Cernichovskij, Saul.
Černichovskij, Saul. Poeta ebraico di origine russa. Passò la giovinezza in un villaggio di campagna dal quale attinse i motivi dominanti delle sue prime poesie. All'età di dodici anni compose un dramma e un gran poema: Uria l'Hittita. Nel 1899 pubblicò il suo primo volume di poesie: Visioni e musiche. In quello stesso anno si trasferì a Heidelberg, dove compose le Leggende di primavera, Dejanira, Benedetto di Magonza. Laureatosi in medicina a Losanna, dal 1907 al 1910 esercitò la sua professione in alcuni villaggi russi e durante la prima guerra mondiale servì come medico nell'esercito russo. Riuscito con molta difficoltà a espatriare, visse a Berlino dal 1922 al 1925, quindi in Palestina. La sua creazione più originale sono gl'Idilli, in cui ritrae la vita semplice coraggiosa degli Ebrei, e le Ballate, martirologio ebraico nel Medioevo. Tradusse l'Iliade e l'Odissea di Omero, il poema finnico kalevala, il Convito di Platone e poi Orazio, Anacreonte, Goethe. Lasciò inoltre, il dramma Bar Kochbà e molte novelle ispirate per lo più alla sua attività di medico e alla vita negli ospedali (Michajlovska 1875 - Gerusalemme 1943). Poeta. Chi compone poesie. A seconda del genere trattato, si parla di p. lirico, tragico, epico, satirico, ecc. - P. maledetti: V. MALEDETTO. - Per estens. - Avere un animo da p.: detto di chi possiede un innato gusto estetico, una propensione a ricercare l'ideale e ad impiegare la fantasia. Relativo agli Ebrei. - Lett. e Ling. - La lingua e. appartiene al ceppo semitico e forma, assieme con la lingua aramaica, il ramo occidentale del gruppo settentrionale delle lingue semitiche. Tra l'e. e l'aramaico (che fu, tra l'altro, la lingua nella quale predicò Gesù) i rapporti furono sempre molto stretti. Alcune parti della Bibbia furono redatte nel cosiddetto aramaico-biblico. Come lingua parlata l'e. venne soppiantato dall'aramaico verso il II sec. a.C. Sopravvisse come lingua letteraria e religiosa. L'alfabeto e. comprende ventidue segni corrispondenti ad altrettante consonanti. Come lingua letteraria l'e. non ha subìto notevoli mutazioni nel corso dei secoli. La letteratura e. può essere suddivisa in alcuni periodi distinti fra loro. - Il periodo biblico trova le sue testimonianze nel libro sacro del popolo ebreo. In esso si trovano esempi di poesia epica, di poesia lirica, di narrazioni storiche che, attraverso le innumerevoli traduzioni in tutte le lingue del mondo, ha esercitato una tangibile influenza attraverso i secoli. - Il periodo ellenistico e talmudico comprende le opere dei cosiddetti Apocrifi palestinesi delle quali fa parte una serie di libri di cui sono andati perduti gli originali e. a causa dell'intransigenza dei teologi tradizionali. Di questo gruppo di testi fanno parte il primo libro dei Maccabei, i Salmi e le Odi di Salomone, la storia della Casta Susanna e numerose Apocalissi. La letteratura di tradizione e. e di lingua greca trovò la sua opera più significativa nella versione della Bibbia detta dei Settanta, iniziata ad Alessandria verso il III sec. a.C. e terminata prima del 132 a.C. Il rappresentante più importante di questa letteratura fu Filone d'Alessandria (m. dopo il 41 d.C.) nel cui pensiero si conciliarono la teologia e. e la filosofia greca di derivazione platonica. Ricordiamo inoltre lo storico Flavio Giuseppe (m. verso il 100 d.C.) che nella sua Guerra giudaica narrò le vicende della distruzione di Gerusalemme da parte delle truppe romane. Successivamente, dopo la definitiva conquista romana della Palestina ed il crollo dello Stato e., sorse nell'esilio babilonese una serie di scuole e di accademie di teologia che si proponevano di difendere l'eredità del passato. Si venne in questo modo formando la cosiddetta Mishna o testo della legge orale e il Talmud, nelle due versioni palestinese e babilonese. Il Talmud, diviso nei settori etico-religioso e giuridico, fu opera di due studiosi, Akiba ben Joseph e Ismael ben Elisa, giustiziati sotto l'imperatore Adriano. La redazione definitiva della Mishna venne conclusa attorno al 220 ad opera di Giuda il Santo. Il Talmud, monumentale commentario ad ogni versetto della Bibbia, è fondamentale per la conoscenza della mentalità e. antica. - Nel periodo medioevale e rabbinico la cultura e. iniziò a diffondersi in Africa settentrionale sulle orme della conquista araba. Tappe di questa diffusione furono le fondazioni delle accademie rabbiniche che sorsero al Cairo, a Qairawan in Tunisia e, quando gli Arabi iniziarono l'invasione della Spagna, a Cordova. Successivamente molte altre accademie vennero fondate in Francia, Italia e Germania. Tuttavia fu in Spagna che la cultura e. ebbe modo di espandersi con maggiore libertà, grazie alla particolare tolleranza delle autorità arabe. La figura più importante è quella di Salomone ibn Gabirol (1021-1058), poeta, filosofo neoplatonico e teologo. Di lui ricordiamo il trattato La fontana della vita nel quale esponeva la tesi dell'universalità della materia. Altri autori importanti furono Abramo ibn Daud (1110-1180) che tentò di fondere la teologia giudaica con la filosofia aristotelica, Giuda Halévy (1085-1140), Mosè ben Maimum (1135-1204), autore di commentari al Talmud e di un tentativo di conciliare la Bibbia con la filosofia di Aristotele. Nel XIII sec. la letteratura ebraica fiorì principalmente in Germania e Francia. è di questo secolo il Libro dello splendore redatto in lingua caldea e che rappresenta la summa delle dottrine della cabala. Nel XIV sec. ebbe inizio un periodo di decadenza dovuto alle persecuzioni di cui erano fatti oggetto gli Ebrei in tutti i Paesi europei. Gli autori più significativi di questo periodo di crisi, protrattosi sino al 1700, furono Isacco Abarbanel (1437-1508), lo storiografo Joseph ha-Cohen e il filosofo Baruch Spinoza (1632-1677). - Nel periodo moderno la creazione artistica passò in secondo piano rispetto agli interessi religiosi, politici e sociali che coinvolsero gli intellettuali ebrei. In secondo luogo, in molti Paesi europei gli scrittori e. preferirono esprimersi nella lingua del paese di appartenenza per poter essere compresi da un pubblico più vasto. Il più importante di questi autori fu l'ebreo tedesco Mosé Mendelssohn (1729-1786), rinnovatore dello spirito ebraico. Anche il padre del movimento sionista, Theodor Herzl (1860-1904) scrisse in tedesco. Similmente, quasi tutti gli autori dell'Europa occidentale preferirono esprimersi nella lingua dei loro Paesi. Nei Paesi dell'Europa orientale, invece, la lingua neo-e. mantenne il sopravvento rispetto alle lingue slave. Tra gli autori ricordiamo il filosofo Nahman Krochmal (1785-1840), il poeta russo Iehuda I eib Gordon (1831-1892), lo scrittore Salom Abramovic (1835-1917) e il poeta Isaak-Leib Perets (1851-1915). Tutti questi autori scrissero sia in e. sia in jiddisch. La tradizione linguistica e. venne mantenuta ferma particolarmente dai poeti tra quali ricordiamo Naphtali Herz Imber (1856-1931). Tra gli esponenti sionisti particolarmente significativi ricordiamo il russo Aser Ginzberg (1856-1927), il poeta Khaim Nahman Bialik (1873-1934), Mosè Smilanski (1874-1950) e Iakob Steinberg (1886-1947). - Arte - Per molto tempo è stata opinione comune fra gli studiosi che il divieto biblico di riprodurre l'immagine di ogni creatura vivente avesse in ogni senso bloccato lo sviluppo dell'arte e. Tuttavia gli ultimi ritrovamenti archeologici in Palestina hanno dimostrato la disponibilità verso un'arte figurativa in cui era presente una notevole sensibilità estetica. La prima testimonianza dell'arte e. ci è data dalle incerte tracce del primo tempio costruito a Gerusalemme da Salomone. I frammenti che ci restano di quell'epoca dimostrano le influenze dell'arte cananea e della contemporanea arte persiana. Nel periodo ellenistico l'arte e. conobbe un notevole sviluppo testimoniato da numerosi autori contemporanei. Gerusalemme venne abbellita con diversi monumenti tra i quali ricordiamo la cosiddetta Tomba dei re. Successivamente, nel corso del regno di Erode, vennero edificati numerosi palazzi a Cesarea, Samaria e Massada. La principale caratteristica delle costruzioni di questo periodo è la grandiosità degli impianti testimoniata dalla mole dei ruderi che sono stati ritrovati. Nei primi secoli dell'era cristiana queste caratteristiche di grandiosità vennero gradatamente meno anche a causa della perdita delle libertà politiche da parte degli Ebrei. Fu in questo periodo che ebbe origine l'edificio più caratteristico della tradizione ebraica: la sinagoga. La sua origine deriva probabilmente dalle costruzioni del periodo della cattività babilonese delle quali conserverà le caratteristiche di luogo di preghiera comune. Contrariamente ai templi greci e romani, le sinagoghe erano costruite in modo tale da poter ospitare un grande numero di fedeli assieme al sacerdote deputato alla funzione. Le caratteristiche importanti degli edifici erano costituite dal tetto sostenuto da due file di colonne che la dividevano in navate. La maggior parte delle finestre erano collocate sulla facciata ed erano rivolte in direzione di Gerusalemme. L'esterno era adornato da sculture, mentre gli interni si presentavano sostanzialmente spogli. Oltre che dal punto di vista architettonico, le sinagoghe sono degne di interesse anche per le ricche decorazioni a mosaico e per i pavimenti. Per un lungo periodo la costruzione delle sinagoghe e