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La Seconda Rivoluzione Industriale.

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Generatore elettromagnetico di corrente di Faraday

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La scuola consegue tanto meglio il proprio scopo quanto più pone l'individuo in condizione di fare a meno di essa.
(Ernesto Codignola)

Una tecnologia del tutto nuova

L'elettricità

Il magnetismo

Dalla pila ai motori elettrici

Generatore elettromagnetico di corrente di Faraday

La chimica Reazioni chimiche La chimica del carbonio Nuovi materiali La dilatazione termica L'Impresa tedesca dei Krupp

Macchine termiche Motori a combustione interna Il motore a scoppio Il motore diesel La catena di montaggio standard Il controllo del lavoro

La registrazione dei suoni e delle immagini Thomas Alva Edison La nuova frontiera della visione: La video registrazione arriva il DVD, il video disco digitale La modernizzazione e la guerra

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ITINERARI - SVILUPPO E PROGRESSO - LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

UNA TECNOLOGIA DEL TUTTO NUOVA

Uno dei più grandi problemi della moderna società industriale è stato ed è tuttora la crescente richiesta di energia per usi produttivi. Il carbone fossile come fonte di energia ha rappresentato nell'Ottocento uno dei fattori determinanti dell'eccezionale sviluppo dell'Occidente, e la macchina a vapore, che come combustibile utilizzava appunto il carbone, è rimasta un po' il simbolo di questa fase dell'industrializzazione. Ma nell'età del vapore sono cominciate le ricerche che avrebbero permesso l'utilizzazione di una forma di energia anche più vantaggiosa del vapore: l'elettricità. L'elettricità è facilmente trasportabile a basso costo e a lunga distanza; i motori che fa funzionare sono molto meno voluminosi di quelli a carbone e più facili e comodi da regolare; l'elettricità, infine, è una forma di energia ricavabile da fonti diverse e teoricamente inesauribili, a differenza del carbone, le cui riserve nel sottosuolo sono limitate. Alcuni fenomeni elettrici e magnetici erano conosciuti da tempo ma, facendo riferimento a un mondo non accessibile all'osservazione diretta, risultavano difficilmente collegabili fra di loro e la loro interpretazione restava incerta. Sulle origini e sulla natura dell'elettricità e del magnetismo correvano le ipotesi più disparate, tra cui quella che attribuiva alla materia una specie di anima formata da una sostanza sottilissima che, a seconda che si allontanasse dal corpo o ne rientrasse, respingeva o attirava rispettivamente altri corpi leggeri che si trovassero nelle vicinanze. Furono soprattutto la scoperta del magnetismo terrestre e l'invenzione della bussola, che risalgono pressappoco al XII secolo, ad accendere negli studiosi l'interesse per questo genere di fenomeni. Diversi trattati furono dedicati all'argomento, ma ben poco di conclusivo fu scritto fino al XVI e al XVII secolo, ossia fino alla nascita della moderna scienza sperimentale. Nell'anno 1600 William Gilbert, uno dei maggiori esponenti del nuovo indirizzo scientifico, pubblicò il De magnete, un'opera che utilizzava in modo massiccio la ricca esperienza accumulata anche in questo campo da tecnici, artigiani e marinai e che ebbe larghissime ripercussioni nel mondo della ricerca. Vale la pena di notare a questo proposito che l'attrazione magnetica terrestre fu oggetto di studio prima dell'attrazione gravitazionale e che anzi, in virtù delle molte analogie (entrambe, per esempio, si esercitano a distanza), ha fornito una sorta di modello per le prime teorie sulla gravità. Quanto alle utilizzazioni pratiche dell'elettricità e del magnetismo (salvo le ricerche indirizzate a migliorare le prestazioni della bussola) non ve ne furono fino al Settecento. Nel Settecento, tuttavia, le osservazioni si intensificarono e gli esperimenti con l'elettricità diventarono di moda, perfino nei salotti, sui teatri o nelle piazze, come oggetto di intrattenimento, giacché con semplici apparati (le prime macchine elettriche erano poco più che giocattoli) si ottenevano effetti spettacolari, tanto più eccitanti per il pubblico quanto meno se ne conoscevano le ragioni. Sul finire di quel secolo l'invenzione della pila aprì un settore tecnologico completamente nuovo, quello connesso all'uso della corrente elettrica, che è il primo che appartenga per intero all'era industriale. La corrente elettrica, passando in un filo metallico, può riscaldarlo e servire così come sorgente di calore, può renderlo incandescente come nelle lampadine e servire come sorgente di luce, può, soprattutto, azionare un motore e fornire energia meccanica. La pila rappresenta uno dei più grandi passi compiuti dall'uomo nel campo delle realizzazioni scientifiche, sia per le numerose applicazioni che ha ancora ai nostri giorni, sia per l'enorme impulso che come generatore di corrente diede allo studio dell'elettricità.

