Leggi Cornelie.
Cornelie, Leggi. Nome attribuito anticamente a Roma alle leggi erogate da Cornelio Silla, dall'88 all'80 a.C., nel quadro del suo programma di ristrutturazione dello Stato romano. Tra le più importanti ricordiamo: la de proscriptione, che ordinava la vendita dei beni dei proscritti; la de tribunicia potestate, che toglieva ai tribuni il diritto di proporre leggi e limitava il diritto d'intercessione; la de magistratibus, che precisava il cursus honorum; la iudiciaria, che restituiva ai senatori l'ufficio di giudici; la de XX quaestoribus, che portò a 20 il numero dei questori; l'agraria, per l'assegnazione ai veterani delle terre dei proscritti; la frumentaria, che aboliva le distribuzioni di grano; le de maiestate, de repetundis, de ambitu, che regolavano i processi di lesa maestà, di estorsione, di broglio. Uomo politico romano. Nipote di Lucio Cornelio Silla, fu designato console per l'anno 65 a.C., ma venne condannato per broglio elettorale. Ordì quindi una congiura con lo scopo di uccidere i nuovi consoli e rivestire ugualmente la carica, ma fallì. Incerta è la sua partecipazione alla congiura di Catilina (63 a.C.). Accusato de vi da L. Torquato, venne difeso da Cicerone (pro Sulla) e da Ortensio. Durante la guerra civile parteggiò per Cesare e gli furono assegnati comandi militari a Durazzo, Farsalo e in Italia (m. 45 a.C.). Chi è colpito da proscrizione; esiliato. ║ Proibito, vietato, abolito con atto legislativo o per volere dell'autorità. (dal latino tribunus, der. di tribus: tribù). Nell'antica Roma, denominazione di magistrati, funzionari e ufficiali che ricoprivano cariche aventi in origine una qualche connessione con le tribù (V. OLTRE). ║ In età medioevale e moderna, titolo talora conferito ai membri di particolari magistrature o assemblee. ║ Fig. - Con tono polemico, persona di idee rivoluzionarie e dotata di grandi capacità oratorie. ║ Fig. - In senso spregiativo, politico che parla in maniera demagogica. • St. - T. della plebe: denominazione dei capi annui della plebe, introdotti, secondo la tradizione, nel 494 a.C. Originariamente in numero di due (o quattro o cinque), già prima del 449 a.C. erano divenuti dieci. La loro autorità era non legitima, ma sacrosancta: essa si fondava, cioè, non su leggi dello Stato, ma su un giuramento di fedeltà compiuto dalla plebe. Il potere dei t. della plebe fu, perciò, un potere nella sostanza rivoluzionario, che si concretizzava in linea di massima nell'intercessio, vale a dire in un intervento a favore di un plebeo che si sentiva leso in un suo diritto o interesse per opera di un magistrato. L'intercessio, in origine limitata ai decreti dei magistrati, col tempo venne a essere applicata alle deliberazioni popolari, a quelle dei comizi centuriati e, infine, anche ai senatoconsulti, ma mantenne a lungo un carattere esclusivamente negativo; poteva, cioè, essere indirizzata contro le proposte o le candidature avanzate, ma non prevedeva la possibilità di produrre proposte o candidature alternative. Perché l'autorità dei t. della plebe assumesse degli aspetti positivi, si dovette attendere la Lex Hortensia (287 a.C.), allorché i concili della plebe divennero veri e propri organi normativi dello Stato e le deliberazioni della plebe (plebisciti) assursero al rango di leges. Non solo: mantenendo, comunque, l'autorità tribunizia il carattere sacrosanto delle origini, i t. della plebe si trovarono presto ad avere una posizione di preminenza nei confronti degli altri magistrati. D'altra parte, le trasformazioni economiche e sociali tendevano sempre più a normalizzare i rapporti tra Stato e plebe e a stemperare la carica rivoluzionaria di quest'ultima, cosicché, alla fine, lo stesso tribunato finì per divenire espressione della nobiltà plebea e per rendersi organico al sistema. In linea di principio, però, rimaneva intatta la carica rivoluzionaria dell'ufficio: di ciò si ebbe chiara percezione verso la fine del II sec. a.C., quando i Gracchi tentarono di usare il tribunato