flumeri Vice Postulatore (1) L'ultimo accenno è del 10 ottobre 1915: cfr. Epist. I, 669. (2) Il dottor Festa descrive direttamente la stigmata della mano sinistra, ma, com'egli stesso afferma, la descrizione è valida anche per le «lesioni esistenti sul dorso e nella palma della mano destra»: cfr. doc. n. 52, p. 179. (13) Nella stessa lettera, il dottor Romanelli afferma che il dottor Festa, nella prima visita, «vide una croce a branche eguali». L'affermazione non corrisponde a verità. Per il dottor Festa la branca più larga doveva essere quella trasversale. Scrive, infatti, nella seconda relazione: «Mentre l'asta trasversale, forse alquanto più larga e più lunga» (4) E' possibile che la divergenza del dottor Bignami sia dovuta al diverso punto dal quale fu fatta l'osservazione e anche alla posizione assunta da Padre Pio. (5) Nella nostra esposizione, non abbiamo preso in considerazione l'attestato del dottor Sala. Questo, infatti, non ha nessun valore, perché il dottor Sala, com'egli stesso confessa, non ha mai eseguito nessun controllo diretto delle ferite. Quindi, è frutto di fantasia «la ferita del costato... a forma di losanga». Inoltre c'è da dire che, a causa dell'ignoranza del problema della ubicazione della stigmata del costato, il dottor Sala è incorso in un altro grave errore. Quando, dopo la morte del venerato Padre Pio, Padre Giacomo Piccirillo fece il servizio fotografico per documentare la scomparsa delle stigmate, il dottor Sala, che era presente, non indicò il punto esatto del lato del costato sinistro da fotografare. Scoprì, infatti, il costato fino a poco sotto la mammella sinistra, ignorando che la stigmata del costato, partendo dalla linea ascellare anteriore, solcava la cute a circa due dita trasverse al disotto della papilla mammaria). (6) Il dottor Michele Capuano ne dà una spiegazione «naturalistica»: «Divergenze? Contrasti? Io penserei a due aspetti dello stesso fenomeno. A manifestazioni "successive" nello stesso organismo, dove modifiche "biologiche", cioè spontanee, sono sempre possibili in ogni tempo - anche a distanza ravvicinata - sotto le oscillazioni del ricambio, degli equilibri biochimici e delle secrezioni interne, in vista delle trasformazioni che caratterizzano le attività vitali». (7) Nella lettera del 5 sett. 1918, scritta esattamente un mese dopo il fenomeno della transverberazione, Padre Pio parla di «ferita riaperta che sanguina e sanguina sempre», «ferita che sempre è aperta» (Epist. I, 1072 s.). Queste espressioni suggeriscono indubbiamente l'idea di una ferita fisica; però lette nel contesto («sommerso in un oceano di fuoco», «anima che impiagasti»), perdono la loro forte carica di significato fisico e possono rivestirsi di un significato simbolico, metaforico, spirituale. (8) PADRE GERARDO DI FLUMERI, La transverberazione di Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo 1985. (9) Per questo punto cfr. il nostro studio citato nella nota precedente. (10) Esula dal nostro intento la trattazione del profumo di Padre Pio. Per esso rimandiamo a quanto ne hanno scritto i biografi. Cfr. in modo particolare: PADRE FERNANDO DA RIESE PIO X, Padre Pio da Pietrelcina, crocifisso senza croce, 2ª ed., San Giovanni Rotondo 1984, pp. 186-19

LA BEATIFICAZIONE DI PADRE PIO DA PIETRELCINA

Padre Pio proclamato Beato

Avevo appena terminato d'indossare i paramenti sacri ed ero pronto a partecipare alla concelebrazione presieduta dal santo padre Giovanni Paolo II, quando fui invaso da un forte desiderio. Dare uno sguardo alla folla accorsa alla cerimonia della beatificazione del venerabile Padre Pio da Pietrelcina. Il cortese lettore avrà certamente capito che era la mattina del 2 maggio ed io mi trovavo, con altri sacerdoti, vescovi e cardinali, nel braccio destro della basilica di San Pietro, esattamente davanti alla cappella dove troneggia la ieratica statua del papa Pio XII. Per raggiungere il portone d'ingresso, dovevo percorrere varie decine di metri, che, per il mio povero cuore visitato da fratello infarto, rappresentavano un notevole sforzo. Inoltre temevo che le intransigenti guardie, messe a custodia della via di accesso, come i biblici cherubini del giardino dell'Eden, mi avrebbero impedito di avvicinarmi a quel portone. Mi feci coraggio e mi rivolsi alle guardie. Espressi timidamente il mio desiderio e rimasi in silenziosa attesa per qualche minuto. Quale non fu la mia piacevole sorpresa, quando una di essa, col più amabile dei sorrisi, mi disse: «Ma certamente, padre!» e mi spalancò il portone. Mi precipitai fuori dalla basilica e mi fermai sul sagrato, che consentiva di avere uno sguardo panoramico su tutti i convenuti. Ebbi un tuffo al cuore e rimasi senza parola! Dall'ingresso della basilica fino al Tevere una folla immensa riempiva tutti i settori predisposti ad accogliere i fedeli in arrivo: il settore di destra e quello di sinistra, l'area di San Pietro e quella di San Paolo, i settori 1, 2, 3, 4, 5, 6, dove si poteva rimanere comodamente seduti, e i restanti settori, che consentivano soltanto una presenza in piedi. L'ordine era mantenuto nel modo più assoluto. Sembrava che quel fiume di gente stesse immobile. Il mio pensiero volò al libro dei Numeri e mi ricordai della benedizione pronunziata da Balaam su Israele: «Come sono belle le tue tende, o Giacobbe, le tue dimore, Israele! Sono come torrenti che si diramano, come giardini lungo un fiume, come aloé, che il Signore ha piantati, come cedri lungo le acque. Fluirà l'acqua dalle sue secchia e il suo seme come acqua copiosa» (Num. 24, 5-7). Mentre mi estasiavo alla vista di quel superbo spettacolo, fui favorevolmente colpito da un altro elemento, che dominava sovrano su quel popolo eterogeneo, convenuto da tutte le parti d'Italia e del mondo: il silenzio. Quel popolo viveva nel silenzio, ovattato di silenzio, cinto di silenzio come di una fascia ai lombi. Però quel silenzio non era soltanto qualcosa d'insolito nella presenza di una moltitudine così vasta, ma era anche l'habitat naturale, senza del quale quella cerimonia sacra non avrebbe potuto aver luogo né si sarebbe potuta svolgere decorosamente. Non era un silenzio imposto, ma un silenzio richiesto, come esigenza dello spirito di fronte al sacro. In quel silenzio non si avvertivano neanche dolci bisbigli e lievi mormorii, a volte inevitabili in un così vasto assembramento di persone. Da quel profondo silenzio sgorgavano, di tanto in tanto, le consolanti note delle lacrime. Non si trattava di lacrime di dolore, ma di amore: amore per Dio, per il papa, per il venerabile Padre Pio, per i sofferenti del Kosovo, per i miseri di tutto il mondo. E, infine, la commozione: una commozione profonda ed estesa, che, come una coltre, copriva tutta quella moltitudine di gente. Ma anche una commozione dignitosamente contenuta, che non dava luogo a manifestazioni incomposte e fuori luogo. Dopo aver ammirato per lungo e per largo lo straordinario scenario di piazza San Pietro e di via della Conciliazione, feci ritorno in basilica per unirmi al corteo di sacerdoti, vescovi e cardinali, che si stavano muovendo verso l'altare per la concelebrazione. Non starò qui a descrivere i vari momenti di questa sacra cerimonia tanto attesa, che saranno ampiamente illustrati nel corso di questo giornale. Qui mi limiterò a dire che gli elementi da me notati precedentemente restarono intatti, ed anzi potenziati, nel corso della celebrazione della santa messa: ordine, silenzio, lacrime, commozione. Lo zenit evidentemente fu raggiunto quando il santo padre Giovanni Paolo II dichiarò Padre Pio beato con le parole prescritte dal cerimoniale pontificio: «Con la nostra autorità apostolica concediamo che il Venerabile Servo di Dio Pio da Pietrelcina d'ora in poi sia chiamato Beato e che si possa celebrare la sua festa nei luoghi e secondo le regole stabilite dal diritto, ogni anno, nel giorno della sua nascita al cielo, il 23 settembre». A quel punto le regole del comportamento di quella moltitudine subirono una eccezione, ma sempre nella regola d'oro del rispetto e della moderazione. Molti cominciarono ad agitarsi, gridando «Viva il Papa», «Viva Padre Pio». Alcuni facevano sventolare il foulard o il cappellino. Altri piangevano dirottamente. Altri infine, profondamente commossi, singultivano per la gioia. La situazione tornò normale e il papa poté continuare a celebrare la santa messa, nell'ordine più assoluto, nel silenzio più profondo, tra lacrime segrete e nascoste, nella commozione generale, che tutti avvolgeva e copriva col suo manto leggermente ondulato e profumato. Mi è stato riferito che la stessa scena si è verificata oltre che in piazza San Pietro, anche in piazza San Giovanni in Laterano, a San Giovanni Rotondo e a Pietrelcina. Molti mi hanno chiesto: Qual è per lei, padre, il miracolo più grande di Padre Pio? Non ho esitato a rispondere: la splendida giornata del 2 maggio. di padre Gerardo Di Flumeri, vice postulatore

