INFORMATICA - LE PERIFERICHE DEL COMPUTER

PERIFERICHE DI INPUT E DI OUTPUT

Le periferiche (peripheral units) sono tutte le unità di input/output che permettono l'ingresso e l'uscita delle informazioni, e le memorie esterne o memorie di massa.
Ad una unità centrale possono essere collegate periferiche di diverso tipo.
Le periferiche di input sono quelle che permettono di inserire dati nel computer, come la tastiera e i vari dispositivi di puntamento (mouse, trackerball, joystick ecc.); le periferiche di output sono quelle che consentono l'emissione di dati da parte del computer, come il video e la stampante.
I dispositivi per la gestione delle memorie di massa sono periferiche di input/output poiché consentono sia l'ingresso che l'uscita delle informazioni, cioè la registrazione e la successiva lettura.

LA TASTIERA

La periferica usata normalmente per l'input è la tastiera.
Sulla tastiera sono rappresentati lettere, cifre e simboli; sono inoltre presenti dei tasti speciali (per esempio per lo spostamento del cursore, per l'invio dei caratteri digitati, per la scelta dei caratteri maiuscoli o minuscoli ecc.) e dei tasti funzione che possono essere programmati in modo che alla pressione del tasto venga svolta la funzione desiderata.
La tastiera può disporre di un buffer, cioè di una piccola memoria (capace di contenere solo pochi caratteri) in cui possono venire memorizzati i tasti premuti prima che il computer sia in grado di accettarli; per esempio si può iniziare a scrivere un comando prima ancora che compaia il prompt del sistema operativo; appena il sistema è pronto accetta il comando e se è stato premuto anche il tasto di invio ne comincia l'esecuzione.
Alla tastiera è associato anche un altro buffer, di dimensioni maggiori, chiamato buffer di input; qui vengono conservati i tasti digitati fino alla pressione del tasto di invio; finché non si preme il tasto di invio i caratteri non vengono accettati e possono ancora essere modificati.

I DISPOSITIVI DI PUNTAMENTO

Data la grande diffusione di interfacce grafiche, per interagire con il computer sempre più spesso si utilizzano come dispositivi di input a fianco della tastiera altre periferiche, note come dispositivi di puntamento.
Il dispositivo di puntamento più utilizzato è senz'altro il mouse (il nome significa topo, e deriva probabilmente dalla forma e dal modo in cui viene usato). Il mouse ha nella parte inferiore una pallina; muovendolo su un piano (in genere si usa un apposito tappetino) si produce in corrispondenza uno spostamento di un puntatore sul video, determinato dai movimenti della pallina; il puntatore sul video in genere ha la forma di una freccia, ma può assumere forme diverse a seconda della funzione assunta all'interno dei programmi che lo gestiscono.
Il mouse è usato soprattutto per selezionare voci di menu o finestre, e nei programmi grafici anche per disegnare.
Il programma compie un'azione quando viene premuto il pulsante del mouse; il mouse può anche avere più pulsanti (fino a tre). In questo caso ai pulsanti possono essere associati comandi diversi.
Un altro dispositivo di puntamento, usato al posto del mouse soprattutto sui personal computer portatili è la trackerball, una pallina che si fa ruotare con la mano e che con i suoi movimenti dirige un puntatore sullo schermo, proprio come la pallina del mouse.
Il dispositivo più noto e desiderato fra i ragazzi è il joystick, usato soprattutto per i video giochi; il joystick è una leva che si può manovrare nelle varie direzioni (come la leva del cambio di una automobile) e permette di controllare molto rapidamente i movimenti del cursore.
Per interagire direttamente con lo schermo si possono usare le penne ottiche o dei monitor particolari, sensibili al tatto.
La penna ottica, o touchpen, è collegata al terminale con un cavo e porta sulla punta un sensore ottico che permette di puntare direttamente un'area di uno schermo grafico e di selezionare punti o comandi.
Sui monitor sensibili al tatto, o touch screen, è possibile invece effettuare delle selezioni usando semplicemente il dito; con questo metodo però non si ottengono posizionamenti molto precisi.
Il dispositivo più preciso, usato per applicazioni grafiche è però la tavoletta grafica o digitalizzatrice; è composta da una tavoletta e da una penna che si può spostare sulla superficie della tavoletta stessa consentendo di disegnare o di selezionare voci di menu associate a determinate aree.