la decorazione dei libri furono le uniche attività cui poterono dedicarsi gli Ebrei dopo il trionfo della religione cristiana e dopo la conquista araba della parte meridionale del bacino del Mediterraneo. Malgrado le notevoli limitazioni loro imposte, gli architetti e. riuscirono a impostare uno schema originale per la costruzione delle sinagoghe. L'aula venne fissata in una pianta bifocale. Nel primo centro era situata la pedana sulla quale prendeva posto il sacerdote nel corso della funzione; nel secondo era situata l'Arca santa sempre rivolta in direzione di Gerusalemme. Le migliori sinagoghe medioevali vennero costruite in Spagna, mentre nel corso del Rinascimento fu in Italia che gli architetti e. diedero i migliori esempi della loro arte. L'arte e. della decorazione dei codici è stata riscoperta solamente di recente e fatta oggetto di studi accurati. Accanto alla miniatura vera e propria gli Ebrei coltivarono anche un'arte decorativa che si fondava sull'uso delle parole del testo per formare complicati motivi ornamentali. Uno dei più importanti codici di questo genere è la Bibbia in sette volumi conservata nella biblioteca Berio di Genova e risalente al 1438. L'arte della decorazione dei libri non cessò con l'avvento della stampa. Sorsero infatti molte stamperie e. tra le quali ricordiamo quella italiana del Soncino. (dal greco drama: azione). Termine risalente ad Aristotele, indicante in origine qualsiasi opera letteraria le cui vicende, anziché essere raccontate e commentate dall'autore (come nella narrativa e nell'epica), sono svolte solo attraverso i dialoghi e i conflitti dei personaggi. In particolare, composizione teatrale caratterizzata da un intreccio doloroso. - Teatro - Nato dalla fusione della commedia con la tragedia (la forma seria del teatro aristocratico e feudale) il d. si distingue da quest'ultima per alcuni elementi esteriori ed anche per alcune caratteristiche intrinseche. Tra i primi: il d. non è necessariamente in versi, non racconta storie di dei o di eroi, non si conclude obbligatoriamente con la catastrofe (e con la catarsi), ma può essere in prosa, presenta personaggi rintracciabili nella vita quotidiana, svolge vicende che possono far parte dell'esperienza di ognuno, può sfociare in conclusioni amare o liete e comunque non sempre tragiche. Tra le seconde: la sorte dei protagonisti non è decisa in partenza da un decreto del fato o da una passione indomabile, ma determinata dal contesto nel quale essi agiscono; inoltre è assai più esplicito l'intento di educare lo spettatore, traendo dalle vicende una morale. Gli antecedenti di questo genere furono le cosiddette domestic tragedies elisabettiane: Arden of Feversham (1592), Una donna uccisa con la bontà, Una tragedia nello Yorkshire; suo prototipo appare il d. Il mercante di Londra (1731) di G. Lillo, che incontrò in Inghilterra un notevole successo. Fu comunque in Francia che si affermò in età illuministica il vero d. moderno, derivato dalla comédie larmoyante, volta a suscitare la trepida partecipazione degli spettatori alle patetiche vicende dei protagonisti. Spetta a D. Diderot il merito di aver esposto la teoria del nuovo genere nelle Tre conversazioni su "Il figlio naturale" (1757) e nel Discorso sulla poesia drammatica (1758). Dai propositi, d'orientamento realistico, di Diderot trassero ispirazione numerosi autori francesi, da Voltaire (La scozzese, 1760), a Mercier (Il carretto dell'acetaio, 1774) che nel Nuovo saggio sull'arte drammatica (1773) diede una definitiva consacrazione al termine d. In Germania i primi capolavori drammatici furono firmati da Lessing: Minna di Barnhelm (1763), Emilia Galotti (1772). Il d. dominò il teatro europeo dell'Ottocento fino a Ibsen e Strindberg; poi col nuovo secolo e il superamento dei vecchi generi, è iniziata la storia, completamente diversa, del teatro moderno. - D. pastorale: genere teatrale, affermatosi negli ultimi decenni del Quattrocento, che si rifà all'idillio, alla bucolica e all'egloga e trasforma il dialogo in vera e propria struttura drammatica. Esso è tuttavia condizionato dalle corti, che esigono dal poeta un teatro raffinato, pieno di fasto e di garbo. Il d. pastorale viene così a fondere il sentimento tragico a quello comico, con il lieto fine di rigore, per non turbare la serenità del gioco festivo, in cui abitualmente questo genere veniva rappresentato. Dalla favola pastorale il teatro riprende gli stessi personaggi: ninfe, satiri, pastori e cacciatori. L'esempio primo di questo genere si ha nella Favola di Orfeo di Poliziano, rappresentata nel 1480. Fino alla metà del Seicento il genere continua ad avere fortuna e tra le opere più significative sono da ricordare il Tirsi di Baldassarre Castiglioni (1506), l'Egle di G. B. Giraldi Cinzio (1545), l'Aminta di T. Tasso (1590), mentre l'Endimione di A. Guidi (1692) segna la fine di una formula ormai priva d'interesse, che egualmente si era andata spegnendo in Spagna e in Inghilterra, dove aveva trovato, specie in Garcilaso de la Verga, Juan de Encina ed E. Spencer, i migliori cultori. - D. satiresco: uno dei tre grandi generi del teatro classico greco; ha in sé i caratteri della tragedia e della commedia e assunse preciso carattere proprio per la dinamica grottesca su temi tragici. Nel d. satiresco il vecchio Sileno guida il coro dei satiri - esseri dai particolari animaleschi - osceni crapuloni, allegri, la cui azione fa da controcampo all'intervento del protagonista: Odisseo, contrapposto al leggendario Ciclope, nell'omonimo d. satiresco di Euripide, l'unico testo pervenutoci completo, o i tradizionali eroi della tragedia greca, rappresentati in dimensioni grottesche, dove comico e tragico si fondono in una parlata popolare, sboccata e cruda, ricca di vis comica. Al genere, che ebbe in Pratina (secc. VI-V a.C.) il suo perfezionatore, si dedicarono anche Eschilo e Sofocle con opere di cui restano frammenti. - D. liturgico: azione drammatica religiosa cantata su testo latino (talvolta misto a volgare). Il testo è sempre la parafrasi dialogata di un episodio evangelico; la sua rappresentazione che in origine aveva spesso maggiore affinità con un rituale processionale più che con uno svolgimento teatrale vero e proprio, si svolge in chiesa. Il periodo di maggior fioritura del d. liturgico si ebbe nel XII sec., ma le origini risalgono alla fine del IX sec.; lo sviluppo si protrasse fino al XIV sec. è probabile che l'origine del d. liturgico vada ricondotta alla fioritura dei tropi in epoca carolingia: si ritiene anzi che un primo breve ed embrionale esempio di d. liturgico possa essere stato il dialogo, interpolato al testo della Messa di Pasqua, tra l'angelo e le pie donne che trovano scoperchiato il sepolcro di Cristo. Il d. liturgico è legato alla solenne celebrazione di una festa: la Pasqua, il Natale, la resurrezione di Lazzaro, la conversione di Paolo. Non rientra quindi in senso stretto nella categoria di Planctus, lamento della Vergine sul corpo di Cristo, genere affine ma legato al Venerdì santo e avente carattere doloroso. - D. musicale: nel Seicento, e anche in seguito, fu talvolta sinonimo di melodramma o di opera seria. Ma un significato più preciso fu assunto dal termine dopo la teorizzazione wagneriana dei concetti di opera e di dramma. L'opera è quella caratterizzata dalla distinzione (consueta al tempo di Wagner) tra recitativi e arie, duetti, concertati; dalla presenza insomma di pezzi chiusi in cui le ragioni del testo dovevano adeguarsi a quelle della musica e in un certo senso subirle. Il rapporto si invertì nel d. musicale teorizzato da Wagner, in cui spettava al testo condizionare la forma musicale, liberata dalle esigenze del "pezzo chiuso". Dopo Wagner molti compositori evitarono nel loro teatro musicale le forme chiuse dell'opera (Strauss, Debussy, Verdi nel Falstaff e numerosi altri), senza che i loro lavori potessero tuttavia qualificarsi come d. in senso wagneriano. (dal latino poema: composizione poetica, poesia, der. del greco poíēma: produzione, creazione). Componimento in versi di una certa estensione, di carattere narrativo, didascalico, allegorico, ecc. Generalmente diviso in canti o libri, metricamente è caratterizzato dalla solennità del verso, l'esametro in latino, l'endecasillabo in italiano. - P. epico: p. di argomento eroico, come l'Iliade, l'Odissea o l'Eneide. - Fig. - Questo è un p.: detto di un componimento che abbia un'estensione maggiore del normale. - Mus. - P. sinfonico: composizione per orchestra derivante dalla categoria della musica a programma, avente il fine di evocare vicende drammatiche, ambientazioni naturali, figure leggendarie, ecc. Testimoniata fin dal Medioevo e per tutto il Rinascimento, la musica programmatica trovò la sua più alta espressione nei classici: in L. van Beethoven (Pastorale) e in H. Berlioz (Aroldo in Italia). Il termine fu tuttavia impiegato per la prima volta da F. Liszt, che compose 14 p. sinfonici per sottolineare una maggiore libertà e pluralità tematica. R. Strauss interpretò il p. sinfonico quale dramma musicale, mentre C. Debussy scelse la forma del polittico, caratterizzato da distinti quadretti musicali. (dal greco poíesis: attività poetica). Composizione scritta od orale caratterizzata da una struttura formale ritmica, ossia regolata dalla metrica (V.), e ornata da particolari figure retoriche. In genere si contrappone la p. alla prosa (narrativa, saggistica, ecc.), in