AFGHANISTAN, INTERVENTO SOVIETICO IN (1979-1991). Operazione militare mirante a mantenere il controllo sovietico su di uno stato ritenuto indispensabile per il mantenimento dell'equilibrio strategico con gli Usa in Asia. Preoccupato dalla reazione popolare alle radicali riforme progettate dal governo Tarakî, il governo sovietico, che nel novembre 1978 aveva concluso con l'Afghanistan un trattato di amicizia e cooperazione, esercitò pressioni a favore di una linea più moderata. Ma la concentrazione del potere nelle mani di Amîn, fautore di una linea dura, determinava un peggioramento nelle relazioni tra i due paesi. Il 7 dicembre 1979 cominciava un crescente afflusso di truppe sovietiche, il 27 Amîn veniva deposto, poi giustiziato e sostituito da Babrak Karmal alla guida di un nuovo governo che annunciava immediatamente una politica di riconciliazione nazionale e rispetto per le tradizioni islamiche. Il governo sovietico sostenne la legittimità dell'intervento in base al trattato del 1978 e all'articolo 51 dello Statuto delle Nazioni unite, affermando che Amîn (accusato di complotto per la spartizione dell'Afghanistan con potenze straniere) era stato deposto da una rivoluzione interna, e che l'aiuto militare dell'Urss era stato richiesto dal nuovo regime. L'intervento veniva tuttavia condannato dall'Assemblea generale dell'Onu, dai paesi islamici e dal movimento dei non allineati, mentre la lotta armata condotta da forti gruppi islamici contro il regime filosovietico di Kabul otteneva aiuti crescenti da parte di Iran e Pakistan. Nel maggio 1980 e nell'agosto 1981 venivano presentate proposte sovietico-afghane di pace (fondate su principi della non ingerenza esterna e della riconciliazione nazionale) e sotto gli auspici dell'Onu si aprivano nel 1982 a Ginevra trattative indirette che si protrassero per sei anni; al loro successo ha contribuito la sostituzione di Karmal con Najîbullâh alla guida del Pdpa. Dopo aver ritirato nel 1986 un contingente simbolico di circa ottomila uomini sugli oltre centomila inviati in Afghanistan, il 14 aprile 1988 l'Urss firmava un trattato che prevedeva, oltre al ritiro completo delle truppe entro il 15 febbraio 1989, garanzie internazionali di non ingerenza e misure per il ritorno in patria degli oltre cinque milioni di profughi. Non era invece prevista una simmetrica interruzione degli aiuti in armi e denaro forniti da Mosca a Kabul e dagli Usa (ma anche dalla Cina e diversi paesi arabi e islamici) alle organizzazioni dei guerriglieri stanziate in Pakistan e, in minore misura, in Iran. Completato il ritiro delle truppe, l'Urss ricominciò nel 1989 a fornire aiuti militari al regime di Kabul che, contrariamente alle previsioni generali, non crollò immediatamente. Malgrado l'assistenza di consiglieri militari pakistani e statunitensi, le organizzazioni guerrigliere registrarono insuccessi sul campo (fallito assedio di Jalâlâbâd, marzo-maggio 1989) e, lacerate da divisioni politiche e religiose accentuatesi durante il 1991, si affrontarono in aperta guerra civile, riesplosa anche dopo la conquista di Kabul e l'esautorazione di Najîbullâh. Dalla guerra civile emerse una setta sunnita integralista, i talebani, che, grazie al sostegno fornito dal Pakistan e dagli Usa, riuscì a occupare militarmente gran parte del paese, fino a conquistare la capitale nel settembre 1996. Nelle zone sotto il controllo dei talebani è stata severamente applicata la legge islamica, mentre le regioni settentrionali restano sotto il controllo di numerose fazioni. I tentativi compiuti dall'Onu per giungere a un accordo di pace sono naufragati e il paese continuava a essere sottoposto agli inizi del nuovo millennio a un embargo internazionale, anche a causa della protezione concessa a gruppi terroristi internazionali e del ruolo svolto nella produzione e nel commercio dell'eroina. G. Bocharov, Russian Roulette: The Afghanistan War through Russian Eyes, Hamish Hamilton, Londra 1991; G.M. Farr-J.G. Merriam (eds.), Afghan Resistance. The Politics of Survival, Westview Press, Londra 1987; R. Klass (ed.), Afghanistan. The Great Game Revisited, Freedom House, New York 1987. |