Qadariti.
Qadariti. (dall'arabo qadar: predestinazione divina). Seguaci di una setta eretica musulmana costituitasi a Bassora verso la fine del VII sec. a.C. I q. ponevano al centro della loro speculazione teologica il problema della predestinazione divina. Essi sostenevano il libero arbitrio, in opposizione al destino segnato dal fato, opponendosi quindi, sul piano politico, alle dinastie che regnavano in base a una pretesa di diritto divino. Predestinazione. Atto ed effetto del predestinare. Determinazione di un evento o del suo corso prima che esso si verifichi. • Teol. - Per la teologia cattolica, il concetto di p. coincide largamente con quello di provvidenza (V.), in quanto indica l'atto mediante il quale Dio conosce e insieme liberamente vuole gli avvenimenti che si verificano nel tempo. Se applicata a un'accezione più ristretta e specifica del termine, relativamente alla questione della salvezza o dannazione di ogni singolo uomo, la definizione di p. si fa difficoltosa e meno univoca. Essa deve infatti comprendere e conciliare due elementi che la costituiscono: la prescienza e la predeterminazione. Con la prima Dio conosce gli eventi che per noi ancora sono futuri, con la seconda li ordina al raggiungimento del fine voluto. Nella definizione di san Tommaso (Summa Theologica, I, 23, 1), la p. corrisponde al "piano secondo cui Dio ordina la creatura razionale al conseguimento della vita eterna". La dottrina cattolica afferma che nessuno può attingere la visione salvifica senza lo speciale dono della Grazia, ma anche che nessuno può essere escluso da tale visione se non per sua colpa personale. Questa definizione, che si colloca entro l'evoluzione filosofica e teologica che il concetto ha subito nel corso della storia e che mira a coniugare l'eterna azione predestinante di Dio con il libero arbitrio dell'uomo, lascia tuttavia ancora spazio ad ambiguità e a differenti sfumature del suo significato. ║ Il concetto cristiano di p. ha il suo fondamento nei Vangeli (ma anche nell'Antico Testamento è citato un "libro della vita" in cui sono segnati i nomi degli eletti). In Matteo 25, 34, Gesù parla del Regno preparato per gli eletti sin dalla fondazione del mondo e in Luca 10, 20 aggiunge che i loro nomi sono scritti in cielo. Tuttavia la p. acquisì la propria peculiarità teologica negli scritti paolini, in cui compare per cinque volte il verbo corrispondente (Romani 8, 29 e 30; Efesini 1, 5 e 11; I Corinzi 2, 7), con il quale Paolo designa l'azione benevola di Dio che destina l'uomo alla salvezza. Essa è un'azione: teocentrica (in quanto procede dall'eterno disegno di Dio); cristocentrica (in quanto mira a rendere ogni uomo conforme al Cristo); ecclesiale (in quanto si rende visibile nella chiamata ad aderire alla fede della Chiesa); gratuita (in quanto non presuppone nulla da parte dei destinatari); universale (in quanto rivolta ad ogni uomo); efficace (perché in grado di ottenere il proprio fine). Da tutto ciò discende una nozione di p., nei Vangeli e nell'epistolario di Paolo, univoca e positiva, in assenza assoluta di una simmetrica e complementare p. alla dannazione che sarebbe intrinsecamente contraddittoria rispetto alla nozione scritturale attestata. Anche se non è possibile enucleare da essa una dottrina sistematica della p., tuttavia la Bibbia sottolinea il prevalere della Grazia sul peccato e la universale volontà salvifica di Dio, contestuale alla concessione dei mezzi per attingere tale salvezza: la vocazione e la giustificazione per la fede ("Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini chiamandoli alla conoscenza della verità", I Timoteo 2, 4). La patristica (V.) greca si mantenne aderente al dato biblico, confortata da una coscienza antifatalista e da una apertura universalista dell'apostolato. Una prima restrizione del concetto teologico di p. si ebbe con sant'Agostino, nell'ambito della controversia pelagiana del V sec. Pelagio, infatti, aveva affermato che la natura era sufficiente in sé a ottenere la salvezza, negando la prescienza di Dio in questo ambito e riducendo l'intervento della Grazia al solo libero arbitrio dell'uomo; per i pelagiani, dunque, la salvezza poteva essere "meritata" dall'uomo. Agostino, in reazione a questa dottrina, ribadì la necessità della Grazia e della p., dal momento che il peccato di Adamo, originale in tutti gli uomini, condannerebbe ogni uomo alla dannazione se non fosse