LO SCANNER

Lo scanner è un dispositivo che consente di "fotografare" delle immagini e di portarle all'interno del computer perché possano essere registrate o elaborate.
Esistono scanner a inserimento in cui il foglio inserito passa tra due rulli (in questo caso si possono fotografare in genere interi fogli) e scanner a piano variabile in cui è lo scanner che si muove per la rilevazione.
Solitamente questi ultimi non hanno una larghezza sufficiente a scandire una pagina in una sola volta, quindi un'immagine deve essere scandita con più passate e poi ricomposta utilizzando del software con questa capacità. E' importante che le singole scansioni siano fatte con mano ferma e seguendo delle linee perfettamente verticali (magari aiutandosi con una guida in fianco al foglio); gli scanner a piano variabile non sono quindi adatti per lavori di tipo professionale.

LA LETTURA OTTICA

Se si deve immettere nel computer un testo di cui si ha già una copia stampata può essere molto più veloce utilizzare uno scanner anziché riscrivere tutto il testo.
Lo scanner però fotografa la pagina di testo come se si trattasse di un'immagine; se si devono fare delle correzioni bisogna che i singoli caratteri dell'immagine siano interpretati e trasformati nella corrispondente rappresentazione in codice ASCII in modo che possano poi essere elaborati con un word processor.
Con i sistemi a lettura ottica (OCR, Optical Character Recognition, cioè riconoscimento ottico dei caratteri) si procede proprio al riconoscimento della forma dei caratteri.

LA DIGITALIZZAZIONE DELLE IMMAGINI

Le immagini all'interno del computer vengono registrate nell'unica forma che il computer conosce ovvero: come una serie di bit con valore 0 o 1.
Il procedimento che trasforma l'immagine in una rappresentazione in cifre binarie si chiama digitalizzazione. L'immagine viene suddivisa in punti e ad ogni punto viene associato un valore binario in funzione dell'intensità della luce riflessa.
Naturalmente se l'immagine è a colori serviranno più bit per rappresentare ciascun punto di quanti non ne occorrano se l'immagine è in bianco e nero.
Per esempio se ogni punto può essere soltanto bianco o nero per la rappresentazione basta un solo bit con valore 0 o 1 (per esempio 0 per il bianco e 1 per il nero). Se oltre al bianco e al nero vengono usate due tonalità di grigio, grigio chiaro e grigio scuro, per rappresentare ogni punto serviranno due bit (per esempio con i valori 00 per il bianco, 01 per il grigio chiaro, 10 per il grigio scuro e 11 per il nero). Così se il numero di colori aumenta, aumenta anche il numero di bit necessari per la rappresentazione di ciascun punto; se ogni punto viene rappresentato con un byte si possono descrivere 256 tonalità di colore.