Lettera circolare del ministro provinciale

Fratelli carissimi, il 2 maggio è il giorno fatto dal Signore, il giorno atteso e finalmente maturo della glorificazione su questa terra del venerabile servo di Dio Padre Pio da Pietrelcina, nostro confratello, figlio prediletto e gemma fulgida di questa Provincia di S. Angelo - Foggia, innalzato agli onori degli altari tra cori festosi ed inni di ringraziamento a Colui che ha operato questa «meraviglia» ai nostri occhi. È questo un giorno di portata storica, perché rende concreta e vera una notizia bella e dai significati profondi ed inenarrabili, diffusa da un araldo quale messaggero di lieti annunci: «Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion» (Is. 49, 9) e grida: «gioisci figlia di Sion, esulta Israele e rallegrati con tutto il cuore figlia di Gerusalemme» (Sof. 3, 14). Nello stesso tempo sperimentiamo in modo singolare la gratuità di un amore e di una condiscendenza infinita e traboccante che ha fecondato l'intera umanità, tutto l'Ordine e la nostra fraternità provinciale, visitati dalla «grazia» dello Spirito che ha suscitato Padre Pio da Pietrelcina, mirabile per la santità di vita ed oggi proclamato ufficialmente beato dal papa Giovanni Paolo II. A fronte di tanta benevolenza e di una ricchezza di doni e di «segni» soprannaturali caduti nelle nostre mani e in questa porzione di terra, benedetta da gocce di sangue di un crocifisso vivente, un senso di stupore e di confusione ci avvolge e ci sovrasta e non si danno parole che possano esprimere la gratitudine e l'esultanza del cuore ricolmo di «gioia indicibile»; non si dà voce che possa esprimere il canto della lode e della benedizione alla Trinità santa, cui è onore, gloria e potenza nei secoli. Fratelli carissimi, in questo giorno davvero santo il nostro cuore esplode in liete parole: cosa renderemo al Signore per quanto ci ha dato? Vogliamo alzare il calice della salvezza e rendere gloria al suo nome. In eterno vogliamo lodare e cantare la sua bontà e misericordia. In questo evento di gioia e di gloria la nostra Provincia di S. Angelo - Foggia è coinvolta in prima persona, quale «carissima madre» che lo ha generato alla vita religiosa, accogliendolo e formandolo nel radicamento e nell'interiorizzazione dei valori della tradizione francescano-cappuccina; che è stata testimone dei carismi e dei fenomeni mistici legati alla sua persona ed ha condiviso con lui l'esperienza fraterna e pastorale, segnata da eventi belli e tristi, esaltanti e drammatici nello stesso tempo. In questa circostanza, in un unico abbraccio, vogliamo unire il passato con il presente e fare «memoria» di tutti quei confratelli, che, a diverso titolo e ai diversi livelli, hanno condiviso nel tempo le situazioni, le esperienze, i momenti belli e straordinari come quelli difficili e sofferti di tutti questi anni, offrendo una testimonianza di legame profondo e di affetto alla persona di Padre Pio: figure di confratelli dal volto ordinario, semplici ed austeri, ma anche dotti e dalla forte personalità posti sullo stesso cammino, segnando indirettamente la stessa esperienza di Padre Pio e restandone segnati. Qualcuno di questi ha suscitato la sua vocazione ed il fascino per l'abito cappuccino, altri lo hanno avviato alla vita fraterna e formato nelle discipline filosofiche e teologiche, altri ancora sono stati i direttori spirituali che lo hanno illuminato, consigliato ed aiutato a discernere il disegno di Dio sulla sua persona, tantissimi nel silenzio e nel nascondimento hanno vissuto accanto a lui pregando, lavorando, gioendo e soffrendo insieme. Ultimamente alcuni con sacrificio e dedizione, attraverso ricerche, scritti, testimonianze, predicazione... si sono prodigati per introdurci nel «mistero e nel segreto» di questo nostro confratello, diffondere il suo messaggio e la sua esperienza e farci giungere all'appuntamento della sua beaficazione. Il Padre Generale, in una lettera inviata alla nostra Provincia nella persona del Ministro Provinciale, dopo la promulgazione del decreto «super miraculo» ha scritto: «La vostra Provincia ha cesellato la sua statura umana e spirituale agendo e soffrendo con lui nella certezza che le opere di Dio alla fine brilleranno». In verità nessuno più dei suoi confratelli, alcuni in particolare, hanno potuto «vedere», «toccare» con mano e sperimentare le «meraviglie» che il Signore ha operato ed opera attraverso il suo servo. La nostra Provincia ed i nostri confratelli, pertanto, più di altri sono stati e sono tuttora i custodi e i testimoni oculari di questa figura carismatica e di questa esperienza unica e straordinaria. Chi eravamo o cosa rappresentavamo noi per meritare questo privilegio? La nostra Provincia ad inizio di secolo si presentava piccola e nascosta, in via di riorganizzazione e di ripresa dopo gli eventi della soppressione, senza grandi nomi e tradizioni all'interno dell'Ordine; eppure è stata scelta da Dio come «nuova Betlemme», come luogo in cui doveva brillare una «stella» ed un nostro convento, aggrappato ad un monte, sconosciuto e cadente come quello di San Giovanni Rotondo, prescelto come «nuova Assisi», come luogo in cui doveva splendere un «faro» di luce attraverso i segni della passione di Cristo, definito per questo come San Francesco «rappresentante stampato delle stigmate di nostro Signore». Come Provincia e confratelli di Padre Pio dal profondo del cuore vogliamo dirgli grazie con semplicità e grande riconoscenza, oltre ogni formalismo e trionfalismo di facciata, per la sua «bella e splendida testimonianza» di frate minore cappuccino, scritta e vissuta all'interno della fraternità con una fedeltà ed eroicità a dir poco meravigliose nell'intreccio quotidiano di realtà ordinarie e straordinarie, forti ed intense da renderlo uno di noi eppure così singolare ed originale, tanto da proporsi come modello esemplare di vita religiosa. Siamo qui anche per chiedere umilmente perdono al Signore ed a lui se in tanti frangenti non abbiamo apprezzato abbastanza il dono della sua presenza e compreso i carismi ed i fenomeni di natura mistica di cui era arricchito, divenendo inconsapevolmente causa di sofferenze morali per la sua persona. Di un dato possiamo esser certi, ieri come oggi: Padre Pio, che chiamava teneramente «carissima madre» la Provincia, l'ha amata profondamente, ha pregato incessantemente per i suoi bisogni ed ha sofferto per lei offrendosi vittima «usque ad effusionem sanguinis». L'esperienza di Padre Pio è racchiusa in questa espressione tratta dal suo epistolario, che sintetizza e fotografa la sua vocazione e missione di frate cappuccino e di sacerdote: «Il tutto si compendia in questo: sono divorato dall'amore di Dio e dall'amore del prossimo. Dio per me è sempre fisso nella mente e stampato nel cuore. Mai lo perdo di vista» (Epist. I, 1247). Dio è stato il centro di gravitazione del suo essere e del suo agire, il punto di riferimento assoluto della sua vocazione e missione. Da questo centro, origine e punto focale di ogni energia e dinamismo interiore, si sprigionava quell'amore, che come calamita lo attraeva verso il peso suo: Dio ed i fratelli. Padre Pio ha sperimentato sin dalla più tenera età i «segni di predilezione» da parte di Dio ed una volta consacratosi con i voti di obbedienza, povertà e castità tra i cappuccini ha vissuto la sua consacrazione in modo pieno ed indiviso, senza riserve e cedimenti, divenendo un «degnissimo figlio di San Francesco» ed offrendo una testimonianza eccezionale e trasparente dei valori caratteristici della «forma di vita» e della tradizione francescano-cappuccina. L'eucarestia ha rappresentato sempre il momento centrale e culminante della sua giornata e della sua attività apostolica. Egli è stato il sacerdote che si è offerto vittima con Cristo sull'altare, consacrando il pane e il vino come offerta ed azione di grazie per la salvezza del mondo. È stato il confessore assiduo ed instancabile donando il perdono e la riconciliazione ed irradiando luce e conforto. È stato il frate ed il sacerdote orante e contemplativo, dell'accettazione della croce e dell'adesione alla volontà di Dio. È stato il frate e il sacerdote della fede profonda, della carità perfetta, della speranza certa, virtù professate e vissute in modo tanto semplice quanto eroico. Giorno dopo giorno nel silenzio interiore, tra sofferenze ed umiliazioni di ogni sorta, ha dato concretezza a quella voce e a «quella missione grandissima»: «santificati e santifica» nella tensione costante di volersi identificare-conformare sempre più a Cristo, povero e crocifisso. Dio e l'uomo - il polo verticale e quello orizzontale - hanno rappresentato la grande passione di Padre Pio come unico respiro, come unico amore. Dal suo cuore, innamorato di Dio e dei fratelli, sono nate con finalità specifiche le due realtà: i «Gruppi di preghiera» come tensione verso l'alto e «Casa sollievo della sofferenza», pupilla dei suoi occhi, come finestra aperta sulle sofferenze dell'umanità. Questa esperienza così intensa, cosa richiama e provoca in tutti noi in rapporto al dono della vocazione religiosa e sacerdotale? Cosa rappresenta in rapporto alla nostra identità e al nostro servizio pastorale? Se è vero che «ognuno può dire: Padre Pio è mio», a maggior ragione lo possiamo dire noi suoi confratelli, chiamati a custodire e a rendere presente la sua esperienza, la sua spiritualità e la sua testimonianza. Al di là dei monumenti di pietra e di bronzo, dei devozionismi e dei fanatismi a volte striscianti, della spettacolarità e del «chiasso» dei mezzi di comunicazione sociale, siamo chiamati a riproporre e ripresentare la «memoria» viva e vera di Padre Pio, come frate e sacerdote, che rinnova la sua presenza in mezzo a noi additandoci la centralità di Dio nella vita e nella storia umana. I santi sono inviati nel mondo come «profezia» e «segno» forte di Dio, rappresentano una «lettera aperta» scritta con la vita, costituiscono una continua provocazione per la nostra vita dentro la storia umana. Padre Pio costituisce tutto questo: è un profeta, un segno forte del trascendente, è davvero una «lettera aperta» inviataci dall'amore di Dio, scritta non con l'inchiostro, ma con il sangue per ricordare a noi che il mondo si salva unicamente con l'amore fatto passione. In cammino verso il terzo millennio e con la sfida della nuova evangelizzazione resa urgente da un contesto storico-culturale impregnato di paganesimo e di ateismo pratico, cosa rappresenta e come interpretare l'esperienza e la testimonianza di Padre Pio? Come mediarla e trasmetterla sul piano dei contenuti teologici, spirituali e pastorali? Come gli uomini - in particolare il mondo dei giovani - possono attingere alla sua esperienza e spiritualità per incontrare Dio o tornare a Lui? Credo che, come Provincia di Padre Pio e suoi confratelli, abbiamo sì un grande onore, ma anche una grande responsabilità morale, spirituale e pastorale, in particolare dai punti focali rappresentati da San Giovanni Rotondo e Pietrelcina. Abbiamo la responsabilità di non tradire l'eredità spirituale che ci ha lasciato, ma di farla fruttificare. Risultano illuminanti - per l'approccio e per l'orizzonte che assumono - queste parole del Ministro Generale a noi indirizzate: «La Chiesa vuole additare Padre Pio ai fedeli di tutto il mondo proprio alla fine di questo secondo millennio consegnando un fratello dall'amore della vostra diletta Provincia per lui all'amore della Chiesa». Lo Spirito conceda a noi una fedeltà creativa, attenta ai «segni» dei tempi ed in sintonia con il respiro di questo mondo, sensibile a lasciarsi rinnovare da Dio alla luce dell'esperienza evangelica del nostro confratello, il Beato Padre Pio da Pietrelcina, ed a fare la nostra parte nel processo della nuova evangelizzazione. Fratelli carissimi, mentre il nostro cuore si rallegra per la sua beatificazione, interpretando i sentimenti dei confratelli cappuccini ed in particolare della nostra Provincia, chiedo al Signore per intercessione del Beato Padre Pio di voler spandere le sue grazie e benedizioni in modo abbondante sull'umanità intera, sulla Chiesa, sull'Ordine e su tutti noi e di donarci i frutti dello Spirito. Domando, inoltre, il dono delle vocazioni, l'unità e la pace per la nostra Provincia e che essa sia guardata con «occhio specialissimo». Voglio chiudere questa lettera circolare riprendendo una confessione-confidenza di Padre Pio, che rivela il suo grande amore per la Provincia e procura a noi commozione profonda e speranza certa per il futuro: «È inutile che mi raccomandiate di pregare per i bisogni della nostra madre Provincia, lo sa Iddio quante volte al giorno faccio memoria di lei davanti a Lui... Mi sono offerto qual vittima al buon Dio per i bisogni spirituali di questa carissima madre, a cui mi sento stretto da vincoli indissolubili. Una tale offerta più volte la vado rinnovando davanti al Signore... » (Epist. I, 532). Nel salutare tutti ed ognuno, auguro ogni bene e serenità del cuore. Il Signore vi dia pace! 2 maggio 1999 di padre Paolo M. Cuvino, Ministro Provinciale OFM Cap.

La gioia per la beatificazione di Padre Pio

Domenica 2 maggio 1999, ho avuto la grazia e la fortuna di partecipare alla beatificazione di Padre Pio. Inoltre ho avuto anche la grazia e la fortuna di ricevere la santa comunione direttamente dalle mani del Papa, durante la solenne concelebrazione.

Il mio cuore è pieno di gioia; e vorrei manifestare questa mia gioia cantando l'inno di ringraziamento al Signore.

Prima, però, vorrei far notare due coincidenze, che non sono certamente casuali, ma indubbiamente previste e combinate dalla Provvidenza divina.