L'atomo, che è formato da un nucleo di cariche positive o protoni, e da un uguale numero di cariche negative o elettroni disposte intorno al nucleo, è tenuto insieme da forze nucleari e da forze elettriche che ne fanno una struttura molto solida. In certi elementi (il ferro, il rame, i metalli in genere) succede però che alcuni elettroni, meno saldamente legati degli altri al nucleo, riescano facilmente ad allontanarsi dal loro atomo e si muovano all'interno del materiale a cui appartengono. In un pezzo di ferro per esempio vi è un gran numero di elettroni (una "nuvola" di elettroni) che, anziché restare uniti ai loro rispettivi atomi, si muovono abbastanza liberamente all'interno del pezzo di ferro stesso e alcuni di essi riescono anche ad uscirne. Un filo di ferro rispetto ai suoi elettroni si comporta un po' come un tubo pieno d'acqua: come possiamo pompare acqua in un tubo, così possiamo "pompare" elettroni in un filo di ferro; gli elettroni che si muovono lungo il filo formano la corrente elettrica. E come il tubo è un conduttore d'acqua, così il filo di ferro è un conduttore di elettricità. Vi sono vari modi per ottenere questo "pompaggio" di elettroni, ossia per generare la forza che fa muovere gli elettroni producendo corrente elettrica e che appunto è chiamata forza elettromotrice. I dispositivi che hanno oggi larga applicazione pratica sono però essenzialmente: la pila, che produce una corrente continua (ossia gli elettroni si muovono sempre nella stessa direzione); l'alternatore, che produce una corrente alternata (ossia gli elettroni si muovono come uno stantuffo, avanti e indietro); la dinamo, che deriva dall'alternatore ma produce una corrente continua. La pila è quel piccolo oggetto ben noto che fa funzionare le radioline, i giocattoli elettrici e molti altri apparecchi di cui facciamo quotidianamente uso. È una scatoletta di energia semplice e sorprendente allo stesso tempo. Cerchiamo di capire cosa succede dentro questa scatoletta. Abbiamo detto che i materiali come il ferro, il rame e generalmente i metalli hanno al loro interno una nuvola di elettroni liberi, e che di questi elettroni alcuni riescono a uscire dal pezzo di metallo cui appartengono. Man mano che gli elettroni escono dal pezzo, questo si carica positivamente giacché in esso gli elettroni rimasti sono meno numerosi dei protoni. Vi sono alcuni metalli che si caricano di più e altri di meno. Se mettiamo a contatto un pezzo di un metallo molto carico, ossia che ha perso molti elettroni, con uno meno carico, succede che gli elettroni del secondo sono attratti dalla carica elettrica positiva del primo e passano dal secondo al primo provocando così una corrente elettrica che però si esaurisce non appena i due materiali hanno raggiunto lo stesso livello di carica, e cioè quasi istantaneamente. Ma se, come Alessandro Volta ha fatto alla fine del Settecento, fra i due metalli mettiamo una soluzione di un certo acido o di un certo sale e uniamo fra loro gli altri estremi dei due metalli che chiamiamo "poli", o direttamente, o mediante un terzo metallo (per esempio un filo di rame), la corrente continua a fluire per un certo tempo. Possiamo dire che l'energia chimica della soluzione, si trasforma nell'energia elettrica che troviamo disponibile ai poli. La prima pila di Volta consisteva in due pezzi di metallo, rispettivamente di rame e di zinco, che pescavano in una tazza riempita con acqua salata o con un acido diluito ed era detta infatti "pila a tazza"; collegando i due pezzi di metallo fra loro la corrente percorreva il filo di collegamento dal polo negativo al polo positivo, mentre nell'acqua salata (o nella soluzione acida) la corrente si spostava dal polo positivo al negativo completando il circuito.