quanto le leggi metriche, siano esse di natura qualitativa o quantitativa, impongono una forma espressiva chiusa, in versi, mentre la prosa è la oratio soluta per eccellenza, cioè la forma espressiva linguistica non soggetta a restrizioni metriche e dunque non versificata. La struttura in versi, in quanto discorso organizzato ritmicamente, implica un uso particolare della lingua: la parola poetica non è soggetta, a sua volta, alle regole grammaticali dell'eloquio in prosa, ma è ordinata secondo figure retoriche fonetiche (allitterazione, assonanza, anafora, omeoteleuto, onomatopea, ecc.), sintattiche (anastrofe, iperbato, enallage, ipallage, chiasmo, ecc.), morfologiche (zeugma, paronomasia, poliptoto, ecc.), semantiche (metafora, metonimia, sineddoche, tropo, similitudine, ecc.), capaci di stravolgere le consuetudini linguistiche e di costruire una lingua poetica a sé stante. Tale lingua poetica può distinguersi da quella in prosa anche per una scelta lessicale particolare, corrispondente a precise tematiche: in base alla forma metrica e ai contenuti svolti si distinguono tradizionalmente una p. epica, lirica, drammatica, bucolica, satirica, didascalica, dialettale, ecc. - Encicl. - Secondo la precedente definizione, peculiarità formali e particolarità tematiche fanno, dunque, della p. una espressione linguistica diversa da quella quotidiana e prosastica. In genere, fino alla prima metà del XX sec., si era soliti considerare la p. come una espressione artistica superiore in quanto tale, nobile ed elevata, contrapposta alla bassezza della normalità espressiva. Infatti, secondo le concezioni classicistiche, la p. era il luogo privilegiato di quella armonia considerata la suprema espressione del bello, realizzata attraverso l'applicazione di precisi canoni formali (metrici, retorici, lessicali e tematici), e avente come modello indiscusso la lirica petrarchesca. Il Romanticismo, poi, pur rifiutando il rigore formale e ricercando nuove espressioni poetiche, sciolte dalle convenzioni classiche, considerò la p. come manifestazione stessa dell'assoluto, della forza primigenia dell'universo, essa stessa entità organica vivificante e creatrice e propria solo di chi fosse in grado di vivere all'unisono con tale suprema forza generativa: il poeta è un sacerdote e la p. la nuova religione. Se, dunque, ogni opera d'arte in quanto manifestazione di tale spirito poetico poteva essere p., al di là della forma classica, era pur sempre concepita come qualcosa di eccezionale, ben lontano dalle banalità espressive quotidiane. E se è pur vero che la vis polemica anticlassicistica propria dei romantici li condusse a recuperare la realtà storico-quotidiana facendone oggetto di p. (ebbero, infatti, una particolare diffusione la p. satirica, realistica, dialettale e popolare), tuttavia l'intendimento era comunque quello di cogliere nel quotidiano quel genio poetico che potesse elevarlo al di sopra della superficialità e della normalità del volgo. Tale concezione di p. culminò nell'Estetica di B. Croce, per il quale p. era sinonimo di valore estetico assoluto e come tale proprio di musica, pittura, prosa, ecc. Nella seconda metà del XX sec., tuttavia, con il prevalere dell'interesse sociale nel fatto letterario e la riscoperta del Realismo, si ripropose la questione di come intendere il termine p.: una soluzione fu offerta da R. Jakobson. Nel 1958 egli sostenne che ciò che determinava il poetico e dunque l'essere p. non era una categoria formale o una tipologia tematica determinabile a priori, ma la funzione poetica di differenti messaggi artistici. Questa non implicava di per sé una superiorità poetica, ma una diversità espressiva funzionale alla interrelazione tra mittente (autore) e destinatario (pubblico). Il mittente sceglieva le componenti del suo discorso e le organizzava in nessi di interrelazione: la funzione poetica nasceva dal modo particolare di scegliere e di combinare gli elementi, e in particolare dal prevalere del principio di equivalenza nell'ambito della combinazione, cosicché l'attività combinatoria risultava determinare quella selettiva. La funzione poetica era, perciò, il messaggio in se stesso, che evidenziava i segni rispetto agli oggetti significati: la funzione cognitiva del messaggio risultava così secondaria. Il principio di equivalenza poteva variare da messaggio a messaggio: in questo modo ora poteva essere la metrica, ora la retorica fonetica, ora la retorica semantica, ecc., ma in ogni caso era di natura formale. Le componenti formali, quindi, sono determinanti per la funzione poetica e per la p. in particolare. L'estetica moderna non ammette più l'antica tradizionale distinzione tra p. e prosa, come due forme di espressione letteraria materialmente diverse, l'una espressione ritmica e quindi metrica, in versi, misurabile e quindi soggetta a certe regole musicali, e l'altra sciolta da siffatte regole. Si è dimostrato che un ritmo, una musicalità c'è in ogni espressione, anche nel discorso non versificato, che come prosa si distingue dalla p. Tre sono le principali forme di p. trattate fin dalle origini: lirica (V.), nata dal bisogno dei popoli primitivi di innalzare inni di giubilo alle divinità, o inni di dolore e suppliche nelle sventure; epica, nata dal bisogno di tramandare ai posteri le gesta degli eroi nelle lotte contro gli elementi naturali o gli uomini, e che nell'esaltazione della gioia o del dolore diventano necessariamente narrazioni poetiche; drammatica, nata dal bisogno di comunicare i fatti con l'efficacia emotiva dei discorsi, unita ai riti religiosi (V. EPOPEA). In seguito la p. venne trattata non più dal popolo spontaneamente, ma divenne appannaggio delle classi colte, che svilupparono forme più raffinate: il poema didascalico, che si propone di insegnare divertendo; la p. satirica e giocosa, che intende stigmatizzare parodisticamente i costumi. Il poema romanzesco, variazione del poema epico, scritto in lingua romanza (francese, provenzale o italiano) cantò le gesta dei cavalieri medioevali in lotta con mostri, maghi, elementi fantastici di ogni specie. Tragedia e commedia derivano dalla p. drammatica, così come le sacre rappresentazioni, narranti qualche episodio della vita di Cristo o dei Santi, in auge nel Medioevo, e la farsa (V.), commedia faceta. - Scrivere in p.: scrivere in versi. - Comporre una p.: comporre le parole secondo le norme espressive poetiche, ossia metriche, retoriche, lessicali. - Recitare una p.: declamare una composizione in versi, nel rispetto del ritmo poetico. - Raccolta di p.: insieme di componimenti poetici. Guadagnare navigando! Acquisti prodotti e servizi. Guadagnare acquistando online. Città (139.941 ab.) della Germania, nel Baden-Württemberg, alle pendici meridionali dell'Odenwald, sul fiume Neckar. Industrie del tabacco, cartarie, meccaniche ed alimentari. Possiede la più antica università tedesca, fondata nel 1386. Orto botanico. Castello del XVI sec. - St. - Sorta sul luogo di un accampamento militare romano, nel X sec. fu feudo dei vescovi di Worms. Fu incorporata al granducato del Baden nel 1803. - Catechismo di H.: uno dei più importanti catechismi della Riforma. Fu compilato da una commissione di teologi della facoltà di Teologia di H., fra i più importanti dei quali Olevianus e Ursinus. Città (114.161 ab.) della Svizzera occidentale, capitale del Cantone di Vaud, sulla sponda settentrionale del Lago di Ginevra, ai piedi del monte Jorat (932 m). - Econ. - Le attività di maggior spicco sono quelle commerciali, bancarie e assicurative. Per quanto riguarda il settore industriale, un apporto decisivo all'economia cittadina proviene dagli stabilimenti che producono materie plastiche, prodotti alimentari, meccanica di precisione. Sede di università, fondata nel 1890, e di un'accademia, molto più antica (1537), L. è anche sede della Suprema corte svizzera di giustizia, e del Comitato Internazionale Olimpico (CIO). - St. - Antico centro abitato già prima della conquista romana, fu distrutta dai barbari alemanni nel I sec. a.C. e ricostruita sulle alture sovrastanti il lago nel VI sec. Nel 573 divenne sede vescovile e a partire dall'896 il vescovo di L. esercitò diritti feudali sulla città. Nel XIII sec. il potere vescovile cominciò ad incontrare l'opposizione dei borghesi e nelle lotte intestine si inserirono attivamente i conti di Savoia. Nel 1356 Amedeo VI di Savoia fu nominato vicario dell'imperatore e successivamente L. fu dichiarata città libera dell'Impero. La conquista di Vaud da parte dei Bernesi (1536) portò all'introduzione del Protestantesimo nell'intera regione. Un gran numero di stranieri, specie francesi, esuli dai loro Paesi per motivi religiosi, affluirono nella città tra i secc. XVII e il XVIII. Nel 1798 la città e il Vaud si ribellarono a Berna offrendo ai Francesi l'occasione di invadere la Svizzera. Dal 1803 L. è la capitale del Cantone di Vaud. - Pace del 1912: venne conclusa il 18 ottobre 1912 tra l'Italia e l'Impero ottomano, e riconobbe di fatto la conquista italiana della Libia. - Conferenza del 1922-23: convocata a L. il 21 novembre 1922 con la partecipazione di Francia, Gran Bretagna, Italia, Stati Uniti d'America, Giappone, Grecia, Romania, Jugoslavia, Turchia, Bulgaria, URSS, Belgio e Portogallo per determinare il trattato di pace con la Turchia. La conferenza si concluse il 24 luglio 1923, con il Trattato di L., il quale pose fine allo stato di