Welfare State negli Stati Uniti.

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WELFARE STATE NEGLI STATI UNITI

Negli Stati Uniti il welfare state si sviluppò in seguito alla grande crisi del 1929 e alle sue conseguenze negli anni trenta. Durante il New Deal vennero approvati alcuni provvedimenti legislativi con i quali lo stato federale si assumeva l'esplicito impegno di garantire un livello minimo di sussistenza a tutti i cittadini. Il Social Security Act del 1935 istituì il primo sistema nazionale di pensioni di vecchiaia e invalidità e avviò un programma di assistenza ai disoccupati attraverso sussidi. Esso decretò l'intervento dello stato in una sfera tradizionalmente lasciata all'iniziativa e all'autonomia individuali, ma ebbe portata assai limitata, in particolare nella creazione di un fondo pensionistico limitato ad alcune categorie (la manodopera agricola venne esclusa) e finanziato direttamente da imposte sui salari dei lavoratori dipendenti. Nel 1946, durante l'amministrazione Truman, entrò in vigore l'Employment Act che si proponeva di raggiungere la piena occupazione, assumendosi le responsabilità delle conseguenze sul mercato del lavoro. La legislazione degli anni sessanta e settanta consolidò il ruolo istituzionale del welfare state, rafforzando programmi già avviati come quelli della Social Security e aumentando la parte di spesa pubblica utilizzata per sostenere i gruppi sociali più poveri. Tra i progetti varati all'interno del programma della "Grande Società" (Great Society) del presidente Lyndon Johnson (1963-1967) ebbero grande rilievo il Medicare, un sistema di assistenza medica agli anziani, e il Medicaid, che forniva agli stati finanziamenti federali a parziale copertura della spesa per l'assistenza sanitaria agli indigenti. Tali progetti erano stati per molti anni ostacolati dalla potente lobby dei medici americani (American Medical Association). Negli anni ottanta, con l'avvento dell'amministrazione di Ronald Reagan (reaganomics) furono praticati pesanti tagli alla spesa sociale, in particolare a danno dell'istruzione, dell'edilizia popolare e dell'aiuto in forma di sussidi a famiglie povere, spesso di colore e a larghissima maggioranza con una donna per capofamiglia. Tali politiche antiwelfare trovarono legittimazione culturale nel neoconservatorismo.

E. Maranzana

E. Berkowitz, K. McQuaid, Creating the Welfare State: the Political Economy of Twentieth Century Reform, Praeger, New York 1980.

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CRISI DEL 1929

(24 ottobre; detta anche Grande crisi). Crollo delle valutazioni azionarie alla Borsa di New York. Ampliò e inasprì la crisi finanziaria che si stava verificando negli Stati Uniti, dopo un decennio di ininterrotta crescita, portando alla rovina centinaia di migliaia di cittadini e dando inizio a una grave crisi economica, che dall'America si propagò in tutto il mondo. Gli operatori finanziari iniziarono a vendere in massa i titoli in quello che fu poi definito il giovedì nero della Borsa: vennero ceduti quasi tredici milioni di azioni, mentre il panico dilagava e i prezzi crollavano, nonostante il tentativo di un gruppo di finanzieri che cercarono, con una serie di acquisti, di ribadire la fiducia nel mercato e di scongiurare la corsa alle vendite. Il lunedì successivo (28 ottobre) furono cedute nove milioni di azioni; martedì 29 ottobre oltre sedici milioni. Le quotazioni caddero a picco: in un mese i titoli persero il 40 per cento del loro valore. Alla fine dell'anno le perdite ammontavano già a 40 miliardi di dollari, ma il crollo continuò ininterrotto fino all'8 luglio 1932, quando l'indice del "New York Times", fondato sulle quotazioni di venticinque titoli particolarmente significativi, toccò il suo minimo storico (58 punti contro i 452 del settembre 1929). Le ragioni del crollo stavano nella crescita indiscriminata del valore dei titoli azionari nel corso degli anni venti: l'indice del "New York Times" era passato infatti dai 106 punti del maggio 1924 ai 181 del dicembre 1925 ai 245 del dicembre 1927 (dopo una leggera flessione nel 1926) ai 331 punti nel 1928 e ai 452 del settembre 1929. Si trattò dunque di un boom eccezionale, ma del tutto sganciato dall'economia reale e fondato soprattutto sui movimenti di capitale a scopo speculativo e sullo spirito di avventura di improvvisati uomini d'affari. Quando nell'autunno 1929 iniziarono a manifestarsi i primi segnali della crisi di sovrapproduzione che colpiva gli Stati Uniti a causa sia della ridotta offerta di moneta (per errore della Federal Reserve) sia della riduzione della domanda interna e delle sempre maggiori difficoltà di esportazione, l'ondata speculativa si orientò al ribasso, provocando immediatamente il crack. In seguito al crollo di Borsa, poi, si verificò una catena di fallimenti di banche, compagnie di assicurazioni e imprese private, con il conseguente aumento del numero di disoccupati, che andarono ad aggravare ancor di più la crisi della domanda e dunque la depressione. Nell'anno successivo la crisi borsistica si estese all'economia reale, prima americana e poi mondiale. Essa provocò una diminuzione del reddito e un rapido aumento della disoccupazione in tutto il mondo, anche se la sua gravità e durata furono diverse nei vari paesi (particolarmente gravi negli Usa e in Germania). I governi reagirono inizialmente svalutando la moneta (determinando fra l'altro la fine del gold standard) e imponendo misure restrittive al commercio internazionale (vedi autarchia), aggravando in tal modo ulteriormente la situazione. La ripresa fu lenta e contrastata e fu conseguita grazie a misure di sostegno della domanda (investimenti in opere pubbliche e varie forme di sussidio negli Stati Uniti, corsa al riarmo in Europa).