Padre Pio è stato dichiarato Beato nel mese consacrato a Maria. Sembra una ricompensa che la Madre di Gesù abbia voluto dare all'umile fraticello per il grande amore che le ha portato in tutta la vita. Ricordate la breve letterina del 1°; maggio 1912, nella quale il povero Fra Pio chiama la Madonna per ben sei volte con i bei nomi di madre, mammina, mammina celeste? E ricordate con quale cura la Madonna lo accompagnava all'altare?

Mi è sommamente caro immaginare che, anche la mattina della beatificazione, Maria ha accompagnato Padre Pio all'altare vicino al sommo pontefice Giovanni Paolo II, fra migliaia di sacerdoti e fedeli, di fronte alla basilica del Principe degli Apostoli.

La seconda coincidenza è ugualmente legata al mese di maggio. In questo mese Padre Pio celebrava il suo onomastico (5 maggio), in questo mese vide la luce a Pietrelcina (25 maggio), in questo mese nacque col battesimo alla vita della grazia (26 maggio). «Povera mammina, quanto bene mi vuole», geme il venerabile Padre dichiarato Beato il giorno 2 del mese consacrato a Maria. E continua: «Vorrei avere una voce sì forte per invitare i peccatori di tutto il mondo ad amare la Madonna».

Ed ecco soltanto alcune espressioni dell'amore di Padre Pio per la Madre di Gesù.

Affermava: «Quando si passa dinanzi ad una immagine della Madonna, bisogna dire: Ti saluto, o Maria. Saluta Gesù da parte mia».

Quando poi sfogava il suo affetto, le diceva: «Senti, mammina, io ti voglio bene più di tutte le creature della terra e del cielo... dopo Gesù, s'intende... ma ti voglio bene!»

E a noi tutti suoi figli, il neo - Beato ha lasciato la seguente raccomandazione: «Figliuolo, tu non sai cosa produce l'obbedienza. Ecco: per un sì, per un solo sì, fiat secundum verbum tuum, per fare la volontà di Dio, Maria divenne Madre dell'Altissimo, professandosi sua ancella, ma conservando la verginità che tanto a Dio e a Lei era cara. Per quel sì, pronunziato da Maria santissima, il mondo ottenne la salvezza, l'umanità fu redenta. Facciamo anche noi sempre la volontà di Dio e diciamo anche al Signore sempre sì».

Ed ora lasciate che il mio cuore manifesti tutta la sua gioia e tutta la sua gratitudine a Dio col cantico della stessa Vergine Maria:

«L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore». Il Signore è grande in tutte le sue opere, ma lo è principalmente in quelle che riguardano la nostra salvezza. Egli ha mandato il suo Figlio come Salvatore del mondo e, attraverso i secoli, ha fatto fiorire una miriade di Santi per la gloria del suo nome e per il bene delle anime. Nel nostro tempo ha fatto sorgere il Beato Padre Pio da Pietrelcina, rappresentante stampato delle stimmate del nostro Signore, corredentore dell'umanità con l'amore e il dolore, buon samaritano venuto in soccorso dei fratelli, alleviando le loro sofferenze nell'anima e nel corpo.

«Ha guardato l'umiltà della sua serva». Chi non ricorda la profonda umiltà di Padre Pio, che si considerava il più grande peccatore del mondo? Egli tutto attribuiva alla grazia divina e ha operato la sua salvezza con timore e tremore, come dice l'Apostolo.

«D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata».

Sono duemila anni che questa profezia ha trovato una puntuale attuazione. Tutte le generazioni hanno chiamato e chiameranno Maria: Beata! Beata, perché Madre di Dio; Beata, perché Immacolata; Beata, perché vergine e madre; Beata, perché assunta in cielo in anima e corpo.

Anche il venerabile Padre Pio, da oltre mezzo secolo, è stato considerato Beato. Ma ora, dopo la solenne dichiarazione pontificia, sarà ufficialmente e pubblicamente proclamato Beato. E questa proclamazione si perpetuerà nei secoli.

«Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e santo è il suo nome».

Anche il Beato Padre Pio può fare la stessa affermazione. L'Onnipotente Dio gli ha dato la forza di esercitare eroicamente il ministero della riconciliazione; di celebrare umilmente e santamente il sacrificio dell'altare; di essere il rappresentante stampato dalle stimmate di nostro Signore Gesù Cristo; di rimanere sempre uomo di preghiera e di sofferenza; di istituire i Gruppi di preghiera, di fondare un ospedale, la Casa sollievo della sofferenza, a favore dei poveri malati.

Sia lode a Dio, il cui nome è santo e sublime! Amen! Alleluia!

Prima di chiudere questo breve inno di lode e di gratitudine al Signore, vorrei ricordare l'impegno del Beato Padre Pio per mettere in pratica quella voce misteriosa, che sentiva nell'intimo del suo cuore: «Santificati e santifica». La storia può testimoniare come egli abbia, con la grazia di Dio, attuato questo programma. E il supremo magistero della Chiesa lo ha solennemente confermato.

Grazie, Santissima Trinità!
Grazie, Sacra Famiglia!
Grazie, babbo Grazio!
Grazie, mamma Giuseppa!
Grazie, Angelo Custode di Padre Pio!
Grazie, Serafico Padre San Francesco!
Grazie a voi tutti, Angeli e Santi del cielo!

di Nunziatina Placentino

Lunedì, 3 maggio 1999: Messa di ringraziamento per la beatificazione di Padre Pio

Il giorno seguente alla beatificazione di Padre Pio, sua eminenza reverendissima il cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato, ha presieduto una solenne concelebrazione in piazza San Pietro durante la quale ha tenuto la seguente omelia:

Carissimi Fratelli e Sorelle nel Signore!

Abbiamo acclamato la Parola di Dio: «Lode a te o Cristo!». Questa lode, che ieri è salita al Signore con la voce del Santo Padre e dei tantissimi Pastori e fedeli convenuti in questa stessa piazza, riecheggia ancora questa mattina, quasi ad esprimere la sovrabbondanza della nostra gioia per il dono che Cristo ha fatto alla sua Chiesa con la straordinaria vita di santità ed ora anche con la beatificazione del Padre Pio da Pietrelcina.

