Padre Pio Testimonianze.

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PAPI E BEATI - PADRE PIO - TESTIMONIANZE

PREFAZIONE

Non ho inteso di scrivere una biografia da aggiungere a tante altre in commercio, ma una testimonianza autentica delle mie esperienze, vissute nell'interno del convento, a contatto con Padre Pio dal 1920 al 23 settembre 1968, giorno del suo sereno transito. I miei frequenti incontri con Padre Pio erano quelli di figlio col Padre: di ascolto, di dialogo, di servizio e di osservazione. Ho descritto Padre Pio nella sua realtà personale, come l'ho visto io e come lo hanno visto i miei compagni di collegio e di vita religiosa: «Un Padre Pio, ardente di carità e di amore per il Signore e per le anime. Un Padre Pio semplice e umile, amabile e paterno, umano e faceto; ma circonfuso di luce soprannaturale, da eccellere al di sopra di tutti. Un Padre Pio illuminato da Dio, posseduto da Cristo, arricchito di carismi divini». Padre Pio aveva un fascino misterioso e irresistibile da attirare a sé gente di ogni ceto e condizione: intellettuali, scienziati, politici, magistrati, artisti, operai uomini increduli e giovani dissoluti, i quali dinanzi alla sua umile persona si sentivano conquisi, emozionati, senza parola. Scrivendo delle origini di Pietrelcina, della fanciullezza e giovinezza di Padre Pio, mi sono attenuto ai dati storici del paese e alle testimonianze raccolte fra i coetanei del caro Padre, nelle interviste e nei discorsi tenuti presso le famiglie, durante i miei due trienni di residenza a Pietrelcina, in qualità di superiore del convento, dal settembre 1950 all'ottobre 1953 e dal settembre 1961 al febbraio 1964. I ricordi, i discorsi, i giudizi su Padre Pio fanciullo e giovane sacerdote, furono sempre unanimi e concordi nel riconoscerne la bontà, l'umiltà, la dolcezza nei tratti con tutti; la sottomissione alle autorità religiose e in modo particolare lo spirito di raccoglimento e di preghiera; di carità e di amore verso i poveri, gli ammalati e i moribondi. Molte testimonianze dettagliate e precise dell'adolescenza e giovinezza di Padre Pio mi sono state date dai parenti e dalla viva voce del fratello maggiore Michele Forgione, il quale dimorava abitualmente alcuni mesi dell'anno insieme con i Frati nel convento di Pietrelcina. Michele raccontava spesso qualche episodio edificante della fanciullezza del fratello, descrivendolo molto timido, delicato, riservato, alieno dai giuochi e amante della solitudine, dell'orazione e dello studio. Asseriva che il fratello trascorreva parecchie ore in chiesa assorto in preghiera e sempre pronto ad assistere da chierichetto alle Sante Messe e alle sacre funzioni. Metteva in risalto la stima e la benevolenza della popolazione, di cui il giovane fratello sacerdote godeva per la sua amabilità, sensibilità e pazienza nell'ascoltare e consigliare quanti si rivolgevano a lui e per la sua generosa dedizione e tenerezza dinanzi alle miserie umane, alle lacrime e alle sofferenze. Le testimonianze di Michele Forgione mi furono confermate e avvalorate da molte persone degne di fede e di stima: dal Dott. Cardone Andrea, medico curante di Padre Pio; dalle famiglie Masone Antonio, Scocca Mercurio, Iadanza Cosimo, Pennisi, Florio, Fucci, Cavalluzzo, Petrone, Saginario, Orlando, Sagliocca; dalle figlie spirituali di Padre Pio, Masone Violante, Ins. Pannullo Grazia, Iadanza Lucia, Colesanti Zaira, Cardone Isolina e da molte persone che conobbero Padre Pio e furono a contatto con lui. Persino i numerosi Pietrelcinesi residenti a New York in America mi espressero lo stesso giudizio dei loro parenti di Pietrelcina, affermando concordi la santità del loro illustre concittadino. Gli ultra sessantenni firmarono un foglio di testimonianze, che portai alla Postulazione della Causa di beatificazione di Padre Pio. Le dichiarazioni giurate di tanti Pietrelcinesi sono di grande importanza per la storia e per la conoscenza del loro amato «santariello», come vezzosamente veniva chiamato Padre Pio. I Pietrelcinesi, infatti, sono i veri testimoni, oculari e auricolari, della vita esemplare e santa trascorsa da Padre Pio a Pietrelcina, nel periodo della sua fanciullezza e negli anni della giovinezza, che egli visse in famiglia per curarsi dalle sue misteriose malattie.

Padre ALBERTO D'APOLITO

IL MIO PRIMO INCONTRO CON PADRE PIO

Il mio primo incontro con Padre Pio risale al 1917, quando fanciullo delle scuole elementari, un pomeriggio, insieme con altri compagni, mi recai nella chiesetta di S. Maria delle Grazie per confessarmi col Monaco Santo, come Padre Pio era chiamato dalla popolazione di S. Giovanni Rotondo. Padre Pio non ancora aveva ricevuto dal Signore il dono delle stimmate visibili, ma già la fama della sua santità, si era divulgata nel paese e nei dintorni. Al nostro ingresso nella chiesa, Padre Pio era nel coro, assorto in preghiera, e, disturbato dal nostro vociare, si affacciò al parapetto, per rendersi conto di ciò che succedeva. Vedendo noi ragazzi irrequieti presso la balaustra dell'Altare maggiore, che in quei tempi era di noce, finemente tornito e lavorato e molto alto, domandò che cosa volessimo. Sentendo che eravamo andati a confessarci, scese in chiesa e ci ascoltò l'uno dopo l'altro con paterna bontà. Non potrò mai dimenticare un particolare di quella confessione. Interrogato se dicessi spesso le bugie, alla risposta affermativa divenne severo e con le dita mi diede uno schiaffetto sulla guancia da farmi allibire. Avrei pianto, se l'orgoglio non mi avesse trattenuto. Poi con dolcezza ed amabilità, posandomi la mano sul capo, richiamò la mia attenzione sull'offesa che si arreca al Signore anche con le piccole bugie. Impartitami l'assoluzione, disse: «Sai servire la S. Messa?» - alla risposta nega-tiva, soggiunse: «Mi devi promettere d'imparare a servire la S. Messa; di frequentare la Chiesa e di amare molto Gesù e la Madonna». Queste parole mi rimasero impresse nella mente. In pochi giorni imparai ad assistere e a rispondere alla S. Messa; entrai a fare parte del gruppo dei chierichetti della Chiesa Matrice ed ogni mattina mi alzavo dal letto di buon'ora, correvo in chiesa a servire la prima Messa e dopo andavo a scuola.

«Dio solo sa quanto ho pianto»

Un giorno assolato del mese di marzo 1919, assente il Superiore Padre Paolino da Casacalenda, nove collegiali, durante il tempo della ricreazione pomeridiana, chiesero a Padre Pio, Direttore del Collegio serafico, il permesso di salire la montagna alle spalle del convento. Padre Pio, raccomandando di non sbandarsi, ma di andare tutti uniti e di ridiscendere dopo un po' di sosta, diede loro la benedizione e il permesso di avviarsi. Li seguì con lo sguardo per un po' di tempo; poi si ritirò nella celletta. Passate alcune ore e non vedendoli ritornare, cominciò e preoccuparsi. Il sole era già tramontato: erano scese le ombre della notte senza che i ragazzi fossero rientrati. La preoccupazione di Padre Pio si mutò in dolorosa attesa. Non sapeva che cosa fare. In quei tempi a S. Giovanni Rotondo non esisteva il telefono. L'ufficio delle Poste era già chiuso. Il caro Padre passò la notte in lacrime e in preghiera dinanzi a Gesù Sacramentato. Al mattino di buon'ora, mandò Fra Nicola da Roccabascerana da Antonio Centra, mio zio materno, perché si recasse nella caserma dei carabinieri a denunciare la scomparsa dei nove collegiali. Il maresciallo si affrettò a telegrafare a tutte le caserme dei paesi del Gargano. Dopo la denunzia, mio zio volle essere accompagnato da me al convento. Ricordo di avere visto Padre Pio molto addolorato e accasciato, con le lacrime agli occhi. Nel pomeriggio giunse un telegramma dal Superiore dei Cappuccini di Vico del Gargano, che comunicava l'arrivo dei nove collegiali in quel convento. I ragazzi raccontarono che, arrivati sulla cima della montagna, furono convinti da uno di essi, di nome Matteo Monaco di Vico Garganico, a proseguire la marcia verso il convento di Vico. Sorpresi dal buio della sera, si fermarono a Carpino, dove passarono la notte sulla scalinata della Chiesa Parrocchiale. All'alba ripresero il cammino verso la foresta umbra, dove furono rifocillati da un benefattore dei Frati; di là raggiunsero nel tardo pomeriggio il convento di Vico del Gargano. Padre Pio, due giorni dopo, in data 11 marzo 1919 scriveva al P. Benedetto: «Fra Nicola vi dirà ciò che è avvenuto a nove di questi nostri ragazzi l'altro giorno, poco dopo che il Padre Paolo (da Valenzano) fu partito. Dio solo sa quanto ho pianto e quanto ho sofferto! Se non impazzii e non mi scoppiò il cuore fu per somma grazia. Fortuna che avevo con me don Peppino». Il piccolo episodio dell'incosciente ragazzata dei Fratini, che tanta sofferenza causò a Padre Pio, ebbe uno strascico doloroso. Nessuno di essi, benché perdonati, vestì l'abito di San Francesco. Tutti spontaneamente, chi prima, chi dopo, andarono via dal seminario. Due soli, che non presero parte a quella sgra-dita avventura, perché infermi, vestirono il saio francescano ed arrivarono al sacerdozio: Pietro D'Amato, in religione Padre Emilio da Matrice, e Nicola Carozza, in religione Padre Federico da Macchia Valfortore.

Passarono in mezzo alle fiamme

Don Peppino Massa, sacerdote esemplare e zelante, amico di Padre Pio, ammiratore e benefattore dei Frati Cappuccini, fu uno dei maggiori esponenti che si batterono per la riapertura del Convento di S. Giovanni Rotondo e per il ritorno dei Frati. Durante la prima guerra mondiale del 1915-18, si prestò come insegnante nel Seminario Serafico. Difese coraggiosamente Padre Pio nella campagna denigratoria della stampa nei primi tempi della stimmatizzazione, nelle inchieste e nei provvedimenti delle Autorità ecclesiastiche. Durante la sua lunga malattia, che lo tenne a letto molti mesi, Padre Pio andò a visitarlo più volte. La sera di S. Giuseppe, 19 marzo 1947, Padre Pio, accompagnato da P. Raffaele da S. Elia a Pianisi, si recò in macchina a visitare l'amico infermo e a porgergli gli auguri onomastici. Giunti all'imbocco di via Archimede, dove abitava Don Peppino, furono costretti a scendere dalla macchina, essendo impossibile proseguire per la strettezza della strada, e continuarono a piedi verso l'abitazione dell'infermo. Prima di giungere, furono bloccati dalle fiamme di un grande falò, che arrivavano ai lati della strada ed ostruivano il passaggio. Padre Raffaele disse a Padre Pio: «Dobbiamo tornare indietro e risalire per via Sant'Orsola». Padre Pio: «Proseguiamo: vado io avanti, voi seguitemi». Passarono in mezzo alle fiamme senza alcuna bruciacchiatura. Padre Pio visitò l'infermo, lo confessò e gli rivolse parole di conforto. Poi aggiunse: «Non ancora è arrivata l'ora dell'incontro con Cristo; ci vuole un altro po' di tempo». Infatti Don Peppino morì nel luglio 1947. Questo episodio mi è stato confermato dalle nipoti. Io, da fanciullo, mi confessavo spesso con Don Peppino Massa e gli servivo la S. Messa.

LA MIA VOCAZIONE CAPPUCCINA

La prima chiamata

Nell'estate del 1919, Padre Clemente Centra, mio zio materno, Lettore di Teologia dommatica nello studentato Cappuccino di Montefusco, venne a S. Giovanni Rotondo per trascorrere un periodo di vacanze e di riposo presso la famiglia. Un pomeriggio volle essere accompagnato da me al convento per salutare Padre Pio e trattenersi qualche ora coi Religiosi. Trovammo Padre Pio all'ingresso del corridoio che parlava con alcune persone. Come ci vide, venne incontro a Padre Clemente, ed esclamò: «Clementuccio, bene arrivato!». Padre Clemente, con pari affetto, rispose: «Piuccio, ben trovato! Come stai?». Indi si scambiarono l'abbraccio fraterno. Erano stati compagni di noviziato, di studentato, e di ordinazione sacerdotale. Infatti, furono ordinati sacerdoti lo stesso giorno, 10 agosto 1910: Padre Pio nella cappella dei Canonici nel duomo di Benevento da Monsignore Paolo Schinosi; Padre Clemente con Padre Guglielmo da S. Giovanni Rotondo nella chiesa dei cappuccini di Gesualdo da Mons. Benedetto Maria della Camera. Dopo i soliti convenevoli, Padre Pio, guardando me, disse: «Questo ragazzo è tuo nipote? Mi pare di averlo visto qualche altra volta». Padre Clemente: «Sì, è mio nipote, figlio della mia sorella defunta». Padre Pio, posandomi la mano piagata sul capo, mi domandò: «Ti vuoi fare monacello?». Immediatamente risposi: «No». Padre Pio: «Perché non ti vuoi fare monacello?». «Voglio farmi prete salesiano». Padre Pio: «Perché vuoi andare tra i salesiani e non tra i Cappuccini, dove c'è tuo zio?». «Perché voglio andare a Roma, dove sono andati alcuni miei compagni». Padre Pio: «Ho capito. Vuoi andare a conoscere Roma. Ora, vai nel giardino del convento: ci sono i collegiali che giuocano». Andai nel giardino e vidi i fratini, che giuocavano alla guerra francese; mi trattenni pochi minuti a guardare e tornai subito dallo zio, che discorreva con Padre Pio, il quale prima di congedarsi da Padre Clemente, mi diede la benedizione e con affetto paterno mi disse: «Tu sarai frate come tuo zio. Ti aspetto in questo collegio». Non risposi nulla; forse l'invito non mi garbava. Non ricordo più come andassero le cose. So che non capivo nulla di vocazione religiosa. Nell'ottobre entrai nel collegio serafico per iniziare le scuole ginnasiali.

Il direttore spirituale del collegio serafico

Nel collegio serafico di S. Giovanni Rotondo ebbi la fortuna e la gioia di vedere, d'incontrare, di avvicinare più volte al giorno Padre Pio, di fargli qualche servizio e di baciargli la mano. Quando, il caro Padre era misteriosamente ammalato ed inchiodato a letto, mi capitava spesso il turno di assisterlo, di spazzare la cella e di fargli compagnia. Molte volte, insieme coi compagni e col direttore disciplinare, controllai il termometro, appena tolto dall'ascella, che segnava quarantasei, quarantasette gradi di febbre. Padre Pio, come direttore spirituale del seminario, veniva a pranzo nel nostro refettorio, insieme al direttore disciplinare, che in quei tempi, era Padre Romolo Pennisi da S. Marco in Lamis, religioso integerrimo, amante della regolare osservanza e molto austero. Padre Romolo con facilità ci dava punizioni da eseguirsi in pubblico refettorio, durante il pranzo. Padre Pio, vedendoci in ginocchio col piatto nelle mani, o privati di parte del cibo, soffriva molto e da buon padre si adoperava per farci dispensare dalle punizioni. Il rigore del direttore disciplinare non ci distol-se dalla vocazione, ma giovò tanto alla formazione del nostro carattere e alla conoscenza del sacrificio della vita religiosa. Padre Pio si cibava poco. Prendeva qualche boccone di spaghetti, di minestra, di verdura o di qualche altra vivanda, secondo il cucinato di ogni giorno e distribuiva il resto a noi fratini, alternativamente, un giorno ad alcuni, un giorno ad altri. Non aveva preferenze; era paterno, buono ed eguale con tutti. Dopo il ringraziamento della mensa, si andava a baciare la mano al caro Padre. In quel periodo Padre Pio portava i mezziguanti e noi, l'uno dopo l'altro, con celerità incredibile, sollevavamo l'orlo del guanto e baciavamo la piaga. Nonostante che qualche volta ci bagnassimo le labbra di sangue stillante dalle spaccature delle croste, pure non prendemmo mai una infezione. Padre Pio ci lasciava fare, non ci riprendeva, sapeva che le piaghe non erano infettive, anzi erano le gemme preziose del Signore, come un giorno egli stesso le chiamò nel dare la risposta al Padre Romolo, che gli chiedeva di dividerne il dolore.

Ad ognuno la roba propria

Padre Romolo era molto familiare con Padre Pio. Un giorno, trattenendoci nel refettorio dopo il ringraziamento della mensa, fissando lo sguardo sul volto di Padre Pio, esclamò: «Padre Pio, che bella faccia che hai! Non ti ho mai visto così bello!... ». Padre Pio, faceto e sorridente, rispose: «Romolo, facciamo così: io ti do la mia bella faccia, tu mi dai la tua buona salute». La proposta non piacque a Padre Romolo, il quale rispose: «Questo non sarà mai. Ognuno si tenga quello che ha ricevuto dal Signore». Riprendendo il dialogo, Padre Romolo disse: «Padre Pio, noi due siamo quasi coetanei. Io vorrei sapere chi deve morire prima. Per legge di natura spetta a me: sono nato prima». Padre Pio: «Vivremo a lungo tutti e due, però io morirò prima». Padre Romolo: «Io ti seguirò presto?». Padre Pio: «E' stabilito che tu morirai molto vecchio». Padre Romolo: «Se il Signore ha decretato in questo modo, quando tu te ne andrai in paradiso, mi autorizzi ad impartire la tua benedizione a quanti verranno a pregare sulla tua tomba?». Padre Pio: «Sì, oltre la benedizione, rivolgi sempre una buona parola». Padre Pio ha raggiunto il cielo il 23 settembre 1968 all'età di circa ottantadue anni. Padre Romolo è vissuto fino all'età di novantacinque anni, impartendo più volte al giorno la benedizione di Padre Pio alle folle dei pellegrini. Si è spento serenamente il 1°; febbraio 1981 logorato dagli anni e da sofferenze fisiche e spirituali. Padre Pietro Tartaglia sulla immaginetta ricordo ne ha compendiato la vita religiosa con poche parole scultorie: «Nella sua lunga giornata terrena fu maestro e guida di numerose generazioni di giovani con la parola e con l'esempio. Lavorando in umiltà e silenzio, santificò se stesso e insegnò alle anime la via che porta a Dio».

Prendeva parte alla nostra gioia

La mattina, dopo la celebrazione della S. Messa, non prendeva né caffè, né altra bevanda. L'ultimo anno della sua vita, logorato dalle lunghe ed estenuanti ore di confessione, dalle interminabili sofferenze e dai prolungati digiuni, dovuti a conati di vomito, a cui andava soggetto, fu consigliato dai medici e dal Superiore di prendere, dopo la celebrazione della S. Messa, una tazzina di caffè, in cui veniva versata qualche vitamina ricostituente. Padre Pio, sempre pronto all'obbedienza, ingoiava con grande sacrificio un sorso di caffè, lasciando metà del liquido nella tazza. La sera non cenava mai e quindi non scendeva neppure a refettorio. Si tratteneva nel Coro a pregare, a meditare e a fare compagnia a Gesù Sacramentato fino a tarda notte. Quando, nelle ricreazioni straordinarie, noi fratini facevamo il divertente gioco della pignatta, Padre Pio, invitato dal direttore disciplinare, veniva volentieri ad assistere. Godeva e sorrideva quando vedeva noi con gli occhi bendati, col bastone nelle mani nel centro del refettorio, dove era sospesa la pignatta piena di doni, vibrare un violento colpo a vuoto. Poi rivolgeva una parolina di scherzo a chi non aveva saputo dare il colpo giusto. Partecipava anche alle recite, alle farse, ai drammi, specie se si trattava della vita di un Santo, che rappresentavamo a refettorio, alla presenza dei Frati e di qualche invitato, o in sacrestia se partecipavano persone di ambo i sessi. Qualche volta veniva ad onorarci con la sua presenza a ricreazione.

Padre Pio celebra la Messa

Padre Pio celebra la Messa

Umanità e bontà di Padre Pio

Padre Pio, in qualità di Padre Spirituale, si dimostrava sempre buono, premuroso ed affettuoso verso di noi fratini. Aveva tanta tenerezza per noi da commuovere. Si interessava del nostro comportamento morale e spirituale, del nostro profitto nello studio. Non risparmiava parole di esortazione a corrispondere sempre con maggiore fedeltà e generosità alla grazia della santa vocazione. Ci diceva che noi, chiamati dal Signore alla vita religiosa e al sacerdozio, eravamo i privilegiati e i prediletti del Signore ed occupavamo il primo posto nel suo cuore. Si preoccupava dei nostri piccoli problemi, delle nostre insofferenze, insegnandoci a risolvere tutto alla luce dell'amore di Cristo. Prendeva parte con interesse alla nostra gioia e alle nostre sofferenze. Se qualcuno si ammalava, andava a visitarlo nella camerata, gli posava la mano sulla fronte, gli rivolgeva una parola d'incoraggiamento, lo esortava alla preghiera e lo benediva. Soffriva, quando sapeva che qualcuno di noi si comportava male o tentennava nella vocazione; allora più che mai gli era vicino, cercava di illuminarlo, di aiutarlo, di salvarlo e di condurlo nella retta via. Si notava sul volto l'intima sofferenza del cuore, quando un collegiale andava via o veniva espulso dal seminario. Al contrario, gioiva nel vedere il collegio pieno di ragazzi. Era felicissimo quando partiva un folto gruppo di fratini per il santo noviziato. Ricordo sempre con nostalgia e gratitudine il giorno della mia partenza per il santo Noviziato, perché devo a Padre Pio la mia vocazione religiosa, la santa perseveranza ed una continua assistenza. Nell'agosto del 1922, alla vigilia della partenza per Morcone, luogo del santo Noviziato, il Padre Gaetano da Ischia Castro, ex rettore del collegio Nazareno dei Padri Scolopi di Roma, poi religioso cappuccino e professore di lettere nel collegio serafico di S. Giovanni Rotondo, rivolse a Padre Pio la domanda: «Padre, sono in procinto di partire per il S. Noviziato sei collegiali: saranno tutti Religiosi e Sacerdoti?». Padre Pio, con l'espressione di un'amarezza visibile sul volto rispose: «No. Due soli saranno Religiosi e Sacerdoti». Tutti vestimmo il saio francescano, ma non tutti di quel gruppo arrivammo al sacerdozio. Qualcuno andò via dal noviziato, gli altri dallo studentato. Siamo rimasti in religione due soli: Io, Padre Alberto D'Apolito da S. Giovanni Rotondo, e Padre Cristoforo Iavicoli da Vico del Gargano.

Insegnamenti di Padre Pio

Padre Pio non ci faceva mai mancare la conferenza settimanale o l'istruzione religiosa, che ordinariamente ci teneva nella scuola ogni sabato sera, con semplicità di parole e con profondità di dottrina, arricchita da episodi, da esempi e da fatti straordinari personali. Si soffermava di frequente sugli argomenti riguardanti Gesù Crocifisso, l'Eucaristia, la Madonna e S. Francesco. Erano le sue devozioni predilette, i suoi amori vissuti, che formavano la sua vita interiore e spirituale e che cercava d'infondere nei nostri cuori. Ci esortava alla vita Eucaristica con la visita frequente a Gesù Sacramentato e con la comunione quotidiana, che in quei tempi ci era permessa soltanto il giovedì, la domenica, nei giorni festivi e in qualche circostanza particolare. Col suo consenso e con la sua autorizzazione, chi avesse voluto, si sarebbe potuto accostare ogni giorno alla sacra mensa. Ci parlava della Madonna con tanto ardore e tenerezza da commuoverci ed accenderci di amore per la Mamma celeste, raccomandandoci di onorarla ogni giorno con la recita del piccolo ufficio mariano e di altri rosari, oltre quello recitato in comune nel coro prima della cena. Non tralasciava di parlarci della vocazione religiosa e delle virtù necessarie per la nostra formazione francescana e sacerdotale. In modo particolare insisteva sulla virtù della purezza, che egli chiamava la «bella virtù», la «gemma preziosa» del buon religioso e del santo sacerdote. Faceva rimarcare il concetto che non si può essere buon Religioso e degno Sacerdote di Cristo senza il candore della purezza. La virtù angelica, che egli custodì con tanta gelosia sin dall'infanzia e che visse così intensamente per tutta la vita da diventare fisicamente bello e luminoso come il Cristo, voleva che la vivessimo anche noi, chiamati alla vita sacerdotale. A questo scopo richiamava la nostra attenzione a stare sempre in guardia dinanzi alle tentazioni, a fuggire le occasioni e a rivolgerci al Signore e alla Madonna per avere aiuto nella reazione e nella lotta contro Satana. Dopo la conferenza, l'uno dopo l'altro, entravamo nella sua celletta per confessarci. Era un momento meraviglioso. In ginocchio ai suoi piedi, con semplicità, con timore e con compunzione, facevamo l'accusa delle nostre colpe e dei nostri difetti. Col capo chino, quasi trattenendo il respiro, ascoltavamo trepidanti le parole penose che gli uscivano dal cuore, più che dalle labbra; erano espressioni dolorose della sofferenza intima, che lo tormentava per le offese, anche se lievi, arrecate al Signore coi nostri peccati. Sentivamo il respiro caldo delle sue labbra, i battiti accelerati del suo cuore, la lotta tremenda col demonio nel darci l'assoluzione. Terminata la formula sacramentale, prima di congedarci, ci rivolgeva ancora una parola di raccomandazione e ci porgeva a baciare la mano piagata. Spesso, dopo la confessione, gli chiedevamo un ricordino, o un'immagine con un suo pensierino a tergo, ed egli sempre paterno e comprensivo ci accontentava. Negli anni, in cui io e tanti altri miei compagni fummo nel collegio serafico di S. Giovanni Rotondo, Padre Pio era sempre a nostra disposizione, pronto ad ascoltarci, ad aiutarci, a fugare i nostri dubbi e tormenti, a lenire le nostre piccole pene, ad aprirci il suo cuore ardente di carità e a ridonarci la serenità e la gioia.

Lotta spietata contro lo spirito del male

Trovandomi in argomento, credo opportuno riportare un altro bellissimo episodio della lotta tra Padre Pio e lo spirito del male, per liberare una ragazza bergamasca dal demonio, che la possedeva e tormentava da molti anni. Pubblicai precedentemente l'episodio nelle Riviste: «Voce di Padre Pio» dell'ottobre 1972 e l'«Amico del Terziario» del febbraio-marzo 1973. Nel 1964 ero superiore nel convento di S. Se- vero, dove si trovava di residenza Padre Pla- cido Bux da S. Marco in Lamis, che godeva stima e venerazione presso la popolazione per la sua pietà e bontà. Esercitava il ministero sacerdotale con carità e generosità. Impartiva benedizioni a numerosi sofferenti di spirito e di corpo con benefici risultati. Un giorno gli fu presentata una giovane ossessa di diciotto anni, proveniente da un paese del bergamasco, per essere esorcizzata. La ragazza alla vista di P. Placido, divenne una furia infernale: si dimenava, urlava, bestemmiava e lanciava parolacce ed epiteti sporchi contro di lui, minacciando di aggredirlo. Lo avrebbe certamente fatto, se quattro robuste braccia non l'avessero trattenuta ed allontanata. Padre Placido ebbe un momento di timore, poi, ripresosi, dietro mio consiglio, disse ai parenti della ragazza di accompagnarla a S. Giovanni Rotondo da Padre Pio. L'ossessa, quando si trovò alla presenza di Padre Pio, cominciò a rivolgergli ingiurie ed invettive, frammiste a bestemmie. Padre Pio si contentò di benedirla, non sentendosi in forza di fare gli esorcismi. Qualche giorno dopo, alcuni sacerdoti Cappuccini e Frati Minori, autorizzati dal- l'Arcivescovo diocesano, vollero fare insieme gli esorcismi; ma dovettero subito sospenderli in seguito alle beffarde risate e agli scherni della giovane ossessa, che rinfacciava loro di non essersi preparati, secondo le parole del Vangelo, «con la preghiera e con il digiuno». Infatti, ridendo e sghignazzando gridava: «Non vi vergognate. Avete mangiato e bevuto ed ora volete cacciarmi da questo corpo. Non sarà mai». Quando Padre Pio seppe la notizia, pur celiando con i Frati, si rattristò molto. La notte seguente, si alzò per pregare e intercedere dal Signore la liberazione di quella infelice creatura dal possesso del demonio. Questi si vendicò, dandogli un forte pugno sulla spina dorsale e facendolo cadere violentemente a terra. Nella caduta, Padre Pio andò a sbattere col volto sul pavimento, ferendosi gravemente le sopracciglia, che sanguinarono, e gonfiandosi le gote. Nel cadere, emise un grido, che fece accorrere immediatamente il Padre Superiore e il Padre Eusebio, i quali, dopo averlo rialzato, si affrettarono a chiamare un medico, che disinfettò e bendò le ferite. In quelle condizioni, era impossibile per il Padre celebrare la santa Messa. Il mattino, 6 luglio 1964, prima che fosse aperta la Chiesa, mentre la folla dei fedeli attendeva sul piazzale, raccolta in preghiera, l'ossessa gridava: «Questa notte, l'ho picchiato io quel vecchio... vedrete se scenderà a dire Messa... ». Nessuno prestava fede al grido dell'ossessa. Ma quando arrivò l'ora della santa Messa, il Padre Superiore, avvicinatosi al microfono, annunziò alla folla che gremiva la Chiesa l'indisposizione di Padre Pio e l'impossibilità di scendere a celebrare. La giovane indemoniata, urlando, ripeteva: «Avete sentito?... Il vecchio non scende a dire Messa!... L'ho picchiato io questa notte!...». Quella stessa mattina, io mi ero recato a S. Giovanni Rotondo, per chiedere un consiglio a Padre Pio: ma, prima di entrare in Chiesa, appresi la triste notizia e sentii i commenti dei fedeli, i quali, riferivano le espressioni dell'ossessa, conosciuta a San Severo, quando fu accompagnata dal Padre Placido. Salito in convento ed entrato nella cella di Padre Pio, lo trovai in uno stato pietoso, con le sopracciglia bendate e le gote gonfie e tumefatte. Allora gli chiesi: «Padre spirituale, che cosa è successo?». - Mi rispose: «Questa notte, sono caduto». «Padre, sul piazzale ho sentito dire che il demonio, che possiede e tormenta quella ragazza bergamasca, le ha dato un forte pugno sulla spina dorsale, facendola cadere malamente sul pavimento. È vero ciò che dicono o sono chiacchiere della gente?». Padre Pio, un po' perplesso, mi guardò per alcuni secondi e poi rispose: «Tutto è possibile». Io soggiunsi: «Padre, allora la causa della sua lotta col demonio e della sua sofferenza è derivata dal consiglio che io e P. Placido abbiamo dato ai parenti della giovane ossessa, di accompagnarla da lei. Quindi, siamo noi responsabili delle sue sofferenze». Padre Pio: «Mi avete fatto un bel regalo!». Qualche giorno dopo, tolte le bende, con le gote ancora gonfie, il caro Padre scese a celebrare la S. Messa in chiesa, dove la giovane ossessa, come lo vide, emise un grido e svenne. Riavutasi, serena e tranquilla, assistette alla santa Messa del suo liberatore. La vittoria finale, ottenuta con la sofferenza e col sangue, fu di Padre Pio.

Le offerte dei pellegrini a Padre Pio

Le offerte dei pellegrini a Padre Pio

Apparizioni di anime purganti

Padre Pio, che ardeva di carità per il Signore e per le anime, sentiva nel suo cuore immensa pietà e tenerezza per le anime sante del Purgatorio. Spesso, nelle conferenze settimanali, ci parlava delle pene e delle sofferenze delle anime purganti; del dovere di carità di aiutarle con le nostre preghiere, coi suffragi, con le mortificazioni e con altre opere buone e meritorie. Ci raccontava episodi personali di apparizioni di defunti, che gli chiedevano aiuti e suffragi. Riporto fedelmente alcune apparizioni, come ci furono raccontate dallo stesso Padre Pio. Una delle apparizioni, che gli fece impressione, fu quella che ebbe una sera di febbraio del 1922 presso il focolare del convento di S. Giovanni Rotondo, quando io ero fratino. Alcuni giorni dopo, tenendoci la conferenza settimanale nella scuola, ci disse: «Ora ascoltate quanto mi è capitato alcune sere fa. Scesi al fuoco comune (così veniva chiamato il focolare dai frati) per riscaldarmi, ebbi la sorpresa di trovare quattro frati, mai visti, seduti attorno al fuoco, col cappuccio in testa ed in silenzio. Rivolsi loro il saluto: "Sia lodato Gesù Cristo"; nessuno mi rispose. Meravigliato, li guardai attentamente per vedere chi fossero, ma non li riconobbi. Mi trattenni in piedi alcuni minuti e, guardandoli, ebbi la sensazione che soffrissero. Ripetuto il saluto, senza risposta, salii sul convento e mi diressi alla camera del Padre Guardiano, per informarmi se fossero arrivati Frati forestieri. Il Padre Superiore (in quei tempi era Padre Lorenzo da S. Marco in Lamis) mi rispose: "Padre Pio, chi si azzarda a venire quassù con questo tempaccio!...". Io soggiunsi: "Padre Guardiano, giù al fuoco comune ci sono quattro frati cappuccini, seduti sulle panche attorno al fuoco, col cappuccio in testa, che si riscaldano. Li ho salutati ma non mi hanno risposto. Li ho guardati attentamente e non li ho riconosciuti. Non so chi siano". Il Padre Guardiano esclamò: "Possibile che siano arrivati dei frati forestieri, senza che io sappia nulla! andiamo a vedere". Scendemmo al focolare e non trovammo nessuno. Allora compresi che i quattro frati visti erano Religiosi defunti, che scontavano il purgatorio in quel luogo, dove avevano offeso il Signore. Mi trattenni tutta la notte in preghiera dinanzi a Gesù Sacramentato per la loro liberazione dal Purgatorio». Un'altra apparizione, che io ascoltai dalla viva voce di Padre Pio, fu quella di un vecchio, morto bruciato nel convento di S. Giovanni Rotondo, trasformato in asilo di mendicità, dopo la soppressione degli Ordini Religiosi. Mi permetto di trascriverla come io la sentii raccontare da Padre Pio, in un pomeriggio del maggio 1922, a Monsignore Alberto Costa, Vescovo di Melfi ed in seguito di Lecce, alla presenza del Superiore del Convento, Padre Lorenzo da S. Marco in Lamis, di Padre Ignazio da Ielsi, Padre Romolo da S. Marco in Lamis, P. Luigi da Serracapriola e P. Gaetano da Ischia Castro. Quel pomeriggio fui privato della ricreazione dal Direttore del collegio e quindi costretto a recarmi a studio nella scuola, mentre i compagni facevano ricreazione nei viali del giardino. Non sapevo rassegnarmi a stare chiuso nella scuola in quel pomeriggio di sole. Salito nel corridoio, assicuratomi che tutti i Padri erano sotto il pergolato a discorrere col Vescovo e con Padre Pio, invece di andare nella scuola, mi avvicinai al davanzale della finestra del piccolo braccio di corridoio, che fiancheggia la camera n. 5 di Padre Pio e lì rimasi ad ascoltare quanto dicevano i Padri sotto la finestra. Attratto dalla domanda del vescovo Costa a Padre Pio, se avesse mai visto qualche defunto apparirgli, mi concentrai per seguire attentamente il discorso. Cominciò subito a raccontare l'apparizione di un vecchio defunto, pubblicata da Padre Alessandro da Ripabottoni nel volume «Un Cireneo per tutti» alquanto diversa da come la sentii raccontare io da Padre Pio. Questi così iniziò la narrazione: «Eravamo in piena guerra mondiale. Il convento di S. Giovanni Rotondo, come tutti gli altri conventi della Provincia monastica, era spopolato di Frati, chiamati alle armi. Vi era qui il collegio serafico, assistito da me e da P. Paolino da Casacalenda. Un pomeriggio di inverno, in cui era caduta molta neve, arrivò al convento la signorina Assunta Di Tommaso, sorella di Padre Paolino, per trattenersi alcuni giorni. Prima di imbrunire, Padre Paolino disse alla sorella di scendere in paese e di andare ad alloggiare presso Rachelina Russo, benefattrice del convento. Assunta si rifiutò di uscire sola dal convento e di recarsi in paese con tanta neve per terra, col pericolo di essere sbranata da qualche lupo vagante ed affamato o affrontata da qualche malvivente. Padre Paolino le disse: "Assunta tu sai che nel convento c'è la clausura e non possono entrare le donne, come facciamo?". Assunta rispose: "Fammi portare una brandina qui, in questa camera e per questa notte mi arrangerò. Domani andrò da Rachelina". Padre Paolino: "Se ti contenti di pernottare qui, nella foresteria, ti faccio preparare il letto, così potrai riposare tranquillamente". Diede ordine ad alcuni collegiali di portare un lettino e di accendere il fuoco nel camino. Dopo la cena, sistemati i ragazzi a letto, io e Padre Paolino scendemmo a salutare Assunta. Mentre si discorreva, P. Paolino disse alla sorella: "Assunta, io vado a dire il rosario in chiesa, tu trattieniti con Padre Pio". Assunta rispose: "Vengo anch'io". Usciti dalla foresteria, si tirarono la porta ed io rimasi solo presso il camino. Stavo pregando con gli occhi socchiusi, quando vidi aprirsi la porta ed entrare un vecchio ravvolto in un mantello alla foggia dei contadini di S. Giovanni Rotondo e venire a sedersi vicino a me. Lo guardai, ma non pensai come fosse entrato a quell'ora nel convento. Gli rivolsi la parola e lo interrogai: "Tu chi sei? Che cosa vuoi?". Mi rispose: "Padre Pio, io sono il tale dei tali... dicendomi nome, cognome ed altri connotati: Pietro Di Mauro fu Nicola, soprannominato Precoco". Poi aggiunse: "Sono morto in questo convento il 18 settembre 1908 nella cella n. 4, quando vi era ancora l'asilo di mendicità. Una sera, stando a letto, mi addormentai col sigaro acceso, che diede fuoco al pagliericcio e morii soffocato e bruciato. Sono ancora nel purgatorio. Ho bisogno di una santa Messa per essere liberato. Il Signore mi ha permesso di venire a chiedere a Voi aiuto". Dopo averlo ascoltato, risposi: "Stai tranquillo, domani celebrerò la S. Messa per la tua liberazione. Mi alzai e lo accompagnai al portone del convento per farlo uscire. Non mi resi conto in quel momento che la porta era chiusa e sbarrata: l'aprii e lo licenziai. Vi era la luna, che illuminava a giorno il piazzale, ricoperto di neve. Quando non lo vidi più dinanzi a me, preso da un senso di timore chiusi il portone, rientrai nella foresteria e mi sentii venire meno. Padre Paolino e la sorella, terminata la recita del santo rosario, ritornarono nella foresteria e vedendomi pallido e sbiancato pensarono subito ad un malessere. Data la buona notte ad Assunta, Padre Paolino mi accompagnò nella cella. Non dissi nulla dell'apparizione del defunto. Alcuni giorni dopo la partenza della sorella, Padre Paolino volle sapere che cosa mi fosse successo quella sera, in cui mi sentii male. Gli confessai tutto, raccontandogli nei minimi particolari l'apparizione del defunto. Poi aggiunsi: "Quella sera non potevo dire alla presenza di tua sorella che mi era apparso un defunto, altrimenti non avrebbe dormito in foresteria"». Padre Pio, terminato il racconto di questa straordinaria apparizione, disse che con l'applicazione della S. Messa l'anima del defunto era stata liberata dal purgatorio ed era entrata nel possesso di Dio. Padre Paolino, presi i connotati del defunto, si recò all'ufficio dell'anagrafe, per informarsi se tutto rispondeva a verità. Consultati i registri, risultò come aveva raccontato Padre Pio. Io ascoltai attentamente questa narrazione fatta da Padre Pio, subito andai nella scuola e scrissi tutto su alcune pagine di quaderno. L'11 febbraio 1948, m'incontrai nella casa parrocchiale di Magliano di Lecce col Vescovo Mons. Alberto Costa e si parlò a lungo di Padre Pio alla presenza di molti parroci e sacerdoti, invitati per la festa dell'Immacolata di Lourdes. Fra i tanti episodi personali, il Vescovo raccontò nei minimi particolari l'apparizione del vecchio defunto a Padre Pio, ascoltato con attenzione ed interesse dai sacerdoti e laici presenti. Il racconto fu come egli lo aveva ascoltato dalla viva voce di Padre Pio ventisei anni prima e come l'ho scritto io. L'apparizione del novizio cappuccino, morto nel convento di S. Giovanni Rotondo, prima dell'ultima soppressione degli Ordini Religiosi, la sentii raccontare da Padre Pio quando io ero già religioso. Padre Pio raccontò che una sera, mentre era assorto in preghiera nel Coro della Chiesetta di S. Maria delle Grazie, venne scosso e disturbato da un rumore di passi, di candelieri e di vasi da fiori, mossi sull'altare maggiore. Pensando che in chiesa ci fosse qualcuno, gridò: «Chi c'è laggiù?». Nessuno rispose. - Rimessosi a pregare, venne di nuovo molestato dallo stesso rumore. Anzi, questa volta ebbe l'impressione che fosse caduta una delle candele che erano dinanzi alla Ma-donna delle Grazie. Volendosi rendere conto di ciò che avveniva sull'altare, si alzò dal posto, si avvicinò alla grata e vide nella penombra della lampada, che ardeva dinanzi al Tabernacolo, un giovane frate, che faceva la pulizia. Padre Pio gridò: «Che cosa stai facendo al buio?». Il fraticello: «Faccio la pulizia». Padre Pio: «Fai la pulizia allo scuro. Chi sei?». Il fraticello: «Sono un novizio cappuccino, che sconto qui il purgatorio. Ho bisogno di suffragi» e scomparve. Prima dell'ultima soppressione degli Ordini Religiosi, il convento di S. Giovanni Rotondo era luogo di Noviziato. Il Signore permise al novizio deceduto da tanti anni di apparire a Padre Pio, per essere aiutato con le preghiere, con le sofferenze e con la S. Messa a raggiungere la felicità della vita eterna. Le apparizioni dei defunti a Padre Pio non si possono numerare. Dalle sue parole ed espressioni possiamo dedurre che furono molto frequenti e che non gli facevano alcuna impressione, essendogli divenute abituali.