come strumento per scardinare il vetusto impianto politico e sociale romano. Fu così che Silla, nella sua opera di restaurazione di un saldo regime senatorio, ridusse drasticamente il potere dei t., subordinando, tra le altre cose, la validità dei plebisciti all'approvazione del Senato. Da allora l'istituzione iniziò una lenta ma inesorabile decadenza e i t. vennero man mano esautorati delle loro prerogative. ║ T. militari: in epoca repubblicana, ufficiali della legione sottoposti al comandante supremo. Originariamente scelti dai magistrati, successivamente eletti dal popolo, i t. militari costituivano i capi dei contingenti di fanteria delle tre tribù gentilizie; col raddoppio dell'esercito il loro numero passò da tre a sei, senza più modificarsi nemmeno col progressivo aumento del numero delle legioni. La riforma augustea dell'esercito attribuì il titolo di t. militari a una serie di ufficiali superiori comandanti di reparto quali: il t. di coorte pretoria, il t. di coorte urbana, il t. dei vigili e degli equites singulari, il t. di coorte ausiliaria milliaria, il t. di coorte ingenuorum sive voluntariorum. ║ T. aerarii (t. pagatori): capi elettivi delle tribù aventi funzioni amministrative e preposti alla distribuzione del soldo alle reclute. Il complesso delle norme giuridiche, considerate nel loro insieme o nei loro particolari raggruppamenti, che regolano i rapporti sociali determinando ciò che è lecito, vietato od obbligatorio. ║ Scienza che si occupa dello studio di tali norme. ║ Facoltà o pretesa, riconosciuta e tutelata dalla legge, di esigere dagli altri un determinato comportamento attivo od omissivo. ║ Per estens. - Facoltà o pretesa, legittimata da validi motivi. ║ Di d.: per legge. Locuzione talvolta contrapposta a di fatto. ║ D. erariali: tributi dovuti dal cittadino allo Stato o ad altro ente pubblico. ║ Compenso dovuto ad enti o a privati, per la prestazione di un servizio. ║ D. d'autore (V. AUTORE, DIRITTO D'.) ║ Filosofia del d.: scienza che studia il concetto assoluto del d., indagandone i fondamenti, la natura e i rapporti che intrattiene con l'etica e la politica. Spesso la filosofia del d. coincide con le dottrine giuridiche dei vari filosofi. ║ Dottrina del d.: scienza che studia il d. positivo. ● Encicl. - Il concetto generale di d. assomma in sé una nozione di oggettività e una di soggettività. Per d. oggettivo (o positivo) si intende l'estrinsecazione dell'attività ordinatrice del corpo sociale in un complesso normativo. Esso rappresenta il corpo giuridico effettivamente posto in atto in un dato contesto e come tale vigente nel suo ambito. Ogni singola norma del d., che agisce sui suoi destinatari sia come movente sia come regola del libero volere, stabilisce il principio ipotetico per cui ad una data fattispecie segue sempre un determinato effetto. I caratteri propri della norma giuridica sono: 1) generalità, in quanto è valevole per ogni fattispecie corrispondente a quella paradigmatica per cui la norma stessa è stata emessa; 2) imperatività, relativa alla modalità della comunicazione del merito della norma; 3) coattività, cioè capacità costrittiva esercitata nei confronti dei destinatari mediante la minaccia di una punizione. Il d. oggettivo si divide in due categorie generali. Il d. pubblico riguarda lo status rei publicae, le sue norme cioè regolano la funzione e l'organizzazione dello Stato e quella degli enti pubblici; a sua volta comprende il d. amministrativo, costituzionale, finanziario, processuale, penale. Il d. privato, invece, disciplina i rapporti fra singoli cittadini e quelli fra i singoli e lo Stato o suoi enti che non esplichino però funzioni di potere politico e sovrano; a sua volta comprende il d. civile, commerciale, agrario, industriale, marittimo. Per d. soggettivo, si intende l'insieme delle facoltà, accordate ai singoli dalle norme giuridiche positive, di esigere una determinata condotta da altri. Per le esigenze sistematiche, dunque, costituisce una categoria unitaria