«Amo la Croce» I Santi sono riflessi del mistero di Cristo, e di questo mistero ciascuno di essi interpreta con maggiore intensità qualche tratto. Padre Pio da Pietrelcina è stato chiamato a raffigurare con dono specialissimo il volto di Cristo crocifisso. L'immagine del Crocifisso è centrale nella vita e nella spiritualità cristiana. Posta nelle nostre chiese, nelle nostre case, tra le nostre mani, rischia talvolta di essere un'icona tra le tante. Il Beato Pio da Pietrelcina la ebbe stampata nel suo corpo stesso. Quasi icona vivente di Cristo crocifisso, poteva ripetere a titolo singolarissimo le parole di Paolo: «Io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo» (Gal 6, 17). Quello che per l'Apostolo rappresentava, in senso spirituale, la piena conformazione a Cristo, espressa in una vita dedicata all'annuncio del Vangelo fra mille asprezze e traversie, in Padre Pio, sulla scia di S. Francesco, fu anche un dono inciso nelle sue membra. Ma certo più importante degli stessi segni fisici fu l'esperienza costante e profonda che egli ebbe della passione di Cristo. Si può dire che in lui il Golgotha assumesse quotidianamente, specie durante la Messa, tutto il calore del vissuto. Scriveva in proposito al suo padre spirituale nel 1913: «Gesù, uomo dei dolori, vorrebbe che tutti i cristiani l'imitassero. Ora Gesù questo calice l'offrì ancora a me; io l'accettai, ed ecco perché non me ne risparmia» (Lettera del 1.2.1913, in Espist. I, p. 336). E quasi in tono programmatico confidava: «Sì, io amo la croce, la croce sola; l'amo perché la vedo sempre alle spalle di Gesù. Ormai Gesù vede benissimo che tutta la mia vita, tutto il mio cuore è votato tutto a lui ed alle sue spalle» (ivi, p. 335). Ai piedi della Croce O crux, ave, spes unica! ci fa esclamare la Liturgia delle ore nella Settimana Santa. Da sempre la Chiesa ha avuto coscienza che il venerdì santo è il giorno in cui l'amore di Dio si rivela pienamente. Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci riconduce appunto al giorno della morte di Cristo, quasi a dirci che se vogliamo comprendere fino in fondo il nuovo Beato, lo dobbiamo contemplare nello scenario del Golgotha, inquadrandolo, con Maria e il discepolo prediletto, ai piedi della Croce. Il venerdì santo è il giorno dell'amore crocifisso. A questo giorno approda quella linea discendente dell'amore - la linea della «kenosi» - con cui Dio si abbassa verso la sua creatura fino a sottomettersi, nel Figlio incarnato, alla nostra morte. In questo stesso giorno, il giorno della Redenzione, prende avvio quello che si potrebbe dire il movimento ascendente dell'amore: dall'alto della croce Cristo strappa l'uomo alla schiavitù del peccato e l'attrae verso di sé, per coinvolgerlo nella gloria della Risurrezione, fino al vertice della salvezza escatologica. Gesù stesso descrive questo movimento. «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32). Il venerdì santo è dunque il giorno decisivo della storia umana, un giorno che corre lungo tutti gli altri giorni dell'uomo, in un certo senso continuerà a segnare anche i giorni della gloria, perché è per eccellenza il giorno dell'amore. Per questo Gesù Risorto, apparendo agli apostoli, mostra loro le sue piaghe (cf Gv 20, 20. 27) e l'Apocalisse ci dice che nella Gerusalemme celeste Cristo è glorificato come Agnello «immolato» (Ap 5, 9. 11). Testimone del Dio-Amore La teologia contemporanea ha riscoperto questo ruolo centrale della passione di Cristo non solo come sorgente di redenzione, ma anche come rivelazione del mistero trinitario: il grido di Cristo, che sulla croce si sperimenta «abbandonato» dal Padre (Mc 15, 33) e nonostante tutto si «consegna» a Lui con piena fiducia (Lc 23, 45), da una parte esprime l'indicibile dolore della sua umanità, dall'altra in qualche modo riflette nel tempo, fatta salva l'infinita trascendenza divina, quel processo eterno di «generazione» e «spirazione» col quale il Padre e il Figlio si distinguono e insieme si donano l'uno all'altro nella Persona-Amore che è lo Spirito Santo (cf H.U. von Balthasar, Teologia dei tre giorni, Queriniana, 19952, pp. 35ss). Il venerdì santo è dunque il giorno della grande rivelazione di Dio-Amore. E come tale resta vivo in ogni giorno della Chiesa, palpita in ogni celebrazione eucaristica, si pone in un certo senso come un «appuntamento» a cui è chiamata ogni esistenza cristiana, dato che, secondo le parole di Gesù, nessuno può essere suo discepolo se non prende «ogni giorno» la croce (cf. Lc 29, 23). Il Beato Pio da Pietrelcina questa vocazione l'ha vissuta in modo esemplare, realizzando fino in fondo la parola di Paolo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6, 14). Chi lo incontrava, soprattutto chi partecipava alla sua messa, aveva l'impressione che dal suo animo e quasi dalle sue membra affiorasse il mistero del Dio-Amore. E come poteva essere diversamente, dal momento che egli si era votato a Cristo come «vittima di amore»? «Oh che bella cosa divenir vittima d'amore», scriveva il 26 agosto 1912, dopo aver fatto l'esperienza mistica del dardo di fuoco (Cf Epist. I, p. 300). Figlio della Chiesa e «generatore» di Chiesa Si comprende dunque perché in questa messa di ringraziamento per la sua beatificazione, la liturgia, pur in pieno clima pasquale, ci abbia fatto ascoltare il vangelo della morte di Cristo. Opportunamente poi, trattandosi di uno «stimmatizzato», è stata scelta la redazione che ne fa Giovanni, l'evangelista che si sofferma a contemplare il corpo del Redentore ormai privo di vita, osservando che a lui non vennero spezzate, come agli altri crocifissi, le gambe, ma «un soldato gli colpì il costato con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua» (19, 34). Proprio pensando a questa scena, i Padri amavano dire che la Chiesa è nata dal costato di Cristo crocifisso, come la nuova Eva dal nuovo Adamo (cf. ad esempio S. Ambrogio, In Lucam, II, 86-87). D'altra parte Giovanni addita la mistica nascita della Chiesa al Golgotha anche ricordando le parole con cui Gesù affida sua Madre al discepolo: «Donna, ecco tuo figlio!», e il discepolo a sua Madre: «Ecco tua madre!». La Chiesa nasce dalla morte di Cristo. Da questo dato originario scaturisce anche un principio di vita ecclesiale, che proprio i suoi evidenziano: nella misura in cui un cristiano rivive in sé il mistero del Golgotha, tanto più si fa strumento di Cristo, perché la Chiesa, in lui e intorno a lui, possa continuamente «rinascere» nella fede, nella santità, nella comunione. Il discepolo che si fa «uno» con Cristo crocifisso è così non solo figlio della Chiesa, ma anche «generatore» di Chiesa, come l'apostolo Paolo diceva di sé scrivendo ai