RIVOLUZIONE FRANCESE (1789-1799). Movimento politico e sociale che pose fine all'ancien régime in Francia. LE CAUSE. Ebbe origine da processi di medio-lungo periodo e da fattori di crisi congiunturale che investirono l'economia e la società, la politica e la cultura, le istituzioni e la mentalità. La fase di prosperità apertasi negli anni venti del XVIII secolo aveva favorito lo sviluppo di una borghesia imprenditoriale urbana e rurale insofferente ai vincoli feudali e corporativi e a una borghesia intellettuale e delle professioni decisa a far prevalere i meriti individuali sui privilegi di ceto. Con gli esponenti più illuminati del clero e della nobiltà, questa borghesia si proponeva come nuova classe dirigente, capace di rappresentare gli interessi di tutta la nazione (vedi Sieyès). Ma la crescita settecentesca, peraltro già arrestatasi negli anni settanta, provocò effetti socialmente differenziati e contraddittori, penalizzando i gruppi sociali più numerosi e più poveri. Nella seconda metà degli anni ottanta, poi, una grave crisi produttiva e di mercato colpì settori cruciali come la viticoltura e le manifatture tessili, rendendo esplosiva la crisi di sussistenza seguita al pessimo raccolto cerealicolo del 1788. Nelle campagne l'aumento di lungo periodo della rendita feudale e fondiaria aveva aggravato le croniche difficoltà della piccola azienda contadina e alimentava una diffusa resistenza tanto al prelievo signorile quanto alle spinte verso il liberismo economico e lo sviluppo capitalistico cui erano, invece, sensibili grandi affittuari e proprietari fondiari. Intanto la crisi cronica della finanza statale, aggravata dagli sprechi e dai costi della guerra contro la Gran Bretagna (1778-1783), imponeva misure di perequazione fiscale, cui si opponevano gli ordini privilegiati, che acuivano la tradizionale opposizione dei parlamenti all'assolutismo regio. Al "dispotismo ministeriale" si opponevano anche i fautori della monarchia costituzionale di tipo inglese, guidati dal marchese di La Fayette. Infine la diffusione delle idee illuministiche metteva in crisi, presso vasti strati di opinione pubblica colta, l'ideologia dell'assolutismo e la legittimità delle distinzioni di ceto fondate sul privilegio di nascita o di status. Una fitta rete di accademie, "società di pensiero" e logge massoniche alimentava forme inedite di sociabilità politica e culturale che, saldandosi con una crescente alfabetizzazione dei ceti popolari e una diffusa secolarizzazione di valori e comportamenti, agevolava la diffusione di idee-forza potenzialmente destabilizzanti quali l'uguaglianza dei diritti e la sovranità popolare. GLI STATI GENERALI E LA COSTITUENTE. Il fallimento dei progetti di riforma di J. Necker, di C.A. de Calonne e di E. C. Loménie de Brienne rese inevitabile nell'estate 1788 la convocazione degli Stati generali. La consultazione che ne preparò l'elezione coincise (marzo-aprile 1789) con un'acutissima crisi di sussistenza che rese incandescente lo scontro politico sulla composizione e sui poteri degli Stati generali; la compilazione di circa 60.000 cahiers de doléances fu un'occasione straordinaria di mobilitazione politica di massa. Fin dall'apertura degli Stati generali (5 maggio 1789) una netta frattura si produsse tra il re e i primi due ordini da un lato e, dall'altro, i rappresentanti del Terzo stato su questioni procedurali di grande rilievo politico come la vexata quaestio del voto per testa o per ordine. Attraverso passaggi drammatici (tra cui il giuramento, pronunciato nella sala della Pallacorda, di non separarsi finché la Francia non avesse avuto una costituzione), i deputati del Terzo stato, appoggiati da un'intensa campagna di stampa e da una parte dei deputati degli altri due ordini, si costituivano in Assemblea nazionale, che il 9 luglio si proclamò costituente. La minaccia regia di sciogliere con la forza l'Assemblea e il timore del complotto aristocratico spinsero il popolo di Parigi all'insurrezione armata come strumento di difesa preventiva (assalto alla Bastiglia, 13-14 luglio 1789). Tra la metà di luglio e i primi giorni di agosto in tutta la Francia dilagò la "rivoluzione municipale" e le campagne furono sconvolte dalla Grande paura, che spinse la costituente a proclamare l'abolizione della feudalità (4 agosto). Il 