per la speciale misericordia di Dio che ne ha prescelto un numero, determinato, per la salvezza. La proposizione agostiniana influenzò tutta la riflessione successiva e venne portata alle conseguenze più radicali da Gotescalco di Fulda (IX sec.), che addirittura negò la realtà del libero arbitrio e formulò una dottrina della doppia p., secondo la quale Dio destinava alcuni alla salvezza e altri alla dannazione, indipendentemente dai meriti o demeriti di ciascuno (giacché questo a suo parere sarebbe stato in contrasto con l'attributo della immutabilità divina). Secondo il pensiero di Gotescalco, dunque, Cristo morì in croce solo per gli eletti, poiché il Padre vuole salvi solo questi, e la sua venuta ebbe l'unico scopo di annunciare che non tutti sono predestinati alla dannazione. In molti si schierarono contro questa dottrina (tra cui l'irlandese Scoto Eriugena con il trattato De Praedestinatione) ed essa fu condannata ufficialmente dal Concilio di Magonza (848) e dal Sinodo di Quiercy (849), in cui si affermò come ortodossia l'universalità della volontà salvifica di Dio e la piena responsabilità dell'uomo nella sua eventuale dannazione, che discende dal peccato e dalla malizia del singolo e non dalla prescienza né dalla p. divina. Il concetto della doppia p. fu però ripreso nei secc. XIV-XV dall'inglese J. Wycliffe e dal boemo J. Hus: essi ne sostennero l'accezione più dura, dividendo l'umanità in salvati e reietti. Anche questa forma di predestinazionismo fu condannata, per due volte, dal Concilio di Costanza nel 1414 e nel 1418. Ciò nonostante la questione si complicò ulteriormente con l'avvento della Riforma, sia nell'ambito luterano sia in quello calvinista. Lutero infatti elaborò una teoria della salvezza fondata sulla negazione del libero arbitrio e sulla giustificazione per la sola fede (cioè a prescindere dalle opere): essa fu condannata nel 1520 da papa Leone X. Calvino, ancora più radicalmente, affermò che Dio, Signore di tutte le creature, dispone di esse secondo il Suo volere e in ordine alla Sua gloria e stabilisce liberamente la salvezza di alcune e la dannazione di altre secondo un disegno per noi imperscrutabile, ma che dobbiamo accettare con fede. Questa rigida posizione fu tacciata di manicheismo anche fra gli stessi calvinisti e prevalse ufficialmente solo nel sinodo di Dordrecht del 1618. Sulla base dei motivi agostiniani già estremizzati da Lutero, si pose la riflessione di Michel de Bay (V. BAIANISMO), secondo il quale l'originaria e naturale integrità dell'uomo prima del peccato originale gli consentiva di elevarsi naturalmente alla partecipazione del divino. Dopo il peccato, però, il suo libero arbitrio rimase corrotto irreparabilmente, tanto che da qual momento, per quanto attiene alla sua natura, l'uomo è capace solo di fare il male. Per questo sono necessarie la Grazia e la fede (che giungono all'uomo solo da Cristo mediatore), senza le quali qualsiasi opera non può che risolversi in un peccato. Il Baianismo, poco diffuso, rappresenta però il sostrato dottrinale del Giansenismo (V. GIANSENIO, CORNELIO). Questa dottrina (condannata più volte dai pontefici come eretica), affermando una contrapposizione tra stato di natura e stato di Grazia, affermava che la volontà e il libero arbitrio dell'uomo non possono nulla in opposizione alla Grazia e che dunque mediante essa Dio salva, senza loro merito, solo coloro che ha predestinato alla salvezza. Gli altri, sotto la tirannia dello stato di natura, possono solo compiere il male. Contemporaneamente al diffondersi di tali dottrine, anche la Chiesa cattolica cercò di fissare una sua propria teoria della p.: tuttavia il Concilio di Trento con il Decretum de Justificatione (gennaio 1547) riuscì a stabilire solo l'inammissibilità di una p. direttamente ordinata al peccato e alla dannazione da parte della prescienza divina. Il dibattito teologico continuò nei secc. XVI-XVII e non poteva ignorare il fatto che, dal momento che non tutti gli uomini attingono la salvezza, Dio è presciente e predeterminante la salvezza di alcuni e la dannazione di altri. I teologi si chiedevano cioè se il decreto divino, per cui solo agli eletti sono concessi i mezzi per ottenere la salvezza, preceda o segua la previsione dei loro propri meriti o demeriti, se tale decreto, infine, sia condizionato o meno dall'uso che il singolo uomo fa della propria libertà. Il problema fu analizzato a