I metalli, infatti, non sono i soli conduttori di elettricità: essi sono conduttori solidi o, come anche vengono chiamati, conduttori di prima classe. Una seconda classe di conduttori è rappresentata appunto dalle soluzioni chimiche, nelle quali la corrente non è trasportata dagli elettroni, ma dagli ioni (che, come si ricorderà, sono atomi o gruppi di atomi dotati di carica elettrica). Al tempo di Volta concetti come quelli di elettrone, di ione, ecc., non erano stati ancora formulati e quindi l'interpretazione dei fenomeni elettrici non ne teneva conto. Volta tuttavia ebbe il merito di rilevare il diverso comportamento dei conduttori di prima e di seconda classe e di scoprire che mentre un circuito di conduttori di una sola classe non dava luogo ad una corrente elettrica durevole, la loro combinazione era in grado di farlo. Naturalmente le pile che troviamo oggi in commercio sono molto differenti dalla pila di Volta, ma le leggi fisiche su cui si basano sono le stesse; sono cambiati solo gli elementi usati e il tipo di confezione, che per la sua praticità e comodità, dà alla pila grandi possibilità di diffusione e grande versatilità d'impiego.

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L'ELETTRICITÀ

La materia è formata da atomi che hanno dimensioni così piccole da essere quasi inimmaginabili; gli atomi furono pensati dapprima come le parti ultime in cui si poteva dividere la materia stessa, e solo in tempi relativamente recenti si è arrivati alla conclusione che gli atomi sono formati da particelle ancora più piccole (protoni, elettroni, ecc.), organizzate secondo leggi ben definite. Anche se non sono propriamente indivisibili, gli atomi sono però strutture molto compatte. A fare dell'atomo una struttura compatta e difficilmente divisibile agiscono le forze nucleari, di cui torneremo a parlare, e le forze elettriche, che sono quelle che qui ci interessano. La forza elettrica, che in prima approssimazione possiamo immaginare (e fu in effetti immaginata) simile alla forza di gravità, è quella che nell'atomo, attorno a un nucleo formato da un certo numero di protoni, fa muovere un uguale numero di elettroni. A differenza della gravità, però, la forza elettrica agisce in modo che, mentre un elettrone e un protone si attraggono fra di loro, due elettroni o due protoni si respingono. Abbiamo insomma due differenti tipi di particelle a cui diamo il nome di cariche elettriche elementari, che possiamo considerare una opposta all'altra e che per comodità indichiamo col segno + (i protoni) e col segno - (gli elettroni); le cariche di segno opposto si attraggono e le cariche dello stesso segno si respingono. Prendiamo un oggetto qualsiasi, per esempio una pallina di vetro; questa pallina è formata da un enorme numero di atomi, che a loro volta sono formati da un certo numero di elettroni e protoni. Se riuscissimo a separare in due gruppi distinti tutti gli elettroni da una parte e tutti i protoni dall'altra, i due gruppi di particelle si attirerebbero con una forza gigantesca sufficiente a sollevare un intero palazzo e anche più. È impossibile separare tutti i protoni da tutti gli elettroni di un oggetto. È possibile invece sottrarre alcuni elettroni agli atomi che si trovano sulla superficie dell'oggetto stesso. Poiché inizialmente gli elettroni sono in numero eguale ai protoni, se asportiamo degli elettroni ci sarà un eccesso di protoni. L'effetto elettrico dei protoni eccedenti non sarà più neutralizzato da quello uguale e contrario degli elettroni che abbiamo asportato e l'oggetto stesso risulterà carico positivamente Esso dunque attirerà altri oggetti con carica negativa (ossia con carica opposta alla sua) e respingerà quelli con carica positiva (ossia con carica uguale alla sua). Prendiamo un bastoncino di vetro e strofiniamolo con un panno di lana ben asciutto. Proviamo poi ad avvicinare il nostro bastoncino ad alcuni pezzettini di carta: i pezzettini di carta saranno attratti dal nostro bastoncino. Avviciniamo il panno di lana ad un altro mucchio di pezzettini di carta (che sceglieremo di colore diverso dai primi per distinguerli meglio): anche il panno di lana attirerà i pezzettini di carta. È successo che strofinando il bastoncino di vetro con il panno di lana alcuni elettroni del bastoncino sono passati sul panno, sicché questo si è caricato negativamente, mentre il bastoncino si è caricato positivamente. Avvicinando poi il bastoncino o il panno ai pezzetti di carta, anche questi si sono caricati elettricamente e sono stati attratti rispettivamente dal bastoncino e dal panno.