M. Giordano

J.K. Galbraith, Il grande crollo, Edizioni di Comunità, Milano 1962; W. Woytinsky, Dalla rivoluzione russa all'economia rooseveltiana, Il Saggiatore, Milano 1966.

NEW DEAL

(Nuovo corso, 1933-1938). Insieme di riforme con cui il presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt cercò, fra il 1933 e il 1938, di risollevare l'economia nazionale e di risolvere i gravi problemi sociali creati dalla crisi del 1929.

LA RISPOSTA ALLA GRANDE CRISI. Eletto nel 1932, il democratico Roosevelt si era trovato di fronte la disastrosa situazione lasciata dalla precedente amministrazione repubblicana (Edgar Hoover), dimostratasi incapace di gestire la crisi di sovrapproduzione che aveva causato negli anni venti fallimenti a catena di banche e fabbriche e il crollo in Borsa del 1929. Nel 1933 il numero di disoccupati aveva toccato livelli fino ad allora mai raggiunti, fra i dodici e i quindici milioni di persone; il prodotto nazionale lordo nello stesso anno fu di un terzo inferiore a quello del 1929; i prezzi dei beni agricoli crollarono; molti agricoltori furono costretti a indebitarsi e a cedere le loro terre; gli investimenti privati caddero del 90 per cento. Per arrestare la spirale recessiva il presidente elaborò, insieme con un gruppo di esperti soprannominato il "trust dei cervelli" (brain trust), un programma di intervento federale in economia, mettendosi decisamente in contrasto con la tradizionale posizione del governo statunitense improntata al più rigoroso laissez faire. La nuova amministrazione tentò di agire sia dal lato dell'offerta, con il controllo della produzione e le norme dirette a ristabilire la fiducia nel sistema bancario, sia dal lato della domanda, cercando di sostenere l'attività industriale e l'occupazione con la realizzazione di numerosi lavori pubblici, anche a costo di gravi deficit di bilancio. I primi cento giorni della presidenza Roosevelt rimasero famosi perché il Congresso, stimolato dal governo, approvò una quindicina di leggi fra cui alcune delle principali misure del New Deal. Fu varato un vasto programma di aiuti ai ceti più colpiti dalla crisi economica, attraverso la creazione di enti appositi, come la Federal Emergency Relief Administration e la Civil Works Administration (nel 1935, fu poi fondata la Works Progress Administration). Furono inoltre istituiti il Civilian Conservation Corps, che distribuì mezzo milione di posti di lavoro a giovani, impiegati in opere di rimboschimento e di controllo delle acque, e la Tennessee Valley Authority, che realizzò giganteschi lavori di sistemazione idraulica e di sfruttamento delle acque, che contribuirono notevolmente all'industrializzazione degli stati meridionali.

