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La Divina Commedia di Dante Alighieri Inferno Canto III e le Note al canto.

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LA DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri INFERNO - CANTO III

Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente. (3)

Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e 'l primo amore. (6)

Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate'. (9)

Queste parole di colore oscuro
vid' io scritte al sommo d'una porta;
per ch'io: «Maestro, il senso lor m'è duro». (12)

Ed elli a me, come persona accorta:
«Qui si convien lasciare ogne sospetto;
ogne viltà convien che qui sia morta. (15)

Noi siam venuti al loco ov' i' t'ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
c'hanno perduto il ben de l'intelletto». (18)

E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond' io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose. (21)

Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l'aere sanza stelle,
per ch'io al cominciar ne lagrimai. (24)

Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d'ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle (27)

facevano un tumulto, il qual s'aggira
sempre in quell'aura sanza tempo tinta,
come la rena quando turbo spira. (30)

E io ch'avea d'error la testa cinta,
dissi: «Maestro, che è quel ch'i' odo?
e che gent' è che par nel duol sì vinta?». (33)

Ed elli a me: «Questo misero modo».
tegnon l'anime triste di coloro
che visser sanza 'nfamia e sanza lodo. (36)

Mischiate sono a quel cattivo toro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro. (39)

Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli». (42)

E io: «Maestro, che è tanto greve
a lor che lamentar li fa sì forte?».
Rispuose: «Dicerolti molto breve. (45)

Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che 'nvidiosi son d'ogne altra sorte. (48)

Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa». (51)

Linea flashing backefro

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E io, che riguardai, vidi una 'nsegna
che girando correva tanto ratta,
che d'ogne posa mi parea indegna; (54)

e dietro le venìa sì lunga tratta
di gente, ch'i' non averei creduto
che morte tanta n'avesse disfatta. (57)

Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l'ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto. (60)

Incontanente intesi e certo fui
che questa era la setta d'i cattivi,
a Dio spiacenti e a' nemici sui. (63)

Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
erano ignudi e stimolati molto
da mosconi e da vespe ch'eran ivi. (66)

Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, a' lor piedi
da fastidiosi vermi era ricolto. (69)

E poi ch'a riguardar oltre mi diedi,
vidi genti a la riva d'un gran fiume;
per ch'io dissi: «Maestro, or mi concedi (72)

ch'io sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer sì pronte,
com' i' discerno per lo fioco lume». (75)

Ed elli a me: «Le cose ti fier conte
quando noi fermerem li nostri passi
su la trista riviera d'Acheronte». (78)

Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no 'l mio dir li fosse grave,
infino al fiume del parlar mi trassi. (81)

Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: «Guai a voi, anime prave! (84)

Non isperate mai veder lo cielo:
i' vegno per menarvi a l'altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo. (87)

E tu che se' costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti».
Ma poi che vide ch'io non mi partiva, (90)

Linea flashing backefro

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disse: «Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
più lieve legno convien che ti porti». (93)

E 'l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare». (96)

Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote. (99)

Ma quell' anime, ch'eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che 'nteser le parole crude. (102)

Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme
di lor semenza e di lor nascimenti (105)

Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
ch'attende ciascun uom che Dio non teme, (108)

Linea flashing backefro

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Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s'adagia. (111)

Come d'autunno si levan le foglie
l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie, (114)

similemente il mal seme d'Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo. (117)

Così sen vanno su per l'onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s'auna. (120)

«Figliuol mio», disse 'l maestro cortese,
«quelli che muoion ne l'ira di Dio
tutti convegnon qui d'ogne paese; (123)

e pronti sono a trapassar lo rio,
ché la divina giustizia li sprona,
sì che la tema si volve in disio. (126)

Quinci non passa mai anima buona;
e però, se Caron di te si lagna,
ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona». (129)

Finito questo, la buia campagna
tremò sì forte, che de lo spavento
la mente di sudore ancor mi bagna. (132)

La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento;
e caddi come l'uom cui sonno piglia. (136)

Inferno, c. III, vv. 82-84

Inferno, c. III, vv. 82-84

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NOTE AL CANTO III

(1) Questi primi nove versi sono un'iscrizione sopra la porta infernale.