IL VIDEO

Il video è il dispositivo di output normalmente usato; può essere di tipo monocromatico (a due colori, di solito bianco su nero o verde su nero) oppure a colori.
Può essere usato in modo testo o in modo grafico.
In modo testo il video viene considerato suddiviso in righe e colonne e ogni posizione può contenere un carattere.
In modo grafico, si considera costituito da punti (pixel); maggiore è il numero di pixel e migliore è la definizione dell'immagine.
Il video viene gestito da un dispositivo chiamato adattatore dello schermo, che permette di selezionare le diverse modalità in cui può essere utilizzato.
Se viene utilizzato in modo testo le informazioni sulla sequenza di caratteri da produrre a video vengono conservate in una "mappa video" in cui ad ogni posizione utilizzabile corrisponde un byte.
Se viene utilizzato in modo grafico le informazioni sull'immagine vengono registrate pixel per pixel; l'immagine digitalizzata viene conservata in un buffer di memoria chiamato frame buffer.
Il controller del video legge i valori del frame buffer e converte i segnali 0 e 1 in segnali video; l'immagine deve essere riprodotta sul video almeno 50 volte al secondo perché rimanga stabile; se le ripetizioni sono meno frequenti l'immagine lampeggia fastidiosamente (flickering). Si definisce come frequenza di sincronismo orizzontale semplicemente il numero di volte al secondo che il monitor può scrivere una linea di scansione orizzontale; è la più importante informazione sul vostro monitor. La frequenza di sincronismo verticale è il numero di volte al secondo alla quale il monitor può far attraversare il fascio verticalmente sullo schermo. Le frequenze di sincronismo di solito sono elencate nelle specifiche del manuale del monitor. Il valore della frequenza di sincronismo verticale è tipicamente calibrato in Hz (cicli per secondo), quello orizzontale in Khz (kilocicli per secondo). Le comuni gamme di valori sono fra 50 e 150Hz verticali, e fra 31 e 135Khz orizzontali. Se avete un monitor multifrequenza, queste frequenze saranno date come gamma di valori. Alcuni monitor, specialmente quelli più scadenti, hanno svariate frequenze fisse. Anche queste possono essere configurate, ma le vostre possibilità saranno molto limitate dalle caratteristiche proprie del monitor. Scegliete il paio di frequenze più alte per la migliore risoluzione. Un'altro elemento importante è legato alla memoria disponibile sulla scheda video: la possibilità di vedere ad una risoluzione elevata è direttamente legata sia alla capacità di alte frequenze di sincornizzazione video sia alla dimensione della VRAM (ram video). Questa è una memoria molto particolare, a doppia porta, con accesso molto veloce sia in lettura sia in scrittura. La RAM disponibile per il buffer del quadro video può limitare la risoluzione che potete ottenere su schermi a colori o in scala di grigi. Probabilmente non è così importante su schermi che hanno solo due colori, bianco e nero senza gradazioni di grigio. Per gli schermi a 256 colori, un byte di memoria video è richiesto per ogni punto visibile. Questo byte contiene l'informazione che determina quale mistura di rosso, verde e blu deve essere generata per quel punto. Per ottenere la quantità di memoria richiesta, moltiplicate il numero di punti visibili per linea per il numero di linee visibili. Per uno schermo con una risoluzione di 1024x768, questa sarebbe 1024 x 768 = 786432, che è il numero di punti visibili sullo schermo. Questo è anche, a un byte per punto, il numero di byte di memoria video che sono necessari sulla vostra scheda video. Così, la memoria video richiesta sarà tipicamente (HR * VR)/1024 Kbytes di VRAM, arrotondati (sarebbero esattamente 768K nell'esempio precedente). Se avete più memoria di quella strettamente richiesta, ne avrete extra per il panning di schermo virtuale.
Se per esempio avete solo 512K sulla vostra scheda video, allora non potete usare questa risoluzione. Anche se avete un buon monitor, ma non abbastanza video RAM, non potete avvantaggiarvi della potenzialità del vostro monitor. D'altra parte, se la vostra SVGA ha un mega, ma il vostro monitor può visualizzare al massimo 800x600, allora l'alta risoluzione è per voi irraggiungibile.

