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Non chiedete che cosa il vostro Paese può fare per voi; chiedete che cosa potete fare voi per il vostro Paese.
John Fitzgerald Kennedy

La scuola consegue tanto meglio il proprio scopo quanto più pone l'individuo in condizione di fare a meno di essa.
(Ernesto Codignola)

Presentazione Il Territorio Parchi Nazionali e Regionali

Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, del Monte Falterona e di Campigna Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano Parco naturale regionale di crinale alta Val Parma e Cedra Parco naturale regionale del Delta del Po

L'Economia

Cenni Storici I primi insediamenti umani L'epoca romana e l'Alto Medioevo L'età comunale Il rinascimento emiliano - romagnolo Il Seicento e il Settecento Dalla Repubblica cisalpina allo Stato unitario Movimenti sociali e lotta politica Il "modello" emiliano

Il Percorso Artistico e Culturale

Il periodo villanoviano Dalla romanità all'Alto Medioevo Il romanico padano Il gotico Il Rinascimento padano Manierismo e classicismo Il Barocco Dal Rococò al Novecento

Le Città

Bologna storia arte provincia Luoghi di interesse Palazzo comunale o Palazzo d'Accursio Basilica di S. Petronio Torre degli Asinelli Torre Garisenda Chiesa di S. Domenico Complesso monumentale di S. Stefano Chiesa di San Giacomo Maggiore Musei e Gallerie di Bologna Pinacoteca Nazionale Museo Civico Archeologico

Demografia Emilia-Romagna in cifre Statistiche Istat

Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia

Emilia-Romagna su:

GEOGRAFIA - ITALIA - EMILIA-ROMAGNA

PRESENTAZIONE

A differenza di altre regioni, l'Emilia-Romagna si presenta formata da due zone che, seppure caratterizzate da una complessiva omogeneità, posseggono tuttavia alcune differenze di carattere storico e ambientale.

Essa è infatti nel suo insieme nettamente individualizzata, essendo delimitata dal basso corso del Po a Nord, dall'alto crinale dell'Appennino a Sud e Ovest e dal Mare Adriatico a Est.

Entro tali limiti geografici naturali l'Emilia-Romagna confina a Settentrione con la Lombardia ed il Veneto, ad Occidente con il Piemonte e la Liguria, a Meridione con la Toscana, le Marche e la Repubblica di S. Marino e ad Oriente col Mare Adriatico.

La sua superficie è di 22.124 kmq e la pone al sesto posto tra le regioni italiane.

La popolazione raggiunge 4.426.929 (2022) abitanti, con una densità di 179 abitanti per kmq.

L'intenso popolamento della regione è stato favorito dalla fertilità del suolo, per la maggior parte pianeggiante, e dalla facilità di comunicazione.

La Via Emilia è stata da sempre l'asse principale della sua progressiva urbanizzazione.

Il capoluogo di regione è Bologna; gli altri capoluoghi di provincia sono:

Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Forlì-Cesena, Ravenna, Ferrara e Rimini.

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Emilia-Romagna

IL TERRITORIO

Occupando la fascia centrale di transizione dalla zona padana dell'Italia del Nord alla zona montana dell'Italia centrale ed essendo formata dall'estrema propaggine del bassopiano padano e dal versante Nord dell'Appennino Tosco-Emiliano, la regione partecipa dei caratteri geo-morfologici sia della Pianura Padana che della montagna appenninica.

Una cresta di monti, con vette tra i 1.500 e i 2.200 metri, interrotta da stretti valichi, segna il limite tra il versante emiliano e quello toscano.

Le cime più alte sono il Monte Cimone (2.163 m), il Monte Cusna (2.121 m) e l'Alpe di Succiso (2.017 m).

I valichi stradali e ferroviari permettono i collegamenti fra l'Italia settentrionale e l'Italia centrale;

i più importanti sono:

la Futa (903 m), il Passo delle Cento Croci (1.032 m), la Cisa (1.041 m), il Passo dei Mandrioli (1.173 m), il Passo del Cerreto (1.261 m), il Passo dell'Abetone (1.338 m).

Dai rilievi montani, con direzione Nord-Sud, si dipartono una serie di vallate.

Queste presentano scarpate molto incise;

l'erosione naturale infatti qui ha trovato materiale favorevole, essendo il terreno formato in massima parte da strati calcarei e arenacei e, quindi, particolarmente teneri.

Gli avvallamenti più rilevanti sono stati prodotti dall'erosione fluviale.

Parecchi corsi d'acqua, affluenti di destra del Po, scendono lungo il versante montano appenninico emiliano-romagnolo. Tra i più importanti di essi si ricordano:

il Trebbia, il Taro, il Parma, l'Enza, il Secchia, il Panaro.

Ma il maggiore fiume della regione è il Reno, che sfocia nell'Adriatico formando un'ampia laguna costiera.

È lungo 211 km e ha un bacino di 4.630 kmq.

Gli altri fiumi romagnoli presentano un corso breve e a carattere torrentizio;

tra questi citiamo:

il Lamone, il Savio, il Rubicone e il Marecchia.

Procedendo da Sud a Nord la fascia montana digrada verso la Pianura Padana, formando dei contrafforti collinari che progressivamente si addolciscono e infine cedono il posto alla pianura.

Quest'ultima occupa quasi la metà dell'intera superficie della regione.

È fertile e ricca d'acque, solcata dagli affluenti del Po sopra ricordati.

Il paesaggio è quello padano, con una fitta trama di campi coltivati intensivamente, filari di pioppi ed agglomerati urbani che punteggiano il suolo pianeggiante.

Dalla Via Emilia, che taglia diagonalmente la regione, si diparte un fitto sistema di comunicazioni che collega l'Italia settentrionale a quella centrale e meridionale.

Da sempre l'Emilia-Romagna ha assolto la funzione di regione cerniera tra le diverse aree della penisola.

La zona costiera della regione costituisce la Romagna;

è bassa e sabbiosa e con caratteristiche uniformi.

È formata da una spiaggia assai larga, specialmente fra Cattolica e Marina di Ravenna.

In questa zona si trovano i centri balneari e di villeggiatura più importanti della regione, quali Bellaria, Cattolica, Cervia, Marina di Ravenna, Milano Marittima, Cesenatico, Rimini, Riccione.

In prossimità del mare, tra la foce del Reno e quella del Po di Goro, che rappresenta una delle foci del grande delta, si trova la laguna di Comacchio.

Si tratta di un vasto e poco profondo specchio d'acqua che si è formato per la pendenza quasi insensibile del terreno.

In comunicazione con il mare, la laguna è difesa dall'interramento con opere di arginatura ed il livello delle acque salse è opportunamente regolato per mezzo di canali muniti di chiuse.

Il clima dell'Emilia è caratterizzato da nebbie autunnali, persistenti e abbondanti precipitazioni piovose e nevose, condizioni climatiche tipiche della Valle Padana.

Diversa è la climatologia della Romagna, per effetto della vicinanza del mare che ne mitiga le asprezze.

La riviera romagnola è una delle zone turistiche e di villeggiatura più frequentate d'Italia.

Notevole rigoglio presenta la vegetazione, anche a causa dell'abbondanza delle acque.

Estese pinete marine caratterizzano il retroterra costiero, specialmente quello di Ravenna.

Assai diffusi sono i querceti ed i castagneti.

Foreste di abeti e di faggi sono presenti sui versanti più elevati delle zone montane.

La piovosità supera i 600 mm sul delta padano e i 2.000 mm sui rilievi appenninici.

Frequenti sono le frane e gli smottamenti provocati dalle acque correnti e piovane.

Caratteristiche forme di erosione sono i calanchi, piccoli avvallamenti con profonde incisioni del terreno, con pareti soggette a facili e rovinosi franamenti.

Le frane si producono soprattutto sulla scarpata appenninica nel periodo dello scioglimento delle nevi ed in quello delle piogge primaverili.

La Pianura Padana

La Pianura Padana

PARCHI NAZIONALI E REGIONALI

Le aree protette della Regione coprono l'8% dell'intero territorio, ripartite in due Parchi Nazionali (Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano;

Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna) condivisi con la confinante Toscana, e in numerosi Parchi regionali e riserve naturali, distribuiti nelle varie province, istituiti allo scopo di preservare la grande ricchezza di ambienti caratterizzati da rilevante biodiversità.

Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, del Monte Falterona e di Campigna

Istituito nel luglio 1993, il Parco si estende per circa 36.000 ettari su un vasto territorio a cavallo tra Romagna (province di Forlì e Cesena) e Toscana (province di Arezzo e Firenze).

In Romagna ne fanno parte le valli romagnole dei torrenti Montone, Rabbi e Bidente, che discendono veloci dalla ripida dorsale appenninica.

Il territorio romagnolo è caratterizzato da vallate strette e incassate, con versanti a tratti rocciosi e brulli, a tratti fittamente boscati.

Il versante toscano molto più dolce, è solcato dalle valli dei torrenti Staggia, Fiumicello e Archiano, affluenti di sinistra dell'Arno che, nella parte iniziale, scorre quasi parallelo al crinale principale.

Il settore toscano comprende, oltre ad una piccola porzione del Mugello, il Casentino, cioè il territorio che abbraccia l'alta Valle dell'Arno, le cui sorgenti sono situate sulle pendici meridionali del Monte Falterona (1.654 m.).

Questo rilievo, insieme al vicino Monte Falco (1.658 m), costituisce il punto più elevato del tratto di crinale incluso nel parco.

Verso Est l'area protetta si prolunga fino al suggestivo rilievo calcareo di Monte Penna, con il celebre santuario francescano della Verna.

Il cuore del Parco è rappresentato dalle Foreste Demaniali Casentinesi, un complesso forestale antico, la cui oculata gestione, protrattasi nel corso dei secoli, ha consentito la conservazione di lembi estesi di foresta di notevole interesse naturalistico per l'elevata integrità e la straordinaria ricchezza di flora e fauna.

Sono comprese in queste foreste la riserva naturale integrale di Sasso Fratino, la prima istituita in Italia nel 1959, e quella della Pietra oltre ad altre riserve naturali biogenetiche, gestite tuttora dal Corpo Forestale dello Stato.

Ruscelli e cascate attraversano queste estese foreste dove si elevano imponenti e solenni abeti e faggi colonnari.

Queste terre hanno sempre suscitato intense emozioni nei visitatori di ogni epoca storica:

dagli eremiti in cerca di luoghi di preghiera, come S. Romualdo e S. Francesco, ai letterati come Dante e Ariosto, che cantarono in versi questi paesaggi, fino ai moderni studiosi, ai quali va il merito di aver operato per la salvaguardia di questi territori.

Del Parco fanno parte, nel versante romagnolo, diverse migliaia di ettari di territorio, in gran parte di proprietà regionale, che negli ultimi decenni, a causa dell'esodo dell'uomo dalle montagne e alle successive opere di rimboschimento, hanno acquistato un elevato grado di naturalità.

Sono tornati stabilmente il lupo e l'aquila reale;

consistenti popolazioni di cervi, caprioli e daini rappresentano solo il più visibile effetto di un riacquistato equilibrio ecologico.

Nel paesaggio i segni dell'uomo non sono tuttavia scomparsi, ma congelati dall'abbandono:

case, maestà, ponti, mulattiere conducono l'escursionista alla scoperta di una civiltà, quella della cosiddetta "Romagna Toscana" che ha caratteri propri e particolari.

Nel versante toscano il quadro ambientale è completato da un territorio submontano chiaramente segnato dall'attività dell'uomo che ha modellato un paesaggio fatto di boschi alternati a pascoli e coltivi, pievi, eremi, monasteri, emblema di tutta una regione.

Proprio l'Eremo e il Monastero di Camaldoli, il Santuario della Verna e l'ambiente naturale in cui sono immersi offrono al visitatore le emozioni più intense.

Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano

Istituito nel 2001, il Parco si estende per 26.000 ettari, per tre quarti in Emilia-Romagna (province di Parma e Reggio Emilia) e per un quarto in Toscana (province di Lucca e Massa Carrara). Il Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano raccoglie in un'unica grande area protetta il Parco naturale regionale del Gigante, parte del Parco naturale regionale dell'Alta Val Parma e Cedra, in Emilia-Romagna, e aree toscane della Lunigiana e della Garfagnana che vantano alcune fra le cime più alte della dorsale appenninica settentrionale. Ricco di foreste, dove alle faggete si alternano nuclei spontanei di abete bianco e conifere, il territorio del Parco è solcato da tracciati storici millenari (i passi delle Radici, di Pradarena, del Cerreto, del Lagastrello) ed è ricco di architetture tradizionali (teggie, metati, carbonaie, mulini, antiche dimore contadine di montagna), coniugando così due termini apparentemente antitetici, uomo e natura. Come ovunque sull'Appennino, la presenza umana si è retta per secoli sullo sfruttamento delle risorse del bosco (legna, cereali minori, castagne, funghi, piccoli frutti) e sulla trasformazione casearia. Il formaggio più tipico e noto è il Parmigiano-Reggiano (particolarmente pregiato quello fatto con latte di vacche Rosse), ma c'è anche una produzione rilevante di pecorini, disseminata in piccoli caseifici.

Parco naturale regionale dell'alto Appennino reggiano

Il Parco del Gigante, come viene comunemente chiamato, comprende la fascia di crinale dell'Appennino reggiano per un'estensione complessiva di 23.700 ettari, cingendo alcune tra le vette più alte dell'Appennino settentrionale: Monte Cusna, Monte Prado e Alpe di Succiso, che si elevano oltre i 2.000 m. Istituito con Legge regionale nel 1988, custodisce preziosi e delicati ambienti montani, dove sono presenti molte specie botaniche rare e una ricca fauna d'alta quota. Chiari segni dell'azione di modellamento del paesaggio operata dai ghiacciai del Quaternario sono osservabili intorno a molte cime: ampi circhi glaciali, come quello che ospita le sorgenti del Secchia, chiudono la testata valliva dei principali torrenti e i depositi morenici ospitano spesso laghi, specchi d'acqua in fase di interramento e torbiere. I boschi coprono gran parte del territorio, stentando solo sulle pareti arenacee ripide e profondamente incise degli schiocchi, particolari forme erosive osservabili a tratti nelle valli dell'Ozola, del Riarbero e del Secchia. Scendendo lungo i versanti montuosi del parco si incontrano estesi boschi di faggio, nuclei spontanei di abete bianco e rimboschimenti a conifere, come la celebre abetina reale. Sulle praterie di altitudine sono presenti l'aquila reale, lo spioncello, il sordone e il raro stiaccino; tra i mammiferi, la marmotta. Vallette e brughiere conservano la maggior parte delle specie botaniche regionali considerate relitti delle glaciazioni, come il pennacchio rotondo e l'erica baccifera.

