AMBIENTE Somma delle condizioni che circondano un essere umano in qualsiasi punto della superficie terrestre. Per i primitivi esse erano in gran parte naturali (clima locale, terreno e suoli, vegetazione spontanea, disponibilità idriche ecc.), così com'erano naturali, e spesso assai brutali, i cambiamenti che si producevano a seguito dell'operare dei vulcani, dei terremoti, delle divagazioni fluviali ecc. Nell'evolvere delle civiltà gli uomini si attrezzarono progressivamente con opere che, per le loro dimensioni e la loro durata, sono anch'esse divenute parte integrante dell'ambiente, fino a prevalere: le conoscenze empiriche e scientifiche, e la strumentazione tecnica di differente potenza nel corso del tempo, hanno infatti consentito di alterare in vario modo il territorio. In particolare l'uomo ha sostituito a paesaggi prodotti dagli interscambi tra ecosistemi naturali paesaggi artificiali che, a loro volta, hanno ridefinito le relazioni tra ecosistemi. La prima rottura quantitativa e qualitativa degli ecosistemi naturali fu provocata, a partire da circa 8000 anni a.C., con la diffusione dell'agricoltura quale pratica corrente di addomesticamento di piante e animali. Essa agì in due direzioni: da un lato avviò il millenario processo di selezione artificiale delle specie animali e vegetali, dall'altro cambiò le modalità di immagazzinamento dell'energia solare attraverso la fotosintesi. In questo senso l'agricoltura è una pratica di trasferimento di energia da vegetali non commestibili per l'uomo a vegetali e animali per lui commestibili, così che può essere letta anche come un flusso di energia. Nelle varie epoche tale flusso ha dato luogo a bilanci positivi o negativi. Il modello agricolo a noi più vicino, quello della rivoluzione verde e dell'agribusiness, si caratterizzò spesso per avere un bilancio negativo: la quantità di energia (lavoro, additivi chimici, carburante per trasporto, materia prima per imballaggio ecc.) che si applica per ottenere una caloria di prodotto agricolo è a volte pari o superiore al valore energetico della caloria stessa. La selezione artificiale delle specie animali e vegetali ebbe l'obiettivo primario di rendere prevalenti le specie più produttive per l'esclusivo impiego umano, abbandonandone altre meno adatte a questo scopo. Così l'agricoltura diede spazio a consociazioni artificiali tendenzialmente più omogenee e meno stabili di quelle naturali, cioè meno capaci di attivare processi omeostatici grazie a un elevato numero di relazioni. Per esempio in America, all'indomani della conquista, cioè nella prima metà del XVI secolo, a un patrimonio genetico vegetale e animale assai differenziato, selezionato da molte generazioni di popolazioni autoctone, si sovrappose un nuovo corredo genetico proveniente in prevalenza dall'Europa e più ridotto, fino al limite estremo della piantagione monocolturale. Ma processi di semplificazione ecologica radicale si ebbero anche, a scale diverse, con la sostituzione dei coltivi alle foreste native in molte terre d'Europa (pianure germaniche, pianura padana, Scania ecc.) in coincidenza con la grande espansione demografico-economica dal Mille alla metà del XIV secolo, oppure con il prosciugamento (sempre a favore dei seminativi) di bacini acquitrinosi: frangia costiera olandese dal XIV secolo in avanti, bassa padania dal secondo Ottocento, margini dei tronchi terminali dei fiumi centroeuropei e mediterranei ecc. Altro momento di omogeneizzazione del manto vegetale agricolo, a scala in questo caso planetaria, si ebbe con la rivoluzione verde, che sostituì alle molte specie e varietà di cereali, coltivate secondo tradizioni locali nelle varie zone del globo, pochi ibridi di sole tre specie (mais, grano e riso). Dagli anni ottanta del Novecento si entrò in una nuova fase di costruzione ambientale su cui agisce l'ingegneria genetica. Per quanto riguarda i ritmi della fotosintesi a seguito della diffusione dell'agricoltura, la coltivazione occupò spesso spazi in precedenza coperti da sistemi vegetali con elevata potenzialità di fotosintesi e abbondante produzione di materiale organico, a sua volta base per l'humus e la formazione dei suoli. Le colture artificiali, viceversa, hanno uno sviluppo fogliare, e quindi capacità di fotosintesi, assai minore, ridotta ulteriormente per il fatto che spesso il suolo rimane nudo ed esposto all'azione disgregatrice degli agenti atmosferici per i vincoli dei riposi e delle rotazioni. Una seconda tappa di rottura ambientale accompagnò la rivoluzione industriale dalla fine del XVIII secolo: quella formazione economico-sociale, prima nella storia, diede vita a un modello energetico incentrato sull'uso di fonti fossili, a differenza dei modelli precedenti che sempre ricorrevano a fonti rinnovabili quali vento, legno o forza muscolare animale (bestie da tiro e da soma, schiavi, servi della gleba). L'utilizzazione di combustibili fossili (carbone, petrolio, metano) significò non solo attingere a un bene limitato, ma immettere nell'atmosfera quantità crescenti di anidride carbonica, rimasta nelle ere geologiche precedenti imprigionata in depositi lontani dal contatto con l'atmosfera. Si calcola che la concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera dal 1750 al 1990 sia passata da 280 a 353 parti per milione, con una crescita annua dello 0,5 per cento, che sale al 7 per cento se si limita l'osservazione al periodo dal 1970 al 1990. La presenza crescente nell'atmosfera di questo e di altri gas con proprietà simili, riducendo la riflessione delle radiazioni solari nello spazio, potrebbe aver innescato processi di modificazione del quadro climatico generale, promuovendo probabilmente nuovi scenari ambientali. Infine una terza interfaccia di contatto fra supporto morfologico e presenza umana è quella della produzione di manufatti quali edifici, vie di comunicazione, impianti di vario tipo ecc.: tale intervento, legato alla tipologia degli insediamenti, comportò la copertura di vaste porzioni di territorio. Il consumo di suolo, cioè di quel sottile strato della superficie terrestre nel quale è possibile il radicamento vegetale, assottiglia la disponibilità di una risorsa limitata e indispensabile per il funzionamento di cicli fondamentali quali quello dell'acqua. Il divenire dell'ambiente è oggetto di studio a molte scale: da quella planetaria a quella locale, da quella generale a quella microterritoriale. Molte sono le possibili chiavi di indagine e lettura metodologiche, dall'analisi dei flussi di energia a quella dell'idea di natura prodotta dalle differenti formazioni sociali. Nell'ambito della cultura europea il dibattito sul rapporto fra uomo e natura si polarizzò, a partire dal XVIII-XIX secolo, attorno a due paradigmi prevalenti: quello determinista, che vedeva l'uomo insuperabilmente condizionato dal quadro fisico, e quello possibilista, più sensibile al ruolo della società quale protagonista della modificazione ambientale. T. Isenburg A. Caracciolo, L'ambiente come storia, Il Mulino, Bologna 1988; I confini della terra. Problemi e prospettive di storia ambientale, a c. di D. Worster, Angeli, Milano 1991. |