RIPRESA ECONOMICA E WELFARE STATE. Nel settore industriale il principale provvedimento fu il Nira (National Industrial Recovery Act), che mirava a provocare l'aumento dei consumi attraverso la lievitazione controllata di prezzi e salari. Il Nira, infatti, prevedeva l'elaborazione di una serie di codici per moderare la concorrenza fra le industrie, sostenere i prezzi, garantire ai lavoratori un salario minimo e un orario di lavoro massimo. Per attuare queste linee fu anche istituita un'apposita agenzia federale, la National Recovery Administration, che tuttavia fu giudicata incostituzionale dalla Corte suprema nel 1935. Di fatto il Nira si dimostrò un parziale fallimento, dal momento che non riuscì a rilanciare l'economia, ma favorì soltanto il processo di concentrazione dei grandi gruppi industriali, alienando così all'amministrazione Roosevelt le simpatie sia dei sindacati sia di una buona parte dei capitalisti. La principale misura di politica agricola fu l'Aaa (Agricultural Adjustment Act), con cui si cercò di ridurre la produzione di beni alimentari attraverso la concessione di sussidi ai contadini. Nel 1933 si assistette dunque alla distruzione dei raccolti (solo una parte dei quali fu redistribuito ai poveri tramite un'apposita agenzia federale) e alla limitazione delle semine: il provvedimento non riuscì tuttavia a riportare in alto il prezzo dei beni, ma fece soltanto aumentare la disoccupazione agricola, peggiorando le condizioni di fittavoli e braccianti. Anche l'Aaa fu giudicato incostituzionale dalla Corte suprema. La convertibilità del dollaro in oro fu abbandonata nel 1933 e successivamente ripristinata, nel 1934, al tasso di 35 dollari l'oncia, con la conseguente svalutazione della moneta statunitense. Furono inoltre ampliate le competenze del Reconstruction Finance Corporation, l'ente statale di credito istituito dal presidente Hoover, per cercare di stimolare la ripresa attraverso una politica di basso costo del denaro. Sempre in campo finanziario, nel 1933 furono approvati anche il Glass Steagall Act, con cui vennero separate le banche commerciali da quelle di investimenti e che assicurò una garanzia federale sui depositi inferiori ai cinquemila dollari, e il Securities Exchange Act, con cui si cercò di regolamentare e di rendere più sicura per gli investitori l'attività della Borsa. La legislazione bancaria fu poi completata con il Banking Act del 1935. A partire da quell'anno il presidente Roosevelt, sotto la pressione dei gruppi antimonopolistici, cercò anche di limitare il potere delle grandi concentrazioni industriali: nel 1935 fu approvato il Public Utilities Holding Companies Act, che prevedeva fra l'altro lo smantellamento di alcune holding finanziarie, e una legge fiscale per l'introduzione di un'imposta progressiva sui profitti delle società. Nel 1938 fu istituita presso il ministero della Giustizia l'Antitrust Division. Rilevanti furono le innovazioni introdotte dal New Deal in campo sociale e nella legislazione del lavoro: il Social Security Act del 1935 creò per la prima volta negli Stati Uniti un sistema nazionale di pensioni di vecchiaia e di invalidità, introducendo anche misure di assistenza per le madri e per i bambini, mentre il National Labor Relations Act (o Wagner Act), sempre del 1935, sancì la libertà di organizzazione dei lavoratori e vietò l'istituzione di sindacati "gialli" da parte degli industriali. Nel 1938 fu approvato il Fair Labor Standards Act, che fissò minimi salariali per tutto il territorio nazionale, anche se il provvedimento fu mutilato per l'opposizione sia degli industriali del sud sia degli stessi sindacati. Furono proprio quelle socioeconomiche le più rilevanti conquiste del New Deal rooseveltiano, che al contrario si rivelò un fallimento sul piano pratico e non riuscì nel suo intento primario di rilanciare l'economia: nel 1937, infatti, e cioè nell'anno migliore del periodo, il numero dei disoccupati si aggirava ancora intorno agli otto-nove milioni, nonostante i grandi investimenti di denaro pubblico che portarono il deficit pubblicò da 1,3 a 3,6 milioni di dollari. Roosevelt, che era stato trionfalmente rieletto alla Casa Bianca nel 1936, decise allora una contrazione del bilancio federale, attraverso la riduzione dei sussidi e la limitazione degli investimenti, che però innescò un meccanismo recessivo, aprendo la strada a una nuova crisi. Nel 1938 fu inaugurato un nuovo piano di spesa, che costituì il primo consapevole tentativo di applicazione della politica keynesiana (J.M. Keynes). Ma in realtà la ripresa economica degli Stati Uniti non si realizzò che con lo scoppio in Europa della Seconda guerra mondiale.

