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ARTI
(o corporazioni). Associazioni professionali e di mestiere. Particolare sviluppo ebbero nelle città dell'Occidente europeo a partire dal XII secolo, nel contesto della generale rinascita economica e urbana. Controversa è la questione della loro derivazione dalle analoghe organizzazioni romane.

PROTAGONISTE DELLA CIVILTÁ URBANA EUROPEA.
Nella Roma repubblicana i corpi e i collegi professionali avevano originariamente avuto carattere presumibilmente spontaneo, con finalità religiose e di reciproca assistenza più che economiche. Al tempo di Giulio Cesare, lo stato ne vincolò la legittimità alla utilità pubblica e a specifici obblighi e oneri di servizio, che li trasformarono così in organi indiretti dell'amministrazione urbana. Alla fine del III secolo d.C., per rimediare alla continua diminuzione dei mestieri e delle professioni nelle città e per assicurare la continuità dei servizi pubblici, l'appartenenza al collegio divenne obbligatoria ed ereditaria. Di questi istituti erano forse eredi le scholae urbane italiane rimaste dopo il VII secolo sotto il dominio bizantino. Molto più incerta è questa continuità per le varie corporazioni professionali (ministeria e officia), strettamente collegate al monopolio del fisco regio sulle loro attività, presenti fino a circa il X secolo nell'Italia longobarda e in genere nell'Europa carolingia, ma che decaddero già nel secolo seguente. Fecero eccezione forse solo alcune attività più umili ed essenziali per la vita cittadina (vettovagliamento, panificazione, trasporti), verso le quali le città ereditarono i poteri regi e comitali di sorveglianza. In qualche circostanza, mestieri e professioni liberate dal controllo pubblico si riunirono in confraternite, poste sotto la tutela del vescovo. Quando nel XII secolo sorsero le istituzioni comunali, dapprima i mercanti e poi le altre principali categorie di professionisti e artigiani vennero via via raggruppandosi in arti. Si trattava di associazioni volontarie del tutto nuove e libere, che riuscirono poi in modi e in tempi diversi, nelle varie città, a imporre il riconoscimento della loro presenza amministrativa e politica e i loro poteri giurisdizionali interni, nel nuovo ordinamento urbano. Gli statuti che regolavano i loro compiti si proponevano principalmente due finalità: il mantenimento dell'eguaglianza economica tra i membri e la conservazione nelle mani dei consociati del monopolio della loro particolare attività. Il primo scopo veniva perseguito limitando il numero degli aiutanti che ogni artigiano o commerciante poteva avere, proibendo forme scorrette di concorrenza, definendo la qualità dei prodotti e il tipo di tecniche da adoperare. Per mantenere il monopolio della produzione si vietava l'importazione di merci concorrenziali in una certa città o in una particolare area, e l'esportazione di materie prime, di manodopera e di conoscenze tecniche. Le relazioni interne alle corporazioni erano cementate da feste celebrate in determinate ricorrenze religiose, dai matrimoni tra figli di associati, dalla partecipazione collettiva a nozze e funerali dei membri ecc. Sviluppi analoghi a quelli dell'Italia comunale si ebbero nelle Fiandre, nella Francia centromeridionale, in Catalogna e in molte città tedesche. Quasi ovunque fra il XIII e il XIV secolo si realizzò l'accesso diretto delle arti al governo delle città. La lotta interna tra vecchie e nuove aristocrazie sociali (nell'Italia comunale tra nobiltà e popolo) finì infatti con l'attribuzione alle arti di una esplicita funzione politica e costituzionale. I membri degli organi di governo, nelle città che si diedero un regime "popolare", vennero così a essere selezionati ed eletti esclusivamente tra gli iscritti alle arti. Il predominio era tuttavia pur sempre assicurato alle classi superiori, che controllavano le arti maggiori dei mercanti e banchieri e delle professioni giuridiche e liberali. In numerose città, ove erano particolarmente forti i ceti mercantili e imprenditoriali, furono tenute in condizione di minore potere non solo le corporazioni degli artigiani e dei commercianti locali (arti minori), ma anche quelle dei notai e dei giudici.