Se ripetiamo l'esperimento con un bastoncino di ceralacca anziché di vetro, si produrranno gli stessi fenomeni, ma con questa differenza: che nello strofinamento gli elettroni passeranno dal panno al bastoncino di ceralacca, sicché il panno risulterà carico positivamente e il bastoncino negativamente. Anche questa volta avremo scelto pezzetti di carta di colore diverso per distinguerli facilmente dai precedenti. Per verificare che il bastoncino di vetro e quello di ceralacca hanno acquistato cariche elettriche di segno diverso (positiva il vetro, negativa la ceralacca) e che il panno usato per strofinare il vetro si è caricato in modo opposto a quello usato per strofinare la ceralacca, basta avvicinare i pezzetti di carta dei vari colori che entrando in contatto dei bastoncini e dei panni si sono a loro volta caricati elettricamente. Osserviamo innanzitutto che i pezzetti di carta dello stesso colore si respingono: essi infatti sono dotati di cariche elettriche uguali. I pezzetti di carta che sono entrati in contatto con il bastoncino di vetro e quelli che sono entrati in contatto con il bastoncino di ceralacca si attirano: essi dunque hanno cariche opposte e ciò conferma che anche i bastoncini hanno cariche opposte. Anche i pezzetti di carta che hanno toccato i due panni di lana si attirano. Ciò significa che i panni hanno acquistato cariche opposte. I pezzetti che hanno toccato il vetro e quelli che hanno toccato il panno usato per strofinare la ceralacca si respingono: evidentemente hanno cariche elettriche dello stesso segno. Allo stesso modo si respingono i pezzetti di carta che hanno toccato la ceralacca e quelli che sono stati in contatto con il panno usato per strofinare il vetro. Infine si attirano i pezzetti di carta che sono entrati in contatto con i bastoncini (di vetro o di ceralacca) e quelli che sono entrati in contatto con i panni rispettivamente usati per strofinarli. Ciò conferma che il bastoncino e il panno nello strofinio acquistano cariche di segno opposto.