Vi s'induce per prosopopea a parlar la porta di se medesima e dell'Inferno;

per me:

per entro me;

ne la città dolente:

nella città di Dite.

(3) perduta gente:

i dannati;

anime distrutte (Inf., IX, 79), i veri morti, perché privati della vera vita, che è Dio.

(4) Giustizia mosse, ecc.:

mosse Iddio a fabbricarmi.

(5-6) Accenna la massima teologica che opera ab extra sunt totius trinitatis, e per la Divina Potestate intende l'eterno Padre, per la Somma Sapienza il divin Verbo, per il Primo Amore lo Spirito Santo.

(8) eterne:

ciò è detto secondo i principj d'Aristotele che insegnava che delle cose create, alcune erano eterne, altre manchevoli e mutabili.

Del primo genere erano quelle che Dio aveva creato direttamente e senza mezzo, come in principio la materia prima, i cieli, gli angeli e più tardi l'anima umana;

dell'altro quelle che erano prodotte per l'operazione o influenza dei cieli medesimi, o delle cause seconde.

Vedi Par., VII, 67 e segg.

Vuol dire adunque il poeta che l'Inferno è anch'esso di creazione immediata, e per ciò eterna.

E questo nota per farci intendere che l'Inferno non fu creato per l'uomo, che ancora non esisteva, ma sì per gli angeli ribelli, come dice Cristo medesimo del fuoco eterno, qui paratus est Diabolo et angelis ejus.

Altri legge eterno per eternamente al modo latino.

Aen., VI, 401:

«Aeternum latrans».

(11-12) al sommo d'una porta: «sopra l'arco della porta dell'Inferno» (Buti).

Georg. IV:

«Alta ostia Ditis»; duro: spiacevole.

(13-15) come persona accorta:

che s'avvide che io era invilito;

sospetto:

paura;

morta:

cacciata da colui il quale vuole entrare qua entro.

E son queste parole prese dal VI dell'Eneide, dove la Sibilla dice ad Enea:

«Nunc animis opus, Aenea, nunc pectore firmo».

(17-18) dolorose:

piene di dolore, di malvagità e di miseria;

il ben de l'intelletto:

Iddio, il quale è via, verità e vita, e il ben dell'intelletto è la verità.

(19-21) E poi che, ecc.:

e poiché m'ebbe preso per mano;

segrete cose: nascoste agli occhi degli uomini.

(22-24) guai:

questi appartengono ad ogni spezie di dolore e massimamente a quello che con altissime voci e dolorose si dimostra;

stelle:

per ogni lume celeste;

per ch'io: onde;

al cominciar:

al primo entrare.

(25-27) Diverse:

strane;

parole di dolore:

significanti dolore;

accenti:

«proferimenti d'ira» (Buti);

alte:

per le punture della doglia;

fioche:

per la stanchezza;

e suon di man con elle:

come sogliono fare la femmine battendosi a palme.

(29) sanza tempo:

senza limitazione di tempo, sempre, eternamente.

«Nelle Vite de' SS. Padri Cristo solo è senza tempo, eternamente generato da Dio Padre» (G.).

Altri: Non soggetta ad alternative, come questa nostra, ma naturalmente ed eternamente torbida e fosca.

(30) quando turbo spira:

turbo:

«turbine:

così s'aggirava quello tumulto nell'aere, come s'aggira la rena quando soffia il vento in giro» (Buti).