M. Giordano

A. Schlesinger, L'età di Roosevelt, Il Mulino, Bologna 1959; P.K. Coukin, The New Deal, Crowell, New York 1967; M. Vaudagna (a c. di), Il New Deal, Il Mulino, Bologna 1981.

REAGANOMICS

Programma di politica economica varato negli Usa nel febbraio 1981 dalla prima amministrazione Reagan. Era basato su quattro principali linee direttrici: detassazione dei redditi personali e delle imprese; tagli al bilancio federale e riduzione del deficit pubblico; eliminazione della regolamentazione delle attività economiche (vedi deregulation); una politica monetaria di freno alla crescita dell'offerta di denaro per abbattere l'inflazione. Obiettivo fondamentale era lo spostamento dell'equilibrio dei poteri dal governo federale alla società, invertendo una tendenza all'interventismo economico e sociale affermatasi nella politica americana dagli anni sessanta. Gli effetti del programma si rivelarono contraddittori: le spese governative aumentarono rapidamente in termini reali, con drastici spostamenti di risorse dal settore dell'assistenza (sovvenzioni ad amministrazioni statali o locali, programmi di assistenza sociale) a vantaggio della spesa militare; il calo dell'inflazione fu compensato negativamente dall'aumento della disoccupazione; infine l'ampliamento del deficit federale e l'aumento dei tassi di interesse negli Usa provocarono un indesiderato innalzamento dei tassi di interesse internazionali.

REAGAN, RONALD WILSON

(Tampico 1911 - 2004). Politico statunitense; presidente (1981-1989). Modesto attore cinematografico, in quanto presidente dell'Associazione degli artisti di Hollywood appoggiò l'epurazione maccartista negli ambienti cinematografici. Esponente del Partito repubblicano, nel 1966 fu eletto governatore della California, rieletto nel 1970. Convinto dalle posizioni del neoconservatorismo, nel 1980 batté facilmente l'incerto Jimmy Carter nelle elezioni presidenziali. Per mettere in pratica la deregulation ridusse la spesa pubblica nei diversi settori dell'assistenza e dell'istruzione, smantellando il welfare state costruito dai democratici, impose una politica di cauta restrizione monetaria e di alti tassi di interesse, alleggerì la pressione fiscale, ottenendo una certa ripresa dell'economia e una diminuzione dell'inflazione a spese di un grave disavanzo della bilancia commerciale con l'estero e del debito pubblico, aggravato dagli ingenti piani di riarmo per mettere con le spalle al muro l'Urss, da lui definita impero del male. Attuò una politica interventista nell'America centrale (Panama, Nicaragua), mentre in medio Oriente consentì la spartizione di gran parte del Libano fra Siria e Israele e approfondì il contrasto con la Libia, ritenuta prima responsabile del terrorismo internazionale. Rieletto nel 1984, modificò in parte l'atteggiamento verso l'Urss, in relazione ai cambiamenti introdotti da M. Gorbacëv, di cui raccolse i frutti il successore G. Bush. Nel 1986 fu sull'orlo dell'impeachment per aver tentato di insabbiare le indagini sullo scandalo dell'Irangate. Il "lunedì nero" di Wall Street (19 ottobre 1987), quando la Borsa registrò un crollo del 22,6 per cento, mise in luce il sostanziale fallimento della politica economica perseguita dalla sua amministrazione, che aveva provocato un disavanzo pubblico superiore ai 92 miliardi di dollari nel 1990.

