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CORPORATIVISMO
Teoria politica che mira a organizzare la collettività e lo stato in base alla rappresentanza degli interessi economici e professionali organizzati in quanto tali (quali erano le corporazioni medievali) e quindi, per estensione, ideologia fondata sulla difesa particolaristica di interessi settoriali e categoriali. Nell'Europa ottocentesca un filone di pensiero cattolico elaborò teorie di stampo corporativistico con l'obiettivo di contrapporre alla società individualistica liberale una società organica, rispettosa dei valori religiosi dell'uomo. Il modello corporativo doveva permettere il superamento della conflittualità tra padroni e operai assicurando l'armonia sociale: protagonisti di questo indirizzo furono in Francia Albert de Mun (1841-1914) e René la Tour du Pin (1834-1924), in Italia Luigi Taparelli d'Azeglio (1793-1862), in Germania Wilhelm Ketteler (1811-1877). La formulazione della dottrina sociale cattolica risentì a lungo di queste indicazioni, confermate dalle encicliche papali (vedi Rerum novarum). In Italia Giuseppe Toniolo (1845-1918) ne assicurò un approfondimento e ne guidò i primi tentativi di applicazione dei cattolici italiani. Questo filone cattolico del corporativismo fu ripreso negli anni tra le due guerre mondiali come motivo di incontro con le dittature fasciste, soprattutto in Spagna e Portogallo, ma anche in Italia (con A. Fanfani). Il fascismo italiano accettò infatti dal nazionalismo, tramite l'opera teorica di A. Rocco, l'idea di una soluzione corporativa del conflitto sociale. A differenza della teoria cattolica che contrapponeva la corporazione allo stato, il corporativismo fascista subordinava l'interesse delle categorie all'obiettivo dello sviluppo della potenza nazionale e allo stato. Questa dottrina ebbe diversi svolgimenti e trovò applicazione istituzionale nella formazione delle Corporazioni (1934) e della Camera dei fasci e delle corporazioni che sostituì la Camera dei deputati (1939).

L. Ganapini
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