lungo e culminò nelle cosiddette dispute De auxiliis, tenutesi durante i pontificati di Clemente VIII e di Paolo V. In tali occasioni si delinearono due scuole di pensiero differenti, l'una guidata dal gesuita L. de Molina (V. MOLINISMO), l'altra dal domenicano Domigo Báñez (V.). Per i primi, la p. alla salvezza da parte di Dio è successiva alla previsione dei meriti del singolo (post praevisa merita): la creatura avrebbe, secondo tale dottrina, l'iniziativa primaria nel proprio ordinarsi alla salvezza, mentre la Grazia sarebbe uno strumento della volontà salvifica universale di Dio, che l'uomo può accettare o meno per volgersi al bene. Per i secondi, invece, la p. sarebbe precedente alla previsione dei meriti dei singoli (ante praevisa merita), in quanto la Grazia è gratuita (cioè non concessa in base a requisiti particolari) e la creatura è totalmente dipendente dalla concessione di questa per potersi volgere alla salvezza. Nel 1607, dal momento che la controversia non trovava soluzione, Paolo V la troncò dichiarando ambedue le posizioni lecite per l'ortodossia cattolica. La questione fu ripresa, secondo una genuina prospettiva scritturale, a partire dal XIX sec.: Matthias Joseph Scheeben (V.), superando la pesante eredità agostiniana, affermò la coincidenza della p. con la volontà salvifica universale di Dio. Il teologo Karl Barth (V.), nel XX sec., precisò la dottrina della doppia p. affermando che, essendo Cristo al medesimo tempo il Dio che elegge e l'uomo eletto, in Lui tutti gli uomini sono eletti e non esistono più i reprobi, perché Egli ha assunto su di sé come vicario la riprovazione di tutti. Nel mistero dell'Incarnazione e della Redenzione, infatti, Dio invera la propria giustizia (perché prende su di sé la dannazione e la riprovazione di tutti) e manifesta la propria misericordia (perché offre a tutti la salvezza). Storicamente tale possibilità si incarna nella mediazione della Chiesa, per cui la p. non si pone come evento irrelato e indipendente dalla volontà di ogni singolo uomo, ma come conciliazione tra l'azione eterna e predestinante di Dio e il libero agire dell'uomo. La teologia cattolica, dal Concilio Vaticano II in poi, suggerisce che tale concorso e compenetrazione tra p. divina e libero arbitrio umano si attui non su un piano di successione cronologica (prima la prescienza e la predeterminazione di Dio e poi l'azione più o meno libera dell'uomo), ma in una dimensione ontologica per cui la prima fonda e contiene il secondo, facendolo sussistere e coincidendo con esso, proprio come l'eternità non precede il tempo ma lo contiene. Secondo tale impostazione, dunque, la p. non preconosce né determina dall'esterno il destino di ogni uomo, ma piuttosto si invera e accade nel libero agire della creatura (V. anche PREDESTINAZIONISMO). ║ Anche il Corano, come la Bibbia, propone simultaneamente come verità tra loro complementari l'onnipotenza divina e la libertà e responsabilità dell'uomo nel proprio agire. Le scuole teologiche islamiche, nel tentativo di armonizzare tra loro questi concetti, hanno sottolineato chi (scuola ash'arita) il potere illimitato dei decreti divini (che imprime il bene o il male nei cuori di chi vuole), chi (scuola mu'tazilita) la libera e operosa risposta dell'uomo alla fede. Bassora. Città (406.296 ab.) dell'Iraq, capoluogo della provincia omonima. Sorge sul fiume Schatt-el Arab. • Econ. - È il più importante porto fluviale del Paese e nodo di comunicazioni tra India e Medio Oriente. Attivo mercato agricolo (grano, orzo, datteri, lana, cotone) e del bestiame (allevamento ovino e di cammelli), è sede di industrie tessili, alimentari, di lavorazione del cuoio. • St. - Fondata nel 638 dagli Arabi, visse un periodo di splendore sotto la dinastia Abbaside, soppiantando la stessa Alessandria. Dal IX sec. iniziò la decadenza. Dalla seconda metà del XIX sec., entrata nella sfera d'influenza della Gran Bretagna, conobbe un rapido sviluppo fino a diventare il punto di contatto tra Asia centro-meridionale e Medio Oriente. ║ Provincia di B. (19.070 kmq; 1.168.800 ab.): si estende nell'Iraq sud-orientale, al confine con l'Iran e il Kuwait; si affaccia a Sud sul Golfo Persico. Le principali attività economiche sono l'agricoltura e lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi. Guadagnare navigando! Acquisti prodotti e servizi. Guadagnare acquistando online. Musulmani. (o Maomettani o Islamici). I