Galati: «Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore, finché non sia formato Cristo in voi!» (Gal 4, 19). Questo mistero di spirituale generazione era evidente nel Beato Pio da Pietrelcina. La gente che accorreva al suo confessionale cercava un ministero di misericordia che, in quanto tale, si sarebbe potuto trovare in mille altre chiese del mondo, giacché i sacramenti agiscono «ex opere operato», ossia per l'intrinseca efficacia ad essi assicurata dalla presenza di Cristo e del suo Spirito. Ma l'esperienza mostra quanto sia importante, per chi riceve i Sacramenti, essere aiutato dalla santità del ministro. E quando questa santità è grande, essa avvolge il penitente come una sorta di grembo materno, in cui è più facile percepire la presenza di Dio. Ben se ne accorgeva chi si avvicinava a quell'umile frate di San Giovanni Rotondo, che viveva (- come ha detto ieri il Papa -) «piantato» ai piedi della Croce, e perciò era capace, per così dire, di «scavarti l'animo» con gli occhi di Cristo. Amò la Chiesa allo spasismo Il Santo Padre ha sottolineato la dimensione ecclesiale della santità di Padre Pio, ricordando la sua obbedienza e il suo ministero di carità, espresso nell'aiuto spirituale e materiale recato a tante persone in difficoltà, con la preghiera e con la «Casa sollievo della sofferenza». Vorrei ancora tornare su questo tratto ecclesiale della spiritualità di Padre Pio, mettendo a fuoco l'amore vivissimo che egli nutrì per la Chiesa, anche quando ebbe a soffrire da parte di uomini di Chiesa. In lui l'amore per Cristo e l'amore per la Chiesa erano veramente inseparabili. Basti citare a tal proposito le accorate espressioni che egli scrisse nel 1933 a un suo figlio spirituale, intenzionato a difenderlo in un modo che al santo frate risultava del tutto inaccettabile, perché avrebbe umiliato la Chiesa. «Se ti avessi vicino - gli scriveva - ti stringerei il cuore, mi butterei ai tuoi piedi per scongiurarti e ti direi: Lascia che giudichi il Signore sulle miserie umane e ritorna nel tuo nulla. Lascia che io faccia la volontà del Signore, alla quale mi sono pienamente affidato. Rassegna ai piedi della santa madre Chiesa tutto quanto possa arrecarle nocumento e tristezza» (Lettera del 12 aprile 1933, in Epist. IV, p. 743). Per lui la Chiesa era veramente la madre, la madre da amare, fino allo spasimo, nonostante le debolezze dei suoi figli. E quanto poi il suo cuore vibrasse di amore per il Vicario di Cristo, può essere sintetizzato dalle espressioni di una lettera da lui inviata il 12 settembre 1968, pochi giorni prima della morte, a Paolo VI, in occasione dell'Udienza che questi stava per concedere ai Padri Capitolari dell'ordine cappuccino. Scriveva: «So che il vostro cuore soffre molto in questi giorni per le sorti della Chiesa, per la pace del mondo, per le tante necessità del popolo, ma soprattutto per la mancanza di obbedienza di alcuni, perfino cattolici, all'alto insegnamento che voi assistito dallo Spirito Santo e nel nome di Dio ci date. Vi offro la mia preghiera e sofferenza quotidiana, quale piccolo sincero pensiero dell'ultimo dei vostri figli, affinché il Signore vi conforti con la sua Grazia per continuare il diritto e faticoso cammino, nella difesa dell'eterna verità, che mai si cambia col mutare dei tempi» (dall'Osservatore Romano del 29 settembre 1968). A distanza di oltre trent'anni da questa calda professione di amore al Successore di Pietro, un altro Papa, Giovanni Paolo II, ha potuto riconoscere ufficialmente la santità di Padre Pio e ne ha legittimato il culto col titolo di Beato. È gioia speciale per voi, cari pellegrini, che al Padre Pio da Pietrelcina siete particolarmente legati. È gioia di tanti devoti sparsi nel mondo e dell'intera comunità cristiana. Voglia il Signore che questo Beato dei nostri tempi, straordinariamente «popolare» ed insieme così profondo ed esigente nel suo messaggio, ci aiuti a riscoprire l'amore di Cristo crocifisso e faccia crescere in ciascuno di noi l'amore per la Chiesa. Una preziosa eredità Sì, cari devoti di Padre Pio! Questo è il messaggio che il nuovo Beato ci lascia, in preziosa eredità. Voi siete qui venuti da varie parti d'Italia e del mondo ed ora ripartite per le vostre case, portando con voi il ricordo di un giorno luminoso. Andate e, sulle orme del Padre Pio, portate nel mondo l'amore a Cristo ed alla sua Santa Chiesa. Amen. del cardinal Angelo Sodano Hanno concelebrato con il Sommo PonteficeCard. SALVATORE DE GIORGI arcivescovo di Palermo Mons. EDWARD NOWAK segretario Congr. Cause dei Santi Mons. GIANNI DANZI segretario Pontificia Comm. per lo Stato C.V. Mons. FRANCESCO GIOIA segretario Pont. Cons. Migranti e Itin. Mons. GIUSEPPE G. BERNARDINI arcivescovo di Smirne Mons. CRESCENZO SEPE segretario gen. Comitato per il Grande Giubileo del 2000 Mons. VINCENZO D'ADDARIO arcivescovo di Manfredonia-Vieste Mons. SERAFINO SPROVIERI arcivescovo di Benevento Mons. GERARDO PIRRO arcivescovo di Salerno-Campagna Mons. JOHN ALOYSIUS WARD arcivescovo di Cardiff (GB) Mons. FRANCESCO CUCCARESE arcivescovo di Pescara Mons. BENIGNO LUIGI PAPA arcivescovo di Taranto Mons. RUGGERO FRANCESCHINI vicario apostolico di Anatolia Mons. ANDREA M. ERBA vescovo di Velletri-Segni Mons. FLAVIO ROBERTO CARRARO vescovo di Verona Mons. DOMENICO D'AMBROSIO vescovo di Termoli-Larino Mons. RICCARDO RUOTOLO vescovo ausiliare di Manfredonia Mons. LINO GARAVAGLIA vescovo di Cesena-Sarsina Mons. PELLEGRINO RONCHI vescovo di Città di Castello Mons. SERAFINO SPREAFICO vescovo emerito di Grajaù Mont. ANTONIO PACIFICO DYDYCZ vescovo di Drohiczyn (Polonia) Mons. LINO PANIZZA vescovo di Carabayllo (Perù) Mons. ROSARIO PIO RAMOLO vescovo di Goré (Tchad) Mons. MICHELE DI RUBERTO sottosegretario Congr. Cause dei Santi Fra JOHN CORRIVEAU ministro generale OFM Cap. Fra ERMANNO PONZALLI vicario generale OFM Cap. Fra PAUL HINDER definitore generale OFM Cap. Fra TADEUSZ BARGIEL definitore generale OFM Cap. Fra WIETHORN definitore generale OFM Cap. Fra AURELIO LAITA definitore generale OFM Cap. Fra ANTONIO ASCENZI ministro provinciale cappuccini di Roma Fra PAOLO M. CUVINO ministro provinciale OFM Cap. Foggia Fra ALDO BROCCATO vicario provinciale OFM Cap. Foggia Fra CARLOS LABORDE definitore provinciale OFM Cap. Foggia Fra IRENEO GUERRIERI definitore provinciale OFM Cap. Foggia Fra GERARDO DI FLUMERI vice postulatore causa di Padre Pio Fra GIAMMARIA COCOMAZZI guardiano convento S. Giov. Rotondo Fra NAZARIO VASCIARELLI guardiano convento di Pietrelcina Fra MARIANO DI VITO vice rettore Collegio Inter. S. Lorenzo Fra MARCIANO MORRA segretario gen. Gruppi di preghiera P. Pio Mons. GIANCARLO SETTI Don PIERINO GALEONE Don PEPPINO RUOTOLO