comprendente sia i rapporti fra singoli sia quelli fra singoli e pubblica amministrazione. In relazione al loro contenuto i d. soggettivi possono essere trasmissibili o intrasmissibili (quando siano o meno idonei ad essere trasferiti da un soggetto ad un altro), disponibili o indisponibili (quando il soggetto titolare può farne oggetto di atti di disposizione o no), patrimoniali o non patrimoniali (quando siano valutabili o meno in denaro). I d. potestativi, infine, consistono nel potere del titolare di produrre un effetto giuridico mediante l'espressione di una propria volontà (per esempio la citazione in giudizio) coinvolgendo altre persone che, pur non essendo tenute a prestazioni, debbono però soggiacere a tale effetto. La relazione fra il titolare di un d. soggettivo e la figura cui corre l'obbligo di corrispondervi rappresenta un rapporto giuridico. ● St. del dir. - Nelle prime comunità primitive, il d. coincideva in pratica con regole di comportamento volte a mantenere un equilibrio magico-sacrale, garanzia di prosperità. Solo nell'ambito delle prime culture urbane, in seguito alla differenziazione dei compiti di produzione e alla stratificazione sociale e di potere, si ebbero vere e proprie norme giuridiche corredate dalle relative sanzioni. Tali norme, in quanto trasmesse oralmente in forme di massima, si consolidarono in una sorta di d. popolare, rappresentato dalle consuetudini e dagli usi delle singole comunità. Solo con la scrittura si passò da singole massime ad una legislazione e si poté individuare la figura del legislatore da una parte e del giudice dall'altra. Il d. imposto dall'autorità, in fertile competizione con quello scaturito dall'esperienza del popolo, fu il motore nell'evoluzione delle istituzioni. Inoltre, con l'affermarsi di un potere politico distinto da quello religioso, a poco a poco anche il d. cessò di essere una mera applicazione dell'ideologia religiosa vigente per assumere una natura schiettamente civile e sociale. Il celeberrimo Codice di Hammurabi è il primo esempio di autonomia del d. rispetto alla sfera religiosa. Il d. greco fu essenzialmente di ambito cittadino, per cui ogni polis ebbe due leggi e suoi magistrati, ma sono riconoscibili linee guida comuni soprattutto nel d. privato ed in quello commerciale. Tuttavia fu il d. romano a unire la profondità del pensiero giuridico all'efficacia dell'organizzazione e delle istituzioni, influenzando la filosofia e la forma del d. fin oltre il Rinascimento, ampliando il campo dello jus naturale con lo jus civile e lo jus gentium. Con il tramonto della potenza romana, in Europa si svilupparono nuovi istituti fonte di d., che rimasero però sotto l'influenza sostanziale e formale della tradizione giuridica romana: si pensi all'intero d. longobardo o alla produzione giuridica del Medioevo europeo. Ancora nel Rinascimento fu il d. romano ad essere studiato e applicato come d. comune. Solo con la Rivoluzione francese si operò una definitiva frattura che segnò la fine dell'applicazione pratica delle tradizioni giuridiche romane e contemporaneamente portò alle prime compilazioni di Codici nazionali che furono alla base dei nascenti Stati moderni. La nuova produzione giuridica, il cui primo esempio fu il Codice di Napoleone, non si basava più sulle fonti consuetudinarie ma sulla legislazione dello Stato e sulla modalità codificatoria. Tradizionalmente opposto al d. romano è quello anglo-americano, le cui radici affondano nella normativa anglosassone iniziatasi in Inghilterra durante l'XI sec. La Common Law (V.) di matrice normanna si differenziò dal filone romanista della Civil Law, ponendosi rispetto alle normative locali precedenti come legge del re, cui tutti potevano fare ricorso in tutto il regno, prescindendo dalle istituzioni particolari. Attraverso i secoli caratteristica fondamentale del d. anglosassone restò la sua origine ed evoluzione non dottrinale ma legata all'esperienza viva processuale. Si tratta di un d. giurisprudenziale che si distingue