Adelfia.
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ADELFIA Società segreta sorta in Francia durante il consolato di Napoleone con lo scopo di aggregare all'antico schieramento giacobino la massoneria di idee più avanzate. La setta, ostile alla massoneria ufficiale, ormai subordinata al regime, fu coinvolta in vari tentativi antibonapartisti, diffondendosi anche in Italia. Confluì poi nell'organizzazione dei Sublimi maestri perfetti (1818, Buonarroti, Filippo) (dal latino societas, der. di socius: socio). Insieme di individui (uomini o animali) che costituiscono un'unità distinta e cooperano tra loro per scopi comuni, ivi comprese la sopravvivenza e la riproduzione del gruppo e dei suoi membri. ║ Gruppo umano, più o meno ampio e complesso, organizzato sulla base di un sistema di rapporti naturali, economici, culturali, politici; con tale significato, il termine s. è generalmente accompagnato da un attributo che ne specifica meglio le caratteristiche. ║ S. industriale: quella caratterizzata dalla prevalenza dell'attività economica di tipo industriale. ║ S. di massa: quella in cui l'influenza della massa sul singolo, a livello sia economico sia culturale, è divenuta decisiva. ║ S. consumistica o dell'opulenza: quella in cui il reddito individuale è alto e viene in buona parte speso in beni voluttuari (V. AFFLUENT SOCIETY). ║ Associazione di persone aventi determinati fini comuni; la denominazione adottata fa per lo più riferimento allo scopo perseguito: s. sportiva. ║ Ente di origine contrattuale che due o più persone costituiscono allorché, mettendo in comune i rispettivi beni, decidono di esercitare un'attività economica dividendosi gli utili: la s. delle ferrovie. ║ Unione di due o più persone che partecipano insieme a un affare, dividendosi le spese, gli utili e le eventuali perdite da esso derivanti: mi aveva proposto di mettermi in s. con lui, ma ho rifiutato. ║ Ceto, categoria sociale; viene utilizzato per lo più in relazione ad ambiente elevato, aristocratico, mondano: frequenta la migliore s. del Paese. ║ La vita di relazione delle persone che fanno parte della classe aristocratica: questa sera debutterò in s. ║ La compagnia delle persone: non ama molto la s. ║ Rifiuto della s.: con accezione spregiativa, individuo che vive ai margini della s. poiché ne rifiuta le regole o è emarginato dalla s. stessa. ║ Giochi di s.: giochi che si effettuano tra persone durante intrattenimenti o feste. ║ Fare in s.: condividere la proprietà, il godimento di qualcosa. ║ Onorata s.: la mafia. - Filos. e Sociol. - Nelle definizioni di s. proposte in ambito filosofico e sociologico, compaiono alcune costanti tra cui l'esistenza di rapporti intersoggettivi, il riconoscimento di doveri e regole e il perseguimento di fini comuni. Benché la filosofia si occupi prevalentemente di stabilire come la s. “dovrebbe essere”, prende tuttavia in considerazione anche la descrizione della realtà sociale, compito che è proprio della sociologia, nata come “scienza di osservazione”. La nozione di s. intesa come legame naturale tra tutti gli uomini, indipendente da ulteriori e secondari rapporti di affinità (per esempio, l'appartenenza a un medesimo gruppo politico), venne elaborata nel mondo antico dalla filosofia stoica. Aristotele in precedenza aveva sostenuto che l'uso del linguaggio dimostrerebbe che l'uomo è uno zóon politicón (un animale politico) portato per natura a vivere in s. D'altro canto, nel pensiero greco vi fu anche una linea, seppur minoritaria, di matrice individualistico-anarchica, rappresentata dalle posizioni di certa Sofistica e dal cinismo secondo cui l'uomo, predisposto naturalmente alla vita isolata, si associa per imposizione o per calcolo, mosso dai vantaggi insiti nel vivere insieme. Il Contrattualismo (V.), dottrina che ebbe una lunga storia e svariate versioni (dalla Sofistica a Th. Hobbes, a J. Locke, a J.-J. Rousseau), postulò l'esistenza di uno “stato di natura” a cui sarebbe succeduto uno stato sociale in seguito a un accordo tra diversi individui mossi da varie motivazioni e scopi. Nelle tesi contrattualiste, il singolo manterrebbe comunque un proprio valore e un proprio margine di autonomia rispetto alla s. Diversamente, nelle dottrine organicistiche, di ispirazione sia naturalistica (A. Comte, H. Spencer), sia idealistica (G.W.F. Hegel, hegeliani), venne teorizzata l'unità inscindibile di individuo e s., con il totale assorbimento del primo nella seconda. La teorizzazione della preminenza della s. sull'individuo fa da cardine al pensiero di intellettuali per altri aspetti assai distanti (per esempio, K. Marx e G. Gentile). Un altro tema fondamentale nella riflessione filosofica sulla s. riguarda la relazione tra essa e lo Stato. Hegel affermò che lo Stato rappresenta il fondamento della s. civile, cioè dell'economia e dei rapporti di classe. Marx operò il ribaltamento della teoria hegeliana sostenendo che è l'intreccio dei rapporti e delle tensioni della s. civile a determinare l'emergere della sovrastruttura dello Stato. Le posizioni filosofiche più recenti, superando organicismi e dicotomie, intendono lo studio della s. come l'analisi delle reti di relazioni che la costituiscono e in cui gli individui interagiscono a più riprese (analisi di rete). L'individuazione dei caratteri tipici della s. dell'età moderna e contemporanea, che la differenziano da quelle di età precedenti, si è tradotta, in campo sociologico, in una serie di tipologie dicotomiche (distinzione tra s. semplici e complesse; tra s. sacrali e secolarizzate, tra s. rurali e urbane, tra s. tradizionali e moderne, ecc.) Recentemente molti studiosi hanno ritenuto che sia in atto una transizione verso una nuova forma di s. che non ha più il suo fondamento nell'attività industriale; a proposito si è parlato di s. dell'informazione, s. dei servizi, s. del sapere e si è diffuso l'uso di anteporre il prefisso post ai termini riferiti alla s. (per esempio, postindustriale, nozione introdotta negli Stati Uniti da D. Bell e in Francia da A. Touraine). Tutte queste definizioni sottolineano l'importanza assunta dalle occupazioni nel settore dei servizi a scapito di quelle relative al settore della produzione di beni materiali. Secondo Bell il sapere codificato, cioè l'informazione sistematica e coordinata, è divenuto una tale risorsa strategica per la s. che scienziati, informatici, ingegneri, professionisti che si occupano della creazione e diffusione del sapere tendono a subentrare ai dirigenti e agli imprenditori del vecchio sistema quali gruppi sociali dominanti. - Dir. civ. - Associazione di più persone che stipulano un contratto (contratto di s.) mediante cui conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili (art. 2.247 Cod. Civ.). Tale contratto si distingue dalla comunione, che è costituita al solo fine del godimento di una o più cose, o dall'associazione, che non si prefigge l'esercizio di un'attività economica a scopo di lucro. D'altro canto, nella situazione attuale il superamento della correlazione tra s. e impresa ha portato a considerare che il fine di lucro non costituisca più una caratteristica discriminante della s. A tal proposito, per comprendere l'evoluzione del fenomeno societario, si può pensare alle associazioni sportive costituite sotto forma di s. per azioni. L'ordinamento italiano prevede essenzialmente i seguenti tipi di s.: s. semplice; s. in nome collettivo (s.n.c.); s. in accomandita semplice (s.a.s.); s. per azioni (s.p.a.); s. in accomandita per azioni (s.a.p.a.); s. a responsabilità limitata (s.r.l.); s. cooperativa; s. di mutua assicurazione. Molti sono i criteri di classificazione delle s. A seconda dell'oggetto della loro attività esse si dividono in s. commerciali (tutti gli esempi di s. sopra elencati salvo la cosiddetta s. semplice) e s. semplici: le prime hanno per oggetto l'esercizio di un'attività commerciale, ossia la produzione di beni o servizi, l'intermediazione nella circolazione dei beni, il trasporto, l'attività assicurativa e simili; le seconde si prefiggono l'esercizio di un'attività non commerciale (l'esempio più frequente è costituito dall'attività agricola). Le s. commerciali sono regolate dalla disciplina degli imprenditori commerciali, essendo in particolare soggette al fallimento e alle altre procedure concorsuali; le s. che hanno per oggetto un'attività diversa da quella commerciale sono invece regolate dalle disposizioni sulla s. semplice (è comunque possibile scegliere tipi diversi dalla s. semplice anche per l'esercizio di attività non commerciali) e non sono soggette a fallimento. Per quanto riguarda la struttura sociale, le s. possono essere distinte in: s. a responsabilità illimitata (s. semplice, s.n.c.), nelle quali i soci sono tenuti a rispondere - solidalmente e illimitatamente - alle obbligazioni dell'azienda anche con il proprio patrimonio personale; s. a responsabilità limitata (s.r.l., s.p.a.), nelle quali i soci rispondono esclusivamente con le proprie quote di capitale societario; s. in accomandita (s.a.s., s.a.p.a.), nelle quali coesistono due tipi di soci, quelli accomandanti, che rispondono in modo limitato alle obbligazioni societarie, e quelli accomandatari, che vi rispondono invece in modo illimitato, anche con il patrimonio personale. Si distinguono, infine, le s. di persone (s. semplice, s.n.c., s.a.c.), nelle quali i singoli sono titolari dell'organizzazione e del patrimonio sociale, e le s. di capitali (s.p.a., s.a.p.a., s.r.l., s. di mutua assicurazione, alcuni tipi di cooperativa), nelle quali la volontà dei soci è subordinata all'aspetto patrimoniale e organizzativo dell'azienda. La scelta tra uno dei due tipi di s. dipende, nella pratica, viste anche le legislazioni riferentesi alle singole tipologie societarie, dalla consistenza del capitale a disposizione dei contraenti: qualora esso sia cospicuo, si opta per una s. di capitali, nel caso contrario per una s. di persone. Per quanto riguarda il tipo di contratto societario, le forme previste dalla legge variano a seconda del tipo di s. prescelto. In particolare, per le s. semplici non è richiesta alcuna forma particolare di costituzione se non in casi speciali (V. OLTRE); per le s.n.c. e le s.a.s. è richiesto l'atto scritto (atto costitutivo), nonché la registrazione nel registro delle imprese (fino a quando le s. suddette non siano registrate, i rapporti fra le stesse e i terzi sono regolati dalle disposizioni relative alla s. semplice); per tutti gli altri tipi di s. sono richiesti l'atto pubblico e l'iscrizione nel registro delle imprese. Per quanto riguarda le s. cooperative (V. COOPERATIVA), le mutue (V. MUTUA) e le associazioni in partecipazione (V. ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE), norme particolari ne regolano sia la costituzione, sia l'attività. Speciali norme regolano, inoltre, la trasformazione del tipo di s. (artt. 2.498 e seguenti del Cod. Civ.), la fusione di più s. (artt. 2.504 e seguenti del Cod. Civ. modificati dal D.L. 16-01-1991, n. 22 che attuava una direttiva CEE), e la scissione di un'unica s. (regolata dagli stessi articoli relativi alla fusione). ║ S. semplice: regolata dagli artt. 2.251 e seguenti del Cod. Civ., ha per oggetto l'esercizio di un'attività non commerciale (ad esempio agricola). In essa il contratto societario non è soggetto a forme speciali (per esempio, può essere stipulato anche verbalmente), salvo quelle richieste dalla natura dei beni conferiti (per esempio, se vengono conferiti beni immobili è necessario l'atto scritto), e può essere modificato soltanto con il consenso di tutti i soci, se non è convenuto diversamente. I soci rispondono, salvo diversamente pattuito, in modo illimitato e solidale delle obbligazioni societarie e partecipano agli utili in modo proporzionale alle quote conferite. Il socio che presti anche la propria opera all'interno della s. ha diritto a una quota ulteriore dei guadagni stabilita preventivamente dal contratto costitutivo. L'amministrazione della s. semplice può essere disgiunta (o disgiuntiva) o congiunta (o congiuntiva): nel primo caso ciascun socio amministratore ha il diritto di opporsi all'operazione di un altro socio prima che questa sia compiuta; nel secondo caso è necessario il consenso di tutti gli amministratori per il compimento delle operazioni sociali. I diritti e gli obblighi degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato. Di norma, la s. acquista diritti e assume obblighi per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi. La s. semplice si scioglie, trascorso il cosiddetto periodo di liquidazione, per decorso del termine, per conseguimento dello scopo sociale - o per sopravvenuta impossibilità di conseguimento dello stesso per volontà di tutti i soci -, per il venir meno della necessaria pluralità di soci, per altre cause stabilite nell'atto costitutivo. ║ S. a responsabilità limitata: V. RESPONSABILITÀ. ║ S. per azioni: V. AZIONE. ║ S. cooperativa: V. COOPERATIVA. ║ S. in accomandita semplice, S. in accomandita per azioni: V. ACCOMANDITA. ║ S. in nome collettivo: s. commerciale in cui tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali. È regolata dagli artt. 2.291 e seguenti del Cod. Civ. La s. deve agire sotto una ragione sociale (denominazione commerciale) costituita dal nome di uno o più soci unito all'indicazione del rapporto sociale. Deve essere costituita per atto pubblico o scrittura privata autenticata e iscritta nel registro delle imprese; fino al momento della registrazione, la s. in nome collettivo è regolata secondo le disposizioni dettate per la s. semplice. L'amministratore che ha la rappresentanza della s. può compiere tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale, salvo le limitazioni che risultano dall'atto costitutivo o dalla procura; le limitazioni non sono opponibili ai terzi, se non sono iscritte nel registro delle imprese o se non si prova che i terzi ne hanno avuto conoscenza. Il socio non può, senza il consenso degli altri soci, esercitare per conto proprio o altrui un'attività concorrente con quella della s., né può partecipare come socio illimitatamente responsabile ad altra s. concorrente. Il consenso si presume se l'esercizio dell'attività o la partecipazione ad altra s. preesisteva al contratto sociale e nel caso in cui gli altri soci ne fossero a conoscenza. Anche se la s. è in liquidazione, i creditori sociali non possono pretendere il pagamento dai singoli soci se non dopo l'esecuzione del patrimonio sociale. - Etn. - Qualunque ordinamento sociale è caratterizzato da una serie di fattori: insediamento su un determinato territorio, relazioni tra gli individui del medesimo gruppo, sistemi di discendenza e parentela, rapporti con altri gruppi. Il gruppo domestico o famiglia rappresenta il tipo più semplice di s.; l'unione di più gruppi domestici o famiglie dà origine al villaggio. Nell'ambito di ogni s. vi sono taluni elementi che incidono sulla vita dei suoi membri: il sesso, per esempio, può determinare la divisione del lavoro, l'esclusione dalla vita politica e religiosa, la riunione in particolari associazioni; in relazione all'età vengono stabiliti certi doveri (di lavoro, di servizio militare) o privilegi (comando politico, funzioni sacerdotali); varie divisioni interne al gruppo, quali le classi sociali e le caste, sono collegate a determinate attività economiche. In ogni s. i fondamentali processi di socializzazione sono influenzati dai sistemi di parentela, che conducono alla formazione di gruppi coesi e consapevoli di una comune origine genealogica. L'unione di più lignaggi costituisce la stirpe o clan, mentre dall'unione di più clan deriva la tribù, una forma superiore di organizzazione socio-politica, caratterizzata dalla condivisione da parte dei suoi membri dei medesimi tratti linguistici e culturali e dall'occupazione di un dato territorio. ║ S. segrete: associazioni a carattere esoterico o religioso presenti in vari popoli. Tra le principali aree di diffusione del fenomeno si ricordano: l'Africa occidentale, la Melanesia, alcune zone dell'America Settentrionale, della Cina e del Giappone. Carattere peculiare di tali s. è l'esoterismo iniziatico che comporta, per chiunque vi si sottoponga, un rito di morte e rinascita, nonché l'osservanza scrupolosa del segreto iniziatico. Il diritto di entrare a far parte di una s. segreta può essere ereditario o riservato a determinate classi sociali oppure acquisito da chiunque dietro pagamento. Tradizionalmente, le s. segrete si attribuiscono privilegi quali le facoltà divinatrici e guaritrici, la capacità di influenzare gli agenti atmosferici o di praticare la magia, ecc. Dal punto di vista religioso, non si discostano dal resto della tribù: se è vero, tuttavia, che gli dei venerati sono i medesimi, la tendenza esoterica caratteristica di tali s. le induce ad atteggiamenti particolari, tra cui dare nomi segreti agli dei o non ammettere ai loro riti i funzionari o i sacerdoti della tribù. Le s. segrete hanno come obiettivi la conservazione delle tradizioni e, conseguentemente, l'opposizione contro le modalità di vita della gente comune, non rispettosa degli antichi valori. Ne conseguono la necessità di una maggiore organizzazione e lo sviluppo di gradi gerarchici; non di rado, inoltre, le s. segrete assumono vere e proprie funzioni politiche deputate a controllare la vita pubblica del popolo. Per contro, in presenza di una reazione da parte del regime organizzato, esse sono costrette a scomparire. - St. - S. segrete: organizzazioni clandestine presenti in Europa soprattutto a partire dal XIX sec., la cui segretezza, parziale o totale, riguardava la dottrina professata, il numero o il nome degli aderenti, il cerimoniale, ecc. La quasi totalità di queste s. segrete presero a modello la Massoneria (V.) settecentesca, dalla quale derivarono altresì le cerimonie iniziatiche, i riti, i contrassegni segreti, le parole d'ordine. In particolare, le s. segrete che sorsero dopo il 1815 risultarono di fondamentale importanza per il contributo che diedero non solo all'organizzazione e alla realizzazione dei moti insurrezionali, ma anche alla circolazione e allo scambio di idee politiche in Europa (non è casuale che gran parte della classe dirigente si formò all'interno di esse). Tali s. furono animate da uno spirito liberale e nazionalistico, facendosi espressione e strumento di liberazione dal dominio straniero o da regimi illiberali e repressivi. Così in Francia nacquero s. segrete in opposizione a Napoleone, che presero piede soprattutto nell'esercito e, dopo la Restaurazione, in opposizione ai Borboni (Carboneria); in Grecia le Eterie (V. ETERIA) ebbero un ruolo fondamentale per la conquista dell'indipendenza del Paese; in Russia i decabristi (V.) congiurarono in funzione antizarista per instaurare un regime costituzionale. In Italia, a parte la s. dei Raggi nata nel 1798 con propositi unitari e indipendentisti, le s. segrete sorsero negli anni della Restaurazione e fecero proprie le aspirazioni a un regime liberale e costituzionale, come nel caso della Carboneria (V.) che ispirò i moti rivoluzionari di Napoli (1820) o dei federati (V.) che, diffusi soprattutto in Piemonte e Lombardia, prepararono il terreno per le insurrezioni del marzo 1821. Ispirata a un programma repubblicano e più radicalmente unitario, fu la Giovine Italia (V.) di Mazzini che, con la costituzione della Giovine Europa (V.) si prefiggeva di creare un collegamento soprannazionale tra le democrazie di diversi Paesi europei. Vanno ricordate inoltre le s. segrete che nacquero in funzione antirivoluzionaria, legate a Governi reazionari, come quella dei calderari (V.) a Napoli. L'incidenza delle s. segrete andò scemando in seguito alla formazione di regimi costituzionali. ║ Accanto alle s. segrete a carattere più strettamente politico, vi sono associazioni nate in epoche e contesti socio-politici differenti che si prefiggono svariate finalità le quali possono includere componenti esoteriche (rosacroce), mistico-religiose (thugs, assassini), cavalleresco-militari con carattere xenofobo, razzista, nazionalista (Mau-Mau, Ku Klux Klan, boxers, Cagoule, Manonera, feniani), criminose (mafia, Manonera italo-americana, camorra, ‘ndrangheta). - Zool. - V. ASSOCIAZIONI ANIMALI. - Contab. -Regola di s.: regola che serve a ripartire un guadagno (o una perdita) tra più persone che abbiano dato vita a una s. -^Segreto. Nascosto, tenuto in disparte, celato, appartato. ║ Ignorato, sconosciuto. ║ Fatto di nascosto. ║ Società s.: V. SOCIETÀ. ║ Servizi s.: organismi il cui compito è quello di difendere lo Stato o le istituzioni da nemici esterni. Essi agiscono al di fuori del controllo pubblico, spesso utilizzando mezzi non conformi alla legge. ║ Riservato a pochi: una notizia s. ║ Non manifesto, non evidente. ║ Riferito a persona, che non si fa conoscere per quello che realmente è: un agente s. ║ Per estens. - Conosciuto ma non accessibile, o accessibile a pochi: archivio s. ║ Il termine ricorre spesso riferito non alla cosa o al fatto che si vogliono tenere nascosti, ma alle modalità con le quali essi sono realizzati o avvengono: votazioni s. ║ Riposto, intimo, privato, personale: le mie aspirazioni s. ║ Consiglio s.: negli Stati assolutistici, collegio formato dai più alti funzionari dell'amministrazione centrale consultato periodicamente dal sovrano. Nell'antica Roma, ufficio del console; durata della carica. ║ In epoca medioevale, magistratura collegiale di governo dei Comuni, eletta direttamente dall'assemblea dei cittadini e più tardi dai Consigli maggiori. Il c. rivestiva potere sia esecutivo che giudiziario. Nel caso di colonie delle città marinare, venivano eletti i cosiddetti consoli delle Nazioni (eletti sul luogo o nominati dalla madrepatria), dai quali trasse origine l'istituzione moderna del c. ║ Regime politico istituitosi durante la Rivoluzione francese dopo il colpo di Stato del 18 brumaio (1799). Il potere esecutivo era esercitato da tre consoli, fra i quali Napoleone assunse la carica di primo console. L'operato dei tre consoli era coadiuvato da un Senato, un tribunale e un corpo legislativo. La nomina di Bonaparte a console a vita nel 1802 e a imperatore nel 1804 determinò la fine dell'istituzione. ║ In epoca moderna, ufficio e dignità del console, cioè del rappresentante di una Nazione straniera; la sua residenza. ● Encicl. - Il c., così come è venuto configurandosi nell'età moderna, è una delle più importanti istituzioni internazionali sorte dalle consuetudini della navigazione. Il nome stesso sembra risalire a una raccolta di usanze marinare, il Libre de Consolat de Mar (Libro del consolato del mare) compilata probabilmente nel XIV sec. a Barcellona. Le origini dell'istituzione restano però incerte, pur collegandosi sicuramente all'organizzazione corporativa del Medioevo. In età tardo-medioevale e rinascimentale, i consoli erano rappresentanti qualificati di mercanti stranieri che frequentavano un determinato porto. In tale veste avevano fra l'altro il compito di amministrare la giustizia conformemente al diritto comune commerciale o marittimo o a quello vigente nella madrepatria. Essi si trovano già in tutti i grandi porti italiani nei secc. XIV e XV. Più tardi fecero la loro comparsa anche in Spagna e Francia e nel Cinquecento in ogni porto o centro del commercio internazionale si trovavano rappresentanze consolari. Dapprima furono chiamati consoli del mare, poi consoli commerciali, assumendo infine il nome dei Paesi che rappresentavano, primi fra tutti i consoli di Francia che figuravano come funzionari del re, in possesso di lettere credenziali firmate dal sovrano. Vi furono comunque molte difficoltà da superare prima che si giungesse allo scambio di consoli tra due Stati, soprattutto per le interferenze delle autorità locali, gelose della loro autonomia. (o frammassonerìa; dal francese franc-maçonnerie, der. di franc-maçon: libero muratore). Associazione segreta dei "liberi muratori", fondata a Londra agli inizi del XVIII sec., con fini di speculazione esoterica e spiritualistica. ║ Fig. - Consorteria o gruppo di persone che agiscono sui pubblici poteri solo in favore degli interessi privati dei singoli componenti del gruppo, che si proteggono reciprocamente. • St. - Accanto alla documentazione tradizionale di cui si avvale la ricerca storica, esiste un patrimonio di conoscenze sotterranee, che risalgono alla matrice esoterica della m. stessa. Sembra ormai appurato che le origini della m. debbano ricercarsi nelle corporazioni medioevali dei maestri comacini, dei costruttori di cattedrali e degli artigiani (muratori, scalpellini, tagliatori di pietre, carpentieri, maestri architetti), che ebbero una particolare diffusione in Francia. I muratori "franchi" o "liberi", cioè autorizzati al libero esercizio del mestiere, o francs-maçons, si riunivano in corporazioni professionali che, al di là del carattere propriamente tecnico ed economico (ars aedificatoria), si occupavano anche di problemi morali, religiosi, filosofici ed erano al servizio della militia templi. L'obbligo del segreto, inizialmente circoscritto alle tecniche di costruzione, si allargò sino a coprire l'intero campo di attività delle associazioni, che andarono elaborando un ricco patrimonio sapienziale caratterizzato da una particolare simbologia. Esemplari, in questo senso, sono i complessi architettonici di Chartres, di Reims, di Bourges, le cui proporzioni e decorazioni corrispondono a valori simbolici segreti, evocanti concetti filosofici e misterici. Tale simbolismo derivava dalle speculazioni di intellettuali e filosofi dei secc. XIII-XVII, come Raimondo Lullo, Giordano Bruno, Robert Fludd, per i quali gli invisibili legami tra il mondo sensibile e quello metafisico-divino erano rivelati da rapporti magico-alchemici. Intellettuali e filosofi, nonché personalità influenti della società e della vita politica, erano accolti come membri onorari, grazie a particolari cerimoniali di ammissione, accanto ai membri attivi, cioè a coloro che esercitavano il mestiere; già alla fine del XVI sec. i membri onorari predominavano e nel periodo successivo le associazioni persero ogni carattere professionale per acquisirne sempre più uno iniziatico-settario e si dedicarono ad attività civili e sociali. Nel 1598 in Scozia furono istituiti gli Statuti della corporazione dei muratori (masonry, da masons), ma la storia della m. vera e propria inizia il 1717, anno in cui quattro Logge (la loggia è la cellula di base di ogni sistema massonico) di Londra si fusero, dando vita a una Grande Loggia, che fu inaugurata il giorno di San Giovanni Battista, acclamato pertanto suo protettore. La Grande Loggia londinese pubblicò nel 1723 i suoi statuti o costituzioni (The Charges of a Freemason), ad opera di James Anderson e Jean Théophile Désaguliers, che vennero poi modificati nel 1738 (The Old Charges of the Free and Accepted Masonry), e segnarono il distacco definitivo dalle antiche forme associative: non più corporazione di mestiere, né teosofica, la m. acquistò una chiara connotazione politica (i membri pricipali erano nobili della corte inglese). Il suo codice prescriveva solidarietà, segretezza e sottomissione al potere civile, senza richiedere una esplicita fedeltà alla Chiesa cattolica, ma raccomandando solo una forma di deismo e di biblismo. Era bandita ogni intolleranza religiosa in nome di concezioni filantropiche, ispirate al razionalismo e al riformismo settecentesco e ai principi di una fratellanza morale universale. Si operava nel segreto per sfuggire all'opposizione del potere ecclesiastico, adottando un ricco cerimoniale di riti, prove iniziatiche, contrassegni segreti, parole d'ordine, che si è conservato sino ad oggi. Tra i vari simboli tratti dall'arte muratoria figuravano il martello, insegna del Maestro venerabile, il filo a piombo, la squadra, il compasso. Il "libero muratore" doveva partecipare alla costruzione della loggia (tempio di