PILASTRO DELLE MONARCHIE NAZIONALI. Sempre esclusi dall'accesso al governo urbano rimasero poi i mestieri di minore prestigio sociale e scarsa forza economica, che spesso dovettero attendere il XIV e il XV secolo per ottenere dai nuovi stati signorili e territoriali anche il semplice diritto a riunirsi in associazioni autonome. Nel resto d'Europa, come nella Francia settentrionale, le associazioni di mestiere restarono vincolate alla monarchia, che garantiva loro ampi privilegi e poteri di autoregolamentazione, ma non funzioni di reggimento politico. Nella Spagna non catalana come nell'Italia meridionale la forma principale di inquadramento rimase invece quella delle confraternite religiose. Alla fine del Medioevo tutte le oligarchie urbane si strutturarono in patriziati chiusi ed ereditari, che in genere esclusero le arti dalle massime magistrature municipali. Organizzazione interna e funzioni delle arti rimasero sostanzialmente comuni e stabili in tutte le corporazioni bassomedioevali. La finalità fondamentale dell'associazione era il mantenimento dell'uguaglianza e della solidarietà di interessi e di azione fra tutti i maestri che ne facevano parte. Compiti primari, stabiliti da statuti rigorosamente applicati, erano la lotta a ogni forma di concorrenza esterna e interna, il controllo sulla qualità e sull'uniformità dei prodotti e delle tecniche, su orari di lavoro, salari e prezzi. A tutto ciò si aggiungevano forme di reciproca assistenza e soccorso. La forte coesione interna e la comunanza di riti e culti religiosi nei confronti di un santo patrono trovavano espressione nelle feste e processioni pubbliche, a cui capi (priori, gonfalonieri o anche anziani) e membri della corporazione partecipavano con le loro insegne e con i loro gonfaloni. Tra gli appartenenti all'arte, il grado inferiore era quello dei garzoni o operai, i quali svolgevano le mansioni più semplici e un lavoro prevalentemente manuale e non specializzato. Al grado superiore di maestro, necessario per potere esercitare in modo indipendente la propria attività professionale e per guidare una propria bottega, era possibile accedere solo dopo un periodo di formazione e di lavoro dipendente in qualità di apprendista presso un maestro. L'apprendistato culminava generalmente con un esame e la presentazione di un capo d'opera, a riprova della raggiunta padronanza delle tecniche specifiche dell'arte. L'iscrizione tra i maestri era quasi sempre condizionata al pagamento di quote di ingresso più o meno elevate. In una prima fase, di grande sviluppo economico, la domanda urbana di professionisti e artigiani specializzati fu abbastanza elevata da non porre problemi di limitazione degli accessi. Le arti si limitavano a regolare il reclutamento e ad assicurare la qualità della formazione tecnica dei nuovi membri. Fino a gran parte del Duecento esse furono quindi uno degli strumenti principali di ascesa e mobilità sociale e uno dei principali richiami esercitati dalla città nei confronti della gente della campagna. In età moderna, con la formazione in gran parte dell'Europa degli stati nazionali, l'influenza delle corporazioni si venne riducendo o scomparve del tutto nel campo politico e si indebolì di molto nel campo economico. Il potere esercitato dai funzionari dei vari stati finiva per emarginare quello delle corporazioni. A ciò si aggiunse, nel Settecento, la critica da parte del mondo della cultura agli ostacoli che l'esistenza delle corporazioni manteneva nella vita economica. Nella seconda metà del Settecento le corporazioni furono eliminate quasi ovunque, mentre alcune delle loro competenze vennero assunte da uffici statali come le camere di commercio. In Italia il fascismo volle ripristinare l'esperienza corporativa con la dottrina del corporativismo.

G. Petralia

P.S. Leicht, Corporazioni romane e arti medievali, Einaudi, Torino 1937; A.I. Pini, Città, comuni e corporazioni nel Medioevo italiano, Clueb, Bologna 1986; R. Greci, Corporazioni e mondo del lavoro nell'Italia padana medievale, Clueb, Bologna 1988.
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