P. D'Attorre

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GOLD STANDARD

Sistema monetario in cui l'oro rappresenta lo standard monetario in ambito internazionale e all'interno dei paesi aderenti. Le singole monete sono convertibili in oro e godono di un rapporto di cambio fisso. Il regime di gold standard nacque formalmente nel 1821 quando l'Inghilterra ripristinò la convertibilità in metallo della propria moneta, scegliendo come unico standard l'oro. Essendo l'Inghilterra il paese dominante nel commercio mondiale, il sistema aureo si impose nel corso del secolo in quasi tutti gli stati inseriti nei grandi circuiti di questo commercio. Al sistema del gold standard è stato attribuito il merito della stabilità delle monete, dei prezzi e del libero movimento dei capitali fino alla Prima guerra mondiale, oltre al pregio di una intrinseca capacità di autoregolazione attraverso il meccanismo dei flussi di oro. Il gold standard, secondo gli economisti classici, tende a mantenere l'equilibrio nel commercio internazionale: eventuali deficit della bilancia dei pagamenti di un paese provocano un deflusso di oro, una diminuzione dei prezzi, aumento delle esportazioni, ritorno di metallo e nuovo equilibrio (meccanismo di price-specie-flow). Il sistema bancario non deve che adeguarsi ai flussi aumentando o diminuendo il tasso di sconto in relazione alla scarsità o abbondanza di riserva metallica (rispetto delle cosiddette "regole del gioco"). La ricerca storica ha però mostrato come fossero frequenti le violazioni di queste regole nel movimento dei capitali, e come gli squilibri della bilancia dei pagamenti fossero compensati, più che dai flussi di oro, da movimenti di capitale a breve termine e, viceversa, afflussi di metallo fossero frequentemente sterilizzati per non accrescere la quantità di moneta all'interno. La difesa della parità era in prima istanza demandata alla gestione di riserve in valute convertibili in oro (gold exchange standard), affidata alle banche centrali. Il sistema si interruppe nel 1914 allo scoppio della guerra mondiale, quando le monete nazionali vennero dichiarate inconvertibili. Ripristinato nel 1925, crollò definitivamente nel 1931. L'Italia unita aderì al gold standard, pur mantenendo una limitata circolazione in argento, ma riuscì a garantire la convertibilità della lira solo per brevi periodi (fino al 1866, dal 1883 al 1891; di fatto, ma non ufficialmente, dal 1902 al 1914 e dal 1927 al 1931).

A. Polsi

M. De Cecco, Economia e finanza internazionale dal 1890 al 1914, Laterza, Bari 1971.

AUTARCHIA

Linea di politica economica finalizzata all'autosufficienza di un sistema economico, mediante la massima riduzione di importazioni ed esportazioni (ottenuta con apposite misure fiscali, doganali e monetarie) e il massimo sfruttamento dei fattori interni. Dominò di fatto il sistema economico internazionale tra la prima e la Seconda guerra mondiale in seguito all'isolazionismo statunitense, alla "cintura sanitaria" imposta all'Urss e alle difficoltà della ripresa della Germania umiliata dalle "riparazioni". Aggravata dalle conseguenze della crisi del 1929, fu denunciata con vigore da J.M. Keynes come fattore di instabilità internazionale. Le grandi potenze poterono contare sulle immense risorse interne (Usa e Urss) o su quelle dei propri imperi coloniali (Gran Bretagna e Francia, ma anche Belgio e Olanda): la creazione dell'area autarchica del Commonwealth britannico avvenne, per esempio, nel 1931. Germania, Italia e Giappone si misero sulla strada bellicista della ricerca rispettivamente dello "spazio vitale", di un "posto al sole" e dell'"area di coprosperità della più grande Asia orientale". Ma solo l'Italia fascista lanciò dichiaratamente l'autarchia dopo le sanzioni inflittele dalla Società delle nazioni per l'aggressione all'Etiopia (1935). Volta in realtà a rafforzare l'economia di guerra, essa comportò il drenaggio di risorse pubbliche a sostegno dell'industria pesante e la rinuncia a varie importazioni vitali, con gravi distorsioni nei consumi e negli investimenti per un paese poverissimo di materie prime e, soprattutto, una ridicola e molto propagandata pretesa di "far da sé" in campi tecnologicamente avanzati, e si tradusse in una terribile arretratezza anche della stessa attrezzatura bellica. Un sistema autarchico sopravvisse di fatto, durante la guerra fredda, nel blocco sovietico in seguito al rifiuto di accedere agli accordi di Bretton Woods (1944) e al piano Marshall (1947).