Salomone) e contribuire alla realizzazione di una società unita e libera dove gli uomini potessero vivere felici, indipendentemente dalle diversità in materia religiosa. Gli ordinamenti ispirati agli statuti della Grande Loggia londinese erano semplici e contemplavano tre gradi simbolici: apprendista, compagno e maestro. La trasformazione del profano in iniziato veniva descritta come la trasformazione della "pietra grezza" in "pietra cubica". Gli aderenti si impegnavano a coltivare l'amore fraterno, considerato "il fondamento e la pietra maestra". Numerose logge inglesi aderirono alla Grande Loggia londinese, e altre furono fondate come la Grande Loggia irlandese, costituitasi a Dublino (1730), e quella scozzese a Edimburgo (1736); quest'ultima si differenziò da quella inglese, adottando un proprio rituale e riconoscendo come patrono Sant'Andrea. Frattanto le logge massoniche si erano andate diffondendo anche nel continente europeo, a Firenze (1731) e Roma (1735), in Svezia e Portogallo (1735), ad Amburgo (1737), dove la m. ottenne il favore degli Hohenzollern ed ebbe come seguaci anche Lessing, Goethe e Fichte. In Francia, tra il 1725 e il 1730, alcuni giacobiti inglesi, ossia seguaci del deposto re Giacomo III, avevano divulgato gli ideali massonici. La prima Grande Loggia francese, Grand Orient, fu costituita a Parigi nel 1721; tra coloro che vi aderirono si annoverano anche Voltaire e Rousseau. Contemporaneamente la m. si era diffusa anche in America a seguito della colonizzazione inglese, ed ebbe un grande sviluppo dopo la fondazione della prima Loggia a Boston nel 1733. Tuttavia, accanto alla Grande Loggia londinese, si costituì un altro ramo massonico, detto di York (o della Vecchia M.), che non voleva riconoscere l'autorità della nuova loggia londinese, provocando una scissione tra gli Ancient Masons, caratterizzati da una maggiore religiosità e da un rituale di stampo confessionale, e i Modern Masons. Questa divergenza si risolse successivamente nel 1815 con la formazione del nuovo organismo della Gran loggia unita di Inghilterra-Gran loggia madre del mondo. Assai più complessi di quelli inglesi furono gli ordinamenti che le logge massoniche svilupparono nel continente, soprattutto in Francia, dove, durante la guerra di secessione austriaca, si formarono logge militari, che trasformarono "l'ordine di società" in un "ordine di cavalleria". Determinante fu lo scisma avvenuto nel 1742, ispirato dai maestri scozzesi che arricchirono il rito francese creando la m. dei gradi o scozzese o rossa (blu infatti era la m. inglese, basata su tre gradi simbolici). Tale rito aggiungeva ai tre gradi originari, 30 nuovi gradi suddivisi in capitolari o rossi (dal 4° al 18°), filosofici o neri (dal 19° al 30°) e amministrativi o bianchi o sublimi (dal 31° al 33°). Si ebbe ovunque una moltiplicazione di ordini e di gradi, basati su un sistema di tipo cabalistico. Così avvenne anche in Germania, dove maturò il sistema detto di Wilhelmsbad e dove prevalse un orientamento spiritualista e aristocratico, rivendicante la discendenza dall'Ordine Templare. In Italia la m. si andò evolvendo in senso anticlericale, accentuando le proprie componenti politiche liberaleggianti. La m. diede un notevole contributo alle rivoluzioni liberali e nazionali, a partire da quella spagnola del 1820, sostenendo le istituzioni economiche e politiche della borghesia. Le stesse società segrete liberali e nazionali dell'Ottocento si modellarono sulle logge massoniche, dalle quali derivarono gran parte del rituale e dei contrassegni segreti. Anche rivoluzionari quali Buonarroti, allievo di Babeuf, si servirono della m. come di una facciata per le proprie attività cospirative. Fu condannata come eretica in vari documenti pontifici, a partire dalla bolla In eminenti Apostolatus specula di Clemente XII, emanata nel 1738, fino all'enciclica di papa Leone XIII del 1884; solo con il Codice di Diritto Canonico del 1983 la m. non è più oggetto di condanna e di scomunica. Fu perseguitata dai regimi dittatoriali del XX sec., dai Governi fascisti e nazisti. ║ La m. in Italia: notevole fu il contributo dato al processo di unificazione nazionale dalla m. italiana, che si era costituita nel Grande Oriente nel 1805. Presto però insorsero rivalità tra le varie logge massoniche e profonde divergenze che ne resero precaria l'unità, soprattutto dopo il 1860. Tre erano i principali raggruppamenti: il Grande Oriente di Torino, di ispirazione governativa, il Grande Oriente di Palermo, repubblicano e separatista, e il Grande Oriente di Napoli, anch'esso di ispirazione repubblicana. Nel 1887, il Gran Maestro Lemmi riuscì a ristabilire l'unità massonica creando il Grande Oriente d'Italia, detto anche "di palazzo Giustiniani", dal nome della sua sede romana. Grandissima era allora l'influenza della m. tra la classe politica italiana, costituita per la quasi totalità da anticlericali. Massoni dichiarati erano Depretis, Crispi, Spaventa, Di Rudini, Cavallotti e lo stesso re. Nel 1908 la m. italiana si divise nuovamente in due branche, facenti capo una alla Loggia di Palazzo Giustiniani in Roma e l'altra alla Grande loggia nazionale italiana, che si riconosceva nel Supremo Consiglio di rito scozzese. Sin dal 1923, consapevole dell'importanza di guadagnarsi l'appoggio dei clericali, Mussolini, in contrasto con Farinacci, affermò che entrambe le sette della m. italiana erano incompatibili col Fascismo e prima delle elezioni del 1924 decretò la soppressione della m. Dopo il decreto ufficiale di scioglimento (1925) e l'entrata in vigore delle leggi eccezionali nel 1926, non pochi furono i massoni che subirono il carcere e il confino. Ancora vitale dopo la caduta del Fascismo, la m. ricostituì le sue sedi e, attraverso l'azione dei propri membri più influenti, riprese a tessere le file in importanti settori della vita politica e finanziaria. Nel 1981 la loggia P2 (Propaganda 2), di cui Licio Gelli era il Gran Maestro, fu sciolta dal Governo, al termine di un'inchiesta parlamentare che aveva dimostrato il coinvolgimento di alcuni membri della loggia segreta in operazioni politico-finanziarie illegali. (Pisa 1761 - Parigi 1837). Politico francese. Sostenitore delle istanze rivoluzionarie, dopo aver partecipato alla repressione della rivolta corsa assunse la cittadinanza francese e si schierò coi giacobini. Arrestato dopo la caduta di Robespierre, conobbe in carcere F. Babeuf con il quale ideò la congiura degli Eguali (1796). Esule a Ginevra, organizzò l'attività di società segrete di carattere egualitario e repubblicano. Tornato a Parigi dopo la rivoluzione di luglio nel 1830 vi morì nel 1837. (maggio 1796). Cospirazione organizzata in Francia contro il Direttorio e la reazione termidoriana dalla Società degli eguali, fondata da F.N. Babeuf, Darthé e Buonarroti. Si proponeva il ritorno alla politica giacobina con aperture in senso socialistico ed egualitario. Denunciati e arrestati, i principali capi furono condannati a varie pene (Babeuf e Darthé a morte). (detto Gracchus, Saint Quentin 1760 - Vendôme 1797). Politico francese. Di umili origini, ammiratore delle teorie di Rousseau e di Mably, nel 1787 formulava nel Cadastre perpétuel (Catasto perpetuo) un progetto di radicale riforma agraria. Durante la rivoluzione francese organizzò moti contadini contro il fisco (1790-1791) e contrastò Robespierre, che lo fece arrestare. Liberato dopo termidoro, fondò e diresse "Le Tribun du Peuple" schierandosi contro la politica conservatrice del nuovo gruppo dirigente. Di nuovo arrestato (7 febbraio 1795), conobbe in carcere F. Buonarroti e altri democratici ed ex robespierristi con i quali, una volta liberato, organizzò una congiura, detta degli Eguali, diretta a instaurare una dittatura rivoluzionaria come passaggio inevitabile per la costruzione di una nuova società, fondata sul comunismo dei beni. Scoperta la cospirazione per la delazione di uno dei congiurati, fu processato, condannato a morte e ghigliottinato il 26 maggio 1797. Il modello organizzativo e il programma politico propugnati da Babeuf sono diventati un punto di riferimento per il movimento socialista francese nell'Ottocento e per i bolscevichi durante e dopo la rivoluzione d'ottobre. (Ginevra 1712 - Ermenonville 1778). Pensatore e letterato svizzero. Di austera educazione calvinista, si convertì giovanissimo al cattolicesimo e si trasferì a Parigi nel 1742, entrando in contatto col vivacissimo ambiente illuministico dell'Enciclopedia. Pochi anni dopo le sue idee fondamentali, che ebbero poi un'influenza decisiva nella storia della democrazia, erano già tutte formate e trovavano espressione nel Discours sur les sciences et les arts (1750) e nel Discours sur l'inégalité parmi les hommes (1755). La civiltà vi era considerata frutto della corruzione di un ideale "stato di natura" libero, ingenuo e felice, distrutto dalla divisione del lavoro e del raffinamento dei gusti e delle esigenze, che avevano provocato le disuguaglianze sociali e la mancanza di libertà (alienazione). Critico feroce delle istituzioni vigenti, finì col rompere con Voltaire e D'Alembert, impegnati in uno sforzo riformistico. Nel 1762 pubblicò la sua opera politica decisiva, Le contrat social. Erede della lunga tradizione contrattualistica in cui si era inserito perfino l'assolutismo di Hobbes, Rousseau