Parco naturale regionale di crinale alta Val Parma e Cedra

Comprende la fascia alto-appenninica orientale della provincia di Parma.

Istituito nel 1995, ha un'estensione complessiva di 12.580 ettari, con altitudini che vanno da 746 m a 1.859 m s.l.m.

Lungo le pendici che risalgono dai fondovalle sino a 900-1.000 m, il paesaggio vegetale risente maggiormente della secolare presenza dell'uomo:

il clima fresco e umido e il secolare sfruttamento delle faggete per la produzione di legna hanno favorito lo sviluppo pressoché esclusivo di questa latifoglia, alternata a praterie per lo sfalcio e il pascolo, segnate da siepi, filari alberati e muretti a secco, più frequenti intorno ai centri abitati.

Dai 900-1.000 m sino ai 1.700 ancora i boschi di faggio rivestono i versanti montani e incorniciano le conche lacustri, interrompendosi in corrispondenza di radure prative e affioramenti rocciosi, sui quali cresce una rada vegetazione in prevalenza di felci.

Nel parco sono visibili specchi d'acqua privi di vegetazione, in genere alle quote più elevate, altri sono circondati da una fascia di piante palustri e altri ancora sono portati gradualmente a interrarsi per evoluzione naturale.

Oltre il limite degli alberi, segnato da faggi cespugliosi e contorti, le zone sommitali fino al crinale sono rivestite da basse brughiere e praterie, protette nei mesi invernali da spesse coltri di neve e in grado di resistere ai venti che spazzano le cime tutto l'anno.

I boschi cresciuti sui detriti morenici sono stati in passato sostituiti con castagneti da frutto, che dal dopoguerra hanno subito un lento abbandono.

Nel parco, tuttavia, sopravvivono castagneti ben curati.

Nell'alta Valle del Parma, isolati nuclei spontanei di abete bianco, abete rosso e tasso sono preziose testimonianze di un remoto paesaggio forestale ormai scomparso, rappresentano cioè i relitti di boschi ben più estesi che in epoche remote rivestivano i rilievi appenninici.

Le condizioni climatiche succedutesi su queste montagne dopo l'ultima glaciazione favorirono la formazione di boschi di abete bianco e in seguito di abete rosso, mentre il clima attuale, adatto al faggio, ha provocato la graduale regressione di queste conifere.

Anche lo sfruttamento da parte dell'uomo del pregiato legname di abete ha accelerato il naturale declino di queste specie.

I nuclei relitti tutelati nel parco conservano un patrimonio genetico unico e originale, utile agli studiosi per ricostruire la storia naturale di questi luoghi, e sono un prezioso serbatoio di diversità biologica per i boschi appenninici.

Parco naturale regionale del Delta del Po

Il Parco è stato istituito nel 1988 con apposita legge regionale. Dichiarato dall'UNESCO patrimonio dell'umanità, il Parco naturale regionale del Delta del Po preserva una delle zone umide più singolari del mondo. Il Parco è il più esteso tra i parchi regionali ed è suddiviso in sei "ambiti territoriali omogenei", ciascuno contraddistinto da particolarità ambientali e paesaggistiche: Volano - Mesola - Goro, Centro storico di Comacchio, Valli di Comacchio, Pineta di San Vitale e Piallasse di Ravenna, Pineta di Classe e Salina di Cervia, Campotto di Argenta. Per tutte queste aree il denominatore comune è l'acqua, ancorché a vari gradi di salinità, che ha determinato l'origine di splendidi ambienti naturali. E dall'acqua, accanto all'acqua, si sono sviluppate nei secoli tutte le attività dell'uomo legate alla pesca, all'agricoltura, alla tradizione, alla cultura, all'arte. La storia dell'area del delta del Po è la storia dell'interazione millenaria tra la natura e l'intervento dell'uomo, che ha reso possibile l'esistenza di una grande varietà di ambienti all'interno di un unico territorio. Le lagune costiere, gli stagni, le valli salmastre e d'acqua dolce che caratterizzano questo lembo di pianura emiliano-romagnola offrono estremo rifugio a diverse specie animali e soprattutto a molti uccelli stanziali e migratori (aironi, anatre, svassi, cavalieri d'Italia, avocette, ecc.). Queste oasi naturali, che oggi convivono con rinomate stazioni balneari e altre zone a elevata antropizzazione, non custodiscono solo rari ecosistemi, ma anche testimonianze storiche e architettoniche di grande rilievo: il castello estense di Mesola, presso l'omonimo bosco di lecci secolari, l'abbazia di Pomposa, tra i più preziosi esempi di arte romanica, la necropoli etrusca di Spina, la città lagunare di Comacchio, la basilica di S. Apollinare in Classe, con i suoi celeberrimi mosaici, che svetta tra Ravenna e le sue antiche pinete. Numerose sono anche le tracce delle opere umane legate alla produzione di sale, all'allevamento del pesce (in particolare dell'anguilla) e alle bonifiche. Il comprensorio deltizio è nato grazie al deposito di detriti avvenuto nel corso dei millenni da parte del fiume Po, che ha determinato il progressivo spostamento della linea di costa del Mar Adriatico. Sui passi dei pellegrini medioevali, e prima ancora delle legioni romane, un triangolo geografico ideale aveva (e ha tutt'oggi) come vertici Venezia, Ferrara e Ravenna. Gli scavi archeologici hanno evidenziato l'esistenza dell'emporio etrusco di Spina, e di importanti relazioni commerciali con le civiltà della Grecia e dell'Europa del Nord. All'epoca etrusca risalgono anche le prime opere idrauliche, finalizzate sia allo sviluppo della navigazione che alla piscicoltura e all'agricoltura. Furono i Romani ad occuparsi della zona e a dotarla di vie di comunicazione per acqua e per terra, potenziando i porti e tutte le attività economiche dell'area. Protetta dalle sue Valli, la città di Comacchio, vera testimonianza storica della civiltà lagunare, si sviluppò fin dal periodo longobardo sfruttando la pescosità delle valli circostanti e la fondamentale risorsa del sale. Il legame ideale fra la città e il prezioso "oro bianco" si coglie a Cervia: fa parte del Parco naturale regionale del Delta del Po la Riserva naturale della salina di Cervia, di 765 ettari, sede di una avifauna caratteristica. Comacchio e Cervia, centri del delta, più di ogni altri, testimoniano la cultura marinara e la vocazione all'acqua dell'intero comprensorio. L'abbazia di Pomposa, fondata dai Benedettini e costruita tra il VII e XI secolo nel cuore del delta, con i suoi straordinari mosaici pavimentali e affreschi, e con il campanile dal perfetto equilibrio architettonico, evidenzia i brillanti risultati raggiunti nell'area dall'arte del periodo. Si tratta di un'epoca che fu peraltro contrassegnata anche da importanti opere di bonifica che migliorarono l'assetto agricolo ed idraulico. L'imbarbarimento dei secoli successivi ricondusse il territorio ad un lento e progressivo impaludamento, finchè nel XVI secolo furono operate nuove opere di bonifica per iniziativa del Duca Alfonso II D'Este, che individuò nel Castello della Mesola, residenza della corte estense durante le partite di caccia nell'omonimo Bosco, il punto di riferimento per le attività da realizzare. La graduale stabilità del paesaggio del delta ha inizio nel Seicento e in particolare dopo l'Unità d'Italia, quando fu dato avvio ad opere di bonifica meccanica colossali, che, nel tempo, hanno interessato decine di migliaia di ettari di palude, portando a cambiamenti radicali sia nella natura che nel paesaggio, sia negli insediamenti che nelle attività antropiche. Nella configurazione attuale del comprensorio deltizio protetto dal Parco, si alternano così aree suggestive dominate dal tema dell'acqua e caratterizzate da una vasta complessità di varietà ambientali e di particolarità paesaggistiche e floro-faunistiche. La straordinaria presenza di uccelli, con oltre 300 specie fra nidificanti, svernanti o di passo insieme ad alcuni mammiferi, come il "cervo delle dune" del Bosco della Mesola, costituisce un patrimonio di fauna di elevato valore. Così come tutti gli elementi "verdi" del Parco, come boschi planiziali o igrofili, pinete e dune rappresentano il patrimonio della flora del delta del Po. Il Parco racchiude al suo interno straordinarie testimonianze ambientali, artistiche, naturalistiche di quello che c'è intorno al delta del Po. Un delta storico ma anche l'attivissimo delta di oggi.

L'ECONOMIA

All'inizio del XXI secolo, nonostante l'agguerritissima concorrenza dei Paesi emergenti asiatici che insidiano l'industria regionale soprattutto in alcuni settori tradizionali - come il tessile-abbigliamento -, l'economia dell'Emilia-Romagna mostra una sostanziale tenuta nel suo aspetto strutturale, caratterizzato da una miriade di piccole-medie imprese la cui vitalità è stata dovuta alle dimensioni ridotte e all'iperspecializzazione, soprattutto nei settori meccanici. Per valore aggiunto l'Emilia-Romagna si colloca al quarto posto tra le regioni italiane, con l'8,5% del totale nazionale; è ai primi posti anche per le esportazioni. Particolarmente alte le quote rispetto al totale nazionale per minerali e prodotti non metallici (32%, grazie soprattutto alla ceramica), prodotti alimentari (18,7%) e macchine agricole (18%). La regione vanta uno dei tassi di imprenditorialità più alti d'Italia: gli occupati indipendenti sono infatti il 32,6% contro una media nazionale che non supera il 28,7%. Il tessuto produttivo è caratterizzato da realtà di piccole e medie dimensioni (in media 5,4 addetti per ogni unità locale), imprese artigiane e cooperative. Per ottimizzare i vantaggi e ridurre i limiti connessi alla presenza di aziende di ridotte dimensioni, sono nati i cosiddetti distretti industriali nei quali il processo produttivo viene segmentato tra diversi subfornitori ognuno dei quali realizza per conto di un'azienda capofila un componente del prodotto finale. Ogni impresa può spingere al massimo il proprio livello di specializzazione, sapendo di poter contare su un numero di commesse sufficiente ad ammortizzare il costo degli investimenti. Settori di punta dell'economia emiliano - romagnola sono l'agroalimentare, il metallurgico e metalmeccanico, il tessile - abbigliamento (il distretto di Carpi), la ceramica (Faenza e Sassuolo), le costruzioni e l'impiantistica. Settore tuttora fondamentale dell'industria è quello della trasformazione alimentare strettamente legato al territorio: basti ricordare i marchi storici del Parmigiano-Reggiano e del Prosciutto di Parma. La fortuna economica della regione poggia innanzitutto sulla forza del settore primario. L'agricoltura emiliano-romagnola è oggi la più meccanizzata d'Italia e ai primi posti per produzione frutticola, orticola, cerealicola e zootecnica. Nelle zone collinari prevale la viticoltura, da cui la moderna industria enologica ottiene vini di pregio (Lambrusco, Trebbiano, Sangiovese, Albana). La suddivisione del territorio in tanti poderi a coltura intensiva è la causa fondamentale della prosperità agricola dell'Emilia-Romagna. Altre concause sono state una capillare rete irrigua e l'estesa opera di bonifica per alcune terre del Ferrarese, iniziata addirittura nel Cinquecento dagli Estensi (si tratta delle cosiddette Terre Vecchie, caratterizzate da filari d'alberi e da isolate cascine, le boarie). L'assenza di alberi e la suddivisione dei campi secondo forme perfettamente geometriche sono i segni distintivi dei territori sottoposti a bonifica in tempi più recenti. Oltre un terzo del suolo romagnolo è stato bonificato. In particolare il drenaggio idrico ha riguardato i territori del Po dove, con l'impiego di gigantesche idrovore e l'escavazione di circa 6.000 chilometri di canali, sono stati guadagnati all'agricoltura oltre 300.000 ettari di terra. Risorsa importante della zona lagunare è l'allevamento di anguille e cefali. Nati in mare aperto, questi pesci emigrano nelle acque di Comacchio per completare il loro sviluppo e poi ridiscendono al mare nel periodo della riproduzione. Nelle valli lagunari, in cui sono state riprodotte le condizioni ambientali più favorevoli per le periodiche migrazioni di tali specie ittiche, la pesca ha assunto strutture e caratteri industriali. L'industria occupa un posto importante nell'economia della regione. La scoperta del metano in provincia di Piacenza (Cortemaggiore) ha fatto dell'Emilia il primo produttore italiano di gas naturale. Il metano rappresenta la necessaria fonte d'energia per molte industrie meccaniche e la materia prima da lavorare per le industrie chimiche, concentrate nelle province di Ravenna e Ferrara. Di grande prestigio e tradizione l'industria motoristica, legata a marchi di auto di gran lusso, come Ferrari e Lamborghini (acquisita totalmente dal Gruppo tedesco Audi nel 1998), e di motociclette, come Ducati e Morini. Nel 1996 il marchio Moto Ducati, insieme a quello Morini, viene acquisito dal fondo d'investimento statunitense TPG (Texas Pacific Group). Nel 1999 la Morini torna alla società della famiglia Morini, specializzata nella produzione di propulsori a due e quattro tempi per motocicli e ciclomotori, mentre la Ducati, con il nuovo management, inizia a trasformarsi da un'azienda puramente metalmeccanica in un'azienda di intrattenimento, incentrata sull'eccellenza tecnologica delle sue moto, ma che si estende anche alle corse, agli accessori e all'abbigliamento. Se lo sviluppo industriale ha riguardato soprattutto l'area emiliana, la Romagna non è rimasta estranea al progresso economico. La costa adriatica è conosciuta come uno dei maggiori poli turistici del Mediterraneo. Vanta infatti la spiaggia più estesa d'Europa e numerose strutture per lo sport, il divertimento e il tempo libero (discoteche, parchi acquatici, campi da golf e maneggi). Qui sorgono il 52% degli alberghi della regione e si concentra il maggiore afflusso di turismo estero, grazie anche a una favorevole politica dei prezzi. Molte tra le stazioni balneari hanno fama internazionale, come Rimini, Riccione e Cesenatico. Rinomate le stazioni termali come Salsomaggiore e Bagno di Romagna, Castrocaro, Porretta e le Terme Marine. L'imponente afflusso turistico consente buone possibilità di guadagno per imprenditori ed artigiani locali e per migliaia di lavoratori stagionali del settore. A livello occupazionale il mercato del lavoro in Emilia-Romagna è prossimo da tempo ad una situazione di pieno impiego, con tassi di disoccupazione a livello fisiologico. A fronte di un certo rallentamento della crescita economica, la struttura del mercato del lavoro regionale si mantiene solida e con spiccati elementi qualitativi: l'alto tasso di occupazione, la partecipazione delle donne, l'alta scolarizzazione e l'ampliamento occupazionale nei servizi. A livello settoriale, l'andamento è però differenziato: alla crescita del numero di addetti nei servizi privati e di lavoratori nell'industria si affianca, infatti, un calo rilevante del numero di occupati nell'agricoltura. I segmenti forti della struttura produttiva regionale sono caratterizzati da livelli retributivi più elevati della media nazionale. è il caso dei lavoratori del settore "minerali e prodotti a base di minerali non metalliferi" e del settore "prodotti alimentari". Infine, in Emilia-Romagna piccolo è meglio anche dal punto di vista salariale. I dipendenti delle imprese di grandi dimensioni (che occupano 500 e più addetti) ottengono in media retribuzioni nettamente meno elevate di quelle degli occupati nelle imprese più piccole.