dalla tradizione romanista dell'Europa continentale (in cui la dottrina elabora principi generali a prescindere da casi specifici cui viene successivamente applicata) in quanto i suoi orientamenti sono dati dalle sentenze emesse, la cui applicabilità viene valutata caso per caso e caso per caso modificata. ║ D. dell'uomo: tutte quelle situazioni giuridiche ritenute fondamentali per l'esistenza della persona umana e tali da non poter essere negate, compresse od ostacolate nella loro realizzazione dallo Stato. Si possono sommariamente distinguere in: d. politici, civili, economici e sociali. Essi sono volti a tutelare: 1) l'esistenza individuale nella sua integrità (contro cioè l'uccisione, la tortura, la mutilazione, la schiavitù, la privazione della libertà di coscienza, di espressione, di religione); 2) la sicurezza rispetto ai bisogni essenziali (lavoro, giusto salario, giusto riposo, salute, abitazione, istruzione); 3) l'eguaglianza fra gli individui (contro le discriminazioni di razza, sesso, lingua, religione, opinione, condizione sociale); 4) l'esercizio paritario dei d. politici (d. elettivi attivi e passivi, libertà di associazione, elezioni libere, periodiche e con segretezza del voto). La necessità di affermare i d. dell'uomo come universali e irrinunciabili è evidente fin dai primi ordinamenti statali che videro la luce, influenzati dalla cultura illuministica, nell'età moderna. Il Bill of Rights americano del 1775 e la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino francese del 1789, poi premessa alla Costituzione del 1791 (da cui trassero ispirazione tutte le costituzioni degli Stati liberal-democratici moderni), ne sono la testimonianza. Col tempo tali affermazioni generali, che avevano carattere di premessa al corpus normativo vero e proprio, assunsero contenuti più concreti e puntuali fino a raggiungere efficacia precettiva: primo esempio in tal senso fu la Costituzione belga del 1831, mentre la Costituzione italiana del 1948 rappresenta una delle più alte realizzazioni di concreta protezione giuridica al godimento e all'esercizio dei d. dell'uomo. Dopo la seconda guerra mondiale, in seguito al riscontro di tali e tante violazioni contro l'umanità, la tutela dei d. dell'uomo è stata affidata in particolare al maggior organismo di rappresentanza della comunità internazionale, l'ONU. Nel 1948 l'Assemblea delle Nazioni Unite ha approvato la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo che, benché e purtroppo priva di effetti obbligatori, in quanto raccomandazione internazionale esercita potere di indirizzo rispetto alle codificazioni dei singoli Paesi firmatari. Essa è costituita da un preambolo e da trenta articoli che sviluppano l'affermazione dell'art. 1: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e d. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza". In particolare sono specificati il d. "alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona"; la libertà dallo "stato di schiavitù e di servitù", le garanzie contro la "tortura e le punizioni crudeli, inumane o degradanti"; il d. al "riconoscimento della personalità giuridica", all'eguaglianza dinanzi alla legge e contro l'arresto e la detenzione arbitrari; il d. per ogni individuo accusato di un reato di essere "presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto le garanzie necessarie per la sua difesa"; il d. "alla libertà di movimento e di residenza"; il d. di asilo politico e di cittadinanza; l'uguaglianza dei d. tra uomo e donna nel matrimonio e all'atto del suo scioglimento; il d. di proprietà; il d. di "libertà di pensiero, di coscienza e di religione"; il d. alla "libertà di opinione e di espressione, incluso quello di diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo"; il d. alla "libertà di riunione e di associazione"; il d. di partecipare alla vita politica del proprio Paese e, infine, il d. alla sicurezza sociale, al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, allo