La Beatificazione come evento mediatico

Una maratona televisiva di oltre venti giorni.

È molto strano e forse anche banale, vedere accostare Padre Pio ad una kermesse di tipo sanremese. In realtà però gli elementi ci sono tutti: indici di ascolto da record, forti investimenti economici, il sagrato della chiesa trasformato in un set e perfino la ricerca del pettegolezzo sulle gelosie degli esclusi. Non si può puntare il dito contro nessuno, perché i media hanno fatto la loro parte fino in fondo, così come gli viene richiesta da quel copione scritto per una società sempre più avida di notizie fresche, incapace ormai di digerire e far sedimentare qualsiasi cosa. Ne è testimone il fatto che dal 4 maggio è calato il sipario. Padre Pio sembra non interessare più i giornalisti.

Innocenti i media, ma innocente anche la gente, quelle migliaia di pellegrini, ripresi più o meno consapevolmente, mentre con le loro preghiere, con la loro fede semplice o in qualche intervista, cercano di spiegare al giornalista di turno o al sociologo ingaggiato per l'occasione, la storia di una fede che tutto si può fare, fuorché spiegare. Alla fine sono innocenti anche i critici, quelli che vedono fanatismi e superstizioni in ogni cosa, quelli che seguono ancora la dea ragione e - pur di non cedere a un Dio trascendente - preferiscono offrirsi a chi li paga meglio, per dire tutto e il contrario di tutto.

E alla fine, diciamolo pure: è innocente anche Padre Pio, lui che di questo trambusto è la causa involontaria, il protagonista ed anche la persona che nessuno è riuscito ad intervistare. Qualcuno mi ha detto che Padre Pio avrebbe preferito che passassimo il tempo davanti a Gesù Sacramentato, anziché stare davanti alle telecamere. Se l'idea non è condivisibile in assoluto, lo è almeno in parte. Personalmente, però, ritengo che Padre Pio non abbia fatto nulla per impedirlo: da vivo almeno alzava il suo cordone in senso di minaccia o dava delle brutte occhiate ai fotografi, ora ha visto tutto ed ha atteso in silenzio. Un silenzio strano, come era strano quel silenzio che Gesù voleva nel Vangelo. In realtà aveva cominciato lui con un'indagine di opinione: «Chi dice la gente che io sia?». Tante risposte imprecise e poi S. Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Una verità straordinaria, detta dietro l'illuminazione dello Spirito Santo, e intanto Gesù chiede il silenzio. Un silenzio strano però, infatti proibiva di far conoscere chi era, e intanto mandava gli apostoli a due a due ad annunciare il Vangelo.