popoli, nella quasi totalità Arabi, appartenenti alla cultura, religione e civiltà islamica. La denominazione araba muslimìn (da cui il termine musulmani) significa seguaci del Profeta, mentre Islam (da cui il termine islamici) indica, almeno nell'uso più antico del Corano, l'incondizionata sottomissione alla volontà di Dio e alla religione rivelata da Maometto. Il Corano non rappresenta per i m. soltanto il "Libro sacro", ma anche la fonte primaria di ogni ordinamento civile e morale, il fondamento del vivere sociale e l'opera massima della lingua e della letteratura islamiche. ● St. - La storia dell'Islam inizia a La Mecca nel 610 d.C. circa. In quell'epoca, la religione degli Arabi presentava numerose analogie con quella semitica; erano venerate diverse divinità, ma sembra che fosse abbastanza diffuso anche il culto per un unico Dio superiore, Allah. Data la presenza di alcune comunità ebraiche in zone dell'Arabia occidentale, alcuni principi ebraici e cristiani erano infatti piuttosto familiari anche presso la comunità araba. Maometto, nato a La Mecca intorno al 570, fu il fondatore dell'Islam, che ebbe inizio quindi in ambienti cittadini e commerciali. A partire dal 610 Maometto si convinse che Dio gli rivelasse verità e gli affidasse messaggi da trasmettere ai suoi concittadini: per il profeta si trattava della parola realmente rivoltagli da Dio (per mezzo di un angelo) e questo è ancora il fondamento della religione dei m. Anche se riuscì a conquistarsi i primi seguaci (fra i convertiti furono la moglie Khadigia, il cugino Ali e il figlio adottivo Zaid), Maometto dovette affrontare presto grosse difficoltà, a cominciare dall'opposizione dei ricchi ceti mercantili, infastiditi dalla sua predicazione. Nel 622, accompagnato da numerosi seguaci (fra essi Abù Bakr, intimo amico di Maometto, ed Omar, i quali sarebbero divenuti i primi due capi della comunità musulmana) il profeta passò a Medina. Tale migrazione (Egira: espatrio) segnò l'inizio dell'era islamica. Nella città di Medina Maometto assunse il ruolo e la figura di un vero e proprio capo teocratico; fu qui che la religione islamica si organizzò nelle sue principali forme rituali (preghiera, elemosina, digiuno, pellegrinaggio) e acquisì connotati chiari e precisi. La popolazione di Medina, prima divisa in organizzazioni tribali ostili fra loro, fu riunita in un'unica comunità (l'Ummah) fondata unicamente sul legame religioso; distinta in due grossi gruppi, i mohagirum (espatriati dalla Mecca) e gli ansàr (sostenitori di Medina), essa era organizzata in numerosi clan appartenenti a culture diverse. Erano infatti presenti anche clan di Ebrei, i quali, pur consentendo alla formazione a Medina di un'unica comunità, rifiutarono di riconoscere Maometto come profeta e in qualche caso si opposero alla nuova religione. Per assicurare la vita materiale della sua comunità, Maometto nel 630 conquistò La Mecca. La conversione dei popoli vinti accrebbe il suo prestigio; tribù di beduini arabi si unirono alla federazione divenendo m. In tal modo Maometto riuscì ad estendere progressivamente il proprio dominio su gran parte del territorio della penisola arabica, mentre la sua autorità come capo di Stato si fece indiscussa. Nel frattempo, egli aveva raccolto per i suoi primi discepoli i messaggi divini nel Qur'an (Corano, che la critica europea considera sua opera autentica). Maometto morì nel 632, lasciando non solo un nuovo credo religioso, ma anche uno Stato. Egli non aveva lasciato eredi e ciò provocò la prima grande crisi politica. Il cugino Ali, che aveva sposato sua figlia Fatmah, si mostrò troppo debole e la successione passò al vecchio Abù Bakr, che in tal modo divenne il primo califfo (successore) della storia islamica. I primi califfi dovettero subito affrontare il problema delle tribù nomadi, che pur entrando nella federazione m. avevano mantenuto le antiche usanze della razzie a danno dei vicini. Furono organizzate, con il duplice scopo di procurarsi cibo e animali domestici e di incanalare e controllare la violenza dei nomadi, numerose scorrerie; esse, partendo da Medina e favorite dalla debolezza dell'Impero bizantino e di quello persiano, permisero in pochi anni la conquista di Egitto, Siria (636) e Persia (642). Successivamente si verificarono incursioni nell'Asia Minore, nelle isole dell'Egeo e nell'Africa settentrionale, finché il movimento di espansione si arrestò