sciopero, all'istruzione, alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità e vecchiaia. Alla Dichiarazione si ispirarono anche la Convenzione per la salvaguardia dei d. dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottata nel 1950 dagli Stati membri del Consiglio d'Europa ed entrata in vigore nel 1953. Essa fa obbligo agli Stati aderenti di garantire il rispetto dei d. e delle libertà enunciate. A salvaguardia di tali d. e libertà sono stati istituiti due appositi organismi: la Commissione europea per i diritti dell'uomo e la Corte europea per i diritti dell'uomo. Alla prima possono ricorrere le persone e i gruppi che si ritengano lesi rispetto ai principi enunciati dalla Convenzione ed abbiano esaurito le vie di ricorso nazionali; alla seconda possono invece ricorrere solo gli Stati e la Commissione stessa. La più recente e significativa occasione di dibattito e risoluzione relativa alla tutela dei d. dell'uomo è stata la conferenza sulla sicurezza e la cooperazione tenutasi ad Helsinki (V. HELSINKI, CONFERENZA DI) fra il settembre 1973 e l'agosto 1975, cui parteciparono 35 Paesi compresi USA e URSS. Al termine è stato sottoscritto un atto finale, la Carta di Helsinki, in cui i firmatari si impegnavano al "rispetto dei d. dell'uomo e delle libertà fondamentali incluse quelle di pensiero, coscienza, religione e credo". ║ Associazioni internazionali per la difesa dei d. dell'uomo: in aggiunta agli enti creati a tale scopo dal d. internazionale, sono sorte associazioni e gruppi di azione e di pressione sostenuti da liberi cittadini che intendono contribuire all'affermazione dei d. dell'uomo. Ricordiamo, oltre alla Lega internazionale per la difesa dei diritti dell'uomo, il Tribunale Russel e Amnesty International (V. SINGOLE VOCI). Sinonimi (s.f.), interposizione, intervento, mediazione, perorazione, preghiera, raccomandazione. Vocabolario intercessione s. f. Intervento a favore di qlcu. Componente del Senato. ║ S. a vita: l'art. 59 della Costituzione italiana dà diritto al presidente della Repubblica di nominare cinque s. a vita, cioè cinque cittadini nominati membri vitalizi del Senato in virtù dei loro meriti. Tutti i presidenti della Repubblica, inoltre, sono di diritto s. a vita. (dal latino officium: dovere, carica, cortesia). Dovere morale, obbligo derivante da certi rapporti, cariche: è u. dei genitori provvedere ai figli. ║ Non è mio u.: non spetta a me. ║ Servizio compiuto per cortesia, o per dovere, favore, intervento; in questa accezione il termine ricorre soprattutto nella locuzione buoni u.: intervento a favore di qualcuno (deve ai buoni u. di un suo parente il posto che occupa). ║ Funzione, compito da svolgere per dovere morale, o legato a una carica, a un incarico: lo assumeranno, ma non si sa con quale u. ║ Fare l'u. di: svolgere le mansioni di. ║ La carica, il posto ricoperto: conferire un u. ║ D'u.: locuzione utilizzata con riferimento ad atti compiuti non come iniziativa privata, ma nelle forme e con l'autorità derivante dall'u. stesso; tra questi atti rientrano anche quelli compiuti da una pubblica amministrazione senza che l'interessato ne faccia richiesta: sulla vicenda è stata aperta un'inchiesta d'u. ║ Difensore d'u.: difensore nominato dall'autorità giudiziaria quando un imputato non abbia potuto o non abbia voluto assumerne uno di propria iniziativa. ║ Fig. - Difensore d'u.: persona che, senza essere chiamata in causa, parla in difesa di un'altra. ║ L'insieme delle persone, dei servizi, delle attrezzature coinvolti in una determinata attività. In questa accezione il termine può essere impiegato in maniera generica, oppure dare luogo a una denominazione specifica: u. postale. Negli enti pubblici e nelle aziende private il termine è impiegato anche con riferimento alle articolazioni interne dell'attività: u. ragioneria. ║ U. stampa: V. STAMPA. ║ Il luogo, il locale o i locali, in cui ha sede l'u. e vengono esercitate determinate attività lavorative: entrò in u. verso le nove. ║ U. pubblici: u. aperti al