guerra esistente dal 1921 tra la Repubblica turca e la Grecia, e costituì il vero trattato di pace tra le potenze dell'Intesa della prima guerra mondiale e la Turchia, non essendo mai entrato in vigore il precedente trattato di Sèvres. - Conferenza del 1932: convocata per la definitiva sistemazione delle riparazioni e dei debiti della prima guerra mondiale, si svolse dal 16 giugno al 9 luglio 1932, tra Germania, Francia, Inghilterra e Italia. L'accordo cui pervennero i rappresentanti degli stati interessati, cioè la consegna di buoni per tre miliardi di marchi oro da parte tedesca alla Banca dei regolamenti internazionali, non entrò in vigore. - Arte - La città vecchia (Cité) sorge su un colle e conserva importanti monumenti artistici. La cattedrale di Notre-Dame, iniziata nella prima metà del IX sec. e terminata nel 1275, è considerata il principale edificio gotico della Svizzera. Molto interessanti il portale meridionale del 1240 e il rosone del transetto, con bellissima vetrata. Altri edifici gotici sono la chiesa di San Francesco (XIII-XV sec.) con un bel coro scolpito della fine del Trecento e il castello del Vescovo. Tra le costruzioni barocche ricordiamo il Municipio (1674-78), opera di A de Crousaz e il Collège Scientifique (1766-71). Presso il Musée Cantonal des Beaux Arts, situato nel palazzo di Rumine (1898-1906), sono conservate opere di artisti svizzeri dal XVIII al XX sec. Insieme delle forze armate di uno Stato che, agli ordini di un capo, agiscono per via di terra, di acqua o di aria, costituendo il complesso della forza bellica, destinata alla difesa ed all'offesa. - Encicl. - Forme speciali di servizio militare obbligatorio e di organizzazioni militari esistevano già in Egitto, in Persia e presso gli Assiri e gli Ebrei. Ma dove si trovano elementi che più si avvicinano alla concezione moderna dell'e. è in Grecia ed a Roma. Ad Atene, e soprattutto a Sparta, il mestiere delle armi era tenuto in grande considerazione. A Roma il concetto della difesa armata della Patria era nobile ed elevato: essa costituiva un onore riservato ai soli cittadini romani. Base dell'ordinamento miliare romano era la legione. L'arma tipica del legionario romano era la spada. La Repubblica non aveva e. permanente: ognuno dei due Consoli disponeva, in caso di necessità, di una legione, con le armi ausiliarie. Più tardi, per le necessità crescenti del dominio sempre più vasto, gli alleati furono ammessi a servire sotto le insegne romane. Augusto creò un primo nucleo di e. permanente. L'estensione dell'Impero e la necessità di presidiarne la periferia costrinsero gli imperatori all'immissione di elementi locali negli e.: di qui cominciò la decadenza militare di Roma, che fini per cadere sotto i colpi delle orde barbare. Il Medioevo, rappresenta, anche per le istituzioni militari, un notevole regresso; mentre nel feudalesimo erano tenuti in grande onore il coraggio e le capacità individuali, il portare le armi diventò, più tardi, un mestiere prezzolato. Sorsero, così, le compagnie di ventura e gli e. mercenari. Con il formarsi delle monarchie, le necessità di difesa, sino ad allora limitare ai Comuni, si allargarono, ed i sovrani si circondarono di truppe pagate. Luigi XIV diede una nuova organizzazione alle forze armate. Federico II di Prussia perfezionò le istituzioni militari, e creò gli Stati Maggiori. La Rivoluzione francese, con la proclamazione dei diritti dell'uomo sancì il concetto che servire la Patria in armi non è soltanto un dovere ma un diritto: ne conseguì l'obbligo generale e personale al servizio militare. Oggi esistono vari sistemi di organizzazione dell'e. - E. permanente: ferme brevi, inquadratura sufficiente ai primi bisogni della mobilitazione ed ufficiali permanenti. - E. volontario: ferme lunghe e quadri permanenti. - E. misti: volontaria ferme lunghe, quadri permanenti e la forza limitata da trattati. - Nazione armata: ferme brevissime, pochi quadri permanenti ed attrezzatura pronta per un inquadramento sufficiente alla difesa. Abitante o nativo della Russia; in passato, il termine impropriamente indicava gli abitanti dell'Unione Sovietica. ║ R. bianco: abitante o nativo della Russia Bianca. L'espressione venne usata in passato per indicare gli esponenti delle armate controrivoluzionarie durante la guerra civile innescatasi con la Rivoluzione d'Ottobre. - Ling. - La lingua ufficiale della Russia (V.). - Abbigl. - Berretta r. o alla r.: berretto a busta in pelliccia che può essere abbassato ai lati per riparare le orecchie. ║ Casacca r. o alla r.: camicia lunga, dritta sui fianchi, che viene stretta alla vita con una cintura; in genere ha abbottonatura ai lati. - Cuc. - Insalata r.: piatto freddo costituito da verdure diverse, uova sode, sottaceti, talvolta anche pesce bollito e crostacei, amalgamati con maionese. ║ Uova alla r.: uova sode guarnite con maionese o salsa tartara e con insalata r. - Giochi - Montagne r.: V. MONTAGNA. ║ Roulette r.: V. ROULETTE Capitale (3.433.695 ab.) della Germania e del Land omonimo. Sorge nella grande pianura del Bassopiano settentrionale tedesco, nel mezzo di un antico solco fluviale delimitato dall'altopiano di Barnim a Nord e da quello di Teltow a Sud. Urbanisticamente la città si divide in tre grandi aree: il centro, la Wilhelminische Ringstadt, zona maggiormente popolosa, e la Aussenstadt, residenziale e con insediamenti industriali. I dintorni sono occupati da boschi, parchi e laghi fluviali, questi ultimi formati dai fiumi Dhame e Sprea a Est (lo Sprea attraversa anche tutta la città in senso Sud-Nord) e Havel a Ovest. Numerose le colline, sia naturali che costituite dall'accumulo di macerie dopo la seconda guerra mondiale. Le grandi estensioni di verde assicurano un clima salubre. - Econ. - Sino alla vigilia del secondo conflitto mondiale B. fu uno dei più grandi centri industriali della Germania e la maggiore piazza finanziaria e commerciale del Paese. A ciò concorrevano la favorevole posizione geografica, lungo una delle più importanti direttrici commerciali fra Europa occidentale e orientale, e la facilità di rifornimento, per via fluviale, di carbone e acciaio dall'Alta Slesia. Il conflitto 1939-45 impose un primo decentramento strategico delle industrie, mentre le distruzioni causate dai bombardamenti aerei e dai combattimenti violentissimi svoltisi in città danneggiarono gravemente le infrastrutture. Il saccheggio industriale compiuto dai Sovietici alla fine della guerra rese difficile la ricostruzione, che fu complicata ulteriormente dalla divisione di B.in diversi settori di occupazione con rispettive amministrazioni. La perdita della funzione di capitale e l'isolamento, dopo il 1949, all'interno della Germania comunista fecero sì che sia l'industria che il terziario con sede a B. Ovest spostassero la maggior parte delle loro attività nella Germania Occidentale, mentre B. Est seguiva una via di sviluppo improntata ai canoni dell'economia socialista. La costruzione del "muro" nel 1961 privò B. Ovest del retroterra regionale, ne isolò il mercato e creò gravi incognite sul futuro. Non avendo produzione di materie prime ed essendo insufficiente l'agricoltura, B. Ovest si concentrò sull'industria di trasformazione. B. Est, essendo capitale della Germania Orientale, sviluppò un forte settore terziario composto perlopiù da burocrazia. Dopo la riunificazione tedesca (1990), i due settori cittadini iniziarono una difficile integrazione economica. Il settore più sviluppato rimane quello dell'industria elettrotecnica (Siemens, AEG); seguono, via via, l'industria meccanica, chimica, dell'abbigliamento e alimentare. Molto attiva è l'industria turistica, mentre il terziario ha avuto nuovo impulso dalla riacquisita funzione di capitale da parte della città. - St. - Fondata nel 1237 dai margravi di Brandeburgo Giovanni I e Ottone III sulle rive dello Sprea, di fronte al più antico centro di Kölln, B. si fuse con questo centro nel sec. XIV. Aderì per breve tempo all'Hansa, approfittando della crisi della contea di Brandeburgo, ma nel 1476 tornò sotto il dominio dei signori di Brandeburgo, gli Hohenzollern, che vi posero la loro residenza. Agli inizi del XVII sec. il Brandeburgo si unì al ducato di Prussia ma B. rimase sede del principe elettore. Devastata e incendiata dagli Svedesi durante la guerra dei Trent'anni (1640), B. ebbe un deciso sviluppo sotto il Grande Elettore Federico Guglielmo (1640-88). Rifugio dei protestanti francesi dopo l'abolizione dell'editto di Nantes (1685), la città divenne capitale del neonato regno di Prussia nel 1701 ed entro la fine del XVIII sec. era una delle più belle capitali europee, malgrado una breve occupazione austro-russa (1760) durante la guerra dei Sette anni. Durante le guerre napoleoniche B. venne occupata dai Francesi dal 1806 al 1808 ma divenne anche il centro politico e intellettuale del patriottismo pantedesco e nel 1848 fu una delle città capofila del movimento rivoluzionario europeo. Nel 1871 la Prussia portò a termine l'unificazione tedesca e B. divenne capitale imperiale e, successivamente, con Londra e Parigi, il maggiore centro economico e culturale europeo (l'università vi era stata fondata sin dal 1810 e vi avevano insegnato, fra gli altri, i fratelli Humboldt, i fratelli Grimm, Savigny, Mommsen). Dopo la fine dell'Impero tedesco (1918) B. continuò a essere capitale della Germania e teatro dei più importanti avvenimenti politici (rivoluzione