con l'occupazione dell'Armenia. Abù Bakr designò alla successione Omar, assassinato una decina di anni più tardi; a lui succedette Othman, un altro genero del profeta, discendente di Omayya. Quando anche questi fu assassinato (656) i m. si trovarono al centro di una nuova, violenta crisi politica: iniziò in questa occasione la lotta tra il ramo Hascemita (quello principale) e Omayyade (discendente dalla stirpe di Maometto). Mu'awiyah ibn Abi Sufyan, capoprovincia in Siria, trasferì la capitale dell'Islam da Medina a Damasco e introdusse il principio dinastico nel califfato, che per circa un secolo restò nelle mani degli Omayyadi. Essi diedero all'Impero islamico una solida struttura amministrativa, favorirono il processo di urbanizzazione e migliorarono l'organizzazione della vita sociale. Durante la dinastia omayyade ebbe un forte impulso l'architettura musulmana, i cui primi alti risultati si realizzarono nella costruzione di monumentali moschee a Damasco, Medina, Gerusalemme ed in altre importanti città dell'Oriente. In questo periodo i m. raggiunsero la massima estensione del loro Impero: ad Occidente occuparono la Spagna e controllarono, anche se per pochi anni, la regione francese intorno a Narbonne; ad Oriente penetrarono nell'Asia centrale oltre il fiume Indo. La dinastia omayyade ebbe fine nel 750, dopo numerose ostilità e lotte fra diversi pretendenti al califfato; un solo membro della famiglia riuscì a fuggire in Spagna, dove fondò la dinastia omayyade che avrebbe successivamente governato la regione. Durante i due secoli che seguirono, il califfato fu appannaggio della dinastia degli Abbasidi, che stabilì la capitale a Baghdad. Le cariche amministrative più importanti furono affidate a persiani, che all'interno della struttura dell'Impero vennero quindi ad esercitare un ruolo fondamentale; fu garantita la successione attribuendo al califfo il diritto di scegliere fra i propri figli il successore. Per l'Impero musulmano furono anni di splendore, anche se segnati spesso da rivolte interne e intrighi di palazzo. La civiltà urbana, che aveva posto le prime basi in epoca omayyade, si sviluppò pienamente; fiorì ogni tipo di attività culturale, mentre un posto centrale fu assegnato all'elaborazione della legge islamica (shari'ah). Furono coltivate, accanto alle discipline che si occupavano dello studio del Corano, anche la medicina, la filosofia, la matematica, le scienze naturali; numerosi furono i libri greci tradotti in lingua araba. L'attività economica rimase florida e intensi gli scambi commerciali, sia con l'Oriente che con l'Occidente. Tuttavia, i califfi abbasidi persero gradualmente il controllo di numerose province esterne, nelle quali i governatori locali pretesero di designare essi stessi i loro successori, mantenendo con la capitale solo deboli legami. I primi sintomi di decadenza si annunciarono verso la metà del IX sec., a causa tanto di fattori interni che esterni. Numerosi elementi indebolirono progressivamente l'Impero, che nel 945 cadde nelle mani dell'avventuriero sciita della Persia, Ahmad il Buwaihide: l'eccessivo potere dei mercenari turchi che costituivano il corpo di guardia califfale, la rottura dell'equilibrio sociale provocata dallo sviluppo economico, diverse sollevazioni (come quella, tra l'877 e l'883, degli schiavi negri nello Zanj, o quella guidata da Hamdan Qarmat di operai e contadini), le devastazioni operate in Siria ed in Persia da parte di bande qarmate, le rivendicazioni di autonomia, sempre più frequenti, da parte di numerose province. Ahmad il Buwaihide, proclamatosi discendente dei sovrani sasanidi e usurpato il titolo di "emiro degli emiri", fondò una propria dinastia, quella buwaihida, che però scomparve dopo pochi decenni (1055) al sopraggiungere dei Turchi. Approfittando della crisi politica, sia il califfato omayyade di Spagna che quello fatimide d'Egitto si opposero all'ormai dissolto califfato di Baghdad, ma verso la metà dell'XI sec. il mondo musulmano giunse ad una svolta decisiva: sulla scena politica apparvero i Turchi selgiuchidi sunniti. Dal 1055 al 1092 i tre grandi sultani selgiuchidi Toghrulbèg, Alp-Arslan e Malik Shàh, sostenuti dal visir persiano Nizam al-Mulk, riuscirono a ridare all'Impero una nuova ed efficiente organizzazione politica e sociale. Essi diedero nuovo impulso all'attività culturale, tramite la fondazione delle màdrase (scuole ufficiali superiori di