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ROOSEVELT, FRANKLIN DELANO

(Hyde Park 1882 - Warm Springs 1945). Politico statunitense. Democratico, solo lontano parente del presidente repubblicano Theodore, fu segretario alla Marina (1913) e candidato alla vicepresidenza (1920). Nel 1928 fu eletto governatore dello stato di New York segnalandosi per la linea progressista e per la capacità di attorniarsi di validi collaboratori. Eletto presidente nel 1932, nel cuore della gravissima crisi economica iniziata nel 1929 elaborò un vasto piano di intervento in ogni settore economico e sociale noto come New Deal, che riuscì nell'intento di ridare vigore all'economia americana, provocando però l'opposizione dei conservatori, che contestavano l'elevato costo dei provvedimenti assistenziali, e una lunga controversia con la Corte suprema che nel 1935 annullò tra l'altro il National Industrial Recovery Act col quale si mirava a una profonda ristrutturazione dell'industria. Riconfermato nella carica nel 1937, chiese al Congresso di approvare un altro pacchetto di importanti provvedimenti, tra cui il Social Security Act (1935), col quale si istituì la previdenza sociale, e il Wagner Act, che concedeva ai lavoratori nuovi diritti di contrattazione. In politica estera fu favorevole a una politica isolazionista, sottolineata dall'approvazione del Neutrality Act (1935), per la quale fu gradualmente limitata l'interferenza negli affari interni degli stati latinoamericani e favorita la solidarietà interamericana. Durante il terzo mandato presidenziale (1940-1945), mentre in Europa infuriava la guerra, si rese conto, con una svolta di politica estera che ne confermò la lungimiranza per la quale è considerato uno dei più grandi presidenti della storia, che il conflitto era decisivo per le sorti stesse dell'umanità e anche dello sviluppo del suo paese. Presentò allora la legge sugli affitti e prestiti (Lend-Lease Act, 1940), che avviò il sostegno decisivo alla Gran Bretagna, poi esteso all'Urss. Nel dicembre 1941 fu costretto dall'attacco giapponese a Pearl Harbor a decidere l'entrata in guerra, determinante per la vittoria delle forze alleate. Nella Carta atlantica (1941) concordata con Churchill trasfuse gli obiettivi statunitensi per il dopoguerra. La strategia statunitense della riorganizzazione delle relazioni internazionali fu definita nella conferenza di Teheran (1943) e in quella di Jalta (1945), ma in seguito egli fu accusato di essere stato troppo accondiscendente nei confronti di Stalin. Morì poco dopo la quarta rielezione.

P. D'Attorre

HOOVER, EDGAR JOHN

(Washington 1895 - ivi 1972). Politico statunitense. Dal 1924 fu a capo del Federal Bureau of Investigation (Fbi), che contribuì a rendere ancora più efficiente. Negli ultimi anni del suo servizio (oltre quaranta), fu accusato della violazione dei diritti civili dei cittadini, perpetuata mediante l'identificazione dei comunisti statunitensi.

KEYNES, JOHN MAYNARD

(Cambridge 1883 - Firle 1946). Economista inglese. Docente a Cambridge e direttore dell'"Economic Journal", collaborò col Tesoro. Consulente della delegazione britannica alla conferenza di Versailles nel 1919, se ne dimise clamorosamente. Nel libro in cui ne spiegò i motivi (Le conseguenze economiche della pace, 1919) prevedeva che i pesanti indennizzi imposti alla Germania si sarebbero ritorti contro il sistema economico internazionale, danneggiando le stesse potenze vincitrici, e che, per un equilibrato sviluppo, si sarebbe reso necessario il superamento del gold standard con un sistema di collaborazione monetaria internazionale che facesse riferimento alle capacità economiche reali di ciascun paese. La puntuale conferma di queste previsioni venuta dalla catastrofica crisi mondiale del 1929-1930 rese famosa anche la sua tesi sulla fine del laissez-faire (1926) e sulla necessità che lo stato si facesse carico di un consapevole intervento nell'economia a prevenzione delle crisi. Questa rivoluzione teorica antiliberista, sistemata organicamente nella Teoria generale dell'occupazione, interesse e moneta (1936), ispirò la politica interna di alcuni stati democratici già negli anni trenta (vedi New Deal) e il nuovo assetto del mercato mondiale all'indomani della Seconda guerra mondiale (accordi di Bretton Woods e piano Marshall).

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