IL MAGNETISMO

Fra le tante stranezze della natura è stata per secoli inclusa la misteriosa proprietà della magnetite, un minerale di ferro che attira con una forza abbastanza consistente il ferro stesso, l'acciaio e altri metalli. Ciò che gli antichi non sospettavano era che la proprietà di attrarre il ferro, oltre che della magnetite, fosse una caratteristica del nostro stesso pianeta che, oltre la forza di attrazione gravitazionale ha anche una forza di attrazione magnetica. Prendiamo una comune calamita, che non è altro che una sbarra di acciaio diritta o a ferro di cavallo che ha acquistato la proprietà della magnetite per mezzo di un opportuno trattamento, e facciamo alcune semplici esperienze. Proviamo a immergere la nostra calamita in un mucchietto di limatura di ferro: notiamo subito che la limatura rimane attaccata alla calamita; la limatura però non si distribuisce in maniera uniforme ma risulta molto più densa alle due estremità opposte della calamita. La forza magnetica infatti si esercita solo lungo una direzione ben precisa e si concentra sulle due estremità (dette poli) del nostro oggetto magnetico, sia esso la calamita, un pezzo di magnetite, o la Terra stessa. Prendiamo ora alcuni aghi da cucito che sono fatti d'acciaio e avviciniamone uno alla nostra calamita: l'ago resterà appeso a una estremità della calamita, attratto dalla forza magnetica. Appoggiamo ora un secondo ago all'estremità libera del primo: questo a sua volta attrarrà il secondo ago, e se ripetiamo altre due o tre volte l'operazione, otterremo una catena di quattro o cinque aghi appesa alla calamita. Se proviamo a staccare la catena dalla calamita vedremo che la proprietà magnetica si è trasmessa a tutti gli aghi della catena che ora sono diventati delle piccole calamite. Supponiamo di aver sempre messo la cruna di un ago in alto a contatto con la punta dell'ago precedente; se proviamo ora ad avvicinare le crune di due aghi magnetizzati fra di loro notiamo che non solo le due crune non si attraggono ma anzi si respingono: come per le cariche elettriche, i poli magnetici si attraggono se sono opposti e si respingono se sono dello stesso tipo.

Prendiamo una tazza piena d'acqua e cerchiamo di appoggiare sulla superficie uno dei nostri aghi magnetizzati; dopo qualche tentativo in cui l'ago andrà inesorabilmente a fondo, se sapremo usare un'estrema delicatezza forse riusciremo a depositare l'ago sulla superficie senza che sprofondi e avremo costruito così una rudimentale bussola. L'ago si disporrà secondo una determinata direzione e, comunque faremo girare la tazza, l'ago tornerà a disporsi lungo la stessa direzione. Come abbiamo accennato, la Terra è essa stessa una grossa calamita, i cui poli magnetici coincidono coi poli di rotazione terrestre e, quindi, il polo Nord della Terra attirerà il polo Sud del nostro ago magnetico e viceversa.

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DALLA PILA AI MOTORI ELETTRICI