teologia e diritto), mentre a livello internazionale, dopo aver impedito ai pellegrini cristiani l'accesso ai Luoghi Santi della Palestina, si scontrarono con l'Occidente cristiano durante la prima crociata (1099) e strapparono ai Bizantini l'Asia Minore. Una nuova svolta nella storia dell'Oriente musulmana si verificò nel XIII sec. con l'irruzione dei Mongoli: sotto l'urto delle invasioni mongole, il califfato cadde nel 1258. Gli ottomani restaurarono il califfato e nei secc. XV-XVI conquistarono l'Europa sud-orientale e la costa meridionale del Mediterraneo, stabilendo contatti con la maggior parte dei Paesi europei. Durante il Cinquecento, mentre nascevano i tre grandi Stati Mogùl in India, Safawide in Iran e Ottomano in Anatolia, si verificò il primo impatto dell'Europa sull'Oriente musulmano: gli Europei raggiunsero l'India via mare, il commercio con l'Africa settentrionale, per secoli monopolio dei soli Turchi, fu soppiantato dai traffici portoghesi. Tuttavia, la definitiva decadenza dell'Impero ottomano ebbe inizio nel XVIII sec., dovuta sia a ragioni strutturali dell'Impero stesso (enorme estensione territoriale, situazione finanziaria confusa, ecc.), sia alla nuova potenza economica, politica, militare di molti Stati europei. L'iniziale interferenza economico-commerciale si trasformò presto in interferenza politica, quindi in colonizzazione. Dopo due secoli di dominazione europea, i movimenti indipendentisti riuscirono a riconquistare per i loro Paesi l'indipendenza politica. ● Rel. - Il Corano costituisce per i m. il codice religioso, il libro sacro rivelato da Dio a Maometto, nel quale sono contenute regole e prescrizioni che riguardano non solamente il culto, ma qualsiasi aspetto della vita sociale. La legge sacra dell'Islam (applicabile solo alla comunità dei credenti) è detta Shari'ha e definisce l'insieme dei comandamenti dettati da Dio. La forma della professione di fede non si presenta come una semplice affermazione, ma come una vera e propria testimonianza che investe la totalità della vita di un uomo e si concretizza in ogni suo atto. Si tratta di una fede semplice, che si concepisce sostanzialmente come sottomissione (Islam) all'onnipotenza divina, nei confronti della quale l'uomo esprime, attraverso l'adorazione, la propria gratitudine e la propria lode. Le opere e le pratiche dei riti canonici hanno in realtà per i m. un valore secondario, poiché accrescono e completano la fede ma non ne incidono la sostanza: gli atti esteriori del credente non hanno valore assoluto, ma dipendono dall'atteggiamento interiore del fedele. I principi fondamentali della fede musulmana sono stati formulati ufficialmente nella Shahadah, una sorta di catechismo che costituisce la base dell'Islam. I principali articoli della fede musulmana sono: l'unicità di Dio, eterno, trascendente ed onnipotente; la missione dei profeti, che trasmettono la volontà di Allah loro affidata e chiamano i popoli all'obbedienza (i primi profeti ritenuti autentici dall'Islamismo sono quelli del Vecchio Testamento ebraico e Gesù); la certezza di un giudizio finale, che sarà la conclusione, insieme con la resurrezione, dell'intera storia dell'umanità (solo i profeti ed i martiri non saranno sottoposti ad esso, poiché subito dopo la loro morte sono accolti in paradiso). L'inferno, certezza di fede per i m., è identificato con il fuoco e comprende sette ripartizioni; il paradiso (giannat o fidaws), è immaginato come il luogo in cui saranno soddisfatti tutti i desideri umani, il luogo sognato dal beduino arso dalla sete, avido di ombra e di riposo. Il Corano diede l'impulso ad un fervido sviluppo degli studi teologici; la shari'ah non fu mai un uniforme sistema codificato di leggi, quindi per quanto fondata su divine rivelazioni, essa fu soggetta all'interpretazione e rielaborazione di numerose generazioni di giuristi e teologi. Con la nascita dell'esegesi e della teologia coraniche si discussero i problemi della predestinazione e del libero arbitrio (come nella teologia cristiana), della giustizia e dell'unicità di Allah, e ciò diede origine anche a celebri scuole filosofiche come la Kalam del X sec. (la più antica) e quella ash'arita nell'XI sec. Presto la comunità musulmana si divise nella maggioranza ortodossa (i sunniti) e nella minoranza sciita e kharigita (VII sec.), dalla quale a sua volta si staccarono altre sette. Il fiorire di tali sette era favorito