CENNI STORICI

I primi insediamenti umani

La regione emiliano-romagnola cominciò ad essere abitata al termine dell'ultima glaciazione, oltre 10.000 anni fa, quando le prime popolazioni sparse si insediarono sulle terrazze fluviali dell'alta pianura e lungo la fascia pedemontana. Nel periodo Neolitico (3500-2000 a.C.), sul territorio padano tra il Po e l'Appennino si formano i primi gruppi di popolazione stanziale, corrispondenti alle culture di Fiorano e dei "vasi a bocca quadrata". Con l'Età del Rame (2000-1800 a.C.) e soprattutto con l'Età del Bronzo (1800-900 a.C.) ai villaggi di capanne costruite su palafitte si aggiungono le "terremare", abitati protetti da poderosi argini di terra. La "cultura villanoviana" - cosiddetta- contraddistingue l'Età del Ferro (dal IX secolo a.C.) con la nascita dei primi abitati protourbani. Gli importanti ritrovamenti di Villanova di Castenaso, pochi chilometri a Est di Bologna (da cui la denominazione "cultura villanoviana"), consistenti in corredi funebri ora custoditi al Museo Civico di Bologna, sono la testimonianza di una civiltà dedita al culto dei morti. In epoca storica (fine del VI secolo a. C.) l'abitarono gli Etruschi che vi fondarono Misa (Marzabotto) nella valle del Reno e Fèlsina (Bologna). Vie e percorsi terrestri e fluviali si intrecciano nella regione: il grande emporio commerciale di Spina diventa il luogo di relazione tra il mondo etrusco, quello greco e l'entroterra padano. Alla metà del IV secolo a.C. vi fu l'invasione dei Galli boi venuti dalla Lombardia, portatori di una civiltà rurale che introduce tra l'altro l'allevamento dei suini, blocca il processo di espansione etrusca e favorisce la diffusione dell'insediamento sparso.

L'epoca romana e l'Alto Medioevo

L'occupazione da parte dei Romani della regione avviene dalla valle del Po, per l'esigenza di contrastare le offensive dei Galli e l'azione dei Cartaginesi. Nel 268 a.C., al termine della Via Flaminia, i Romani fondano Ariminum (Rimini), da cui nel 225 a.C. iniziano la conquista della regione che sarà completata solo dopo la seconda guerra punica e la definitiva vittoria sui Galli. Tra il 191 e il 187 a.C. il console Marco Emilio Lepido traccia la Via Emilia, la strada dall'andamento lineare che congiunge Rimini con Piacenza. Lungo questa fondamentale via di comunicazione sorgono via via, nei punti dove la Via Emilia incontra i corsi d'acqua appenninici, a breve distanza l'uno dall'altro, i principali centri: Caesena (Cesena), Forum Popilii (Forlimpòpoli), Forum Livii (Forlì), Faventia (Faenza), Forum Cornelii (Imola), Bononia (Bologna), Mùtina (Modena), Regium Lepidi (Reggio nell'Emilia) e Parma. Tutti adottano il modello dell'accampamento militare romano (castra) di cui la Via Emilia costituisce il decumanus maximus. La campagna fu divisa in appezzamenti quadrati basati su moduli di 740 m di lato, che vennero assegnati ai veterani. Questa suddivisione (detta centuriazione), visibile ancor oggi, effettuata su una fascia continua larga dai 15 ai 20 km tra alta e media pianura, determinò il geometrismo del territorio, condizionando la rete della viabilità principale e secondaria, quella dei canali e degli scoli di bonifica e di irrigazione, la distribuzione degli insediamenti. La colonizzazione agricola e la fertilità del suolo concorsero a fare della regione una delle realtà più ricche del mondo romano, mentre Bologna diventò una delle maggiori città della penisola. Per tutto il periodo romano l'Appennino non venne toccato dall'urbanizzazione, a eccezione della parte sud-orientale, dove sorsero piccoli centri. Sotto l'imperatore Ottaviano Augusto venne fondato il grande porto militare di Classe (27 a.C.) presso Ravenna, sede della flotta imperiale del Mediterraneo orientale. Tutte le terre comprese tra il Po, l'Adriatico e l'Appennino furono riunite nella Regio VIII Aemilia. Nel 215 d.C. il riordinamento amministrativo dell'Italia romana sancisce la separazione dell'Aemilia a Occidente tra Bologna e Piacenza, e della Flaminia a Oriente; legittimato il Cristianesimo con Costantino, si modellerà anche l'organizzazione ecclesiastica intorno alle due sedi arcivescovili di Milano e di Ravenna, dove nel 402 Onorio trasferisce da Milano anche la sede imperiale. Caduto l'Impero Romano d'Occidente, il territorio fu percorso dalle schiere degli Eruli di Odoacre e quindi subì quindi la dominazione degli Ostrogoti di Teodorico che, vincitore (493), regnò sull'Italia da Ravenna. Presso la sua corte soggiornarono gli ultimi scrittori latini (Boezio e Cassiodoro) e furono conservate le tavole del diritto romano del Corpus iuris giustinianeo. La fortuna di Ravenna con il suo porto militare e commerciale crebbe durante il periodo dei Bizantini (chiamati i Romani di Bisanzio, da cui il nome Romagna), che nel 540 d. C. ne fecero la capitale dell'esarcato. Nel 568 iniziò la conquista da parte dei Longobardi, che crearono nel 579 il ducato di Parma; si ripropose la divisione della regione in due parti lungo la linea dal Panaro fino al Po, la Longobardìa a Ovest e la Romagna bizantina a Est. Nei due secoli successivi i Longobardi proseguirono la loro azione di conquista del territorio fino alla definitiva caduta di Ravenna nel 751. In questo lungo periodo fu fondamentale l'opera che organizzazioni come i monasteri e le abbazie intrapresero per la bonifica e lo sfruttamento agricolo del territorio: Bobbio (614), Nonàntola (751-52), Pomposa (documentata dal IX secolo) sono i centri attorno ai quali si creano nuovi agglomerati urbani. Il fiume Po con il suo delta diventa il fulcro di un nuovo sviluppo, nascono i nuclei di Ferrara (sec. VII) e Comacchio, sede vescovile fin dal V secolo e città dotata, tra il VI e il IX, di una potente flotta. La reazione dei Franchi all'invasione longobarda determinò nel 754-56 un nuovo rivolgimento politico: Ravenna e l'antico esarcato bizantino passarono sotto il controllo papale, mentre nelle città le funzioni comitali furono assunte direttamente dai vescovi. Tra X e XI secolo si diffuse nelle campagne l'incastellamento, complesso di torri e altre costruzioni come efficace difesa contro le incursioni di Ungari e Saraceni. Notevolissimo fu il ruolo politico della famiglia degli Attoni di Canossa, signori di un territorio amplissimo, comprendente le province di Reggio, Modena, Bologna, Mantova, Ferrara, Bergamo, Brescia, fino al marchesato di Toscana; durante la lotta per le investiture spiccò la figura di Matilde di Canossa, alleata del papa Gregorio VII contro l'imperatore Enrico IV.

L'età comunale

Con la rinascita che segue l'anno Mille si verificò un intensificarsi di scambi commerciali con un progressivo accrescersi dell'importanza economica e politica delle città rispetto ai feudatari del contado, importanza che condurrà alla costituzione dei Comuni. Alla fine del XII secolo la Via Emilia riprende il suo ruolo di grande arteria insieme alla nuova direttrice Bologna-Firenze. La nuova struttura urbana valorizza la piazza come centro della vita cittadina, dove sorgono le monumentali sedi dei poteri religioso, civile ed economico. Grazie alla fondazione dell'Università (1088), Bologna diventa polo di riferimento di tutta la regione, ma soprattutto della parte nord-orientale, dove si diffonde lo Studio (Ferrara, Parma, Modena, Reggio). L'arte conosce una sua prima grande rinascita grazie all'opera di Wiligelmo e Benedetto Antelami. Le autonomie comunali, soppresse dall'imperatore Federico I Barbarossa nella dieta di Roncaglia (1158), presso Piacenza, vennero definitivamente riconquistate dai Comuni riuniti nella Lega lombarda con la battaglia di Fossalta (presso Modena) nel 1249; il figlio di Federico II, re Enzo, venne fatto prigioniero e rinchiuso nel Palatium novum di Bologna fino alla sua morte (1272). Si diffondono i borghi fortificati con funzioni di presidio dei confini e punte avanzate del popolamento, come Castel Guelfo, Castel San Pietro, Castel San Giovanni, Rubiera, Reggiolo, Castel Bolognese. Nel 1152 il Po, che passava a Sud di Ferrara dove si divideva nel Po di Volano e nel Po di Primaro, muta il suo corso con la rotta di Ficarolo, aprendo un nuovo alveo - il Po di Venezia o Po Grande - che segna il limite attuale della regione. Le città sulla Via Emilia individuano ancora nel fiume uno strumento economico fondamentale e vi si collegano tramite canali navigabili. Nelle campagne si diffonde la mezzadria, che dominerà fino al XIX secolo.

Il rinascimento emiliano-romagnolo

Le istituzioni comunali non sopravvissero alle lotte civili tra Guelfi e Ghibellini, sostenitori rispettivamente del papato e dell'Impero. Della situazione di instabilità politica dei comuni approfittarono alcune famiglie altolocate, che fra il XIII e il XIV secolo riuscirono a prendere il potere nelle città istituendo le signorie: gli Estensi a Ferrara, i Da Polenta a Ravenna, i Malatesta a Rimini, i Manfredi a Faenza, gli Ordelaffi a Forlì, i Pio a Carpi, i Pepoli a Bologna, gli Alidosi a Imola, i Landi nelle valli del Taro e del Ceno, i Visconti e poi gli Sforza di Milano a Parma e Piacenza. Tuttavia, alla fine del Duecento l'imperatore Rodolfo d'Asburgo riconobbe al papato il possesso della Romagna e di Bologna, che con i suoi quasi cinquantamila abitanti è tra le dieci maggiori città d'Europa. Durante il periodo avignonese del papato i suoi legati, i cardinali Bertrando del Poggetto e soprattutto Egidio Albornoz, ristabiliscono anche con la forza militare il dominio sulla parte centro-orientale della regione: il nuovo ordinamento, sancito dalle Costituzioni dette poi "Egidiane", durerà fino al 1796. Le signorie favorirono ovunque il rinnovamento economico e culturale, mentre l'influsso dell'arte toscana si fa sentire nell'intera regione e il ducato mediceo si espande politicamente fino alle porte di Forlì. Nel richiamo all'antichità classica viene riesumato il nome Emilia, perso a partire dai rivolgimenti del VI secolo. L'azione militare aggressiva di Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro VI, sconvolge la Romagna. Il conflitto prosegue anche con il successore papa Giulio II, concludendosi con la definitiva conquista di Bologna da parte del potere pontificio (1506). L'influenza romana, che si manifesta con Baldassarre Peruzzi e Jacopo Barozzi e il Vignola, sostituisce quella fiorentina. Dopo il Trattato di Cateau- Cambrésis (1559) l'assetto geopolitico della regione è questo: ducato di Ferrara con Modena, Reggio e Carpi agli Estensi; ducato di Parma e Piacenza ai Farnese; Bologna e Romagna allo Stato pontificio; Guastalla a un ramo dei Gonzaga; Correggio ai Da Correggio; Miràndola ai Pico; Repubblica di San Marino. Dal punto di vista economico, il Cinquecento è caratterizzato soprattutto dall'avvio delle grandi bonifiche, rese possibili dallo sviluppo della scienza idrografica. La regione si mantiene prospera e densamente popolata, mentre si accentua la separazione culturale tra città e campagna.

Il Seicento e il Settecento

Con l'annessione (1598) di Ferrara allo Stato della Chiesa, la regione restò per secoli suddivisa in tre parti: la Chiesa e i due ducati estense (Modena e Reggio) e farnesiano (Parma e Piacenza). Tra il XVII e il XVIII secolo fiorisce la stagione della civiltà di villa, con le dimore, connesse a estesi fondi, della nobiltà e della borghesia facoltosa e le regge ducali ispirate ai modelli d'oltralpe, soprattutto francesi: Colorno, Rivalta, Sassuolo. Nel Settecento le idee illuministiche e riformistiche iniziano a diffondersi e a trovare concreta applicazione nelle scelte di governo dei principi e dello stesso Stato pontificio. Inizia in agricoltura la specializzazione delle colture, si aprono nuove vie di comunicazioni o si sistemano tracciati già esistenti, come la Via Giardini (1766-76) per il passo dell'Abetone, la strada dei due mari, la strada della Futa (1759-60), la strada Modena-Mantova (1778-81), la strada della Lunigiana per il passo del Cerreto (iniziata nel 1785), poi già nell'Ottocento la strada per Genova della Val Trebbia (1807), la strada Pontremolese (1808), la strada della Cisa (1809-33), la strada Porrettana (1816-43), la strada del Muraglione (1831). La costruzione di queste strade incentiva, tra l'altro, il moto di emigrazione verso la pianura. L'attività rinnovatrice interessa anche la Via Emilia, lungo la quale tra il 1771 e il 1838 sono ripristinati o realizzati quasi tutti i ponti della parte emiliana. Dopo l'estinzione dei Farnese, il Trattato di Aquisgrana (1748) assegna il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla a Filippo di Borbone, genero del re Luigi XV di Francia.