NEL CORSO DELLA MIA VITA RELIGIOSA

Mi chiese il sacrificio del distacco

Dalla partenza da S. Giovanni Rotondo per il S. Noviziato a Morcone, il 22 agosto 1922, fino all'Ordinazione Sacerdotale, i miei incontri con Padre Pio, furono rari. Nonostante la lontananza, il caro Padre mi fu sempre vicino con la preghiera e col consiglio, specialmente in alcuni momenti delicati e difficili. Nel 1928, giovane studente di filosofia, dovetti affrontare una prova dolorosa per gli affetti umani: la separazione indeterminata ed incognita dai miei cari familiari, in partenza per gli Stati Uniti d'America, richiamati da mio padre, che vi risiedeva da molti anni. I Superiori mi concessero alcuni giorni di permesso in famiglia per salutare i partenti. Io avevo la libertà di scelta, o partire con loro, o restare. I documenti erano pronti anche per la mia partenza. In quei giorni fui preso da una tristezza indicibile, che accese nel mio animo una lotta tremenda. Sarei crollato se non mi fosse venuto incontro Padre Pio, che mi chiese con tanta tenerezza, in nome di Gesù, il sacrificio della rinunzia e del distacco. Al mio assenso, mi abbracciò e mi assicurò il suo affetto paterno. Allora ritornò la serenità nel mio spirito.

«Ego... te... absolvo»

Fu precisamente in quei pochi giorni di permanenza a S. Giovanni Rotondo, che un pomeriggio, andando per il corridoio del convento verso il coro, trovai Padre Pio, fermo presso la finestra che sporge nel chiostro, con lo sguardo fisso verso la montagna. Sembrava assorto. Non si accorse della mia presenza, né udì la mia voce. Mi avvicinai per baciargli la mano, ma ebbi la sensazione che la mano fosse irrigidita. In quel momento sentii scandire, con voce molto chiara, le parole dell'assoluzione con quello sforzo caratteristico di pronunzia, che Padre Pio aveva nell'assolvere. «Ego... ego... te... te... te... ab... abs... absolvo... a... peccatis... tuis...». Corsi subito a chiamare il Padre Superiore, Padre Tommaso da Montesantangelo, il quale si trovava in una cella poco distante dalla finestra dove era Padre Pio. Ci avvicinammo al caro Padre, che non ancora aveva terminato la formula dell'assoluzione. Pronunziate le ultime parole, si scosse come da un assopimento e rivolto a noi disse: «Siete qui: non me n'ero accorto... stavo guardando la montagna...». Qualche giorno dopo, arrivò, da Torino un telegramma di ringraziamento al Padre Superiore, per aver mandato Padre Pio ad assistere un moribondo. Dal telegramma si poté intuire che il moribondo stava spirando nel momento in cui Padre Pio pronunziava le parole dell'assoluzione sacramentale.

Presente in spirito

L'otto maggio 1928, nella Chiesetta del convento dei Cappuccini di S. Marco la Catola, quattro giovani Frati: Onorato Marcucci, Giulio Russo, Cristoforo Iavicoli e Alberto D'Apolito, pronunziavano i voti solenni nelle mani del M.R.P. Benedetto da S. Marco in Lamis, ex Ministro Provinciale ed ex Direttore spirituale di Padre Pio da Pietrelcina. Nel discorso di circostanza, Padre Benedetto, ricordando la nostra formazione religiosa alla scuola del suo prediletto discepolo, ci esortò a vivere i santi insegnamenti e gli esempi di Padre Pio, appresi durante gli anni di seminario nel convento di S. Giovanni Rotondo. Inoltre ci comunicò la lieta notizia che Padre Pio era presente in spirito alla sacra cerimonia della nostra totale donazione al Signore, arrecando nei nostri cuori una gioia immensa. La sicurezza della presenza di Padre Pio ci fu confermata dalla venuta di P. Clemente da S. Giovanni Rotondo, che ebbe l'incarico dal venerato Padre Spirituale di portarci i suoi paterni auguri di santa perseveranza, la promessa che non ci avrebbe mai dimenticati nei colloqui col Signore e la pienezza della sua benedizione.

«Ora sei Cristo»

Alla solenne celebrazione della mia prima S. Messa, il 15 Agosto 1931, nella Chiesa di S. Maria delle Grazie, Padre Pio non potendo scendere nel presbiterio, a causa dei provvedimenti restrittivi da parte delle supreme autorità ecclesiastiche, si trattenne nel Coro, dove ebbe il dono delle stimmate, per assistere alla sacra cerimonia. Dopo la S. Messa, salii ad ossequiarlo e a baciargli la mano. Egli, a sua volta, mi abbracciò, mi baciò le mani e, nel porgermi gli auguri, mi disse: «Ora sei Cristo. Sii sempre Gesù in mezzo alle anime». Qualche giorno dopo mi regalò una bellissima immaginetta della Madonna, Madre della divina Grazia, con un pensiero a tergo, sgorgato dal suo cuore ardente di carità. Trascrivo il pensierino, che io ho cercato sempre di vivere nella mia vita sacerdotale. «Dio esige il cuore da tutti, ma molto più dai suoi ministri. Quante volte un Samaritano qualunque ha più tenerezza del Sacerdote! P. Pio Capp.no». Padre Pio ha voluto ricordare a me sacerdote, e forse a tutti i sacerdoti, di essere i Cristi sulla terra; di fare vivere e operare Gesù nelle anime nostre e nel nostro ministero per la salvezza delle anime. Ha voluto poi rimarcare la bontà e la tenerezza di un samaritano qualsiasi dinanzi ai fratelli infelici e bisognosi, in contrasto all'apatia e all'indifferenza di tanti sacerdoti, che non sentono e non fanno nulla per la salvezza delle anime e per il bene dei sofferenti.

Durante gli anni della sua segregazione

Dal 23 maggio 1931 al 15 luglio 1933 a Padre Pio fu vietato ogni esercizio di ministero sacerdotale, eccetto la santa Messa, che poteva celebrare nella cappellina interna del convento, assistito da un solo religioso, designato dal Su- periore. Parecchie volte, nei due anni di segregazione, ebbi il privilegio e la gioia di assistere, come inserviente alla Messa di Padre Pio, che celebrava a porta chiusa dal di dentro. La S. Messa di Padre Pio nella cappellina era la sua vita, il suo calvario, la sua crocifissione, il suo paradiso. Durava circa tre ore. Lo seguivo con grande attenzione ed emozione nelle varie fasi. Al Memento dei vivi, il suo raccoglimento era profondo, lungo, interminabile, interrotto da qualche doloroso sospiro. Man mano che procedeva lentamente nell'ascesa penosa del suo mistico calvario, arrivava esausto alla crocifissione. Il momento della consacrazione era il punto culminante della sua passione, era la sua crocifissione con Gesù. Nella pronunzia delle parole consacratorie, si notavano sul volto pallido e disfatto i segni di una indescrivibile sofferenza interna, l'atroce martirio del suppliziato sulla croce. Sembrava Gesù Crocifisso. Tale si definì, quando un giorno ebbe a dire a Cleonice Morcaldi: «Durante la celebrazione della santa Messa, sono sospeso sulla croce insieme con Gesù e soffro tutto quello che soffrì Gesù sul calvario, per quanto è possibile a natura umana». Dopo la consacrazione, con le lacrime agli occhi e con qualche singhiozzo proseguiva lentamente la S. Messa. Anche il Memento dei morti era molto lungo. Quante anime, prive del pieno possesso di Dio, doveva egli ricordare all'infinita misericordia del Signore, offrendo, per la loro liberazione dal purgatorio, il suo sangue e le sue sofferenze, unite al sangue e alle sofferenze di Cristo! Al momento della santa Comunione il volto di Padre Pio diventava luminoso e raggiante come Gesù trasfigurato sul Tabor. La Comunione per Padre Pio era vita, fusione di cuori, sorgente di gioia e di felicità. Gesù era il suo Paradiso. Dopo la S. Messa si recava al coro, dove si tratteneva fino a mezzogiorno dinanzi a Gesù Sa- cramentato per il ringraziamento e per la meditazione. Trasferito il collegio serafico da S. Giovanni Rotondo nel 1932, Padre Pio prendeva parte puntualmente agli atti comuni della vita religiosa e per il pranzo passò al refettorio della Comunità.

Suo commensale

Il pasto era per lui il più grande tormento. Sentiva nausea di qualsiasi cibo, per cui, mentre i Frati, al segnale del Superiore cominciavano a mangiare, egli continuava a pregare. Era necessario uno sguardo, un segno, una parolina del Superiore, per fargli spiegare il tovagliuolo ed ingoiare qualche cosa. Lasciava le pietanze, senza toccarle, che poi venivano consumate dai Frati. Spesso anch'io prendevo il piatto degli spaghetti, o qualche pietanza offertami dal caro Padre. Ricordo che lo scienziato Enrico Medi, quando era invitato a pranzo, pregava il Superiore di farlo sedere a mensa vicino al Padre. Il prof. Medi non cominciava a mangiare, se prima non avesse cominciato Padre Pio. Un giorno, presente anch'io a refettorio, a fianco dello scienziato, vedendolo che non si decideva a mangiare, gli dissi: «Professore, non ha appetito?». Medi mi rispose: «Aspetto che Padre Pio mi offra il suo piatto». Infatti, Padre Pio, accortosene, gli disse: «Enrico, perché non mangi? non hai appetito?». Medi non rispose. Padre Pio, portata alla bocca una forchettata di spaghetti, gli porse il suo piatto e disse: «Ho capito, tu vuoi il mio piatto: eccolo». In questo modo Padre Pio era soddisfatto di liberarsi del piatto di spaghetti e lo scienziato Medi era contento di consumare la porzione di Padre Pio. Il caro Padre aveva quasi sempre nel tiretto della mensa dei biscottini durissimi o dei ceci abbrustoliti e, durante il pranzo, invece di mangiare le vivande che gli portavano, metteva in bocca alcuni ceci, o qualche pezzetto di biscotto, che rosicchiava lentamente, dando a tutti la sensazione di mangiare. Spesso gli chiedevo un po' di ceci o qualche biscottino, mi domandava che cosa ne facessi. Purtroppo non gli rispondevo, perché li regalavo a persone inferme. Si può dire che negli ultimi due anni della sua vita, si cibava come un uccello, non mangiava quasi più nulla. Ogni giorno, dalle ore tredici alle quindici e mezzo, si tratteneva sulla veranda a recitare il breviario o santi rosari alla Madonna e a respirare aria pura e balsamica, prima di scendere in sacrestia ed ascoltare le confessioni degli uomini. Io insieme con Padre Onorato, con l'americano Bill, divenuto Sacerdote Cappuccino dopo la morte di Padre Pio, e con qualche altro confratello, gli facevo compagnia. Circa alle ore quattordici, immancabilmente, veniva il giova-ne Mario Nalesso dalla Casa Sollievo della Sof-ferenza a portargli in un vasetto di vetro una piccola porzione di gelatina, preparata con vitamine, e un bicchiere di spremuta di arance. Non senza difficoltà, Padre Pio riusciva ad ingoiare parte della gelatina e a bere un sorso di aranciata. Per quattro mesi, ebbi il piacere di bere il resto della spremuta di arance, offertami dallo stesso caro Padre.

Frequenti incontri

Nel luglio del 1932, terminati gli studi teologici e il corso di sacra pastorale, fui destinato dai Superiori come insegnante e vice direttore nel collegio serafico di Gesualdo. D'allora in poi, ogni anno, e più volte l'anno, mi recavo a S. Giovanni Rotondo, specialmente nel periodo estivo per passare le vacanze. Ogni giorno rivedevo e mi trattenevo con Padre Pio. In quegli anni di segregazione, Padre Pio si tratteneva lunghe ore nel coro, assorto in preghiera e in meditazione; oppure nella biblioteca, attigua al coro, distrutta con la costruzione della nuova Chiesa, dove leggeva, studiava e meditava i volumi dei Santi Padri e dei Dottori della Chiesa. Quando si trovava nella biblioteca, gradiva la visita dei confratelli ed amava discorrere. Si parlava di argomenti a sfondo religioso, morale e istruttivo. Mai accennò alla terribile prova, a cui lo sottopose il Signore. Era sereno, amabile ed anche faceto. Nascondeva così bene le intime sofferenze del suo animo, da non dare alcuna sensazione ed apparenza di essere sotto torchio. Se qualcuno si permetteva di accennare ai provvedimenti restrittivi delle autorità ecclesiastiche nei suoi riguardi e di criticare l'operato dei Superiori, imponeva subito silenzio. Per noi Religiosi era il tempo più propizio per una piacevole conversazione con lui ed anche per dimostrargli tutto il nostro affetto filiale, in mezzo alle tremende tempeste, che gli si scatenavano addosso. Padre Pio, sensibilissimo dinanzi alle nostre premure e manifestazioni di affetto, ci mostrava la sua gratitudine in tanti modi. Quando sul tavolino vi erano pacchetti di paste secche, di caramelle e di cioccolatini, che gli venivano offerti, dai figli spirituali, per mezzo del Superiore locale, distribuiva ogni cosa ai Frati, che andavano a salutarlo. Si mostrava sempre comprensivo a qualsiasi nostra richiesta, e, se non poteva accontentarci, lo faceva con molta delicatezza. Quando gli chiedevo un pensierino dietro qualche immaginetta, non si rifiutava. Se non poteva, mi diceva: «Ora non posso... non ho tempo... non mi sento... vieni un'altra volta». Non dimenticava mai la promessa, anzi era lui stesso a ricordarla. Una volta gli chiesi un'immaginetta con un pensierino a tergo. Mi rispose che non ne aveva. Io non insistetti e non ci pensai più. Dopo alcuni mesi capitai di nuovo a S. Giovanni Rotondo, Padre Pio, vedendomi disse: «Non sei venuto più a prendere l'immaginetta che mi avevi chiesto... vieni nella mia camera... è pronta da tanto tempo...». Un giorno osai chiedergli i guanti. Mi domandò che cosa ne dovessi fare. Gli risposi che li avrei usati nei giorni freddi. Allora aprì lo stipo, prese alla rinfusa una manata di guanti e me li diede. Io, guardandoli, ne contai cinque e dissi: «Padre spirituale, sono dispari. Che cosa me ne faccio? Non sono neppure a pariglia, l'uno è diverso dall'altro». Padre Pio: «Se li vuoi, te li prendi, altrimenti lasciali». Non li volli lasciare, perché sapevo, che non li avrei più avuti. Soggiunsi: «Padre, questi guanti sembrano nuovi, perché non mi dà quelli usati? Mi dia quelli che ha alle mani e lei si metta i nuovi». Padre Pio: «Questi no, non te li posso dare. Quelli che ti ho dato, li ho usati e sono stati lavati». Non volli insistere, perché sapevo che aveva ricevuto ordini severi dai Superiori Maggiori di non dare guanti, calze, pezzuole intrise di sangue, per evitare fanatismo e superstizione nei fedeli. Padre Pio era obbedientissimo in tutto, anche nelle minime cose. Da giovane, fino a quando poté agire da solo, non chiese mai aiuto nel disbrigare i servizi personali. Faceva tutto da sé: raccoglieva le pezzuole insanguinate, le bende e il cotone usato per la disinfezione delle ferite e, secondo gli ordini ricevuti, andava personalmente a gettarli nella fogna.

Reintegrato nel ministero sacerdotale

Il 16 luglio 1933 finì la tremenda prova dell'isolamento di Padre Pio. Riabilitato nel pieno esercizio del ministero sacerdotale dal sommo Pontefice Pio XI, Padre Pio ritornò a celebrare la S. Messa in pubblico; a confessare e a distribuire la santa Comunione ogni giorno a centinaia di fedeli; ad amministrare il S. Battesimo a neonati e ad adulti convertiti; a benedire matrimoni; a dare consigli e conforto a migliaia di anime dubbiose e amareggiate; a prodigare il bene spirituale e materiale a quanti sfiduciati e scoraggiati ricorrevano a Lui per aiuto. Padre Pio si mostrò buono con tutti, ma, come Gesù, dava la preferenza ai peccatori ed ai figli traviati e ribelli. Io, in quei tempi, sebbene fossi di residenza in altri conventi con varie mansioni, mi recavo con frequenza a S. Giovanni Rotondo per chiedere consigli al caro Padre per me e per altre persone. Padre Pio mi ascoltava sempre con pazienza e con bontà e mi dava le risposte precise ed esatte secondo i casi. Allorché si sparse la voce della sua apparizione in Chiesa e della sua riabilitazione, cominciarono di nuovo le folle dei fedeli ad affluire a S. Maria delle Grazie da ogni regione d'Italia e da varie nazioni del mondo cattolico. Il caro Padre non risparmiava fatiche per il bene delle anime.

Il volto di Gesù

Nel settembre 1938, mio padre, D'Apolito Salvatore, residente negli Stati Uniti d'America da circa ventidue anni, accompagnato da mia sorella Nunzia, ritornò a S. Giovanni Rotondo per rivedere me, giovane Sacerdote e conoscere la famiglia della sorella maggiore sposata da quindici anni. Un tiepido pomeriggio di febbraio 1939 pieno di sole, volle fare una passeggiata fino al convento insieme con un amico, per vedere e conoscere da vicino Padre Pio e presentarsi come il padre di un religioso cappuccino. Entrato con l'amico nella chiesetta, fissò lo sguardo verso il confessionale, dove il caro Padre era intento alla riconciliazione delle anime col Signore. Rimase pietrificato e sconvolto, quando vide il volto adorabile di Gesù al posto di Padre Pio. Pensando ad un'allucinazione, richiamò subito l'attenzione dell'amico, il quale, vedendo lo stesso fenomeno, cioè il volto di Cristo, esclamò: «Ma quello non è Padre Pio; è Gesù Cristo». Entrambi commossi, dopo qualche minuto, non videro più Cristo, ma Padre Pio sofferente, il quale posò lo sguardo con dolcezza e tenerezza su mio padre lacrimante, non facile a commuoversi. Ritornato a casa, ancora in preda all'emozione, raccontò alle mie sorelle ed ai parenti ciò che aveva visto. Quella stessa sera si sentì male e si coricò con una febbraccia. Al mattino si chiamò il medico, il quale diagnosticò una gravissima broncopolmonite. Il Parroco Don Giuseppe Prencipe andò a visitarlo, lo confessò, gli portò il santo viatico e gli amministrò la estrema unzione. Presentendo la fine, invocò più volte il mio nome. Desiderava vedermi, parlarmi, avermi vicino. Io ero molto lontano: mi trovavo nel convento di Montefusco. I miei parenti non mi fecero sapere nulla, mi telegrafarono al momento del decesso. Mi precipitai a S. Giovanni Rotondo per assistere ai funerali, ma trovai la salma nella cappella del cimitero per essere tumulata. Ebbi solo il conforto di baciare la gelida fronte. Recatomi al convento, Padre Pio, abbracciandomi, disse: «Su coraggio; stai tranquillo: tuo padre è salvo. Preghiamo per lui».

«È Gesù che passa in mezzo a noi!»

Anch'io spesso ho visto il volto di Padre Pio, trasfigurato nell'Ecce Homo o in Gesù Crocifisso; o luminoso e splendente di una bellezza indescrivibile. Così fu visto nel suo lungo ministero sacerdotale sull'altare o nel confessionale o nel raccoglimento della preghiera da migliaia di figli spirituali, da curiosi e da increduli. Trovandomi in chiesa, spesso udivo improvvise esclamazioni, quando Padre Pio si presentava in pubblico. «Passa Cristo. - È Gesù che passa fra noi. - Ho visto Gesù. - Padre Pio non è un uomo, è un personaggio dell'altro mondo. - Padre Pio somiglia a Gesù». Simili espressioni furono confermate dallo stesso Padre Pio ad un'anima che avrebbe voluto vedere Gesù. «Vuoi vedere Gesù? Guarda il mio volto durante la S. Messa: vedrai Gesù». Lucietta Fiorentino scrisse nel suo diario: «... Venne Gesù a confortarci nella persona del Padre...». All'apparizione di Padre Pio, le folle, mute e commosse, lo guardavano, piangevano, imploravano una preghiera, una benedizione, una grazia, ritornavano pentite a Dio. Le scene del Vangelo, quando Gesù passava in mezzo alle folle imploranti ed acclamanti, si ripetevano ogni giorno a S. Giovanni Rotondo, presso il Santuario di S. Maria delle Grazie, quando appariva Padre Pio. Tutti coloro che hanno avuto la fortuna e la gioia di avvicinarlo hanno da raccontare qualcosa, qualche episodio, qualche grazia ricevuta. Migliaia di persone possono testimoniare le loro meravigliose esperienze personali negli incontri con Padre Pio, in cui hanno visto il Cristo. Un giorno fui pregato da una signora di S. Se- vero di accompagnare suo marito M.G., professore di scienze e di matematica, da Padre Pio. Conoscendo molto bene il professore, gentiluomo di non comune intelligenza, stimato ed apprezzato nel suo ramo, ma lontano dai sacramenti, mi meravigliai della richiesta. La signora mi assicurò che egli aveva espresso spontaneamente il desiderio di essere accompagnato da Padre Pio. Quando fummo alla sua presenza, mi accorsi che il professore M. era molto emozionato, per cui non riusciva a pronunziare una sola parola. Padre Pio, che già aveva intravisto nel suo animo, si mostrò paterno e buono. Intervenni io in suo aiuto, rispondendo alle domande del caro Padre. All'uscita del convento il professore con le lacrime agli occhi disse: «Padre Pio non è un uomo, è Cristo. Ho visto Gesù Cristo». Il professore M.G., che non si confessava da molti anni, mi pregò di accompagnarlo ancora una volta da Padre Pio per riconciliarsi con Dio. Nell'agosto del 1965 accompagnai nella cella di Padre Pio, il prof. Guerini Rocco di Roma, innamorato del francescanesimo ed ammiratore di Padre Pio. Mentre era in ginocchio ai piedi del Padre ed io gli facevo una lusinghiera presentazione, Padre Pio, rivolgendo la parola al Signor Guerini, disse: «Senti, senti quante lodi ti sta facendo; dimmi: risponde a realtà quello che dice?». Il Professore: «Padre Alberto sta esagerando». Padre Pio: «Che la tua vita risponda a quanto dice P. Alberto. Continua ad essere buon cristiano e a fare del bene». Gli posò le mani sul capo e lo benedisse. All'uscita dalla camera, il prof. Guerini mi disse: «Padre Alberto, sono tanto felice. Ho guardato il volto di Padre Pio; mi è sembrato il volto di Gesù. Era luminoso e bellissimo con due occhi splendenti come stelle. Padre Pio non è un uomo di questo mondo». La signorina Cleonice Morcaldi, una delle prime figlie spirituali di Padre Pio, che io conobbi sin dalla mia fanciullezza per vicinanza di abitazione, mi ha raccontato un bellissimo episodio, che io trascrivo. Nel 1950 un giovane studente universitario, Bruno G. di Lucera, apatico e sprezzante delle pratiche religiose, non credeva alla santità di Padre Pio, che riteneva un impostore ed un ciarlatano. Convinto dalla fidanzata di recarsi per alcuni giorni a S. Giovanni Rotondo, per rendersi conto personalmente, vi andò insieme con lei. La prima mattina assistette alla S. Messa di Pa- dre Pio con curiosità, ma al momento della consacrazione divenne pallido e preoccupato. Che cosa gli era successo? Aveva visto un grande splendore. Sulla testa di Padre Pio vi era una triplice corona di spine. Il volto era irrigato di sangue e somigliava all'Ecce Homo. Non disse nulla alla fidanzata, né ad altri, pensando ad un'allucinazione, ad un'autosuggestione o ad un inganno ottico. La seconda mattina si ripeté lo stesso fenomeno e neppure questa volta parlò, per timore di essere annoverato nella schiera dei fanatici. Il giovane era molto pensieroso e cambiato di idee e di opinioni riguardo a Padre Pio. Il terzo giorno ci fu il colpo di grazia. Alla consacrazione dell'ostia, vide il volto di Padre Pio contrarsi e trasformarsi nel volto di Gesù sospeso sulla croce, con una triplice corona di acute spine sul capo sanguinante. A quella vista proruppe in pianto, notato dalla fidanzata. Questa, che gli stava vicino, volle sapere la causa del pianto. Usciti dalla Chiesa, il giovane raccontò quanto aveva visto nei tre giorni durante la S. Messa di Padre Pio. Volle confessarsi col Padre, al quale aprì il suo animo. Padre Pio gli disse: «Figlio mio, quanto ho sofferto per te!... Quanto mi costi per liberarti dalle catene di Satana!...». Nel fare visita alla signorina Cleonice Morcaldi, amica della fidanzata, il giovane raccontò quanto gli era capitato e aveva visto nelle tre SS. Messe di Padre Pio. Cleonice, alcuni giorni dopo, parlando con Padre Pio, lo interrogò se fosse vero quanto Bruno di Lucera aveva visto e le aveva raccontato. Padre Pio le rispose: «Sì, è tutto vero». Cleonice: «Allora, Padre, quando voi celebrate la S. Messa, siete coperto di piaghe dalla testa ai piedi?». Padre Pio: «Sull'altare sono crocifisso con Cristo e soffro con Lui tutte le pene del calvario. La mia gioia è nella sofferenza che redime le anime». Qualche anno dopo, Padre Pio, unì in matrimonio e benedisse i due giovani fidanzati, che sono stati sempre fedeli ai suoi insegnamenti.

Padre Pio in mezzo a un gruppo di giovani

Padre Pio in mezzo a un gruppo di giovani

Linea flashing backefro

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Uno scherzo di Padre Pio

Nel settembre del 1939 fui trasferito da Mon- tefusco nel convento del S. Noviziato a Mor- cone, dove alcuni mesi dopo, ebbi un'intossicazione, da cui si sviluppò una grave forma di malattia della pelle, noiosa e ribelle, che mi tenne ricoverato per due mesi nell'ospedale degli Incurabili di Napoli. Sin dalla Pasqua dell'anno precedente, avevo accettato l'invito della predicazione quaresimale nella cittadina di Martano in provincia di Lecce. Era già arrivato il tempo di soddisfare all'impegno, ma non ero ancora perfettamente guarito e mi sentivo debolissimo. Temevo di non condurre a termine la sfibrante predicazione quaresimale e quindi non sapevo quale decisione prendere. Da Morcone mi recai a San Giovanni Rotondo per consigliarmi con Padre Pio, esponendogli i miei timori di affrontare efficacemente un lavoro molto impegnativo ed improbo per le mie precarie condizioni di salute. Padre Pio, dopo avermi ascoltato, disse: «Figlio mio, va pure tranquillo... le anime hanno bisogno... Io pregherò la Madonna... vedrai, tutto andrà bene». Rassicurato dalle parole di Padre Pio e confortato dalla sua paterna benedizione, partii per Martano. Sin dalla prima sera, la chiesa matrice del- l'Assunta era gremita. Il Parroco Don Alfonso Filoni rimase contento e soddisfatto. Man mano che passavano i giorni, nonostante i corsi speciali alle varie categorie ed ai ragazzi, nel pomeriggio, la chiesa ogni sera diveniva sempre più piccola per accogliere la folla dei fedeli. Dal mattino a mezzogiorno ero inchiodato nel confessionale per riconciliare le anime con Dio. Non avvertivo stanchezza; anzi mi era scomparso ogni residuo di malattia e mi sentivo in piena efficienza di forze. Il giorno di Pasqua, fu il giorno del trionfo. A mia insaputa, fu organizzata una dimostrazione di gratitudine e di affetto dal Parroco e dalla cittadinanza con la partecipazione delle autorità civili. Terminata la messa solenne con la predica di Pasqua mi avviai col Parroco, coi sacerdoti locali e coi Religiosi Cistercensi verso l'uscita della Chiesa. Giunti sul sagrato, dove vi erano le Autorità, vidi una folla immensa di gente, ammassata nella piazza, sentii uno scroscio formidabile di applausi e subito le note allegre e festanti della banda cittadina. Non ancora mi rendevo conto di ciò che avveniva, quando improvvisamente mi sentii afferrare e sollevare in alto da giovani robusti che volevano portarmi in processione. Allora pensai che fossero tutti impazziti. Mi dimenavo, cercavo di liberarmi da quella morsa di braccia, pregavo, supplicavo che mi lasciassero libero, assicurando di seguirli. Finalmente con l'intervento del Parroco, fui lasciato libero, ma costretto a partecipare al corteo per il corso principale di Martano sotto una pioggia di fiori. Al ritorno, dopo Pasqua, salii a S. Giovanni Rotondo: Padre Pio, incontrandomi nel corridoio, disse: «Hai visto che cosa sa fare la Madonna!». «Padre spirituale, è stato lei che mi ha combinato quel pasticcio...». Padre Pio: «Io!... io ho soltanto pregato per te; la Madonna ha fatto tutto. Ringrazia ed ama sempre la Mamma celeste».

Raccomandava la diffusione del Terz'Ordine

Negli anni della mia permanenza nel convento di Morcone, mi dedicai con tutto l'entusiasmo giovanile alla diffusione del Terz'Ordine Francescano in sede e in tanti paesi della zona. Negli incontri, non rari, che avevo con Padre Pio a S. Giovanni Rotondo, mi raccomandava di lavorare con amore nel Terz'Ordine e di fare conoscere alle anime la sua vitalità spirituale, che egli soleva chiamare: scuola di santità-palestra di virtù-fucina di anime generose. Mi consigliava di diffonderlo non solo in mezzo al popolo, ma di farlo conoscere agli intellettuali e alla gioventù maschile e femminile. Godeva quando gli raccontavo di avere istituito diverse fraternità terziarie nei Paesi del Sannio; quando sentiva che vi facevano parte anche maestri, professori, avvocati, sacerdoti diocesani, giovani studenti ed operai. Mi rivolse parole di incoraggiamento e di encomio quando gli dissi che tenevo una volta alla settimana lezioni di francescanesimo alla gioventù studentesca maschile e femminile per la formazione degli attivisti e delle propagandiste. Infatti, parecchi giovani laureati, giovanissime maestre, studentesse universitarie, cominciarono a tenere conferenze francescane, non solo nella zona del Sannio, ma in tutta la provincia monastica di Foggia, mettendosi a disposizione del Commissario provinciale del Terzo Ordine Francescano. Padre Pio, nei cinquant'anni di residenza e di crocifissione a S. Giovanni Rotondo, non si stancò mai di parlare e di fare conoscere lo spirito del Terz'Ordine alle anime, ai penitenti ed ai figli spirituali, esortandoli ad entrare nella famiglia francescana. Sotto la sua guida illuminata, attraverso gli anni, il Terz'Ordine di S. Giovanni Rotondo fiorì di anime elette e di opere benefiche. Fino a quando poté agire da solo, quasi ogni domenica, dopo la funzione vespertina, teneva la cerimonia di ammissione alla vestizione e alla professione di folti gruppi di postulanti, ai quali rivolgeva parole semplici ed infuocate di esortazione a vivere lo spirito di San Francesco e a perseverare fedelmente fino alla morte.

Sofferenze a causa della guerra

Nel periodo della seconda guerra mondiale 1940-45 Padre Pio soffrì immensamente per la pazzia di uomini incoscienti, che diedero inizio ad una delle più feroci guerre della storia umana, che coinvolse tutto il mondo. Egli biasimò e condannò l'orgoglio satanico e la crudeltà sanguinaria di chi aveva voluto la guerra. Pregava, piangeva, soffriva per muovere il Signore a pietà di tanti poveri innocenti e di centinaia di migliaia di vittime della ferocia umana. Noi tutti, constatando la celerità incredibile delle armate tedesche nell'occupare mezza Europa nel 1941, eravamo convinti che la guerra sarebbe terminata presto. Un giorno, commentando la guerra lampo dei tedeschi, chiedemmo a Padre Pio che cosa ne pensasse. Il caro Padre con l'amarezza sul volto ci rispose: «Siamo ancora all'inizio. La guerra durerà a lungo: la vedremo passare di paese in paese, come una piena travolgente, seminando distruzione, sangue e morte. Che il Signore ci salvi!». Lo interrogammo se S. Giovanni Rotondo sarebbe stata risparmiata dal flagello della guerra. Padre Pio rispose: «Il Signore per la sua infinita bontà risparmierà questo luogo benedetto e tutto il Gargano». Infatti il tempo diede ragione a Padre Pio. La guerra durò a lungo. Quando si pensava che, con la resa, l'Italia si sarebbe salvata, proprio allora cominciò la lenta marcia di distruzione e di sangue, paese per paese, dal meridione al settentrione. Il Gargano rimase incolume. Dopo la guerra molte famiglie, non vedendo ritornare i loro cari, preoccupate dalla mancanza di notizie, si affrettarono a fare ricerche e a chiedere informazioni circa la loro sorte. Molti furono deportati nei campi di concentramento in Germania e sterminati nei forni crematori, altri furono dichiarati dispersi. A Morcone la signora Giuseppina Gagliardi fervente terziaria francescana, non vedendo ritornare il giovanissimo figlio Italo, chiamato alle armi nel 1942, si sentiva impazzire al pensiero che avesse fatto una brutta fine. Un giorno, dovendo recarmi a S. Giovanni Rotondo, mi pregò di interrogare Padre Pio, il quale mi rispose: «Povero figlio, quanto ha sofferto!...» e tacque. Io soggiunsi: «Padre, che cosa debbo dire alla mamma?». Padre Pio: «Ora non soffre più. Bisogna rassegnarsi alla volontà di Dio». La signora Gagliardi non soddisfatta delle parole di Padre Pio, continuò le ricerche, tramite la croce rossa. Scrisse anche alla curia vescovile di Novara, da dove il figlio fece pervenire le sue ultime notizie. Dopo tante ricerche, risultò che Italo Gagliardi, insieme con altri militari fuggiaschi, era caduto sotto i colpi dei partigiani, mentre cercava di raggiungere il meridione.

Un parto felice

Un giorno dell'anno 1945, la signora Maria Mimmi, nipote del Cardinale Marcello Mimmi, arcivescovo di Napoli, e moglie del Dottore Gian Vincenzo Mobilia, medico e benefattore del Santo Noviziato di Morcone, mi parlò della sua difficile gravidanza e del timore di perdere il secondo bambino. La prima gravidanza le andò male col parto cesareo, e con la perdita del bimbo. Nella seconda gravidanza, visitata da un rinomato ginecologo, le fu riscontrata la stessa irregolarità della prima gravidanza. Preoccupata, mi raccomandò di scrivere una lettera a Padre Pio, affinché pregasse per un parto felice. L'assicurai di recarmi al più presto a S. Gio- vanni Rotondo e di parlarne con Padre Pio, sicuro che avrebbe pregato e ottenuto dal Signore la sospirata grazia. Nell'incontro con Padre Pio, gli riferii quanto mi aveva detto la signora Mobilia. Padre Pio mi rispose che avrebbe pregato e che sarebbe andato tutto bene. Qualche mese prima del parto, la signora passò una visita di controllo. Il ginecologo notò l'irregolarità della seconda gravidanza, la necessità del parto cesareo e l'incertezza della nascita del bimbo vivo. La signora Mobilia, presa da sgomento e da paura, mi fece chiamare per comunicarmi il responso medico e per pregarmi di scrivere subito a Padre Pio. Io le risposi: «Signora, se Padre Pio ha detto che il parto sarà regolare, sono certo che tutto andrà bene. Domani dovrò recarmi a Foggia, di là farò una scappatina a San Giovanni Rotondo e gliene parlerò di nuovo». La signora, sentendo che sarei andato a S. Giovanni Rotondo, mi disse: «Padre Alberto, dite a Padre Pio che desidero tanto un maschietto». Le risposi: «Signora, dirò a Padre Pio di pregare per un parto felice. Non so se avrò il coraggio di dirgli che lei desidera un maschietto. Ci proverò». Infatti, parlando con Padre Pio, gli esposi le preoccupazioni della signora, timorosa di perdere il secondo bambino. Padre Pio, chiaro e deciso, mi rispose: «Ti ho detto che tutto andrà bene». Allora mi feci coraggio ed aggiunsi: «Padre, mi perdoni se dico qualche altra parola. La signora Mobilia desidera un maschietto...». Padre Pio: «Il Signore l'accontenterà». Un pomeriggio la signora Mobilia avvertì i primi sintomi dolorosi dell'imminente parto. Il marito immediatamente l'accompagnò a Cam- pobasso per il ricovero in una clinica. Appena ricoverata, senza alcun intervento chirurgico, assistita dallo stesso marito e da un'ostetrica, diede felicemente alla luce un bel maschietto, di nome Tomasino, che, attualmente, laureato in medicina, continua l'opera umanitaria del defunto suo padre a sollievo e a beneficio dei sofferenti.