Incomprensibile il silenzio di Gesù? Forse non tanto. Qualcuno lo prendeva per un mago, qualcuno voleva che prendesse posizione contro i Romani, lui voleva solo la fede. Chiedeva quel silenzio che fa sentire l'uomo solo e gli fa cercare Dio; ma voleva anche quell'annuncio, che nel momento di smarrimento potesse dire una parola di speranza. Per Padre Pio le cose stanno più o meno così. Senz'altro c'è stata una eccessiva amplificazione dei fenomeni straordinari legati alla sua persona. Negare il soprannaturale nella vita di Padre Pio è assurdo, perché significa negare l'evidenza, ma a volte si può ridurre la sua vita soltanto a questo. In tal senso è giusto invocare il silenzio, la preghiera, l'attesa davanti a Gesù Sacramento. Occorre però considerare che c'è un altro uomo che attende, quello che non sa di aspettare qualcuno, che cerca di lottare in modo titanico contro un'esistenza piena di assurdità, di ingiustizie e di sofferenze. Quell'uomo non sa che esiste una speranza.

È a lui che i mass media, invece del Padre Pio dei miracoli, devono portare l'uomo che fa camminare Dio accanto all'uomo. In questo caso, i giornali, le radio e le TV diventano - come dice il Papa - il nuovo agorà; diventano veramente un pulpito, ed è nostro dovere usarli e usarli bene. E a chi mi dice che la televisione è scoop, è notizia, rispondo che il Vangelo è buona notizia. Sta a noi renderlo buona notizia, non edulcorandolo, rendendolo appetibile con tutti i compromessi possibili, ma facendolo diventare accessibile a tutti, e Padre Pio ci ha insegnato che attraverso i media questo è possibile.

di padre Luciano Lotti

Padre Pio meno star e più uomo

Ho scoperto i due volti del giornalismo: quello degli affamati di notizie e quello della gente seria, che sa lavorare sodo. Ho scoperto una realtà umana, quasi nascosta che rende pieno di vita questo mondo fatto solo di inchiostro e di immagini. Dietro ogni servizio c'erano uomini e donne con le loro storie e i loro problemi. Alcuni si segnavano quando scendevano sulla Tomba di Padre Pio per le riprese, altri chiedevano perfino di confessarsi. Anche chi ostentatamente non credeva, alla fine accettava una coroncina ricordo.

Solo il critico che ha scritto il suo articolo da una scrivania della riviera ligure o l'addetto ai lavori che predica in televisione senza essersi mai recato a San Giovanni Rotondo, può pensare che questo flusso continuo di gente sia il risultato dell'impatto mediatico sull'immaginario collettivo. Chi ha parlato di una figura arcaica di Padre Pio, contrapponendolo alla freschezza di San Francesco, doveva avere gli occhi tanto rivolti verso il basso, da non riuscire a vedere la Casa sollievo della sofferenza, frutto di carità operosa, ma anche di una mente che ha saputo volare alto, oltre le nostre meschinità. Onestamente dobbiamo dire che in questi giorni sono stati tanti a far risaltare queste cose: ho visto giornalisti e registi cambiare umilmente le loro idee di fronte ad una fede che non può essere semplicemente racchiusa all'interno degli schemi di un fanatismo di massa.

L'ironia ed i giudizi hanno spesso ceduto il posto allo stupore e poi al silenzio. Soprattutto ho notato la difficoltà per chi doveva scrivere e raccontare perché in quello che si vedeva non c'era nulla di straordinario, ma una fede normale, da tutti i giorni, disegnata sui volti delle persone del ventesimo secolo, o di quei giovani che vengono chiamati senza Dio e senza valori. E poi il numero, tutta quella gente in fila per ore: non si tratta di un centinaio di fanatici, che fanno chissà quali riti esoterici, ma di migliaia di persone, che pregano in silenzio.

Alla fine di questo secolo, cominciato con l'annuncio sprezzante della morte di un Dio, dopo la caduta dei miti del progresso e del benessere, un uomo d'altri tempi ci accompagna al duemila; non in una contrapposizione tra il cammino dell'uomo e quello di Dio, ma coniugando insieme progresso, scienza, benessere e fede per metterli al servizio dell'uomo.

Un nuovo Ulisse vagava, perseguitato non dagli dèi, ma da una modernità che voleva togliergli ogni anelito soprannaturale. I giornalisti lo hanno visto approdare sulle spiagge del Gargano e trovare finalmente quella pace che tanto aveva cercato. Non è fanatismo, e nemmeno alienazione, fuga da una realtà attraverso un sogno mediatico ben confezionato. Chi ha incontrato Padre Pio, riparte. E la partenza non è più verso un ignoto, ma segue un itinerario ben preciso, segnato dalle stesse gioie e dolori del giorno prima, ma ora è accompagnato dalla promessa di Gesù: sarò con voi fino alla fine del mondo.

Se rileggiamo la rassegna stampa di questi giorni, proprio per mano dei giornali si percepisce questa serenità. Le trasmissioni televisive sono gradualmente passate da una sfrenata ricerca del miracolo ad un racconto sereno e pacato di questa realtà.

Un domani ricco di storia

Le domande di questi giorni sono state tantissime, riguardavano la vita di Padre Pio, i difficili rapporti con alcune frange della Chiesa, i miracoli e la devozione della gente. La domanda in assoluto più difficile è stata quella sul futuro, cosa cambierà ora? Nella vita di tutti i giorni, potrà non cambiare nulla, forse ci sarà un aumento dei pellegrini.

Il vero cambiamento è quello che non si percepisce. I media hanno messo alla luce una ricchezza di fede straordinaria, ma anche la fragilità dei nostri mezzi espressivi e la difficoltà a dare contenuti veri ad una fede, che altrimenti potrebbe restare superficiale. È sbagliato fare classifiche, non si può parlare di una religiosità di serie A, descritta dai teologi, e una di serie B, vissuta dalla gente. Chi crede è orientato al trascendente e questo è già sufficiente perché si salvi, chi guarda deve imparare a rispettare la fede di ciascuno così come la vive.

I media però, mettono in evidenza quegli orpelli che porta con sè una fede che non viene fatta crescere nel modo giusto, sono un po' uno specchio di fronte al quale ci poniamo: riesce a farci notare una ruga in più o qualche capello bianco. In pratica, potremmo dire che senz'altro sbaglia chi vuol ridurre Padre Pio a un fenomeno di fanatismo o porre l'accento sul miracolo economico. Ma sbaglia anche quel pellegrino che ha ridotto il suo andare a una devozione qualsiasi o a una gita turistica. E allora grazie TV se ci aiuti a guardarci allo specchio.

C'è chi poi ha visto nei media il tam tam della speranza: da Padre Pio ai miracoli, il passo è breve come è immediato quello successivo, un viaggio a San Giovanni nella speranza di un miracolo. E anche qui grazie TV se ci parli della speranza nel miracolo, perché la speranza, anche di un benessere terreno, è sempre una virtù cristiana. Attenti però a non usare il termine, illusione del miracolo, faremmo un grave torto alla verità, e non riusciremmo più a guardare in alto, oltre la croce quotidiana.

Sono proprio così cattivi i giornalisti? Rispondo con una domanda: ma sono solo loro a parlare così? A volte anche tra i fedeli di Padre Pio, l'ossessivo ricorso al soprannaturale, la voglia di spiegare tutto con i prodigi, la ricerca quasi spasmodica di un aiuto dal cielo, può portare a non dare sufficiente importanza al quotidiano, al nostro abbracciare la croce, a sottovalutare quei talenti che Dio ci ha dato per affrontare la vita di ogni giorno.