Dalla Repubblica cisalpina allo Stato unitario

L'epopea napoleonica in Italia condusse alla proclamazione, il 7 gennaio 1797, della Repubblica Cispadana, comprendente i territori di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, che adottò quale propria bandiera il vessillo tricolore. La Repubblica Cispadana si fuse quindi alla Repubblica Cisalpina. La regione ritrovò così l'unità politica fino al Congresso di Vienna (1815) e visse una stagione di riforme, alle quali si accompagnò il consolidamento della borghesia imprenditoriale e intellettuale, liberale e moderata. Caduto Napoleone, il Congresso di Vienna riportò nella regione i signori di prima e il dominio temporale della Santa Sede, salvo Parma e Piacenza governate da Maria Luisa d'Austria. Dopo aver attivamente partecipato ai moti risorgimentali, nel 1859-60 la regione si liberò dell'occupazione austriaca e dei governi dei ducati e delle legazioni. Il territorio della regione, riunificato sotto la dittatura di Luigi Carlo Farini, fu unito al Piemonte di Vittorio Emanuele II con il plebiscito del 1860 e, quindi, allo Stato italiano. Alla fine dell'Ottocento le antiche mura medioevali delle città vengono demolite per fare spazio alle circonvallazioni. Nelle città nascono le prime industrie e i quartieri operai, mentre verso Sud e le colline si diffonde la residenza di qualità, oggetto delle prime speculazioni immobiliari. Nell'agricoltura predomina la coltura del frumento, che nel 1913 fornirà i due terzi della produzione italiana, mentre l'allevamento si concentra nella pianura irrigua. Nel 1872 prende avvio la "Grande bonifica ferrarese", finanziata da capitali stranieri, che utilizzando innovazioni tecniche come le idrovore a vapore trasformerà radicalmente il territorio ferrarese orientale.

Movimenti sociali e lotta politica

Nell'Italia post-unitaria la regione Emilia-Romagna è teatro di proteste sociali come quelle dette "del macinato" (1869). Il panorama politico vede già una contrapposizione tra il socialismo, particolarmente diffuso nelle campagne, e il movimento cattolico, particolarmente forte a Modena e Bologna - dove, nel 1856, viene fondata l'Associazione cattolica italiana, poi l'Opera dei Congressi, matrice del futuro Partito popolare. Nel 1881 a Rimini è fondato il Partito socialista rivoluzionario di Romagna; poco dopo a Imola il settimanale "Avanti!" e, nel Congresso di Reggio del 1893, il Partito socialista italiano, mentre emergono le personalità carismatiche dell'imolese Andrea Costa e del reggiano Camillo Prampolini. Nel 1896 viene fondata la prima cooperativa, premessa di un futuro, massiccio sviluppo del movimento cooperativo, le cui figure più rappresentative sono Giuseppe Massarenti e Nullo Baldini. Nel 1911 si contano più di 900 cooperative agricole e più di 1.700 cooperative di consumo. Socialista è anche Benito Mussolini, nato a Predappio (Forlì); espulso per la sua scelta interventista e nazionalista dal PSI, ne diventa il maggior nemico quando, dopo la prima guerra mondiale, fonda il Partito nazionale fascista, del quale l'Emilia-Romagna esprimerà altri esponenti di primo piano come Italo Balbo e Dino Grandi. Attraverso i suoi agrari, l'Emilia-Romagna dà un contributo fondamentale all'affermazione del fascismo; allo stesso tempo, proprio per la diffusa presenza del movimento socialista e cooperativo, la sua popolazione è tra le più colpite dalla violenza delle squadre fasciste. Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali inizia il processo di modernizzazione delle strutture socio-economiche con lo sviluppo dell'industria moderna, del turismo balneare e dei servizi. Le trasformazioni agricole che accompagnano un sistema economico in via di industrializzazione vedono un incremento dell'allevamento bovino e suino. La tragica parentesi della seconda guerra mondiale impone un altissimo tributo di sangue alla popolazione civile: la fucilazione dei sette fratelli Cervi a Reggio (28 dicembre 1943), la strage di Marzabotto (28 settembre - 5 ottobre 1944) e le vittime del campo per deportati politici e razziali di Fòssoli, vicino a Carpi. La lotta partigiana si concentra soprattutto nelle zone montane e nelle valli del delta del Po. Nel 1947, la Costituzione repubblicana attribuisce ufficialmente alla regione la denominazione di Emilia-Romagna.

Il "modello" emiliano

Nel secondo dopoguerra la regione diventa una delle principali protagoniste del miracolo economico italiano. Negli anni Sessanta si conclude la fase delle bonifiche delle valli di Comacchio, con una ulteriore riduzione delle aree umide, passate da 153.000 ettari nel 1865 a 15.000. Le alterazioni ambientali del territorio regionale sono assai rilevanti anche nella pianura, dove le coltivazioni estensive hanno causato la scomparsa di milioni di alberi, e lungo la costa, dove la cementificazione ha distrutto le pinete e le dune costiere. Notevole lo sviluppo delle infrastrutture: tra il 1956 e il 1967 sono realizzate le autostrade Milano-Bologna, Bologna-Firenze e Bologna-Rimini, alle quali seguiranno nel 1970 la Bologna-Padova e nel 1972 la Parma-La Spezia. Caso unico in Italia e nell'intero Occidente, lo sviluppo capitalistico emiliano degli anni Settanta e Ottanta del XX secolo ha avuto tra i suoi principali protagonisti il sistema cooperativo e un'amministrazione politica egemonizzata a tutti i livelli (regionale, provinciale e comunale) dai partiti di sinistra e in particolare dal Partito comunista, che ha conseguito importanti risultati anche nelle politiche sociali, nella sanità, nella scuola. Negli ultimi decenni si è avuto un fortissimo tasso di urbanizzazione, dovuto a un ulteriore, intenso sviluppo delle strutture produttive. L'economia regionale, basata su piccole e medie imprese, ha registrato una forte espansione anche sui mercati internazionali grazie al suo dinamismo e alla capacità di creare "aree-sistema": Sassuolo, con il comprensorio delle ceramiche; Carpi e in genere Reggio e Modena per il tessile-abbigliamento legato alla moda; Ferrara e Ravenna per l'industria chimica; Bologna e Modena per il settore manifatturiero, in particolare metalmeccanico. Fortissima inoltre emerge l'industria alimentare-conserviera legata alla ricca tradizione gastronomica e a un'agricoltura fiorente, anche se impiega sempre meno addetti. Lungo la costa è determinante l'industria turistica, tra le più qualificate del mondo, sostenuta da un'imponente organizzazione alberghiera. Nei mutamenti economici e politici, italiani e internazionali, che hanno caratterizzato gli ultimi anni del XX secolo, il modello emiliano ha dimostrato una buona tenuta, anche se da quegli sconvolgimenti la regione non è uscita indenne, perdendo alcuni dei tratti, in parte reali e in parte leggendari, che ne facevano il posto più socialista dell'Occidente capitalista. L'egemonia di sinistra nel sistema politico-amministrativo è stata in taluni casi interrotta, come nel caso di Bologna dove, dopo 54 anni di ininterrotta maggioranza di sinistra, il governo cittadino è stato retto, dal 2000 al 2004, da una coalizione di centro-destra.

IL PERCORSO ARTISTICO E CULTURALE

Il periodo villanoviano

L'Età del Ferro (dal IX secolo a.C.) fu caratterizzata nell'Emilia padana dal fiorire della cultura villanoviana che si consoliderà, nel corso del VI secolo a.C., anche grazie a movimenti migratori provenienti dalla zona tosco-umbra. Il nome deriva dalla località di Villanova, presso Bologna, dove nel 1853 venne scoperta una necropoli. Considerata la più importante cultura italiana della prima Età del Ferro, e la prima che in Italia esprimesse forme di insediamento urbano, la cultura villanoviana ebbe in Fèlsina (Bologna) la sua capitale, nella vicina Misa (Marzabotto), sulla strada per l'Etruria centrale, uno dei centri più ricchi, e in Spina il porto principale, aperto ai commerci con la Grecia, come documentano numerosi ritrovamenti di ceramica attica. La pianura si configura come luogo di scambi e di confronti tra le culture del Centro Italia e quelle celtiche e del Veneto, con diffusi fenomeni di convivenza tra popolazioni di ceppi diversi. Caratteristico del villanoviano è il vaso di forma biconica per conservare le ceneri del defunto. In seguito ai numerosi sepolcreti scoperti, la civiltà villanoviana viene divisa in quattro fasi: quella di S. Vitale, la Benacci I (VIII sec.a.C.), la Benacci II (VII sec. a.C.) e quella di Arnoaldi (VI sec.a.C.), dopo di che confluì nella civiltà etrusca.

Dalla romanità all'Alto Medioevo

All'inizio del II secolo a.C. l'area emiliano - romagnola entrò nell'orbita romana. Di fondamentale importanza fu la realizzazione della Via Emilia, voluta dal console Marco Emilio Lepido, asse di collegamento fra Nord e Centro Italia, nonché di congiunzione tra le città di Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Bologna, Faenza, Forlì e Rimini. Altre opere con funzione celebrativa o civile risalenti all'epoca romana furono l'arco di Augusto e il ponte di Tiberio a Rimini, là dove la Via Emilia si congiunge alla Flaminia. Ma la colonizzazione romana segnò in modo profondo la regione sia attraverso la centuriazione, cioè la ripartizione degli appezzamenti coltivabili assegnati ai veterani dell'esercito, sia attraverso lo schema viario dei centri cittadini, le cui strade erano ortogonalmente disposte attorno ai due assi viari principali; ciò è ben evidente nella zona archeologica di Velleia. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce reperti che testimoniano una condizione di prosperità delle città nel I e nel II secolo: monumentali sarcofagi, lastre a rilievo, stele con ritratti di defunti - talora notevoli saggi d'arte provinciale - provenienti dalle necropoli spesso situate lungo la Via Emilia, epigrafi e statue provenienti dai fori e dalle aree pubbliche, elementi decorativi e d'arredo dai ricchi palazzi cittadini e dalle ville-azienda sparse nella fertilissima campagna padana. Dal 402 d.C. Ravenna fu capitale dell'Impero romano d'Occidente e, alla caduta di questo (476), dell'esarcato bizantino sino al 751, anno della conquista longobarda. Grazie alla sua importanza politica, Ravenna fu in questi secoli il luogo in cui si concentrarono eccezionali testimonianze dell'arte e dell'architettura: il mausoleo di Galla Placidia (anteriore al 450), a croce greca, dove il rivestimento interno a mosaico realizza una delle più suggestive creazioni della storia dell'arte; il mausoleo di Teodorico (prima metà del VI secolo), che ripropone la struttura centrale dei sepolcreti romani con inedita potenza plastica, impressa dal motivo a tenaglia - riscontrabile nell'oreficeria barbarica - che scandisce la superficie della cupola monolitica; le chiese di S. Apollinare Nuovo, S. Vitale e S. Apollinare in Classe (VI secolo), che custodiscono esempi straordinari dell'arte musiva ravennate.Dal VII secolo si impone un altro fondamentale fattore di cultura, cioè la fondazione delle abbazie benedettine, luoghi in cui l'eredità classica viene preservata grazie all'attività degli scriptorium, e la produzione artistica viene favorita: celebri le abbazie di S. Colombano a Bobbio e di S. Silvestro a Nonàntola, sorte rispettivamente nel 614 e nel 752 sotto la protezione dei re longobardi, e nella Romagna l'abbazia di S. Maria di Pomposa, che si ritiene risalga all'VIII secolo. Testimonianze eloquenti del periodo abbaziale sono la lastra nella cripta di S. Colombano (IX secolo), con il motivo longobardo dell'intreccio stilizzato, e il Liber gradualis di Nonántola (X secolo), che racchiude nella preziosa copertura in avorio il prodotto di uno scriptorium di rilievo europeo.

Il romanico padano

Il fiorire dell'età dei Comuni, fra l'XI e il XII secolo, corrisponde all'affermarsi di personalità artistiche come l'architetto Lanfranco, che nel 1099 inizia l'edificazione del Duomo di Modena, e lo scultore Wiligelmo, attivo nello stesso cantiere, la cui influenza si ritrova nelle chiese abbaziali di Nonántola e di S. Benedetto in Polirone, nell'Oltrepò mantovano.

Lo stile romanico padano si impone nelle architetture delle cattedrali a Piacenza, Parma, Reggio, Modena, Bologna, Ferrara, nelle quali l'impianto della basilica romana viene armonizzato con la struttura chiesastica borgognona; il duomo (da domus, casa di Dio) è l'edificio simbolo della città, e rappresenta la continuità ideale, attraverso i secoli, del nascente Comune con il glorioso municipium romano.

Il concetto stesso di "romanico" ha insita l'idea del recupero dell'arte romana, e non soltanto come ripresa di soluzioni formali - da sarcofagi, stele, capitelli, ritratti - ma anche come reimpiego di parti riesumate dal sottosuolo, che vanno a decorare le cattedrali di Modena e Parma.

Il linguaggio di Wiligelmo utilizza modelli tardo-antichi, di cui si serve per esprimere una visione drammatica della realtà umana.

I temi raffigurati nei rilievi che affollano gli elementi architettonici delle cattedrali di Modena e Ferrara, del Battistero di Parma, sono tratti dall'Antico e dal Nuovo Testamento, accostati in un parallelismo che è fondamento dottrinario della riforma cluniacense, ma si ricorre anche alle favole di Esopo e di Fedro, o a remote leggende come quella di Barlaam e Josaphat (Battistero di Parma), ai bestiari sia del mito classico sia medioevali, alle raffigurazione dei Mesi dell'anno: un'eterogenea moltitudine di immagini, spesso assunte a metafora della condizione umana su cui si esercita la missione di salvezza della Chiesa.

Posteriori a Lanfranco e Wiligelmo sono artisti come Nicolò, attivo nelle cattedrali di Ferrara e di Piacenza (iniziata nel 1122), Anselmo, maestro campionese sensibile ai modi provenzali, e Benedetto Antelami, legato al Duomo e al Battistero di Parma e alla Cattedrale di Fidenza, che introduce elementi dell'Ile-de-France nello stile romanico - lombardo.

In epoca medioevale, alla Via Emilia si aggiunge una serie di assi verticali che collegano la Pianura Padana all'area oltre appenninica.

Il passo di Monte Bardone (attuale Cisa), sulla strada Romea, e le valli solcate dai fiumi Trebbia, Taro, Enza, Secchia, Marecchia diventano percorsi consueti a pellegrini e a mercanti.

Dai crinali appenninici, in punti di rilievo logistico - da Marola a Toano, da Fiumalbo a Monteveglio - attorno al 1100 si dirama l'influenza della contessa Matilde di Canossa, il cui dominio spazia verso la pianura lombarda e verso la Toscana.

Il gotico

La presenza di Giotto a Ferrara e a Rimini - testimoniata dal Crocifisso del Tempio Malatestiano, databile intorno al 1312 - fu tra gli elementi che determinarono uno straordinario sviluppo della pittura riminese. Caratterizzata da una ritrovata classicità e da un'umanizzazione di figure e gesti, questa stagione pittorica si rivela appieno nelle opere di artisti come Giovanni da Rimini, autore nel 1309 del Crocifisso di Mercatello sul Metauro (Pesaro), e Pietro da Rimini, autore del Crocifisso di Urbania (1320 ca.) e, presumibilmente, degli affreschi nell'ex chiesa di S. Chiara a Ravenna. Altre opere significative del periodo sono gli anonimi affreschi di S. Pietro in Sylvis a Bagnacavallo, della chiesa riminese di S. Agostino, del refettorio dell'abbazia di Pomposa e in S. Maria in Porto Fuori presso Classe.