(33) vinta: abbattuta, stanca.
(36) sanza infamia e sanza lodo: senza infamarsi per male azioni e senza meritarsi lode per buone; in una parola poltronescamente; lodo: lode di bene.
(37-39) cattivo coro: vile masnada; per sé foro: furo, furono. Stettero neutrali, pensarono solo a sé.
(40-42) Caccianli: altri legge Cacciarli; ciel: cieli. «Per non esser men belli, perché se ne assozzerebbono d'essi» (Buti); ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli, d'essi. Il Monti prende alcuna per nessuna e spiega: «Gli scacciò il cielo per non perdere fiore di sua bellezza, ritenendo nel suo seno quei vili. Non li riceve e gli scaccia pure l'Inferno, perché nessuna gloria ne verrebbe ai dannati dall'averli in lor compagnia». Altri, non parendo loro che l'Inferno dovesse avere tal riguardo ai dannati, lasciano ad alcuna il suo senso ordinario, e spiegano: Non li vuole il profondo Inferno, perché i rei, trovandosi con questi vili in una pena stessa, avrebbero la gloria di poter dire: almeno noi l'abbiamo meritata pugnando.
(43-45) che è tanto greve: qual tormento; Dicerolti: da dicere: te lo dirò; breve: brevemente.
(46-48) Questi non hanno speranza, ecc.: sono certi di dover durare eternamente nella loro miseria; cieca: senza alcuna luce di merito, inonorata; bassa: depressa; d'ogni altra sorte: di tutti cui sia toccata una sorte diversa; quantunque di gravissimi supplicj tormentati siano.
(49-50) Fama, ecc.: «il mondo, il costume dei mondani, il quale è solamente i segnalati uomini far famosi, non lascia sussistere alcuna memoria di loro» (B.); li sdegna: li rifiuta.
(52-54) insegna: bandiera; posa: pausa, riposo; indegna: sdegnosa, incapace. Questa bandiera e la folla d'anime che la segue, girano torno torno la bolgia in cui sono. Però se questo giro intorno al primo cerchio infernale, il cui diametro equivale il raggio della terra, può parer troppo lungo, si consideri che Dante fa sempre andar così i dannati ai quali è concesso di muoversi... anche la lunghezza della via poco monta, dovendo l'andata durar in eterno. Così le anime purganti girano il monte del Purgatorio. «Il Poeta ha voluto raffigurare quelli che nel mondo marciscono nella infingardia. Ora la espiano correndo senza posa, e così nel Purg., XVIII, per corse a dirotto si espia la pigrizia» (Blanc).
(55-57) sì lunga tratta, ecc.: «dietro ad essa veniva una lunga traccia di tanta gente ch'io non avrei mai creduto che tanta ne fosse morta» (Buti).
(59-60) vidi... l'ombra di colui, ecc.: Celestino V, che abdicò il papato; rifiuto: abdicazione. L'Ottimo commento: «Vuole alcun dire, che l'Autore intenda qui che costui sia Frate Pietro del Murrone, il quale fu eletto Papa nel MCCLXXXXIIII, e sedette Papa mesi cinque, dì otto, ed ebbe nome Celestino (vacò la chiesa di undici); il quale in Napoli fece una Decretale, che ogni Papa per utilitade di sua anima potesse rinunziare al Papato; poi in Concistoro il dì di Santa Lucia in presenza dei Cardinali pose giù l'ammanto e la corona, e rinunziò al Papato. Fece undici Cardinali: fu di santa vita, e aspra penitenza; ma alcuni dicono che il suo successore (ciò fu Papa Bonifazio allora Cardinale) con certi artificj lo ingannò, e condusse a questo rinunziamento, e che a ciò s'accordarono li Cardinali, però che era più atto a vita solitaria, che al Papato, d'onde la Chiesa di Dio, e 'l mondo incorrea in grandi pericoli».
(63) ed a' nemici sui: ai Demonj che li vorrebbero più rei.