E allora lasciatemi sognare, un eden dei mass media, un mondo privilegiato in cui lo scoop sia il frutto proibito, tanto desiderato solo perché ci dà l'illusione di diventare dèi dell'informazione, e resti così solo una tentazione. Lasciatemi però sognare anche che i mass media siano veramente quel paradiso terrestre in cui l'uomo cammina con Dio, in modo che la fede sia la buona notizia che cavalca l'etere ed entra nelle nostre case. Forse questo è anche il sogno di Padre Pio, un uomo schivo - suo malgrado - che è diventato notizia, perché l'uomo e Dio hanno camminato con lui.

di Padre Alberto d'Apolito, Alessandro da Ripabottoni, Padre Gerardo di Flumeri

LA CANONIZZAZIONE DI PADRE PIO

Il percorso verso la canonizzazione del frate di Pietrelcina si è concluso il 16 giugno 2002, quando in piazza San Pietro, di fronte a migliaia di pellegrini giunti da ogni parte d'Italia e del mondo, Giovanni Paolo II ha letto la formula "Beatum Pium a Pietrelcina Sanctum esse decernimus et definimus", ("dichiariamo e definiamo santo il beato Pio da Pietrelcina").

Al nuovo santo il Papa, che già durante l'omelia aveva recitato una preghiera personalmente composta per il frate, ha affidato "il cammino di santità di tutta la Chiesa, all'inizio del nuovo millennio".

Il Papa ha stabilito la festa liturgica di San Pio da Pietrelcina per il 23 settembre, il giorno della morte del frate, avvenuta il 23 settembre 1968. Dell'efficacia apostolica di padre Pio, Giovanni Paolo II ha evidenziato la radice profonda di tanta fecondità spirituale nell'intima e costante unione con Dio di cui erano eloquenti testimonianze le lunghe ore trascorse in preghiera.

Il cammino della canonizzazione era iniziato nel 1982, quando il pontefice Giovanni Paolo II firmava il decreto per l'introduzione del processo cognizionale sulla vita e le virtù del Servo di Dio Padre Pio. L'iter era proseguito nel 1997 con la dichiariazione dell'eroicità delle virtù cardinali, teologali e religiose di Padre Pio e culminato nel 1998 nel riconoscimento da parte della Consulta Medica del Dicastero della Congregazione dei Santi della miracolosa guarigione della signora Consiglia De Martino di Salerno, una delle numerose grazie ottenute dai fedeli per intercessione del padre cappuccino.

Si giungeva così alla beatificazione proclamata il 2 maggio 1999: in piazza San Pietro, di fronte a una folla di 150.000 pellegrini convenuti da ogni parte del mondo, il Santo Padre Giovanni Paolo II proclamava solennemente Beato il Venerabile Padre Pio da Pietrelcina.

Ma passavano solo pochi mesi e a San Giovanni Rotondo si verificava un altro avvenimento straordinario: nel gennaio 2000, Matteo Colella, un bimbo di otto anni colpito da meningite fulminante e ormai dichiarato senza speranza, guariva dopo essere stato condotto ormai in fin di vita presso la cella del beato padre Pio. A settembre tutta la documentazione veniva spedita presso la Congregazione per le Cause dei Santi, che riconosceva ufficialmente la guarigione come frutto di un miracolo. Alla firma del decreto, accanto a vescovi, cardinali e postulatori, assistevano commossi anche il piccolo miracolato con i genitori.

Il 20 dicembre 2001 nella sala Clementina del Palazzo apostolico, la Congregazione per le Cause dei Santi, alla presenza di Giovanni Paolo II, promulgava 13 decreti; tra questi il tanto atteso atto di canonizzazione per il beato Pio da Pietrelcina con il riconoscimento del secondo miracolo indispensabile alla canonizzazione e al relativo inserimento del santo frate nel calendario della Chiesa universale.

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Vocabolario I F D GB e Vocabolario di Latino

beatificare.

(v. rifl.), 1 dare beatitudine. 2 proclamare per autorità ecclesiastica che un defunto è beato in cielo.

Inglese

to beatify.

Francese

béatifier.

Tedesco

seligsprechen

beatificazione.

(s.f.), l'atto e la funzione con cui si proclama un beato.

Inglese

beatification.

Francese

(f.) béatification.

Tedesco

(f.) Beatifikation

beato.

1 (agg.), che è felice: vivere -; - fra le donne, detto di uomo solo fra molte donne, - lui!, per indicarne la buona sorte. 2 che dà gioia: che vita beata! 3 indica impazienza o compatimento: quel - uomo non capisce niente! 4 che gode della visione di Dio: uno spirito -. 5 (avv. beatamente) in maniera beata. 6 (s.m.), chi gode della visione di Dio: i beati del primo cielo; chi è elevato agli altari ma non è santo.

Inglese

blissful

Francese

bienheureux.

Tedesco

selig

me.

(pron. pers. m. e f. di prima persona sing.), 1 si usa come compl. ogg. quando gli si vuol dare particolare rilievo, e nei complementi con prep.: vogliono proprio -; parla di -; è venuto da -; vieni con -; l'ho fatto da - da solo senza aiuto; secondo -, a mio parere; tra - e -, dentro di me; non so né di - né di te, non so nulla. 2 si usa come sogg. nelle esclamazioni: beato -! - infelice! nelle comparazioni, dopo come e quanto: tu sei come -; ne sa quanto -; come predicato dopo i verbi: essere, potere, sembrare, a meno che il soggetto non sia io: egli non è -; ma: io non sono più io. 3 si usa come compl. di termine in luogo del pron. pers. mi, in presenza delle forme pronominali atone lo, la, li, le, e della particella ne, sia in posizione enclitica che proclitica; - lo disse; - li ha dati, - ne ha parlato; portamelo; dimmelo.

Inglese

me

Francese

moi

Tedesco

mich

beātus

a, um, agg. (compar. beatior, ius; superl. beatissimus, a, um): beato, felice, fortunato; ameno, piacevole; ricco. Esempi: agricolae prisci fortes parvoque beati, gli antichi agricoltori forti e contenti di poco; rus beatum, villa beata; munera beata, doni ricchi. Come SOST.: beātum, i, n.: la felicità; beāti, ōrum, m. pl.: i beati (le anime dei morti non più soggette alle umane miserie); i ricchi.

caelum

i, n. (plur. caeli, caelōrum, m.): cielo, volta celeste, orizzonte, tratto di cielo; aria, tempo, atmosfera, clima, paese. Esempi: caelum suspicere, guardare il cielo; huius caeli spiritus, il respiro di quest'aria; status caeli, le condizioni dell'aria (l'atmostera); caelum, non animum, mutant qui trans mare currunt, mutano paese, ma non l'animo, coloro che tragittano di là dal mare; hoc caelum, sub quo natus educatusque sum, questo tratto di cielo, sotto il quale nacqui e fui educato; digito caelum attingere, toccare il cielo con il dito (ossia: conseguire il colmo della gioia); aliquem in caelum ferre, innalzare uno fino al cielo; ad caelum (laudibus) efferre (tollere), portare alle stelle (lodare grandemente); esse in caelo, esser beato; aliquem detrahere de caelo, rovesciare uno dal colmo della fortuna; tangi de caelo (oppure ici a caelo), esser colpito dal fulmine; gravitas huius caeli, l'aria malsana di qui; intemperies caeli, le intemperie; caelum palustre, aria di palude; morbus caeli, infezione dell'aria; albente caelo, sul far del giorno; vesperante caelo, sull'imbrunire.

immortālis

e, agg.: immortale, che non muore; imperituro, eterno; sommamente felice, beato. Esempi: dii immortales, gli dèi immortali; animi immortales, le anime immortali; nemo ignaviā immortalis factus est, nessuno diventò immortale con l'ignavia; gloria immortalis, gloria imperitura; immortalis ero, si..., sarò felice, se... Come SOST.: immortalis, immortalis, m.: un immortale, un dio. Esempio: ex immortali procreati, generati da un immortale.

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