Intanto Bologna si impone come il centro culturalmente più vivace della regione, grazie soprattutto all'attività della sua celebre università. I rapporti con la Francia e la presenza di opere d'oltralpe favoriscono il fiorire di un'arte originale, anche a fronte delle contemporanee esperienze toscane, di cui è protagonista Vitale da Bologna. Negli affreschi della chiesa di Mezzaratta (Bologna, Pinacoteca nazionale) e in particolare nel Presepe (1340 ca.) egli manifesta un'espressività "gotica", ovvero anticlassica, e un vivace realismo. Negli affreschi dell'abbazia di Pomposa (1351), lo stile di Vitale si fa più solenne e riflessivo. Accanto al caposcuola s'impone lo Pseudo Jacopino, autore dell'affresco di S. Giacomo alla Battaglia di Clavijo, già in S. Giacomo Maggiore (Bologna, Pinacoteca nazionale). L'attenzione al dato naturale si ritrova anche nella scultura del tempo, che si esprime nelle scene scolastiche raffigurate sui sepolcri dei dottori dell'ateneo bolognese. Un altro artista di area emiliana, Tommaso da Modena, elabora uno stile lineare e narrativo che anticipa il gotico internazionale, esemplato da due affreschi modenesi, le Madonne di S. Biagio e di S. Agostino.

Nel 1390 viene iniziata a Bologna la costruzione di S. Petronio, su progetto di Antonio di Vincenzo, che del gotico offre una versione dai moduli ampi e distesi. Proprio in S. Petronio, Giovanni da Modena affrescò la Cappella Bolognini con il Paradiso e l'Inferno e le Storie dei Magi (1410 ca.), secondo la poetica tardo-gotica e con l'efficacia rappresentativa che è propria di un largo filone dell'arte emiliana. Il gotico internazionale vanterà testimonianze di squisita raffinatezza in Ferrara, con il soggiorno di Pisanello (1438) e con l'attività di Antonio Alberti.

Il Rinascimento padano

Sin dall'inizio del Quattrocento è documentata nella regione la presenza di numerosi artisti toscani: a Bologna, dal 1425 Jacopo della Quercia scolpisce i rilievi e le statue nel portale maggiore di S. Petronio, nel 1437 Paolo Uccello lascia in S. Martino mirabili prove di sperimentazione prospettica nell'affresco della Natività. Verso la metà del secolo operano a Carpi i fiorentini Della Robbia, le cui ceramiche invetriate si trovano nel Castello dei Pio. Nel Duomo di Modena lavorano Michele da Firenze e Agostino di Duccio (1445 ca.), quest'ultimo attivo, dopo il 1450, anche presso il Tempio Malatestiano di Rimini. Quest'ultimo, su progetto di Leon Battista Alberti, rappresenta nell'architettura l'aspirazione dell'Umanesimo toscano verso la bellezza ideale, elaborata alla luce della classicità greco-romana. All'interno, l'affresco di Piero della Francesca (1451) e i marmi scolpiti di Agostino di Duccio contribuiscono a fare del Tempio uno degli esempi più alti della cultura artistica rinascimentale. Ritroviamo sia l'Alberti che Piero alla corte degli Este, a Ferrara, dove il primo progettò il campanile della Cattedrale e, forse, l'arco del Cavallo, mentre il secondo eseguì affreschi, andati perduti, nel Castello (1449). Da qui si diffonde, in Emilia e Romagna, il concetto umanistico di arte, imperniato su un'idea di spazio organizzato tramite la prospettiva, subito recepita dagli artisti locali, tra cui Cristoforo e Lorenzo da Lendinara, autori del Giudizio universale affrescato nel Duomo di Modena (1460 ca.). Poco dopo la metà del Quattrocento, Ferrara diventa il luogo di una straordinaria fioritura artistica, definita dallo storico dell'arte Roberto Longhi "officina ferrarese". In questo filone pittorico anticlassico sono riconoscibili diversi influssi: la lezione di Piero della Francesca, rielaborata in chiave di drammatica espressività, l'esperienza di Rogier van der Weyden, pittore fiammingo attivo presso gli Estensi, lo stile donatelliano dei celebri bronzi. Espressione di questo fermento artistico è il ciclo di affreschi di Palazzo Schifanoia (1469-70), dove Francesco del Cossa, con il giovane Ercole de' Roberti e probabilmente sotto la direzione di Cosmè Tura, rappresenta la corte di Borso d'Este, scandita nei dodici mesi, sotto l'egida dei segni zodiacali, accostando scene di vita quotidiana a fantasiose visioni astrologiche. Verso la fine del Quattrocento la città di Bologna conosce un periodo di straordinaria vivacità artistica sotto la signoria dei Bentivoglio, che cesserà nel 1506 con l'avvento del governo papale: presso la corte bolognese operano i ferraresi del Cossa, de' Roberti, Lorenzo Costa e il bolognese Francesco Francia, i cui dipinti del periodo maturo riflettono un classicismo sensibile agli influssi del Perugino. Una stagione felicissima, rappresentata ai massimi livelli dagli affreschi perduti della Cappella Garganelli in S. Pietro, opera di Ercole de' Roberti (un frammento superstite è nella pinacoteca nazionale).

Di particolare rilievo, inoltre, la produzione scultorea in terracotta, materiale che sopperisce alla locale carenza di marmi e materiali lapidei. Protagonisti sono Niccolò dell'Arca, pugliese operoso a Bologna ove esegue il Compianto su Cristo morto nel santuario di S. Maria della Vita (1463), e il modenese Guido Mazzoni, autore del Presepe nel Duomo della sua città (1430) e di vari Compianti ancora a Modena, a Ferrara, a Guastalla, a Busseto, gruppi in terracotta policroma di acuta espressività con influssi ferraresi e franco-fiamminghi.

Il primo Cinquecento è pervaso anche nell'area emiliano-romagnola dalla preponderante influenza di Michelangelo, attraverso le statuette dell'arca di S. Domenico (1494) a Bologna e lo scomparso monumento bronzeo a papa Giulio II sulla facciata di S. Petronio, e di Raffaello, autore di due pale emiliane, l'Estasi di S. Cecilia già in S. Giovanni in Monte a Bologna (1514, Pinacoteca nazionale) e la Madonna Sistina già in S. Sisto a Piacenza (1515 ca., Gemäldegalerie di Dresda). Importante anche il contributo di seguaci di Raffaello come Baldassarre Peruzzi (disegni per le fabbriche bolognesi di S. Petronio e di S. Pietro), Giulio Romano (progetto per la tomba di Claudio Rangoni, ora nel Duomo a Modena, 1537), Jacopo Barozzi detto il Vignola (Palazzo Farnese a Piacenza, 1559, il portico dei Banchi a Bologna, 1565-68). La tradizione plastica prosegue con Alfonso Lombardi, ferrarese attivo a Bologna; suo il Transito della Vergine in S. Maria della Vita (1522), dalla gestualità eloquente, e la posteriore Madonna e santi di Faenza (1524, Pinacoteca comunale), classicamente misurata. Seguace del Lombardi è il modenese Antonio Begarelli, autore dei complessi statuari di S. Pietro in Modena (1536-1553) e di S. Giovanni in Parma (1540 ca.).

Il territorio della regione fu interessato da un altro fenomeno squisitamente rinascimentale, favorito dal mecenatismo dei vari signori locali: il progetto e la realizzazione di quartieri urbani o intere cittadine ideate secondo la concezione umanistica di "città ideale". Tra gli esempi più cospicui vi è la cosiddetta "addizione erculea" di Ferrara, voluta dal duca Ercole I d'Este (dal 1492): a Nord del Castello un nuovo quartiere sorge su una razionalissima pianta ortogonale progettata da Biagio Rossetti; all'incrocio degli assi principali, Rossetti concepisce il Palazzo dei Diamanti, dal rivestimento marmoreo a bugnato, geniale alternativa al laterizio, tipico delle città padane. Sull'esempio ferrarese vengono realizzate l'"addizione erculea" di Modena, altra città estense (dal 1535), la riqualificazione urbanistica di Carpi, capitale di Alberto III Pio, il nuovo impianto di Guastalla voluto da Ferrante Gonzaga su disegno di Domenico Giunti (metà del Cinquecento); di lì a breve Mirandola si riorganizza come munitissima roccaforte sotto l'impulso di Ludovico Il Pico. Tardo modello dell'urbanistica rinascimentale è Terra del Sole, cittadella a pianta stellata eretta da Cosimo de' Medici ai confini della Toscana (dal 1564). Caso a sé stante in quanto sede periferica di una signoria non locale, il forte di San Leo, nella valle della Parecchia, commissionato da Federico da Montefeltro al senese Francesco di Giorgio Martini (dopo la metà del XV secolo). Fra Quattrocento e Cinquecento, inoltre, vengono edificate nelle campagne dimore signorili e numerose strutture difensive vengono trasformate in senso residenziale, come avviene per il Palazzo dei Pio a Carpi, la Rocca dei Boiardo a Scandiano (Modena), il Castello dei Rossi a San Secondo Parmense, la Rocca dei Meli Lupi a Soragna. Viene privilegiata la struttura con torri angolari, desunta dal modello del fortilizio: così la Rocca di Riolo, il Palazzo dei Bentivoglio a Gualtieri e il castello estense della Mésola, entrambi su progetto di G.B. Aleotti, la "Villa di delizie" estense del Verginese presso Portomaggiore (Ravenna), attribuita a Girolamo da Carpi.

Manierismo e classicismo

Attivo soprattutto a Parma fino alla morte (1534), Correggio è l'originale personalità artistica che accoglie ed elabora sia l'esempio del Raffaello operante a Roma sia suggestioni lombarde e venete provenienti da Mantenga e da Leonardo. Tali influenze sono ravvisabili negli affreschi parmensi della camera di S. Paolo (dal 1519), dove "lombarda", ovvero padana, è la ricca sostanza umana che permea l'intero ciclo. Nei grandi affreschi a S. Giovanni Evangelista (1520) e nel duomo (1526-30) Correggio conferma l'essenza "lombarda" della sua idea di spazio: non definito da architetture ma alluso dalle forme di corpi e nubi, investite dalla luce spiovente. Ancora "lombardo", di impronta leonardesca, è quel tono colloquiale e coinvolgente delle pale dell'artista, come la Madonna di S. Girolamo, o il Giorno (Parma, Galleria nazionale). In senso decisamente manierista si sviluppa invece l'opera del Parmigianino (affreschi in S. Maria della Steccata di Parma, 1530-39), che si contraddistingue per l'esasperazione della tensione compostiva, fino ad esiti di raffinata astrazione. Presso la corte estense, intanto, si affermano personalità artistiche come il Garofano, Girolamo da Carpi e soprattutto Dosso Dossi, influenzati dal classicismo raffaellesco; evidente, in quest'ultimo, la predilezione per i temi mitologico-allegorici. La maniera del Dossi rappresenta un elemento costitutivo nell'opera di artisti come Bastianino e i Filippi, attivi a Ferrara nella seconda metà del Cinquecento. Altri esempi cospicui di come il Manierismo si manifesta in Emilia sono gli affreschi di Niccolò dell'Abate nella Sala del Fuoco del Palazzo comunale di Modena (1545) e nei palazzi Torfanini e Poggi di Bologna (1550-52), le storie di Ulisse del lombardo Pellegrino Tibaldi, ancora a Palazzo Poggi. Il michelangiolismo di Tibaldi si ritrova anche nella maniera di Lelio Orsi, autore degli affreschi delle dimore dei Gonzaga di Novellara (Modena, Galleria estense). A Parma, la squisita eleganza del Parmigianino trova seguito nella pittura di Girolamo Mazzola Bedoli e di Jacopo Bertoja, frescanti presso il Palazzo ducale del Giardino. Nell'ultimo quarto del Cinquecento Bologna diventa centro di rinnovamento artistico grazie ai Carracci - i fratelli Annibale e Agostino e il cugino Ludovico - fondatori dell'Accademia del "naturale", poi degli Incamminati, di tendenza antimanierista. La "riforma" figurativa dei Carracci rivitalizza lo stile corrente in senso naturalistico, impiegando modi e temi desunti dall'esperienza del reale. Evidente vi è, inoltre, la lezione cromatica di pittori veneti come Tiziano, Veronese, Tintoretto. Attivi anche nel romano Palazzo Farnese - dove lasciano un esempio di fondamentale importanza per la transizione al Barocco -, i Carracci danno una superba prova del loro magistero nel fregio con le storie di Romolo del bolognese Palazzo Magnani (1590-92). Custodite nella Pinacoteca nazionale sono le pale della Madonna dei Bargellini di Ludovico (1588) e della Madonna di S. Ludovico di Annibale, con un preludio del futuro paesaggio classico. I Carracci lasciano una profonda traccia sui pittori emiliani rappresentanti del "classicismo seicentesco" come Domenichino, Francesco Albani e Guido Reni, geniale autore della celebre Strage degli innocenti (Bologna, Pinacoteca nazionale), e una schiera di artisti tra i quali Bartolomeo Schedoni, Giovanni Lanfranco, Carlo Bononi, Guido Cagnacci, Alessandro Tiarini. Ormai in pieno Barocco, il Guercino si orienta, per influsso del Reni, verso un levigato classicismo arricchito di un cromatismo vibrante (Assunzione e Ss. Pietro e Girolamo del Duomo di Reggio, 1626).

Il Barocco

In Emilia il linguaggio architettonico barocco viene declinato secondo uno stile definito "classicismo scenografico" di cui l'esempio più precoce è la chiesa bolognese di S. Salvatore del lombardo Ambrogio Magenta (primo decennio del Seicento). Si tratta di un modo di moltiplicare e amplificare gli spazi ricorrendo a soluzioni di matrice scenografica, come le prospettive dipinte, o "quadrature", su volte e pareti, con effetti di sorprendente illusionismo ottico. Ne sono esempi la chiesa di S. Giorgio a Modena, su disegno del reggiano Gaspare Vigarani (1646), con l'interno articolato da tribune a foggia di palchetti, o la Villa Albergati a Zola Predosa del bolognese Gian Giacomo Monti (1665 ca.), dove l'altezza del salone centrale è suggestivamente resa indefinita. Il materiale che meglio si presta alla decorazione, tanto importante da diventare complementare all'architettura, è lo stucco, virtuosisticamente plasmato dai Reti nella Parma farnesiana, da Lattanzio Maschio e da Antonio Traeri nella Modena estense, da Giuseppe Maria Mazza e da Angelo Piò a Bologna. Nella prestigiosa scuola bolognese, in campo figurativo spiccano i binomi di Agostino Mitelli e Angelo Michele Colonna e di Gian Giacomo Monti e Baldassarre Bianchi, che affrescano la reggia estense di Sassuolo.