vi definiva la libertà come rispetto di una legge autoimposta all'interno di una repubblica eretta tramite un contratto sociale tra gli individui. Esso dota la collettività di una volontà generale di volta in volta determinata dall'espressione, diretta o delegata, delle volontà singole dei cittadini grazie all'uso collettivo (sovranità) dei diritti civili e politici e temperata dalla legislazione e da una religione civile capace di fortificare le virtù patriottiche. Nelle opere successive (Julie ou la nouvelle Héloïse, 1761, e Emile, ou de l'éducation, 1762) il grande ginevrino passò a esaminare con lo stesso spirito la vita familiare e i problemi dell'istruzione, affrontati con uno struggente sentimentalismo e con un'inesausta fiducia nelle doti naturali di bontà e generosità degli uomini, tali da porsi come base decisiva della nascita della sensibilità romantica. I riferimenti continui a una "religione naturale" contrapposta a quella "positiva" gli attirarono i fulmini della Chiesa cattolica e in particolare dei gesuiti, ma anche il dissenso degli illuministi, ormai avviati al distacco da qualsiasi fede trascendente, mentre nella sua Ginevra il Contrat social veniva colpito da censura e lui stesso era bandito dalla Francia. Amareggiato e afflitto da una crescente mania di persecuzione, Rousseau si rifugiò dapprima a Londra (1776-1777), poi rientrò in Francia, dove visse in incognito dedicandosi a interessi musicali e teatrali e scrivendo alcune opere autobiografiche, tra le quali le splendide Confessions. (9 termidoro, 27 luglio 1794). Rovesciamento del governo giacobino durante la rivoluzione francese. Il Comitato di salute pubblica fu privato dei suoi poteri e Robespierre e i suoi seguaci, accusati di ambizione e dispotismo di fronte alla Convenzione, furono arrestati e decapitati il giorno successivo. Al successo della congiura antigiacobina avevano contribuito le vittorie riportate sui nemici interni ed esterni della rivoluzione che avevano reso inutile il regime del Terrore. Inoltre si erano allentati i legami tra il governo rivoluzionario e i sanculotti, scontenti per il calmiere sui salari e per le esecuzioni dei seguaci di Hébert. Infine, il gruppo dirigente aveva perduto l'appoggio della Convenzione dopo l'alleanza tra i moderati della Palude e i cosiddetti "terroristi", rappresentanti in missione nelle province, richiamati da Robespierre a Parigi a causa dei loro misfatti. Opera sistematica in cui sono raccolte, secondo una concezione di circolarità del sapere (enkklios paideía), in ordine alfabetico o per materie, le nozioni di tutte le discipline o di una particolare disciplina. Tale esigenza, espressa già da Aristotele e poi nell'età tardoantica e medievale, riaffiorò nel XVII secolo con F. Bacon, che suggerì un criterio dinamico di organizzazione delle scienze posto poi alla base delle iniziative enciclopediche tra Seicento e Settecento. Il Dictionnaire historique et critique (1697) di P. Bayle sistemò i più importanti risultati dell'indagine critica razionalistica, mentre la Cyclopaedia (1728) dell'inglese E. Chambers sollecitò l'attenzione per le scienze applicate e la tecnologia. Ma fu l'Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers (1751-1772) di D. Diderot e J. d'Alembert, ideata inizialmente come traduzione dell'opera di Chambers, a fornire il modello per antonomasia dell'enciclopedia. Soppressa nel 1752 dall'autorità politica francese per il suo contenuto innovatore, soppressa di nuovo nel 1759 e continuata dal solo Diderot, dopo l'abbandono di d'Alembert nel 1757, annoverò nei primi volumi un gruppo di collaboratori (enciclopedisti) che esprimevano le punte più avanzate della cultura illuministica, e poté sopravvivere grazie al sostegno di circa cinquemila sottoscrittori e al silenzioso lavoro di Diderot e di pochi più modesti compilatori. Completata tra il 1766-1772, ristampata a Lucca e a Livorno, rielaborata in forme diverse a Ginevra, Losanna e Yverdon, diede un'impronta essenziale al sapere del secolo e al clima intellettuale europeo prima della rivoluzione francese. Fu seguita dalla Encyclopédie méthodique (per materie) dell'editore parigino Pancoucke e, con altri intenti, dalle numerose enciclopedie nazionali pubblicate tra Ottocento e Novecento. Regime politico in cui i governi sono espressione dei governati, o meglio della maggioranza di essi. DEMOCRAZIA DIRETTA E OLIGARCHIE. In epoca storica la democrazia sorse presso alcune polis greche, segnatamente le colonie ioniche dell'Asia minore (VII-VI secolo a.C.) e soprattutto Atene dal V secolo. In queste comunità ristrette le responsabilità politiche venivano delegate a singoli o a magistrature collegiali dall'assemblea di tutti i cittadini (maschi e liberi) o per sorteggio e per periodi in genere non superiori all'anno. La formulazione teorica venne da Aristotele (IV secolo a.C.), che contrappose la democrazia alla "monarchia" (governo di uno solo) e all'"aristocrazia" (governo di uno strato sociale superiore). Anche a Roma, caduti nell'VIII secolo a.C. i re, il populus aveva base ristretta: le massime magistrature erano elette dagli uomini in grado di portare le armi. Le magistrature, tutte collegiali, non esercitavano però poteri totali. La direzione politica fu per secoli (VIII-I a.C.) saldamente in mano al Senato, rigorosamente riservato ereditariamente (quindi non elettivo) a un ristretto gruppo di famiglie "nobili" (poi gradualmente ampliato). Magistrati e Senato avevano dal 494 a.C. un limite nell'invalicabile potere di veto del tribuno della plebe, elettivo. Gli stranieri assoggettati ottennero il diritto di partecipare alla democrazia romana attraverso la cittadinanza man mano che si ampliavano i domini di Roma (finché nel 212 d.C., quando aveva ormai perduto ogni influenza sul potere reale, essa fu estesa a tutti i sudditi liberi dell'impero), ma donne e schiavi continuarono a esserne esclusi. Il declino e il crollo delle democrazie antiche non consistette nella distruzione delle loro istituzioni (piuttosto snaturate e svuotate che abolite). Esse erano fatte per pochi (oligarchia), che ne persero il controllo, mentre se ne avvantaggiarono molti altri che erano stati ammessi a parteciparvi, ma che non trovarono in quegli istituti strumenti adeguati di rappresentanza. Da qui il sorgere di poteri personali di mediazione (vedi cesarismo). L'elezione del re, sia pure a vita, da parte dei guerrieri presso le popolazioni germaniche che penetrarono nei territori dell'impero romano (III-VIII secolo) conferma l'origine oligarchica della democrazia prevista per comunità limitate. Il meccanismo feudale, dai Carolingi (IX secolo) in poi, adattò l'esigenza di controlli incrociati e di limiti ai privilegi personali a una società etnicamente, religiosamente e socialmente mutata nel profondo in seguito all'avvento del cristianesimo, al declino dello schiavismo e alla fissazione della forza lavoro alla condizione sociale di nascita. Il messaggio evangelico fomentò tuttavia per tutto il Medioevo una ricorrente predicazione egualitarista che sfociò spesso nella creazione di comunità, ancora una volta ristrette, rette a democrazia diretta, non di rado estese anche alle donne, ma sempre perseguitate spietatamente come eretiche dal potere politico-religioso, che se ne sentiva minacciato. Anche nei comuni, nelle repubbliche cittadine, nelle città libere dell'impero, dopo il Mille il potere venne parzialmente delegato da un'oligarchia, spesso con strumenti elettivi sofisticati misti al sorteggio (come nel caso di Venezia), ad apposite magistrature (talvolta assegnate, per maggior cautela, a forestieri, come nel caso dei podestà), che non furono mai espressione di tutti gli strati della società. Qui però il "popolo", pur escludendo sempre le donne, assunse contorni e consistenza più precisi man mano che all'aristocrazia feudale ed ecclesiastica si contrappose la borghesia, particolarmente gelosa delle proprie immunità corporative e appellantesi a un potere superiore contro la prepotenza aristocratica. Proprio allora la sovranità popolare venne teorizzata da giuristi regalisti, per i quali cioè il "popolo", astratto insieme di soggetti sociali non precisati, delegava una volta per tutte il proprio potere al sovrano, re o imperatore che fosse. D'altronde, in ambito germanico, la monarchia rimase fino alla caduta del Sacro romano impero (1806) formalmente elettiva, ma ovviamente il corpo elettorale era ridotto a un ristrettissimo novero di grandi signori e prevaleva la consuetudine di ratificare elettivamente, salvo eccezioni, una successione ereditaria. Perfino l'elezione del pontefice non si sottrasse mai, eccettuata l'ereditarietà, a questa regola. La disputa interna ai regalisti (e, per la Chiesa, tra conciliaristi e non conciliaristi) consisteva semmai sulla revocabilità o meno del potere da parte del corpo elettorale. La democrazia funzionava cioè a quegli alti livelli come funzionava all'interno di ciascun corpo in cui era suddivisa la società di ordini, ciascuno dei quali sovrano nel proprio ambito e al di sopra dei quali faticò a imporsi lo stato come cosa di tutti. Questo pensava invece N. Machiavelli (1469-1527) quando contrapponeva al principato (regime monocratico) la repubblica (regime, anche monarchico, ma articolato e con pluralismo di poteri). La