Il mio trasferimento a Pietrelcina

Nell'ottobre del 1950 fui trasferito come Su- periore dalla quiete del S. Noviziato al convento di Pietrelcina, trasformato in un grande cantiere assordante di muratori, pittori, operai, scalpellini, fabbri, falegnami, che lavoravano senza sosta fino a tarda sera per completare e inaugurare la Chiesa nel maggio 1951. Padre Pio espresse gradimento e compiacimento della mia destinazione al convento di Pietrelcina, ai suoi compaesani, che gli chiedevano il parere circa il nuovo superiore. Per me, il trasferimento a Pietrelcina, se fu motivo di soddisfazione e di gioia, fu anche motivo di preoccupazione e di angustia in un ambiente delicato e battagliero. La popolazione semplice, buona, religiosa, era divisa in due partiti, sempre in lotta verbale tra loro per futili motivi. Spesso coinvolgevano nelle loro beghe paesane anche i Frati, per una visita di convenienza, per una parola, per un saluto rivolto ad una persona di parte avversa. I Frati si trovavano tra l'incudine e il martello, sotto controllo dell'una e dell'altra parte. Questa situazione infastidiva tutti. Prima di raggiungere la nuova residenza, mi recai a S. Giovanni Rotondo per parlare con Padre Pio e chiedergli un consiglio su come regolarmi. Padre Pio mi disse: «Comportati da buon religioso; tratta tutti come fratelli e sorelle con molta carità; non t'immischiare nelle beghe paesane; lavora con coscienza e intelligenza, vedrai che i pucinari ti stimeranno e ti vorranno bene. Ciò che dico a te, ripetilo ai Religiosi della Comunità. Io ti aiuterò con la preghiera e coi consigli, se sarà necessario, e anche col richiamo e col rimprovero a quanti verranno qui a dire male di te e dei Frati». Con l'appoggio morale e con la benedizione di Padre Pio, rasserenato andai a prendere possesso della nuova sede e del nuovo incarico. Riunii i confratelli della nuova famiglia religiosa e di comune accordo stendemmo un programma di lavoro, di apostolato e di solidarietà conventuale. Le parole e i consigli di Padre Pio furono una profezia. Ben presto ci accattivammo la simpatia, la benevolenza e l'affetto della popolazione. Una grande sala fu adibita a cappella, affollatissima nelle SS. Messe domenicali e festive. I Religiosi erano a disposizione dei fedeli per le confessioni, per l'amministrazione dei sacramenti, per l'assistenza dei moribondi, per le SS. Messe festive nelle cappelle della campagna e per l'aiuto al Parroco nella chiesa parrocchiale. In pochi mesi ci fu un risveglio incredibile di spiritualità francescana. Il Terz'Ordine, raccomandato da Padre Pio e assistito con amore dai confratelli che ci precedettero, si sviluppò e crebbe in modo tale da oltrepassare la cifra di cinquecento militanti di ambo i sessi. La gioventù francescana era molto fiorente ed attiva. I cordigeri e le cordigere au- mentavano di giorno in giorno sotto la guida e lo zelo della Ministra Zaira Colesanti, che voleva trasformare, secondo il desiderio di Padre Pio, tutta la popolazione di Pietrelcina in una grande famiglia francescana. Padre Pio era a conoscenza del fermento francescano sorto nel suo paese e gioiva nell'apprendere il bene che si faceva in tutti i rami dell'attività umana. Quando mi recavo a S. Giovanni Rotondo, gli raccontavo ogni cosa ed egli, soddisfatto, mi incoraggiava a continuare in questo fecondo apostolato di bene.

Odore d'incenso e canto di Angeli

A Pietrelcina, fino al 1947, non ci fu mai un convento di Frati Cappuccini, né di altri Ordini Religiosi. Padre Pio, ancora giovanissimo, da poco tempo consacrato sacerdote, un tardo pomeriggio, ritornava insieme col parroco Don Salvatore Pannullo dal cimitero al paese. Giunto sul luogo, dove attualmente sorge il convento dei Padri Cappuccini con l'annesso Seminario Serafico e con la bellissima Chiesa, con spirito profetico disse: «Zi' Tore, che odore d'incenso! Che canto di Angeli! Non sentite nulla?». Don Salvatore, sbalordito, rispose: «Piuccio, ti sei impazzito o stai sognando? Qui non si sente né odore d'incenso, né canto di Angeli». Padre Pio: «Zi' Tore, qui un giorno sorgerà un convento di Frati con una Chiesa: s'innalzerà al Signore ogni giorno l'incenso della preghiera e il canto delle lodi». Don Salvatore, conoscendo bene la vita santa di Padre Pio, rispose: «Volesse il cielo!». Passarono molti anni: finalmente giunse il tempo, in cui le parole di Padre Pio dovevano avverarsi. Dopo la partenza dalla sua cara terra, nel fabbraio 1916, per il ritorno definitivo in convento, prima a Foggia, poi a S. Giovanni Ro- tondo, dove il Signore lo aveva predestinato, i Pietrelcinesi non lo dimenticarono mai: lo rimpiangevano e desideravano il suo ritorno. Nel 1919, quando appresero la notizia della cruenta e miracolosa crocifissione di Padre Pio, si recarono in massa a S. Giovanni Rotondo per vederlo e baciargli le mani piagate. Cominciarono a vagheggiare il sogno di costruire a Pietrelcina un convento per i Frati Cappuccini della Provincia monastica di Foggia con la speranza di riavere Padre Pio nel proprio paese. Il loro desiderio doveva realizzarsi alcuni anni dopo, quando una ricca signorina protestante, Maria Pyle degli Stati Uniti d'America, convertita al cattolicesimo, decise di vivere a S. Giovanni Rotondo per essere vicina a Padre Pio, suo direttore spirituale. Alcuni esponenti Pietrelcinesi, non potendo costruire un convento e una chiesa nel loro paese per mancanza di fondi, pensarono di rivolgersi a Maria Pyle, la quale, amante del bene, aderì con entusiasmo alla loro richiesta, assumendosi l'impegno di costruire a sue spese il convento e la Chiesa. Ne parlò con Padre Pio, il quale acconsentì alla bella iniziativa, la benedisse e raccomandò d'iniziare al più presto i lavori. Maria Pyle mise a disposizione tutti i suoi fondi per realizzare un moderno convento e un seminario serafico. Il signore Alessandro Silvestri offrì il terreno ad un prezzo irrisorio in omaggio a Padre Pio. Il progetto del convento fu fatto dall'ingegnere A. Todini della città del Vaticano. Il Cardinale Luigi Lavitrano, Arcivescovo di Benevento, il 13 giugno 1926 ne benedisse la prima pietra. La popolazione, con a capo l'arciprete Don Salvatore Pannullo e le Autorità cittadine, rispose generosamente alla costruzione del convento, prestandosi tutti a portare pietre e ad offrire giornate lavorative senza alcun compenso. Il 24 maggio 1928 il Cardinale Lavitrano benedisse la prima pietra della Chiesa, in stile gotico secondo il progetto dell'ingegnere Milani approvato da Padre Pio. Il convento fu ultimato in pochi anni, ma ai frati non fu data l'autorizzazione di prenderne possesso. Rimase abbandonato per lungo tempo e durante la guerra fu adibito a caserma con grave deterioramento. Dopo ventuno anni di attesa, il Cardinale La- vitrano, nominato Prefetto della Sacra Congregazione dei Religiosi, diede subito il nulla osta ai Frati Cappuccini di prendere possesso del loro convento. Il 5 luglio 1947 i Cappuccini della monastica provincia di Foggia, con la partecipazione dei Superiori Maggiori e di una folta schiera di Frati, furono accolti festosamente dalle autorità cittadine, dal clero locale, dalle associazioni cattoliche e dall'intera popolazione. Mons. Agostino Mancinelli, Arcivescovo di Benevento, il giorno seguente, presenziò all'inaugurazione del convento con un solenne Pontificale.

La Provvidenza nel Convento

Con l'inaugurazione del convento e con l'apertura del seminario serafico sorse il problema delle provviste per una comunità di cinquanta persone. Data la mancanza di risorse, a causa della povertà del piccolo paese, sorse tra i Frati la preoccupazione di non poter mantenere convenientemente un numero abbastanza elevato di collegiali. Il timore dei Frati fu riferito da Fra Modestino Fucci a Padre Pio, il quale, calmo e sereno, esclamò: «Gente di poca fede!... Il Signore manderà tanta provvidenza da sfamare frati, ragazzi e poveri!... e ce ne sarà di avanzo!...». Infatti, i viveri non mancarono mai; erano sempre sovrabbondanti; il supero era sufficiente per l'anno successivo. Fra Modestino, addetto alle provviste, aveva le dispense sempre piene, si meravigliava e gioiva di tanta provvidenza, dovuta certamente alle preghiere di Padre Pio. Nel mio sessennio di residenza a Pietrelcina, potei constatare in modo evidente l'intervento divino in qualsiasi momento e circostanza per il fabbisogno della comunità e del seminario.

Tu resterai anche dopo la morte

Nel luglio 1949 furono ripresi i lavori della chiesa, secondo il progetto Milani, alquanto modificato dall'impresa Annunziata di Acerra e diretti dall'ingegnere Valente di Pietrelcina. Il primo Superiore fu Padre Luca da Vico del Gar-gano, religioso di grande bontà e generosità, che col suo modo di fare, sempre cortese e sorridente, seppe accattivarsi la stima e la benevolenza della popolazione. Si prodigò con ardore giovanile nelle varie attività del sacro ministero e nel beneficare indistintamente quanti ricorrevano a lui per qualsiasi motivo. Il 10 agosto dello stesso anno, lo incontrai nel convento di S. Giovanni Rotondo per la ricorrenza del trentanovesimo anniversario dell'ordinazione sacerdotale di Padre Pio. Mi parlò con entusiasmo della sua molteplice attività nel nuovo convento. Lo incoraggiai. Ricordo che prima di congedarsi da Padre Pio pronunziò questa espressione: «Padre, quanti sacrifici in mezzo a tanto polverume e rumori assordanti! Alla fine per ricompensa sarò trasferito in un altro convento!...». Padre Pio: «Tu resterai per sempre a Pietrelcina... anche dopo la morte». Infatti, P. Luca morì tre mesi dopo questo incontro, il 2 novembre 1949, rimpianto da tutta la cittadinanza, che lo volle sepolto nel proprio cimitero. Dopo il S. Natale, Padre Pio diede l'incarico al fratello Michele Forgione, che si recava a Pietrelcina per la raccolta delle olive, di dire ai frati ed ai concittadini che, la notte del S. Natale, aveva visto l'anima di P. Luca ascendere nello splendore del Paradiso e pregare per il popolo. L'anno successivo l'obbedienza mi mandò a Pietrelcina per occupare il posto di P. Luca e continuare la sua multiforme attività.

«La conosco meglio di te»

I lavori della Chiesa volgevano verso la fine. Si stava avvicinando la data dell'inaugurazione, fissata, d'accordo coi superiori della Provincia monastica, per il 20 maggio 1951. Per volontà esplicita di Padre Pio, la Chiesa fu dedicata alla Sacra Famiglia. Il geniale costruttore di Casa Sollievo della Sofferenza e dilettante pittore, Angelo Lupi, preparò su una tela un dipinto ad olio della Sacra Famiglia. Fa-cemmo precedere la consacrazione e l'inaugurazione della Chiesa da un corso di sante missioni, predicate da zelanti Padri Cappuccini nella Chiesa parrocchiale e nella cappella del convento. Il 19 maggio 1951, l'Arcivescovo di Benevento, Mons. Agostino Mancinelli, consacrò solennemente la Chiesa, presenti i Superiori maggiori, molti religiosi e sacerdoti diocesani, una folla immensa di cittadini e di forestieri, venuti da lontano, specie da S. Giovanni Rotondo e da Bologna. Il mattino del 20 maggio ci fu l'inaugurazione con la partecipazione dell'Arcivescovo, dei Superiori della Provincia, di un gran numero di Cappuccini, delle autorità civili e militari di Benevento, di Pietrelcina, di S. Giovanni Rotondo e di una grande moltitudine di figli spirituali di Padre Pio, fra cui spiccava la figura emozionata di Maria Pyle, che a sue spese aveva costruito il convento e quasi tutta la Chiesa. All'inaugurazione doveva partecipare anche Padre Pio, in forma privatissima. Qualche mese prima, studiammo con i Superiori Provinciali e col Superiore di S. Giovanni Rotondo come fare partecipare Padre Pio consenziente, senza fare trapelare la notizia ad alcuno. Ma, pochi giorni prima dell'inaugurazione, la notizia divenne di pubblica opinione e così fallì la venuta di Padre Pio. Dopo l'inaugurazione, recatomi a S. Giovanni Rotondo, feci la relazione a Padre Pio, raccontando tutto, anche la delusione e il dispiacere della popolazione per la sua assenza. Poi dissi: «Padre spirituale, qualche giorno venga a conoscere la Chiesa... è molto bella». Padre Pio mi rispose: «La conosco meglio di te». Io soggiunsi: «L'ha vista forse sulla foto?». Padre Pio: «Ci sono stato. Ti posso dire anche i minimi particolari e i gradini della scalinata dinanzi all'ingresso, che tu non sai». Infatti, io non sapevo quanti scalini ci fossero perché non li avevo mai contati. Penso che Padre Pio sia stato in bilocazione nella Chiesa del convento di Pietrelcina. Ciò trova una conferma nel diario di P. Agostino da S. Marco in Lamis, come egli scrisse il 13 dicembre 1941, dopo un dialogo con Padre Pio: «Io morirò di consolazione quel giorno che vedrò aperto il convento di Pietrelcina». Padre Pio gli rispose: «Ma voi sarete il guardiano di Pietrelcina dopo il Provincialato!...». Padre Agostino: «E ci sarai anche tu presente nella funzione di apertura?». Padre Pio: «Sarò presente a Pietrelcina e contemporaneamente sarò nel confessionale di S. Giovanni Rotondo». Quanta semplicità e sicurezza egli mostrava in queste parole!

«Non mancare più alla Santa Messa!»

Durante i lavori intensi e febbrili per il completamento della Chiesa di Pietrelcina, la Ditta Annunziata di Acerra faceva lavorare gli operai anche nelle Domeniche e nei giorni festivi. Un giorno una ragazza ventenne del luogo, Teresa Fucci, che lavorava come manovale, si recò insieme con altre compaesane a confessarsi con Padre Pio. Dopo l'accusa delle colpe commesse, Padre Pio le disse: «Non ricordi più nulla?». La ragazza: «Padre, no: ho detto tutto». Padre Pio: «Il giorno di S. Pietro, festa di precetto, non hai ascoltato la S. Messa ed hai lavorato». La ragazza, che non ricordava più nulla, illuminata dalle parole di Padre Pio, rispose: «Sì Padre, quel giorno andai a lavorare e non ascoltai la S. Messa». Padre Pio, in tono di rimprovero: «Non hai pensato alla grave offesa fatta al Signore?». La ragazza tremante rispose: «Padre, ho mancato, ma se non fossi andata a lavorare, temevo di essere licenziata. Noi siamo poveri». Padre Pio: «Sarebbe stato meglio farti licenziare, che offendere gravemente il Signore». Poi addolcendo la voce, le disse: «Stai attenta a non mancare più alla S. Messa nei giorni di festa e a non offendere mai il Signore»; indi le diede la santa assoluzione.

Padre Pio sorrise

Dopo l'inaugurazione, i Superiori maggiori mi dissero: «Ora tocca a te continuare i lavori di rifinitura e di abbellimento». Risposi: «Come posso continuare i lavori interni, che sono più costosi della stessa fabbrica senza fondi e senza denaro!». Mi recai a S. Giovanni Rotondo e ne parlai con Padre Pio, il quale mi consigliò di lanciare un appello ai suoi concittadini, residenti negli Stati Uniti d'America. All'appello risposero con entusiasmo e generosità il Comm. Antonio Sagliocca, il fratello Teodoro, i signori Orlando Nicola, Cavalluzzo Angelomarino, Crafa Vincenzo, Cardone Se- condo, Iadanza Masone Maddalena, Cardone Saginario Graziella, Vanasco Angela e tanti altri, che spedirono pingui offerte di propria tasca e raccolsero collette. D'accordo con i Religiosi della Comunità, invitai artisti e scultori per discutere con essi circa i vari lavori di rifinitura e di abbellimento da attuarsi. Al maestro in falegnameria Laurino Crovella di Pietrelcina fu affidata la lavorazione delle panche, dei confessionali, dei genuflessori, del coro e del bancone in sacrestia, eseguita a perfezione, secondo lo stile della Chiesa. Lo scultore prof. Ruggero Pergola di Pietrasanta fu incaricato di lavorare con stalattite e con marmi pregiati le due balaustre, l'una sul presbiterio, un gioiello d'arte, e l'altra sul coro; le pile dell'acqua santa, gli altarini, il rivestimento delle pareti delle cappelle con marmi carsici e, in un secondo tempo, il bellissimo altare maggiore. Il Prof. Ferzetti di Teramo, accademico pontificio, lavorò le pregiate ed artistiche vetrate istoriate, pagate da diversi benefattori americani. La scelta dei santi da stampare fu fatta da Padre Pio, dietro desiderio dei donatori. Le statue, tutte in legno, ad eccezione di S. Antonio di Padova in cartapesta, furono lavorate da rinomati artisti di Ortisei. La scelta dei santi fu fatta o meglio fu consigliata da Padre Pio. La statua dell'Immacolata, donata dai figli spirituali di Bologna, fu benedetta dal Papa Pio XII e da Padre Pio. I quadri della Via Crucis a stile romanico, intonato allo stile della Chiesa, furono lavorati ad Ortisei. Il dipinto della Sacra Famiglia sulla parete centrale dell'Altare Maggiore, essendo esposto alla critica di artisti e di competenti, fu sostituito con un'opera d'arte. Ottenuta l'approvazione da Padre Pio, mi rivolsi allo studio del Mosaico Vaticano e ordinai la riproduzione della Sacra Famiglia del Murillo in sostituzione della tela di Lupi. Padre Pio, nel darmi l'assenso, mi raccomandò di agire con prudenza e di non irritare Lupi, che aveva in corso i lavori colossali di Casa Sollievo della Sofferenza. La riproduzione in mosaico dall'originale fu fedele e perfetta , a spese della signora Graziella Cardone, insigne benefattrice. La domenica 31 maggio 1953, festa della SS. Trinità, il mosaico della Sacra Famiglia fu benedetto dal Provinciale P. Antonino da S. Elia a Pianisi, alla presenza di una grande folla, che gremiva la Chiesa. Recatomi da Padre Pio, gli parlai della bellezza del mosaico. Padre Pio, mi disse: «Stai attento, se ti vede Lupi, ti spara». Io gli risposi: «Padre, lei lo ammansisca, come S. Francesco ammansì il lupo di Gubbio». Padre Pio sorrise. Per riempire il vuoto antiestetico della semiluna sul portale dell'ingresso principale della Chiesa, feci lavorare dallo stesso studio del mosaico vaticano il Redentore a mezzo busto su sfondo in oro, di meraviglioso effetto, pagato dai coniugi Mario e Antonietta Reali. Inoltre, per impedire la costruzione di case sul suolo demaniale dinanzi alla facciata della Chiesa, chiesi ed ottenni dall'amministrazione comunale di trasformare detto suolo in giardino, con l'erezione di un monumento a S. Francesco d'Assisi. La statua in bronzo fu lavorata e coniata dal prof. De Carolis di Roma, pagata dalla signora Angela Vanasco, residente a Jamaica negli Stati Uniti. Tutti i lavori eseguiti nel convento e nella Chiesa di Pietrelcina, durante il primo triennio del mio superiorato, ebbero sempre l'approvazione e la benedizione di Padre Pio.

Parroco a San Severo

Nell'ottobre 1953, scaduto il sessennio di superiorato, secondo le nostre costituzioni, fui trasferito da Pietrelcina a San Severo, con l'incarico di Parroco nella Chiesa di Maria SS.ma delle Grazie, affidata a noi Cappuccini. Per alcuni mesi, rimasi indeciso se addossarmi o meno la grave responsabilità di una parrocchia periferica, molto estesa e popolata. Costretto dai Superiori a decidermi, mi recai a S. Giovanni Rotondo a consigliarmi con Padre Pio, il quale, senza ascoltare ragione, mi disse: «Fai l'obbedienza. È questa la volontà di Dio. Ti aiuterò con la preghiera». Padre Pio non mancò alla promessa. Durante gli otto anni di vita e di lavoro parrocchiale, mi fu sempre vicino con la preghiera e coi consigli. Più volte al mese salivo a S. Giovanni Rotondo, ora per un chiarimento, ora per un dubbio, ora per un consiglio e il caro Padre era sempre pronto ad aiutarmi, a darmi una risposta esatta e giusta e a risolvere problemi delicati. Non mi sono mai pentito di avere ascoltato e messo in pratica i suoi consigli e le sue direttive, anche in momenti e situazioni difficili. Un giorno, trovandomi nella sua cella a discorrere di iniziative riguardanti la parrocchia, mi disse: «Quale responsabilità pesa sulla coscienza dei Parroci! Il Parroco è responsabile della salvezza delle anime. Come Gesù deve essere pronto a tutto, anche al sacrificio di se stesso. Non dovrebbe mai stancarsi di chiamare, avvicinare e parlare con umiltà e dolcezza con tutti, specie con le pecorelle smarrite. Nulla si può, senza la grazia di Dio. È necessario pregare ed armarsi di pazienza, di bontà e di carità. Lavorare esclusivamente per il bene materiale delle famiglie, dimenticando lo spirito, è errato; come è riprovevole il lavoro e il ministero fatto per interesse». Nei momenti di scoraggiamento sapeva infondermi tanta serenità da farmi dimenticare le contrarietà, le difficoltà e i dispiaceri. Un'altra volta mi disse:«Il parroco è simile a Cristo. Come a Gesù non sono mancate le sofferenze, le incomprensioni, le condanne, così non possono mancare le croci e le sofferenze a chi ha la responsabilità della salvezza delle anime».

Il suo caratteristico profumo

Più volte mi assicurò il suo aiuto con un paterno abbraccio ed anche da lontano mi fece constatare, in alcune circostanze, sensibile la sua presenza, con ondate misteriose del suo caratteristico profumo indecifrabile. Che la percezione dell'ondata di profumo, emanante dalla sua persona, fosse un segno della sua presenza spirituale, non c'è dubbio. Egli stesso tante volte ce lo fece intendere negli incontri, nelle promesse, nelle richieste di preghiere e di protezione. Si è molto parlato e discusso del profumo misterioso, emanante ad ondate dalla persona di Padre Pio e non da tutti i presenti percepito o sentito con odori diversi da persone dello stesso gruppo. La realtà è che centinaia di migliaia di individui, anche increduli, hanno testimoniato e continuano a testimoniare di avere sentito improvvisamente e inspiegabilmente il profumo di Padre Pio a S. Giovanni Rotondo, nella chiesa, nel corridoio, nel piazzale, negli alberghi, o a centinaia di chilometri di distanza, specialmente nei momenti di pericolo. Non sapendo spiegare l'origine del misterioso profumo, guardavano attorno, scandagliavano minuziosamente tutti gli angoli della casa o del luogo, dove si sentiva il profumo, per rendersi conto della provenienza. Se erano persone che avevano conosciuto Padre Pio, il mistero era svelato; se poi erano individui che non avevano mai sentito parlare di Padre Pio, rimanevano nel mistero fino a quando non ne venivano a conoscenza e si recavano da lui. Anche dopo la morte di Padre Pio il fenomeno del misterioso profumo non è cessato. Spesso è avvertito da chi non ci pensa, non solo a S.Gio- vanni Rotondo, ma persino nelle Americhe e nelle più lontane parti del mondo. Il profumo è un carisma, che spesso hanno quelle anime, che vivono in concetto di santità. I carismi divini sono molteplici e il Signore li elargisce gratuitamente in parte, o nella pienezza, a chi vuole e secondo la missione da compiere. Non tutti i Santi venerati nella Chiesa cattolica sono stati insigniti dei carismi divini. Padre Pio ebbe dal Signore la pienezza dei carismi, necessari all'espletamento della grande missione, a cui era stato chiamato, quella di essere il rappresentante stampato di Gesù Crocifisso, corredentore e vittima per la salvezza delle anime. L'interpretazione del significato dei diversi odori percepiti è puramente arbitraria. Padre Pio non ne ha mai parlato né ha mai dato alcuna spiegazione. Faceva però intendere che il profumo percepito significava la sua presenza.

«C'era uno che ci accompagnava»

Alcuni anni addietro pubblicai sulla rivista «Voce di Padre Pio» un episodio dal titolo «C'era uno che ci accompagnava», riguardante l'ondata di un meraviglioso profumo avvertito da circa cinquanta persone durante un pellegrinaggio in Sicilia nel settembre del 1955. Da S. Severo, dove ero parroco di Maria SS. delle Grazie, con un gruppo di parrocchiani, mi aggregai al pellegrinaggio alla Madonna delle Lacrime di Siracusa, organizzato dal Terz'Or-dine Francescano di S. Giovanni Rotondo. Eravamo circa cinquanta partecipanti, fra cui quattro Padri Cappuccini: il sottoscritto, Padre Raffaele da S. Elia Pianisi, Padre Vincenzo da Montemarano e Padre Eustachio della Provincia monastica d'Inghilterra. Prima della partenza, mi avvicinai a Padre Pio per chiedergli la benedizione. Poi dissi: «Padre spirituale, stiamo in procinto di partire per la Sicilia; andiamo in pellegrinaggio alla Madonna delle Lacrime; preghi per noi». Padre Pio: «Pure tu ci vai?». Risposi: «Sì, Padre; accompagno un gruppo di parrocchiani di S. Severo». Padre Pio: «La Madonna vi accompagni! pregate per me». Soggiunsi: «Padre, venga con noi, c'è il posto riservato per lei nel pullman». Padre Pio: «Avviatevi... vi seguirò». Partimmo lieti e soddisfatti di essere stati benedetti da Padre Pio e accompagnati dalle sue preghiere. Il viaggio fu meraviglioso e non mancò la scena comica. Prima di arrivare a Cosenza, si percorse una vasta zona coltivata a meloni. La golosità dei pellegrini fece sostare il pullman presso un grande mucchio di meloni, riscaldati dal sole settembrino. Si mangiò quasi tutti con ingordigia e a sazietà. Rimessici in viaggio, dopo alcune ore, cominciò la commedia. I meloni caldi e indigesti produssero un effetto tremendo, un malessere generale. Si cominciò a rigettare da ogni finestrino del pullman, che dovette fermarsi per dare agio ai sofferenti di scendere e di sparpagliarsi lungo la strada. Sembrava una scena dantesca e c'era tanto da ridere. Io e pochi altri fummo risparmiati da quella scena comica e pietosa, perché ci astenemmo dal mangiarne. Come Dio volle, con molto ritardo giungemmo a Nicastro, dove, col riposo notturno e con una spremuta di limoni, i sofferenti rimisero a posto l'intestino. Il mattino seguente, rimessici in viaggio e rievocando le scene comiche del giorno precedente, fra le risate generali, dicemmo: «Avrà riso anche Padre Pio nel vedere quelle scene di ieri; lo sapremo al ritorno». A Siracusa si pregò ai piedi della Madonnina delle Lacrime secondo le intenzioni del caro Padre. Dopo una fugace visita alla città, ripartimmo per Palermo. Sull'imbrunire eravamo a metà strada tra Caltanissetta e Palermo; in aperta campagna l'autista fermò improvvisamente il pullman. Spaventati domandammo che cosa fosse successo. L'autista ci rispose che non si poteva andare avanti, perché la strada era ostruita. In quel momento gridammo tutti: «Padre Pio, aiutaci». Immediatamente sentimmo un intenso profumo. Padre Raffaele credendo che qualche ragazza si divertisse a spruzzare il profumo esclamò: «Chi spruzza il profumo? È scherzo da farsi in questo momento di pericolo!...». Le donne, reagendo, risposero: «Padre Raffaele, stiamo morendo di paura, come possiamo pensare a spruzzare il profumo?...». Una seconda ondata di profumo soavissimo, ci fece distinguere il profumo caratteristico di Padre Pio, che ci infuse serenità e coraggio. Allora si gridò: «Padre Pio è con noi; scendiamo a liberare la strada, nessuno ci farà del male». Infatti, mentre rimuovevamo i massi e i rami di alberi arrivarono alcuni carabinieri armati di mitra, che ci aiutarono a liberare la strada e si mostrarono molto gentili. Volevano accompagnarci fino a Palermo, ma li ringraziammo dicendo che avevamo chi ci accompagnava. Vollero sapere chi fosse. Rispondemmo: «Padre Pio». Al nome di Padre Pio, uno di essi esclamò: «Io sono stato a S. Giovanni Rotondo, ho conosciuto Padre Pio; ditegli che preghi per noi, che siamo in continuo pericolo». Dopo qualche giorno di sosta a Palermo, visitato il santuario di S. Rosalia sul monte Pellegrino, il centro della città con alcune chiese ed opere d'arte, riprendemmo il lungo e suggestivo viaggio di ritorno. Rientrammo nelle prime ore del mattino nel convento di S. Giovanni Rotondo e incontrammo nel corridoio Padre Pio, che, celebrata la S. Messa, si recava nella cappellina per il ringraziamento. Il caro Padre, vedendoci, disse: «Avete fatto una bella figura con quei meloni!...». Poi aggiunse: «E quella sera sulla strada di Palermo! che paura!...». Noi rispondemmo: «Soltanto per un momento, poi subito avvertimmo la sua presenza». Padre Pio tacque. Il silenzio confermò la promessa che ci avrebbe accompagnato; la conoscenza di quanto ci era capitato era la certezza della sua presenza in mezzo a noi.

Segno della sua presenza e protezione

Mi trovo in argomento e credo opportuno riportare alcuni degli innumerevoli episodi personali di improvvise sensazioni del profumo di Padre Pio. Una sera d'autunno del 1971, dopo la conferenza tenuta in una Chiesa centrale di Palermo, gremitissima di figli spirituali e di ammiratori di Padre Pio, chiesi ai presenti che mi circondavano all'uscita, se qualcuno avesse voluto accompagnarmi alla Casa del Fanciullo ad Acqua dei Corsari. Si offrirono tutti, ma preferii la macchina meno lussuosa di un povero uomo, forse convinto di essere scartato. Appena entrato in macchina sentii un profumo così intenso da togliermi il respiro. Pensai subito ad una spruzzata di deodorante nell'auto o ad un profumo sparso sui capelli e sul vestito dell'uomo. Volevo quasi dirgli che era stato molto esagerato nel darsi il profumo, ma mi prevenne, dicendomi: «Padre, Voi vi profumate?». Risposi: «No. Non ho mai usato profumi. Anzi volevo farvi io la stessa domanda, ma voi mi avete preceduto». L'autista: «Allora come si spiega questo improvviso profumo, tanto delizioso?». Io: «Questo è il profumo di Padre Pio». Infatti, dopo pochi secondi, io non l'avvertii più, mentre il povero uomo commosso, durante la corsa di dieci chilometri, non faceva altro che ripetere: «Che profumo di paradiso». Giunti alla Casa del Fanciullo, l'autista esclamò: «Non sento più nulla». Io gli risposi: «Potete essere contento, Padre Pio vi ha pagato per la carità usatami. Vi raccomanderò alla sua intercessione». Un pomeriggio dell'aprile 1972 fui accompagnato in macchina a Chiusa Sclafani, distante novanta chilometri dal capoluogo siciliano, dai signori rag. Di Girolamo Umberto, Prof. Mirabile Pietro, Prof. Palumbo Giulio e dalla signorina Gaudesi Giovanna, per celebrare la S. Messa e tenere una conferenza su Padre Pio a quel numeroso Gruppo di preghiera. Appena sbrigatici, partimmo per Giuliana, un altro paese distante dieci chilometri da Chiusa. Anche lassù parlai a lungo di Padre Pio ad una grande folla di fedeli. Subito dopo, percorremmo altri venti chilometri fino a Sambuca, dove la gente ci aspettava con tanta pazienza nella vasta chiesa matrice per sentire parlare di Padre Pio. Era circa la mezzanotte quando stanchi morti riprendemmo la via di ritorno a Palermo. Alla guida era il rag. Di Girolamo. Lungo la strada si pregava e si parlava. Prima di arrivare a Corleone mi accorsi che la macchina non filava più, ma sbandava a zig-zag presso il ciglio di un burrone. Spaventato gridai e feci fermare l'auto. In quello stesso istante avvertimmo un intenso profumo di fiori. Unanimi gridammo: «Padre Pio ci accompagna, Padre Pio è con noi». Interrogai Umberto per sapere che cosa gli fosse successo, mi rispose che aveva avuto un capogiro e non vedeva più la strada. Gli feci dare il cambio dalla signorina Gaudesi e con serenità e gioia proseguimmo il viaggio per Palermo. Padre Pio ci accompagnava, come sempre, e ci salvò da un sicuro incidente, avvertendoci della sua presenza col caratteristico profumo. Nell'ottobre 1974 fui ospite per alcuni giorni a Casalmaggiore presso il notaio Frumento Gian- ni, per tenere conferenze su Padre Pio in diversi paesi del Mantovano. Una sera, stanco più del solito, mi ritirai nella camera per il riposo. Mentre aprivo la porta, fui colpito, da un'ondata di soavissimo profumo. Sul momento pensai ad uno scherzo o ad un atto di gentilezza della signora, che avesse spruzzato degli aromi nella camera, ma mi dovetti ricredere subito, poiché in pochi secondi, svanì tutto. Capii che era il profumo di Padre Pio, il quale era venuto a ringraziarmi dei sacrifici fatti per i suoi gruppi di preghiera. Dopo la preghiera serale, stavo per mettermi a letto, quando avvertii una seconda ondata. Mi venne allora spontanea l'esclamazione: «Sì, Padre Pio, ho capito; grazie di essere venuto a benedirmi». Riposai tranquillamente fino al mattino. Durante la colazione coi coniugi Frumento, raccontai l'accaduto della sera precedente, e interrogai la signora Maria Rosa se avesse gettato del profumo nella camera. Mi rispose: «Padre Alberto, sono lieta di sapere che Padre Pio è venuto nella vostra persona a visitare la mia casa, facendosi sentire anche col suo inconfondibile profumo, ma debbo dirvi che mai mi sarei permessa di fare uno scherzo simile». Quanti altri episodi potrei raccontare; forse a centinaia; ma non ci faccio più caso e non vi do più importanza, essendomi divenuti abituali. Sono però convinto che il profumo di Padre Pio è segno della sua presenza e protezione.

Tra San Severo e San Giovanni

Durante la mia lunga permanenza a S. Severo, in due periodi di tempo, prima come Parroco di Maria SS. delle Grazie, dal 1953 al 1961, e poi come Superiore del convento, dal gennaio 1964 al maggio 1968, con la parentesi del secondo triennio di superiorato a Pietrelcina, ebbi il tempo e la possibilità di avvicinare con molta frequenza Padre Pio. Negli ultimi cinque mesi della sua vita, feci parte della famiglia religiosa di S. Giovanni Rotondo. I continui incontri, contatti e discorsi mi diedero l'agio di osservare il caro Padre, di parlargli confidenzialmente, di poter studiare, in qualche modo, la sua poliedrica ed eccelsa personalità, per farmi una pallida idea della sua misteriosa e sconosciuta grandezza. Padre Pio non era un Frate qualsiasi, come tutti gli altri, benché si sforzasse di apparire tale. Aveva qualche cosa di soprannaturale, che lo distingueva e lo elevava al di sopra di tutti. Aveva lo splendore e la grandezza della santità, la forza potente della carità e dell'amore, il fascino irresistibile della bontà e dell'umanità, la bellezza e l'attrazione del Cristo crocifisso. Era il ritratto vivente di Gesù sofferente ed appassionato. Chi si avvicinava a lui veniva conquiso e non aveva più la forza e il coraggio di abbandonarlo. Padre Pio ebbe per tutti, senso di umanità e di bontà; parole di conforto e di incoraggiamento; espressioni di paternità e di dolcezza; consigli illuminati e sapienti; parole forti di rimprovero e di richiamo per chi si mostrava recalcitrante alla grazia del Signore. Sono stato testimone di numerosi incontri, colloqui ed episodi di persone provenienti da ogni parte del mondo con Padre Pio. Quante volte l'ho visto commuoversi dinanzi alle lacrime e alle sofferenze di poveri infelici! Quante volte, dinanzi a casi pietosi e a sventure, ho sentito dalle sue labbra questa espressione: «Povera gente!... quanti guai!... quante miserie!... il Signore abbia misericordia! Signore, dai a me le pene dei fratelli!...». Sensibilissimo quanto mai, non sapeva frenare le lacrime alla notizia della morte di qualche persona cara. Pianse per la morte della mamma, del padre, del fratello Michele e di tante altre persone amiche. Alla morte del dottore Sanguinetti sembrava inconsolabile.

«Se me l'avessi detto prima non te l'avrei dato!»

Un pomeriggio, dopo alcuni giorni dalla morte del dott. Sanguinetti, da S. Severo mi recai a S. Giovanni Rotondo per domandare un consiglio a Padre Pio. Entrai nella sua cella e lo trovai con le lacrime agli occhi. Lo interrogai: «Padre, perché piange? Che cosa è successo?». Mi rispose: «Tu non sai niente? Non hai saputo che è morto il dott. Sanguinetti?». Soggiunsi: «Sì, Padre, ho saputo che è morto il dott. Sanguinetti, ma già sono passati parecchi giorni. Bisogna rassegnarsi alla volontà di Dio. Tutti dobbiamo morire». Padre Pio: «Sì, tutti dobbiamo morire. ma il Signore doveva lasciarmelo ancora per un po' di tempo, perché si avvicina l'inaugurazione della Casa Sollievo della Sofferenza e non so come fare. Io non me ne intendo». Poi rivolse lo sguardo al Crocifisso a capo del letto e disse: «Gesù, tu sai quanto ti amo! non ti offendere se ti dico che questa volta sei stato crudele con me. Ti sei preso l'amico Sanguinetti, senza dirmelo prima, come hai fatto tante volte con altre persone. Lo so, se tu me l'avessi detto prima, non te l'avrei dato; te l'avrei strappato dalle mani». Dinanzi a questo sfogo confidenziale ed amoroso, rimasi stupito e commosso. Il Signore, per non cedere alle preghiere ardenti e pressanti del suo prescelto alla corredenzione, non gli aveva rivelato anticipatamente la volontà di prendersi il dott. Sanguinetti.

Col Signore non si pattuisce

Padre Pio, pure essendo tanto umano e comprensivo nelle sofferenze dei fratelli, non ammetteva la minima offesa al Signore per aiutare il prossimo sotto l'aspetto materiale. Un giorno ricevetti da una città del Piemonte un telegramma di un mio amico (Pin Gino, figlio spirituale di Padre Pio), il quale mi pregava di recarmi con urgenza a S. Giovanni Rotondo, per raccomandare al caro Padre una giovanissima signora moribonda per emorragia interna, in seguito al suo primo difficile parto di un bambino estratto morto. Nel telegramma aggiungeva che il marito della moribonda, un ricco industriale, avrebbe offerto una grande somma per l'ospedale «Casa Sollievo della Sofferenza», se avesse ottenuto la guarigione dell'inferma. Recatomi subito a S. Giovanni Rotondo, trovai Padre Pio sulla veranda che recitava il breviario. Quando gli comunicai la dolorosa notizia, si commosse e mi assicurò che avrebbe pregato. Mentre stavo per andarmene, mi chiamò e mi domandò chi fosse la giovane moribonda. Avevo il telegramma nelle mani e glielo lessi. Al sentire che il marito avrebbe offerto una grande somma, se avesse ottenuto il miracolo, alzando la voce, mi disse: «Vattene via». Io soggiunsi: «Padre, cosa debbo rispondere?». Padre Pio: «Si vuole pattuire col Signore: si vuole comprare la grazia col denaro!... Col Signore non si pattuisce!... Scrivi che benedico l'inferma e pregherò per la salvezza dell'anima». Infatti, mentre Padre Pio parlava, la giovane moriva. Mi accorsi che nel pronunziare le ultime parole, sul suo volto apparivano i segni di una grande sofferenza interiore. Alcuni giorni dopo, dal mio amico piemontese, seppi la notizia che la giovane sposa, assistita da un sacerdote, morì nel pomeriggio di quel giorno, in cui io la raccomandai alle preghiere del caro Padre, il quale nell'apprendere la notizia della morte, disse: «Ora sta meglio che sulla terra».