(64-65) mai non fur vivi: mai al mondo fur nominati né in bene né in male; stimolati: trafitti.
(67-69) Elle rigavan, ecc.: Poco era dir tingeano, spargeano: la pittura viva sta nelle righe del sangue, che filavano dalle trafitture giù per le guance, e al tutto si vedei Fastidiosi: «immondes» (Ls.); ricolto: succiato.
(70) oltre mi diedi: più avanti; «conciossiaché tutti siam vaghi di veder cose nuove, sempre oltre alle vedute sospigniamo gli occhi» (B.).
(73-75) costume: legge; Inf., XIV, 19: D'anime nude vidi molte gregge... e parea posta lor diversa legge; pronte: volonterose; fioco lume: lume assai languido, annacquato.
(76-78) fier: saranno; conte: palesi; trista riviera d'Acheronte: fiume infernale.
(80-81) no 'l: che non il; mi trassi: m'astenni.
(87) caldo... gelo: i due supplizj dominanti nell'Inferno di Dante.
(89) «Non disse da codeste, perché come anime eran vive, disse da cotesti, cioè uomini, de' quali si potea dire veramente che fossero morti» (M.).
(91-93) Per altra via, per altri porti: il Blanc costruisce volentieri così: «Per altre vie (legge vie), per altri porti e tragitti verrai alla piaggia di là; non devi venir qui per passare, siccome colui che, essendo destinato alla gloria del cielo, dovea dopo la morte del corpo adunarsi con le altre anime buone alla imboccatura del Tevere presso Ostia, dove un angelo le raccoglie sopra leggiero barchetto, e le conduce alle rive del Purgatorio. Vedi il canto II del Purgatorio ai vv. 100-105».
(94-96) duca: duce, Virgilio; Caron: Caronte; vuolsi così colà, in cielo, dove si puote, ecc.
(97-99) lanose: barbute; livida: propriamente quel nero colore che fa il sangue venuto alla pelle; qui torbido, nericcio. Virg., Aen., VI, 320: remis vada livida verrunt; di fiamme rote: cerchi di fuoco.
(100) nude: «nel 1304 allo spettacolo del ponte alla Carraia rappresentante l'Inferno, altri avevano figura d'anime ignude. Villani, VIII, 70» (Tommaseo).
(101) cangiar colore: mostrando l'angoscia di fuori, la quale dentro sentivano; e dibattiero i denti: come coloro fanno, li quali la febbre piglia. «Come queste anime possano soggiacere a simili passioni e dimostrarle visibilmente vuolsi attendere com'esse non sì tosto abbandonano il corpo mortale, un altro ne rivestono di aerea forma. V. Purg., XXV, 79 e segg.» (G.).
(102) Ratto: tosto.
(105) 'l seme - di lor semenza: i padri dei genitori loro; e di lor nascimenti: i loro genitori stessi.
(106) si raccolser: eran venute sparte.
(109-111) di bragia: infocati; loro accennando: facendo lor cenno d'entrare in barca; li raccoglie: le riceve; s'adagia: si trattiene, s'indugia.
(113) appresso: dopo.
(114) spoglie: i vestimenti li quali la stagione gli ha fatto cadere da dosso. Raccogliamo qui parecchi versi del sesto dell'Eneide, che toccano del viaggio d'Enea guidato dalla Sibilla al secolo immortale, ed hanno riscontro in questo e altri passi del presente canto: Quinci preser la via là 've si varca - Il tartareo Acheronte. Un fiume è questo - Fangoso e torbo e fa gorgo e vorago. - Che bolle e frange e col suo negro loto - Si devolve in Cocito. E' guardiano - E passeggiero a questa riva imposto - Caron, demonio spaventoso e sozzo, - A cui lunga dal mento incolta ed irta - Pende canuta barba. Ha gli occhi accesi - Come di bragia. Ha con un groppo al collo - Appeso un lordo ammanto e con un palo - Che gli fa remo e con la vela regge - L'affumicato legno, onde tragitta - Su l'altra riva ognor la gente