dalla possibilità di interpretare i testi religiosi in modo estremamente libero: fatti salvi i principi fondamentali della religione musulmana, qualsiasi giurista sufficientemente qualificato poteva infatti trarre dalle fonti originarie una serie di conclusioni e di regole adatte a qualsiasi tipo di problema. Progressivamente, proprio per porre un freno al frazionamento della comunità musulmana, il diritto alla deduzione e interpretazione indipendente fu sostituito dall'obbligo di accettare l'autorità dei grandi giuristi del passato. Le fonti della legge musulmana, frutto di divina rivelazione, sono quattro: il Corano, testo sacro rivelato a Maometto; la Sunnah (prassi del Profeta), resoconto di quanto il Profeta disse, fece o permise durante la sua vita; l'igma, cioè il consenso della comunità musulmana; il giyas (analogia), costituito dall'insieme delle deduzioni analogiche delle prime tre fonti. La legge musulmana copre ogni aspetto della vita umana, secondo una suddivisione che comprende prescrizioni religiose, norme di diritto penale e norme giuridiche. Gli obblighi canonici dei M. sono, oltre la professione di fede, la preghiera rituale che costituisce un elemento essenziale del culto; esso è insieme un atto comune e un impegno individuale. Il carattere comunitario del culto musulmano è espresso nel rito della preghiera comunitaria: un insieme di parole e di gesti rigorosamente prescritti viene ripetuto cinque volte al giorno in ore precisamente determinate: al subh (tra l'alba e il sorgere del sole); al zuhr (subito dopo mezzogiorno); alle asr (le 16.00); al maghrib (subito dopo il tramonto); nell'isha (ad un'ora qualsiasi della notte). Precede la preghiera un'abluzione rituale ed obbligatoria, dopo la quale la preghiera viene recitata insieme a tutti gli altri fedeli. La preghiera è strettamente legata all'elemosina (zakà), che risponde al dovere di ogni fedele di dividere la propria ricchezza con i poveri e i bisognosi. Anche se il Corano afferma che non è tanto la quantità ad importare, quanto la qualità, l'atteggiamento interiore di chi dona, la shari'ah è piuttosto precisa nel definire l'ammontare dell'elemosina (nella pratica contemporanea si tratta generalmente del 2,5% del reddito annuo). Il dovere fondamentale di ogni m. è, infine, il pellegrinaggio (hāgg) che va compiuto almeno una volta nella vita (vengono dispensati coloro che sono impediti da ostacoli di tipo fisico, materiale e morale). Meta del pellegrinaggio è la Ka'bah della Mecca, ossia il santuario che custodisce la "pietra nera", considerata sacra perché, secondo la tradizione, sarebbe stata calpestata da Abramo (profeta anche per i m.). Anche tale pellegrinaggio (che andrebbe preferibilmente compiuto nel dodicesimo mese del calendario, mese del Grande Pellegrinaggio) è organizzato secondo precisi gesti rituali (il giro intorno alla Ka'bah, il rito di stare eretti da mezzogiorno al tramonto, ecc.). ● Dir. - Per quanto riguarda la legge civile, in tempi recenti la shari'ah, basata su un'autorità implicita e trascendente, è stata gradatamente sostituita da codici di leggi (in alcuni casi notevolmente influenzati dal modello occidentale), la cui legittimità si basa sulla volontà del popolo e sul suo potere legislativo ed esecutivo. Soprattutto in Arabia Saudita continua ad essere osservata rigidamente l'antica legge islamica. Generalmente, il diritto penale divide i crimini in due categorie: l'omicidio e il ferimento volontari, che danno diritto alla vendetta, da compiere sotto il controllo del giudice; altri delitti, come il furto, il brigantaggio, l'adulterio, ecc., che vengono puniti con le hudud (pene canoniche quali l'amputazione della mano, la pena di morte, cento colpi di frusta, ecc.). Le norme giuridiche in campo familiare, al contrario, sono rimaste in tutti i Paesi specificamente islamiche, legate intimamente alla shari'ah. Esse riguardano quasi esclusivamente il matrimonio, rito complesso che comprende il contratto, il versamento della dote da parte del marito, il consenso delle parti e la consumazione. La nascita di un figlio maschio è naturalmente preferita, perché permette la continuazione della famiglia patriarcale, mentre per la morte sono stabiliti propri riti funebri. Anche le regole della successione sono minuziosamente stabilite dal Corano. La vita sociale è fondata sulla comunità (umma), che deve usare l'arabo come lingua liturgica, così