Qui, verso la metà del Seicento, si impone la personalità pittorica di Giovanni Boulanger, allievo del Reni. Tra Seicento e Settecento, particolarmente significativa è la figura di Ferdinando Bibiena, architetto e ingegnere teatrale, massimo esponente della scenografia emiliana. Suoi gli esiti spettacolari nella volta a doppia calotta traforata in S. Antonio Abate di Parma e nel loggiato del Palazzo ducale di Colorno. La grande stagione del Barocco romano - con le grandi personalità che espresse - ebbe naturalmente ripercussioni sugli ambienti artistici emiliani. Bartolomeo Avanzini, con la consulenza di Francesco Borromini e Gian Lorenzo Bernini, progetta il grandioso Palazzo ducale (dal 1630) di Modena, commissionato da Francesco I d'Este. Il Bernini in persona esegue poi nel marmo il ritratto di Francesco I (Modena, Galleria estense), e il suo seguace Antonio Raggi modella il bozzetto della statua del Tritone per la reggia estense di Sassuolo (Modena, Galleria estense). Il bolognese Alessandro Algardi, attivo soprattutto a Roma, antagonista del Bernini e discepolo dei Carracci, scolpisce il gruppo marmoreo della Decollazione di S. Paolo (1642; Bologna, chiesa di S. Paolo). Il Barocco figurativo è ben rappresentato in ambito bolognese dall'Ercole di Domenico Maria Canuti nella volta del salone di Palazzo Pepoli (1669), edificio che accoglie anche gli affreschi delle Stagioni (1691) di Giuseppe Maria Crespi, pervasi da una freschissima vena di naturalismo. Di pochi anni più tardi sono gli affreschi del soffitto nel Palazzo ducale di Modena (1694), opera di Marcantonio Franceschini, e quelli della cupola nel duomo di Forlì (1702-6), di Carlo Cignali. Oltre ad essere per oltre un secolo la città più autorevole nel campo della pittura, Bologna esprime interessanti personalità anche nell'architettura, quali Giuseppe Maria Torri, Alfonso Torreggiani, Carlo Francesco Dotti, legato, quest'ultimo, al santuario della Madonna di S. Luca (1723-57), congiunto a Bologna dal lungo porticato, rappresentativo degli esiti propri dell'architettura emiliana nel Seicento e Settecento.

Dal Rococò al Novecento

Verso la metà del Settecento l'influsso dello stile diffusosi in Francia durante il regno di Luigi XV si fa sentire, soprattutto nella Parma borbonica. Il salottino d'Oro nel Palazzo ducale di Modena, a boiseries, e gli interventi di Ennemond-Alexandre Petitot nella reggia di Colorno sono esiti raffinatissimi del periodo, appena precedente all'affermarsi del gusto neoclassico, che avrà il maggiore rappresentante in Felice Giani, pittore e disegnatore attivo anche a Roma. Capitale del gusto neoclassico sarà Faenza, ma anche Bologna, Ferrara, Forlì, Ravenna, Rimini, Modena rientrano nel raggio d'influenza del Giani, con esiti di livello europeo. L'architettura teatrale, la scenografia e la decorazione d'interni trovarono un importante sviluppo nel corso dell'Ottocento, sulla scia di una tradizione iniziata con il Teatro Farnese di Parma, eretto dall'Aleotti (1618), e proseguita con il Comunale di Bologna, di Antonio Bibiena (1763). Vengono costruiti numerosi teatri, con prevalente struttura a palchetti di derivazione barocca, spesso con importanti sipari e apparati decorativi: il Regio di Parma (1829); il Comunale di Modena (1841), con sipario di Adeodato Malatesta; il Valli di Reggio, con l'esterno neogreco di Cesare Costa e il sipario di Alfonso Chierici (1857); il Municipale di Rimini (1857), su disegno di Luigi Poletti. La corrente figurativa Verista della metà dell'Ottocento annovera tra i suoi esponenti artisti come il reggiano Antonio Fontanesi, il bolognese Luigi Bertelli e il forlivese Silvestro Lega, che presto aderì al movimento toscano dei Macchiaioli. Frequentazioni con la scuola fiorentina dei Macchiaioli ha anche il ferrarese Giovanni Boldini, a cavallo tra Ottocento e Novecento. Il gusto tipicamente tardo-ottocentesco per il revival guida gli interventi sulla Bologna medioevale condotti da Alfonso Rubbiani tra restauro e "falso in stile". Nel Novecento, nel periodo tra le due guerre, il ferrarese Filippo De Pisis elabora in modo personale molti assunti dei movimenti artistici del suo tempo, mentre il bolognese Giorgio Morandi, nonostante l'adesione alla corrente metafisica, appare sensibile alla lezione di maestri quali Giotto, Vermeer, Cèzanne; dominano nella sua arte le nature morte, semplici oggetti del quotidiano trasposti in una sfera atemporale e metafisica.

LE CITTÀ

Bologna

Capoluogo della regione, Bologna (ab. 383 761) sorge alla destra del fiume Reno, ai piedi degli ultimi rilievi appenninici e al centro di un territorio molto fertile nell'Appennino Tosco-Emiliano. La città, che deve soprattutto alla sua centralità geografica l'affermazione del suo ruolo dominante nella regione, è parte di un'area metropolitana che si sviluppa lungo l'asse costituito dalla romana Via Emilia. La città è il principale nodo di comunicazione autostradale e ferroviario fra il Nord e l'Italia peninsulare. Notevole l'attività industriale che conta industrie metalmeccaniche, elettrotecniche, chimiche, farmaceutiche, alimentari, distillerie, calzaturifici, fabbriche di ceramica e vetrerie. Bologna è detta "la dotta" per le sue antiche tradizioni culturali (università del XII sec.) e "la grassa", per le sue tradizioni gastronomiche. è inoltre Fèlsina pittrice, per l'importantissima, secolare attività figurativa che vi si svolse e per le personalità artistiche che vi si formarono e che vi operarono: dai trecenteschi Vitale e Jacopino alle scuole dei Carracci, di Guido Reni e del Guercino, dall'architettura e la scenografia teatrali fino all'arte contemporanea di Giorgio Moranti. La città registra poi l'inconsueta presenza artistica femminile, con Lavinia Fontana ed Elisabetta Sirani. A riprova del segno lasciato nei secoli in campo culturale, Bologna è stata designata "città europea della Cultura per l'anno 2000". Pur non possedendo testimonianze artistico-architettoniche eccezionali, Bologna conserva un centro storico di pregio, le cui caratteristiche dominanti sono il caldo colore rosso e ocra dei muri (il fosco vermiglio mattone ricordato da Carducci in una sua celebre ode) e la presenza di lunghi portici i quali, estendendosi per quasi 38 km, uniscono e armonizzano il paesaggio, attenuando il contrasto tra edifici di diverse epoche e stili.

STORIA.

Risalgono all'Età del Bronzo i primi insediamenti abitativi nell'area della città, sviluppatasi successivamente nel periodo villanoviano e poi etrusco, durante il quale prese il nome di Fèlsina. Dopo la conquista da parte dei Galli Boi (V sec. a.C.), popolazione celtica della Gallia, la città mantenne il ruolo di capitale con il nome di Bononia. L'inizio della storia urbana si ha tuttavia con la colonizzazione romana (dal 189 a.C.) e con l'apertura della Via Emilia. Nonostante la distruzione a causa di un incendio (53 d.C.), la città continuò a prosperare fino al III sec., durante il quale fu eretta una cinta muraria, ricordata come "cerchia di selenite" perché costruita in blocchi di quel materiale. Le successive invasioni barbariche causarono un periodo di crisi demografica e urbanistica. Come parte dell'esarcato bizantino di Ravenna, la città iniziò uno sviluppo urbano verso Est, che proseguì anche durante l'occupazione longobarda (VIII sec.). La costruzione di importanti sedi di culto fuori dalle mura portò alla formazione di nuovi insediamenti. Nell'XI sec. si ebbe una ripresa generale della vita urbana, culminata con la fondazione, nel 1088, del primo nucleo universitario (Studium) con la scuola di diritto. Al XII sec. risale la costituzione del Comune, quando l'imperatore Enrico V concesse a Bologna una serie di diritti; venne iniziata la costruzione di nuove mura, già in gran parte compiute nella seconda metà del secolo. Nello stesso periodo vennero erette numerose torri e case-torri, per iniziativa di feudatari inurbati e mercanti emergenti, e si iniziò a costruire i portici, che ampliavano lo spazio a disposizione delle attività artigianali e commerciali. Nel corso del Duecento Bologna raggiunse i 50.000 abitanti, collocandosi tra le prime dieci città più popolose d'Europa. Dal punto di vista delle trasformazioni urbanistiche, i fatti più significativi furono la costruzione di una nuova cerchia difensiva (ultimata nel 1374) e lo sviluppo di nuovi insediamenti lungo il perimetro della città, dovuto al formarsi degli ordini mendicanti. Il Duecento segnò un periodo di potenza e benessere economico: segno del prestigio anche militare della città fu la vittoria di Fossalta contro le truppe imperiali di Federico II (1249). Il secolo successivo vide la città travagliata da lotte intestine fra Guelfi e Ghibellini e contesa fra la Chiesa e i Bentivoglio; tale situazione durò fino al 1446, quando Sante Bentivoglio divenne il signore di Bologna. Tuttavia, alla fine del Trecento, in un clima di tardiva quanto fervida ripresa edilizia nel rinato libero Comune, ci fu una serie di importanti interventi e l'avvio della costruzione di S. Petronio. Nella seconda metà del Quattrocento, durante la signoria dei Bentivoglio, Bologna conobbe un profondo rinnovamento urbano che vide un largo impiego della pietra e del laterizio anche nell'edilizia minore. La signoria dei Bentivoglio durò fino al 1506, anno in cui la città venne annessa allo Stato Pontificio. Governata da un'oligarchia di nobili, il Senato, insieme ad un cardinale legato, la città iniziò ad assumere la fisionomia che conserva ancor oggi: sorsero i grandi palazzi "senatori" lungo le vie principali, le chiese ispirate ai modelli della controriforma e nuovi conventi. Nella seconda metà del Seicento iniziò l'opera di collegamento della città al santuario di S. Luca tramite il lunghissimo portico. Nel XVIII secolo Bologna fu un importante centro di diffusione del giacobinismo e, dopo le vittorie napoleoniche, fece parte della Repubblica Cispadana prima, poi di quella Cisalpina e infine del Regno Italico. In epoca napoleonica fu spostata la sede dell'università nell'odierna via Zamboni, laddove era sorto l'Istituto delle Scienze, una scuola a moderno indirizzo scientifico promossa da Luigi Ferdinando Marsili. L'istituto venne inaugurato nel 1714 e restituì a Bologna un ruolo importante nella comunità scientifica europea e internazionale. Dopo la Restaurazione la città ritornò a far parte dello Stato della Chiesa; durante il Risorgimento aderì alle idee liberali e fu sede dell'attività di alcune società segrete. Dopo i moti del 1859 venne instaurato un Governo provvisorio e il 18 marzo 1860 la città fu annessa al Regno d'Italia. Sin dai primi anni successivi all'unità nazionale si mise mano al tessuto viario del centro, aprendo le vie Farini e Garibaldi e le piazze Cavour e Minghetti. Via dell'Indipendenza divenne il nuovo collegamento fra piazza Maggiore e la stazione ferroviaria (1888). La città fu dotata di un piano regolatore nel 1889. Secondo il criterio prevalente del tempo, Bologna subì numerosi interventi di "restauro" che tendevano al ripristino dell'aspetto medioevale della città, in antitesi alla sua immagine pontificia e barocca. All'inizio del XX secolo furono abbattute le antiche mura e vennero eseguiti altri lavori di apertura e ampliamente di vie adiacenti al nucleo storico. Dal secondo dopoguerra Bologna ha cominciato ad estendersi in popolosi quartieri periferici, mentre a Sud la sua dilatazione è stata frenata dalle colline. Notevole lo sviluppo dei settori secondario e terziario, e determinante anche la presenza della fiera, la seconda in Italia, sostenuta da un importante aeroporto internazionale.

ARTE.