Spartachista nel 1919; presa di potere del Nazismo nel 1933). Abbellita dal regime hitleriano anche per ragioni di prestigio, la città dovette subire però pesanti bombardamenti aerei durante la seconda guerra mondiale e fu l'epicentro di una spaventosa battaglia (22 aprile-2 maggio 1945) che lasciò in piedi solo il 12% delle abitazioni. Il 30 aprile Hitler si suicidò nei sotterranei della Cancelleria e il 2 maggio il generale Weidling, comandante della guarnigione, si arrese ai generali sovietici Žukov e Konev. L'8 maggio venne firmata a B. la capitolazione di tutte le truppe tedesche in Europa. Secondo quanto deciso dalla conferenza di Potsdam (luglio 1945), la città divenne sede della Commissione di controllo alleata per la Germania ed essa stessa venne divisa in quattro settori d'occupazione (sovietico, britannico, statunitense e francese) sottoposti a un comando militare unico. Nel giugno del 1948, in seguito alla modifica da parte degli Occidentali del regime monetario nei loro settori d'occupazione, le autorità sovietiche abbandonarono il comando unificato e bloccarono il trasporto terrestre di merci fra B. e la Germania Occidentale, tentando di impadronirsi con lo strangolamento economico dei settori occidentali della città, che però vennero riforniti dagli Anglo-americani con un gigantesco ponte aereo. Il "blocco" terminò nel maggio 1949 ma sin dal precedente novembre il Consiglio comunale era stato abbandonato dalla minoranza comunista, la quale aveva dato vita a una propria amministrazione nel settore sovietico: si poteva ormai parlare dell'esistenza di due città distinte. Nel giugno 1953 scoppiò una rivolta nella zona sovietica e la sua sanguinosa repressione non fece che aumentare la tensione fra i due settori di B. Nell'agosto 1961 le autorità della Germania Orientale, di fronte al sempre più grande numero di cittadini che si rifugiavano nella Germania Ovest attraverso B. Ovest, decretarono la costruzione di un invalicabile muro tra le due zone che sancì, anche materialmente, la divisione della città. I legami fra B. Ovest e la Germania Occidentale vennero riconosciuti solo nel 1971. Verso la fine del 1989, il declino del Comunismo in Ungheria e Polonia, spinse migliaia di tedeschi orientali a riprendere la fuga verso Ovest attraverso l'Ungheria o rifugiandosi nell'ambasciata tedesco-occidentale di B. Est. Ben presto la città divenne teatro di oceaniche manifestazioni di protesta contro le autorità comuniste e il 9 novembre 1989 la frontiera fra le due aree della città venne aperta. Il susseguente rapido crollo del regime tedesco-orientale e l'unificazione delle due Germanie (3 ottobre 1990) riportò B. al centro della politica tedesca: nel dicembre 1990 il Parlamento della nuova Germania unita inaugurò nella città i suoi lavori e nel giugno 1991 il Parlamento stesso decise di trasferire a B. la propria sede e quella dei massimi organi costituzionali. Nel dicembre dello stesso anno vi si trasferirono i più importanti ministeri e nell'estate del 1994 i contingenti militari russi, statunitensi, britannici e francesi abbandonarono definitivamente la città, che riacquistò così la propria sovranità di capitale. - Arte - A B. gli stili dominanti nei monumenti sono il barocco e il neoclassico, essendo state distrutte durante il secondo conflitto mondiale le scarse testimonianze della B. medievale; di queste rimane solo la tardo-gotica chiesa di Santa Maria. Di stile rinascimentale è invece il castello di caccia di Grünewald (1542, di Caspar Theyss), mentre preziosi monumenti barocchi sono il castello di Bellevue (1785) e il castello di Charlottenburg (iniziato da A. Nernig nel 1695 e a cui lavorarono in seguito gli architetti von Göthl, Knobelsdorff e Langhans). Da ricordare anche il singolare castello di Pfaueninsel (1794-97). In stile neoclassico sono invece la celebre Porta di Brandeburgo (1788) e il palazzo del Reichstag (1884-94, di Paul Wallot). La ricostruzione postbellica ha portato a B. alcuni capolavori dell'architettura moderna come il quartiere residenziale della Hansa (1955-57, di Gropius, Le Corbusier, Niemeyer e Aalto), il palazzo dei congressi (1957-58), il Kurfürstendamm e la Auentzienstrasse (centri commerciali), la Philharmonie e la biblioteca statale (1960-63, di Hans Scharoum), l'Università libera (1952), la Konzerthalle (1954), la Memorial Bibliothek (1954-57), e la torre della televisione (alta 365 metri). Vanno ricordati anche il castello di Tegel e la zona monumentale della Unter den Linden Strasse, la Alexanderplatz e la Rathausstrasse. B. è inoltre un importantissimo centro museale (Pergamon Museum, Bode Museum, Altes Museum, Dhalem e Charlottenburg e di studi (Università Humboldt, Hahn-Meitner Institut, Istituto tedesco di archeologia e osservatorio astronomico Wilhelm Förster). Da ricordare anche il giardino zoologico con acquario (uno dei più grandi del mondo) e la Deutsche Staatbibliothek. ║ Muro di B.: barriera edificata nell'agosto 1961 dalla Repubblica Democratica Tedesca per impedire l'esodo dei propri abitanti verso la Repubblica Federale Tedesca. Alto dai 3 ai 4 m, lungo 46 km, è stato a lungo il simbolo della divisione dello Stato tedesco, prima di essere rimosso fra il 1989 e il 1990. Berlino: il fiume Spree nei pressi dell'Unter den Linden Regione del Medio Oriente, confinante a Nord con il Libano e la Siria, a Est con la Giordania, delimitata a Sud dal Sinai e dal Golfo di Aqaba (o Elat), a Ovest dal Mar Mediterraneo. Il nome P. deriva dal termine utilizzato dagli antichi Greci per indicare la popolazione che occupava le zone a Sud della Fenicia, i Filistei, con cui essi avevano contatti. Difficilmente definibile come area geografica o politica, la P. va intesa soprattutto come entità storico-antropica; in base alla definizione data dal mandato della Società delle Nazioni tra il 1923 e il 1948, comprende l'attuale Stato di Israele e i territori occupati della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Nel 1982 la popolazione palestinese era stimata in circa 3.700.000 individui, dei quali 1.100.000 dislocati nei territori occupati da Israele, altrettanti in Giordania e il rimanente dispersi tra gli Stati limitrofi e gli Stati Uniti d'America. - Geogr. - Dal punto di vista morfologico, la P. può essere divisa in tre regioni principali: la fascia litoranea; la fossa centrale, che risponde al nome arabo di al-Ghôr, attraversata dal fiume Giordano; l'altopiano mediano, meglio noto come Cisgiordania, in cui si trovano le regioni dell'Alta e della Bassa Galilea. La pianura costiera settentrionale è interrotta solo dal rilievo del Carmelo (550 m) e presenta ampie zone coltivabili, nonostante sia orlata da dune e i brevi corsi d'acqua diano talora luogo a zone paludose. La fossa centrale è situata a Sud-Est, in corrispondenza di un'estesa zona di montagne poco elevate che si arrestano a Oriente, e nel cui punto più basso scorre il fiume Giordano; vi si trovano diversi piccoli coni eruttivi, colate basaltiche ed espansioni di lava, testimonianza di una notevole attività vulcanica. Il Mar Morto è un residuo del bacino idrico che anticamente riempì la fossa, per poi restringersi. L'altopiano mediano è caratterizzato da dolci ondulazioni e depressioni, caratteristiche del paesaggio del Sinai. Il clima della P. risente della posizione intermedia fra il Mar Mediterraneo e il deserto, ed è caratterizzato da inverni miti e scarse precipitazioni (anche di carattere nevoso, soprattutto in Galilea e a Gerusalemme) concentrate in un solo semestre. Ad eccezione del Giordano, i corsi d'acqua che l'attraversano sono brevi e stagionali; l'acqua circola però nel sottosuolo calcareo e viene attinta mediante pozzi. - St. - Dalle origini alla distruzione del Tempio di Gerusalemme: la presenza dell'uomo in P. risale al Paleolitico, come rivelano importanti resti fossili, in particolare del cosiddetto "uomo di Galilea" rinvenuti nella piana di Esdraelon. Già all'XI millennio a.C. conducono i reperti della cultura nota come Natufiana, fondata su popolazioni organizzate in piccoli gruppi di cacciatori-raccoglitori, che si riparavano in capanne o in rifugi naturali. Il sito archeologico di Gerico testimonia, invece, del successivo periodo, il Neolitico Aceramico, datato fra l'VIII e il VII millennio a.C. Tipico di questa fase fu l'utilizzo di nuove tecnologie costruttive poggianti sull'impiego del mattone crudo, oltre che della roccia; si sviluppò inoltre l'agricoltura, con la coltivazione di graminacee e frutta; la nuova forma di economia si rifletté, sul piano sociale, in un'organizzazione di tipo comunitario basata sulla famiglia estesa. Seguì un momento di crisi, superata a Sud dall'affermarsi della cultura ghassuliana, basata sulla pastorizia transumante, che vide la produzione di ceramiche e lo sviluppo della metallurgia del rame. I molteplici contatti con l'Egitto, l'Anatolia e la Mesopotamia favorirono un processo di urbanizzazione legato alla nascita di Stati regionali e/o cittadini. Nel corso del III millennio vennero erette città fortificate che traevano il proprio sostentamento dai villaggi agricoli, dai quali si esigevano prodotti, mano d'opera e tributi. Verso la fine del I millennio anche questo modello socio-economico entrò in crisi, quando il territorio della P. subì l'invasione dei cosiddetti "popoli del mare", da cui ebbe origine l'insediamento dei Filistei nella zona costiera meridionale. Nelle