pubblico, in determinate ore. • Dir. can. - U. ecclesiastico: funzione legittimamente esercitata a fini spirituali (come quella del confessore); più in particolare ogni funzione o carica, di istituzione divina o ecclesiastica, che contempli l'esercizio di una potestà ecclesiastica. La materia è regolata dagli articoli 145-203 del Codice di Diritto Canonico. • Dir. internaz. - U. internazionali: organismi internazionali creati allo scopo di favorire la cooperazione tra gli Stati in questioni di interesse comune. Numerosi organismi di questo tipo furono creati nell'Ottocento; in tempi più recenti le agenzie specializzate delle Nazioni Unite hanno rilevato molte delle loro funzioni. Alcuni u., comunque, continuano a operare in maniera autonoma rispetto alle Nazioni Unite stesse. • Lit. - In ambito ecclesiastico, l'insieme di preghiere che vengono recitate in determinate occasioni. ║ U. divino: definito anche in assoluto u. e, dopo il Concilio Vaticano, liturgia delle ore, è l'insieme di preghiere che i consacrati di entrambi i sessi devono recitare, in nome di tutta la comunità cristiana, nel corso della giornata, in base alla partizione delle ore canoniche. Il termine indica anche il libro in cui sono raccolte tali preghiere. Nell'ambito dell'u. divino, al mattutino è stata conferita la nuova denominazione di u. della lettura, unitamente a una struttura che ne consente la recita non solo come preghiera notturna per il coro, ma anche in altre ore della giornata. ║ U. dei morti: parte del breviario che veniva recitato il 2 novembre (commemorazione dei Defunti) e in occasione di devozioni private in suffragio dei morti. ║ Piccoli u.: u. che ripropongono la struttura dell'u. divino, con una misura molto ridotta e sono rivolti a particolari devozioni (alla Madonna, alla Santa Croce, ecc.). ║ Piccolo u. della Madonna: u. per la Vergine creato in ambienti benedettini intorno al Mille; venne recitato presso tutti gli ordini religiosi fino al pontificato di Pio X. • Mar. - U. idrografico: organizzazione della Marina, cui spettano diverse funzioni, quali la rilevazione dei mari e delle coste, e la pubblicazione di carte nautiche. ║ U. marittimo: nella divisione amministrativa del litorale nazionale, ripartizione comprendente direzioni marittime, capitanerie di porto, u. marittimi circondariali e locali. • St. - U. storico: all'interno di corpi, come l'Esercito e la Marina, organo cui spetta la promozione di studi storici, tecnici, topografici, la raccolta di documenti e di oggetti antichi, la pubblicazione di scritti riguardanti il corpo stesso. • Fin. - U. tecnico erariale: nell'ambito dell'amministrazione delle finanze, organo locale, presente in ogni provincia, che si occupa di questioni catastali e tecnico-erariali, con particolare riguardo alla stima e alla perizia. Guadagnare navigando! Acquisti prodotti e servizi. Guadagnare acquistando online. (dal latino quaestor, der. di quaerere: chiedere, investigare). Funzionario a capo dell'ufficio provinciale di pubblica sicurezza, o questura, al quale sono attribuite la direzione delle forze di Polizia e quella dei servizi di ordine pubblico nella provincia stessa. • Dir. rom. - Nell'antica Roma i q. rappresentavano una delle magistrature minori, cui erano affidati compiti di carattere giudiziario e amministrativo. In origine pare che i q. fossero scelti dagli stessi consoli e che fossero stabiliti nel numero di quattro; nel 409 a.C. a tale carica furono ammessi anche i plebei. Il loro numero fu ulteriormente incrementato a seguito dell'aumento delle province e per garantire nuove energie al Senato, a cui si accedeva solo dopo aver ricoperto la dignità di q. La Lex Cornelia de viginti quaestoribus di Silla ne stabilì il numero a 20, raddoppiato nel 45 a.C. da Giulio Cesare e ripristinato da Ottaviano Augusto. Dal 449 a.C. la nomina dei q. passò ai comizi tributi e condizioni di eleggibilità divennero il compimento del 25° anno di età, poi alzato da Silla ai 30 o 31 anni, e il servizio svolto