Un sogno telepatico

Nel 1956 ero parroco a S. Severo nella parrocchia di Maria Santissima delle Grazie. Una notte feci un sogno strano e telepatico. Sognai di trovarmi nella cella di Padre Pio. Questi era presso il letto. Io, posando lo sguardo sul tavolino, vidi sul paralume un fazzoletto bianco, inzuppato di sangue. Mentre stavo per prenderlo, mi svegliai. La mattina non ricordai più il sogno. Circa le ore dieci, arrivò in Parrocchia un signore di Savona, Massaferro Gaetano, a pregarmi di accompagnarlo da Padre Pio, perché aveva urgente bisogno di un consiglio. Già si trovava da tre giorni a S. Giovanni Rotondo, senza avere potuto avvicinare il caro Padre, a causa della folla dei fedeli. Saliti in macchina, arrivammo al convento alle ore undici. Sostammo nel corridoio in attesa che Padre Pio uscisse dalla camera. Quando sentimmo aprire la porta, gli andammo incontro. Feci la presentazione del signore Massaferro, che Padre Pio già conosceva, e dissi: «Padre, questo povero uomo di Savona è qui da tre giorni per chiederle un consiglio, ma non gli è stato possibile di avvicinarla». «Perché?». «I confratelli assistenti glielo hanno impedito: forse per la folla di gente, o perché non era conosciuto». Padre Pio: «Qui sono tutti padroni e comandanti». Indi, appartatosi col signore Massaferro, lo ascoltò, gli diede il consiglio richiesto e lo benedisse. Subito si avviò verso la cella; io lo seguii. Aperta la porta, andò presso il letto, dove sul cuscino vi era un fazzoletto da naso, che egli prese. Io mi soffermai presso il tavolino, dove vidi sul paralume un grande fazzoletto bianco bagnato di sangue fresco. Lo toccai, mi bagnai le dita. In quel momento mi ricordai del sogno della notte. Stavo per prendermelo, quando Padre Pio, volgendosi verso di me, disse: «Che cosa stai facendo?». «Padre, mi prendo questo fazzoletto che è sul paralume». Padre Pio: «No, quello non si tocca. Se vuoi un fazzoletto nuovo, te lo dò». «Padre, non voglio i fazzoletti nuovi. Mi dia questo, che è sul paralume». Padre Pio: «Su, andiamo, questo non si tocca». Risposi: «Padre, questa notte ho fatto un sogno strano, realizzatosi a metà». Padre Pio: «Che sogno hai fatto?». «Ho sognato di trovarmi nella sua cella: mentre stavo per prendermi un fazzoletto intriso di sangue, steso sul paralume, mi sono svegliato». Padre Pio: «Sciocco... sei stato sciocco!». «Sì, Padre, sono stato stupido. Dovevo prenderlo senza dire nulla a lei». Padre Pio non parlò più. Non poteva darmelo, perché, essendogli proibito, avrebbe commesso una disobbedienza.

«Rimetti a posto ciò che hai preso»

Un giorno, dopo la funzione vespertina, secondo la consuetudine, Padre Pio era uscito nel giardino del convento per una boccata d'aria, seguìto da alcuni medici della Casa Sollievo della Sofferenza, da Religiosi e da qualche visitatore occasionale. Tutti insieme attorniammo il Padre, che si era seduto su un sasso. Padre Pio, rivolto a Cosimo Iadanza di Pietrelcina, uomo di pietà e di preghiera, gli disse: «Cosimo, prendi la chiave della mia cella e vai a prendermi un fazzoletto per soffiarmi il naso». Cosimo in pochi minuti salì nel convento e ritornò col fazzoletto nelle mani. Padre Pio, preso il fazzoletto, con tono scherzoso, disse: «Ora ritorna nella camera e rimetti a posto ciò che hai preso e messo in tasca». Cosimo, rosso come un peperone per la vergogna, senza proferire parola, fra la curiosità e il risolino degli astanti, ritornò nella cella di Padre Pio a riporre nel tiretto del comodino una pezzuola bagnata di sangue, presa per devozione.

L'impronta di una mano

Padre Pio era molto sensibile, umano, buono con tutti, specialmente verso gli infermi, gli infelici, i sofferenti; ma non veniva mai a compromessi. Il Signore gli aveva donato il carisma della bilocazione, per assistere i moribondi, che lo invocavano e lo richiedevano, per confortare, sorreggere gli ammalati e spesso guarirli con le sue dolci pressioni sul cuore di Cristo e della Mam- ma celeste. Sono stato testimone della guarigione miracolosa di Padre Placido Bux da una grave cirrosi epatica, avvenuta nel 1957 nell'ospedale di S. Severo, dove gli apparve Padre Pio. Nel luglio del 1957, Padre Placido da S. Marco in Lamis, compagno di Padre Pio, durante gli anni di Noviziato e Studentato, fu ricoverato urgentemente nell'ospedale di S. Severo (Foggia), per una grave forma di cirrosi epatica. Le sue condizioni andavano peggiorando, nonostante le cure mediche. Una notte, Padre Placido vide Padre Pio presso il suo letto che gli parlava, lo esortava alla pazienza, lo confortava e gli assicurava la guarigione. Poi lo vide avvicinarsi alla finestra della camera, posare la mano sul vetro e scomparire. Al mattino svegliatosi, si sentì meglio, ricordò la gradita visita e guardò verso la finestra. Sorpreso, vide sul vetro l'impronta di una mano. Si alzò dal letto e si avvicinò alla finestra per esaminare da vicino ed attentamente quell'impronta: riconobbe l'impronta della mano di Padre Pio. Si convinse allora che la visita del Padre non era stata un sogno, ma una realtà. Raccontò tutto alle Suore, alle infermiere ed al personale dell'ospedale. La notizia si propagò per la città e subito ci fu un accorrere di amici e di gente all'ospedale, per vedere l'impronta della mano di Padre Pio. I medici erano increduli ed anche infastiditi per il disturbo arrecato da quel via vai di gente. Il Cappellano dell'ospedale avvertì il Superiore del Convento di S. Severo, che allora era Padre Piergiuliano da Caselle Torinese. Questi rimproverò Padre Placido e gli proibì di propagare notizie inverosimili, che, in ultima analisi, sarebbero state a discapito dello stesso Padre Pio. Padre Placido, alquanto risentito, non smentì, anzi affermò energicamente di aver ricevuto la visita di Padre Pio e di averlo visto posare la mano sul vetro della finestra. Si cercò di pulire il vetro con panno bagnato e detersivo; ma l'impronta riappariva sempre. Durò per alcuni giorni. In quel tempo, io ero Parroco della Chiesa di Maria SS. delle Grazie. Seppi la notizia dal Cappellano e mi recai subito per vedere l'impronta della mano. Ero incredulo. Pensavo che qualche infermiere avesse posato la mano sul vetro, lasciandone l'impronta. Padre Placido mi raccontò quanto era accaduto durante la notte. Non volendo io credere, mi pregò di recarmi a S. Giovanni Rotondo e di interpellare lo stesso Padre Pio. A S. Giovanni Rotondo, incontrai Padre Pio nel corridoio del Convento, egli, prima che io parlassi, mi domandò: «Come sta Padre Placido?». Gli risposi che andava migliorando; poi soggiunsi: «Padre Spirituale! A San Severo sta succedendo il finimondo... Padre Placido asserisce che lei è venuto a visitarlo di notte, e, prima di andar via, ha lasciato l'impronta della mano sul vetro della finestra. È un accorrere continuo di gente all'ospedale con disturbo dei medici e dei malati. Che cosa c'è di vero? È un sogno, o una fantasia di Padre Placido; oppure lei è venuto davvero?». Padre Pio mi rispose: «E tu ne dubiti?... Sì, sono venuto, ma non dire nulla a nessuno». Quando riferii a S. Severo la risposta di Padre Pio, tutti zittirono. Padre Placido guarì da quella malattia. Il 23 settembre 1968, mentre la salma del venerato Padre Pio era esposta in Chiesa, Padre Placido si avvicinò a me e disse: «Padre Al- berto! Ora è il mio turno! I miei compagni sono tutti scomparsi! Anche Padre Pio se n'è andato. Ora spetta a me!...». Io gli risposi: «Padre Precettore, non si fissi!... stia tranquillo. Lei sta bene e vivrà ancora molti anni». Padre Placido, presentendo la sua prossima fine, mi rispose: «Non è possibile è arrivato il mio turno!». Il 23 ottobre 1968, die trigesimo della morte di Padre Pio, Padre Placido ritornò a S. Giovanni Rotondo e, chiamandomi in disparte, mi disse: «Padre Alberto è arrivato anche il mio turno!...». «Ma lei, P. Precettore, si è messo un chiodo nella testa!...». Padre Placido: «Mi è venuto in sogno Padre Pio e mi ha detto: "Placido, preparati... mi dovrai raggiungere presto". Ed io: "Quando? Ci vorranno ancora alcuni anni?". Padre Pio: "No, verrai subito. Non vedrai la fine di quest'anno"». Cercai d'incoraggiarlo, dicendogli che non bisogna credere ai sogni. Alcuni giorni prima della sua morte, espresse il desiderio di vedermi. Mi recai a S. Severo nell'ospedale civile, dove era ricoverato. Lo trovai assopito, lo chiamai; mi guardò a lungo, sorrise e richiuse gli occhi. La notte del S. Natale, mentre la S. Chiesa commemorava tra il giubilo e il canto dei fedeli la nascita di Gesù Redentore, Padre Placido spiccava il volo verso il cielo, nello splendore e nella gloria di Dio. Non vide la fine dell'anno 1968.

COME HO VISTO PADRE PIO

Un mistero per tutti

Durante la mia esperienza di continui incontri, contatti e discorsi con Padre Pio, mi è stato sempre difficile farmi un concetto esatto della sua eccelsa figura e poliedrica attività. Sotto qualsiasi aspetto lo guardavo e lo studiavo, mi convincevo sempre più di non capirci nulla. Padre Pio era un mistero per tutti; un mistero anche a se stesso, come scrisse il 17.10.1915 al suo Direttore spirituale, Padre Benedetto da S. Marco in Lamis: «Conosco benissimo d'essere io un mistero a me stesso. Non so comprendermi...» (Epist. I, 674); e al P. Agostino da S. Marco in Lamis il 17.3.1916: «Riconosco d'essere un mistero a me stesso» (Epist. I, 769). Se Padre Pio, prescelto, posseduto ed associato dal Signore all'opera della Redenzione, mediante la sua cruenta crocifissione e le inesauribili sofferenze, non riuscì durante la sua vita a comprendere se stesso, come potevamo capirlo noi? Prima della pubblicazione del suo prezioso Epistolario, molto si è parlato e si è scritto di lui, ma nessuno ha saputo presentarlo nella luce della sua vera grandezza. Io sapevo di trovarmi vicino ad un'anima prediletta del Signore, a contatto con un Frate straordinario, che emergeva e si distingueva dagli altri per la santità della vita; ma non avevo la cognizione acquisita dalla lettura e dalla meditazione del suo Epistolario. Però, nonostante la pubblicazione del-l'Epistolario, che ci rivela la grandezza e la santità di Padre Pio, ci si domanda ancora: «Chi era Padre Pio?». Il Papa Paolo VI, in una udienza ai Superiori Generali Cappuccini, proponendo Padre Pio come modello da imitare, disse: «Padre Pio è stato il Rappresentante delle stimmate di Nostro Signore. L'uomo della sofferenza e della preghiera». Il cardinale Siri Giuseppe, arcivescovo di Genova, commemorando Padre Pio, disse: «Padre Pio ha incarnato nel suo corpo e nel suo spirito la passione di Cristo». Padre Pio è stato il Cristo redivivo dei nostri tempi: con questa espressione si può spiegare il mistero di Padre Pio. Durante la sua lunga vita terrena, cooperò con grande efficacia all'opera della redenzione delle anime, prima traendole dall'abisso del peccato, in cui giacevano e poi portandole rinnovate a Dio. L'ardore con cui il Padre esplicò tale ministero fu senza interruzioni. Un giorno scrisse al suo confessore (16.11.1919): «il lavoro è tanto, che non mi dà tempo di piegarmi sopra me stesso... Una turba assetata di Gesù mi si piomba addosso da farmi mettere le mani nei capelli... Sono centinaia ed anche migliaia di anime, che vengono da lontani paesi a solo scopo di lavarsi dai loro peccati...» (Epist. I, 1215, 805). Le anime che si avvicinavano a lui bevevano a larghi sorsi l'acqua fresca della grazia, come ad una fonte, per dissetarsi, per riempire il loro spirito di Dio e non riuscivano più a staccarsi da lui. Egli diceva: «Io quando ho preso un'anima, non la lascio più. Una volta che un'anima si è avvicinata a me, io la prendo». Padre Pio ebbe grande cura delle anime, che il Signore gli affidava, e quando un'anima non lo seguiva, come egli voleva, ne soffriva molto e si caricava delle mancanze di quell'anima. Egli aggiunse: «Se un'anima mi sfugge e si allontana, io prego e soffro per il suo ritorno e quando è ritornata, la riprendo e non la lascio più sfuggire». Trattava i peccatori a volte con durezza, se ne vedeva il bisogno, per scuoterli dalla loro vita peccaminosa; e, una volta convertiti, usava con loro tanta tenerezza e dolcezza da commuovere. Le anime venute a S. Giovanni Rotondo per curiosità, alla vista di Padre Pio se ne ritornavano pensose; i peccatori induriti si alzavano dai suoi piedi, rinati alla grazia, con le lacrime agli occhi e con la gioia sul volto; gli increduli, a contatto con quel povero Frate sofferente, riacquistavano come per miracolo la luce della fede. Sono migliaia e migliaia i convertiti di tutto il mondo, che hanno raccontato la loro conversione e le loro esperienze nell'incontro con Padre Pio. In Padre Pio c'era Gesù vivo ed operante, che dava forza e fecondità di bene alla sua azione.

Ci ha fatto vedere Gesù

Nei nostri tempi si va alla ricerca di Cristo; ma non sempre si riesce a trovarlo. Cristo stesso, però, si è incaricato di mandarci alcuni, che possono portarci fino a lui e farcelo vedere nella sua autenticità. Sono i Santi. Quelli, cioè, che, aprendosi completamente all'amore di Dio, si svuotano di se stessi, dei propri difetti, delle debolezze e miserie umane, e lasciano a Cristo il pieno possesso dell'anima. Padre Pio è stato uno di questi. Perciò, vedere e incontrare lui, era vedere e incontrare Gesù; ed egli giustamente poteva dire ad una figlia spirituale: «Vuoi vedere Gesù? - Guarda me: vedrai Gesù». Queste bellissime parole sono il frutto del desiderio del suo cuore sacerdotale, che «Voleva essere Gesù, sempre Gesù, tutto Gesù». Nel giugno 1913, scrisse al suo Padre spirituale: «Mi si accende nell'anima un desiderio vivissimo di possedere interamente Gesù... Non sono io... ma colui che è in me e al di sopra di me».

Ha disturbato tutto e tutti

L'umanità ha bisogno di vedere Cristo reale e non astratto. Colui che si lascia possedere da Cristo si presenta alle anime nella figura più reale e più autentica del Cristo; e non può essere contestato: anzi è lui che contesta gli altri. Cristo ha contestato l'ipocrisia del mondo, l'orgoglio, l'egoismo, l'odio, le ricchezze, l'impurità, l'immortalità, l'ingiustizia. Basta leggere il discorso della montagna per rendersi conto della contestazione, altamente benefica, fatta dal Figlio di Dio sulla terra. Padre Pio, con la santità della sua vita, ha disturbato tutto e tutti. È per questo che si è attirato tanti nemici. La sua vita, vissuta con Cristo, è stata una contestazione continua. Ma la sua contestazione, come quella di Cristo, è stata altamente benefica: un incitamento costante a crescere nella fede, nella speranza e nella carità. In questa contestazione, bisogna leggere il messaggio fondamentale di Padre Pio. Molti non lo hanno accettato o, almeno, non lo hanno approfondito sufficientemente: alcuni per cattiva volontà, altri perché abbagliati dai suoi carismi e dai segni esterni, sui quali hanno fermato prevalentemente il loro sguardo. A questo proposito bisogna tener presente che la santità non consiste nei carismi, ma nella grazia santificante e nell'esercizio eroico delle virtù. Il servo di Dio che muore in concetto di santità, nel processo per la beatificazione, sarà vagliato e giudicato sull'eroicità delle virtù e non sui doni e sui carismi ricevuti dal Signore. Un giorno, passando per Roma, fui intervistato da un alto prelato della S. Chiesa, l'Arcivescovo Pietro Canisio Van Lierde; Vicario Generale di sua Santità per la città del Vaticano. Introdotto nel suo studio, mi interrogò: «Lei, Padre, ha conosciuto Padre Pio?». Alla risposta affermativa, soggiunse: «Non dubito della santità di Padre Pio. Ho letto alcune biografie, tutte parlano dei doni e dei carismi, di cui l'ha arricchito il Signore. Nessuno ha parlato delle sue virtù. Mi dica qualche cosa dell'obbedienza e della sottomissione di Padre Pio alle Autorità della Chiesa ed ai Superiori dell'Ordine; della sua umiltà, carità, sofferenza, pazienza...». Mi trattenni a discorrere circa un'ora, narrando episodi documentati di obbedienza e di sottomissione alla S. Chiesa e a tutti i Superiori della sua lunga vita religiosa; raccontai anche episodi di umiltà, di carità, di pazienza, che rispecchiano l'eroismo delle virtù costitutive della sua santità. Al termine dell'intervista il Prelato, ringraziando mi disse: «Basterebbero questi episodi per dimostrare la santità di Padre Pio. Purtroppo, il processo deve fare il suo corso e l'ultimo giudizio spetta alla S. Chiesa, che, sono certo, si pronunzierà in modo positivo».

L'invito della Chiesa

La Chiesa c'invita a ritornare a Cristo attraverso il Vangelo e ci esorta a viverlo, per collaborare alla salvezza delle anime. È stato questo il contributo dato da Padre Pio alla Chiesa. Padre Pio, che sembrava tanto anacronistico, perché era un povero Frate senza mezzi umani di propaganda, vivendo nella preghiera, nella sofferenza e nel confessionale, è stato talmente attuale da attirare a sé tutto il mondo. Se fosse stato antiquato, gli uomini l'avrebbero dimenticato: mentre si verifica tutto il contrario. Le folle provenienti da ogni parte del mondo, sempre in aumento, continuano ininterrottamente a salire sulle rocce del Gargano per ritrovare nel santuario di S. Maria delle Grazie il Cristo autentico ed attuale, personificato per cinquant'anni da Padre Pio. Come spiegare questo fenomeno? Padre Pio non è stato la chiusura di un periodo, ma è stato la piena di una innovazione religiosa. Il Vescovo di Isernia, Mons. Achille Palmerini, nel commemorare Padre Pio, vedendo folle ingenti di fedeli affluire nella vasta Chiesa di S. Maria delle Grazie, pregare devotamente, accostarsi ai Sacramenti, ebbe a dire: «Questo non è fanatismo. Padre Pio non c'è più. Qui c'è il dito di Dio». A Ragione il Papa Benedetto XV disse: «Ci risulta che Padre Pio conduce anime a Dio; pertanto sinché dura la sua missione, dobbiamo restare al suo fianco». L'Osservatore Romano, il 10 Maggio 1956 scrisse che: «per merito di Padre Pio, S. Giovanni Rotondo è diventato un centro di vita e di rigenerazione spirituale, proprio per le conversioni che ivi avvengono».

LA MESSA DI PADRE PIO

Il suo Calvario

Il Calvario tanto desiderato ed amato ogni giorno da Padre Pio era l'Altare; la sua crocifissione era la S.Messa.La Messa diPadre Pio riproduceva visibilmente la passione di Cristo, non solo in una forma mistica, ma anche fisicamente nelle sue membra.Aveva un richiamo assolutamente particolare per i fedeli, che accorrevano a S.Giovanni Rotondo: era una delle mete a cui non si poteva rinunziare. Padre Pio sottolineava in modo singolare questo atto: il più sublime, il più alto, il vero atto sacerdotale del suo ministero. La sua Messa, celebrata in una maniera inconfondibile, richiamava l'attenzione ed incideva sulla devozione di quanti vi assistevano. Chi vi ha assistito una sola volta, non l'ha più dimenticata; suscitava tale impressione da vedere annullata ogni distanza di tempo e di spazio tra l'Altare e il Calvario. L'Ostia divina, elevata da quelle mani trafitte, rendeva più sensibile agli occhi dei fedeli la mistica unione del Sacerdote offerente col Sacerdote eterno. A quella vista, spesso anche i curiosi, gli increduli, gli indifferenti erano profondamente colpiti.GrahamGreene ha scritto che «un visitatore, in risposta a una formale domanda del Papa, ebbe a dire che due Messe non avrebbe mai dimenticate: quella vista celebrata nella Chiesetta di S.Maria delle Grazie a S. Gio-vanni Rotondo da Padre Pio e l'altra celebrata dal Vicario di Cristo sotto la Cupola di Michelangelo». Noi possiamo affermare che la curiosità, la superstizione e il fanatismo hanno avuto molta importanza nel muovere migliaia e migliaia di persone verso S.Giovanni Rotondo; ma non si può negare che il movente principale nel chiamare lassù, da tutte le parti del mondo, gente di ogni età, di ogni ceto e condizione fosse la fama di santità di Padre Pio e il desiderio di vederlo come il Cristo sofferente sul mistico Calvario dell'Altare nella celebrazione della S.Messa. La S.Messa di Padre Pio aveva un fascino potente e irresistibile presso i fedeli di ogni parte d'Italia e del mondo, che raggiungevano il San- tuario di S.Maria delleGrazie. Sin dalle ore piccole della mattina, gruppi di fedeli, raccolti in preghiera, si affollavano dietro la porta della Chiesa o nel piazzale, incuranti del freddo pungente della notte o della brezza mattutina, della pioggia o delle intemperie, aspettando l'apertura della Chiesa per essere più vicini al Padre stimmatizzato durante la celebrazione della S.Messa. La Messa di Padre Pio ha anticipato gli eventi delConcilio Vaticano II, non nelle forme esteriori, non nelle nuove forme liturgiche, ma nello spirito che anima queste forme. Ha anticipato, non a parole, ma coi fatti la proclamazione del valore della S.Messa e la sua frase, teologicamente indovinata, ha significato proprio questa anticipazione meravigliosa. «Il mondo, diceva Padre Pio, potrebbe stare anche senza il sole, ma non può stare senza la S.Messa». Che cosa sarebbe la nostra terra senza il sole? Non ci sarebbe un filo di erba; non ci sarebbe un palpito di vita. Però ciò che sorregge il mondo non è il sole, è la S.Messa. Ogni volta che è celebrata la S.Messa, Dio è pienamente glorificato e la lode gli viene data da Cristo a nome nostro e con noi e con tutto l'universo. È appunto questo scopo sommo della Messa, che nella mente di Padre Pio dava tanto valore al Sacrificio Eucaristico e lo assorbiva e lo concentrava nella maniera come l'abbiamo conosciuto assistendo alla sua Messa. Padre Pio ci ha fatto vedere la Messa in un modo più profondo, più reale. Quando pronunziava le parole: «Questo è il mio corpo», «Questo è il mio Sangue...» egli, nuovo Cristo, era incaricato di continuare e di completare la Passione del suo Maestro. Ondate di emozione scuotevano Padre Pio sull'altare come se il dibattito, a cui lo ingaggiavano invisibili persone, lo riempisse, di volta in volta, di timore, di gioia, di tristezza, di angoscia e di dolore. Dall'espressione del suo volto si poteva seguire il misterioso dialogo.Faceva dei segni negativi con la testa, sembrava che protestasse, aspettava la risposta. Tutto il suo corpo era teso in una muta implorazione. Improvvisamente grosse lacrime gli sgorgavano dagli occhi e le spalle, scosse da singhiozzi, sembravano oppresse da un peso schiacciante. Padre Pio e Cristo sull'Altare erano intimamente uniti. Guardando il volto di Padre Pio, inondato di lacrime, si pensava subito ai peccati che Egli prendeva sopra di sé, ogni giorno, dopo le interminabili ore passate nel confessionale.Umiliato sotto il torchio dei peccati degli altri, egli saliva l'altare del suo Dio, per offrirsi vittima insieme con Cristo e per ripresentare nella sua persona Gesù sofferente. La Messa di Padre Pio veniva ad essere la Messa propria per ciascuno dei partecipanti Io penso che questa sia stata una delle cause dello straordinario ascendente di Padre Pio su tutti coloro che l'avvicinarono. Mons.Giovanni Fallani, Vescovo titolare di Partenia, che aveva assistito alla Messa di Padre Pio, disse: «Sul volto di Padre Pio passano le vibrazioni interiori della sua anima, scossa dal memoriale della Passione, vissuto minuto per minuto nella liturgia eucaristica. Il Cristo si è posato sulla mensa; Padre Pio inizia il suo colloquio mistico, per trascorrere insieme col Maestro le ore di agonia nell'orto. Come se attorno al suo Calice fosse presente l'universo in ascolto, Egli contempla il Corpo e il Sangue di Gesù, rivivendo la passione e la crocefissione...». Il mistero della croce sfuggiva alla durata del tempo, perché quest'uomo supplizziato sul- l'Altare era Cristo. Era questa la ragione per cui la Messa di Padre Pio era lunga; durava oltre due ore. Chi avesse avuto dubbi sulla presenza reale di Gesù nell'Ostia consacrata, non avrebbe dovuto fare altro che assistere alla sua Messa per credere fermamente. Quanti Sacerdoti, fra i quali anche molti Vescovi, che hanno assistito una sola volta alla S.Messa di Padre Pio, sono rimasti edificati ed hanno detto: «Da Padre Pio abbiamo imparato a stimare e ad apprezzare la S.Messa: abbiamo appreso il modo di celebrare la S.Messa...». Noi, che abbiamo assistito tante e tante volte alla Messa di Padre Pio, abbiamo visto il suo volto impallidire, contrarsi, divenire sofferente, simile all'Ecce Homo, e poi trasfigurarsi e apparire infiammato e luminoso alla Comunione; possiamo attestare il grande mistero della crocifissione di Padre Pio, che si rinnovava ogni mattina sull'altare della Chiesetta e della grande Chiesa di S.Maria delle Grazie a S.GiovanniRotondo. Quante volte abbiamo visto piangere Padre Pio durante la S.Messa; ed asciugarsi le lacrime! Interrogato un giorno, perché avesse pianto durante la celebrazione delle tre S.Messe della Notte di Natale, rispose: «Non lacrimucce, ma torrenti di lacrime vorrei versare dinanzi al tremendo mistero di Dio vittima». Ad una figlia spirituale che si meravigliava di vederlo per oltre due ore in piedi sull'altare coi piedi piagati e gonfi, disse: «Non posso stancarmi, perché quando celebro la S.Messa non sto in piedi, ma sono sospeso sulla croce insieme con Gesù e soffro inadeguatamente tutto quello che soffrì Gesù sulla croce, per quanto è possibile a creatura umana. Il Signore si è degnato di associarmi al grande negozio della Redenzione umana e ciò contro ogni mio demerito e per la sola sua bontà».

Il suo Paradiso

La S.Messa per Padre Pio era il suo Calvario, ma anche il suo Paradiso.Egli vedeva il cielo aperto, lo splendore di Dio e la gloria degli Angeli e dei Santi. Il 1°;maggio 1912 scrisse al Padre Agostino: «..., il mese di maggio per me è il mese di grazie...Povera Mammina, quanto bene mi vuole.L'ho constatato di bel nuovo allo spuntare di questo bel mese.Con quanta cura mi ha accompagnato all'altare questa mattina! Mi è sembrato ch'Ella non avesse altro a pensare se non a me solo col riempirmi il cuore tutto di santi affetti" (Epist.I, 276). Interrogato se la Madonna avesse assistito alla S.Messa, rispose: «Sì, si è messa in disparte; ma io la vedevo; che gioia! che paradiso!...». «Ha assistito una sola volta, o assiste sempre?». PadrePio: «Come può la Madre di Gesù, presente sul Calvario ai piedi della Croce, che offrì suo Figlio vittima per la salvezza delle anime, essere assente dal mistico Calvario del- l'Altare?». «La Madonna assiste a tutte le SS.Messe che si celebrano nel mondo?». PadrePio: «». «Vi assistono anche gli Angeli?». PadrePio: «È presente tutta la Corte Celeste». Ecco la ragione perché la S.Messa era per Padre Pio insieme Calvario e Paradiso. La più grande sofferenza di Padre Pio era la privazione della S.Messa durante le malattie, quando, inchiodato nel letto del dolore, non poteva alzarsi. Allora, l'unico conforto era la santa Comunione, che gli veniva portata di primo mattino nella cella. Il 26 agosto 1917, mentre era militare nell'ospedale di Napoli, scrisse a Padre Benedetto: «Mio carissimo padre, ...Mi fecero la base e mi mandano per altre osservazioni nella prima clinica medica dove passai ieri sera.Qui se ne passeranno almeno un'altra diecina di giorni... Sono estremamente sconfortato per l'unica ragione che qui non si può celebrare, perché manca la cappella e fuori non ci è permesso di uscire. Che desolazione senzaGesù.Piaccia a Dio cavarmi presto da questo tenebroso carcere.Fra Pio» (Epist.I, 933).

«Che capo di pezza!»

Padre Pio più volte ci raccontò un simpatico episodio, capitatogli a Napoli, durante il servizio militare.Era stato assegnato al Corpo della Sanità e destinato all'ospedale militare di Napoli.Qui, non incontrò le simpatie della suora addetta alla Cappella, dalla quale riceveva frequenti dispetti. Il giorno di Natale 1916, dopo la funzione e la S.Messa ufficiale, celebrata dal cappellano dell'ospedale, la suora chiuse la sacrestia e lo stipo dei paramenti e degli arredi sacri e rifiutò a Padre Pio il conforto e la gioia di poter celebrare le tre Messe Natalizie.Invano Padre Pio la pregò con le lacrime agli occhi di fargli celebrare le S.Messe.Ella fu irremovibile. Padre Pio non voleva passare il S.Natale senza la celebrazione della S.Messa.Non si diede per vinto; escogitò un riuscito espediente. Pregò ed accordò un militare di aiutarlo ad aprire la porta della sacrestia; apertala ed entrati, la richiusero dal di dentro. Con facilità aprirono anche lo stipo dei paramenti e degli arredi sacri, e, assistito dal militare, poté celebrare con raccoglimento e con gioia le prime due SS.Messe.Durante la celebrazione della terza Messa, la suora, accortasi che Padre Pio stava celebrando, cominciò a gridare e a picchiare sulla porta, finché entrata, rimproverò aspramente il militare assistente, il quale si scusò dando la responsabilità a PadrePio.Al termine dell'ultima S.Messa, aggredì come una belva il caro Padre, che non rispose, e andò ad accusarlo, come indisciplinato, all'Ufficiale di guardia, il quale lo punì in camera di sicurezza. Padre Pio non dimenticò mai questo sgradito episodio della sua vita militare e ridendoci sopra, diceva della Suora: «Che capo di pezza! Voleva farmi restare senza la S.Messa proprio il giorno di Natale!».

La sua ultima Messa

Il 22 settemre 1968, ultimo giorno della vita mortale di Padre Pio, fu l'apoteosi della sua crocifissione, delle sue inesauribili sofferenze, della sua ardente carità per ilSignore e per i fratelli, per la cui salvezza egli fu associato da Cristo nell'opera della Redenzione e nella vocazione allo stato di vittima permanente. In quella data memoranda, nell'occasione del cinquantesimo anniversario della crocifissione cruenta di Padre Pio, si celebrava il primo congresso internazionale dei Gruppi di Preghiera, riconosciuti ufficialmente dalla Sacra Congregazione dei Religiosi. AS.Giovanni Rotondo erano affluite decine di migliaia di figli spirituali.Alle cinque del mattino, il santuario di S.Maria delle Grazie era gremitissimo, incapace di contenere le folle che arrivavano ininterrottamente coi pullman e costrette a sostare sul piazzale. Padre Pio, vestito dei paramenti sacri, veniva accompagnato all'altare, come un agnello mansueto, per consumare il supremo sacrificio della sua vita, vittima con Cristo, per la Chiesa, per il Papa, per i figli spirituali di tutto il mondo e per la salvezza delle anime. Lo scenario era meraviglioso.Più che la scena dolorosa del Calvario, sembrava la glorificazione della vittima. Quella mattina Padre Pio somigliava tanto a Gesù sul calvario. Rappresentanze dei Gruppi di preghiera di tutto il mondo assistevano all'ultima Messa solenne del Padre; alla Messa del ringraziamento e della gioia; alla Messa, senza saperlo, del congedo e dell'addio. Così la Messa del Congresso dei Gruppi di preghiera, laMessa di Padre Pio del 22 settembre, fu come l'ultimo dono del Padre che parte, ai figli addolorati che restano. La sua ultima Messa non poteva chiudersi così: ultima sulla terra degli uomini, che l'avevano voluta solenne nel trionfo di mille luci e di mille rose, davanti a decine di migliaia di cuori, che avevano imparato dal suo cuore ad unirsi e a ritrovarsi nel cuore ferito ed aperto di Gesù. Al termine della S.Messa, Padre Pio, emozionato per le grandi dimostrazioni di affetto delle migliaia di figli spirituali presenti a S.Maria delle Grazie ed osannanti, volle benedire tutti, anche gli assenti. Poi il suo cuore non resse più; si sentì venire meno; stava per cadere, e sarebbe caduto se non fosse stato sostenuto dalle braccia dei Padri assistenti.L'olocausto della sua vita era consumato. Il caro Padre fu subito portato nella cella, dove i medici cercarono di prolungargli la vita.Verso le ore otto e trenta, il Padre volle essere portato sulla veranda. Era assorto nel Signore. Gli faceva compagnia P.Onorato.Circa alle ore nove andai a raccomandargli una ragazza di Biella, ricoverata urgentemente nell'ospedale in gravi condizioni, pregandolo di strappare la grazia della guarigione dal Cuore della Madonna, come infatti avvenne. Nel pomeriggio Padre Pio fu di nuovo sulla veranda a pregare intensamente.Non si accorgeva di nulla, neppure di noi che gli eravamo attorno, talmente era assorbito in Dio. Volle assistere alla Messa vespertina dai matronei. Dopo la S.Messa, aiutato da P.Onorato nell'alzare il braccio, impartì l'ultima benedizione alla folla immensa che gremiva la Chiesa.Ritiratosi nella cella, si affacciò a lungo alla finestra, agitando il fazzoletto bianco in segno di saluto alla gente ammassatasi nel prato, che augurava la vita al Padre morente. Prima che egli si stendesse sul letto, assistito da P.Pellegrino; che gli faceva compagnia di notte, entrai nella cella per chiedergli la benedizione, dovendo partire per Montecatini.Gli dissi «Padre Spirituale, io parto insieme con P.Onorato per Montecatini, mi dia la benedizione». Padre Pio fissò i suoi occhi nei miei con uno sguardo di pietà e di richiamo, quasi volesse dirmi.«Dove vai? Non vedi che sto morendo!». Scesi giù e dissi a P.Onorato: «Rimandiamo la nostra partenza di qualche giorno.Padre Pio sta molto male, potrebbe succedere qualche cosa...». Infatti, durante la notte si avverò il mio presentimento. Padre Pio, logorato dalle sofferenze e dalle emozioni, consapevole della sua morte imminente, volle mettersi a letto con l'abito religioso, nonostante le insistenze di Padre Pellegrino, per farglielo togliere, a causa del caldo soffocante. Il caro Padre rispose: «Voglio morire con l'abito di San Francesco addosso». Raccolto in preghiera, attese con gemiti e sospiri amorosi l'incontro finale col suo diletto Gesù. A mezzanotte volle confessarsi, rinnovò i voti religiosi e diede l'incarico a Padre Pellegrino di domandare perdono al Superiore e a tutti i frati della comunità per i fastidi dati.Padre Pellegrino gli disse: «Padre, lei ci lascia senza darci una benedizione». Padre Pio: «Sì, benedico tutti i confratelli, i figli spirituali, i gruppi di preghiera, gli ammalati e quanti verranno a pregare sulla mia tomba.Prego il Padre Superiore che impartisca lui la benedizione da parte mia». Pronunziate queste parole, scese dal letto, infilò le ciabatte ai piedi e si avviò verso la veranda con la corona nelle mani. Alla fine del santo rosario si sentì venire meno.Volle essere riportato nella cella, dove, seduto sulla piccola poltrona, continuò a pregare. Era l'una e mezza di notte. Fissando lo sguardo sulla parete dirimpetto, esclamò: «Vedo due mamme!...Quanto sono belle!...». Padre Pellegrino: «Padre Pio, sulla parete c'è l'immagine della Madonna della Libera e il ritratto di mamma Giuseppa». Padre Pio: «Non mi sbaglio... le due mamme già mi vengono incontro». Man mano che passavano i minuti, Padre Pel- legrino, vedendo la fronte di Padre Pio imperlata di sudore freddo e le labbra bluastre, corse a svegliare il Superiore, Padre Carmelo da SanGiovanni in Galdo ed alcuni frati. Telefonò subito al Dott.Sala, medico curante di Padre Pio, che in pochi minuti raggiunse il convento insieme coi Dottori Gusso e Scarale, ma non poterono fare nulla. Ormai era la fine. Il cuore indebolito non reggeva più. Il Sacrista, Padre PaoloCovino, gli amministrò il sacramento della sacra unzione, alle cui preghiere Padre Pio rispose con edificante pietà. Alle ore due e venticinque, come aveva predetto, pronunziando a filo di voce i santissimi nomi di Gesù e Maria, reclinò dolcemente il capo e spirò.A nulla valsero la respirazione artificiale e i massaggi al cuore, morì esangue. Dal suo corpo si sprigionò un delizioso profumo, che inondò la cella. La salma rimase esposta in Chiesa quattro giorni alla venerazione di oltre duecentomila fedeli e figli spirituali, affluiti a S.Giovanni Rotondo.I funerali furono un trionfo ed una glorificazio- ne popolare. All'uscita della salma benedetta dalla Chiesa per il corteo, più di centomila voci esplosero in un fragoroso applauso - e in un formidabile grido: «Evviva Padre Pio Santo! evviva Padre Pio Santo! Padre Pio, prega per noi». Padre Pio riposa nella cripta della grande chiesa. I fedeli vengono a centinaia, a migliaia da ogni parte d'Italia e del mondo, a pregare presso la sua tomba, e lì, raccolti e silenziosi, parlano con lui, espongono le loro necessità, domandano perdono a Dio, chiedono aiuto e protezione e poi, sereni e tranquilli, ripartono col proposito di ritornare ancora. Così San Giovanni Rotondo, questo mio paese, sconosciuto nella mia fanciullezza e sperduto sulle rocce del Gargano, si trasforma in una seconda Betlemme, come felicemente ebbe a dire il cardinale Tedeschini nel discorso che tenne per l'incoronazione della Madonna delle Grazie. Così Santa Maria delle Grazie per opera di un umile fraticello Cappuccino, che spande i raggi della sua santità in tutto il mondo, diventa un faro di luce e di verità, un trono di misericordia e di perdono, un cenacolo di preghiera e d'amore, un lembo di Paradiso.