COME FUNZIONA IL VIDEO

Il video è costituito da un tubo a raggi catodici (come l'apparecchio televisivo) sul quale le immagini vengono rappresentate tramite un cannone che spara degli elettroni per eccitare i punti desiderati dello strato di fosforo che ricopre l'interno dello schermo.
Nei monitor a colori ci sono tre cannoni che sparano elettroni per colpire rispettivamente punti di fosforo verdi, rossi, e blu; gli elettroni passando attraverso un foro attivano tre punti, uno rosso, uno verde, uno blu, che rappresentano un pixel. Regolando il numero di elettroni e attivando o disattivando i cannoni si ottengono le diverse intensità (con una combinazione di luce rossa, verde e blu si può ottenere qualsiasi colore).
Il raggio che colpisce un pixel viene guidato da campi magnetici in modo da percorrere tutto lo schermo seguendo delle linee orizzontali (linee di scansione); una volta arrivato in basso ritorna nell'angolo in alto a sinistra e ricomincia la scansione.
Lo schermo genera un quadro con quello che considerate essere una serie di punti raster. I punti sono disposti da sinistra a destra per formare delle linee. Le linee sono disposte dall'alto in basso per formare il quadro. I punti emettono luce quando sono colpiti dal fascio elettronico anzidetto dentro lo schermo. Per far sì che il fascio colpisca ciascun punto per un uguale periodo di tempo, il fascio è diretto sullo schermo con un percorso costante, detto raster.
Abbiamo detto "quello che considerate essere una serie di punti" perché questi punti raster non corrispondono propriamente ai fosfori. I fosfori sono molto più piccoli dei punti raster (lo devono essere, altrimenti lo schermo mostrerebbe gravi effetti detti moiré).
I punti raster sono in realtà campioni del segnale analogico, e si vedono come una griglia di punti solo perché i picchi nel segnale sono molto regolari e spaziati con precisione.
Il percorso parte in alto a sinistra sullo schermo, attraversa lo schermo verso destra con una linea diritta, muovendosi leggerissimamente "in discesa" (lo spostamento verticale è troppo esiguo da essere percepito). Poi il fascio è riportato indietro sul lato sinistro, ripartendo con una nuova linea. La nuova linea va da sinistra a destra proprio come la prima. Questo percorso è ripetuto fino a che l'ultima linea in fondo allo schermo è stata passata. Allora il fascio viene portato dall'angolo in basso a destra (spazzando avanti e indietro un po' di volte) all'angolo in alto a sinistra, e il percorso viene ripetuto.
C'è una variante di questo schema conosciuto come interlacciamento: qui solamente ogni linea pari è passata ogni mezzo quadro e quelle dispari sono tracciate durante il secondo mezzo quadro.
Quando il fascio parte dall'angolo superiore sinistro dello schermo è detto inizio di quadro. Il quadro termina quando il fascio raggiunge l'angolo superiore sinistro dinuovo venendo dall'angolo inferiore destro dello schermo. Un quadro è composto da tutte le linee tracciate dal fascio dall'alto in basso dello schermo.
Se il fascio degli elettroni funzionasse per tutto il tempo che attraversa il quadro, tutti i punti dello schermo sarebbero accesi. Non ci sarebbero bordi neri ai lati dello schermo. Ai lati dello schermo il quadro sarebbe distorto perché è difficile controllare il fascio in quei punti. Per ridurre la distorsione, i punti vicino ai lati dello schermo non sono illuminati dal fascio (perché sono spenti) anche se questo, se fossero accesi, li puntasse. L'area visibile dello schermo è ridotta in questo modo.
Un'altra cosa importante da capire è cosa succede del fascio quando nessuna cosa è disegnata nell'area visibile. Il tempo che il fascio avrebbe dovuto usare per illuminare i lati sinistro e destro dello schermo è invece usato per portare il fascio indietro da destra a sinistra e per muoverlo giù alla linea successiva. Il tempo che il fascio avrebbe dovuto usare per illuminare i lati superiore ed inferiore dello schermo è usato per muovere il fascio dall'angolo in basso a destra all'angolo in alto a sinistra.
La scheda video genera i segnali che permettono allo schermo di accendere il fascio (del colore voluto) ad ogni punto per generare un quadro. La scheda controlla anche quando lo schermo muove il fascio da destra a sinistra e giù di una riga generando un segnale chiamato sync (per sincronismo) orizzontale. C'è un impulso di sincronismo orizzontale alla fine di ogni linea. La scheda genera anche un impulso di sincronismo verticale che segnala allo schermo quando muovere il fascio dall'angolo sinistro in alto dello schermo. Un impulso di sincronismo verticale è generato quasi alla fine di ogni quadro.
Lo schermo richiede che ci sia un breve lasso di tempo sia prima che dopo gli impulsi di sincronismo orizzontale e verticale così che si possa stabilizzare la posizione del fascio di elettroni. Se il fascio non può stabilizzarsi, il quadro non sarà nitido.