regioni interne si procedette a una riorganizzazione della società e del suo assetto, attuata a partire dalle differenti realtà tribali, in concomitanza con lo sviluppo di nuove tecnologie (quali la metallurgia del ferro) e di nuove forme istituzionali derivanti dall'organizzazione delle società agro-pastorali. Intorno al 1000 a.C. si affermò la Monarchia israelitica, che sottopose la P. a un rapido processo di omogeneizzazione socio-politica, che prevedeva, tra l'altro, la ripartizione dello Stato in distretti e l'assimilazione della popolazione agro-pastorale a quella cittadina. Ma alla morte del re Salomone il Regno si scisse in due parti, divenendo facile preda prima dell'Impero assiro in piena fase di espansione, poi dei Babilonesi loro successori (586 a.C.). Con la fine dell'Impero persiano e la formazione dei Regni ellenistici, la P. passò in un primo tempo sotto il controllo dei Tolomei, quindi sotto quello dei Seleucidi. Questi ultimi divisero il territorio in quattro distretti, le eparchie: Samaria, Paralia, Galaaditide e Giudea; investita dal processo di ellenizzazione, la P. vide le proprie città svilupparsi sul modello dominante delle poleis greche. Fu solo nel 167 a.C. che la rivolta di Giuda Maccabeo portò alla formazione di uno Stato indipendente, con a capo il sommo sacerdote, e fondato su principi di ortodossia religiosa. Ma l'intervento romano, con l'invio di Pompeo nel 63 a.C., portò al ridimensionamento dello Stato giudaico, che venne sottoposto al controllo e al protettorato dell'Impero di Roma fino a quando, in seguito alla morte di re Erode, la P. assunse lo statuto di provincia romana con funzione strategica e militare, mutando anche il proprio nome in Giudea. Ma il rapporto con Roma si concluse con la definitiva sottomissione del territorio all'Impero centrale, segnata nel 73 a.C. dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dell'imperatore Tito, come risposta a una serie di rivolte. A partire dai secc. I e II d.C., il fenomeno della cristianizzazione vide la P. divenire una meta di pellegrinaggio per fedeli provenienti da tutto il bacino del Mediterraneo, ma già nel 614 la città di Gerusalemme venne distrutta e profanata dai Persiani, e quella che ormai era chiamata Terra Santa assistette alla conclusione della fase bizantina della storia palestinese e all'apertura del nuovo capitolo dell'occupazione araba. ║ Età medioevale e moderna: sotto le dinastie degli Omayyadi, degli Abbasidi e dei Fatimidi, la P. godette di un'epoca relativamente prospera e pacifica, con Gerusalemme centro di convergenza di tre diversi culti: ebraico, musulmano, cristiano. Ma nel X sec. l'arrivo dei Turchi Selgiuchidi incrinò i rapporti interni e le relazioni con il mondo occidentale, dando così avvio all'epoca delle Crociate. La vittoria dei cristiani impose al territorio un modello feudale, destinato a durare fino al 1187, data della riconquista di Gerusalemme da parte del Saladino, mentre con l'espugnazione di San Giovanni d'Acri nel 1291 la presenza europea fu definitivamente eliminata. Al governo dei Mamelucchi d'Egitto subentrò più tardi quello ottomano, con la conquista di Gerusalemme da parte di Selim I nel 1517. I nuovi dominatori si rivelarono rigidi e repressivi soprattutto nei confronti dei cristiani, mentre favorirono l'insediamento di esuli ebrei in fuga dagli Stati europei, con la formazione, nel XVI sec., di diversi nuclei ebraici. Fu solo a partire dal XIX sec. che l'Europa ricominciò ad interessarsi alla P., ancora soggetta all'Impero ottomano e amministrata secondo un modello semi-feudale, in base al quale la stragrande maggioranza del territorio era nelle mani di un esiguo numero di famiglie. Iniziò intanto ad affluire una quantità sempre crescente di Ebrei, in fuga soprattutto dall'Europa orientale, in particolare dalla Russia e dalla Polonia, e ormai desiderosi di ricostituire uno Stato ebraico dove stabilirsi. ║ Dalla prima guerra mondiale allo Stato di Israele: allo scoppio della prima guerra mondiale, la P. era una zona in crisi, ufficialmente amministrata dagli Ottomani, a maggioranza araba e sul cui territorio si trovavano ormai cospicui gruppi ebraici. Promettendo l'indipendenza araba dal dominio turco, Gran Bretagna e Francia ottennero dallo sceriffo della Mecca dapprima la sua neutralità, quindi la sua alleanza, nel 1915; ciononostante, nel 1917, con la dichiarazione Balfour, si dissero favorevoli all'insediamento di un nucleo nazionale ebraico sul territorio della P. In realtà essi si accordarono segretamente per la divisione del Medio Oriente (tali patti verranno svelati solo nel 1917 dai bolscevichi russi appena giunti al potere). Al termine del conflitto, comunque, i territori dell'ormai estinto Impero ottomano furono dalla Società delle Nazioni affidati, con il sistema dei mandati, alle grandi potenze. La Gran Bretagna, cui toccò la P., puntualizzò ufficialmente che quanto affermato nella dichiarazione Balfour non era da intendersi come privazione dei propri diritti per gli Arabi residenti, ma il movimento sionista, nato nel secolo precedente e mirante a creare uno Stato ebraico in P., ne risultò notevolmente rafforzato. Già a partire dagli anni Venti si assistette pertanto a scontri fra le diverse etnie presenti sul territorio. La situazione peggiorò ulteriormente nel decennio successivo, con l'arrivo di gruppi sempre più folti di Ebrei in fuga dalla minaccia nazista. Nel 1936 scoppiò la rivolta: il rifiuto opposto dalla potenza mandataria di costituire un Consiglio legislativo palestinese fu l'occasione che innescò la protesta araba, con scioperi e manifestazioni che si protrassero fino al 1939. È di questa data il cosiddetto Libro bianco, un progetto inglese per la spartizione della P. fra Arabi ed Ebrei. Fu solo dieci anni dopo, al termine della seconda guerra mondiale, che si tornò a discutere del problema a livello internazionale. Il conflitto, e le sue tragiche conseguenze per il popolo ebraico, avevano suscitato delle aspettative cui era ormai impossibile non rispondere. La Gran Bretagna rimise la questione alle Nazioni Unite, che con la risoluzione 181 del 29 novembre 1947 approvarono un piano per la spartizione del territorio della P.: 56% a uno Stato ebraico (circa 1.000.000 di abitanti), 43% a uno Stato arabo (oltre 700.000 abitanti), il resto, comprendente Gerusalemme, affidato in amministrazione fiduciaria all'ONU (circa 200.000 abitanti). Subito gli Arabi si opposero, denunciando il piano come una violazione del principio dell'autodeterminazione dei popoli, in quanto nell'area spettante agli Ebrei erano comunque gli Arabi a costituire la maggioranza della popolazione e a possedere la maggior parte delle terre. Ne nacquero dei conflitti fra i Palestinesi e il nuovo Stato d'Israele (ormai la Gran Bretagna aveva concluso il suo mandato), con la conquista israeliana di gran parte delle zone affidate agli Arabi (armistizi febbraio-luglio 1949). Di fatto, lo Stato arabo-palestinese non poté mai costituirsi e i territori residui vennero inglobati dalle Nazioni confinanti: l'Egitto si annesse la Striscia di Gaza, la Transgiordania si unì la Cisgiordania (che dall'aprile 1949 divenne Giordania). La maggioranza degli originari abitanti arabi divennero profughi, si rifugiarono nei Paesi vicini e non poterono fare rientro in P., continuando a vivere in campi dalle condizioni di vita precarie. Dopo gli scontri terminati con gli armistizi del 1949, altri conflitti militari con i propri vicini segnarono la vita dello Stato di Israele, i cui confini subirono negli ultimi decenni continue alterazioni. Al giugno 1967 risale l'estensione del territorio di Israele fino alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza (guerra dei Sei giorni). Sempre nel 1967 si ebbe l'annessione del settore orientale di Gerusalemme (secondo la risoluzione 181 dell'ONU spettante invece agli Arabi), e nel 1980 la città venne dichiarata capitale unica e indivisibile dello Stato di Israele, nonostante accese polemiche sia interne sia internazionali spingessero a riconoscere libero accesso a tutti i luoghi sacri delle tre grandi religioni monoteiste. ║ La resistenza palestinese: già a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, in P. cominciò a diffondersi un nazionalismo palestinese, distinto dal più ampio e articolato nazionalismo arabo, col fine di rivendicare uno Stato per un popolo dai precisi connotati storici e culturali. Il movimento, in realtà, trova le sue radici più profonde già all'inizio del XX sec., nelle reazioni ai primi insediamenti di profughi ebrei in P., che suscitarono proteste soprattutto tra i contadini, preoccupati per le loro terre, e fra i commercianti cittadini, spaventati dalla nuova concorrenza negli affari. Più organizzati furono alcuni gruppi sorti poco dopo la prima guerra mondiale, in genere di ispirazione religiosa, mentre a partire dagli anni Venti alle motivazioni ideologiche se ne aggiunsero altre di ordine economico e politico, sostenute da formazioni che si rivolgevano per lo più alle potenti famiglie urbane. Ma la resistenza araba all'ingresso in P. di nuovi gruppi ebraici prese la forma di una ribellione organizzata soltanto nel 1936, anche se il già citato Libro bianco del 1939 venne rifiutato. Dopo la nascita dello Stato di Israele, l'opposizione araba continuò in parte fuori dalla P., mentre i tentativi di costituire sul territorio dei movimenti a