per almeno dieci anni nelle legioni. Solitamente i primi due q. eletti, i quaestores urbani, assistevano i consoli nell'amministrazione cittadina, mentre le funzioni svolte dagli altri erano stabilite, solo dopo le elezioni, per sorteggio o per scelta del Senato. I quaestores urbani furono dapprima semplici assistenti consolari, ma in seguito costituirono una magistratura con compiti specifici e spesso limitanti nei confronti degli stessi consoli. Ad essi spettava anche l'amministrazione e la sorveglianza delle finanze pubbliche, dei documenti dello Stato, delle insegne militari, nonché mansioni di giurisdizione criminale, dopo che le funzioni degli originari quaestores parricidii, magistrati con funzioni repressive nei confronti di crimini contro la persona, furono assunte dai quaestores urbani. Gli altri q. venivano affiancati ai consoli e ai pretori e inviati nelle province con incarichi simili. Nelle province, inoltre, ai q. spettava la gestione della polizia dei mercati, mansione connessa con l'esercizio dello ius edicendi che a Roma riguardava gli edili. In età imperiale furono creati quattro quaestores italici o classici, cui spettava l'allestimento della flotta e la vigilanza delle coste; sembra che le loro sedi si trovassero a Ostia, in Campania, nei pressi del delta del Po e presso Lilibeo. Due q. furono inoltre assegnati al servizio del principe e incaricati dei rapporti tra questi e il Senato; l'imperatore indicava personalmente i nomi di entrambi, a cui veniva riconosciuto il diritto nel cursus honorum, in virtù del servizio prestato, di accedere direttamente al grado di pretore, saltando i livelli intermedi di tribuno e di edile. La magistratura dei q. decadde rapidamente, con il trasferimento dell'amministrazione finanziaria al praefectus aerarii Saturnii, e di quella criminale al praefectus urbi e praetorio. Nel basso Impero, infine, il quaestor sacri palatii, membro permanente del concistorium principis, fu un funzionario con mansioni essenzialmente legislative, incaricato di stilare documenti e di redigere testi giuridici. • Dir. amm. - Il q. dipende dal capo della Polizia e in sede locale dal prefetto, mentre amministrativamente fa capo al ministero dell'Interno; suo compito è quello di dirigere e coordinare i servizi di ordine pubblico, con l'ausilio della forza pubblica e di altre eventuali forze poste a sua disposizione in base all'art.14 della L. 1-4-1981, n. 121. Non gli è assegnata la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, ma ha la possibilità di rilasciare licenze di polizia non spettanti direttamente ai Comuni e gli atti di pertinenza dell'autorità provinciale di pubblica sicurezza (art.1, comma IV, R.D. 18-6-1931, n. 773, modificato dall'art.19 D.P.R. del 24-7-1977, n. 616). In virtù di leggi speciali, gli sono conferiti il diritto di decidere il tempo e il luogo o di vietare (per motivi di pubblica sicurezza, di moralità o di sanità pubblica) riunioni in luogo pubblico e cerimonie religiose esterne ai templi; il diritto di concessione di licenze per porto d'armi lunghe da fuoco, permessi di soggiorno per cittadini stranieri in Italia e il rilascio del passaporto. In base all'ordinamento regionale del 1977 sopra ricordato, molte funzioni di carattere amministrativo spettanti al q. furono assunte dal sindaco. ║ Q. delle Camere: ogni membro della presidenza della Camera dei deputati e del Senato che sovrintende al regolare svolgimento delle sedute, al cerimoniale e alle spese delle Camere. Il loro numero è stabilito in tre unità, sia per la Camera dei deputati sia per il Senato della Repubblica; vengono eletti dalle assemblee dell'Ufficio di presidenza fra i propri membri. Insieme di scienze e pratiche applicate alla coltivazione della terra. L'a. comprende tutte le tecniche che riguardano le coltivazioni del terreno, l'allevamento del bestiame necessario per tali coltivazioni, l'utilizzazione e la conservazione dei prodotti agricoli e varie discipline indispensabili all'attività