GLI SCHERMI PIATTI AL PLASMA

Gli schermi piatti rappresentano ormai il futuro della televisione: HDTV, convergenza digitale e DVD ad alta risoluzione contribuiranno attivamente a rendere i televisori CRT (a tubo catodico) obsoleti entro i prossimi anni. Se siete tentati dall'acquisto di un televisore dallo schermo piatto dovrete vedervela con un altra difficoltà: la scelta tra due tecnologie complementari ma diverse tra loro: Plasma e LCD.
Per i monitor dei computer la scelta è abbastanza semplice, data la vittoria degli LCD sul mercato ma per le TV, le due tecnologie sono ancora in competizione. L'approccio iniziale utilizzato dai produttori di schermi per rappresentare l'intero spettro dei colori si basa sulla loro scomposizione. Invece che progettare pixel complessi, in grado di visualizzare una moltitudine di colori, ogni pixel viene scomposto in tre sotto-pixel in grado di visualizzare un solo colore dei tre primari (meglio detti colori additivi): rosso, verde e blu. Quando l'utente si trova ad una certa distanza dallo schermo, non è più in grado di distinguerne i piccoli sotto-pixel, ma vedrà soltanto l'effetto finale risultato dalla combinazione dei tre colori. Questo trucco rende possibile la visualizzazione dell'intera gamma di colori semplicemente giocando sulla variazione delle combinazioni tra rosso, verde e blu. In questo modo è anche possibile visualizzare ogni tonalità di grigio, dal nero al bianco più luminoso, combinando i tre colori in ugual misura.
Le ricerche sugli schermi al plasma iniziarono negli Stati Uniti quattro decenni fa, nel 1960. La tecnologia venne sviluppata da quattro ricercatori: Bitzer, Slottow, Willson, e Arora. Il primo prototipo venne rilasciato molto velocemente, nel 1964. La matrice, rivoluzionaria per quei tempi, era costituita da 4x4 pixel, in grado di emettere una luce monocroma blu. Quindi, nel 1967, le dimensioni delle matrici vennero incrementate, passando a 16x16, grazie ad un neon, una pallida luce monocroma rossa. Ovviamente questa tecnologia fu di grande interesse per i produttori e compagnie come IBM, NEC, Fujitsu, e Matsushita che si attivarono sin dal 1970. Sfortunatamente, la mancanza di un vero e proprio mercato industriale ne causò il quasi totale arresto dello sviluppo nel 1987 (l'ultima a gettare la spugna fu il gigante IBM). Negli Stati Uniti solo un pugno di ricercatori rimase a sostegno del plasma, mentre la ricerca continuava principalmente sull'altra sponda del Pacifico, in Giappone. I primi modelli commerciali vennero diffusi sul mercato agli inizi degli anni '90. Fujitsu fu la prima a infrangere il limite dei 21 pollici. Oggi quasi la maggioranza delle società di elettronica offre schermi al plasma: LG, Pioneer, Philips, Hitachi, ed altri ancora si sono lanciati nella produzione industriale in larga scala.
L'idea di base dietro il funzionamento degli schermi al plasma è abbastanza semplice: ogni sotto-pixel è una lampadina fluorescente microscopica che emette un colore primario: rosso, verde o blu. Modificando l'intensità della luce emessa dai sotto-pixel è possibile visualizzare un'infinità di colori.
Il principio è lo stesso che permette il funzionamento dei tubi fluorescenti: un gas rarefatto (per esempio l'argon) viene sigillato all'interno di un tubo. Ad ogni estremità ci sono elettrodi ai quali viene applicata elettricità ad alto voltaggio, nell'ordine di centinaia di volt. Il gas all'interno del tubo è elettricamente neutro ma l'eccitazione dovuta alla corrente lo trasforma in plasma: un gas composto da elettroni liberi e ioni positivi (la somma delle cariche rimane neutra). A causa della differenza di potenziale di centinaia di volt, gli elettroni scorrono verso l'elettrodo positivo, mentre gli ioni positivi vengono attratti dal terminale negativo del tubo. Questa movimentazione produce impatti tra gli atomi i quali, impattando, acquistano energia e i propri elettroni passano in un'orbita a energia superiore. Quando ritornano alla loro orbita originale liberano un fotone: un "quantum" di luce.