26 agosto, con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, l'Assemblea fondava solennemente i nuovi ordinamenti su principi che sarebbero stati alla base delle moderne costituzioni liberali e democratiche. Fino all'estate del 1791 preoccupazioni dominanti dell'Assemblea furono l'elaborazione di una nuova costituzione, la riforma delle amministrazioni locali (istituzione dei dipartimenti, cantoni e comuni retti da organi di governo elettivi) e giudiziaria, il risanamento finanziario. La crescita esponenziale del disavanzo pubblico spinse i costituenti a confiscare e mettere in vendita i beni della Chiesa per rimborsare titoli di debito pubblico emessi in quantità crescente e che rapidamente si svalutarono. La Costituzione civile del clero (12 luglio 1790), condannata dal papa, provocò una grave frattura tra il clero "costituzionale" e quello "refrattario", che rafforzò il fronte controrivoluzionario. Intanto nelle campagne i contadini si rifiutavano di pagare i diritti signorili sulle terre o di riscattarli; l'incapacità del governo e dell'Assemblea di tutelare gli interessi dei nobili spingeva questi ultimi a schierarsi sempre più numerosi contro la rivoluzione, e spesso a emigrare all'estero. La fuga di Varennes (20 giugno 1791) svelò definitivamente i propositi controrivoluzionari del re e della corte e provocò una dura contrapposizione fra quanti tentavano di negarne le responsabilità, per non compromettere una soluzione monarchico-costituzionale della crisi, e i rivoluzionari più radicali. L'eccidio di Campo di Marte (17 luglio 1791), la secessione dei foglianti dal club dei giacobini, la dichiarazione di Pillnitz (con cui nell'agosto 1791 Austria e Prussia invitavano i monarchi d'Europa a unirsi per ristabilire l'ordine in Francia) accentuarono incertezze e tensioni che il varo della prima costituzione francese (4 settembre) non bastò a placare. Nell'Assemblea legislativa, che sostituì (1° ottobre 1791) la costituente, pur prevalendo numericamente la destra fogliante (un terzo dei deputati) e il centro moderato, dominarono la scena i girondini, guidati da J.P. Brissot, che fecero leva sull'intransigente difesa della rivoluzione contro i nemici esterni e interni. Con lo strumentale appoggio del re e della corte e l'opposizione di Robespierre, ostile a un conflitto di esito incerto per la Francia, i girondini trascinarono l'Assemblea a dichiarare guerra all'Austria (20 aprile 1792). LA PRIMA REPUBBLICA E IL TERRORE. Ma gli insuccessi militari, la sensazione diffusa che un nuovo "complotto aristocratico" mirasse a stroncare la rivoluzione con l'appoggio degli eserciti stranieri e una violenta ripresa delle sommosse popolari contro il carovita mobilitarono nuovamente i sanculotti, che il 10 agosto sostituirono la municipalità di Parigi con una Comune insurrezionale e costrinsero la Legislativa a votare la deposizione del re e a convocare nuove elezioni, a suffragio universale. La nuova assemblea (vedi Convenzione nazionale), insediatasi lo stesso giorno (21 settembre) in cui un esercito di volontari fermò a Valmy l'avanzata austro-prussiana su Parigi, il 21 settembre proclamò la repubblica una e indivisibile. Sui rapporti con il movimento sanculotto e le sue istanze di democrazia diretta e di radicalismo sociale (maximum dei prezzi, diritto al lavoro e all'istruzione ecc.), sulla conduzione della guerra e sulla sorte del re si aprì nella Convenzione un aspro e lungo scontro politico fra i girondini e i deputati montagnardi, i cui principali leader (Robespierre e Danton) rivendicarono e ottennero, con l'appoggio di una parte dei deputati di centro (Palude), la condanna a morte, senza possibilità di appello al popolo, e l'esecuzione del re (21 gennaio 1793). Il regicidio e l'annessione alla Francia dei territori alla sinistra del Reno, del Belgio e della Savoia portarono alla guerra contro la prima coalizione (Austria, Prussia, Gran Bretagna, Paesi bassi, Spagna e quasi tutti gli stati italiani). Una serie di sconfitte militari e lo scoppio della rivolta in Vandea e in altri dipartimenti dell'Ovest spinsero a adottare misure eccezionali (istituzione del Tribunale rivoluzionario, del Comitato di salute pubblica e di comitati di sorveglianza rivoluzionaria in tutti i comuni) che indebolirono i girondini. Nelle "giornate