Le pile forniscono solo modeste quantità di energia e sono quindi utilizzate solo per piccoli apparecchi. Quando occorre una notevole quantità di energia si ricorre a generatori di corrente più potenti: le "dinamo" e gli "alternatori". Per passare dalla pila alla dinamo è stato necessario trovare la connessione (la cui esistenza si sospettava da tempo) tra il magnetismo e l'elettricità. Già dalla metà del Settecento si sapeva che una scarica elettrica poteva magnetizzare una barra di ferro: era un indizio che tra magnetismo ed elettricità doveva esserci una qualche connessione. Nel 1819 il fisico danese Hans Christian Oersted fece un'importante scoperta: mentre stava facendo delle dimostrazioni scientifiche, il filo di una pila voltaica gli cadde di mano e finì sopra una bussola; l'ago magnetico allora deviò dalla sua posizione naturale e solo quando Oersted interruppe la corrente, l'ago tornò a indicare il Nord. Era la conferma che tra magnetismo e elettricità esisteva una precisa relazione. La scoperta di Oersted ebbe immediatamente un'applicazione pratica: se una corrente elettrica faceva deviare un ago magnetico dalla sua posizione naturale, la deviazione di un ago magnetico poteva indicare l'esistenza di una corrente elettrica e poteva misurarne l'intensità. Nacque così il "galvanometro", che nella sua forma più semplice è costituito appunto da un ago magnetico circondato da un avvolgimento di filo metallico nel quale passa la corrente che si vuol misurare. In quegli stessi anni il fisico francese Arago e il suo connazionale Ampère (il suo nome è ben noto perché è stato dato all'unità di misura della corrente elettrica) dimostrarono nel modo più convincente che una spirale di filo metallico attraversata da una corrente continua fornita da una pila si comporta esattamente come una barra magnetica: la limatura di ferro per esempio è attirata dalla spirale finché dura il passaggio di corrente nel filo. Nel 1825 lo stesso Ampère formulò l'ipotesi che il magnetismo fosse effetto di piccole correnti elettriche circolari presenti nei corpi magnetici e dovute al moto delle più minute particelle dei corpi stessi. Gli esperimenti decisivi nel campo dell'elettromagnetismo furono però quelli dell'inglese Faraday. Era noto da tempo che una calamita è capace di magnetizzare un pezzo di ferro posto nelle sue adiacenze. Questo fenomeno si chiama "induzione magnetica" dove il termine induzione sta a indicare un'azione a distanza, ossia un'azione che un corpo esercita su un altro corpo con il quale non è in contatto. Poiché gli esperimenti di Oersted e di Ampère avevano dimostrato che una corrente elettrica si comporta come un magnete, Faraday immaginò che lo stesso effetto di induzione si potesse ottenere usando una corrente elettrica al posto della calamita. Immaginò anche che, mediante induzione, un magnete potesse generare una corrente elettrica in un conduttore posto nelle sue vicinanze. Per verificare queste sue intuizioni Faraday condusse alcuni esperimenti che segnarono una svolta rivoluzionaria non solo nel pensiero scientifico, ma anche, per le applicazioni che ne derivarono, nel campo delle tecniche industriali. Faraday avvolse due distinti rocchetti di filo metallico intorno ad un anello di ferro. Uno dei due rocchetti era collegato ad un generatore di corrente (pila), l'altro ad un rilevatore di corrente (galvanometro). Nel primo circuito (quello collegato alla pila) inserì un interruttore. Quando, azionando l'interruttore, Faraday apriva o chiudeva il circuito, il galvanometro rivelava la presenza di una corrente istantanea nel secondo circuito.