La luce rilasciata è quindi il risultato del movimento del plasma sotto gli effetti di un forte campo elettrico. Ma non è sufficiente applicare continue differenze di potenziale sui terminali del tubo. Il plasma deve essere mantenuto in continuo movimento in modo che non smetta di emettere luce, per questo è necessario applicare sui terminali corrente alternata. Questi voltaggi causano la migrazione degli ioni del gas da un terminale all'altro, avanti e indietro. La luce emessa dal plasma non è però visibile. Si tratta infatti di radiazioni ultraviolette e gli UV sono invisibili ad occhio umano, per questo devono essere trasformate in qualcosa di visibile. La trasformazione viene effettuata ricoprendo la superficie interna del tubo con una polvere sensibile agli UV che emette luce bianca (nel caso di tubi per illuminazione convenzionale per esempio). Questa polvere, spesso chiamata fosforo, è un scintillatore: un materiale che converte una forma di radiazione in un'altra. L'utilizzo di scintillatori non è una novità nel mondo delle tecnologie di visualizzazione. I tubi a raggi catodici (CRT) contengono scintillatori che convertono il raggio di elettroni in luce rossa, verde o blu.
L'applicazione di questa tecnologia ai pixel di uno schermo al plasma è abbastanza semplice. Ogni pixel è costituito da tre identiche cavità microscopiche contenenti un gas rarefatto (Xeon) ed aventi due elettrodi, uno frontale e uno posteriore. Applicando una forte corrente alternata ad entrambi gli elettrodi il plasma contenuto nelle cavità viene messo in moto emettendo raggi UV che colpiscono il scintillatore. Questi scintillatori sono scelti in modo tale da emettere ciascuno un differente colore primario: rosso, verde o blu. La luce colorata passa quindi attraverso il vetro per essere vista dall'utente.
Mentre il funzionamento dei pixel del plasma è simile a quello dei tubi catodici, la fabbricazione di interi pannelli di pixel implica qualche problema tecnico. La prima difficoltà che incontrano i produttori di schermi al plasma riguarda le dimensioni dei singoli pixel. Un sotto-pixel ha un volume pari a 200µm x 200µm x 100µm e non sono fatti per essere assemblati in milioni, l'uno di fianco all'altro. Inoltre, l'elettrodo frontale deve essere costruito il più trasparente possibile. Grazie alle sue caratteristiche di conduttore e di trasparenza, la scelta del conduttore ricade molto spesso sull'ITO (indium tin oxide). Sfortunatamente gli schermi al plasma possono essere talmente larghi, e lo strato di ITO così sottile, che la resistenza elettrica del materiale diventa troppo alta per assicurare una buona propagazione del voltaggio (circa 300 volt). Per risolvere questo problema si aggiunge uno strato sottile di cromo, migliore conduttore ma purtroppo opaco.
Alla fine bisogna ancora trovare gli scintillatori giusti, (chiamati anche luminofori). Quelli usati nei pixel degli schermi al plasma dipendono dal colore desiderato:
- Verde: Zn2SiO4:Mn2+ / BaAl12O19:Mn2+
- Rosso: Y2O3:Eu3+ / Y0,65Gd0,35BO3:Eu3
- Blu: BaMgAl10O17:Eu2+
Questi tre luminofori producono lunghezze d'onda tra 510 e 525 nm per il verde, 610 nm per il rosso e 450 nm per il blu. L'ultimo problema rimasto riguarda il modo in cui indirizzare i pixel poiché, come abbiamo visto, per ottenere diverse sfumature di colore l'intensità della luce dei sotto-pixel deve essere variabile indipendentemente dai pixel confinanti.
Su uno schermo al plasma da 1280x768 pixel, ci sono approssimativamente tre milioni di sotto-pixel con sei milioni di elettrodi. Naturalmente è impossibile tracciare sei milioni di linee per controllare il singolo sotto-pixel, per questo le linee sono multiplexate: quelle frontali sono in comune per un'intera riga mentre ognuna di quelle posteriori collega una colonna di elettrodi. La scheda elettronica montata su questi schermi successivamente sceglierà quali pixel dovranno essere accesi sullo schermo. Questa operazione viene eseguita molto velocemente, tanto da essere completamente invisibile all'utente; accade qualcosa di simile alla scansione dei monitor CRT.
La tecnologia al plasma ha innumerevoli vantaggi rispetto quella degli schermi LCD e CRT. Prima di tutto, la scelta dell'uso di scintillatori. Per i televisori al plasma permette di ottenere una gamma cromatica più ampia di qualsiasi monitor CRT e caratterizzata da colori più brillanti.
Secondo, le angolazioni della visuale. Sono molto ampie, specialmente se confrontate con quelle degli LCD, perché, diversamente dalla tecnologia LCD, la luce viene generata dai pixel stessi. Inoltre gli schermi al plasma non hanno bisogno di polarizzatori.