rivoluzionarie" del 31 maggio e del 2 giugno 1793 i sanculotti parigini, sostenitori dei montagnardi, imposero l'epurazione dei principali leader girondini dal governo e dalla Convenzione. Tra la capitale e i dipartimenti del Mezzogiorno e dell'Ovest, insofferenti dell'egemonia di Parigi e del radicalismo politico delle sue folle rivoluzionarie, si creò una frattura che sfociò in una vasta sollevazione antigiacobina ("insurrezione federalista"). Sotto la direzione dei giacobini, la Convenzione recuperò temporaneamente il controllo del movimento sanculotto accettandone in parte le rivendicazioni nella Costituzione dell'anno I (25 giugno 1793). L'accentramento del potere nelle mani del Comitato di salute pubblica e dei "rappresentanti in missione", protagonisti di una spietata repressione contro i federalisti e i rivoltosi vandeani; le misure da economia di guerra tendenti ad approvvigionare le città affamate e un poderoso esercito di oltre 700.000 uomini, ma che irritavano contadini e mercanti senza bloccare il mercato nero; l'imposizione del maximum generale dei prezzi e dei salari, che faceva emergere gravi divergenze anche nel movimento sanculotto; un'intransigente campagna di scristianizzazione, che lacerò ulteriormente le coscienze alimentando la resistenza controrivoluzionaria; la tendenza del Terrore a perpetuarsi oltre l'emergenza che ne aveva giustificato la nascita e a trasformarsi in strumento di lotta politica interna allo schieramento rivoluzionario (arresto ed esecuzione di J.R. Hebert e Danton e di molti loro seguaci, marzo-aprile 1794): questi e altri fattori erosero progressivamente il consenso intorno al Comitato di salute pubblica e al triumvirato (Robespierre, Saint-Just e G.A. Couthon) che sembrava dominarlo. Una composita coalizione di deputati che se ne sentivano colpiti o minacciati provocò l'arresto e l'esecuzione di Robespierre e dei suoi seguaci il 9-10 termidoro (27-28 luglio) 1794. LA NORMALIZZAZIONE. La svolta di termidoro avviò un rapido processo di "normalizzazione" politico-istituzionale. Riammessi alla Convenzione i deputati girondini superstiti, in tutta la Francia giacobini e sanculotti diventarono oggetto di persecuzione (Terrore bianco). Il disorientamento e la debolezza del movimento popolare parigino si rivelarono appieno nel fallimento dei tentativi insurrezionali di germinale e di pratile anno III (1° aprile e 20-22 maggio 1795), provocati dall'esasperazione per il carovita, giunto a livelli insostenibili dopo l'abolizione del calmiere sui prezzi (dicembre 1794). La Costituzione dell'anno III (22 agosto 1795) sanzionò il nuovo corso politico e sociale della rivoluzione. Stabilendo una rigida divisione dei poteri (l'esecutivo al Direttorio e il legislativo a due Consigli, degli Anziani e dei Cinquecento, rinnovabili ogni anno per un terzo) e ripristinando il suffragio elettorale con sbarramento censitario e a doppio grado, proponeva un modello costituzionale cui si sarebbero ispirati nell'Ottocento ideologie e movimenti politici interessati a conciliare libertà civili, partecipazione politica e predominio delle classi abbienti, della borghesia intellettuale e delle professioni. L'evoluzione in senso filomonarchico dell'opinione pubblica, soprattutto delle campagne, e i sussulti insurrezionali della sinistra, sempre più deboli ed elitari, ma che ossessionavano l'immaginario collettivo dei termidoriani (vedi congiura degli eguali), crearono uno stato di permanente instabilità politica che il Direttorio fronteggiò a fatica con repressioni e colpi di stato, come quello di fruttidoro (4 settembre 1797), al cui successo contribuì in modo decisivo l'esercito, istituzione dal crescente prestigio e di sicura fede repubblicana. Un generale vittorioso, Napoleone Bonaparte, fu il protagonista e principale beneficiario del colpo di stato del diciotto brumaio (9 novembre 1799), che segnò il passaggio al Consolato e, poi, all'impero. A. Massafra A. Soboul, La rivoluzione francese, Laterza, Bari 1964; F. Furet, D. Richet, La rivoluzione francese, Laterza, Bari 1974; F. Furet, M. Ozout, Dizionario critico della rivoluzione francese, Bompiani, Milano 1988; M. Vovelle, La rivoluzione francese (1789-1799), Guerini, Milano 1993; M. Vovelle, L'état de la France pendant la Révolution (1789-1799), La Découverte, Parigi 1989. |