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Il centro della sua vita spirituale

Il centro della vita spirituale di Padre Pio era Gesù Sacramentato. La sua pietà si polarizzò intorno al Tabernacolo.Gesù, Verbo Incarnato, fu per Padre Pio non un essere lontano nel tempo e nello spazio, ma quanto mai vicino, vivente con lui sotto lo stesso tetto, nascosto nelle Specie Eucaristiche. Ore ed ore, di giorno e di notte, s'intratteneva a colloquio col divino Abitatore del Tabernacolo. Quando, assente dalla cella o dal confessionale, veniva richiesto dove lo si potesse trovare, rispondeva «Venite a cercarmi in Coro, dinanzi a Gesù Sacramentato». La notte insonne, passata in preghiera, era tutta una preparazione alla S.Messa e all'unione con Cristo nella S.Comunione.Il giorno vissuto nella preghiera, nel confessionale, nel ministero sacerdotale, era tutto un inno di ringraziamento. Il suo pensiero, il suo sguardo, il suo desiderio era sempre rivolto a GesùSacramentato, da cui non sapeva distaccarsi senza soffrire, come se fosse attratto da una potente calamita. Il 29 marzo1911 scrive al suo Direttore spirituale: «Mio carissimo padre, dall'entrare della primavera in qua mi sento più che mai accresciuti i malori... Ma ciò che più mi ferisce, padre mio, è il pensiero di Gesù Sacramentato.Il cuore si sente come attratto da una forza superiore prima di unirsi a lui la mattina in sacramento.Ho tale fame e sete prima di riceverlo, che poco manca che non muoio di affanno. Ed appunto perché non posso non unirmi a lui, alle volte colla febbre addosso sono costretto ad andarmi a cibare delle sue carni.E questa fame e sete anziché rimanere appagata, dopo che l'ho ricevuto in sacramento, si accresce sempre più.Allorché poi sono già in possesso di questoSommo Bene, allora sì che la piena della dolcezza è proprio grande che poco manca da non dire a Gesù: basta, che non ne posso quasi proprio più. Dimentico quasi di essere nel mondo: la mente ed il cuore non desiderano più nulla e per molto tempo alle volte, anche volontariamente non mi vien fatto di desiderare altre cose...» (Epist.I, 216s.). Soffriva immensamente quando non poteva celebrare la S.Messa, ma non poteva fare a meno della S. Comunione. Nella Liturgia ante-conciliare, nel giorno di Venerdì Santo era vietata la distribuzione della S.Comunione ai fedeli.Padre Pio, per non rimanere privo del Pane Eucaristico, ebbe dai Superiori il privilegio di officiare in detto giorno e di consumare le Sacre Specie, onde potere lenire le atroci sofferenze del suo Venerdì Santo. Durante le sue frequenti e strane malattie, i medici curanti, vedendolo deperire, lo esortavano a cibarsi, per riacquistare le forze; ma Padre Pio rispondeva loro che aveva un altro pane molto più efficace e salutare del pane materiale, allundendo all'Eucarestia. Padre Pio era robusto di costituzione.Eppure non mangiava quasi nulla.In media, ogni giorno, perdeva sangue quanto ne poteva contenere una buona tazza di caffè. È affermazione del celebre cardiologo prof.Pietro Valdoni, suo amico ed ammiratore, che lo visitò più volte. A causa della continua perdita di sangue dalle piaghe, temeva (come egli stesso scrisse al suo Direttore Spirituale) di morire dissanguato. La sua vita fisica era un mistero.Nessuno uomo avrebbe potuto resistere così a lungo, senza cibarsi, senza curarsi, perdendo ogni giorno molto sangue e logorandosi in un lavoro estenuante per tanti e tanti anni. Era il Pane Eucaristico, di cui si cibava ogni giorno, che gli dava salute e vigoria. La S.Comunione per PadrePio era vita, fusione di cuori, sorgente di gioia e di felicità. Il 21 marzo 1912 scrive al P.Agostino da S.Marco in Lamis: «Ieri, festività di S.Giuseppe, Iddio solo sa quante dolcezze provai, massime dopo la S.Messa, tanto che le sento ancora in me... La bocca sentiva tutta la dolcezza di quelle carni immacolate del Figlio di Dio... Quanto mi rende allegroGesù! Quanto è soave il suo spirito! Ma io mi confondo e non riesco a fare altro se non a piangere e ripetere:Gesù, cibo mio...» (Epist. I, 265). Il 18 aprile1912 scrive di nuovo a P. Agostino: «... Finita la Messa mi trattenni con Gesù pel rendimento di grazie.Oh! quanto fu soave il colloquio tenuto col Paradiso in questa mattina! Fu tale che pur volendomi provare a voler dire tutto, non lo potrei... Il cuore di Gesù ed il mio, permettetemi l'espressione, si fusero.Non erano più due cuori che battevano, ma uno solo. Il mio cuore era scomparso, come una goccia d'acqua che si smarrisce in un mare. Gesù n'era il Paradiso, il Re... La gioia sola che riempiva il mio cuore fu quella che mi fece piangere sì a lungo... Viva il divin prigioniero!» (Epist.I, 273). Negli ultimi mesi della sua vita, si può dire che l'unico sostentamento quotidiano era la santa Comunione. Non mangiava più nulla: sentiva nausea di ogni cibo, che facilmente gli provocava il vomito. Si cercava di fargli ingoiare a stento delle vitamine. Il mattino del sabato 21 settembre 1968, vigilia del suo pio transito, non celebrò la S.Messa.Si sentiva spossato e molto male. Volle la santa Comunione, che gli portò P.Onorato alle ore cinque.Io ero nella cella di Padre Pio.Lo sostenni col braccio sinistro, mentre con la mano destra gli posi il piattino sotto il mento. Ebbi la sensazione che scottasse. Padre Pio rispose alle preghiere con grande pietà.Dopo di avere ricevuto Gesù Sacramentato, il suo volto apparve infuocato; gli occhi, prima languidi, divennero splendenti.S'immerse subito nell'immensità dell'amore divino; nella felicità dell'unione e della visione di Dio. Nella direzione spirituale di anime consacrate al Signore, o tendenti alla perfezione cristiana, PadrePio non si stancava mai d'inculcare l'amore all'Eucarestia e la frequenza alla Comu- nione quotidiana, quale fonte di grazia e di santità. L'11dicembre 1916 scriveva ad alcune figlie spirituali: «Voglia Iddio conservarvi nelle vie del suo santo amore... Frequentate sempre la Comunione quotidiana... disprezzando i dubbi che sono irragionevoli e confidate nell'ubbidienza cieca ed ilare...". PadrePio rese presente, sensibile, visibile il cuore e l'amore di Gesù Eucaristico in mezzo alla moltitudine dei suoi figli spirituali e dei fedeli di tutto il mondo che lo hanno visto almeno per una sola volta.

PADRE PIO E LA MADONNA

Amore ardente per Maria

Quando si parla di devozione alla Madonna, non si vuole dire altro che riaffermare in maniera perfetta la devozione a Gesù Cristo, assicurandosi un mezzo facile e garantito per trovarlo. Essendo Maria, fra tutte le creature, la più conforme a Gesù, ne consegue che, fra tutte le devozioni, quella che consacra e conforma maggiormente l'anima al Salvatore, è la devozione alla Vergine sua Madre, e che quanto più un'anima sarà consacrata a Maria, tanto più lo sarà a Gesù Cristo. Come per mezzo di Maria è venuto a noi il Figlio di Dio, fatto uomo e chiamato Gesù, così per mezzo di Lei, noi andiamo a Gesù: «Ad Jesum per Mariam». Non vi è un Santo nella Chiesa Cattolica, che non sia stato innamorato della Madonna e che non abbia raggiunto il traguardo desiderato: Gesù Cristo. La Chiesa, per esortare maggiormente le anime alla devozione della Madonna, mette sulle sue labbra le parole della sapienza: «Chi ha trovato me, ha trovato la vita ed attingerà dal Signore la salute: quelli che mi amano, mi onorano e mi sono devoti, avranno la vita eterna». S. Agostino, scrivendo della Madonna come Madre di Cristo, afferma anche che è Madre delle membra di Cristo. Maria è veramente Madre delle membra di Cristo, perché cooperò con la carità alla nascita dei fedeli della Chiesa, i quali di quel Capo sono le membra. Questa maternità di Maria perdura senza soste, dal momento del consenso prestato nel-l'Annunciazione e mantenuto senza esitazione sotto la croce, fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti. Padre Pio, che ha speso la sua vita nell'amore di Dio e del prossimo, ha amato ardentemente la Madonna. Egli vide nella Madre di Dio la via che lo portava a Cristo e la via più sicura per portare Cristo ai fratelli. Vedeva la Madonna nella luce del piano di salvezza voluto da Dio e in questa visione si sentiva intimamente legato a Gesù. Scriveva al P. Agostino da S. Marco in Lamis: «Questa tenerissima Madre, nella sua grande misericordia, sapienza e bontà ha voluto punirmi in un modo assai eccelso, col versare nel mio cuore tali e tante grazie, che quando mi trovo alla presenza sua e a quella di Gesù, sono costretto ad esclamare: "Dove sono, dove mi trovo? Chi è che mi sta vicino?" Mi sento tutto bruciare senza fuoco, mi sento stretto e legato al Figlio per mezzo di questa Madre senza neanche vedere le catene, che tanto stretto mi tengono: mille fiamme mi consumano: sento di morire continuamente e pur sempre vivo. E in questi istanti è che esco il più delle volte in escandescenze, sento che il sangue mi affluisce al cuore e da questo alla testa: sono tentato di gridare loro in viso e chiamare crudele il Figlio, tiranna la Madre» (Epist. I, 357). Ad una figlia spirituale, che gli chiedeva un pensiero sulla Madonna, disse: «Figlia mia, ti basta sapere che Maria è la Madre di Gesù... ci ama tanto, che ha offerto a Dio Padre il suo unico Figlio naturale per salvare i figli adottivi. Tutti gli Angeli e i Santi uniti insieme non possono degnamente lodare la Madre di Gesù, figlio di Dio... È un grande inestimabile tesoro, che chiude in sé un tesoro infinito, il Figlio di Dio. Chi può misurare la grandezza della Mamma celeste? In Essa l'Onnipotente esaurì tutto ciò che Egli può comunicare di se stesso. Maria è la più grande creatura uscita dalle mani di Dio, ma nulla sarebbe stato, se Ella non avesse cooperato a tanta grazia. L'occhio di Dio trova le macchie anche nei suoi Angeli, ma su Maria si posa con somma compiacenza. È più bella e più splendente del sole. È un purissimo cristallo, che non sa e non può riflettere che Dio».

«E lei non la vede la Madonna?»

Padre Pio afferma nelle lettere ai suoi Direttori spirituali che sin dalla fanciullezza vedeva con frequenza la Madonna, che gli parlava e lo confortava. Anzi nella sua semplicità, credeva che le apparizioni della Madonna fossero cose ordinarie che succedessero a tutti. Padre Agostino scrive nel suo Diario : «Le estasi e le apparizioni della Madonna a Padre Pio cominciarono al quinto anno di età, quando ebbe il pensiero e il sentimento di consacrarsi al Signore e furono continue. Interrogato come mai le avesse celate per tanto tempo, candidamente rispose che non le aveva manifestate, perché le credeva cose ordinarie, che succedessero a tutte le anime; difatti un giorno mi disse ingenuamente: "E lei non la vede la Madonna?". Ad una mia risposta negativa soggiunse: "Lei lo dice per santa umiltà"». Leggiamo ancora nel Diario di P. Agostino, presente ad alcune estasi di Padre Pio nel convento di Venafro, nel 1911, queste frasi: «Senti Mammina, non importa che mi guardi così... con quegli occhi torvi... Io so che mi vuoi bene... io ti voglio bene più di tutte le creature della terra e del cielo... dopo Gesù, s'intende... ma ti voglio bene. Mammina mia... sei bella sì... ma gli occhi... sei bella, Mammina mia... quei capelli sono splendidi... io mi glorio di avere una Mammina così splendida... Sei bella, Mammina cara... se non ci fosse la fede, gli uomini ti direbbero Dea... gli occhi tuoi sono risplendenti più del sole» (Diario, II ediz., p. 40, 50).

Affascinato dalla bellezza di Maria

Padre Pio, conquiso dalla bellezza e bontà della Madonna, soleva invocarla col dolce nome di «Mammina mia». on c'è da meravigliarsi se la Madonna si sia mostrata con lui sempre Madre tenera, buona e misericordiosa. Padre Pio fu un predestinato per il cielo, perché la sua vita fu tutta improntata alla pietà e all'amore di Maria. Sulla porta della cella n. 5, dove egli visse per moltissimi anni, nel convento di S. Maria delle Grazie in S. Giovanni Rotondo, vi era e vi è tuttora la massima di S. Bernardo: «Maria è tutta la ragione della mia speranza». Egli ripose veramente ogni speranza nella Ma- dre di Dio, che non mancò mai di esaudirlo e di manifestargli le sue tenerezze materne. Il suo amore per la Santissima Vergine fu talmente grande, che non ebbe limiti. Dopo Gesù, Padre Pio amò la Madonna intensamente sopra ogni altra creatura. Chi non ricorda la tenerezza con cui ogni pomeriggio, recitava dinanzi a Gesù Sacramentato, la «visita al SS. Sacramento» e la «visita a Maria Santissima» di S. Alfonso dei Liguori? La sua anima s'inteneriva fino alle lacrime; e alle espressioni «non mi lasciate...» un nodo di pianto gli serrava la gola, tanto che tutti i fedeli si commuovevano e piangevano. Godeva e si commuoveva quando sentiva cantare nel prato, sotto la finestra della sua cella, le canzoncine della Madonna. Quando poi si recavano da lui i cantanti lirici (come i tenori Damiani di Montevideo e Beniamino Gigli, che con la sua voce d'oro affascinò il mondo, ed altri celebri cantanti), Padre Pio si faceva cantare sempre qualche canzoncina alla Madonna, che ascoltava quasi estasiato. Non tollerava il paragone di una bellezza di questo mondo con la bellezza della Madonna. Una sera, presente Padre Eusebio da Castelpetroso nella sua cella, una grande folla di pellegrini cantava nel prato una canzoncina alla Madonna, il cui ritornello, diceva: «Bella tu sei qual sole, bianca come la luna...». A queste parole, Padre Pio esclamò: «Se fosse così, rinunzierei ad andare in Paradiso». Un giorno presentai a Padre Pio, una bellissima immaginetta della Madonna col Bambino Gesù, pregandolo di scrivermi un pensierino a tergo. Poiché non smettevo di dire che il viso della Madonna era molto bello, delicato e grazioso, Padre Pio prese l'immaginetta nelle mani, la guardò e subito me la restituì, dicendo: «Non potevano farla più brutta di questa». Io rimasi inebetito; poi dissi: «Sì, Padre! Lei ha visto la Madonna, perciò questa immaginetta le sembra brutta. Come è la Madonna?». Padre Pio: «E chi può ritrarre la bellezza della Madonna?». Dopo alcuni mesi, quando non ci pensavo più, Padre Pio mi chiamò e mi disse: «Vieni nella mia stanza, ti ho preparato l'immaginetta». Mi diede un'immaginetta della Madonna veramente bella, su cui aveva scritto: «Maria SS.ma ti apra tutto il suo cuore. Padre Pio».

«Preghiamo con fervore...»

Padre Pio, innamorato della Vergine Santissima, non smise mai di raccomandare a tutti i fedeli l'amore e la devozione alla Madonna, convinto che la Vergine è stata chiamata a svolgere una funzione rappresentativa di tutta la Chiesa nell'opera redentiva. Egli esortava continuamente i suoi figli a confidare nella Madonna, ad aprire a Lei il loro cuore, sicuri di essere esauditi. Sapeva bene che la Santissima Vergine è la dispensiera di grazie e che ha nelle mani le chiavi del Cuore di Dio. Così infatti esortava: «Preghiamo con fervore, con costanza, con fiducia e attendiamo pazientemente che il Signore e la Vergine sua Madre ci esaudiscano... Siamo costanti e perseveranti e la Vergine non potrà rimanere sorda alle preghiere dei suoi figli... Se saremo perseveranti, questa Mamma non rimarrà sorda ai nostri gemiti...».

Apostolo del S. Rosario

Padre Pio, in tempi in cui si è cercato di dare il bando alla corona del S. Rosario, definito, da molti sacerdoti, cantilena monotona e noiosa, cianfrusaglia del Medio Evo, è stato il più grande assertore e apostolo di questa dolcissima devozione alla Madre di Gesù. Egli diceva che il Rosario è: «Un dono meraviglioso della Madonna all'umanità». Ci faceva intendere che la Mamma celeste nel Rosario ci ha donato tutta se stessa. La sua vita, la sua grazia, le sue opere, i suoi privilegi, i suoi meriti, ci sono infatti presentati nei quindici misteri come altrettanti bellissimi quadri da studiare e da contemplare. Il Rosario è il Vangelo della Madonna, il suo Breviario, la sua Eucaristia. È stata Lei, la Madre di Gesù, che nelle sue apparizioni, lo diede e lo consegnò a S. Domenico da Gusman, a S. Caterina da Siena, ad una schiera innumerevole di Santi, fino a S. Bernardetta a Lourdes ed ai tre Pastorelli a Fatima, raccomandandone la recita e la diffusione, promettendo salvezza e grazie a quanti lo avrebbero recitato. Il caro Padre così sintetizzò il contenuto teologale del S. Rosario: «Questa preghiera è la sintesi della nostra fede, il sostegno della nostra speranza, l'esplosione della nostra carità». Padre Pio sapeva molto bene che la corona del S. Rosario è un eccellente strumento di grazia, un elemento prezioso della vita interiore, un mezzo efficacissimo di elevazione spirituale. Aveva sempre nelle sue mani la corona benedetta recitando ininterrottamente, senza mai stancarsi, giorno e notte, rosari e rosari. Si può dire che sui grani del rosario egli abbia fatto scorrere ora per ora tutte le ansie e i dolori, le gioie e i tripudi le angosce e i bisogni della sua anima e delle anime di milioni di figli spirituali. Non solo ha amato e recitato senza soste il rosario, ma egli se ne è fatto anche un fervido propagatore, diffondendolo e raccomandandolo ai figli spirituali, ai Gruppi di Preghiera, ai fedeli e a quanti si avvicinavano a lui per la confessione, per consigli o per altri motivi. Soleva chiamare la corona del S. Rosario «L'arma» e ne dava la spiegazione dicendo: «La corona è un'arma potente per mettere in fuga il demonio, per superare le tentazioni, per vincere il cuore di Dio, per ottenere grazie dalla Madonna». Chiamava il Rosario anche «corona di grazie». Con i rosari egli faceva piovere dalle mani dell'onnipotente Madre di Dio e Mediatrice, torrenti di grazie per milioni di anime. La verità della Mediazione universale di Maria Santissima, che regge e governa tutto l'ordine soprannaturale della Grazia, trova in Padre Pio una conferma sperimentale splendida. Egli diceva ai beneficati: «La Madonna vi ha fatto la grazia: andate a ringraziare la Madonna». Persino fra le ultime raccomandazioni prima della morte, troviamo queste parole, che sintetizzano in breve tutta la lezione della sua vita d'amore alla Madonna e al suo rosario: «Amate la Madonna e fatela amare. Recitate sempre il rosario». Il dono più prezioso che Padre Pio potesse fare a uomini politici, scienziati, magistrati, medici, oratori, intellettuali, personalità illustri, era la corona del S. Rosario, accettata sempre con gradimento e soddisfazione. Donando la corona, raccomandava di portarla sempre addosso e di recitare ogni giorno almeno cinque poste di rosario, assicurandosi protezione e grazie dalla Madonna.

Padre Pio alza benedicente la mano su un gruppo di figli spirituali

Padre Pio alza benedicente la mano su un gruppo di figli spirituali

Si addormentò nelle braccia della Mamma Celestee

Padre Pio, distribuendo con l'autorizzazione del Superiore corone del S. Rosario a quanti le richiedevano, spesso ne rimaneva lui privo, come gli capitò il giorno precedente la sua morte. Nel pomeriggio del 21 settembre 1968, verso le ore quattordici, accompagnai P. Giovanni di Cossato (Vercelli) nella veranda, dove si trovava Padre Pio. Presenti P. Onorato Marcucci e Bill (ora sacerdote P. Giuseppe Pio), misi nelle mani del caro Padre una corona, pregando di benedirla e di baciarla, perché dovevo regalarla al confratello ospite. Padre Pio, dopo averla benedetta, portò il crocifisso della corona alle labbra e cominciò a baciarlo ripetutamente e appassionatamente come se volesse assimilarlo. Vedendo che non mi restituiva la corona, gliela chiesi. Mi rispose: «Questa corona è mia». «No, Padre Spirituale: l'ho portata dalla mia cella per farla benedire, perché debbo regalarla a P. Giovanni». Padre Pio: «Chi ha preso la mia corona?». «Non so nulla. Forse l'ha regalata a qualcuno». Intervenne P. Onorato: «Padre Pio, ha dimenticato che a mezzogiorno è venuto Fra Modestino, le ha chiesto una corona e lei gli ha donato la sua?...». Padre Pio rimase a guardarmi con occhio supplichevole, quasi volesse dirmi: «Me la dai?». Compresi il desiderio del Padre e dissi: «Padre, se la tenga: ora vado a prenderne un'altra». Il caro Padre mi ringraziò; poi benedisse e baciò la seconda corona ed egli stesso la diede al confratello torinese. La sera del 22 settembre, fino al momento del suo sereno transito, recitò gli ultimi rosari e si addormentò nelle braccia della Mamma Celeste con la mia corona, che avrei voluto riavere, ma che non ho mai saputo in quali mani privilegiate sia andata a finire. Ai nostri tempi Padre Pio è stato il più grande innamorato della Madonna e della corona del S. Rosario. Sul suo esempio, cerchiamo di stringerci attorno alla Madre Celeste, legandoci a Lei con la corona del rosario. La Madonna vuole servirsi proprio della corona benedetta del rosario per inondarci di grazie e di benedizioni.

«La Madonna mi ha guarito»

La Madonna ricambiava l'amore del suo servo e figlio diletto non solo con le apparizioni e con le carezze, ma col dispensare piogge di grazie in seguito alle sue preghiere. Chi può numerare i beneficati della Madonna per la intercessione di Padre Pio? La stessa miracolosa guarigione di Padre Pio da una grave malattia si deve alla Madonna di Fatima. Così Padre Pio mi narrò la sua guarigione miracolosa da una grave infermità, che nel 1959, durante la «Peregrinatio Mariae» per le città d'Italia, lo tenne inchiodato per oltre tre mesi a letto, fino a quando la Madonnina di Fatima non giunse a S. Giovanni Rotondo. Riporto fedelmente il dialogo avvenuto tra me e Padre Pio, che io scrissi subito, appena uscito dalla sua cella. Era l'agosto del 1959. Alcuni giorni dopo la guarigione di Padre Pio, da San Severo, dove io ero Parroco della Chiesa di Maria Santissima delle Grazie, mi recai a San Giovanni Rotondo per rivedere l'amato Padre e informarmi della sua salute. Trovai Pade Pio seduto nella sua cella insieme con un altro Religioso. Gli baciai la mano e gli chiesi come si sentisse. Mi rispose: «Sto bene; vedi: sono guarito; la Madonna mi ha guarito». Indi, m'invitò a sedere su un seggiolone di fronte a lui e mi disse: «Tu eri qui, quando la Madonna stava per partire?». Alla mia risposta affermativa, proseguì: «Quel giorno in cui l'elicottero si era alzato per partire e volteggiava sul piazzale della Chiesa, io ero presso una finestra della nuova Chiesa. Vedendo che la Madonna stava per andarsene, senza avermi guarito, preso da sgomento, mi rivolsi a Lei, pregandola con le lacrime agli occhi: "Mamma mia! sei venuta in Italia e mi hai portato questo guaio; sei venuta a San Giovanni Rotondo e mi hai trovato ancora ammalato; ora te ne vai e mi lasci in queste condizioni, senza neppure darmi la tua benedizione!...". In quel momento fui preso da una sensazione di calore e di benessere... Sentii il bisogno di camminare... ero guarito». Dopo tale dichiarazione, gli dissi: «Padre spirituale, lei ha detto che la Madonna le ha portato un guaio. Che cosa intende per guaio?». Ed Egli: «La malattia. Non è stata forse un guaio per me?». «Padre, lei ci ha insegnato che le malattie sono doni di Dio. Ora se la Madonna le ha portato la malattia, non è un guaio, ma un dono». Ed Egli: «Sì, un dono; ma anche un guaio; perché non ho potuto più celebrare la Santa Messa; non ho potuto più confessare tanta gente, venuta da lontano. Dimmi, non è stato un guaio?». «Sì, Padre, sotto questo aspetto, la malattia è stato un guaio». Poi aggiunsi: «Padre, i medici hanno dichiarato che lei era clinicamente guarito mediante le cure prodigatele ed era già convalescente prima che la Madonna fosse arrivata a San Giovanni Rotondo». Padre Pio: «I medici possono dire ciò che vogliono. La realtà è questa che fino alla partenza della Madonna, mi sentivo ancora tanto male, che non avevo la forza di reggermi in piedi, non potevo camminare, né muovermi, né parlare; ora sto in piedi, cammino da solo, parlo e potrei scendere in chiesa a celebrare e a confessare, se me lo permettessero, ma i medici raccomandano riposo e prudenza». Qualche giorno dopo, infatti, il Padre perfettamente guarito, riprese il lavoro estenuante delle confessioni. Gli rivolsi ancora un'altra osservazione: «Padre, ho letto su una rivista le dichiarazioni fatte da un Prelato, che attribuisce la sua guarigione ad un fatto ordinario, dovuto alle cure mediche». Padre Pio, quasi risentito, mi rispose: «Io so che ero ammalato e mi sentivo ancora tanto male, ho pregato la Madonna e la Mamma celeste mi ha guarito. Se non ci vogliono credere, facciano il processo alla Madonna, che mi ha guarito». Quanta semplicità e quanto candore in questa risposta!... Sembra il dialogo del cieco nato del Vangelo. Padre Pio cominciò a sentirsi male la sera del 24 aprile 1959 quando la Madonna di Fatima, partita dalla Cova de Iria, toccava il suolo d'Italia nella Piazza Plebiscito di Napoli. La coincidenza della malattia con l'arrivo della Madonna in Italia è la prova dell'adesione al messaggio di preghiera e di penitenza di Fatima, fatta da Padre Pio in un modo tutto suo, facendo dono della propria vita, sottoponendosi a sacrifici e dolori, alle rinunce più dure, subendo una delle prove più lunghe e tremende della sua vita con uno slancio e una generosità senza confronti. La Madonna ha voluto premiare Padre Pio, venendo a San Giovanni Rotondo, non tanto per rendergli un saluto e una benedizione, quanto per ringraziarlo della suprema testimonianza d'amore e di solidarietà al suo messaggio.

«Va' a ringraziare la Madonna»

Nella primavera del 1963, ero Superiore del convento di Pietrelcina, quando, in seguito ad una influenza, ebbi una grave infezione alla tiroide, che mi tenne inchiodato a letto per tre mesi, in condizioni preoccupanti. Dopo un mese di febbri ininterrotte e molto alte, ci fu un consulto di medici, che decisero per il ricovero in ospedale. Dietro mio desiderio, fui accompagnato in macchina a S. Giovanni Rotondo dal medico curante Dott. Vittorio Iadanza. Volli prima salutare Padre Pio, il quale mi benedisse e mi promise che avrebbe pregato la Madonna per la mia guarigione; poi fui ricoverato nella «Casa Sollievo della Sofferenza», dove fui preso in cura dal Prof. Dott. Luciano Lucentini, Primario del Reparto di medicina. Dopo alcune settimane di degenza, sfibrato di forze, diminuito di peso, circa quindici chili, ero peggiorato. Passavano i giorni, senza alcuna miglioria, nonostante le energiche e intense cure. Una notte caddi dal letto, ferendomi alla testa e non ebbi la forza di rialzarmi. Fui soccorso da alcuni infermi, che accorsero al mio grido e mi rimisero a letto. Fu chiamato il medico di guardia, che mi disinfettò la ferita e mi mise alcuni punti. Al mattino venne a visitarmi il Prof. Lucentini, il quale, preoccupato del corso poco promettente della malattia, mi disse: «Padre Alberto, è necessario che andiamo a Roma. Appena si abbasserà la febbre, l'accompagnerò io stesso». Gli risposi: «Professore, se la malattia è grave, desidero rimanere a S. Giovanni Rotondo. Se è arrivata la ora mia, desidero morire qui, dove sono nato e dove riposano i miei genitori». Il Prof. Lucentini per incoraggiarmi, disse: «Padre Alberto, non pensi a queste cose. A Roma l'affiderò al Prof. Cassano, mio maestro e rinomato specialista delle malattie della tiroide, il quale ha mezzi e attrezzature più adatte per la cura della sua malattia. Vedrà che tutto andrà bene». Lucido di mente, ero a conoscenza della gravità del male, per cui mi abbandonai nelle braccia della Madre Celeste e nelle preghiere del caro Padre Pio, che mi seguiva premurosamente e mi faceva sapere per mezzo dei confratelli di essermi vicino e di pregare per la mia guarigione. - Essendo io nell'impossibilità di viaggiare, a causa della febbre sempre alta, e peggiorando di giorno in giorno, il Prof. Lucentini decise di andare solo a Roma per un consulto col Prof. Cassano. - In quei tre giorni di assenza, cominciò un lieve miglioramento, abbassandosi anche la febbre. Al ritorno da Roma, il Prof. Lucentini venne subito a visitarmi e con soddisfazione notò l'inizio della miglioria e della guarigione. Finalmente, dopo tre mesi di malattia, fui dimesso dall'ospedale, perfettamente guarito. Appena uscito, andai in convento a ringraziare Padre Pio, il quale, abbracciandomi, disse: «Vai a ringraziare la Madonna, che ti ha guarito. È stata tanto buona con te!». Risposi: «Sì, Padre. Devo ringraziare anche lei per le preghiere e per il paterno interessamento durante tutto il tempo della malattia».

PADRE PIO E LA PREGHIERA

Bisogno di Dio

L'umanità odierna, questa società del consumismo e del benessere, si è allontanata da Dio. Oggi, si vive in una crisi tremenda, in un pauroso sbandamento morale e spirituale. Si è dato il bando a Cristo, al Vangelo e alla Chiesa. Non si crede più al soprannaturale, ad un'altra vita migliore. Si cerca di vivere nella pienezza il godimento di questa vita terrena. Eppure, nonostante il progresso, la civiltà, il benessere generale, tutti sentono nell'animo un vuoto incolmabile; un bisogno di Dio, che possa colmare il vuoto del cuore. L'umanità, senza saperlo, cerca Dio e non Lo trova, perché immagina Dio come un «essere onnipotente» al di sopra di ogni creatura umana, ma materializzato. Questo è l'errore. Su questo argomento ho avuto lunghe discussioni con gruppi di studenti universitari in alcune città d'Italia. Il principio del loro ragionamento è stato sempre identico: «Esistenza della materia; negazione dello spirito». Dio è purissimo spirito. Lo spirito non si vede, non si tocca, non cade sotto i sensi. Tutte le discussioni e ricerche che partono da principi materialistici di ritrovare Dio sono destinate al fallimento. Un pomeriggio, Padre Pio, durante la breve ricreazione nell'orto del convento di S. Giovanni Rotondo, circondato da figli spirituali, medici, intellettuali e da alcuni Frati, coi quali ero anch'io, discorrendo sullo spinoso argomento della ricerca di Dio, e dei nostri rapporti con Lui, uscì in questa bellissima espressione: «Si cerca Dio nei libri, si trova nella preghiera. Se oggi non si crede più, si deve alla mancanza di preghiera. Dio non si trova nei libri, ma nell'orazione: più si prega, più aumenta la fede e si trova Dio. - Voi figliuoli, non tralasciate mai la preghiera: pregate spesso durante la giornata. Fate anche un po' di meditazione. Troverete e vedrete Dio».

Necessità della preghiera

Padre Pio soleva dire: «La preghiera è il pane e la vita dell'anima, il respiro del cuore, un incontro raccolto e prolungato con Dio». Infatti la preghiera ci mette a contatto con Dio; è come un telefono tra noi e Dio. Nella vita non si può fare a meno della preghiera. Tutti sentiamo il bisogno di pregare. Gli stessi atei hanno nella vita dei momenti difficili e sentono la necessità d'innalzare il grido verso il cielo, invocando aiuto da colui, che hanno sempre rinnegato e al quale non hanno mai creduto. La storia è maestra di vita. La storia dell'umanità insegna che i popoli, gli individui, sin dalla creazione, hanno sentito il bisogno di essere a contatto con Dio, di pregare e parlare con Lui. Nelle pagine della Bibbia leggiamo che Adamo ed Eva pregavano e parlavano con Dio. I patriarchi Abramo, Noè, Mosè, Giacobbe e tutti gli altri pregavano e dialogavano con Dio. I profeti nulla vaticinavano ed annunziavano senza avere ascoltato la voce di Dio. Le Sacre Scritture sono piene di colloqui delle creature col Creatore. I pagani pregavano a modo loro, materializzando Dio, ma pregavano e pregano. I Buddisti, i Mussulmani ci danno esempi di preghiera. Gesù, Figlio di Dio ha pregato e ha esortato sempre i suoi seguaci alla preghiera perseverante. I cristiani, nei primi tempi, venivano chiamati uomini di preghiera. I monaci, i cenobiti, gli Ordini Religiosi, gli Istituti di Suore fanno della preghiera l'anima e lo scopo della vita religiosa. San Francesco d'Assisi era talmente assorto nella preghiera che non si accorgeva delle folle che lo pressavano.

«Uomo di preghiera»

Paolo VI, durante una udienza concessa al Padre Generale e ai Definitori Generali dei Cappuccini, il 20 febbraio 1971, disse: «Fate quello che potete per avvicinare il popolo meno disposto ad ascoltare la parola religiosa. ... Succederà per voi il miracolo che è successo per il Padre Pio. Guardate che fama ha avuto, che clientela mondiale ha adunato, intorno a sé. Ma perché? Perché era un filosofo? Perché era un sapiente? Perché aveva mezzi a sua disposizione? No; perché diceva la Messa umilmente; confessava dal mattino alla sera; ed era, difficile a dire, il "rappresentante stampato delle Stimmate di Nostro Signore". - Era un uomo di preghiera e di sofferenza». Il Santo Padre ha definito Padre Pio «un uomo di preghiera». Tutta la vita di Padre Pio è stata una continua preghiera. Si può giustamente affermare che Padre Pio fu la preghiera in persona, la preghiera vivente. - Dall'infanzia sino all'ultimo istante della sua vita terrena ha pregato ininterrottamente. Quando era bambino, mentre pascolava le pecore, univa dei ramoscelli di albero in forma di croce, che piantava nella terra, s'inginocchiava e pregava per lunghe ore. Quando era più giovane, spesso di sera si faceva chiudere in Chiesa dal sacrestano e passava le notti in preghiera presso il Tabernacolo. Quando al mattino il sacrestano andava ad aprire la Chiesa, lo trovava ancora assorto in preghiera. Con le lacrime agli occhi correva a chiamare il Parroco Don Salvatore Pannullo, il quale riprendeva dolcemente Padre Pio, dicendogli che per la sua malferma salute non poteva passare le notti insonni. Padre Pio (allora Francesco Forgione) gli rispondeva che nella preghiera dinanzi a Gesù Sacramentato trovava il suo riposo, la sua vita, il suo paradiso. La preghiera era il suo cibo quotidiano. - Qualche anno prima di morire, dopo una lunga vita di ininterrotta preghiera, Padre Pio ebbe a dire: «Non voglio essere che questo, un Frate che prega». I fedeli che, per decenni, si sono recati a S. Giovanni Rotondo, hanno visto Padre Pio sempre così: sull'Altare o su un inginocchiatoio del Coro della piccola Chiesa o dei Matronei della nuova Chiesa, piegato su se stesso, intento a pregare ardentemente in unione a tante anime. A dimostrare ciò, tutti coloro che ebbero il singolare privilegio di essergli vicino, ricordano le frequenti astrazioni in cui il pio Religioso era rapito. Sembrava assente da questo mondo; niente e nessuno dall'esterno riusciva a scuoterlo dall'apparente torpore, che era rapimento serafico.

Un incontro con Cristo e col Padre Celeste

Che cosa era la preghiera per Padre Pio? Ci sembra di poter dire: un incontro con Cristo e, per mezzo di Lui, un incontro col Padre Ce- leste, con Dio. - Questo incontro scaturiva dalla ricchezza della sua vita interiore. Padre Pio ci dà una descrizione meravigliosa della sua esperienza nell'Epistolario. Il 1°; novembre 1913 scrisse al P. Benedetto, suo Di- rettore spirituale: «La maniera ordinaria della mia orazione è questa. - Non appena mi pongo a pregare, subito sento che l'anima incomincia a raccogliersi in una pace e tranquillità da non potersi esprimere con le parole. I sensi sono sospesi, ad eccezione dell'udito, il quale, alcune volte non viene sospeso... ma non mi dà fastidio... ed anche se si facesse del grandissimo rumore... non riesce a molestarmi. Spesse volte mi accade che il continuo pensiero di Dio, che è sempre presente in me, mi si allontana un po' dalla mente, mi sento allora in un tratto toccarmi da nostro Signore in modo così penetrante e soave... che sono costretto a versare lacrime di dolore e di tenerezza... Nell'orazione l'anima mi sembra che si perda tutta in Dio... Altre volte mi sento struggere per Iddio... Sento che l'anima ha un ardentissimo desiderio di uscire di vita... Il tempo sembrami che fugge rapidamente e mai averne a sufficienza per pregare...» (Epist. I, 154). Quante volte, nel coro della piccola Chiesa, o sui matronei, trovai Padre Pio assorto in preghiera, tutto infuocato e immerso in Dio. Egli non si accorgeva della mia presenza, né sentiva la mia voce! Ero costretto a toccargli il gomito o a dare un colpetto al ginocchio, per scuoterlo, chiedergli un consiglio ed avere una benedizione. Il suo assorbimento era talmente profondo, che non si accorgeva delle persone, che gli erano vicine, né del vociare e del rumore che spesso si verificava, mentre egli era in preghiera. Durante il ventennio del fascismo, un giorno Padre Pio fu invitato dal Podestà di S. Giovanni Rotondo a celebrare la S. Messa all'aperto, davanti al Municipio. La popolazione affollò in modo incredibile la piazza e le strade adiacenti per vedere ed osannare a Padre Pio. Iniziata la S. Messa, man mano che procedeva nel divino sacrificio, il suo spirito s'immergeva in Dio, il suo volto appariva sofferente. Non avvertiva più nulla intorno a sé, sembrava assente, soffriva la Passione di Gesù. Al termine, fu accompagnato al convento dal Podestà Francesco Morcaldi il quale, nel licenziarsi, disse: «Padre Pio, avete visto quanta folla? La popolazione vi vuole bene». Padre Pio rispose: «In verità ero talmente concentrato nella celebrazione dei divini misteri, che non mi sono accorto di nulla, neppure di avere celebrato all'aperto».

Una comunione con Gesù

La preghiera di Padre Pio nasce e rivela la ricchezza della carità nella quale avviene la comunicazione personale di Dio all'uomo e dell'uomo a Dio. Sappiamo che nella carità avviene l'incontro e la comunione. San Giovanni Evangelista scrive: «Dio è amore e chi dimora nell'amore, dimora in Dio e Dio dimora in Lui». L'anima santa è quella che crede nell'amore di Dio per lei. Quando questo amore si comunica con particolare potenza e delicatezza, immergendo, nell'abisso della carità di Cristo, allora si determina nell'anima l'atteggiamento della preghiera. Il 12 gennaio 1919 Padre Pio scrisse: «L'infinito amore nell'immensità della sua forza ha conquiso finalmente la durezza dell'anima mia... Egli si va riversando tutto nel piccolo vaso di questa creatura, la quale soffre un martirio indicibile e si sente incapace a portare il peso di questo amore immenso» (Epist. I, 1112). Leggendo le lettere di Padre Pio, la cosa che più frequentemente incontriamo è lo stato di estrema desolazione in cui si trova immerso. Notte profonda fatta di abbandoni... di tristezza... di repulsione da parte di Dio... di inganni... di visioni opprimenti. Le sue preghiere sembrano ruggiti, invocazioni disperate. Egli dice: «La mia preghiera... è l'aculeo di dolori e di pene mortali... Io non raccapezzo più nulla. Non so se le mie preghiere siano tali, oppure forti risentimenti che il cuore rivolge al suo Dio nella piena del dolore. Io mi vedo sommerso in un oceano di fuoco, la ferita che mi venne riaperta sanguina sempre. Dessa sola basterebbe a darmi mille volte la morte».