difesa dei diritti palestinesi ebbero scarsissimo seguito. Fu solo nel 1964 che venne fondata l'Organizzazione per la Liberazione della P. (OLP), con lo scopo dichiarato di abbattere lo Stato d'Israele. La guerra dei Sei giorni non fece che inasprire il disegno di lotta, diffondendo fra gli aderenti al movimento la convinzione che l'unico efficace strumento di lotta fosse lo scontro armato. Sorsero intanto altre formazioni, di ispirazione diversa ma tutte animate da analoghi intenti, fra cui, nel 1965, al Fatah, guidata da Yasser Arafat, che entrò a far parte dell'OLP nel 1969, assumendo subito un ruolo egemone, tanto che lo stesso Arafat divenne leader indiscusso del movimento. Fu quindi istituito anche il Consiglio nazionale palestinese, sorta di Parlamento in esilio che si riuniva periodicamente in vari Stati arabi per scegliere la via da seguire nei rapporti con Israele. Gli anni Settanta furono un periodo difficile e buio per l'organizzazione palestinese: dopo lo scontro con la Giordania, nel 1970-71, l'OLP fu costretta a trasferire le proprie basi in Libano, mentre sempre maggior influenza avevano vari gruppi terroristici, fra cui Settembre nero, responsabile della strage di Monaco del 1972, nella quale persero la vita numerosi atleti israeliani partecipanti alle Olimpiadi organizzate in quella città. Una svolta si ebbe nel 1974 quando Arafat, riconosciuto da tutti gli Stati arabi come unico legittimo rappresentante del popolo palestinese, tenne un discorso all'ONU. In seguito, l'OLP optò per una modifica moderata dei propri piani per l'immediato futuro, che divennero la costituzione di uno Stato palestinese nei territori occupati da Israele nel 1967, senza che per questo venissero meno gli attacchi armati sferrati dai campi profughi del Libano, dove negli anni Settanta si trovavano ormai più di 500.000 Palestinesi. Una così massiccia presenza di profughi, tra l'altro, nel 1975 condusse il Libano stesso alla guerra civile; nel 1982 truppe israeliane entrarono a Beirut e distrussero il quartier generale dell'OLP, che venne quindi trasferito a Tunisi. A questo punto il contrasto interno fra moderati e radicali si fece più aspro: ne nacque una vera guerra intestina con centinaia di vittime. Una nuova fase di lotta, la cosiddetta intifada (V.), ebbe inizio nel 1987, con le rivolte spontanee degli abitanti dei territori occupati e durissimi scontri con le forze armate israeliane, che non posero però termine alla resistenza. La durezza della repressione israeliana iniziò a suscitare reazioni a livello internazionale, a partire dagli Stati arabi vicini; nel novembre del 1988 il Consiglio nazionale palestinese dichiarò di riconoscere lo Stato d'Israele (cosa mai fatta prima di allora), proclamando al contempo lo Stato indipendente di P. A questo punto anche la diplomazia internazionale iniziò a premere perché si arrivasse a un accordo tra Arabi, Israeliani e Palestinesi, e nel 1993 si giunse allo storico riconoscimento reciproco fra OLP e Israele, con gli accordi di Washington fra Arafat e il premier israeliano Rabin. L'uccisione di Rabin (1995) in un attentato da parte di estremisti di destra, le conseguenti reazioni arabe e la vittoria elettorale del Partito conservatore israeliano (1996) portarono però nuovi ostacoli al processo di pace. L'elezione di Benjamin Netanyahu a primo ministro d'Israele nel maggio del 1996 acuì la tensione fra i due Paesi che sfociò nell'ennesimo scontro militare, a settembre, dopo la decisione da parte delle autorità di Tel Aviv di aprire un tunnel al di sotto della moschea di El-Aqsa a Gerusalemme. Nei disordini persero la vita decine di Palestinesi e di Israeliani. La situazione era ormai esplosiva al punto da richiedere la convocazione di un vertice fra Arafat e Netanyahu, a cui partecipò anche il presidente statunitense Bill Clinton. Le difficili trattative del 1998 conclusesi col ritiro delle truppe israeliane dalla città di Hebron, che passò così sotto l'amministrazione palestinese, rappresentarono un ulteriore riconoscimento per il Governo guidato da Yasser Arafat. Nel 1999, l'elezione del primo ministro laburista Ehud Barak riavviò il processo di pace: Israele riprese il programma di trasferimento dei territori in Cisgiordania all'Autorità palestinese, annunciò il ritiro delle sue truppe dal Libano meridionale e stabilì dei contatti con la Siria per affrontare il problema del Golan. Rimase invece senza soluzione la questione dello statuto di Gerusalemme, che sia gli Israeliani, sia i Palestinesi consideravano loro capitale: su questo punto fallì anche il tentativo di mediazione del presidente statunitense Clinton a Camp David (luglio 2000). Il 29 settembre 2000 scoppiò una serie di scontri a seguito della visita effettuata da A. Sharon alla Spianata delle moschee, attraverso la quale il leader dell'opposizione israeliana intese affermare la completa sovranità di Israele sulla Città Santa. Quel gesto diede origine alla seconda Intifada, che provocò un inasprimento del conflitto tra Palestinesi e Israeliani, acuitosi ulteriormente allorché primo ministro d'Israele divenne lo stesso Sharon, successore del dimissionario Barak (febbraio 2001). Il neo premier adottò fin da subito la tattica della ritorsione, rispondendo con bombardamenti, attacchi e occupazioni militari ai numerosi e sanguinosissimi attentati suicidi palestinesi che colpirono soprattutto la popolazione civile israeliana. Il 25 agosto, per la prima volta nella sua storia, il Fronte democratico per la liberazione della P. rivendicò un attentato commesso contro un commando israeliano a Marganit, a Sud della Striscia di Gaza. Dopo gli attentati terroristi dell'11 settembre alle Torri Gemelle e al Pentagono, il 26 settembre Arafat e Peres si incontrarono a Gaza, dove decisero di impegnarsi per un cessate il fuoco e per la ripresa di negoziati di pace. Tuttavia, la situazione diventò ancora più esplosiva. Il 17 ottobre l'ex ministro del Turismo israeliano R. Zeevi, dimessosi il giorno prima dal Governo Sharon, venne ucciso a Gerusalemme. L'attentato fu rivendicato dal Fronte popolare per la liberazione della P. che volle così vendicare la morte del suo leader, Ali Mustafa, assassinato a Ramallah in agosto. L'omicidio scatenò una serie di manifestazioni culminate nelle incursioni israeliane in sei centri palestinesi, che causarono decine di vittime. Agli inizi di dicembre Arafat, su pressione israeliana, fece arrestare circa 150 esponenti dei movimenti estremisti di Hamas (V.) e della Jihad islamica, responsabili di una serie di attentati suicidi. Il gesto del presidente dell'ANP non fermò tuttavia la durissima offensiva di Israele contro le città di Gaza e Ramallah. Nel frattempo gli attentati suicidi si moltiplicarono e crebbero in cruenza. Nel marzo 2002 Israele inviò nuovamente alcune truppe nei territori palestinesi, nell'ambito di un'operazione denominata "Muraglia di difesa", ponendo d'assedio Ramallah, quartier generale di Arafat, che si trovò impossibilitato a lasciare la città e, in un secondo momento, l'edificio nel quale si trovava. Nonostante venisse messo a punto un piano di pace dal principe ereditario saudita Abdullah, sottoscritto dalla maggior parte del mondo arabo, Israele continuò la sua offensiva che, nel mese di aprile, si allargò fino a comprendere le città di Betlemme, Tulkarem, Jenin, Qalqilya e Nablus. A Betlemme, città simbolo della Cristianità, il 2 aprile circa 150 Palestinesi tra miliziani e civili si asserragliarono nella Basilica della Natività, assediata dall'esercito israeliano, mentre a Jenin, una delle roccaforti della resistenza palestinese, la popolazione subì un feroce massacro. Sempre in aprile, il presidente statunitense Bush, su pressione internazionale, decise di inviare il segretario di Stato Colin Powell per cercare di risolvere il conflitto, ma l'incontro con Sharon e Arafat ebbe esito negativo. Il 15 aprile, Marwan Barghouti, uno dei leader dell'Intifada, venne arrestato dall'esercito israeliano a Ramallah, mentre alla fine del mese Israele accettò la proposta americana di allentare l'assedio al quartier generale di Arafat in cambio della consegna di sei Palestinesi, quattro dei quali condannati per l'assassinio dell'ex ministro Zeevi. A metà maggio venne tolto l'assedio, durato 38 giorni, alla Basilica della Natività: dei circa 150 Palestinesi rimasti asserragliati 13, accusati da Israele di terrorismo, vennero trasferiti a Cipro e quindi in Europa. Il 16 giugno 2002 Israele, nella speranza di fermare gli attentati suicidi palestinesi, diede il via ai lavori per la costruzione di un muro difensivo lungo la "linea verde" che separa lo Stato ebraico dalla Cisgiordania. A luglio, il quartier generale dell'Autorità Nazionale Palestinese a Hebron venne distrutto dall'esercito israeliano. Nel frattempo gli attentati suicidi proseguirono, così come le rappresaglie israeliane nei territori palestinesi (gli episodi più importanti furono, il 22 luglio a Gaza, il 7 ottobre a Khan Yunis, nella Striscia di Gaza, il 6 dicembre ancora a Gaza). Contemporaneamente si cercarono soluzioni internazionali, tra cui il piano di pace danese, che prevedeva la creazione di un nuovo Stato palestinese entro il 2005, o gli incontri dei rappresentanti del cosiddetto "quartetto", ovvero Stati Uniti, Russia, Nazioni Unite e Unione europea. L'11 settembre il Governo palestinese si dimise in massa per scongiurare di fatto un possibile