Il capoluogo dell'Emilia-Romagna è una città di grandi tradizioni artistiche e culturali, con una configurazione urbanistica compatta ed omogenea. Osservando la pianta della città si colgono le tappe del suo sviluppo urbanistico: al centro l'impianto della città romana e altomedioevale, quadrangolare con un reticolo di strade che si incrociano ortogonalmente; a Est e a Ovest di questo spazio l'irraggiamento di strade nella direzione delle porte dell'antica cinta muraria, tuttora riconoscibile nel tracciato poligonale dei viali di circonvallazione. Il volto della città è prevalentemente sei-settecentesca, con inserimenti realizzati nei due secoli successivi, mentre la parte settentrionale della città, colpita dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, presenta un aspetto moderno. Piazza Maggiore costituisce il cuore di Bologna. è da sempre sede dei più importanti avvenimenti civili, sociali e religiosi della città; fino al 1877 fu anche luogo di mercato. Su di essa affacciano il Palazzo comunale, la basilica di S. Petronio e il complesso formato dai palazzi del Podestà e di Re Enzo. Oltre a questi edifici simbolo, ai lati della basilica sorgono il tardo-trecentesco Palazzo dei Notai, radicalmente restaurato da Alfonso Rubbiani nel 1908, e il Palazzo dei Banchi, in realtà una facciata eretta su disegni del Vignola (1565-68) per definire il lato orientale della piazza in funzione prospettico-teatrale, con due grandi aperture che danno accesso alle vie del mercato. La piazza (m 100 x 75) ebbe origine fra il 1200 e il 1203 quando, in piena età comunale, crebbe l'esigenza di avere uno spazio che rappresentasse le istituzioni del governo cittadino; l'assetto attuale fu raggiunto nella prima metà del Quattrocento. Il Palazzo del Podestà, posto di fronte alla basilica di S. Petronio, forma un tutto unico con il retrostante Palazzo di Re Enzo. Dell'edificio d'epoca comunale, abbattuto per volere di Giovanni II Bentivoglio, resta la Torre dell'Arengo (1212) munita di una grande campana, detta il Campanazzo (collocata nel 1453), che suona in occasione di avvenimenti cittadini di rilievo. La facciata con portici del nuovo palazzo, voluto dai signori Bentivoglio, è un pregevole esempio di architettura rinascimentale (1485). Il Palazzo di Re Enzo deve il nome al figlio di Federico II che, catturato durante la battaglia di Fossalta (1249), vi fu tenuto prigioniero fino alla morte (1272); il palazzo venne edificato nel 1244 come sede delle magistrature di governo della città, ma ha assunto il suo aspetto attuale nel 1913, dopo un radicale intervento di restauro. Di rilievo, sotto le volte dell'incrocio coperto, le statue dei quattro santi protettori della città, terrecotte di Alfonso Lombardi (1525). Accanto a questo complesso sorge il Palazzo comunale, noto anche come Palazzo d'Accursio. Si tratta di un edificio a pianta quadrangolare, vasto e composito a causa di successivi interventi di ampliamento. Al centro dell'omonima piazza, tra il Palazzo del Podestà e il Palazzo comunale, si trova la celebre Fontana del Nettuno con la statua in bronzo del Giambologna (1563-66) che raffigura il dio del mare in atto di placare le onde, e con quattro putti con delfini e quattro sirene, pure del Giambologna. La basilica di S. Petronio, dedicata al vescovo patrono della città, domina Piazza Maggiore con la sua mole imponente. La sua realizzazione, iniziata nel 1390 su progetto di Antonio di Vincenzo, fu voluta dall'autorità civile per ribadire il principio dell'autonomia e della libertà comunali. L'elemento monumentale più caratteristico della città è costituito dalla due torri, la Torre Garisenda e la Torre degli Asinelli, entrambe pendenti per un cedimento del terreno. Esse sono le superstiti, con altre circa venti altre torri, delle numerosissime altre strutture difensive, oltre cento, che dal Duecento hanno valso alla città l'appellativo di turrita. Tra le numerose chiese di Bologna, ricche di tesori artistici, quella di S. Domenico rappresenta con l'annesso convento uno dei complessi monumentali di maggior rilievo. Tra gli edifici religiosi storicamente più importanti della città vi è il complesso di S. Stefano, formato da un insieme di fabbricati costruiti e rimaneggiati in epoche diverse. Eretta dagli Agostiniani fra il 1267 e il 1343, la chiesa di S. Giacomo Maggiore ebbe l'interno, a una navata, rifatto nella seconda metà del Quattrocento; alla stessa epoca risale l'elegantissimo porticato laterale, a colonne scanalate in arenaria, impreziosito da fregi in terracotta. L'Università, considerata la più antica d'Europa, ha sede nel Palazzo Poggi, edificio attribuito a Bartolomeo Triachini (1549). Fu qui trasferita nel 1803, a seguito della riforma della Pubblica Istruzione elaborata nel clima di rinnovamento democratico della Repubblica Cisalpina. Il palazzo ospitava già da un secolo l'Istituto delle Scienze fondato da Luigi Ferdinando Marsili e le collezioni da questi donate al Senato bolognese purché venisse creata una nuova scuola. All'istituto il Marsili affiancò l'Accademia delle Scienze e l'Accademia Clementina, poi Accademia di Belle Arti. Nei secoli successivi operarono a Bologna i più rilevanti pittori, scenografi e scultori, nonché scienziati di fama internazionale quali Marcello Malpighi e Luigi Galvani, Augusto Righi e Guglielmo Marconi. La data di nascita dell'Università bolognese è stata convenzionalmente fissata al 1088, anno in cui in città esisteva sicuramente una scuola di diritto; tuttavia la scuola giuridica bolognese raggiunse grande prestigio alla metà del secolo seguente per merito di Irnerio, rinnovatore della scienza del diritto. Egli si dedicò allo studio delle leggi romane, commentandole in pubblico. Intorno a Irnerio, morto nel 1125, e poi ai suoi allievi, si radunò la "Universitas Scholarium". Nel Duecento alla scuola di diritto si aggiunsero le scuole di medicina, chirurgia e filosofia. L'Università non aveva tuttavia una sede unitaria, finché nel 1563 non fu edificato il Palazzo dell'Archiginnasio che ospitò lo Studio fino al 1803. La costruzione dell'Archiginnasio, sotto la stabile dominazione pontificia, sancì in modo definitivo la dipendenza della "universitas" degli scolari dal potere politico. La Torre della Specola (1721) che sovrasta Palazzo Poggi fu un osservatorio astronomico di primaria importanza e ospita oggi l'interessante Museo di Astronomia, con una ricca raccolta di strumenti a partire dagli antichi astrolabi medioevali. Nei Musei di Palazzo Poggi è possibile visitare gli antichi laboratori del settecentesco Istituto delle Scienze, luoghi di didattica, ricerca e conservazione insieme. In questo ambito sono allestite le varie stanze riguardanti: Nautica; Architettura militare; Anatomia umana; Ostetricia. Il Museo storico dello Studio, inaugurato in occasione delle celebrazioni dell'ottavo centenario (1888), raccoglie documenti e cimeli che illustrano la storia dell'Università. La Biblioteca universitaria, che vanta numerosi manoscritti rari, una raccolta di incunaboli e antichi papiri, ha una vastissima sala di lettura con scaffalature settecentesche in noce e altre sale con decori pittorici cinquecenteschi. Il nono centenario della fondazione dell'Università, celebrato nel 1988, ha aggiunto altri spazi allo Studio: l'incompiuta chiesa gesuita di S. Lucia in via Castiglione, restaurata e divenuta Aula Magna, e il complesso dell'antico monastero di S. Giovanni in Monte. Il Palazzo dell'Archiginnasio, voluto da papa Pio IV come sede stabile dell'Università cittadina, fu progettato da Antonio Morandi detto il Terribilia nel 1563. L'edificio presenta un lungo portico e, all'interno, un cortile quadrato a doppio loggiato; questo, come quasi tutti gli ambienti, è decorato dagli stemmi, scolpiti o dipinti, dei rettori, dei priori e degli studenti che frequentarono lo Studio fra Cinquecento e Settecento. Lo storico Teatro anatomico in legno, progettato da Antonio Levanti (1649) e ricostruito dopo gli eventi bellici, costituisce il simbolo del prestigio della scuola di medicina, ove fu praticata la prima dissezione dell'età moderna. Il palazzo, sede dell'Università sino al 1803, dal 1835 ospita la prestigiosa Biblioteca comunale, ricca di oltre 650.000 volumi, 12.000 manoscritti, cospicue raccolte di carteggi, carte geografiche e stampe. Tra i musei cittadini spicca la Pinacoteca Nazionale, fondamentale per ripercorrere la storia artistica della città dal Trecento al Settecento attraverso le opere qui custodite, in gran parte eseguite per le chiese locali. La raccolta ha origine dalla quadreria dell'Accademia di Belle Arti, insediatasi nel 1804 nell'attuale sede, un palazzo progettato da Francesco Martini nella seconda metà del Seicento. Tra le istituzioni cittadine a carattere scientifico, nate a corollario dell'attività universitaria, vi sono il Museo di Fisica, con strumenti che vanno dal Seicento a oggi; l'interessante Museo di Geologia e Paleontologia Giovanni Capellini, la più grande raccolta paleontologica italiana; il Museo di Mineralogia Luigi Bombici; il complesso dell'Orto botanico ed Erbario: il primo, fondato nel Cinquecento da Ulisse Aldrovandi, comprende oltre di 5.000 esemplari di piante locali ed esotiche; il secondo, tra i più antichi d'Europa, comprende circa 110.000 piante essiccate. Nei dintorni della città sorge il santuario settecentesco della Beata Vergine di S. Luca, eretto sul luogo di un antico eremo. Esso domina il colle della Guardia (m 289) ed è raggiungibile da Porta Saragozza seguendo la via porticata con 666 archi lunga oltre 3 km, costruita tra il 1674 e il 1715 per collegare Bologna al santuario, a significare lo stretto rapporto tra la città e questo luogo di devozione.

Il Palazzo di re Enzo, a Bologna

Il Palazzo di re Enzo, a Bologna

LA PROVINCIA.

La provincia di Bologna (913.119 ab.; 3.702 kmq) si estende su un territorio per la maggior parte pianeggiante. L'economia è prevalentemente agricola: cereali, foraggi, frutta, barbabietole da zucchero, canapa, pomodori, ortaggi; allevamento di bovini e suini. Non mancano però le industrie alimentari, tessili, meccaniche e chimiche. Centri principali sono Budrio, Casalecchio di Reno, Castel San Pietro Terme, Crevalcore, Imola, Marzabotto, Medicina, Molinella, Porretta Terme.

Luoghi di interesse

Palazzo comunale o Palazzo d'Accursio

Il Palazzo comunale è costituito da un insieme di edifici che nel corso dei secoli sono via via stati uniti ad un nucleo più antico acquisito dal Comune alla fine del Duecento, comprendente fra l'altro l'abitazione di Accursio, maestro di diritto nello Studio bolognese. Fu inizialmente destinato a conservare le pubbliche riserve granarie e ad ospitare alcuni uffici municipali; da quando nel 1336 divenne residenza degli Anziani, la massima magistratura di Governo del Comune, è la sede del Governo della città. Al nucleo originario (XIII-XIV sec.), costituito dal corpo porticato sormontato dalla torre, si aggiunsero su tre lati i corpi di fabbrica (1365) che fanno assomigliare il palazzo ad una roccaforte. Ingentiliscono la facciata grandi finestre quattrocentesche e una Madonna col Bambino, terracotta di Niccolò dell'Arca (1478). Dal portale cinquecentesco del palazzo si accede al cortile, oltre il quale vi è il grande scalone da alcuni attribuito al Bramante. Al primo piano, si trova la Sala d'Ercole, che conserva l'originario impianto rinascimentale, riveduto dai rifacimenti sei-settecenteschi. La statua in terracotta di Ercole che abbatte l'Idra di Lerna (1519), dipinta in finto bronzo, è opera di Alfonso Lombardi (cui si debbono fra l'altro anche i Quattro Santi Protettori di Bologna posti sotto il voltone del Podestà); può alludere alla caduta dei Bentivoglio e alla definitiva restaurazione pontificia nel governo della città. Sulla parete destra si trova un affresco con la Madonna del Terremoto, di Francesco Francia, dipinta su una parete della vicina Cappella degli Anziani come ex voto per il terremoto del 1505, qui trasportata nel secolo scorso. All'ingresso calchi di bassorilievi della Fontaine dei Innocents di Parigi dono dello stato francese al Comune di Bologna negli anni Trenta, in ricordo dello sculture francese Jean Goujon, attivo a Bologna subito dopo la metà del Cinquecento. Gli ambienti monumentali all'interno conservano memoria di momenti storici e vicende politiche della città. Al primo piano vi è una seconda galleria, adibita oggi a Sala del Consiglio Comunale, la cui volta fu affrescata fra il 1675 e il 1677 da Angelo Michele Colonna e Gioacchino Pizzoli per il Senato Bolognese, con quadrature architettoniche e allegorie che alludono alla ricchezza, alla fama, alle arti e alla cultura della città. Al secondo piano si apre la Sala Farnese e la cappella omonima, luogo del cerimoniale civico, di impianto rinascimentale, era ricoperta da una volta dipinta, demolita alla fine del secolo scorso e sostituita con l'attuale soffitto a cassettoni. Fin dalla metà del Cinquecento contro la parete di fondo era collocata una statua in marmo di papa Paolo III Farnese, poi rimossa nel periodo giacobino. Fu un cardinale della medesima famiglia, Girolamo Farnese, a promuovere nel 1665 il restauro dell'attigua cappella e il ciclo di affreschi che nella sala rievocano i fasti bolognesi legati alla dominazione simbolica dello stato pontificio sulla città. Gli affreschi sono dovuti ad una equipe di pittori guidati da Carlo Cignani, fra cui Lorenzo Pasinelli, Luigi Scaramuccia, Girolamo Bonini, Giovanni Maria Bibiena. Il monumento ad Alessandro VII, posto nel 1660 nell'attigua Sala degli Svizzeri, fu collocato contro la parete di fondo nel corso dei restauri del 1845. L'arcaica tecnica della lamina metallica su anima di legno è dovuta ad un orafo di origine senese, Dorastante d'Osio. La Cappella Farnese o Cappella del Legato (anticamente "palatina"), luogo dei luoghi più importanti del cerimoniale cittadino, fu costruita dall'architetto Aristotele Fioravanti intorno alla metà del Quattrocento, all'epoca dei lavori voluti nel palazzo dal Cardinal Bessarione. Tra il 1551 e il 1565, su commissione del cardinal legato Girolamo Sauli, fu ampliata da Galeazzo Alessi cui si deve anche il fronte architettonico esterno - originariamente in arenaria - rivestito in scagliola a metà Ottocento durante gli interventi di restauro in Sala Farnese. La decorazione ad affresco risale al 1562, quando era papa Pio IV, sotto la legazione di Carlo Borromeo e la vice legazione del Cardinale Pier Donato Cesi, artefice del riassetto monumentale del centro cittadino (Palazzo dell'Archiginnasio, portico dell'Ospedale della Morte, Palazzo dei Banchi, Fontana del Nettuno). L'aspetto attuale è determinato da alterne vicende succedutesi nei secoli: il restauro seicentesco voluto dal cardinale Girolamo Farnese, l' uso incongruo come archivio e deposito nel periodo napoleonico e nel corso dell'Ottocento, fino al più recente recupero del 1992. Nel palazzo trovano spazio due importanti raccolte museali: il Museo Giorgio Morandi, inaugurato nel 1993, che raccoglie 281 opere di ogni peperiodo del grande artista bolognese e che ospita inoltre la ricostruzione dello studio di via Fondazza con gli oggetti che furono materia della sua ricerca artistica; le Collezioni comunali d'Arte, che raccolgono dipinti dal XIII al XIX secolo, prevalentemente di scuola bolognese ed emiliana; importanti le opere di artisti quali Vitale da Bologna, Luca Signorelli, Francesco Francia, Jacopo Tintoretto, Ludovico Carracci, Guido Cagnacci, Giuseppe Maria Crespi.