Preghiera di perenne intercessione

L'intercessione continua ed appassionata per la salvezza degli uomini, fa parte essenziale della preghiera di Padre Pio ed è in perfetta armonia con la sua missione di Sacerdote, di confessore e di corredentore. Il contatto vivo e continuo con tante miserie umane, soprattutto spirituali, era un'esperienza, che arricchiva la sua missione di intercedere e riparare. L'efficacia della sua preghiera di riparazione e di intercessione, scaturiva dalla sua configurazione a Gesù Crocifisso, mediante l'impressione delle stimmate cruente nelle sue membra, che gli facevano rivivere la Passione di Cristo. Padre Agostino da S. Marco in Lamis ci ha lasciato un meraviglioso diario, in cui sono riportate tutte le espressioni uscite dalle labbra di Padre Pio in colloqui col Signore durante alcune estasi nel convento di Venafro. Entrato nella cella di Padre Pio, senza che questi se ne accorgesse, scrisse le parole, le perorazioni, le preghiere, che pronunziava durante il colloquio con Cristo. Sono espressioni di un cuore ardente di carità che intercede per la salvezza o per il bene dei fratelli. Ne riporto alcune: Venafro 28.11.1911. - Padre Pio in estasi col Signore. «O Gesù, ti raccomando quell'anima... devi convertirla, tu sei potente... O Gesù, ti raccomando quella persona, convertila, salvala... non solo convertirla, ma salvarla... Se si tratta di castigare gli uomini, castiga me... sono contento. O Gesù, converti quell'uomo... tu lo puoi... sì, sei potente. T'offro per lui tutto me stesso... Gesù, è brutta quella persona?... mi abuso della tua bontà... Sei un Padre... la grazia gliela devi fare... Quello sarà cattivo... ma, se ti fai vedere sempre, ti devo seccare... Sai, Gesù se non lo converti ti chiamo cattivo! Come?... per tanti e tanti non misuri il Sangue tuo?... La grazia gliela devi fare... finché non saprò che gliela hai fatta, io non mi stancherò. O Gesù non mi devi dir di no. Ricordati che per tutti hai sparso il Sangue... e che c'entra se quello è duro!». «Gesù, un'altra grazia... I sacerdoti devi aiutarli, massime ai giorni nostri... sono fatti spettacolo, bersaglio di tutti... Ma finché si tratta di me, fa' pure, ma degli altri no...». Da queste espressioni, che sono incomplete, perché mancano le parole di Cristo, dalle richieste e dalle insistenze di Padre Pio, possiamo con facilità dedurre il contesto del dialogo. Come un fanciullo che domanda al padre qualche cosa e non smette fino a quando non sia accontentato, così Padre Pio con filiale confidenza chiede la salvezza delle anime e non cede fino a quando non ottenga l'assenso del Signore. Assetato di anime, il 20.11.1921, Padre Pio scrisse a P. Benedetto: «Povero me! non posso trovare riposo, stanco ed immerso nella estrema amarezza, nella desolazione più disperata di non guadagnare tutti i fratelli a Dio. Sono vertiginosamente portato a vivere per i fratelli... Il tutto si compendia in questo: sono divorato dall'amore di Dio e dall'amore del prossimo... Quante volte, per non dire sempre, mi tocca dire a Dio "perdona a questo popolo, o cancellami dal libro della vita"» (Epist. 1, 1247). Questo sfogo di Padre Pio ci dimostra quale ardore bruciasse nel cuore suo per i suoi fratelli. Egli, immagine vivente di Cristo, non risparmiava pene e sofferenze per rendere efficace l'intercessione per la salvezza e il bene delle anime. Il 26.3.1914 scrisse: «Se so che una persona è afflitta, sia nell'animo che nel corpo, che non farei presso del Signore per vederla libera dai suoi mali? Volentieri mi addosserei, pur di vederla andare salva, tutte le sue afflizioni cedendo in suo favore i frutti di tali sofferenze, se il Signore me lo permettesse» (Epist. I, 463). Questo sviscerato amore verso i fratelli sofferenti, si ripercuoteva alle volte nel suo fisico. Un giorno accompagnai da Padre Pio, un povero uomo malato, per una benedizione. Padre Pio, vedendolo tanto sofferente, si commosse, lo esortò a pregare con fiducia, lo benedisse e nel licenziarlo disse che avrebbe pregato per lui. Poi, elevando lo sguardo al cielo, a fior di labbra, soggiunse: «Quanti mali!... Quante sofferenze!... Signore, dà a me le sofferenze di quel povero uomo». Seppi che l'uomo guarì, ma Padre Pio, nei giorni susseguenti all'incontro, si sentì male. Il Signore aveva accettato la sua offerta. Domandare al Signore le sofferenze e i mali dei fratelli era abituale per Padre Pio. Quanti episodi si potrebbero raccontare! La stessa malattia, che, nel 1959, inchiodò Padre Pio a letto per oltre tre mesi fra atroci dolori, non fu senza mistero. Padre Pio per collaborare alla riuscita della «Peregrinatio Mariae» della Madonna di Fatima nelle città d'Italia, chiese al Signore dolori e sofferenze. Il Signore gradì la preghiera e la richiesta. Infatti, Padre Pio si sentì male nello stesso momento in cui la Madonna di Fatima toccava il suolo d'Italia nella Piazza Plebiscito di Napoli, la sera del 24 aprile 1959. Furono tre mesi di atroci sofferenze. I medici avevano diagnosticato pleurite sierosa ed ogni dieci giorni gli estraevano il siero. Durante il periodo della malattia, Padre Pio, steso sul letto, non potendo celebrare la S. Messa, riceveva ogni mattina la S. Comunione e trascorreva molte ore in preghiera. Il suo volto appariva costantemente dolce e sereno. Spesso si mostrava sorridente e faceto verso i fortunati che potevano visitarlo. Un giorno entrarono nella sua cella, insieme col medico curante, alcuni luminari della medicina per un consulto circa la sua malattia. Padre Pio in tono scherzoso disse: «Voi medici, con tutta la vostra scienza, non avete capito nulla della mia malattia». I medici risentiti risposero: «Padre, è tanto chiaro che si tratta di pleurite essudativa, che è necessaria l'estrazione del siero dalla schiena». Padre Pio: «Sarà come dite voi, ma io non ci credo». I medici non conoscevano il mistero della malattia di Padre Pio, la quale clinicamente risultava pleurite sierosa, in realtà era l'interruzione del flusso di sangue e siero dalla piaga del costato e il sedimento del liquido nella schiena, che gli produceva febbri alte e dolori lancinanti. Parlando della sua malattia e della guarigione miracolosa, Padre Pio fece intendere che, dopo avere chiesto al Signore l'aumento delle sofferenze per la conversione dei peccatori e la salvezza delle anime, sentì acuti dolori nella schiena e si accorse che dalla ferita del petto non fluivano più sangue e siero. Dopo oltre tre mesi di malattia, quando la Madonnina di Fatima arrivò a S. Giovanni Rotondo, egli esausto e sfinito, con le lacrime agli occhi, pregò la sua dolcissima Mamma di alleviare le atroci sofferenze; immediatamente ottenne la guarigione. Con la ripresa delle forze, ricominciò il flusso di sangue e siero dalla piaga del costato.

Un dialogo con Dio

La preghiera per Padre Pio era un dialogo sereno con Dio, un incontro vivo e personale con Cristo, un affidarsi, un donarsi a Lui senza riserva. Era un segno nella sua anima della presenza di Gesù. Sotto una bella foto di Padre Pio è stato scritto: «Il mistero di Padre Pio». Il mistero che spiega tutta la vita, l'operato e l'apostolato del caro Padre, è stato il grande attaccamento alla preghiera da lui personificata, senza la quale non sarebbe vissuto. Per lui la preghiera era un dialogo continuo con Cristo, con la Madonna, con l'Angelo Custode e con S. Francesco d'Assisi, che gli apparivano sotto forme visibili. Pregando, egli dava la sensazione di parlare con qualcuno, che amava. Riporto un episodio personale. Un giorno, io ero dietro la porta della cella di Padre Pio. Volevo bussare per entrare e domandargli un consiglio, ma ebbi l'impressione che ci fosse qualcuno a discorrere o a confessarsi. Mi allontanai per non sentire ciò che dicevano. Dopo circa quindici minuti, sentii il Padre tossire e poi un rumore di passi. Pensai che avessero terminato il discorso o la confessione e stessero per uscire. Mi avvicinai subito alla cella, per essere pronto ad entrare. In quel momento Padre Pio aprì la porta e fui investito da una fragranza indescrivibile. Rimasi senza parola. Posai lo sguardo sul volto del caro Padre. Mi apparve luminoso e raggiante. Padre Pio mi disse: «Che cosa fai qui?». Risposi: «Padre sono venuto a chiederle un consiglio; volevo bussare; ma sentendo parlare, ho pensato che ci fosse qualcuno e ho atteso che uscisse. Padre, entriamo nella cella per qualche minuto». Padre Pio: «Dimmi che cosa vuoi». «Padre, c'è qualcuno nella cella?». Padre Pio: «Non c'è nessuno». «Eppure, ho avuto la sensazione che ci fosse qualcuno a discorrere con lei. Ho sentito bene la sua voce, mi sembrava di sentirne un'altra. Non ci capisco nulla». Padre Pio: «Ti ho detto che non c'è nessuno... stavo pregando». Allora compresi che stava in colloquio col Signore, così spiegai l'ondata della soavissima fragranza che mi pervase all'aprire la porta della cella. Anche P. Pellegrino, assistente di Padre Pio per molti anni, scrisse: «Una notte lo sentii passare accanto alla mia cella e afferrai appena tre parole: "Alla vostra presenza". Mi sconvolse il tono in cui erano pronunziate. Era evidente che stava parlando con un'altra persona che amava e rispettava profondamente».

Maestro di preghiera

Padre Pio, immagine vivente di Gesù Crocifisso, è stato un grande Maestro di preghiera. Egli diede anima e gusto alla preghiera e ne sentì tanto profondamente la forza sovrumana, che volle facilitarla ai suoi diletti figli spirituali, lasciandola loro quasi preziosa eredità. Insegnava che l'orazione è indispensabile nella vita del cristiano. Senza la preghiera, non si può essere veri cristiani. Egli soleva dire: «Quando si è presi dalla sfiducia, dal dubbio, dall'angoscia dal dolore allora più che mai, bisogna ricorrere al Signore nella preghiera e trovare in essa sostegno e incoraggiamento». Dappertutto i figli spirituali di Padre Pio hanno ripetuto e vanno ripetendo lo stesso ritornello: «Padre Pio ci ha insegnato ad amare, a soffrire ad essere buoni, ad assaporare il gusto della preghiera». Egli diceva: «La preghiera è la migliore arma che abbiamo: è una chiave che apre il cuore di Dio». Vicino a Padre Pio, si sentiva il bisogno di pregare, di aprire l'animo al Signore e di parlargli confidenzialmente. In unione di spirito e di preghiera con Padre Pio, si sentiva il cuore traboccare di pace e di gioia. Si voleva rimanere sempre lassù, sulle rocce del Gargano, presso il Padre orante e crocifisso, dove regna una atmosfera di raccoglimento e di pace e si sente viva la presenza di Dio. Migliaia e migliaia di persone, d'ogni ceto e condizione, sono salite sul monte Gargano a gustare la dolcezza e la forza della preghiera e a farne come un bisogno della loro vita. Alla scuola di Padre Pio, si è appreso il modo come bisogna pregare. Riporto due episodi, che potrebbero essere per noi esempi da imitare. A S. Giovanni Rotondo vivevano due figli spirituali di Padre Pio, provati (direbbe il mondo) dalla sventura. Il caro Padre avrebbe usato altri termini: provati dall'amore di Dio; perché entrambi privi della vista. I due uomini erano sempre sereni, rassegnati, completamente abbandonati nelle braccia della divina Provvidenza. Mai un lamento dalle loro labbra per la prova del Signore. Erano modelli di bontà, di pietà e di orazione. Uno si chiamava Pietruccio Cugino, noto a migliaia di persone, essendo vissuto, sin da fanciullo, vicino a Padre Pio. L'altro si chiamava Vincenzo Mercurio, nato a Benevento e poi stabilitosi a S. Giovanni Rotondo. Pietruccio era un uomo semplice e buono, dedito alla preghiera e all'apostolato. Vincenzo era un intellettuale dedito alla preghiera, al lavoro coscienzioso nella scuola moderna, al sacrificio per il mantenimento e l'educazione dei cinque figli, orfani della mamma. Entrambi sono stati plasmati e formati da Padre Pio. Padre Pio conobbe Pietruccio sin da quando questi era fanciullo ed aveva ancora la vista: lo trattava come un figlio. Spesso lo riceveva nella cella, gli parlava, gli faceva qualche regaluccio e si serviva di lui per il disbrigo di alcuni servizietti. In una intervista fattagli, Pietruccio mi raccontò un bellissimo episodio, avvenuto nel 1932, quando Padre Pio era relegato nel convento per i provvedimenti restrittivi delle supreme autorità. Un pomeriggio, Pietruccio, ancora molto giovane, ma già privo della vista da sette anni, si recò al convento, accompagnato da un terziario francescano, il signore Michele Fini, per salutare Padre Pio. Questi, a quell'ora, si tratteneva a leggere la patristica nella biblioteca attigua al Coro della piccola Chiesa, che fu poi distrutta con la costruzione della nuova. Padre Pio gradì molto la visita di Pietruccio e gli rivolse subito la parola. «Beato te, Pietruccio, che non vedi il fango e il marciume di questo mondo. - Hai meno occasioni di offendere il Signore! Dimmi la verità, hai desiderato qualche volta di riavere la vista?». Pietruccio: «Non ci ho mai pensato...». Padre Pio: «Vorresti riaverla?». Pietruccio: «Non so che cosa rispondere». Padre Pio: «Come non lo sai! Vuoi o non vuoi la vista?». Pietruccio: «Padre, ci debbo pensare». Padre Pio: «Se la vuoi, pregheremo la Madonna, che è tanto buona e potente sul cuore del Figlio suo Gesù...». Pietruccio: «Padre, io sono nato con la vista. All'età di dodici anni, il Signore me l'ha tolta. Se il Signore mi ha tolto la vista ha avuto i suoi motivi. Ora, perché pregare contro la volontà di Dio? Perché richiedere ciò che prima mi ha dato e poi mi ha tolto?». Padre Pio: «Vuoi o non vuoi la vista?». Pietruccio: «Padre, il Signore sa quello che fa. Io voglio fare sempre la volontà di Dio. Se il Signore dovesse restituirmi la vista e questa dovesse essere occasione di peccato, ci rinunzio». Padre Pio, a questa risposta decisa e sapiente di Pietruccio, con l'animo pieno di gioia, lo abbracciò e lo benedisse. Il prof. Vincenzo Mercurio nacque cieco. Da giovane reagì alla cecità con una grande passione allo studio. Intelligente, perspicace, acuto ragionatore, si laureò giovanissimo in filosofia e scienze affini nel 1941 e conseguì subito la cattedra a Benevento. Cresciuto senza religione, non frequentava né chiesa e né sacramenti. Alcuni parenti, recandosi spesso a S. Giovanni Rotondo, lo raccomandavano alle preghiere di Padre Pio, perché gli ottenesse dal Signore la grazia della conversione. Un giorno Padre Pio rispose: «Che cosa volete? se non crede, è inutile insistere che venga qui. Pregate... preghiamo; anzi facciamo a gara, chi prega di più per la sua conversione...». La gara fu vinta da Padre Pio. Nel 1945 il Si- gnore lo raggiunse con la sua misericordia e con la sua grazia. Il prof. Mercurio, per accontentare i parenti, vincendo la sua ritrosia, decise di recarsi da Padre Pio, che lo accolse con bontà e dolcezza. Il caro Padre, abbracciandolo come un fratello, gli disse: «Come state?... Non vedete tanto bene?... Da quanto tempo non vi confessate?...». Vincenzo, sorpreso e meravigliato della dolcezza di Padre Pio, che gli dava il voi invece del tu, comprese che lo considerava personalità rispettabile, rispose: «Padre, non ci vedo affatto. - Sono nato cieco; ma non sono venuto per questo motivo...». Padre Pio, cambiando tono, disse: «Lo so perché sei venuto... ti aiuterò... preparati... ci rivedremo domani sera...». Vincenzo, nel sentirsi dare il tu confidenziale e paterno, si licenziò con grande soddisfazione e gioia. La sera susseguente fece la confessione con Padre Pio, trattenendosi a lungo in un efficace colloquio spirituale, che diede inizio alla trasformazione della sua vita. Nell'agosto 1950 vinse la cattedra alle magistrali di S. Giovanni Rotondo e vi si stabilì definitivamente. Nei primi anni gli fecero compagnia le sorelle o qualche parente, in seguito rimase solo. Non potendo vivere con tranquillità senza assistenza, Padre Pio gli consigliò di sistemarsi. Nel gennaio 1959 s'incontrò con una giovane ostetrica di Brescia, venuta nella Casa Sollievo della Sofferenza per motivo di lavoro. Padre Pio gli disse che era la ragazza mandatagli dal Signore. Nel dicembre dello stesso anno, Padre Pio benedisse il loro matrimonio. Da questo matrimonio nacquero cinque graziosi bambini. Dopo il quinto parto, la giovane madre si ammalò di un male inguaribile. Il suo calvario durò alcuni anni. Tutti pregavano per la guarigione della giovane sposa e madre, che doveva accudire al marito bisognoso, ai piccoli da crescere e alle faccende di casa. Un giorno dissi al Prof. Mercurio: «Vincenzo, ho saputo che la signora va peggiorando. Preghiamo con insistenza, cerchiamo di strappare la grazia della guarigione dal Cuore della Madonna, mediante l'intercessione di Padre Pio. È necessaria la sua vita per te, per i bambini e per la casa». Vincenzo, reprimendo il suo dolore, mi rispose: «Padre Alberto, giorno e notte, prego che si compia la volontà di Dio nella mia famiglia. Egli sa quello che fa. Se vuole la mia diletta consorte, come vittima, la prenda pure per la maggiore glorificazione del suo santissimo nome». «Vincenzo, la tua preghiera è ben fatta, è la preghiera di un uomo di Dio. Il Signore però vuole che si chieda, per ottenere grazie. Nel Vangelo vi è un invito incessante alla preghiera. Gesù più volte ha ripetuto: "Chiedete e otterrete. Domandate e vi sarà dato. Cercate e troverete. Bussate e vi sarà aperto. Quanto domanderete al Padre mio, nel mio nome, Egli ve lo concederà. Tutto quello che domanderete nella preghiera con fede, l'otterrete". Il Vangelo è pieno di simili espressioni. Quindi è una esortazione, un invito pressante a domandare con fede la guarigione e la salute della consorte». Vincenzo: «Le parole del Vangelo sono rivolte alle anime superficiali, a quelle anime convertite di recente, tentennanti dinanzi alle prove. Gesù, per aiutarle, le invita a chiedere, a bussare, a pregare per ottenere le grazie. Le anime già formate agli insegnanti di Cristo non hanno bisogno di chiedere. Esse sanno di essere totalmente possedute dal Signore e nulla desiderano che non sia conforme alla volontà di Dio». «Quello che tu dici è vero. Ma il Signore nonostante sia in noi, vuole che si chieda ciò che desideriamo». Vincenzo: «Io ho sempre pregato: Signore, se vuoi la vittima nella mia famiglia, prendi me che sono un povero cieco; risparmia la mia consorte, che è necessaria per i bambini. Se il Signore non mi ascolta, che cosa ci posso fare? Non mi ribello alla sua volontà, anzi prego che si compia in tutta la sua pienezza nella mia famiglia per la maggiore gloria di Dio». Risposta sublime! - La donna morì santamente. Ai funerali partecipai anch'io. Vincenzo, distrutto dall'intimo dolore, con la corona del santo rosario nelle mani, seguiva come un automa la bara, accompagnato dai cinque bambini piangenti. La più grande era di dodici anni, il più piccolo di quattro anni. Prima che il corteo si sciogliesse mi avvicinai a Vincenzo ed esclamai: «Vincenzo, non so che cosa dirti!...». Egli: «Padre Alberto, ringraziamo il Signore. Il suo santissimo nome è stato glorificato nella mia famiglia. Sia fatta sempre la sua divina volontà». Quali sublimi insegnamenti ci danno questi due ciechi, formati alla scuola di un grande Maestro di preghiera e di sofferenza, Padre Pio da Pietrelcina!

I Gruppi di preghiera

Paolo VI, nei suoi incontri settimanali, ha parlato più volte della necessità della preghiera, mettendo in luce l'enorme difficoltà che oggi i fedeli incontrano nel parlare con Dio. La preghiera manca di anima. Senza la preghiera, non si può essere veri cristiani; non si può pensare e agire, soffrire e sperare con la Chiesa. Il Papa ha richiamato l'attenzione sull'importanza della preghiera, riportando le parole dell'invito rivolto ai Vescovi: «Noi ripeteremo l'invito che abbiamo rivolto a tutta la Chiesa, a tutti i fedeli, a quelli specialmente, che vogliono tenersi col cuore vicino al Papa e condividere con lui i grandi momenti della vita, della Chiesa, come è quello che stiamo trascorrendo». L'invito è il solito: «Pregate». Il Papa non ci fa altra raccomandazione che la preghiera, la quale fa parte del sistema generale dei nostri rapporti con Dio e del problema della nostra salvezza. Per questo il Signore ce l'ha tanto raccomandata. Le pagine del Vangelo sono piene di esortazioni, di inviti e di comandi di Gesù alla preghiera. La terminologia usata è imperativa. «Pregate senza interruzione... Chiedete... Cercate... bussate...». È Cristo che c'invita ripetutamente alla preghiera, dandocene l'esempio. Durante il giorno predicava, insegnava, istruiva le folle, che lo seguivano; la sera si appartava nella solitudine per parlare col Padre suo in preghiera. Ora se la preghiera è un comando e un esempio di Cristo, se è una raccomandazione ed un invito del Papa, è anche un bisogno dell'uomo. La preghiera realizza il fondamentale bisogno che noi abbiamo di Dio. Quando dentro di noi si accende la fede, sentiamo il bisogno di stabilire i nostri rapporti con Dio; questi rapporti col Signore si esprimono con la preghiera. Ora se il comando di Gesù, la raccomandazione del Papa, il bisogno dell'uomo, sono una convinzione nostra, dobbiamo allora pensare che, unendoci insieme più persone, possiamo realizzare il comando e l'esempio di Cristo, l'invito del Papa, e il bisogno dell'uomo nella preghiera comunitaria. Quando noi, uniti dal vincolo della carità, preghiamo insieme, formiamo la Chiesa, siamo parte integrante della Chiesa, perché la preghiera è l'anima della Chiesa. Tutte le grandi realtà della Chiesa: l'Incarnazione del Verbo, l'Eucarestia, l'elezione degli Apostoli, sono state precedute e nate nella preghiera. Lo sviluppo della Chiesa è sempre condizionato dalla nostra preghiera; dalla preghiera di tutti gli appartenenti alla Chiesa di Cristo. Padre Pio, immagine vivente di Cristo, uomo di preghiera e di sofferenza, per tutta la sua vita ha pregato per la Chiesa e per il Papa; per i Vescovi e per i Sacerdoti; per gli infelici e per gli infermi; per i perseguitati e per gli oppressi. La sua preghiera si traduceva in amore, in disponibilità al servizio della Chiesa e dei fratelli. Nessuno può negare che Padre Pio, nell'istituire i Gruppi di preghiera, abbia dato vita e vigore alla Chiesa.

Una risposta all'invito del Papa

I Gruppi di preghiera sono una risposta al comando e all'esempio di N.S. Gesù Cristo; sono una risposta alla volontà del Papa, che dice: «Pregate». Storicamente, sono la risposta all'invito fatto da Papa Pio XII all'umanità. Padre Pio era molto stimato ed amato dal Papa Pio XII, uno dei più grandi Papi dei nostri tempi e della storia. Pio XII è stato il Papa della pace, il Pastore angelico, che ha governato la Chiesa con fermezza e sapienza durante la guerra e nel dopo guerra: è stato colui che ha abbracciato il mondo in una carità mai vista, senza distinzione di razza, di lingua e di religione. Questo grande Papa, che è stato una pietra miliare per la storia della Chiesa, nutriva un amore tenerissimo per Padre Pio e Padre Pio ricambiava tanta bontà paterna con l'affetto di un figlio. È proprio per rispondere all'appello del Papa Pio XII che Padre Pio ha fondato i Gruppi di preghiera. Il Papa della pace aveva predetto il caos di un mondo pagano. La guerra avrebbe distrutto non tanto le case e le città, ma le anime e i cuori. Con ripetuti applli, esortava le anime, specialmente i laici, a riunirsi in gruppi e a pregare per la pace e per il bene del mondo. Il messaggio del Papa è stato accolto con slancio dallo stimmatizzato del Gargano, che ha invitato tutti i suoi figli spirituali, sparsi per il mondo, a rispondere insieme con lui all'appello del Vicario di Cristo. Padre Pio disse: «Se siete miei figli, unitevi a me; rispondiamo al comando di Gesù: all'invito e al desiderio del Papa; preghiamo insieme. Gesù nel Vangelo esorta alla preghiera comunitaria: "In verità vi dico, se due di voi sulla terra si mettono d'accordo, per domandare qualunque cosa, sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli. Perché dove due o tre sono riuniti nel mio nome, là sono io in mezzo a loro"». Poi aggiungeva: «Nei gruppi, quando i miei figli si riuniranno insieme nella preghiera, sarà Gesù in mezzo a loro; ci sarà anche la Madre di Gesù; sarò presente anch'io in spirito ed unito in preghiera». «Ricordate che la preghiera comunitaria è un'arma potente nelle mani della Chiesa e dei fedeli. Un uomo debole, da solo non può fare nulla o può fare poco; ma se si unisce con un altro uomo e con più uomini diventa una forza. Un'anima che prega è una debolezza che invoca l'aiuto del Signore: ma se più anime si uniscono nella preghiera, formano una forza formidabile, consolidata e potenziata da Cristo». In questo modo, Padre Pio dà il via alla formazione dei Gruppi di preghiera, che sono un movimento di spiritualità nella storia della Chiesa e rispondono ai grandi bisogni dell'umanità. Quindi i Gruppi di preghiera sono un appello del Papa alla preghiera, accolto da Padre Pio e vissuto dai suoi innumerevoli figli spirituali.

Preghiera individuale e preghiera comunitaria

Padre Pio consigliava anzitutto la preghiera individuale. Ma se la preghiera è dialogo, è rapporto con Dio, necessariamente sorge un altro aspetto della preghiera, che è l'aspetto comunitario. Quando Gesù ha insegnato a pregare, ha detto: «Quando pregherete, dite così: Padre nostro, che sei nei cieli...»; non ha detto di pregare: «Padre mio...», per farci sentire sempre in comunione con gli altri. L'individuo che prega è sempre un cristiano che prega in gruppo. Il cristiano è membro del Corpo mistico di Gesù, è membro della Chiesa e, quando prega, prega in comunione cogli altri. Padre Pio fece sue le parole di S. Agostino: «L'anima tua non è più tua, ma dei fratelli; anzi le anime dei fratelli e la tua nella preghiera formano un'anima sola: l'anima di Cristo, l'anima della Chiesa». Pregare significa stabilire un rapporto con Dio Padre e, quindi, coi fratelli. È una realizzazione della comunità, un'attuazione della carità. È assurdo chiamare Dio Padre e Padre nostro e poi dimenticarsi che questo Padre ha anche altri figli, che sono nostri fratelli.

«Portare anime al Signore»

Un pomeriggio del mese di luglio 1968, trovandomi solo con Padre Pio sulla veranda e vedendolo molto disteso, celiando, gli rivolsi una domanda capziosa: «Padre spirituale, lei, istituendo i Gruppi di preghiera, che cosa ha inteso di fare?». Padre Pio, dandomi un'occhiata scrutatrice e compassionevole, rispose: «Portare anime al Signore... indurre a pregare... a pregare insieme... a pregare con Gesù». Soggiunsi: «Padre, ciò che lei dice è vero: ma non c'era bisogno di organizzare i Gruppi, che in alcuni luoghi hanno dato fastidi ed hanno suscitato pettegolezzi». Padre Pio, rettificando la mia osservazione, disse: «Non ho organizzato i Gruppi; ho invitato le anime a pregare insieme, come vuole Gesù. Questo certamente dispiace a Satana, che è sempre pronto a metterci la coda. Ho sempre raccomandato e desidero dai Gruppi la vita cristiana nella famiglia e nella società, la carità fraterna, le opere di bene e, in modo particolare, la sottomissione e l'obbedienza alla S. Chiesa secondo il nostro spirito francescano». Quindi il fine principale inteso da Padre Pio è la testimonianza della vita evangelica, nella famiglia e nel mondo, e il contatto con Dio, fonte di grazia e di bene, di carità e di pace. Egli soleva dire: «Se siete miei figli, la sera pregate tutti insieme nelle vostre famiglie. Recitate il S. Rosario alla Madonna. Una volta alla settimana o almeno una volta al mese, riunitevi nella Chiesa Parrocchiale o in un'altra Chiesa, recitate il S. Rosario, assistete con devozione alla S. Messa, ascoltate, meditate e vivete la parola di Dio, che vi verrà detta dal Sacerdote; accostatevi alla S. Comunione; fate, se è possibile, un'ora di compagnia a Gesù Sacramentato». Padre Pio richiamava l'attenzione di non esporsi agli inganni della falsa pietà; di essere sempre sottomessi ed obbedienti alle Autorità religiose. «State attenti che i Gruppi non siano esposti agli inganni della falsa pietà, del fanatismo e della reazione alle Autorità religiose. Abbiate un Sacerdote che vi assista, perché solo il Sacerdote garantisce l'unione con la Chiesa». Bisogna riconoscere che, in qualche luogo, specialmente nei primi tempi, si sono verificati casi di fanatismo, di disobbedienza e di ribellione di Gruppi, o di partecipanti ai Gruppi, alle Autorità ecclesiastiche, con tanta amarezza di Padre Pio, che raccomandava sempre la sottomissione e l'obbedienza. Padre Pio volle istituire i Gruppi di preghiera nella Chiesa e per la Chiesa, perché fossero fermenti di vita nella Chiesa, alla quale appartengono. I Gruppi di preghiera, separati dalla Chiesa, non sono i gruppi di Padre Pio. Molti vescovi si aspettano dai Gruppi, insieme con lo spirito di preghiera, lo spirito di carità e di apostolato, raccomandato dallo stesso venerato Padre. Questi sapeva che la preghiera senza la carità sarebbe stata sterile e vuota e non avrebbe cambiato il mondo. Se la preghiera non produce la carità, non è preghiera. «Non chi dice: Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli...». Se i Gruppi non producono cristiani autentici nel fare la volontà del Padre celeste; non formano i veri figli di Padre Pio, che sviluppano la vita di grazia e la emanano intorno a loro nella carità, sono gruppi di fanatici e di esaltati. I Vescovi e i Parroci vogliono vedere, nelle Diocesi e nelle Parrocchie, gruppi di anime oranti, umili, docili; gruppi attivi nell'apostolato e nelle opere di carità; gruppi di cristiani, che riflettono l'immagine di Padre Pio.

Impegno di vita

I Gruppi di preghiera sono, dunque, un movimento vitale, che abbraccia tutto il mondo, che deve essere vivificato da uno spirito nuovo. Chi vuole essere figlio spirituale di Padre Pio deve impegnarsi a partecipare alla vita del suo Gruppo, ad una vita di preghiera e di carità; alla vera conoscenza dello stimmatizzato del Gargano e dei suoi insegnamenti. Soltanto attraverso gli insegnamenti di Padre Pio, i Gruppi di preghiera possono portare Cristo dove c'è l'ateismo; il soprannaturale dove c'è il materialismo; l'amore e la carità dove c'è l'odio e la violenza. Sotto questo aspetto, i Gruppi sono parte attiva della Chiesa.

Una visione simbolica

A conforto di quanti non hanno avuto la fortuna di conoscere personalmente Padre Pio, durante la sua vita mortale e di rivolgergli la richiesta di entrare nella sua grande famiglia spirituale, riferisco una visione simbolica di una figlia spirituale e confermata dallo stesso Padre Pio. La signorina Vittoria Ventrella, insegnante nelle scuole elementari di S. Giovanni Rotondo, anima consacrata al Signore e diretta spiritualmente da Padre Pio, provata dalla cecità, una notte nel dormiveglia, più che un sogno, ebbe una visione. Le sembrò di vedere il cielo, pieno di splendore, in mezzo al quale vi era un sacerdote, vestito di ricchissimi paramenti sacri, tempestati di perle e di gemme preziose. Nel sacerdote riconobbe il volto di Padre Pio, che divenne fulgido come il sole e da cui partivano, in tutte le direzioni, innumerevoli raggi, che si perdevano nell'infinito. Ma ciò che la colpì maggiormente fu la constatazione che i raggi erano formati da miriadi di piccole rose bianche e rosse. Dileguatasi la visione, si accorse di essere sveglia. Non era un sogno. Il mattino, di buon'ora, accompagnata dalla sorella, si recò al convento per raccontare a Padre Pio, quanto aveva visto nella notte. Padre Pio era già nel confessionale, allorché giunse la Ventrella in Chiesa. Come la vide, la fece chiamare ed avvicinare al confessionale. La Ventrella disse: «Padre, non sono venuta per confessarmi». Padre Pio: «Lo so. - Sei venuta a dirmi ciò che hai visto questa notte». La Ventrella: «Sì, Padre; debbo crederci, o è stato un sogno?». Padre Pio: «Tu ne dubiti?». La Ventrella: «Padre, che cosa significano tutti quei raggi luminosi, formati da migliaia e migliaia di piccole rose bianche e rosse, che partivano da Voi in tutte le direzioni?». Padre Pio: «I raggi simboleggiano i Gruppi di preghiera, che si diffonderanno in tutto il mondo. Le rose bianche rappresentano le anime che si sforzano di vivere nella grazia, nell'amore di Dio e nella carità fraterna. Le rose rosse rappresentano le anime che portano con gioia la croce della sofferenza e, unite a Gesù e a me, collaborano alla conversione dei peccatori e alla salvezza dei fratelli». Padre Pio, confermando la visione e spiegandone il simbolo, fa comprendere che quanti dopo la sua morte sarebbero entrati nei Gruppi di preghiera sarebbero anche diventati suoi figli spirituali. Prima di lasciare questa terra, nel benedire i Gruppi di preghiera e i figli spirituali, sparsi in tutto il mondo, egli intendeva anche benedire tutti i Gruppi che sarebbero sorti dopo la sua morte e tutti coloro che, attraverso gli anni, vi sarebbero entrati a fare parte.

UMILTÀ DI PADRE PIO

L'insegnamento di Gesù

L'umiltà è il sostrato della vita cristiana. S. Agostino scrive: «Vuoi tu costruire una fabbrica di santità molto alta? Pensa al fondamento dell'umiltà. L'umiltà è quella virtù per cui si va su, mentre si va giù». L'umiltà si nutre di umiliazioni, come la pianta si nutre del concime, non quello chimico, ma quello naturale. Gesù è stato modello e maestro di umiltà. Nacque in una stalla. Ebbe per culla una mangiatoia. Visse per trent'anni nell'oscurità e nel silenzio. Protestò di essere venuto non per essere servito, ma per servire. Si definì un verme e non un uomo. Si annichilì nell'Eucaristia. Si addossò il cumulo delle umiliazioni umane fino alla morte ignominiosa della croce. Insegnò l'umiltà ai suoi discepoli. Egli disse: «Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore». «Chi di voi vuol essere il primo, sia l'ultimo, il servo di tutti» «Chi è tra voi maggiore, diventi minore...». «In verità, vi dico, se non vi sarete convertiti e fatti come pargoli, non entrerete nel Regno dei cieli...». «Chi dunque si sarà umiliato come questo pargolo, questi sarà il più grande nel Regno dei cieli...». «Chi si umilia, sarà esaltato...». Dopo avere lavato i piedi agli Apostoli, disse: «Io vi ho dato l'esempio, affinché, come ho fatto io, così facciate anche voi».

Umile come Gesù

Padre Pio ha avuto una certa somiglianza con Gesù nell'umiltà. Nacque da genitori poveri in una misera casupola. Visse povero. Volle entrare in un Ordine Religioso, stimato uno dei più poveri nella S. Chiesa, l'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, dove visse nella più profonda umiltà. La sua lunga vita religiosa e sacerdotale fu piena di continue umiliazioni, che gli procurarono indicibili sofferenze tanto da trasformarlo nell'immagine di Cristo.

Le stimmate, segno di umiliazione

L'impressione delle sacre stimmate nelle membra di Padre Pio, non solo fu l'inizio di un lungo martirio, pieno di umiliazioni e di sofferenze, offerte per il bene della Chiesa e per la salvezza delle anime, ma fu anche l'attrazione potente delle folle, che in lui vedevano il Cristo vivente nei nostri tempi. Divenuto immediatamente oggetto di amore e di odio, segno di curiosità e di polemiche, bersaglio delle contraddizioni degli uomini, Padre Pio si dimostrò subito l'umile figlio del Poverello d'Assisi, dando prove di docile e silenziosa sottomissione ai severi e rigorosi provvedimenti delle Autorità, convinto di essere un misero peccatore, meritevole di disprezzo e di umiliazione. Quante volte pregò il Signore di togliergli i segni esterni delle stimmate, che per lui erano di grande confusione ed umiliazione.

Aveva un basso concetto di se stesso

Nell'Epistolario Padre Pio si considera una nullità assoluta, un peccatore, un essere abbietto, un verme, un essere di cui Dio si serve come oggetto inutile. Vede le genti che accorrono e i prodigi che avvengono attorno a lui, ma ne trae motivo per convincersi sempre più della propria abbiezione, della propria pochezza e della propria miseria spirituale. Ecco che cosa pensa di sé: «Riconosco benissimo di non avere in me niente che sia stato capace di attirare gli sguardi di questo nostro dolcissimo Gesù. La sola sua bontà ha colmato l'anima mia di tanti beni... Che caos vi è in fondo a questa anima! La vanità e la superbia mi accompagnano persino nelle cose più sante del nostro ministero... Tale è il concetto che ho di me, che non so se ve ne siano altri peggiori... So che niuno è mondo dinanzi al Signore, ma la mia immondezza è tale che non ha chi le rassomigli... Sono cotanto deforme, che le stesse mie vestimenta hanno orrore della mia lordura...». Da ciò che scrive risulta chiaramente che Padre Pio si riconosce pieno di miserie e inutile a tutti. Nel 1946 m'incontrai a S. Giovanni Rotondo con P. Giovanni da Baggio, ex Ministro Provinciale dei Cappuccini Toscani, intimo amico di Padre Pio, che mi disse: «Fortunati voi, confratelli della monastica Provincia di Foggia, che potete stare a contatto con Padre Pio!». «Non ho mai incontrato un'anima così semplice ed umile come Padre Pio. Non potrò dimenticare le meravigliose espressioni, uscite dalle sue labbra, riguardanti il sacerdozio. Ho chiesto a Padre Pio: "Se tu tornassi a nascere ti faresti di nuovo Cappuccino e Sacerdote?". Padre Pio, senza alcuna esitazione: "Sì, mi farei di nuovo Cappuccino, ma non sacerdote". "Come! non ti faresti più sacerdote!... Per te, chi è il sacerdote?... Non è forse il rappresentante di Cristo sulla terra? Il Cristo stesso sull'altare?...". Padre Pio: "Appunto per questo non mi farei più sacerdote... Quanto sono indegno di rappresentare Gesù sulla terra!... Quanto sono indegno di essere Cristo sull'altare!... Nella S. Messa non si rinnova forse il sacrificio del Calvario? Chi immola ed offre Gesù vittima? Non è forse il sacerdote?... Ogni mattina, tremo e soffro immensamente al pensiero che io debbo immolare e crocifiggere Gesù per offrirlo vittima al Padre Celeste! Se avessi avuto da studente la cognizione che ho ora, non mi sarei fatto ordinare sacerdote". "Padre Pio, sull'altare non sacrifichi solo Gesù, sacrifichi anche te stesso e ti offri vittima con Gesù". Padre Pio: "È l'unico conforto, quello di essere associato a Gesù nel divin sacrificio e nella redenzione delle anime"». Bellissime parole di Padre Pio, che certamente sfuggirono al P. Giovanni che non le scrisse nei suoi preziosi appunti «Le mie visite a Padre Pio da Pietrelcina», pubblicati da P. Torquato da Lécore nel volumetto «Padre Pio visto dall'interno». Ad un'anima, che gli chiedeva preghiere con queste parole: «Padre, voi siete tanto buono...», Padre Pio, interrompendola bruscamente, disse: «Io non sono buono. Non so come quest'abito di S. Francesco, che porto indegnamente, non se ne scappi d'addosso. L'ultimo delinquente della terra non ha niente a che fare con me. Egli in confronto a me è un galantuomo... Pregate per me, perché diventi buono». Ad un Padre Superiore, che gli esprimeva sensi di stima, Padre Pio disse: «Figlio mio, tu hai stima di me, perché non mi conosci. Io sono il più grande peccatore della terra...», e scoppiò a piangere. Quando i fedeli si rivolgevano a lui per ottenere grazie e miracoli, Padre Pio rispondeva: «Io non faccio miracoli. È Dio che fa i miracoli. Preghiamo insieme. Il Signore è buono e misericordioso». Rimettiamo Padre Pio nella sua realtà umana. Egli prega e soffre. Nella preghiera per un povero ammalato, chiede per sé le sofferenze dell'ammalato. Il Signore lo ascolta. Padre Pio si ammala e soffre. L'infermo, per il quale Padre Pio ha pregato e sofferto, guarisce. Ecco la chiave dei miracoli. Egli pregava e soffriva. Come Dio avrebbe rifiutato la grazia, la guarigione o qualsiasi altra cosa a chi non gli rifiutava nulla e chiedeva con umiltà non per sé, ma per i fratelli?... Quando si ottenevano le grazie, mediante le sue preghiere, i beneficati correvano con gratitudine a S. Giovanni Rotondo per ringraziare Padre Pio. Ma egli, contrariato e addolorato, esclamava: «È Dio che ti ha fatto la grazia. Ringrazia il Signore con me. È la Madonna che ti ha guarito... io non c'entro affatto... Vai a ringraziare la Madonna...».