Riforma protestante riprese il concetto di democrazia estendibile a tutti i fedeli come comunità di credenti, ma ben presto prevalsero o il modello gerarchico cattolico o quello settario-teocratico delle singole confessioni. Anche la rivoluzione inglese della metà del XVIII secolo, per tanta parte alimentata dal calvinismo, represse con ferocia le sue frange più accanitamente egualitariste e democraticiste e sfociò in una dittatura (O. Cromwell) che volle addirittura farsi ereditaria, ma che non poté resistere all'organismo di rappresentanza di ordini tipicamente medievale, il parlamento. In seguito (1688) quest'ultimo ottenne una monarchia costituzionale limitata da un sistema di contrappesi istituzionali. In questo senso già J. Althusius (1557-1638) aveva corretto l'indicazione machiavelliana, parlando di poliarchia invece che di repubblica (1603). VOLONTÁ POPOLARE, CONTRATTUALISMO E DEMOCRAZIA RAPRESENTATIVA. L'assolutismo fece coincidere l'astratta "volontà popolare" con la volontà divina, base del proprio diritto a regnare senza limiti codificati (ma con molti limiti reali), mentre premevano le teorizzazioni giuridico-filosofiche: U. Grozio (1583-1645) e J. Locke (1632-1704), in forme e con intenti diversi, richiesero la restituzione della sovranità alla comunità popolare (sempre più o meno esplicitamente limitata alla parte aristocratico-borghese), che delegava per contratto revocabile (riconosciuto anche dal teorico dell'assolutismo T. Hobbes, 1588-1679) il potere al sovrano. Furono le riflessioni degli illuministi ad avere l'incidenza più profonda sullo sviluppo concreto della democrazia. J.J. Rousseau (1712-1778) riprese un concetto "puro" di democrazia diretta ed egualitaria. C. de Montesquieu (1689-1755), sull'esempio poliarchico inglese, teorizzò la distinzione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Voltaire (1694-1778) e altri formularono un'ampia base concettuale per la codificazione della parità di diritti fra tutti gli uomini. La democrazia di modello greco-romano, con caratteristiche analoghe e gli stessi limiti, rivisse soltanto con la nascita degli Stati Uniti d'America e quindi, tra infiniti contrasti, nella fase monarchico-costituzionale (1789-1792) e repubblicana (1792-1804) della rivoluzione francese. Rispetto al modello però prevalsero, con l'allargamento della comunità sino ai confini della nazione, le istituzioni della democrazia rappresentativa (o parlamentare), in cui la sovranità viene delegata dal "popolo" a un organo rappresentativo e in parte a un corpo elettorale intermedio (come quello che negli Stati Uniti elegge il presidente). Ciò rendeva per la prima volta operante di fatto il principio di maggioranza, in quanto da allora quella parte del popolo che non si sentiva rappresentata dall'operato dei magistrati eletti dalla maggioranza del parlamento, era tenuta, fino al rinnovo periodico di quest'ultimo, a rispettarlo ugualmente. La distruzione delle corporazioni e dei ceti intervenuta per queste vicende e per la rivoluzione industriale mise, nell'Europa ottocentesca, il principio astratto di democrazia in rapporto diretto con un "popolo" che assumeva i contorni concreti delle masse di borghesia e di proletariato urbano in lotta per garantirsi tutela giuridico-sindacale e rappresentanza politica, anche con dei passi indietro di tipo cesarista (come il bonapartismo). Questa lotta si intrecciò con quella di indipendenza nazionale di molti popoli (proseguita ancora per tutto il XX secolo anche dai popoli coloniali), volta a identificare le singole comunità di popolo detentrici di potere sovrano entro un determinato ambito territoriale. Con il socialismo scientifico anche il concetto di democrazia assunse un significato nuovo. K. Marx (1818-1883) ne denunciò il carattere astratto e i limiti di classe della sua applicazione (che per lui nascondeva di fatto una dittatura della borghesia). La battaglia per l'allargamento dei fruitori del diritto di voto fino al suffragio universale, anche femminile, costituì uno dei cardini del movimento operaio e, alla lunga, uno dei suoi più cospicui successi. Ciò attenuava i difetti denunciati da Marx, rendendo le élite più direttamente sensibili al consenso delle masse. Questo processo costrinse anche coloro che non si riconoscevano nel programma dei partiti socialisti a organizzarsi in partiti per partecipare alla competizione democratica per la formazione delle maggioranze. Da allora il partito divenne strumento indispensabile della democrazia. La rivoluzione d'ottobre in Russia (1917) pretese di sostituire alla democrazia formale "borghese" la democrazia sostanziale della "dittatura del proletariato", presto tramutatasi in dittatura del Partito comunista e in dittatura personale (vedi Stalin). Altri paesi furono assoggettati tra gli anni venti e trenta a regimi totalitari, che perseguirono la nazionalizzazione delle masse (fascismo) ma non poterono eludere mai il problema del consenso. Processi analoghi si verificarono dopo la Seconda guerra mondiale nelle democrazie popolari e nei paesi affrancatisi dal colonialismo. La disuguaglianza socioeconomica continuava a non trovare soluzione e, anche nei paesi a democrazia rappresentativa, si trasformava in problema economico per le necessità di crescita del mercato insite nel capitalismo. Vi si fece fronte in modi diversi, ma quello che meglio si attagliò alla democrazia rappresentativa (vigente dopo la sconfitta del nazifascismo nel 1945 in Europa occidentale, in gran parte dell'America e in vari paesi asiatici) fu il welfare state, che, fornendo garanzie minime di base all'esistenza dei lavoratori, li associava, anche in forme conflittuali, alla gestione dello stato "di tutti", democraticamente fondato, benché permanesse la limitazione della gestione reale del potere a quella che G. Mosca (1848-1941) definì la classe politica (perpetuantesi di fatto perfino per via ereditaria). Il crollo dei regimi comunisti e la dissoluzione dell'Urss (1989-1991) costrinsero nuovi popoli a cimentarsi per la prima volta con gli infiniti problemi della democrazia, ma crearono sotto molti aspetti, anche economici, una situazione nuova in tutto il mondo. Esaurito il welfare state per limiti economici invalicabili, nei paesi avanzati, divenuti meta di migrazioni internazionali sempre più pressanti, vacillarono le certezze "nazionali" su cui ciascuno aveva fondato in concreto la propria prassi democratica e sempre di più si mise a nudo la coincidenza tra democrazia rappresentativa e mercato capitalistico, insufficiente a dare volto, rappresentanza e potere alla miriade di realtà etniche, religiose, filosofiche, oltre che economiche e sociali (senza contare le persistenti discriminazioni di genere), da cui sono formati i popoli. (1789-1799). Movimento politico e sociale che pose fine all'ancien régime in Francia. LE CAUSE. Ebbe origine da processi di medio-lungo periodo e da fattori di crisi congiunturale che investirono l'economia e la società, la politica e la cultura, le istituzioni e la mentalità. La fase di prosperità apertasi negli anni venti del XVIII secolo aveva favorito lo sviluppo di una borghesia imprenditoriale urbana e rurale insofferente ai vincoli feudali e corporativi e a una borghesia intellettuale e delle professioni decisa a far prevalere i meriti individuali sui privilegi di ceto. Con gli esponenti più illuminati del clero e della nobiltà, questa borghesia si proponeva come nuova classe dirigente, capace di rappresentare gli interessi di tutta la nazione (vedi Sieyès). Ma la crescita settecentesca, peraltro già arrestatasi negli anni settanta, provocò effetti socialmente differenziati e contraddittori, penalizzando i gruppi sociali più numerosi e più poveri. Nella seconda metà degli anni ottanta, poi, una grave crisi produttiva e di mercato colpì settori cruciali come la viticoltura e le manifatture tessili, rendendo esplosiva la crisi di sussistenza seguita al pessimo raccolto cerealicolo del 1788. Nelle campagne l'aumento di lungo periodo della rendita feudale e fondiaria aveva aggravato le croniche difficoltà della piccola azienda contadina e alimentava una diffusa resistenza tanto al prelievo signorile quanto alle spinte verso il liberismo economico e lo sviluppo capitalistico cui erano, invece, sensibili grandi affittuari e proprietari fondiari. Intanto la crisi cronica della finanza statale, aggravata dagli sprechi e dai costi della guerra contro la Gran Bretagna (1778-1783), imponeva misure di perequazione fiscale, cui si opponevano gli ordini privilegiati, che acuivano la tradizionale opposizione dei parlamenti all'assolutismo regio. Al "dispotismo ministeriale" si opponevano anche i fautori della monarchia costituzionale di tipo inglese, guidati dal marchese di La Fayette. Infine la diffusione delle idee illuministiche metteva in crisi, presso vasti strati di opinione pubblica colta, l'ideologia dell'assolutismo e la legittimità delle distinzioni di ceto fondate sul privilegio di nascita o di status. Una fitta rete di accademie, "società di pensiero" e logge massoniche alimentava forme inedite di sociabilità politica e culturale che, saldandosi con una crescente alfabetizzazione dei ceti popolari e una diffusa secolarizzazione di valori e comportamenti, agevolava la diffusione di idee-forza potenzialmente