voto di sfiducia da parte del Consiglio legislativo - il Parlamento - che aveva dichiarato la sua intenzione in tal senso. Il 19 settembre, dopo nuovi attentati suicidi, il quartier generale di Arafat a Ramallah venne ancora una volta circondato dall'esercito e mantenuto in stato d'assedio per dieci giorni. Il 29 ottobre Arafat annunciò la formazione di un nuovo Governo che, se non ottenne un consenso unanime, venne comunque approvato dal Consiglio. Il 2003 si aprì con alcuni attentati e con le conseguenti misure repressive messe in atto dal Governo israeliano, tra cui il divieto dato a tutti i Palestinesi minori di 35 anni di lasciare i Territori per recarsi in Israele, anche per motivi di lavoro. In febbraio, a Londra, si svolse un importante meeting internazionale per definire nuove riforme all'interno dell'Autorità Nazionale Palestinese (il mese precedente un primo incontro era stato disertato dai Palestinesi per il divieto imposto da Israele ai membri dell'ANP di uscire dai confini dei Territori). In febbraio il presidente Arafat decise di nominare un primo ministro che lo avrebbe affiancato nella gestione della leadership, innescando così il processo di riforma dell'amministrazione palestinese caldeggiato da Stati Uniti, Nazioni Unite e Israele. La scelta ricadde su Mahmoud Abbas, meglio noto come Abu Mazen (V.), segretario dell'OLP. Il premier incaricato, dopo oltre cinque settimane di braccio di ferro con Arafat, in aprile si accordò con il presidente dell'ANP per la formazione del nuovo Governo, in cui lo stesso Mazen, oltre alla carica di primo ministro, avrebbe ricoperto anche quella di ministro degli Interni, e avviò trattative con Sharon per trovare una soluzione politica alla controversa situazione mediorientale. In maggio il Parlamento palestinese diede il suo assenso al piano di pace denominato "Road Map", pianificato da un quartetto formato da Unione europea, Russia, ONU e Stati Uniti che, attraverso una serie di scadenze che passano dalla cessazione degli atti di terrorismo alla democratizzazione delle istituzioni, dovrebbe portare alla creazione, entro il 2005, di uno Stato palestinese. In settembre, gli insanabili dissidi con Arafat indussero Abu Mazen a rassegnare le dimissioni da primo ministro. Al suo posto venne scelto Ahmed Qrea, noto come Abu Ala, più vicino alle posizioni del presidente Arafat, e in ottobre Hakam Balawi fu nominato ministro degli Interni. Il nuovo Governo rilanciò la proposta di una conferenza di pace internazionale e chiese a Sharon il ritiro dell'esercito israeliano per consentire lo svolgimento di nuove elezioni presidenziali, legislative e amministrative nei Territori. Ma la tensione con Israele non accennò a scemare e gli attentati proseguirono senza tregua. Nel marzo 2004 Sharon mise a punto un attacco missilistico mirato nel quale perse la vita lo sceicco Ahmed Yassin (V. YASSIN, AHMED), capo di Hamas. A distanza di un mese, anche il suo sostituto Abdel Aziz Rantisi morì per mano israeliana. In seguito alla morte di Arafat (novembre 2004), in assenza di una chiara linea di successione e al fine di evitare disordini nei Territori, la presidenza ad interim dell'ANP fu assunta dal portavoce parlamentare Rawhi Fattuh, mentre Abu Ala ereditò i poteri di Arafat su sicurezza e finanza e Abu Mazen fu designato capo dell'OLP. Nel gennaio 2005, al cospetto di centinaia di osservatori internazionali, si tennero le consultazioni che sancirono l'elezione a presidente dell'ANP di Abu Mazen, la cui nomina aprì uno spiraglio nel dialogo con Israele. Nei mesi seguenti, tuttavia, il dialogo entrò nuovamente in crisi: Sharon dovette affrontare le proteste degli abitanti delle colonie ebraiche e dei partiti di destra, contrari al suo piano di smobilitazione dalla Striscia di Gaza; Abu Mazen fu invece contestato dai movimenti radicali palestinesi (in particolare Hamas e Jihad islamica) che proseguirono negli attacchi contro Israele. La situazione si fece incandescente nel gennaio 2006, allorché Hamas vinse le elezioni palestinesi, mentre Sharon, colpito da una grave malattia, lasciava la guida di Israele a Ehud Olmert, ex ministro delle Finanze dal 2003 al 2005, che, data la vittoria del suo partito (Kadima), sarebbe poi stato confermato Primo ministro nelle elezioni di marzo. Contrario a un dialogo con Hamas, il Governo Olmert avviò contatti con il presidente palestinese Abu Mazen al fine di riaprire i negoziati di pace, ma nello stesso tempo riprese le incursioni e i raid mirati che causarono la morte di alcuni esponenti di Hamas, Jihad e Fatah, ma anche di numerosi civili. In un clima di guerra civile, a causa delle tensioni tra Hamas e Fatah, e di minaccia di guerra aperta tra Israele e ANP, uno spiraglio si aprì di nuovo in giugno, quando il presidente palestinese Abu Mazen presentò un documento di riconciliazione nazionale, detto "Documento dei prigionieri" (poiché elaborato da esponenti di Hamas, Fatah, Fronte popolare per la liberazione della Palestina e Jihad islamica detenuti in carcere), che chiedeva la creazione di un Governo di unità nazionale in vista della nascita di uno Stato palestinese nei confini cancellati dalla guerra del 1967. Approvato da Fatah, il documento fu in sostanza respinto da Hamas. A fine giugno le tensioni tra Israeliani e Palestinesi si acuirono: in risposta alle uccisioni mirate israeliane, i miliziani delle Brigate al Qassam, il braccio armato di Hamas, lanciarono missili sulla cittadina di Sderot, nel Sud di Israele, e condussero un raid in territorio israeliano assassinando due soldati e rapendone un terzo, per la liberazione del quale chiesero il rilascio di tutte le donne e i minorenni palestinesi reclusi in carceri israeliane. Israele si rifiutò di trattare e mise in atto un'offensiva con raid aerei nella Striscia di Gaza e arresti in Cisgiordania di ministri di Hamas e di decine di parlamentari del movimento estremista. Nei mesi successivi non si arrestò l'offensiva militare israeliana contro esponenti di Hamas, rei di non voler rinunciare alla violenza e di non voler riconoscere lo Stato di Israele. I frequenti raid aerei di Tel Aviv provocarono la morte di numerosi civili, oltre che la distruzione di importanti infrastrutture (tra cui l'unica centrale elettrica del Paese), andando ad aggravare una crisi economica innescata a suo tempo dall'embargo internazionale sancito dopo l'elezione di Hamas. Il drammatico impoverimento della popolazione palestinese, accompagnato da disoccupazione e peggioramento delle condizioni igieniche, fu acuito dal permanere di una situazione di totale instabilità politica, con Fatah e Hamas che, lungi dall'appianare le divergenze, proseguivano nelle violenze e nelle accuse reciproche, lasciando il Paese nel caos e nell'anarchia. Scontri sanguinosi tra militanti delle due formazioni politiche si verificarono nel dicembre 2006 e nei primi mesi del 2007, allorché vennero ripetutamente violate le tregue decise dalle autorità. Spiragli di speranza si intravidero nel febbraio 2007, quando il presidente Abu Mazen incaricò ufficialmente il primo ministro uscente Ismail Haniyeh, esponente di Hamas, di formare il nuovo Governo di unità nazionale. - Lett. - Per letteratura palestinese si intende la sola produzione letteraria di autori che si sono identificati con la questione palestinese: si tratta quindi di una letteratura recente, mentre i testi redatti in terra di P. nei secoli e nei millenni precedenti vanno ricondotti alla cultura e alla tradizione dei diversi popoli che si sono succeduti sul territorio. All'interno del gruppo di narratori e poeti palestinesi è poi necessario distinguere fra quanti hanno continuato ad abitare in P. anche dopo il 1948, divenendo cittadini israeliani, quanti sono invece emigrati all'estero (in altri Paesi arabi, in Europa o in America) e quanti risiedono in Cisgiordania o a Gaza. Tra i primi esponenti di una letteratura patriottica, contraria alla crescente ondata sionista, si distinguono il poeta Ibrâhîm Tûqân (1905-41) e i romanzieri Khalil Baydas e Muhammad Uzza Druza. Fra i poeti contemporanei spiccano Tawfîq Zayyâd, Samîh al-Qâsim, Mahmûd Darwîsh e le autrici Fadwa Tûqân e Salmâ al-Khadrâ'. Temi frequenti fra gli scrittori esuli sono la nostalgia per la terra lasciata e l'idealizzazione del ricordo, come si può ritrovare nelle opere di Ghassân Kanafânî o Samîra 'Azzâm, temi ben diversi dall'asprezza presente nelle pagine di Amîle Habîbî, cittadino di Israele che pure non si sente parte dello Stato in cui vive. Il senso di estraneità e di isolamento permea anche le opere degli autori residenti nei territori occupati, preziosi testimoni della quotidiana esistenza dei gruppi di lotta armata e dei profughi; tra di loro, meritano di essere ricordati Giamâl Bannûra, Muhammad Ayyûb e Akram Sharîm. Enciclopedia termini lemmi con iniziale a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Storia Antica dizionario lemmi a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w y z Lemmi Storia Antica Lemmi Storia Moderna e Contemporanea Dizionario Egizio Dizionario di storia antica e medievale Prima Seconda Terza Parte Storia Antica e Medievale Storia Moderna e Contemporanea Dizionario di matematica iniziale: a b c d e f g i k l m n o p q r s t u v z Dizionario faunistico df1 df2 df3 df4 df5 df6 df7 df8 df9 Dizionario di botanica a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z |
![]() |
Ultima modifica :