Una vita umile e semplice

La vita quotidiana di Padre Pio era di estrema semplicità ed umiltà. Partecipava agli atti comuni della famiglia religiosa, comportandosi ed agendo come tutti gli altri. Spesso, prendeva parte alle ricreazioni pomeridiane, subito dopo il pranzo, lungo i viali del giardino, trattenendosi quindici o venti minuti a discorrere coi Religiosi e poi si ritirava nella cella. Nei discorsi non osava mai contrariare o fare prevalere il proprio giudizio. Ascoltava tutti con carità ed umiltà. Non si dava alcuna importanza, non era esibizionista, non faceva mostra dei doni e dei carismi, di cui l'aveva arricchito il Signore, anzi sapeva nasconderli tanto bene, che neppure noi che lo circondavamo, ce ne accorgevamo. Anche quando gli si chiedevano consigli, cercava di schermirsi o se costretto, rispondeva con parole semplici, che apparentemente sembravano di nessuna importanza, ma che erano parole di vera sapienza. Nel suo comportamento e in tutte le sue azioni dominava lo spirito di grande umiltà. Un pomeriggio assolato, dopo il pranzo, si andò nel giardino per la solita ricreazione. Venne anche Padre Pio a prendere una boccata d'aria. Si trattenne a discorrere quindici minuti e poi si ritirò. Prima di rientrare in convento, s'incontrò con un distinto signore, che gli chiese: «Padre, mi potrebbe dire dove si trova Padre Pio, il Frate che vive in concetto di santità?...». Padre Pio, non conosciuto dal richiedente, con semplicità ed umiltà rispose: «Vada da quei Frati, lì c'è il Padre Superiore; il quale è molto gentile e buono e saprà darle il consiglio e le indicazioni che lei desidera». Il signore, ringraziato Padre Pio, si avvicinò a noi e disse: «Scusate, chi è il Superiore in mezzo a voi?». Presentandosi, il Superiore rispose: «Sono io, che cosa desidera?». Il signore: «Padre, vengo da lontano. Ho bisogno di parlare con Padre Pio e di chiedergli un consiglio urgente...». Il Superiore: «Lei ha già parlato con Padre Pio! Quel Frate che ha fermato presso l'entrata del convento è Padre Pio. Ormai, si è ritirato nella cella e non c'è nulla da fare. Bisogna attendere fino alle ore 15, quando scenderà a confessare gli uomini in Sacrestia». Le parole: «il frate che vive in concetto di santità» pronunziate dall'incognito forestiero, suonarono male all'orecchio di Padre Pio e alla sua umiltà, per cui, senza mancare alla carità, seppe svignarsela diplomaticamente. Nel luglio 1965, trovandomi a Genova per la predicazione del novenario in onore della Madonna del Carmine, fui ospite presso il Parroco Don Emilio Corsi. Un giorno ebbi la visita di Don Gerolamo Calcagno, parroco di un piccolo paese sulle colline liguri, il quale mi disse che si sarebbe recato a S. Giovanni Rotondo per consigliarsi con Padre Pio se rinunziare alla parrocchia o rimanerci. Mi chiese un biglietto di presentazione per essere agevolato nell'incontro con il caro Padre. Prima d'intraprendere il lungo ed estenuante viaggio, ne parlò col Cardinale Giuseppe Siri, Arcivescovo di Genova. Questi non ebbe nulla in contrario, ma gli fece notare che il lungo e faticoso viaggio sarebbe stato nocivo alla sua malferma salute. Gli suggerì di rivolgersi a qualche dotto sacerdote o religioso della Diocesi, che certamente avrebbe potuto dargli un saggio consiglio. Don Gerolamo insistette per Padre Pio. L'Arcivescovo, vedendolo irremovibile, gli raccomandò di chiedere a Padre Pio preghiere per sé e per la Diocesi. Don Gerolamo partì insieme con un altro sacerdote di Genova per S. Giovanni Rotondo. Dopo la confessione, chiese il consiglio se rinunziare o no alla parrocchia. Padre Pio rispose: «Chi comanda? Comandi tu o comanda il Vescovo? Abbi come norma: Niente chiedere e niente rifiutare. Bisogna sempre obbedire». Il giorno della festa della Madonna del Carmine prese parte con altri parroci all'agape fraterna nella Casa Parrocchiale di Don Emilio Corsi. Durante il pranzo, quando i confratelli sacerdoti conobbero il consiglio di Padre Pio, ritenendolo puerile, cominciarono a scherzare e a canzonare Don Gerolamo. Il Cardinale Siri invece apprezzò molto il consiglio di Padre Pio e riconobbe in lui il vero e umile sacerdote di Cristo, illuminato dalla sapienza di Dio. Il 23 settembre 1975 il Cardinale Siri venne a S. Giovanni Rotondo per la commemorazione del settimo anniversario della morte di Padre Pio. Al suo arrivo, nel saluto rivolto al popolo e alle autorità e nell'omelia della S. Messa, disse di essere venuto nel Santuario di S. Maria delle Grazie per «dovere di riconoscenza, come umile pellegrino» a sciogliere un voto e a ringraziare Padre Pio per avergli fatto pervenire un misterioso telegramma non invocato, con cui gli indicava la strada da seguire per la felice soluzione di una iniziativa e per la tranquillità del suo spirito. Riporto le parole del Cardinale: «Un giorno mi capitò da Padre Pio un telegramma da me non invocato, in cui mi esortava a prendere una certa iniziativa. Io da molto tempo ero perplesso. Non ricordo di averne parlato con persona al mondo. Non ho mai saputo come quest'uomo potesse sapere questo mio stato d'animo indeciso circa il modo come dovevo comportarmi; mi arrivò il telegramma e mi indicò la strada. La seguii a puntino e subito tutto andò a posto». Il Cardinale Siri raccontò questo episodio anche a Papa Paolo VI nella sua lettera postulatoria per l'inizio del processo di beatificazione di Padre Pio, scritta il 31 dicembre 1972. Egli vide in Padre Pio non soltanto l'uomo carismatico, ma soprattutto l'immagine di Gesù crocifisso. «In lui si è rinnovata, in quanto era possibile a chi non era Figlio di Dio, la passione di Gesù Cristo». Il Cardinale Egidio Vagnozzi, allora Presidente della Prefettura degli Affari economici della Santa Sede, e l'Arcivescovo Mons. Giuseppe Caprio, Sostituto della Segreteria di Stato, venuti a S. Giovanni Rotondo, vollero concelebrare nella Cripta, dov'è sepolto Padre Pio. Dopo la S. Messa furono invitati dal Superiore del convento ad una piccola colazione nel refettorio dei Frati. Eravamo parecchi Religiosi a tenere loro compagnia. Io rivolsi la parola al Cardinale Vagnozzi: «Eminenza, lei ha conosciuto Padre Pio, o è la prima volta che viene a S. Giovanni Rotondo?». Il Cardinale: «Sono venuto altre volte, ma sempre in forma privata, anzi in incognito. La prima volta venni da Padre Pio, quando ero Nunzio Apostolico nelle Filippine. Padre Pio, appena mi vide, mi salutò "eccellenza". Io rimasi sorpreso, perché nessuno sapeva della mia dignità vescovile e della mia venuta a S. Giovanni Rotondo. In qualità di Nunzio Apostolico, mi trovavo in una situazione molto delicata, per cui ero angustiato come comportarmi dinanzi a certi abusi, senza suscitare una reazione spiacevole da parte dell'Episcopato di quella nazione. Ritornato a Roma, riferii ogni cosa al Papa Pio XII il quale, dopo avermi ascoltato, mi consigliò di venire da Padre Pio. Il suggerimento mi sembrò strano. Che cosa poteva dirmi Padre Pio, un frate sempre chiuso in un convento, privo di contatto col mondo e con la diplomazia? Venni a S. Giovanni Rotondo, esposi il caso a Padre Pio, che mi ascoltò con attenzione e con bontà, poi con grande umiltà mi disse: "Eccellenza, lei è Nunzio Apostolico nelle Filippine?". "Per l'appunto". "Chi l'ha mandato nelle Filippine?". "Il Santo Padre, il Papa". "Chi è il Papa?". "Il Vicario di Cristo". "Dunque, l'ha mandato N.S. Gesù Cristo nelle Filippine. Lei è il rappresentante non solo del Papa, ma di Cristo. Se Cristo andasse nelle Filippine e notasse abusi ed inconvenienti, notati da Lei, che cosa farebbe? Faccia anche lei ciò che farebbe Nostro Signore". Ritornato a Roma, riferii al Santo Padre le parole di Padre Pio. Il Papa mi disse di attenermi al consiglio di Padre Pio. Infatti rientrato nelle Filippine, mi comportai secondo il consiglio del venerato Padre e tutto andò bene».

Maestro di umiltà

Padre Pio ha ricevuto, da appena quattro anni, nell'anima e nel corpo, il sigillo delle sacre stimmate, allorché gli viene proibito la corrispondenza epistolare, non solo con le persone care, ma anche con il suo Padre Spirituale. Egli china umilmente il capo e per tutto il resto della sua vita non avrà più la vera corrispondenza epistolare. Oggi restano di lui, soltanto le lettere scritte dal 1910 al 1922, che ci presentano un immenso scenario irradiato di mistiche luci, in cui Padre Pio visse ed operò. La lettura di questi scritti invita a una riflessione: se Padre Pio, ancora in giovanissima età, fu sollevato dallo Spirito divino alle più vertiginose altezze della vita mistica, altezze a cui poche ed elettissime anime furono chiamate, quale sarà stato lo sviluppo della sua ascesa spirituale negli ultimi cinquant'anni? Il sigillo posto dalle Autorità Superiori e il velo di una umiltà senza misura posto dallo stesso Padre Pio ci impediranno per sempre d'intravedere nelle profondità dei misteri che si compirono in lui durante questo lunghissimo periodo. Tuttavia è logico supporre che Dio abbia condotto per mano il suo umilissimo servo al di là di quei cieli in cui spaziarono le più alte aquile del firmamento della Chiesa. Le innumerevoli conversioni, l'affluenza sempre crescente di genti provenienti da ogni parte del mondo, i prodigi straordinari e le meravigliose opere sociali, sono testimonianze che Dio dà a favore del suo servo fedele, proprio perché Padre Pio cerca di nascondere i doni di cui Dio lo ha ricolmato sotto il fittissimo manto dell'umiltà. Nel cinquantesimo anniversario delle stimmate, alcuni giorni prima del suo sereno transito da questa vita, a un figlio spirituale che gli rivolgeva auguri di felicitazioni, Padre Pio con le lacrime agli occhi rispose: «Cinquant'anni di indegnità!». L'umiltà che Padre Pio viveva e che si manifestava nei suoi atteggiamenti, la insegnava ai suoi figli spirituali. Egli così scrive: «La vera umiltà di cuore è quella sentita e vissuta più che mostrata. Bisogna umiliarsi sempre davanti a Dio, ma non con quella umiltà falsa che porta allo scoraggiamento, generando sconforto e disperazione. Dobbiamo avere un basso concetto di noi stessi. Crederci inferiori a tutti. Non anteporre il proprio utile a quello degli altri. Pensiamo che Gesù amava chiamarsi "Figlio dell'uomo" nascondendo la sua natura divina». Parlando della santità, Padre Pio scrisse: «Due sono le virtù fondamentali della santità: l'umiltà e la carità. Sono le corde maestre di tutto il grande edificio e tutte le altre sono dipendenti da esse. L'umiltà è il fondamento, la carità è il tetto. L'una va molto giù, l'altra molto su. Non si può costruire il castello della santità senza le suddette virtù. Quanto più alto è il castello, tanto più profonda dev'essere l'umiltà, tanto più ardente la carità... Impariamo da Gesù che è stato umilissimo, non disdegnando di farsi uomo e di morire sull'infame patibolo della croce. Impariamo da Gesù che è stato la fornace ardente di carità» (Epist. I, 1139). Ad un figlio spirituale scrisse: «L'amor proprio, la stima di noi stessi, la falsa libertà di spirito, sono radici, che non si possono facilmente svellere dal cuore... Se fai bene, lodane e ringraziane Dio: se ti avviene di cadere nel male, umiliati e arrossisci dinanzi a Dio delle tue infedeltà, ma senza sconfortarti: chiedi perdono, proponi, rimettiti sulla buona strada...». Ad una figlia spirituale: «Umiliati sempre ed amorosamente davanti a Dio ed agli uomini, perché Iddio parla a chi veramente tiene il cuore umile e l'arricchisce dei suoi doni... Studia quel che sei in verità: un nulla, una miseria, una debolezza, una fonte di perversità senza limiti... Non ti compiacerai mai di te stessa, non ti lamenterai delle offese. Scuserai tutti. Non ti meraviglierai delle tue debolezze... Non ti esalterai nelle virtù. Gesù ci ha detto: "Senza di me nulla potete"». Padre Pio, dando lezione di umiltà alle figlie spirituali, scrisse: «L'umiltà è la virtù che ci fa conoscere la nostra nullità, la nostra abbiezione. L'abbiezione si chiama umiltà e l'umiltà abbiezione». Riferendosi al versetto del Magnificat, scrisse: «Quando la SS. Vergine pronunzia "perché ha riguardato l'umiltà della sua serva", Ella vuol dire: "perché ha riguardato la mia abbiezione e la mia umiltà"». A proposito dell'umiltà e dell'abbiezione scrisse: «L'umiltà è il riconoscimento dell'abbiezione; ma l'umiltà diventa virtù sublime, quando non solo si riconosce la propria abbiezione, ma la si ama». Per chiarire meglio il concetto, Padre Pio porta degli esempi. Ne cito qualcuno. Il venerato Padre ci presenta due individui, affetti dal cancro maligno. Uno ha il cancro sul volto, che lo rode, lo deforma e lo riduce in un mostro; l'altro ha il cancro al fegato e non si vede. Entrambi soffrono i dolori dello stesso male. Però l'individuo che ha il tumore sul volto soffre più di quello che lo ha al fegato, perché, oltre il male in se stesso, soffre anche il disprezzo e l'abbiezione, che gli proviene da coloro, che lo scansano e lo sfuggono. Se il sofferente di cancro al volto è contento di questa umiliazione ed abbiezione, allora la virtù della sua umiltà diventa eccellente e sublime. Padre Pio conclude che le umiliazioni e le abbiezioni più belle e più gradite al Cuore di Dio sono quelle che noi non abbiamo scelte e che vogliamo: quelle che non ci piacciono, anzi che ci disgustano, perché contro la nostra volontà. Accettandole ed amandole, noi diamo il fondamento solido al castello della nostra santità. Padre Pio, ritratto vivente di Gesù Crocifisso, simile a Lui nelle sofferenze e nelle umiliazioni, è stato il vero maestro di spiritualità e di santità, che ha saputo accendere le anime, da lui dirette, all'amore della santa umiltà, porta di accesso a Gesù, fonte inesauribile di grazie e di benedizioni, base dell'edificio della santità. Nell'Epistolario ci ha lasciato lezioni bellissime di umiltà, che sono un capolavoro di ascetismo, di misticismo e di direzione spirituale per le anime tendenti alla perfezione. Nei miei frequenti contatti con Padre Pio, più volte ho constatato la sua profonda umiltà con mia grande edificazione.

«Mi devi scusare»

Un giorno, vedendo Padre Pio solo in cima alla scalinata, che mena nel corridoio del Convento, gli andai incontro per baciargli la mano. Padre Pio, con modo brusco, mi disse: «Togliti dinanzi...». Io, risentito, mi allontanai, dirigendomi verso la finestra, che dava sull'orto, dove erano due religiosi che discorrevano. Appena fui vicino, sorridenti e celianti, mi dissero: «Che cosa ti è successo?». Io, ancora risentito, risposi: «Ma che modo di accogliere i confratelli...». Avevo appena pronunziato queste parole, allorché Padre Pio, raggiuntomi, mi pose le mani sulle spalle e mi disse: «Ti sei offeso? Non l'avevo con te. Mi devi scusare. Stavo confessando in sacrestia... un povero infelice, deridendo la confessione, mi ha tanto amareggiato...». Indi mi abbracciò e, con gesto inatteso mi prese la mano e la baciò. Qualche settimana prima della sua morte, mentre stava recitando il santo rosario sulla veranda, m'inginocchiai per baciargli la mano. Egli subito mi disse: «Ora dammi la tua mano». Ed io: «Padre, cosa vuole fare?». Egli: «Voglio baciarla». «Padre, questo non sarà mai. Non sono né Vescovo, né Superiore». Egli: «Ti ho detto dammi la mano. È sempre la mano di un Sacerdote». Mi prese la mano destra e la baciò con grande umiltà, lasciandomi confuso ed emozionato.

«Voglio essere sepolto sotto terra»

Nel 1953, durante lo scavo della roccia per la costruzione della nuova Chiesa, Padre Pio, vedendo un grande fossato, dove sarebbe stato posto l'Altare Maggiore, chiamò il Superiore e disse: «Ricordati che quanto morrò, voglio essere sepolto sotto terra, perché io sono un verme, un grande peccatore!». Su quella tomba non voluta, oggi, folle immense di fedeli pregano e ottengono dal Signore grazie e favori a profusione. Giustamente si può dire: «Qui vi è il dito di Dio».

AMABILITÀ DI PADRE PIO

Una faticosa conquista

Durante la vita mortale di Padre Pio, si è molto discusso e scritto sulla rudezza, o come alcuni dissero, sulla sua scontrosità; ma si è scritto con molta leggerezza, senza avere abbastanza studiato e capito l'animo di Padre Pio. Padre Pio era di una amabilità e dolcezza indescrivibili. Diciamo subito che l'amabilità e la dolcezza non furono certo un dono di natura ma una faticosa conquista della volontà aiutata dalla grazia. Fedele a Dio ed ai suoi impegni di Religioso Cappuccino, Padre Pio è rimasto fedelissimo per temperamento alla sua origine di contadino rude, ma aperto e sincero. La sua rudezza, chiamata scontrosità o superbia da chi non lo ha conosciuto, nasceva da un'esperienza di umiltà, alla quale non avrebbe mai rinunziato. Non sapeva adattarsi al chiasso e alla confusione che si faceva attorno a lui. Certi rabbuffi, certi atti apparentemente scortesi, erano adoperati o per allontanare i curiosi, i fanatici, i cercatori di novità, o per scuotere e convertire i peccatori non sufficientemente disposti a ricevere la grazia del Sacramento. Spesso si notavano sul volto, nello sguardo, nel linguaggio, venature di amarezza, che non provenivano da insofferenza o da interiore ribellione a situazioni sconvolgenti, bensì dalla vista di cose che non avrebbe voluto vedere e che, prima di rattristare lui, rattristavano il cuore di Dio e danneggiavano le anime. Padre Pio riconosceva il suo carattere energico e forte, ma estremamente sensibile e delicato: ammetteva per esperienza l'importanza della dolcezza per trattare fruttuosamente le anime e si rammaricava ogni qual volta, nonostante i persistenti sforzi, non riusciva a controllarsi. Scriveva al Padre Spirituale il 14 giugno 1920: «Mi rammarico soltanto, che senza volerlo, e senza avvertirlo, qualche volta mi accade di alzare un po' la voce in ciò che riguarda la correzione. Conosco essere una debolezza riprovevole; ma come fare per poterla evitare, se mi accade senza accorgermene?... Eppure prego, gemo, mi lamento con nostro Signore per questo, ma non ancora mi esaudisce a pieno...» (Epist. I, 1170). Erano scatti non colpevoli, che non riuscivano ad oscurargli la serenità e la tranquillità interiori, causati spesso, se non sempre, da motivi soprannaturali. Lo riconosceva Egli stesso, ma non per questo desisteva dalla lotta per acquistare la dolcezza abituale. Il 23.10.1921 scriveva al Padre Spirituale: «Madama dolcezza pare che vada un po' meglio, ma non sono neppure io soddisfatto. Non voglio perdermi di animo... Vedete, dunque, o padre, che non me ne rimango indifferente nella pratica di questa virtù...» (Epist. I, 1244).

Scontrosità e carità salvifica

Il 20 novembre 1921 scriveva al Padre Spirituale: «Il tutto si compendia in questo: sono divorato dall'amore di Dio e dall'amore del prossimo... Credetemi pure, padre, che delle sfuriate, che alle volte ho fatto, sono causate... dal male. Come è possibile vedere Dio che si contrista per il male e non contristarsi parimenti?... Vedere Dio che è sul punto di scaricare i suoi fulmini e per pararli altro rimedio non vi è, se non alzare una mano per trattenere il suo braccio e l'altra rivolgerla concitata al proprio fratello per un duplice motivo: che getti via il male e si scosti dal luogo dov'è, perché la mano del Giudice è per scaricarsi su di esso! Credete pure, però, che in questo momento il mio interno non resta punto scosso e menomamente alterato. Non sento altro se non di avere e di volere quello che vuole Dio» (Epist. I, 1247). Dalle sue lettere, dalle sue parole si spiega il suo comportamento apparentemente scontroso e rude, ma pieno di umiltà e di carità. Non ammetteva l'ipocrisia, lo stato permanente di peccato. Usava modi bruschi per scuotere, per fare ravvedere, per fare comprendere la gravità dell'offesa di Dio. Anche Gesù si comportava con fortezza coi Farisei, con gli Scribi, coi Dottori della Legge, con gli induriti nel peccato. Non chiamò forse i Farisei «Razze di vipere - sepolcri imbiancati?». Non chiamò S. Pietro «satana», perché lo distoglieva dalla passione? Non offese la Cananea, che chiedeva la guarigione della figlia indemoniata, quando le disse che non aveva pane da dare ai cani? Come Gesù, Padre Pio, in apparenza sembrava rude, quando vedeva il male e la cattiveria; ma il suo cuore ardeva di carità ed era sempre sereno e gioioso. Un giorno Padre Pio interrogò l'Avv. Luigi Zito di Palermo: «Ti sei inquietato e adirato?». L'avv. Zito: «Sì, Padre: mi sono risentito e adirato solo interiormente, non facendo vedere a nessuno il mio turbamento». Padre Pio: «Hai fatto male. Fai come me: io faccio una sfuriata, ma il mio interno è sempre sereno». Una volta il Superiore del convento, presente ad un forte rimprovero del Padre ad un uomo che gli stava davanti, rimase molto male. Padre Pio, dopo il rabbuffo, rivoltosi verso il Superiore, che gli era alle spalle, si mostrò con un volto sorridente e sereno, come se nulla fosse successo, e come se continuasse nello stato d'animo, pieno di pace, di serenità e di gioia. Il Superiore, Padre Carmelo da Sessano, meravigliato, disse: «Ma, come Padre!... un istante fa vi siete turbato ed ora tutto cambiato!...». Padre Pio: «Figlio mio, mi sono turbato solo alla superficie, ma dentro, nel cuore c'è sempre tanta calma e tanta serenità... Le parole debbono essere qualche volta così esteriormente, ma interiormente mai va via la serenità. E sapessi quanto amo tutti...».

Come il Buon Pastore

Padre Pio nell'ascoltare le confessioni dei penitenti appariva come il buon Pastore, il Padre buono, che ama teneramente le anime e che le vuole salve a tutti i costi. Perciò, a volte usava la maniera forte, chiamata durezza o scontrosità dagl'incoscienti. Egli commenta: «La vista di tante anime che si vogliono giustificare nel male, a dispetto del Sommo Bene, mi affligge, mi tortura, mi martirizza, mi logora il cervello, mi dilania il cuore...». Questa imperiosa necessità di far comprendere ai fratelli l'orrore del peccato e l'offesa che si reca a Dio, come pure la forte volontà di fare tutto ciò che è possibile per collaborare alla salvezza delle anime, lo portava ad usare un contegno a volte aspro e a volte anche duro verso i fratelli. Ma si giustificava. «Mi dispiace tanto vedere soffrire! Per togliere un dispiacere a qualcuno, non troverei difficoltà a tirarmi una pugnalata al cuore!... Sì, mi sarebbe più facile... Prima di fare un rimprovero ad un'anima, lo soffro io... Non sono però io che opero, ma colui che è in me e che è al di sopra di me!...». Basta pensare alle assoluzioni negate. Egli diceva: «Io uso questo sistema con determinate anime, per dare ad esse una scossa, perché, specie per certi peccati, si passa facilmente dalla confessione al peccato e dal peccato alla confessione... poi per spronare l'anima a mettersi seriamente sulla via retta e a cominciare una buona volta a usare tutti i suoi mezzi per la redenzione. Si potrebbe obiettare, che a volte il penitente potrebbe non tornare più... e anche in questo caso, io mi domando se sia meglio abituarsi al peccato e alla confessione (che in fondo vorrebbe dire sacrilegio, o per mancanza di serio proposito, o di pentimento e quindi di inganno di coscienza) o sapere di essere in disgrazia di Dio. In questi casi, preferisco, il secondo sistema. Certo uno, mandato via senza assoluzione, può andare da un altro ma io non mi sento di assolverlo...». I peccatori mandati via da Padre Pio senza assoluzione, o piangevano inconsolabili, o si ribellavano adirati, non comprendendo la ragione dell'assoluzione negata e quindi la necessità di una vera conversione e di un sincero ritorno a Dio. Molti di essi venivano a confessarsi da noialtri sacerdoti, che attendevamo alle confessioni nella Chiesa grande, mettendoci in imbarazzo se dare o negare l'assoluzione. Qualche volta interrogammo Padre Pio per sapere come comportarci. Padre Pio illuminato dalla grazia, prudente e buono ci rispondeva: «Quello che faccio io, voi non potete farlo. Regolatevi con prudenza, carità e comprensione». È vero che i penitenti non assolti da Padre Pio, andavano via tristi o adirati, ma erano sempre rassegnati e pensosi. Una forza ignota, la grazia di Dio, dopo mesi o anni, li riconduceva a lui pentiti e convertiti. Il penitente ritornava perché Padre Pio, che si era fatto vittima per i peccatori, s'immolava ancora di più. «Vattene, diceva ad un peccatore, metti prima le cose a posto e poi torna...» e quando tornava, l'abbracciava con tutta l'effusione del suo cuore paterno, dicendogli: «Se sapessi, quanto mi costi...». Un giorno scacciò un giovane e il suo viso sembrò colmo di sdegno, ma poi si sfogò con un confratello: «Quanto ho sofferto! Me lo sarei abbracciato!...». Qualche volta si mostrava burbero anche verso i Frati; verso le anime da lui dirette spiritualmente. Spesso mi capitava, che dovendogli parlare, nonostante la mia loquacità e confidenza filiale, ero preso da trepidazione inspiegabile, da non poter spiccicare parola. Padre Pio, che non aveva tempo da perdere, esclamava: «Vuoi sbrigarti?... Che cosa vuoi?...». Io, facendomi coraggio: «Padre, quando si è alla sua presenza, si perde la parola». Padre Pio: «Perché... incuto forse timore?». Subito addolcendo il tono: «Be'; che cosa hai da dirmi?». Allora, con pazienza ed amabilità mi ascoltava, mi dava la risposta o il consiglio richiesto e mi licenziava con tenerezza. Un giorno accompagnai da Padre Pio un avvocato, molto lontano dalla chiesa e dai sacramenti. Temevo che il Padre lo cacciasse o gli rivolgesse una parola di rimprovero, ma con mia grande meraviglia gli rivolse parole dolci e paterne e gli pose la mano sulla spalla. L'avvocato dinanzi a tanta amabilità si commosse ed, uscendo dal convento, esclamò: «Padre Pio è un uomo del cielo!... Tutti così dovrebbero essere i sacerdoti...». Una settimana prima del suo beato transito, Padre Pio era sulla veranda in preghiera. Eravamo a fargli compagnia io, Padre Onorato e Bill, ora P. Giuseppe Pio. Entrò il comm. Bove Giovanni di Napoli, amico e figlio spirituale di Padre Pio. Il Padre, appena lo vide, disse: «Chi ti ha fatto entrare? Che cosa sei venuto a fare?». Il Signore Bove, che non si aspettava una simile accoglienza, confuso ed umiliato, non pronunziò parola; anzi stava quasi per piangere. Dopo qualche minuto, Padre Pio, lo guardò con tenerezza e lo invitò ad avvicinarsi. Lo abbracciò, lo baciò e con dolcezza gli disse: «Come stai?... in famiglia stanno tutti bene?». Indi, gli rivolse parole di conforto e lo benedisse. Il comm. Bove, dopo poco tempo, seguì Padre Pio nella tomba.

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«Così vuole il Signore»

La signorina Ins. Cleonice Morcaldi mi raccontò un giorno di avere assistito ad una scena pietosa. Un'infelice trovatella, di nome Anita, figlia spirituale di Padre Pio, cresciuta da una madre adottiva, che le voleva molto bene, alla morte di questa, fu ospitata da una buona signorina. La giovane, di bella presenza, religiosa e timorata di Dio, era molto seguita e molestata da giovinastri, per cui l'amica che l'ospitava, per non avere seccature, la mandò via. Afflitta dalle molestie, dalle gelosie e dai pericoli di tante persone che l'avvicinavano, si recò da Padre Pio per confessarsi e per esporgli la sua situazione. Il Padre appena la vide si fece oscuro nel volto e con durezza le chiese: «Che cosa sei venuta a fare?». La poverina, tremante, rispose: «Padre, debbo dirle anzitutto che la signorina che mi ospitava mi ha mandato via». Padre Pio: «Che importa a me... vattene via...». Le persone presenti in Chiesa, rimasero allibite, dinanzi a tanta durezza verso una povera ragazza sventurata, mentre il Padre verso di loro si mostrò benevolo e affabile. Cleonice, presente alla scena, rivolse la parola a Padre Pio: «Padre, perché siete stato così duro verso una povera creatura senza tetto e senza affetti?». Il Padre, con volto addolorato, rispose: «Stai zitta: non finire di crocifiggermi. Debbo trattarla così... non dipende da me... così vuole il Signore...». La giovane prese il velo da suora e si consacrò al Signore; favorita da carismi divini, visse in concetto di santità. Padre Pio, rispondendo ad una sua lettera, si compiaceva e si congratulava con lei. La suora a sua volta si congratulava con Padre Pio della predilezione e della scelta di Gesù, che l'aveva associato al negozio della redenzione delle anime.

Preghiamo per lui

Padre Pio, se veniva offeso, non reagiva; si mostrava umile, paziente, dolce. Pregava per chi l'offendeva. Durante un pellegrinaggio a Lourdes, nel piazzale della Stazione ferroviaria di Nizza, m'incontrai con un Vescovo, il quale mi domandò di dove fossi. Sentendo che ero di S. Giovanni Rotondo, mi disse: «Lei conosce bene Padre Pio?». Alla risposta affermativa continuò: «È vero che Padre Pio è santo? È vero che fa miracoli?». Risposi: «Eccellenza tutti siamo santi, se viviamo nella grazia santificante e se facciamo ciò che vuole il Signore. Padre Pio è un religioso di vita esemplare, che osserva fedelmente la Regola di S. Francesco, che prega e soffre, che ubbidisce e lavora per il bene delle anime. Padre Pio non fa miracoli, ma prega ed invita alla preghiera». Contrariato dalla mia risposta, soggiunse: «Permetta, Padre, che io esprima il mio giudizio. Ho sentito parlare di Padre Pio. Per rendermi conto, ho mandato a San Giovanni Rotondo un mio sacerdote, serio e prudente, il quale, vedendo Padre Pio rude, nervoso, impaziente, senza carità, che maltrattava e mandava via anche i peccatori, è rimasto scandalizzato del comportamento poco edificante di Padre Pio. Ora, questo modo di agire, è indizio certo di un uomo esaltato e orgoglioso o di un povero malato». Risposi al Prelato che Padre Pio era tanto umile da non tollerare il fanatismo e il chiasso che si verificava attorno a lui. Se alzava la voce, lo faceva per allontanare da sé l'attenzione delle folle e per essere disprezzato; ma non perdeva mai la calma e la serenità di spirito. Aggiunsi che il sacerdote, recatosi a S.Gio-vanni Rotondo, di certo era imbevuto di pregiudizi e che non aveva affatto avvicinato Padre Pio, per cui non aveva potuto farsi di lui un concetto esatto. Al contrario, molti sacerdoti, religiosi, prelati e fedeli, che hanno avvicinato e parlato con Padre Pio, non soltanto si sono fatti un concetto tutto diverso della sua umiltà, bontà ed amabilità, ma sono partiti entusiasti ed edificati, col desiderio di ritornarci ancora altre volte. Dopo il pellegrinaggio, ritornato a S. Giovanni Rotondo, dissi a Padre Pio: «Padre spirituale, se le riferissi cose non tanto belle dette sul suo conto, si offenderebbe?». Il Padre: «Perché offendermi?». A tale risposta, gli raccontai il dialogo tenuto col Prelato, ripetendogli la litania degli epiteti detti contro di lui, ma non gli dissi il nome del Vescovo. Padre Pio mi ascoltò con umiltà e serenità, dandomi l'impressione, di gustare una gioia indicibile. Al termine, con tanta calma e dolcezza, mi disse: «Figlio mio, preghiamo per lui». Ed io allora: «Padre, lei sa chi è?». «Sì, lo conosco. Ha proibito i Gruppi di Preghiera nella sua Diocesi. Ha proibito ai fedeli di venire a S. Giovanni Rotondo e di mandare offerte all'ospedale».

Nemico del fanatismo

Padre Pio non tollerava il fanatismo attorno alla sua persona. Quante volte alzava la voce: «Andate via. Che cosa venite a fare qui? Che cosa volete da me?...». Forse non pensava che le folle erano attratte dalla sua santità. Una volta, richiamato dal Superiore per i modi bruschi nel trattare con la gente, rispose: «Padre mio, se non facciamo così, la gente ci mangia! Guarda che fanno!...» e mostrò il cordone tagliato e l'abito sforbiciato, mentre passava tra la ressa della folla, che lo comprimeva. Fu per questa ragione che spesso, toccato e pressato dalla folla esclamava: «Questo è paganesimo! questo è fanatismo!... Mi stringono la mano come in una morsa, mi tirano le braccia, mi comprimono da ogni parte... mi vedo perduto, sono costretto a fare il duro... Dispiace anche a me, ma se non mi diporto così, mi uccidono...». La venerazione verso la sua persona era un atto di offesa e d'irriverenza al Signore ed egli ne soffriva immensamente. Spesso si mostrava rude anche verso i Confratelli fanatici, che non smettevano di baciargli le mani, il petto, la tonaca o che raccontavano sciocchezze e storielle. Quante volte ha ripetuto ai fanatici, sia religiosi che laici, e ad anime da lui dirette: «Ti togli d'attorno?... Te ne vuoi andare?...». Quante volte ho assistito a reazioni vivaci del Padre verso coloro, che diventavano noiosi e seccanti! Un giorno io ed altri confratelli, discorrendo con Padre Pio di persone esaltate e fanatiche, che, da varie parti d'Italia affluivano a S. Giovanni Rotondo, dando segni di squilibrio mentale e di follia, facevamo notare che turbavano la pace e la serenità del Santuario e che bisognava ricoverarle in case di salute; Padre Pio, faceto ed arguto, rispose: «Bisognerebbe fare qui un grande recinto e scriverci "manicomio"». Padre Pio soffriva molto dinanzi a scene di fanatismo e d'isterismo, che riprovava energicamente. Accadeva spesso che anime esaltate o fanatiche, volendo scimmiottare Padre Pio, nelle asprezze, nelle veglie, nei digiuni, andavano incontro a gravi conseguenze per la loro salute e finivano nel manicomio. Ricordo una pia signora, L.D.M., residente negli Stati Uniti d'America, benefattrice del Seminario Serafico di Pietrelcina e della «Casa Sollievo della Sofferenza»; venuta a S. Giovanni Rotondo, volle imitare Padre Pio nel digiuno e nella veglia, ammalandosi seriamente e commettendo stravaganze e pazzie da essere rinchiusa nel manicomio di Foggia. Padre Pio, nell'apprendere la notizia, rimase mortificato. Egli era amabile, paterno, comprensivo con tutti; ma dinanzi al fanatismo diveniva severo e rude, condannando senza pietà quegli atti insani o quelle scene riprovevoli, che spesso erano causa d'interventi giustificati delle autorità ecclesiastiche e civili.

PUREZZA DI PADRE PIO

Una incontaminata purezza di vita

Paolo VI, definendo Padre Pio «Rappresentante stampato delle Stimmate di Nostro Signore», ha inteso dire che Padre Pio è stato in ogni manifestazione della sua vita una irradiazione della vita di Cristo. Il Signore ha voluto rinnovare il mistero redentivo del Verbo incarnato, facendo vittima il suo umile servo, trasformato in immagine di Cristo crocifisso. Con l'Apostolo S. Paolo, Padre Pio poteva esclamare: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me». Non può essere prescelto come vittima pura, chi non abbia raggiunto la più incontaminata purezza di vita. La purezza di Padre Pio si rivela in tutto il suo candore dai primi anni dell'adolescenza sino al beato transito: nel gesto, nella compostezza, nella modestia, nella delicatezza del tratto, nella bellezza del volto, nello splendore degli occhi. Ho conosciuto Padre Pio sin dal 1917 e posso asserire che la sua figura umana è stata sempre luminosa, mai offuscata da ombra alcuna. La semplicità della sua anima verginale risplendeva nel volto fresco, roseo e bello. I suoi occhi erano grandi, profondi, lucenti, penetravano nell'intimo delle coscienze, ne scandagliavano le più nascoste pieghe. Il comportamento rigido e severo, ma umile e buono, incuteva timore e turbamento nelle donne vanitose, non decentemente vestite e coperte, nelle persone disoneste e immorali e in quanti erano schiavi delle passioni impure. La sua modestia e riservatezza con tutti, specialmente con le donne, erano indizi certi della purezza della sua vita. Molti, incontrandolo per la prima volta, venivano colpiti e attratti dalla bellezza del volto, e dallo splendore degli occhi ed esclamavano: «Non sembra un uomo, ma un Angelo, un essere soprannaturale».

Il suo amore per la bella virtù

Padre Pio amò e custodì gelosamente il giglio della purezza. Sin dalla fanciullezza ebbe immensa cura della virtù angelica. Quando la mamma, zia Giuseppa, vedendolo sempre in casa, in chiesa e a scuola, gli diceva di andare a giuocare coi compagni, rispondeva: «No, mamma, i compagni fanno cose cattive ed offendono Gesù». Soffrì molto, quando alcuni compagni, gelosi e invidiosi di saperlo nella benevolenza e nelle grazie del Parroco, Don Salvatore Pannullo, gli fecero un brutto scherzo, accusandolo e calunniandolo di essere innamorato di una ragazza. Nonostante le proteste d'innocenza, Francesco (tale era il nome di battesimo) non fu creduto, anzi fu rimproverato aspramente e punito con la proibizione di assistere da chierichetto alla S. Messa e alle sacre funzioni. In seguito fu riconosciuta la sua innocenza e la cattiveria dei compagni invidiosi. Entrato nell'Ordine dei Cappuccini, amò talmente la bella virtù della purezza, da assoggettare il suo fragile corpo ad aspre penitenze. Oltre all'osservanza delle rigide regole della vita claustrale cappuccina; alle continue veglie e preghiere; alle inesauribili sofferenze, che gli provenivano da misteriose malattie, dalle incomprensioni e dalle calunnie degli uomini, dalle tentazioni del demonio e dalle prove del Signore; si assoggettava a rigorosi digiuni e astinenze e alla mortificazione dei sensi, per tenere sempre a freno gli stimoli della carne e delle passioni. Non posava mai lo sguardo sul volto delle donne; non osava guardare neppure il viso della mamma, la quale una volta scoppiò in pianto, perché il figlio, stando alla sua presenza, guardava a terra e non la degnava di uno sguardo. Se, costretto a ricevere donne per dare un consiglio, una esortazione, una benedizione, una parola di conforto, sembrava all'apparenza di guardarle, in realtà il suo sguardo era assente, vago, proteso verso un orizzonte sconfinato, verso il cielo. Il caro Padre ci ripeteva spesso che gli occhi sono le finestre dell'anima, da cui entra il peccato e la morte. Ci raccomandava la mortificazione dei sensi, in modo particolare quella degli occhi, per allontanare le tentazioni contro la santa purezza. Soffriva quando le donne gli prendevano la mano, la palpavano e la stringevano. Allora diventava severo e burbero. Scacciava le donne con le vesti corte e scollacciate. Allontanava persino i ragazzi coi calzoncini corti. Un giorno, ricordo, cacciò bruscamente dal corridoio del convento due ragazzi coi calzoncini corti. Fattogli notare dal Superiore, P. Rosario d'Aliminusa, che erano i figli del Prefetto di Palermo, Padre Pio non volle sentire giustificazione: «Il convento, disse, è sacro al pari della Chiesa e non dev'essere profanato». Era delicatissimo coi Sacerdoti deboli nella virtù della purezza. Cercava di aiutarli con dolcezza e fermezza a spezzare il legame che li teneva avvinti alla schiavitù della lurida passione. Non tollerava nei sacerdoti neppure l'affetto sentimentale con le donne: «Perché, diceva, è sempre pericoloso». Un giorno, un Sacerdote, dopo la confessione fatta con Padre Pio, gli chiese di considerarlo figlio spirituale. Padre Pio non gli rispose. Pensando che non avesse capito, rinnovò ad alta voce la richiesta. Per la seconda volta Padre Pio tacque. Il Sacerdote andò via mortificato e preoccupato. Parlando con me, mi chiese spiegazione del silenzio di Padre Pio. Risposi che il motivo gli era noto. Padre Pio, avendo il dono della scrutazione dei cuori, di certo aveva visto qualche cosa che non andava bene nella sua coscienza e per non umiliarlo, glielo aveva fatto capire col silenzio. Il Sacerdote, sorridente, mi disse: «Padre Alberto, avete colpito nel segno. Nella confessione non accusai una relazione sentimentale con una ragazza: una relazione amichevole, senza alcuna morbosità peccaminosa: però negli incontri mi sentivo turbato». Io: «Padre Pio voleva i Sacerdoti puri; non ammetteva alcuna ombra d'impurità. La mancata risposta alla vostra richiesta, era il segno che non approvava né tollerava la vostra relazione sentimentale con una giovane donna, anche se non ci fosse alcun peccato». Il Sacerdote: «Sì, è vero. Quando ruppi ogni rapporto con la ragazza, ritornai da Padre Pio, il quale mi accolse con paterna bontà e mi assicurò di considerarmi suo figlio spirituale».