destabilizzanti quali l'uguaglianza dei diritti e la sovranità popolare. GLI STATI GENERALI E LA COSTITUENTE. Il fallimento dei progetti di riforma di J. Necker, di C. A. de Calonne e di E. C. Loménie de Brienne rese inevitabile nell'estate 1788 la convocazione degli Stati generali. La consultazione che ne preparò l'elezione coincise (marzo-aprile 1789) con un'acutissima crisi di sussistenza che rese incandescente lo scontro politico sulla composizione e sui poteri degli Stati generali; la compilazione di circa 60.000 cahiers de doléances fu un'occasione straordinaria di mobilitazione politica di massa. Fin dall'apertura degli Stati generali (5 maggio 1789) una netta frattura si produsse tra il re e i primi due ordini da un lato e, dall'altro, i rappresentanti del Terzo stato su questioni procedurali di grande rilievo politico come la vexata quaestio del voto per testa o per ordine. Attraverso passaggi drammatici (tra cui il giuramento, pronunciato nella sala della Pallacorda, di non separarsi finché la Francia non avesse avuto una costituzione), i deputati del Terzo stato, appoggiati da un'intensa campagna di stampa e da una parte dei deputati degli altri due ordini, si costituivano in Assemblea nazionale, che il 9 luglio si proclamò costituente. La minaccia regia di sciogliere con la forza l'Assemblea e il timore del complotto aristocratico spinsero il popolo di Parigi all'insurrezione armata come strumento di difesa preventiva (assalto alla Bastiglia, 13-14 luglio 1789). Tra la metà di luglio e i primi giorni di agosto in tutta la Francia dilagò la "rivoluzione municipale" e le campagne furono sconvolte dalla Grande paura, che spinse la costituente a proclamare l'abolizione della feudalità (4 agosto). Il 26 agosto, con la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, l'Assemblea fondava solennemente i nuovi ordinamenti su principi che sarebbero stati alla base delle moderne costituzioni liberali e democratiche. Fino all'estate del 1791 preoccupazioni dominanti dell'Assemblea furono l'elaborazione di una nuova costituzione, la riforma delle amministrazioni locali (istituzione dei dipartimenti, cantoni e comuni retti da organi di governo elettivi) e giudiziaria, il risanamento finanziario. La crescita esponenziale del disavanzo pubblico spinse i costituenti a confiscare e mettere in vendita i beni della Chiesa per rimborsare titoli di debito pubblico emessi in quantità crescente e che rapidamente si svalutarono. La Costituzione civile del clero (12 luglio 1790), condannata dal papa, provocò una grave frattura tra il clero "costituzionale" e quello "refrattario", che rafforzò il fronte controrivoluzionario. Intanto nelle campagne i contadini si rifiutavano di pagare i diritti signorili sulle terre o di riscattarli; l'incapacità del governo e dell'Assemblea di tutelare gli interessi dei nobili spingeva questi ultimi a schierarsi sempre più numerosi contro la rivoluzione, e spesso a emigrare all'estero. La fuga di Varennes (20 giugno 1791) svelò definitivamente i propositi controrivoluzionari del re e della corte e provocò una dura contrapposizione fra quanti tentavano di negarne le responsabilità, per non compromettere una soluzione monarchico-costituzionale della crisi, e i rivoluzionari più radicali. L'eccidio di Campo di Marte (17 luglio 1791), la secessione dei foglianti dal club dei giacobini, la dichiarazione di Pillnitz (con cui nell'agosto 1791 Austria e Prussia invitavano i monarchi d'Europa a unirsi per ristabilire l'ordine in Francia) accentuarono incertezze e tensioni che il varo della prima costituzione francese (4 settembre) non bastò a placare. Nell'Assemblea legislativa, che sostituì (1° ottobre 1791) la costituente, pur prevalendo numericamente la destra fogliante (un terzo dei deputati) e il centro moderato, dominarono la scena i girondini, guidati da J.P. Brissot, che fecero leva sull'intransigente difesa della rivoluzione contro i nemici esterni e interni. Con lo strumentale appoggio del re e della corte e l'opposizione di Robespierre, ostile a un conflitto di esito incerto per la Francia, i girondini trascinarono l'Assemblea a dichiarare guerra all'Austria (20 aprile 1792). LA PRIMA REPUBBLICA E IL TERRORE. Ma gli insuccessi militari, la sensazione diffusa che un nuovo "complotto aristocratico" mirasse a stroncare la rivoluzione con l'appoggio degli eserciti stranieri e una violenta ripresa delle sommosse popolari contro il carovita mobilitarono nuovamente i sanculotti, che il 10 agosto sostituirono la municipalità di Parigi con una Comune insurrezionale e costrinsero la Legislativa a votare la deposizione del re e a convocare nuove elezioni, a suffragio universale. La nuova assemblea (vedi Convenzione nazionale), insediatasi lo stesso giorno (21 settembre) in cui un esercito di volontari fermò a Valmy l'avanzata austro-prussiana su Parigi, il 21 settembre proclamò la repubblica una e indivisibile. Sui rapporti con il movimento sanculotto e le sue istanze di democrazia diretta e di radicalismo sociale (maximum dei prezzi, diritto al lavoro e all'istruzione ecc.), sulla conduzione della guerra e sulla sorte del re si aprì nella Convenzione un aspro e lungo scontro politico fra i girondini e i deputati montagnardi, i cui principali leader (Robespierre e Danton) rivendicarono e ottennero, con l'appoggio di una parte dei deputati di centro (Palude), la condanna a morte, senza possibilità di appello al popolo, e l'esecuzione del re (21 gennaio 1793). Il regicidio e l'annessione alla Francia dei territori alla sinistra del Reno, del Belgio e della Savoia portarono alla guerra contro la prima coalizione (Austria, Prussia, Gran Bretagna, Paesi bassi, Spagna e quasi tutti gli stati italiani). Una serie di sconfitte militari e lo scoppio della rivolta in Vandea e in altri dipartimenti dell'Ovest spinsero a adottare misure eccezionali (istituzione del Tribunale rivoluzionario, del Comitato di salute pubblica e di comitati di sorveglianza rivoluzionaria in tutti i comuni) che indebolirono i girondini. Nelle "giornate rivoluzionarie" del 31 maggio e del 2 giugno 1793 i sanculotti parigini, sostenitori dei montagnardi, imposero l'epurazione dei principali leader girondini dal governo e dalla Convenzione. Tra la capitale e i dipartimenti del Mezzogiorno e dell'Ovest, insofferenti dell'egemonia di Parigi e del radicalismo politico delle sue folle rivoluzionarie, si creò una frattura che sfociò in una vasta sollevazione antigiacobina ("insurrezione federalista"). Sotto la direzione dei giacobini, la Convenzione recuperò temporaneamente il controllo del movimento sanculotto accettandone in parte le rivendicazioni nella Costituzione dell'anno I (25 giugno 1793). L'accentramento del potere nelle mani del Comitato di salute pubblica e dei "rappresentanti in missione", protagonisti di una spietata repressione contro i federalisti e i rivoltosi vandeani; le misure da economia di guerra tendenti ad approvvigionare le città affamate e un poderoso esercito di oltre 700.000 uomini, ma che irritavano contadini e mercanti senza bloccare il mercato nero; l'imposizione del maximum generale dei prezzi e dei salari, che faceva emergere gravi divergenze anche nel movimento sanculotto; un'intransigente campagna di scristianizzazione, che lacerò ulteriormente le coscienze alimentando la resistenza controrivoluzionaria; la tendenza del Terrore a perpetuarsi oltre l'emergenza che ne aveva giustificato la nascita e a trasformarsi in strumento di lotta politica interna allo schieramento rivoluzionario (arresto ed esecuzione di J. R. Hebert e Danton e di molti loro seguaci, marzo-aprile 1794): questi e altri fattori erosero progressivamente il consenso intorno al Comitato di salute pubblica e al triumvirato (Robespierre, Saint-Just e G. A. Couthon) che sembrava dominarlo. Una composita coalizione di deputati che se ne sentivano colpiti o minacciati provocò l'arresto e l'esecuzione di Robespierre e dei suoi seguaci il 9-10 termidoro (27-28 luglio) 1794. LA NORMALIZZAZIONE. La svolta di termidoro avviò un rapido processo di "normalizzazione" politico-istituzionale. Riammessi alla Convenzione i deputati girondini superstiti, in tutta la Francia giacobini e sanculotti diventarono oggetto di persecuzione (Terrore bianco). Il disorientamento e la debolezza del movimento popolare parigino si rivelarono appieno nel fallimento dei tentativi insurrezionali di germinale e di pratile anno III (1° aprile e 20-22 maggio 1795), provocati dall'esasperazione per il carovita, giunto a livelli insostenibili dopo l'abolizione del calmiere sui prezzi (dicembre 1794). La Costituzione dell'anno III (22 agosto 1795) sanzionò il nuovo corso politico e sociale della rivoluzione. Stabilendo una rigida divisione dei poteri (l'esecutivo al Direttorio e il legislativo a due Consigli, degli Anziani e dei Cinquecento, rinnovabili ogni anno per un terzo) e ripristinando il suffragio elettorale con sbarramento censitario e a doppio grado, proponeva un modello costituzionale cui si sarebbero ispirati nell'Ottocento ideologie e movimenti politici interessati a conciliare libertà civili, partecipazione politica e predominio delle classi abbienti, della borghesia intellettuale e delle professioni. L'evoluzione in senso filomonarchico dell'opinione pubblica, soprattutto delle campagne, e