Infine, il contrasto. La qualità dei toni neri è equivalente a quella dei migliori televisori CRT: contrariamente a ciò che accade negli schermi LCD, un pixel spento non emette alcuna luce. I televisori al plasma sono anche dotati di una migliore luminosità rispetto i CRT, raggiungendo valori tra i 900 e i 1000 nit.
Da notare anche il fatto che gli schermi al plasma possono avere diagonali di grandi dimensioni (da 32 a 50 pollici) e profondità molto ristrette; vantaggio enorme rispetto i CRT che come ben sapete, diventano più ingombranti in profondità al crescere della diagonale.
La dimensione dei pixel rappresenta uno dei più grossi svantaggi degli schermi al plasma. È difficile, se non impossibile, ridurre le dimensioni dei pixel al di sotto dei 0.5 o 0.6 mm. Di conseguenza non esistono televisori al plasma con diagonali inferiori ai 32 pollici (82 cm). Per mantenere posizioni competitive sul mercato, i produttori di televisori al plasma non hanno avuto altra scelta se non quella di aumentare le dimensioni degli schermi, limitandosi così alla fascia di mercato per televisori dai 32 ai 50 pollici (da 82 a 127 cm).
Per quanto riguarda la qualità dell'immagine, ci sono ancora problemi essenzialmente legati alla natura dei pixel stessi. Dato che un pixel al plasma ha bisogno di scariche elettriche per generare luce, un pixel può venire acceso o spento ma non ha uno stato intermedio. Per questo motivo i produttori usano un metodo chiamato PCM (Modulazione a Codice Di Impulso) per controllarne la luminosità. Il metodo in realtà è semplice, per rendere un pixel più brillante viene accesso più frequentemente. Al contrario, per ottenere un'immagine più scura, viene acceso meno spesso. Questi effetti non vengono notati dall'occhio umano in quanto percepisce una specie di media temporanea dei tempi di accensione. È funzionale ma comporta diversi problemi, tra cui il più significativo è rappresentato dalla ridotta quantificazione dei colori più bui, rendendo più difficile la distinzione tra due tonalità scure.
Mentre questa tecnologia produce immagini più uniformi quando lo spettatore è lontano dallo schermo, crea disagi visivi se la distanza tra utente e schermo è breve. Generalmente si assume che l'occhio umano non è in grado di distinguere alcuno sfarfallio dei pixel se la frequenza è superiore agli 85Hz, ma non è propriamente vero. Infatti l'occhio è perfettamente in grado di scorgere queste veloci variazioni di luminosità, ma il cervello non può elaborare le immagini così velocemente. Di conseguenza, un'immagine a 85Hz può causare un affaticamento visivo senza che l'utente si sia accorto di alcuno sfarfallio dell'immagine.
I pixel al plasma sono anche soggetti a bruciature. Se proiettate per un tempo abbastanza lungo un'immagine su un monitor CRT, la vedrete permanentemente stampata sul fosforo. Questo fenomeno è dovuto al prematuro invecchiamento degli scintillatori quando vengono usati in continuazione, causando un crollo della loro efficienza. Dato che la tecnologia al plasma si basa sull'uso di scintillatori, soffre dello stesso difetto dei televisori CRT. In condizioni di normale utilizzo del televisore, la bruciatura dei pixel non rappresenta un vero problema, dato che l'immagine visualizzata cambia frequentemente i pixel invecchiano in modo uniforme.
Contrariamente a quanto si pensa questi schermi non hanno perdite di alcun tipo, e non devono essere ricaricati. Gli scintillatori però invecchiano, e sfortunatamente non si può fare molto per evitarlo. A peggiorare le cose, il fatto che non tutti i tipi di scintillatori invecchiano alla stessa velocità; il canale blu, per esempio, invecchia sempre più in fretta degli altri, anche se la situazione è profondamente migliorata rispetto ai modelli più vecchi.
Infine il fattore economico: questi schermi sono costosi. Non solo sono difficili da produrre, ma l'elettronica di controllo dello schermo richiede specifici semiconduttori ad alte prestazioni perché le linee di controllo degli elettrodi devono trasportare centinaia di volt ad alte frequenze. La diretta conseguenza di questa gestione e dell'impiego di alte tensioni, è l'alto consumo energetico, di gran lunga più alto dei monitor LCD. Per farvi un esempio, uno schermo al plasma da 42" (107 cm) consuma 250W, mentre un LCD con la stessa diagonale richiede solo 150W.