dell'agronomo. • Ord. scol. - Facoltà universitaria che comprende tutte le discipline scientifiche e applicative relative all'a. (dal latino veteranus, der. di vetus: vecchio). Chi da molto tempo svolge un'attività, una professione, o frequenta un luogo definito, avendo quindi maturato una significativa esperienza: un v. dell'insegnamento. • Sport - Atleta che pratica da molti anni uno sport e che per lo più si è ritirato dalle competizioni agonistiche; in talune discipline esiste una specifica categoria v. riservata a sportivi di età compresa tra i 40 e i 60 anni. • St. - Soldato romano che, dopo aver prestato servizio per un determinato numero di anni, veniva congedato con tutti gli onori; il v. era tuttavia trattenuto in un reparto particolare, la vexillatio veteranorum, libero dal servizio, ma disponibile in caso di necessità bellica, e gli venivano attribuiti premi e i commoda militiae (terre e somme di denaro), sottostando alle sole imposte dirette. ║ Per estens. - Negli eserciti moderni, militare che ha prestato servizio per molti anni, soprattutto durante conflitti: un v. dell'esercito napoleonico. Maestà. Titolo attribuito dai Romani all'imperatore. Rimesso in uso da Carlo V, continuò a essere dato agli imperatori, al re e alle loro consorti. • St. del dir. - Lesa M.: in termini di diritto, il reato di lesa m. si configurava in due modi: o come offesa contro la divinità o come offesa contro persone che godevano di speciali privilegi giuridici. Nell'antica Roma i primi a godere di questi privilegi furono i tribuni della plebe i quali, per poter svolgere con imparzialità e sicurezza la loro funzione di salvaguardia delle classi subordinate della società romana, godevano del privilegio dell'intoccabilità. Chi attentava alla loro persona commetteva un delitto di laesae maiestatis che poteva anche comportare come punizione la pena di morte. In seguito, con l'aumentare del potere dei tribuni della plebe, conseguenza dei mutati rapporti di forza che intercorrevano tra i vari strati sociali di Roma, non solo l'attentato alla persona fisica di un tribuno venne considerato reato di lesa m., ma vennero considerate anche offese nei confronti di questi le interruzioni dei loro interventi in senato. Quando la figura dei tribuni della plebe venne a perdere importanza il delitto di lesa m. si configurò come offesa nei confronti dei massimi dirigenti dello Stato romano e delle sue istituzioni più importanti. Nel periodo imperiale il reato di lesa m. venne praticamente identificato con le offese alla persona dell'imperatore o di altri componenti la famiglia imperiale. Questa accusa dopo il periodo augusteo, durante il quale era stata raramente lanciata contro cittadini romani, divenne un'arma politica assai frequente durante i regni di Caligola e di Tiberio che non esitarono a combattere la loro battaglia contro l'aristocrazia senatoria che non accettava l'estensione del potere imperiale, accusando numerosissimi patrizi romani di lesa m. e costringendoli al suicidio o all'esilio. Il reato venne anche contestato dalle comunità cristiane che si rifiutavano di adeguarsi alla divinizzazione dell'imperatore creando un precedente che il potere imperiale non poteva sottovalutare. Dall'epoca romana il reato è stato trasportato, attraverso il periodo feudale, nella giurisprudenza degli Stati assolutistici che ne hanno fatto dei cardini fondamentali per salvaguardare il principio del potere sovrano e della sua intangibilità. In periodi più recenti il reato, criticato dagli studiosi di diritto di tutto il mondo, sopravvive solo nei regimi a carattere totalitario o apertamente fascista. Atto ed effetto dell'estorcere. ● Dir. - Delitto contro il patrimonio, mediante violenza. Consiste nel procurare a sé o ad altri, un ingiusto profitto con altrui danno, costringendo, mediante violenza o minaccia, qualcuno a fare o ad omettere qualche cosa. Sinonimi (s.m.), frode, imbroglio, intrigo, maneggio, raggiro. 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