i sussulti insurrezionali della sinistra, sempre più deboli ed elitari, ma che ossessionavano l'immaginario collettivo dei termidoriani (vedi congiura degli eguali), crearono uno stato di permanente instabilità politica che il Direttorio fronteggiò a fatica con repressioni e colpi di stato, come quello di fruttidoro (4 settembre 1797), al cui successo contribuì in modo decisivo l'esercito, istituzione dal crescente prestigio e di sicura fede repubblicana. Un generale vittorioso, Napoleone Bonaparte, fu il protagonista e principale beneficiario del colpo di stato del diciotto brumaio (9 novembre 1799), che segnò il passaggio al Consolato e, poi, all'impero. (1792-1794). Periodo della rivoluzione francese in cui prevalsero le forze più radicali e si adottarono misure eccezionali per fronteggiare la controrivoluzione interna e gli eserciti stranieri che premevano alle frontiere. Un primo periodo di terrore si ebbe alla caduta della monarchia (10 agosto 1792), quando giacobini e sanculotti, organizzati nella Comune di Parigi, imposero all'Assemblea legislativa l'istituzione di un tribunale straordinario per giudicare traditori e sospetti e l'adozione di provvedimenti quali la spartizione tra i contadini dei pascoli comuni, la vendita in piccoli lotti dei beni nazionalizzati, il suffragio universale. Assunto il controllo della Convenzione da parte dei giacobini (2 giugno 1792), il Terrore infuriò a partire dal settembre 1793. Giustificato dalla volontà di salvare la rivoluzione, fu applicato in tutti i settori di competenza dello stato: amministrazione, giustizia, finanze, esercito, economia, cultura. Il Tribunale rivoluzionario liquidò con processi sommari i controrivoluzionari e gli oppositori del governo. La leva di massa permise il successo militare, mentre la regolamentazione dell'economia (requisizioni, calmiere dei prezzi) consentì di sostenere lo sforzo bellico e di controllare la crisi economica e sociale. Nonostante la sconfitta dei nemici interni ed esterni, si ebbe una recrudescenza del Terrore con la legge del 22 pratile (10 giugno 1794) che accentuò l'isolamento del gruppo dirigente. Il regime fu abbattuto il 9 termidoro (27 luglio 1794) e la cruenta reazione antigiacobina che seguì prese il nome di "Terrore bianco" (1794-1795) Profondo e rapido cambiamento nella vita economica che si verificò in Europa con l'affermazione dell'industria quale settore più dinamico e, infine, dominante. Si tratta, dunque, della fase di avvio o decollo dell'industrializzazione. L'epoca di questo cambiamento iniziò verso il 1780 e si concluse con i primi decenni (e secondo alcuni i primi anni) dell'Ottocento. La regione in cui avvenne fu l'Inghilterra. Dall'Inghilterra questa grande trasformazione si propagò a tutte le economie del continente: al Belgio, alla Francia, alla Germania, all'Italia, alla Russia. In questi paesi d'industrializzazione più tarda la rivoluzione industriale non seguì le caratteristiche della prima, quella inglese. Essa dovette prendere altre strade proprio perché il quadro di riferimento di ogni altra regione era stato modificato in profondità dall'industrializzazione avvenuta in Inghilterra. L'aspetto distintivo di questa rivoluzione è costituito dal rapido aumento della capacità produttiva grazie all'introduzione nei processi lavorativi di tecniche sempre più perfezionate ed efficienti. Proprio in ciò sta la differenza fra la vita economica che procedette la rivoluzione industriale e quella che la seguì. Prima la crescita della popolazione cozzava, a lungo andare, nel tetto dei limitati beni economici a disposizione, più o meno stabili a causa del lentissimo aumento della produttività. Nella competizione fra quantità di beni disponibili e numero di esseri umani, cresceva più rapidamente il numero degli esseri umani. In seguito aumentarono più rapidamente i beni. I livelli di vita migliorarono di conseguenza. Questa accelerazione della vita economica era ancora in corso nell'ultimo decennio del Novecento. La rivoluzione industriale si presentò, dunque, come una discontinuità: una cesura, cioè, che comparve in tutti gli aspetti dell'economia e che separò un movimento lento o stagnante da uno di rapida crescita. Questa discontinuità si rivelò prima di tutto nel movimento demografico. Il numero degli esseri umani, che era raddoppiato nei secoli fra la nascita di Cristo e il 1700, raddoppiò di nuovo dal 1700 al 1850, e poi ancora dal 1850 al 1930. Nella disponibilità di energia si ebbe il passaggio da un mondo a bassa intensità di energia a uno ad alta intensità. Alla fine del Settecento cominciò, infatti, l'impiego su ampia scala di combustibili fossili (non riproducibili); prima il carbon fossile e poi, nella seconda metà dell'Ottocento, il petrolio. Anche nella produzione industriale tutte le serie note rivelarono un forte balzo in avanti: da quelle del settore tessile a quelle della siderurgia. Proprio quest'ultima acquistò una posizione centrale nella vita economica, come non era mai stato prima. Lo stesso forte aumento si verificò negli scambi, sia in quelli con aree esterne che in quelli all'interno delle economie che si venivano industrializzando. A tutto ciò si accompagnarono anche modifiche nelle forme di organizzazione, soprattutto del settore industriale. Di particolare rilievo fu la diffusione della produzione accentrata: il lavoro di fabbrica. Per quanto la produzione accentrata, di cui la fabbrica è un caso particolare, esistesse già in precedenza, la sua diffusione si accrebbe. Le tecniche nuove, infatti, per i loro costi elevati, non erano più alla portata di piccoli artigiani indipendenti. Solo alcuni, gli imprenditori, furono in grado di sostenere quei costi. La maggioranza fu solo capace di partecipare all'attività industriale con la propria capacità lavorativa. Fra capitale e lavoro si verificò una separazione netta. Quanto alle ragioni che concorsero a generare la rivoluzione industriale, non c'è dubbio che il progresso tecnologico abbia svolto una funzione centrale. Esso contribuì più di altri elementi a generare la discontinuità. Carbon fossile e macchine ne furono gli ingredienti di base. D'altra parte, però, il progresso tecnologico non fu un fenomeno esogeno rispetto all'economia: un fenomeno che si sviluppò, cioè, al di fuori della vita economica. Deve essere spiegato col ricorso a tanti altri elementi in gioco. Certamente l'investimento del capitale svolse una funzione di rilievo: fornì alimento ai processi innovativi in corso e sostenne il progresso tecnologico. Ma anche il capitale, da solo, non sarebbe stato sufficiente. È possibile che l'aumento demografico, già in corso da qualche decennio prima della rivoluzione industriale, abbia stimolato la crescita della domanda di beni e l'offerta di manodopera. È consuetudine degli storici richiamare l'attenzione sui progressi nell'agricoltura inglese (rivoluzione agraria), almeno a partire dalla seconda metà del Seicento. È evidente, infatti, che uno spostamento dell'equilibrio della vita economica dal settore primario (l'agricoltura) al settore secondario (l'industria) è solo possibile quando nei campi si produce tanto da nutrire le famiglie che lavorano la terra e anche quelle che non la lavorano. Queste ultime diventano sempre più numerose quando l'industria si espande. La produttività delle prime deve, perciò, aumentare. Infine la forte crescita del commercio estero inglese e anche di quello interno fornirono alimento alla trasformazione complessiva. Nessuno di questi elementi basta, però, da solo a spiegare un fenomeno così complesso come quello della rivoluzione industriale. In sostanza essa fu l'effetto di una serie di cambiamenti, o innovazioni convergentiti, nell'agricoltura, nei commerci, nella popolazione, nella tecnica. Tutti questi cambiamenti agirono cumulativamente in Inghilterra prima che altrove. Sarebbe un errore, tuttavia, concentrare l'attenzione solo sul quadro inglese. In realtà si trattò di un fuoco che dal luogo dove all'inizio era divampato si propagò rapidamente a gran parte dell'Europa. Condizioni favorevoli dovevano, perciò, esistere anche fuori dell'Inghilterra. La rivoluzione industriale fu figlia di una lunga serie di cambiamenti intervenuti nell'economia e nella società europea a partire dai secoli centrali del Medioevo: lenti progressi nell'agricoltura, più rapidi cambiamenti nell'industria, allargamento delle relazioni commerciali all'interno e fuori del continente, attenzione crescente al problema delle soluzioni tecniche nelle attività economiche. Quella dell'industrializzazione fu solo la fase in cui tante trasformazioni quantitative lente provocarono un vero salto di qualità. Enciclopedia termini lemmi con iniziale a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Storia Antica dizionario lemmi a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w y z Lemmi Storia Antica Lemmi Storia Moderna e Contemporanea Dizionario Egizio Dizionario di storia antica e medievale Prima Seconda Terza Parte Storia Antica e Medievale Storia Moderna e Contemporanea Dizionario di matematica iniziale: a b c d e f g i k l m n o p q r s t u v z Dizionario faunistico df1 df2 df3 df4 df5 df6 df7 df8 df9 Dizionario di botanica a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z |
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