morta... - A questa riva d'ogn'intorno ognora - D'ogni età, d'ogni sesso e d'ogni grado - A schiere si traean l'anime spente... - Non tante foglie nell'estremo autunno - Per le selve cader, non tanti augelli - Si veggon d'alto mar calarsi a terra - Quando il freddo li caccia ai liti aprichi - Quanti eran questi. I primi avanti orando - Chiedean passaggio e con le sporte mani - Mostravano il disio dell'altra ripa. - Ma 'l severo nocchiero or questi or quelli - Scegliendo o rifiutando, una gran parte - Lunge tenea dal porto e dall'arena. - Enea la moltitudine e 'l tumulto - Maravigliando: Ond'è, vergine, disse, - Questo concorso al fiume? e qual disio - Mena quest'alme?
(115) mal seme: i rei uomini.
(117) richiamo: «Qui fa similitudine dell'uccellatore che richiama lo sparviero con l'uccellino, e lo falcone con l'alia delle penne, e l'astore col pollastro, o ciascun con quel di che l'uccello è vago» (Buti).
(118-120) Così sen vanno, ecc.: «su per l'acqua nera di Acheronte; e tanta è la moltitudine che arriva in Inferno, che anzi che l'una navata sia giunta di là, di qua è accolta l'altra» (L'Ottimo commento).
(121) cortese: perché risponde adesso all'interrogazione fattagli da Dante sopra. V. 72 e segg.
(124) rio: «Può essere più che ruscello; in altre lingue romanze è gran fiume» (Tommaseo). Il Boccaccio: «lo rio, cioè il fiume, il quale qui chiama rio, tirato dalla consonanza del verso». E così molte volte il Boccaccio contraddice al giusto vanto di Dante che mai rima nol trasse a dire altro, che avesse in suo proponimento; ma ch'elli molte e spesse volte facea li vocaboli dire nelle sue rime altro che quello ch'erano appo gli altri dicitori usati di sprimere.
(126) Siccome nel Purgatorio, l'anima fin che non abbia espiato, vuole il proprio tormento, così qui la tema delle pene si converte in desio d'andare ad esse per soddisfare all'eterna giustizia. «Ogni anima - dice il Buti - costretta dalla sua coscienza va al luogo che ha meritato».
(129) snona: significa.
(130-132) Finito questo, la buia campagna - tremò sì forte, che de lo spavento - la mente di sudore ancor mi bagna: ancora a pensarvi gli eccita il sudore, sì grande fu il travaglio sofferto.
(133-136) La terra lagrimosa (per le lagrime di quelle triste anime che si diffondevano in duolo) mandò fuori un vento. «Osserviamo ora, come dopo il rifiuto di Caronte, potesse effettuarsi il passaggio da una sponda all'altra; formando Acheronte il confine superiore dell'Inferno e il solo mezzo di sorpassarlo essendo appunto il legno del navicellaio infernale. Il solo Buti sciolse il nodo dicendo che durante il sonno il Poeta fu condotto all'altra riva da un angelo. Questa opinione è confermata: 1) dal passo al tutto simile, Inf., IX, 64 e segg.: E già venìa su per le torbid'onde, dove altresì un angelo leva gli ostacoli frapposti dagli spiriti infernali, e v'è pure come qui un fracasso d'un suon pien di spavento, un terremoto, per che tremavano amendue le sponde, un vento impetüoso. E si riscontra con quel che riferisce San Matteo, XXVIII, 2: "Et ecce terrae motus factus est magnus, angelus enim Domini descendit de coelo" ecc.; 2) Dante, Purg., IX, 52: Dianzi, ne l'alba, ecc.: si fa portare da Lucia proprio al medesimo modo alla porta del Purgatorio; 3) si noti che l'apparizione dell'angelo è in qualche modo l'adempimento delle parole di Virgilio: vuolsi così colà, ecc.» (Blanc).

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