Tentazioni diaboliche e spudorate calunnie

La purezza di Padre Pio rifulse di vivida luce in tutta la sua lunga vita terrena, senza ombra di debolezza, nonostante gli attacchi formidabili, che gli provenivano dal demonio della libidine. Satana si rese conto della formidabile statura spirituale di Padre Pio e passò all'aggressione con l'arma sua preferita, quella della concupiscenza carnale. Cominciò una lotta spietata, aggredendolo con ferocia e veemenza, giorno e notte. Vedendo infrangersi tutti i suoi rabbiosi attacchi dalla reazione pronta e coraggiosa di Padre Pio, cercò di cambiare tattica, apparendogli in forme oscene, turpi, terribili e strazianti. Cercava di sorprenderlo e di farlo cadere nei momenti di grandi spossatezze fisiche, dovute alle infermità, ricorrendo persino alla violenza. Ma Padre Pio era una rocca inespugnabile. Scrisse al suo Padre Confessore: «Il nemico fa tutti i suoi sforzi per indurmi a consentire ai suoi empi disegni, ed in ispecial modo questo spirito maligno cerca con ogni sorta di fantasmi di introdurmi nel cuore pensieri di immondezza e di disperazione» (Epist. I, 219). Le tentazioni carnali cominciarono dalla fanciullezza e durarono sino all'impressione delle sacre stimmate nel suo corpo verginale. Con la sua crocifissione cruenta cessarono completamente. Satana sconfitto, non si arrese; anzi si scatenò con tutte le furie infernali per distruggere e annientare con la calunnia l'uomo di Dio, suo acerrimo nemico che tante anime avrebbe strappato all'inferno. Suscitò elementi accecati dall'orgoglio e dalla gelosia, i quali diedero inizio ad una spudorata propaganda di calunnie e di denigrazioni contro il venerato Padre, accusandolo di libidine e d'immoralità. Simile a Cristo, fu calunniato da sacerdoti e da alcuni confratelli, che lo attorniavano come angeli tutelari, per proteggerlo dalla ressa delle folle. Ma il loro cuore non era puro, la loro vita non era conforme a quella del divino Maestro. Presi da falsa pietà, come i farisei, vedevano nero in ogni espressione, parola, discorso di Padre Pio e gettavano fango sulla sua purezza. Alcuni di essi sono ritornati alle cipolle di Egitto per abbeverarsi alle acque putride e velenose del mondo. Il venerato Padre fu calunniato da parecchie figlie spirituali, che non avevano compreso nulla dei suoi insegnamenti e delle sue virtù. Gelose, morbose, perfide, maligne e malate di mente, lo accusarono d'immoralità, spergiurando sul Vangelo. Padre Pio, come Gesù, taceva e soffriva. Le tentazioni diaboliche e le calunnie dei suoi nemici si ripetevano periodicamente. Padre Agostino scrive nel suo Diario che il demonio si servì di una donna calunniatrice per gettare fango su Padre Pio, mediante l'invio di lettere anonime. La campagna denigratoria durò due anni, fino a quando la calunniatrice fu smascherata dallo stesso Padre Agostino, che la fece cadere in contraddizione. Il detto Padre in data 18 agosto 1932 scrisse: «Potrei giurare che il Padre Pio ha conservato finora la sua verginità, non ha mai peccato, neppure venialmente contro l'angelica virtù». Padre Pio un giorno disse al suo confessore: «Giuro che non ho mai baciato neppure la mamma mia». Con questa dichiarazione di Padre Pio, crollano tutte le accuse e le calunnie, propagate attraverso gli anni contro la sua purezza.

Vittima pura come Gesù

Gesù, vittima pura, santa e immacolata, per continuare nel mondo la missione redentrice e completare ciò che manca alla sua passione, scelse Padre Pio come vittima. Padre Pio, quale vittima associata a Cristo, doveva necessariamente essere puro, santo e immacolato, simile alla vittima divina. Il pesante fardello delle impurità degli uomini venne caricato su di lui, vittima prescelta a ripagare per tutti, e su di lui si rinnovarono gli oltraggi fatti al Salvatore: le derisioni, il disprezzo, le pene della flagellazione e lo strazio della coronazione di spine. Curvo sotto il peso dell'enorme carico delle impurità altrui, trascinò il suo corpo piagato fino al termine della sua vita terrena, per pagare alla giustizia divina le colpe di coloro che perpetuarono in lui il martirio di Cristo. Padre Pio, vittima pura e santa, risplendente della bellezza verginale, emanava dal suo cuore e dal suo volto i raggi luminosi dell'angelica virtù, per rischiarare le anime accecate ed infangate nell'immondizia della lussuria. Raccomandava sempre ai figli spirituali, ai penitenti e a quanti si recavano da lui, l'amore della verginità, della purezza e della castità. Al suo richiamo molti abbandonavano la vita libertina e peccaminosa e, completamente liberati dalle passioni impure, ricominciavano una vita nuova di purezza, di onestà e di castità; altri ricostituivano le loro famiglie disgregate o vacillanti. Dal cuore di Padre Pio scaturiva una potenza capace di dare forza e di vincere le tentazioni e le passioni del piacere e della libidine. Quante centinaia di individui d'ambo i sessi hanno raccontato la loro liberazione dalla schiavitù dell'impurità e del piacere, nell'incontro e nell'aiuto di Padre Pio! Quante migliaia di persone potrebbero raccontare la medesima storia!

«Sporcaccione, vattene via!»

Nel 1951 mi recai in un grande paese del Salento per la predicazione quaresimale. Il Parroco mi domandò se conoscessi Padre Pio e se fosse veramente santo. Gli risposi che Padre Pio era un buon religioso e di santa vita. Allora mi disse: «Padre, verrà da voi un cieco della mia parrocchia, che è stato a S. Giovanni Rotondo per confessarsi; ma Padre Pio, appena lo vide, senza farlo avvicinare, gridò: "Sporcaccione, vattene via!". Penso che Padre Pio sia stato troppo severo». Gli risposi: «Non posso dire nulla, perché non so il motivo di tanta severità. Certamente avrà avuto le sue ragioni: quando verrà il cieco, lo interrogherò». Difatti alcuni giorni dopo il mio arrivo in quel paese, una mattina, dopo la celebrazione della S. Messa, venne da me il cieco, accompagnato da una bambina e mi disse: «Padre, conoscete bene Padre Pio?». Alla risposta affermativa, soggiunse: «Voi dite che è santo?». «No. - Per essere santo, deve prima morire e poi, in seguito a un rigoroso processo, deve essere canonizzato dalla S. Chiesa». Il cieco: «Dunque, non è santo? Padre, io mi sono recato a S. Giovanni Rotondo per confessarmi. Stavo per avvicinarmi al confessionale, quando Padre Pio, vedendomi, gridò: "Sporcaccione, vattene via!". Io, risentito e adirato, imprecando, mi allontanai. - Se fosse santo, non accoglierebbe così i peccatori». Gli risposi: «Sì, Padre Pio è stato molto severo: ha usato la maniera forte con te. Avrà avuto qualche motivo che non conosciamo». Intanto, già sospettavo il motivo per cui Padre Pio lo aveva chiamato sporcaccione e mandato via. Però volevo rendermene conto dalle parole stesse del cieco. Cominciai subito a interrogarlo: «Hai famiglia, fratelli, sorelle?». «No. Non ho nessuno. I genitori sono morti». «Come fai a vivere?». «Ho la proprietà. Non ho problemi e né preoccupazioni». «Chi ti assiste?». «Una giovane donna». «È tua parente?». «No». «La giovane, quando ha sbrigato le faccende e i servizi, ritorna a casa sua?». «No». «Dove abita?». «Nella mia casa». «Ha una camera per conto suo?». «Sì, ma la sera viene a letto con me». Allora dissi: «Ci siamo! Ecco il motivo per cui Padre Pio si è mostrato tanto severo. Ascoltami. Tu non puoi assolutamente avere alcuno contatto sessuale con la donna che ti assiste, perché è concubinato, è grave peccato contro il sesto comandamento della legge di Dio». «Questo, Padre, non è possibile. Sono ancora giovane». «Dimmi: perché non la sposi? La giovane ti sposerebbe?». «Sì, lei vuole sposarmi, sono io che non voglio». «Non pensi che vivi in peccato e quindi in disgrazia di Dio? Se vuoi che ti assista e vuoi vivere in grazia di Dio, non devi avere con lei alcuna relazione sessuale. Ricordati che se tu ti volessi confessare, nessun sacerdote ti potrebbe assolvere, senza il tuo pentimento e senza il proposito fermo d'interrompere gli intimi rapporti con la giovane, che non è tua sposa. Ora ti dico che Padre Pio è santo, è un prediletto di Dio. Ti ha cacciato chiamandoti sporcaccione, senza conoscerti, perché ha sentito da lontano il puzzo dei tuoi peccati; perché il Signore gli ha fatto vedere l'abisso in cui è precipitata l'anima tua e il fango che la ricopre e deturpa. Tu eri andato a S. Giovanni Rotondo con la speranza di ottenere la grazia della vista del corpo e non dell'anima. È stata questa la ragione per cui Padre Pio ti ha chiamato "sporcaccione" e ti ha cacciato per farti riflettere, per scuoterti e per convertirti». Il cieco non convinto delle mie parole, si alzò e andò via. Dopo alcuni giorni lo vidi ritornare; si avvicinò al confessionale, dove mi trovavo e mi disse: «Padre, ho bisogno di parlare». Senza farlo attendere uscii dal confessionale e l'accompagnai dietro l'Altare maggiore. Sedutosi, mi disse: «Padre, ho meditato a lungo sulle vostre parole. Sì, è vero quanto mi diceste l'altra volta. Io ero andato da Padre Pio con la speranza di ricevere il miracolo della vista e non per cambiare vita. Padre Pio giustamente mi ha chiamato sporcaccione, perché sono stato sempre tale. Sono convinto anch'io che Padre Pio è un santo. Io e la giovane che mi assiste abbiamo deciso di sposarci al più presto. Ora, vi prego di ascoltare la confessione dei miei peccati e di riconciliarmi con Dio. Appena regolata la nostra situazione, andremo a S. Giovanni Rotondo a ringraziare Padre Pio, per questa grande grazia, ottenutaci dal Signore, con le sue preghiere e con la sua amorosa rudezza».

«Non ti conosco!...»

Alcuni anni prima della morte di Padre Pio, si recò a S. Giovanni Rotondo il Signore O.N., insigne benefattore delle opere del caro Padre, proveniente dall'America. Appena Padre Pio se lo vide dinanzi, lo mandò via bruscamente, senza farsi baciare neppure la mano. Il povero uomo invano insisteva per farsi riconoscere come benefattore delle sue opere. Padre Pio con poche parole lo ammutolì: «Vattene via... non ti conosco!». Mortificato e contristato, venne a S. Severo, dove io mi trovavo di residenza, raccontandomi l'umiliante incontro con Padre Pio. Poi con insistenza mi pregò d'accompagnarlo a S. Giovanni Rotondo e di presentarlo a Padre Pio, sostenendo di non essere stato riconosciuto. Non potendo rifiutarmi, perché aveva contribuito ai lavori della chiesa del convento di Pietrelcina, quando io ero superiore, lo accontentai a malincuore. Nella macchina, mentre salivamo sul Gargano, cercai di sapere qualche cosa della sua vita. Mi resi subito conto perché Padre Pio lo aveva mandato via. Aveva una relazione amorosa con una giovane donna e tradiva la consorte con una certa frequenza. Allora gli feci capire il motivo per cui Padre Pio non lo aveva ricevuto. Gli dissi che Padre Pio aveva il dono della scrutazione dei cuori e quindi conosceva la sua relazione peccaminosa. Poi aggiunsi: «Vedrai, ora che c'incontrerà, ci caccerà tutti e due». Infatti, giunti a S. Giovanni Rotondo, salimmo al convento. Eravamo nel corridoio ad attenderlo che uscisse dalla camera. Appena ci vide, esclamò: «Sei andato a chiamare l'avvocato. Andate via tutti e due!». Io ero preparato al brusco incontro: senza baciargli neppure la mano, presi la via d'uscita, seguito dal povero amico confuso e addolorato. Quando fummo nel piazzale, scoppiò a piangere. Cercai di confortarlo, esortandolo a fare una buona confessione con un altro sacerdote. Poiché mi disse che si sarebbe recato ad Assisi e a Padova, lo consigliai di confessarsi in uno dei suddetti Santuari e di ritornare a S. Giovanni Rotondo prima di riprendere il viaggio per l'America. Infatti fece come gli dissi. Non ebbe però il coraggio di andare solo a S. Giovanni Rotondo; volle essere accompagnato da me. Padre Pio era seduto sulla veranda. Entrammo: il Padre ci guardò, non disse nulla. Dopo avergli baciato la mano, gli presentai l'amico, come insigne benefattore delle sue opere e della Chiesa del convento di Pietrelcina. Padre Pio come se nulla fosse successo precedentemente, lo ringraziò, lo abbracciò, gli rivolse alcune domande, gli posò le mani sul capo, lo benedisse e l'assicurò di pregare, per lui e per la sua famiglia. Nel congedarlo gli disse: «Ora che torni in America, fai il buon cristiano, hai capito?». Ritornato in America, dopo un anno, mi scrisse una lettera, pregandomi d'interrogare Padre Pio se poteva di nuovo venire a S. Giovanni Rotondo. Padre Pio mi rispose con un «no» deciso. Seppi poi da una sua figlia, venuta in Italia in gita turistica, che il padre aveva ripreso la relazione con l'amante, causa di discordia in famiglia. Padre Pio era già a conoscenza della vita riprovevole del meschino debole e senza carattere. Di certo pregava e soffriva per lui. Io gli scrissi una lettera di salutari consigli. Dopo parecchi mesi, mi rispose che era tutto finito ed era ritornato definitivamente a Dio e alla pace della famiglia. Padre Pio mi fece scrivere che poteva venire a S. Giovanni Rotondo. Così ebbe la gioia di avvicinare ancora una volta l'amato Padre e ricevere la benedizione per sé e per la sua famiglia, prima che Padre Pio lasciasse questo mondo. Di questi episodi ce ne sono a migliaia. Bastava incontrarsi con Padre Pio, ascoltare la sua voce, il suo richiamo, il suo rabbuffo, raccomandarsi alle sue preghiere, per liberarsi dalle impurità.

OBBEDIENZA DI PADRE PIO

L'insegnamento di Gesù

Nella Chiesa di Cristo, la virtù dell'obbedienza è il fondamento della santità. Obbedire prontamente a colui che rappresenta Dio sulla terra, significa rinnegare se stesso, rinunziare alla propria volontà, al proprio io, alla propria personalità: in altri termini, annientare se stesso e donarsi totalmente agli altri. La misura di questa donazione è Cristo che, per obbedire al Padre celeste, si è donato e sacrificato per la salvezza degli uomini. Gesù nel rispondere a chi gli chiedeva di seguirlo, disse: «Se vuoi essere mio discepolo, va, vendi ciò che hai e distribuisci tutto ai poveri... Rinnega te stesso, prendi la tua croce e seguimi...». Gesù chiede ai suoi seguaci lo spogliamento dei beni terreni, la rinunzia alla propria volontà e l'accettazione generosa della propria croce. Seguire Gesù significa anteporlo a tutti: al padre e alla madre; alla moglie e ai figli; ai fratelli e alle sorelle; persino alla propria vita. Infatti Gesù dice: «Chi ama la propria vita più di me, non è degno di me». Certamente una simile sequela è molto difficile. Bisogna prendere, come Cristo, la propria croce e andare dietro a Lui. La croce, di cui parla Gesù, è il dovere del proprio stato: il lavoro, il dolore, i sacrifici, le sofferenze, le umiliazioni... anche il supremo sacrificio della vita. Bisogna seguire Gesù in unione con la volontà del Padre celeste, con le finalità, con lo spirito e con la stessa pazienza, mitezza ed amore di Cristo. Il cristiano non ama la sofferenza per la sofferenza, ma accetta con Cristo la croce, come strumento di redenzione e di salvezza. La strana condizione posta da Gesù a chi intende seguirlo, è un odio generale per tutti e per tutto, compresa la propria vita. La capacità di amore deve essere trasferita totalmente sulla persona di Gesù e da Gesù deve ripartire e riversarsi sugli uomini, a cominciare dai più prossimi, compresi noi stessi, fino all'ultimo uomo sconosciuto della terra. Quando si accetta Gesù nella propria vita, l'amore passa attraverso Lui e non vi è alcun timore che subisca un calo nell'intensità e nella spontaneità; anzi ne esce più robusto e più puro. Si sa che l'amore familiare, la più grande espressione dell'amore umano, va anch'esso soggetto ad abbassamento e persino a rottura. Invece, se l'amore, prima di posarsi sui congiunti, passa attraverso il cuore di Cristo, tutto questo non succede.

Padre Pio, perfetto seguace di Cristo

Padre Pio, chiamato dal Signore alla missione di corredentore, rispose con gioia e generosità alla voce di Dio, entrando all'età di quindici anni nel convento del santo noviziato dei Frati Cappuccini di Morcone. Padre Pio, immagine vivente di Gesù Crocifisso, l'uomo della preghiera e della sofferenza, il rappresentante stampato delle stimmate di Nostro Signore, è stato anche chiamato da Vescovi, Sacerdoti e figli spirituali: «Angelo di purezza e Religioso di profonda umiltà e di grande penitenza». Forse la definizione che più lo caratterizza è quella di «Uomo di eroica obbedienza, di umile e docile sottomissione alla S. Chiesa». In età avanzata, ricordando i suoi anni giovanili, scrisse: «Sentivo la voce di obbedire a Te, o Dio vero e buono: volevo obbedirti, o Dio mio e sposo mio: questo era sempre il sentimento che primeggiava in cima alla mia mente e al mio cuore: volevo e sempre volevo obbedirti...» (Epist. III, 1008). «Mi hai chiamato alla vita religiosa ed ho obbedito... Mi hai associato, o Gesù, nella sofferenza e ho obbedito».

L'obbedienza era la sua vita

L'atteggiamento, che dominava la vita di Padre Pio, era la sottomissione e l'amore alla S. Chiesa, l'obbedienza filiale, incondizionata, attiva e responsabile ai suoi diretti superiori, al Papa e alle Gerarchie ecclesiastiche. La volontà dei superiori si identificava con quella di Dio e l'obbedienza era il perno della sua vita. Nella lettera al P. Agostino da S. Marco in Lamis, il 15.8.1916, scrisse: «... se mi reggo, si è perché il buon Dio ha riservato l'ultima e più sicura parola all'autorità su questa terra e che non vi è norma più fedele del volere e del desiderio del superiore. A questa autorità mi affido qual bambino sulle braccia della madre...» (Epist. I, 800). Al P. Benedetto da S. Marco in Lamis, Ministro Provinciale e suo Direttore spirituale, scrisse il 26.8.1916: «L'ubbidienza costituisce tutto per me... Dio mi guardi, se dovessi ad occhi aperti menomamente contravvenire a chi mi è stato assegnato per giudice esterno e interno...» (Epist. I, 807). Il 4 giugno 1918 scrisse al Padre Benedetto: «Imploratemi perfetta uniformità ai puri, occulti, divini e santi voleri; docilità ferma, costante e ferrea all'ubbidienza, la sola tavola... l'unica tavola a cui aggrapparmi... Io mi protesto, abnegando ogni mio volere e sapere, gusto e notizia, io mi protesto figlio ubbidientissimo...» (Epist. I, 1030). Quando la voce dei superiori si sovrappone a quella di Dio, egli china umilmente il capo e, per non mancare all'obbedienza, osa resistere al suo amato Gesù, che lo rampogna. «Gesù mi ha severamente aggredito... io gli ho risposto che dovevo obbedire al superiore che mi comandava...»

La sua obbedienza trascende l'eroismo

Padre Pio per natura era di carattere forte, senza ripensamenti e tentennamenti: nulla faceva senza il permesso del Superiore, il quale gli doveva tracciare anche le più comuni norme di vita. Il suo direttore spirituale e superiore provinciale, Padre Benedetto da S. Marco in Lamis, così gli scrisse: «Dichiaro per santa obbedienza che, nelle azioni libere, ciò che farai vale fatto per obbedienza». Tutto veniva eseguito scrupolosamente da Padre Pio col merito della santa obbedienza. Il mattino, prima di scendere in sacrestia per la celebrazione della S. Messa, e la sera, prima di ritirarsi nella cella per il riposo, si presentava al superiore per ricevere la benedizione. A mezzogiorno, dopo la recita dell'Angelus nel Coro della piccola Chiesa, si recava a refettorio insieme coi frati ed usciva prima degli altri con l'autorizzazione del superiore. Se riceveva visite di sacerdoti e di laici nella cella; se riceveva donne nel parlatorio, benché restio, lo faceva col merito dell'obbedienza. Quando ebbe la proibizione di distribuire immaginette con pensierini autografi a tergo; oggetti di uso personale: fazzoletti, guanti, sciarpe, garze e pezzuole bagnate di sangue, per non venire meno all'obbedienza, si rifiutava energicamente di darne a chi gliene faceva richiesta, assumendo atteggiamenti rigidi dinanzi a persone importune, che allontanava con rudezza. Ebbe l'ordine dalle autorità religiose di coprire e nascondere le piaghe ed egli, scrupoloso, le celava gelosamente sotto i guanti. Durante la S. Messa, per riverenza a Gesù Eucaristico, si toglieva i guanti e nascondeva le stimmate nelle lunghe maniche del camice. Se qualcuno gli chiedeva di mostrare le piaghe, senza essere munito del permesso scritto dei superiori maggiori, si negava decisamente, senza tanti riguardi: si rifiutò persino al Padre Gemelli, sprovvisto di permesso. Anche dinanzi alla morte aveva bisogno del merito dell'obbedienza. Il P. Provinciale gli aveva proibito di morire senza il suo permesso: «Padre Pio, tu che sei tanto obbediente, non puoi e non devi partire da questo mondo senza avere ottenuto prima il permesso e la benedizione del superiore». «Va bene», rispose Padre Pio. Spesso, nei momenti di grandi sofferenze o di ardenti aneliti di ricongiungersi al suo Dio, si lagnava con il superiore, perché non gli concedeva l'obbedienza di morire. Così egli scrisse: «Deh! Padre, non vogliate farla da tiranno con me! Disponetevi, e infine Gesù darà il resto... Giacché da voi dipende tutto e tutto il Signore ha posto nelle vostre mani...». Angosciato, confida al confessore: «Il Provinciale non si decide mai alla mia dipartita».

L'obbedienza in contrasto con l'umiltà

Quando l'obbedienza illimitata di Padre Pio venne in contrasto con la sua profonda umiltà, allora il dramma, che si operava in lui, divenne sconvolgente. Allorché il Padre Provinciale e suo direttore spirituale gli ordinò di esporre per iscritto la sua crocifissione e i suoi fenomeni mistici, egli ne rimase sgomento e rispose: «A dire il vero, sento una grande ripugnanza nello scrivere quelle cose... Non si potrebbe, o Padre, pel presente soprassedere di dare a queste vostre domande un riscontro?». Ma il Superiore non recedette e l'umiltà del Padre dovette cedere dinanzi all'obbedienza, descrivendo l'operazione avvenuta delle piaghe alle mani e ai piedi con grande umiltà. Passavano gli anni, le obbedienze si accumulavano alle obbedienze; Padre Pio rispondeva sempre prontamente e umilmente. Le autorità della Chiesa gli tolsero il direttore spirituale Padre Benedetto, che per tanti anni lo aveva guidato con sapienza e fermezza, e gli diedero Padre Agostino, come nuovo direttore; Padre Pio non protestò. Gli fu proibita persino la corrispondenza epistolare con Padre Benedetto; Padre Pio obbedì prontamente e in silenzio. Con tale proibizione Padre Pio smise di scrivere le sue lettere, che sono un capolavoro di misticismo. Le autorità ecclesiastiche imposero che attorno a Padre Pio si stesse in osservazione e lui non si sottrasse ai controlli di ogni specie; non reagì alle frequenti inchieste; tacque di fronte alle menzogne e alle calunnie; non accusò il sopruso e l'ingiustizia; non rivendicò i suoi diritti di difesa e di chiarificazione; ma eseguì gli ordini sempre con fedeltà. Egli soleva dire: «Io quale figlio devoto della santa obbedienza, ubbidirò sempre senza aprire bocca... La voce delle autorità è per me quella di Dio, cui voglio serbare fede fino alla morte e con il suo aiuto, ubbidirò a qualsiasi comando, per quanto penoso possa riuscire alla mia miseria». Questa espressione trova conferma nell'episodio raccontatomi da Padre Placido Bux quando mi consegnò la lastra fotografica di Padre Pio con le mani nude incrociate sul petto. Padre Placido mi disse che, alcuni mesi dopo la comparsa delle stimmate, chiese al Provinciale l'autorizzazione di fotografare Padre Pio con le mani nude, senza i guanti. Recatosi a S. Giovanni Rotondo, ordinò a Padre Pio di togliersi i guanti e d'incrociare le mani sul petto. Dinanzi alla strana proposta, Padre Pio reagì e rispose: «Placido, scherzi o ti sei impazzito?... Se vuoi fotografarmi, eccomi pronto; ma non mi tolgo i guanti dalle mani». Padre Placido: «Su, togliti i guanti e incrocia le mani sul petto». Padre Pio: «Placido, smettila». Padre Placido: «Padre Pio, sono venuto con l'ordine del Provinciale e devi obbedire. Se non cedi, ti farò il precetto di santa obbedienza, perché in questo momento io rappresento il Provinciale». A tale intimazione, Padre Pio non guardò per il sottile, chiedendo a Padre Placido di mostrargli l'obbedienza scritta del Provinciale; credette alle sue parole e, con l'amarezza nell'animo, visibile sul volto, chinò il capo e obbedì. Padre Placido scattò la fotografia, di cui sono state stampate e diffuse migliaia di copie. Sulla fotografia si vedono nitide e distinte le piaghe nel centro delle mani e si nota sul volto la tristezza dell'animo di Padre Pio contrariato da un ordine irragionevole. Ho voluto rimarcare la tristezza del volto, per rispondere a coloro, che nella fotografia, hanno visto un Padre Pio esibizionista, che fa mostra delle stimmate, e non un umile fraticello mortificato ed obbediente. L'obbedienza per Padre Pio era tutto. Vedeva nei superiori e nei loro rappresentanti il Signore. Venire meno ad un ordine, ad un desiderio del superiore, significava una disubbidienza a Dio.

Padre Pio maestro di obbedienza

L'obbedienza è stata la base della santità di Padre Pio, il quale l'ha insegnata e inculcata con gli esempi e con le parole a tutti i figli spirituali, sacerdoti, religiosi e laici. Soleva ripetere spesso il ritornello: «Sono figlio dell'obbedienza. Obbedendo non si sbaglia mai. Senza l'obbedienza è impossibile piacere a Dio e santificarsi». Quante volte ci ha raccomandato l'obbedienza!... Guai a noi, se criticavamo l'operato e gli ordini dei superiori!... Non permetteva alcun giudizio negativo sui severi provvedimenti restrittivi delle Gerarchie ecclesiastiche contro il suo ministero sacerdotale. Se parlavamo, c'imponeva silenzio e ci mandava via. Riprendeva i sacerdoti e i frati, che si ribellavano ai Vescovi ed ai superiori. Nei contrasti e malintesi tra sudditi e superiori consigliava il dialogo, il chiarimento e l'umile sottomissione. Si sono verificati casi di ribellione e di disobbedienza alle autorità da parte di sacerdoti, religiosi e laici, i quali si sono giustificati appellandosi a presunti consigli di Padre Pio. Interrogato a riguardo, il venerato Padre ha sempre risposto che egli dava consigli e direttive secondo l'esposizione dei casi che gli venivano presentati; ma che mai ha dato suggerimenti incitanti alla ribellione e alla disobbedienza. Padre Pio diceva: «Io do il consiglio come mi espongono il caso. Se mentiscono e mi raccontano il contrario della realtà, che colpa ne ho io!... Quante parole mi mettono sulle labbra!... Quante cose mi fanno dire, che io non ho mai pensate e dette!... Si servono del mio nome per i loro interessi. Bisogna riconoscere che si è fatto abuso del nome di Padre Pio, per giustificare i propri interessi, le prese di posizione contro le autorità e per altri motivi umani.

Amore, sottomissione e obbedienza di Padre Pio alla S. Chiesa

Padre Pio ha molto amato la S. Chiesa, che considerava «dolcissima Madre». Il suo motto era: «Voglio vivere e morire nella Chiesa». Quando veniva a conoscenza delle contestazioni, che sorgevano e si diffondevano dentro e fuori la S. Chiesa a discapito delle anime, si affliggeva amaramente ed esclamava con le lacrime agli occhi: «Meno male che sono vecchio!... già sono vicino alla morte... Non potrei vivere tranquillo nel saperla contestata e dilaniata dai suoi figli». Padre Pio ha amato la Chiesa, come Corpo Mistico di Cristo, imitando Gesù nella donazione totale di se stesso per la salvezza delle anime. Il suo cuore fu un vulcano ardente di carità per il Signore e per i fratelli. Per il bene delle anime avrebbe dato mille volte la vita. Scrisse queste bellissime parole: «Ho lavorato, voglio lavorare; ho pregato, voglio pregare; ho vegliato, voglio vegliare; ho pianto, voglio piangere sempre per i miei fratelli in esilio. Non desidero altro che amare, soffrire... bruciare per tutti con Te, Signore, sulla croce!».

Umile atteggiamento verso la Chiesa gerarchica

Padre Pio, durante la sua lunga vita terrena piena di tempeste e di sofferenze morali, che gli provenivano dalle autorità ecclesiastiche e religiose, non venne mai meno al suo umile atteggiamento verso la S. Chiesa. Il Papa per lui era il dolce Cristo sulla terra. Aveva per il papa, chiunque fosse, lo stesso atteggiamento che aveva per il suo amato Gesù. Soleva dire: «Per me, dopo Gesù, non c'è che il Papa». Quindici giorni prima di morire, scrisse una tenerissima lettera di amore e di sottomissione al Papa Paolo VI. «So che il vostro cuore soffre molto in questi giorni per le sorti della Chiesa... soprattutto per la mancanza di obbedienza di alcuni, perfino cattolici e sacerdoti, all'alto insegnamento, che voi assistito dallo Spirito Santo e nel nome di Dio ci date. Vi offro la mia preghiera e sofferenza quotidiana, quale piccolo, ma sincero pensiero dell'ultimo dei vostri figli...». Un giorno lo scienziato Enrico Medi, ospite alla nostra mensa francescana nel convento di S. Giovanni Rotondo, ci raccontò ciò che gli disse Padre Pio riguardo al Papa Pio XII. «Enrico, disse P. Pio, quando ritornerai a Roma e sarai ricevuto in udienza dal Papa, gli dirai che io do con immensa gioia la vita per lui». Il Papa, nell'apprendere l'offerta di Padre Pio, rispose al Prof. Medi: «No, professore, ringrazi Padre Pio...; in questi momenti la sua vita è più necessaria della mia». Un altro giorno Enrico Medi domandò a Padre Pio che cosa dovesse dire al Papa Paolo VI. Padre Pio rispose: «Enrico, digli che mi immolo per lui e prego sempre, affinché il Signore lo conservi a lungo alla sua S. Chiesa».

La fedeltà e l'obbedienza di Padre Pio al Papa e alla Gerarchia ecclesiastica furono senza riserve

La prova più sicura della fedeltà e dell'amore verso la Gerarchia ecclesiastica risulta soprattutto nei momenti di dolore, specialmente quando il dolore è stato causato da chi tanto si ama. Molti episodi ci commuovono dinanzi all'eroica sottomissione ed obbedienza di Padre Pio alla Gerarchia. Sin dai primi tempi della sua misteriosa stimmatizzazione, si sparse la voce di un suo trasferimento da S. Giovanni Rotondo in una lontana località dell'Italia settentrionale; anzi, si vociferava addirittura in un convento dei Cappuccini della Spagna. Quando giunse la notizia al suo orecchio, Padre Pio, senza scomporsi, esclamò: «Sono figlio della S. Chiesa, sempre pronto all'obbedienza. Dovunque andrò, troverò Gesù Sacramentato, un tozzo di pane per sfamarmi e un panno per coprirmi». In quei tempi io ero fratino nel seminario serafico di S. Giovanni Rotondo; assistetti insieme con gli altri compagni alle dimostrazioni di affetto del popolo, che circondò il convento, per impedire anche con la forza e col sangue l'allontanamento di Padre Pio. Qualche anno dopo, precisamente nel luglio 1923, quando Padre Luigi Festa, Vicario Provinciale dei Cappuccini di Foggia, comunicò a Padre Pio la notizia ufficiale degli ordini ricevuti dai superiori maggiori di Roma per il suo trasferimento in un convento delle Marche, Padre Pio chinò il capo e con le braccia conserte rispose: «Eccomi ai suoi ordini. Partiamo subito. Quando sono col superiore, sono con Dio». Padre Luigi soggiunse: «Ma verresti subito con me? È notte inoltrata. Dove andremo?». Padre Pio: «Non so; vengo con lei quando e dove vuole vostra paternità». Era mezzanotte. Padre Luigi, dominando la sua emozione, rispose tranquillo: «Ho l'ordine soltanto di comunicarti l'ubbidienza, la quale sarà esecutiva solo quando riceverò da Roma ulteriori disposizioni». Padre Pio, il 23 agosto 1923, gli scrisse una lettera in questi termini: «Credo che non ci sia bisogno di dirle quanto io, grazie a Dio, sia disposto ad ubbidire a qualunque ordine mi venga notificato dai miei superiori. La voce loro è per me quella di Dio, cui voglio serbare fede fino alla morte; e con l'aiuto suo, ubbidirò a qualsiasi comando per quanto penoso possa riuscire alla mia miseria». Questa dichiarazione è molto importante, perché dimostra la prontezza con cui Padre Pio è disposto a ubbidire agli ordini dei superiori, senza alcuna recriminazione: senza che un solo «perché?» gli esca dalle labbra. Padre Pio, ritenuto disubbidiente e ribelle, fu visitato e interrogato da un suo amico, il canonico Don Peppino Orlando di Pago Veiano, il quale gli disse: «Fratello mio, ti accusano di tante cose, ma più di tutto, perché tu sei disubbidiente agli ordini dei tuoi superiori, che ti hanno imposto l'ubbidienza di andare via di qui e tu non vuoi obbedire. È vero?». Padre Pio cadde in ginocchio, aprì le braccia e rispose: «Peppino, ti giuro su quel Gesù crocifisso, che è sul tavolo, che quest'ordine non l'ho mai ricevuto. Se i miei superiori mi ordinano di buttarmi dalla finestra, io non discuto, eseguo l'ordine». Nell'agosto 1923 Padre Pio scrisse una lettera al sindaco di S. Giovanni Rotondo: «Illustre signore Sindaco di S. Giovanni Rotondo... se, come ella mi ha comunicato, è stato deciso il mio trasferimento, io la prego di adoperarsi con ogni mezzo, perché si compia la volontà di Dio e alla quale io obbedirò ciecamente». Il provvedimento di partenza dal convento di S. Giovanni Rotondo venne sospeso, però in cambio gli furono comminati ordini rigorosi e restrittivi del suo ministero sacerdotale. Padre Pio obbedì con umiltà e in silenzio. Per alcuni anni ebbe controlli da visitatori apostolici, ma non si preoccupava di quanto avveniva intorno a sé. Trascorreva i giorni nella preghiera, nell'adempimento del suo dovere e nell'esercizio limitato del ministero sacerdotale; sempre pronto a qualsiasi prova, accusa e umiliazione. Nel maggio 1931 un altro gravissimo provvedimento piombò improvvisamente sul capo del povero Frate crocifisso: la privazione di tutte le facoltà del ministero sacerdotale, eccetto la S. Messa, che egli poteva celebrare non pubblicamente, in chiesa, ma privatamente, nella cappella interna del convento, con la sola assistenza di un chierico. Quando il superiore del convento, P. Raffaele da S. Elia a Pianisi, a tarda sera, gli lesse le disposizioni restrittive e proibitive del S. Uffizio, Padre Pio, alzando gli occhi al cielo, disse: «Deo gratias!... Sia fatta la volontà di Dio»; si coprì gli occhi con le mani, chinò il capo, non fiatò più. Si ritirò nel Coro per trovare conforto dinanzi a Gesù Sacramentato e si raccolse in preghiera. La mattina, di buon'ora, P. Raffaele andò alla cella di Padre Pio e, non trovatolo, visto il letto intatto, si diresse verso il Coro, dove lo vide assorto in preghiera. Si avvicinò e lo scosse, dicendogli: «Padre Pio, questa notte non sei andato a riposare?». Padre Pio: «Mi sono messo in preghiera e non mi sono accorto più di nulla». Padre Raffaele: «Padre Pio, tu hai pianto? Il parapetto è bagnato di lacrime. Su, coraggio! Bisogna fare la volontà di Dio». Padre Pio: «Fratello mio, non puoi immaginare quanto io sia felice di fare la volontà del Signore! Ho pianto al pensiero che verranno qui tanti peccatori in cerca di salvezza e, non potendo avvicinarmi, ritorneranno a vivere nel peccato». Scoppiò a piangere. Il tormento di Padre Pio era l'offesa del Signore e la perdita delle anime. Un giorno Padre Pio, interrogato sui provvedimenti delle autorità ecclesiastiche, rispose con una frase scultoria e bellissima, sgorgata dal suo cuore ardente di carità: «Dolce è la mano della Chiesa, anche quando percuote». Il giornalista Giovanni Gigliozzi, che aveva militato nel socialismo e aveva lasciato il giornale «l'Avanti», dopo la clamorosa conversione della professoressa Italia Betti, «la passionaria rossa dell'Emilia», avvenuta a San Giovanni Rotondo, commentando queste parole di Padre Pio, scrisse: «In questa frase c'è il senso vero dell'attaccamento alla Chiesa: un amore sublime, senza il quale, nulla di duraturo è possibile realizzare». Padre Pio, nel pronunziare la bellissima frase di generosa sottomissione alla Chiesa che percuote, ebbe a chiarire il concetto, dicendo che la mano della Chiesa è dolce, perché è la mano della madre che ama, vivifica e santifica. Padre Pio ha sempre amato la S. Chiesa con tenerezza, perché in essa vedeva il suo prediletto Gesù vivente e operante. Le percosse della Chiesa erano le carezze di Gesù.

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