L'apertura del primo circuito faceva spostare l'ago del galvanometro in un senso, la chiusura nel senso opposto: nel secondo circuito, insomma, aprendo e chiudendo ripetutamente il primo circuito, si generava una "corrente alternata". Era così dimostrato che il passaggio di una corrente elettrica in un avvolgimento di filo metallico generava (induceva) una corrente elettrica in un avvolgimento vicino. Con questa particolarità però: che nel secondo avvolgimento la corrente indotta si rivelava solo al momento di aprire o di chiudere il primo circuito. Essa insomma nasceva in corrispondenza di un mutamento nel primo circuito. Con altri esperimenti Faraday dimostrò che questo mutamento poteva essere ottenuto, oltre che aprendo o chiudendo il primo circuito, anche muovendolo o comunque variando in esso l'intensità della corrente. Infine Faraday dimostrò che il circuito inducente (ossia quello collegato alla pila) poteva essere sostituito da un magnete: fece ruotare tra i poli Nord e Sud di un magnete un disco di rame e collegò l'asse e i bordi del disco a un galvanometro: durante la rotazione del disco il galvanometro mostrava che nel disco stesso si generava una corrente indotta. Era nato così il primo generatore elettromagnetico di corrente. I generatori elettromagnetici di corrente subirono diverse modificazioni e occorse parecchio tempo prima che potessero essere usati nella produzione e nell'industria. Essenzialmente però ogni dinamo risulta costituita da un conduttore (un disco di rame o un rocchetto di filo metallico o una serie di rocchetti) che ruota in un campo magnetico (ossia in una porzione di spazio in cui, per la presenza di un magnete, agisce una forza magnetica). Naturalmente gli stessi effetti si possono ottenere se, tenendo fermo il conduttore, si fa ruotare il magnete. Abbiamo visto che il movimento di un magnete genera in un conduttore una forza elettromotrice in grado di muovere e di produrre corrente elettrica; è questo il principio dell'alternatore. Girando, il magnete volge alternativamente il Nord e il Sud verso il conduttore, sicché in questo conduttore (solitamente un avvolgimento di filo meccanico) si genera una corrente diretta ora in un senso ora nell'altro con lo stesso ritmo della rotazione del magnete (corrente alternata). Il motore elettrico si basa sullo stesso principio della dinamo, preso al contrario: se la rotazione di un magnete genera in un conduttore una corrente alternata, una corrente alternata fatta passare nel filo conduttore arrotolato attorno a un magnete dovrà generare una forza tale da provocare la rotazione del magnete stesso. Una corrente elettrica genera un campo magnetico che agisce su un magnete come il campo magnetico terrestre agisce sull'ago di una bussola; se la corrente fosse continua l'unico effetto sarebbe quello di orientare il magnete lungo una direzione fissa determinata dalla direzione della corrente; una corrente alternata invece genera un campo magnetico che cambia continuamente direzione col cambiare della corrente e costringe quindi il magnete a seguire questa direzione e a girare attorno a se stesso. Si può quindi trasformare l'energia elettrica in energia meccanica, realizzando un motore che risulta estremamente più maneggevole di quello a vapore. Se pensiamo ai vecchi mulini ad acqua o a vento che rappresentavano l'unico sistema ideato fino a due secoli fa per azionare i vari tipi di macchine senza ricorrere alla forza degli uomini o degli animali, possiamo renderci conto di quali enormi passi siano stati compiuti dall'uomo sulla strada dello sfruttamento delle risorse naturali. Ma la forza idraulica che muoveva i vecchi mulini resta ancora oggi una preziosa sorgente di energia. Nelle centrali idroelettriche la forza dell'acqua viene usata per muovere le turbine, che a loro volta mettono in azione le dinamo, che a loro volta producono corrente elettrica, che a sua volta, trasportata per mezzo di fili nei luoghi dove è più conveniente utilizzarla, viene ritrasformata in forza meccanica per mezzo di motori elettrici; possiamo dunque dire che è sempre la forza di un fiume o di una cascata a muovere le macchine di una moderna industria.

Anche il carbone (insieme ad altri combustibili fossili) non ha perso il suo ruolo giacché nelle centrali termoelettriche svolge lo stesso ruolo che in quelle idroelettriche è riservato all'acqua. Il carbone come l'acqua è una fonte di energia primaria, giacché lo troviamo direttamente in natura. L'energia elettrica, invece, non è una fonte, ma solo una forma di energia: è il frutto di una trasformazione di energia operata dall'uomo. Solo disponendo di una fonte primaria di energia possiamo muovere le macchine che producono l'energia elettrica; l'uomo non crea energia, ma può solo trasformare un certo tipo di energia in un'altra. Ci si può chiedere allora perché mai l'energia delle fonti primarie, come l'acqua o il carbone, non venga utilizzata direttamente, nella sua forma originaria, senza trasformarla in elettricità: sarebbe un modo per risparmiare energia, visto che ogni trasformazione comporta una certa perdita. In altre parole: se devo far girare un mulino, non sarebbe meglio, come si faceva un secolo fa, collegare le macine a una ruota idraulica o a una macchina a vapore piuttosto che a un motore elettrico, che deve essere allacciato alla rete di distribuzione, nella quale circola una corrente, che è prodotta da una centrale, i cui generatori (alla fin fine) sono mossi, appunto, o dall'acqua o dal vapore? La risposta è (evidentemente): no. I vantaggi dell'elettricità e dei motori elettrici sono principalmente costituiti dalla facilità di trasporto, di distribuzione e di utilizzazione dell'energia e dalla versatilità del loro impiego. Volete una riprova? Provate a immaginare un aspirapolvere o un frullino mossi da una ruota idraulica o da una macchina a vapore!

Generatore elettromagnetico di corrente di Faraday

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