Basilica di S. Petronio

La basilica di San Petronio, dedicata al patrono cittadino (ottavo vescovo di Bologna dal 431 al 450), è la più grande (m 132 di lunghezza, 66 di larghezza totale, 47 di altezza) ed importante chiesa bolognese. Fino ad anni recenti la chiesa è stata amministrata come un'istituzione cittadina, essendo sempre stata considerata un simbolo del potere locale in contrapposizione al potere del Vaticano, rappresentato dalla cattedrale San Pietro. La costruzione fu iniziata nel 1390 sotto la direzione di Antonio di Vincenzo. Il modello originale fu commissionato all'architetto per celebrare il potere riconquistato dal Comune. La costruzione dell'edificio si poté dire conclusa solo alla metà del Seicento. Vi si svolsero, a riprova del prestigio di cui la chiesa godeva, importanti avvenimenti storici quali l'incoronazione di Carlo V da parte di Clemente VII (24 febbraio 1530) e le sessioni IX e X del Concilio di Trento, qui trasferitosi nel 1547 per sfuggire all'epidemia che imperversava in quella città. Nella facciata, incompiuta, in pietra d'Istria e marmo rosso di Verona, si aprono tre portali; quello di mezzo è ornato dalle bellissime sculture di Jacopo della Quercia (1425-38): scene bibliche nei pilastri, i profeti nella strombatura, storie del Nuovo Testamento nell'architrave e una Madonna col Bambino nella lunetta. Sui lati si aprono ampie finestre a trafori marmorei; a destra sorge il campanile, eretto nel 1492. L'interno, in stile gotico, è di grande suggestione; a quest'impressione contribuiscono l'equilibrio formale dello spazio, scandito in tre navate, e la sua luminosità diffusa. Quasi tutte le cappelle laterali sono chiuse da pregevoli transenne marmoree o in ferro battuto (XV-XVII sec.). Esse racchiudono opere d'arte di grande pregio, tra le quali vanno citati una Madonna e santi e un S. Girolamo di Lorenzo Costa (1492 e 1484), un Compianto su Cristo morto, gruppo in terracotta dipinta di Vincenzo Onofri (fine XV sec.), un S. Rocco del Parmigianino e un notevole Martirio di S. Sebastiano di scuola emiliana della seconda metà del Quattrocento. Nella quarta cappella sinistra, affreschi di Giovanni da Modena e aiuti (1410-15), raffiguranti il Viaggio dei Re Magi, scene della vita di S. Petronio, il Paradiso e l'Inferno. Nella bellissima cappella che custodisce la reliquia del capo di S. Petronio, una ricca decorazione di Alfonso Torreggiani (1750). Nel presbiterio si eleva la tribuna del Vignola (1548) rimaneggiata nel Seicento; degli organi laterali, quello di destra è tra i più antichi d'Italia (1475). Da notare la meridiana tracciata sul pavimento sino alla controfacciata, opera di Gian Domenico Cassini (1655), e ritenuta una delle curiosità cittadine dai viaggiatori stranieri che nell'Ottocento compivano il loro Grand Tour in Europa.

Visita virtuale all'interno della Basilica di San Petronio, a Bologna. Veduta della navata centrale

Visita virtuale all'interno della Basilica di San Petronio, a Bologna. Veduta della parte occidentale

Torre degli Asinelli

La Torre degli Asinelli, eretta nel 1119 da Gherardo Asinelli, un nobile di fazione ghibellina, è alta 97,20 metri, all'interno ha una scala composta da 498 gradini, pende verso Ovest per 2,32 metri. Nel XII secolo il Comune l'acquistò dai suoi proprietari per destinarla a fini militari, a prigione e appoggio ai gabbioni in cui venivano rinchiusi i condannati alla berlina. Nella seconda metà del '300, durante il decennio di dominazione dei Visconti, la torre venne trasformata in fortilizio. Intorno alla torre fu realizzata una costruzione in legno, posta a trenta metri da terra e unita alla attigua Garisenda da un passaggio aereo dal quale era possibile dominare la città e il "Mercato di Mezzo", centro commerciale e possibile fulcro di sommosse. Questa incastellatura lignea fu distrutta da un incendio nel 1398. Nel 1448, per accogliere i soldati di guardia, alla base fu costruita una rocchetta merlata in muratura fornita di portici in sostituzione di preesistenti strutture lignee. Oggi gli archi del portico della rocchetta sono stati chiusi con vetrine per alloggiare alcune botteghe di artigiani a ricordo della funzione di centro commerciale del medioevale "Mercato di Mezzo".

Torre Garisenda

La Torre Garisenda, eretta nel XII secolo dai nobili Garisenda, anch'essi ghibellini, è alta 48,60 metri e pende verso Nord-Est per 3,22 metri. Ai tempi di Dante, che la cita nel sonetto sulla Garisenda del 1287 e nel canto XXXI dell'Inferno, raggiungeva i 60 metri d'altezza. Tra il 1351 e il 1360 Giovanni da Oleggio, che governava la città per conto dei Visconti, la fece abbassare di 12 metri temendo che potesse crollare.

Chiesa di S. Domenico

La chiesa risale al XIII secolo, e fu costruita dai domenicani accanto al convento dove morì il fondatore dell'ordine (1221). Costruita in forme tardo-romaniche fra il 1228 e il 1238, venne rinnovata da Carlo Francesco Dotti nel 1727-33. All'interno, a tre navate e notevolmente sviluppato in lunghezza, si apre la Cappella di S. Domenico, progettata da Floriano Ambrosini (1597-1605); a croce greca e sormontata da cupola, mostra nel catino la Gloria di S. Domenico di Guido Reni (1613-15). Qui si trova l'arca di S. Domenico, straordinaria composizione scultorea di più artisti di epoche diverse: il sarcofago è opera di Nicola Pisano con la collaborazione di Arnolfo di Cambio, Pagno di Lapo e fra' Guglielmo (1265-67), il coperchio e il coronamento marmoreo, adorni di statue e festoni, sono di Nicolò da Bari (1469-73) che per questo lavoro fu poi detto dell'Arca; l'angelo e le statuette di S. Petronio e S. Procolo sono probabilmente di mano del giovane Michelangelo (1494).

Complesso monumentale di S. Stefano

Fabbricato sul luogo di un antico culto pagano, il Complesso di S. Stefano si articola in una serie di edifici sacri (chiese, cappelle e monastero) davanti ai quali si apre la splendida piazza triangolare, chiusa al traffico e recentemente riportata al suo aspetto antico, con la pavimentazione a ciottoli che discende verso la facciata della chiesa principale, detta del Crocifisso. Secondo la tradizione fu fondato dal vescovo Petronio nel V secolo, in seguito, tra il X e l'XI secolo, venne a strutturarsi a imitazione dei santuari di Gerusalemme. Oggi il complesso consta di quattro chiese: la chiesa del Crocifisso, con facciata romanica e interno a una navata; la chiesa dei Ss. Vitale e Agricola, eretta nell'XI secolo su una precedente, con interno a tre navate con pilastri cruciformi alternati da colonne romane; la chiesa della Trinità, costruzione a due navate trasversali ripristinata nel 1924, che custodisce il gruppo ligneo dell'Adorazione dei Magi (XIV sec.), dipinto da Simone dei crocifissi; la chiesa del S. Sepolcro, uno dei rari esempi di edificio religioso a pianta centrale: il riferimento alla Rotonda del S. Sepolcro in Gerusalemme è testimonianza di nessi con l'Oriente, sulle vie dei pellegrinaggi. Edificata nel XII secolo su una chiesa più antica, è cinta da un peribolo e sormontata da matronei e presenta alcune colonne e capitelli romani di reimpiego; al centro un tempietto del XIII secolo accoglie la tomba di S. Petronio, adorna di rilievi del XIV secolo.

Chiesa di San Giacomo Maggiore

Situata su una delle più attraenti piazze di Bologna, venne costruita fra il 1267 e il 1315 dai frati eremitani di S. Agostino e ristrutturata alla fine del '400. L'interno, formato da un'unica vasta e luminosa navata, accoglie insigni tesori d'arte tra cui la Cappella Bentivoglio, di architettura toscana attribuita a Pagno di Lapo Portigiani (1486); pala d'altare di Francesco Francia (1494 ca) raffigurante la Madonna in trono col Bambino e santi, nel lunettone superiore Visione dell'Apocalisse, affresco di Lorenzo Costa; alle pareti, sempre del Costa, Trionfo della Morte e trionfo della Fama (1490), a destra Madonna col Bambino e famiglia Bentivoglio (1488). Di grande interesse anche la Cappella Poggi, architettata nel 1561 da Pellegrino Tibaldi, autore anche dei dipinti, nonché la tomba di Anton Galeazzo Bentivoglio di Jacopo della Quercia (1453). Notevoli pure il quadro con S. Rocco di Lodovico Carracci, due crocifissi lignei di Jacopo di Paolo (sec. XV), vari polittici gotici e pregevoli dipinti dei secoli XVI, XVII e XVIII nelle cappelle. Di non comune eleganza il portico rinascimentale (1477-81) che affianca la chiesa, sorretto da agili colonne scanalate in arenaria e coronato da un ricco fregio scolpito (vi si aprono varie arche sepolcrali gotiche con avanzi di pitture e da esso si accede alla chiesa di S.Cecilia, ammantata di splendidi affreschi con episodi della vita della santa e di san Valeriano, eseguiti nel 1504-06 dai migliori maestri della scuola bolognese).

Musei e Gallerie di Bologna

Pinacoteca Nazionale

La Pinacoteca Nazionale ha sede nell'ex noviziato gesuita di Sant'Ignazio nel quartiere universitario della città di Bologna. Il museo, oggi completamente rinnovato (1997) nelle sue strutture secondo i più moderni criteri conservativi e museografici, offre un affascinante percorso attraverso la pittura emiliana dal XIII al XVIII secolo. Tra i numerosi capolavori della Pinacoteca vanno almeno citati, nella sezione dei primitivi e del Trecento bolognese, due S. Giacomo alla battaglia di Clavijo dello Pseudo Jacopino di Francesco (prima metà XIV sec.), il polittico Madonna col Bambino e santi di Giotto e della sua bottega (1333-34) e un nucleo di opere di Vitale da Bologna; nella sezione rinascimentale, opere di scuola ferrarese, come la pala dei Mercanti di Francesco del Cossa (1474) e due Madonne di Lorenzo Costa (1491-96), e di scuola bolognese, come le pale di Francesco Francia. Provenienti dalla chiesa di S. Giovanni in Monte sono la Madonna in gloria e santi del Perugino, la Madonna col Bambino di Cima da Conegliano e l'Estasi di S. Cecilia di Raffaello. Il Manierismo emiliano è rappresentato, tra gli altri, dall'arte del Parmigianino di cui si può ammirare una Madonna col Bambino e santi. Notevolissima la sezione della pittura bolognese dalla fine del Cinquecento alla seconda metà del Seicento, con opere dei Carracci - Madonna degli Scalzi di Ludovico e Madonna di S. Ludovico di Annibale - e di Guido Reni - Strage degli innocenti, Sansone vittorioso, Ritratto della madre. Il Settecento è soprattutto rappresentato da opere di Giuseppe Maria Crespi, Donato Creti e dei tre Gandolfi: Ubaldo, Gaetano e Mauro.Secondo quanto riferisce Luigi Crespi nelle sue Vite (1769), un primo progetto di costituzione di un istituto pubblico nel quale potessero trovare ricovero e tutela i tesori artistici della città, era stato formulato dal Cardinale Lambertini, dal 1740 papa Benedetto XIV. Egli infatti meditò di erigere all'interno del celebre Istituto delle Scienze - fondato dal Marsili - "una Galleria che fosse superiore a quante altre Gallerie Principesche si ammirano nella nostra Europa, collocandovi tutte le più superbe tavole d'altare, che sono nelle chiese, de' più celebrati autori, redimendole così e salvandole dalle ingiurie, per cui altre si compiangono rovinate e guaste". Già nel 1762 l'Istituto delle Scienze entrò in possesso di un primo nucleo di dipinti, destinati all'Accademia Clementina. Si trattava di otto tavole di primo Cinquecento che Mosignor Francesco Zambeccari (prelato vicinissimo a papa Lambertini) aveva recuperato sul mercato artistico cittadino: un mercato che si arricchiva in quegli anni coi numerosi quadri che le frequenti ristrutturazioni chiesastiche privavano del contesto originario. Ancora nel 1776, poi, si aggiunsero una dozzina di tavole trecentesche e di icone bizantine, provenienti dal lascito del veneziano Urbano Savorgnan, già Oratoriano di S. Filippo Neri. Contemporaneamente, però, un altro luogo cittadino era venuto assumendo i connotati della pubblica Galleria, pur meno connotata didatticamente della prima: l'Appartamento del Gonfaloniere in Palazzo Pubblico, che fin dall'ultimo scorcio del Seicento si era andato arricchendo di dipinti donati da notabili cittadini a gloria della città (opere della scuola di Raffaello, di Cantarini, di Lavinia Fontana, di Annibale Carracci, di Guido Reni) o là conservati per l'alto significato civico rappresentato (la Pala del Voto dello stesso Reni). La svolta definitiva giunse con la caduta del regime pontificio, nel 1796, e con la nuova legislazione repubblicana. La soppressione di numerosi conventi maschili e femminili - che mirava alla concentrazione in un minor numero di luoghi degli ordini religiosi ancora significativi; quella di tutte le corporazioni di mestiere (spesso ricche di arredi anche chiesastici); quella ancora delle sedi dell'antico regime, come il Palazzo Pubblico, permisero di prelevare (ad opera dei Commissari clementini, responsabili delle scelte fatte "guida alla mano") quasi un migliaio di opere provenienti dagli edifici sconsacrati e chiusi, e di raccoglierle prima nell'ex convento di S. Vitale (già in qualche modo attrezzato a quadreria); poi - dopo la fondazione della moderna Accademia Nazionale di Belle Arti (1802) - nella recente sede di questa, l'ex convento di Sant'Ignazio (eretto, nelle sue forme attuali, dal Torreggiani nel 1726), poco distante dall'antica sede dell'Accademia Clementina in Palazzo Poggi.

Museo Civico Archeologico

Fondato nel 1881 è ospitato nell'ex ospedale di S. Maria della Morte, edificio quattrocentesco rimaneggiato da Antonio Morandi (1565). La sezione preistorica presenta numerosissimi reperti dal Paleolitico all'Età del Bronzo, soprattutto di provenienza bolognese. Le raccolte che documentano la cultura villanoviana (IX sec.-metà VI sec. a.C.) sono costituite da suppellettili provenienti da arredi funerari. La sezione etrusca raccoglie materiali provenienti dalle necropoli di Fèlsina; tra questi la situla della Certosa, vaso in lamina di bronzo con scene di vita civile e religiosa. Tra le Antichità etrusco-italiche sono di particolare interesse gli specchi incisi, fra cui la celebre patera cospiana (V sec. a.C.). Fanno parte della raccolta greca la testa Palagi, replica in marmo di età augustea dell'Athena Lemnia di Fidia, e splendide ceramiche attiche come l'anfora di Nicostene e la tazza di Codro. La sezione romana presenta un'interessante serie di oggetti di uso quotidiano e un ricchissimo lapidario, con stele funerarie figurate, numerosi miliari e altra statuaria. Nel sotterraneo si trova la sezione egizia, fra le più ricche d'Italia e d'Europa. Di grande interesse i rilievi in calcare della tomba di Horemheb (1332-23 a.C.), il sarcofago a cassa di Usai con la mummia (664-525 a.C.), una raccolta di 120 tipi di amuleti, alcuni importanti esempi di statuaria fra cui l'effigie di Neferhotep I (1759-1640 a.C.) e quella in calcare dei coniugi Amenhotep e Merit (1319-1279 a.C.).

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