come l'organizzazione sociale è basata e retta su precisi principi giuridici. Il potere esecutivo è detenuto dal califfo, che è depositario della legge, capo religioso e capo politico. Il potere giudiziario è detenuto dal cadì, che svolge i compiti assimilabili a quelli di un giudice e di un notaio, potendo emettere sentenze su qualsiasi questione relativa alla legge. ● Arte - L'Islam ha prodotto una cultura estremamente vivace e feconda che, abbracciando tutti i campi del sapere, ha spesso agito profondamente sui popoli conquistati o con i quali veniva a contatto. Poeti, costruttori, architetti, filosofi, naturalisti, matematici hanno contribuito a mantenere all'Islam una potente vitalità. Nella convinzione che non esistesse dissidio tra ragione e fede, i M. iniziarono (in particolare sotto il califfo Mahmun, IX sec.) lo studio e l'approfondimento delle opere filosofiche di Persiani, Greci e Indiani, che furono tradotte e raccolte in biblioteche. Presto sorsero scuole in grado di sviluppare una riflessione indipendente, basata sul principio che dietro il mondo visibile esista un ordine fondamentale ed eterno organizzato secondo leggi universali e comprensibili dalla mente umana. Non senza provocare polemiche, il pensiero filosofico musulmano ebbe come finalità comune e fondamentale la scoperta di tali leggi. Contemporaneamente allo sviluppo della filosofia, conobbero grande impulso anche le scienze "profane". Inizialmente, tuttavia, il campo propriamente scientifico non ebbe confini precisi, poiché la quasi totalità dei filosofi furono anche scienziati; in ogni caso, svolsero un ruolo importante gli influssi ellenistici, indiani e persiani. La medicina, la giurisprudenza e la matematica furono favorite dalla fondazione di celebri biblioteche. L'astronomia e la medicina, in particolare, si arricchirono dei risultati ottenuti dall'osservazione e dalle sperimentazioni. Grande rilievo ebbero l'algebra e la geometria; l'aritmetica fu perfezionata con l'introduzione delle cifre indiane, del sistema decimale e dell'uso dello zero (elementi di derivazione indiana). I M. crearono la trigonometria piana e sferica, sconosciuta ai Greci; compirono grandi progressi negli studi chimici; impararono a servirsi delle stelle per orientarsi nel deserto. Venuti a conoscenza dell'opera di Tolomeo nell'VIII sec., si dedicarono intensamente agli studi di astronomia e di geografia (calcolarono la circonferenza e il diametro della Terra, compilarono atlanti, ecc.). L'erudizione, la filologia e la storia, considerate inizialmente branche dell'esegesi coranica, conobbero una splendida fioritura, come la grammatica e la lessicografia. Nel campo propriamente artistico l'Islam riuscì ad assorbire e far propria l'eredità dei popoli conquistati, trasformandola secondo la propria sensibilità e creando un complesso artistico autonomo e distinto, con caratteristiche nettamente definite. L'architettura rispose direttamente alle necessità pratiche, rivelando un gusto particolare per la decorazione e le forme astratte. I mobili, i vasi, i tappeti, le stoffe, i manoscritti furono le espressioni di una raffinatezza e di una sontuosità difficilmente raggiunte presso altre civiltà. Nelle arti minori, inoltre, la decorazione fu impreziosita ancor più dalla diversità, rispetto a quelle occidentali, delle tecniche adottate. L'intarsio, la lavorazione dei metalli, del cuoio, dei tessuti, l'oreficeria, la ceramica, il ricamo, la miniatura, l'alluminatura, perfino l'epigrafia (data la qualità decorativa propria della scrittura araba) sono documenti, preziosi e raffinati, di un'intera civiltà. Solo la scultura non conobbe uno sviluppo comparabile, poiché la tendenza alla stilizzazione favorì lo sviluppo della decorazione lineare. Enciclopedia termini lemmi con iniziale a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Storia Antica dizionario lemmi a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w y z Lemmi Storia Antica Lemmi Storia Moderna e Contemporanea Dizionario Egizio Dizionario di storia antica e medievale Prima Seconda Terza Parte Storia Antica e Medievale Storia Moderna e Contemporanea Dizionario di matematica iniziale: a b c d e f g i k l m n o p q r s t u v z Dizionario faunistico df1 df2 df3 df4 df5 df6 df7 df8 df9 Dizionario di botanica a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z |
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