GLI SCHERMI LCD

È una tecnologia emergente e promettente che si è fortemente sviluppata negli ultimi 10 anni soprattutto nel settore dei computer portatile e notebook e in tutti quei sistemi digitali in cui il cristallo liquido ha fatto da padrone. Per risalire all'origine del termine "cristallo liquido" non basta fermarsi però al secolo scorso, ma bisogna risalire addirittura a quello precedente, dato che la frase ha avuto origine nel 1889. Interessante anche il fatto che non è arrivata a noi tramite l'elettronica, bensì grazie alla botanica. È solo nel 1968 che RCA si interessa a questo fenomeno inventando i primi schermi a cristalli liquidi. Nel 1969 James Fergason scoprì l'effetto nematico ritorto (TN). Scoperta fondamentale dato che tutti i monitor LCD a noi familiari si basano sul principio della rotazione del piano di polarizzazione. Nel 1973, George Gray inventò il cristallo liquido bifenile, che rese possibile l'implementazione di soluzioni a cristalli liquidi stabili anche in normali condizioni di pressione e temperatura. Fu così che all'inizio del 1986, NEC produsse il primo computer portatile dotato di Display a Cristalli Liquidi (LCD). Nel 1995 si produssero i primi schermi LCD dalle grandi diagonali: oltre i 28" (71 cm).
È interessante notare che mentre il plasma viene associato ad applicazioni audiovisive, gli LCD hanno raggiunto la maturità grazie al loro impiego nei computer e nei portatili. Si tratta quindi di una tecnologia relativamente emergente per quanto riguarda i televisori domestici anche se, in realtà, sia dotata di tutti i presupposti per conquistare la fetta del mercato più grossa. La differenza principale tra il plasma e la tecnologia LCD, sta nel fatto che i pixel LCD non emettono alcuna luce. Tutti i punti deboli e le qualità di questa tecnologia girano attorno a questa caratteristica.
Così come le altre tecnologie, un pixel LCD è costituito da tre sotto-pixel dai colori elementari. Un LCD non emette alcuna luce ma funziona come un selettore, ecco il motivo per cui questi schermi sono retro-illuminati. La luce emessa dalla retroilluminazione passa attraverso il cristallo liquido e viene quindi colorata dal filtro. Ogni sotto-pixel ha la stessa architettura: cambia solo il colore del filtro in base al suo utilizzo finale. Il cristallo di ogni sotto-pixel può essere controllato elettronicamente come una valvola in modo da lasciar passare più o meno luce in base a quanto rosso, verde e blu il pixel deve emettere.
La retroilluminazione emette una luce bianca naturale non polarizzata. La sua polarizzazione viene determinata dall'orientamento del vettore del suo campo elettrico. La luce è un'onda elettromagnetica: i vettori dei suoi campi elettrici e magnetici sono perpendicolari alla direzione del suo movimento. Una lampadina emette luce non polarizzata, così che il campo elettrico possa viaggiare in ogni direzione perpendicolarmente all'asse di propagazione della luce. Quando la luce passa attraverso un polarizzatore, ne esce dall'altra parte con il vettore del campo elettrico orientato verso una direzione conosciuta (in verticale nel nostro esempio). Se la luce viene fatta passare attraverso un secondo polarizzatore perpendicolare al primo (quindi orizzontale in questo esempio), non può uscirne nessuna luce. Ma se si posiziona un cristallo liquido tra i due polarizzatori, il cristallo altera il piano di polarizzazione per allinearlo col secondo polarizzatore, dando così il via libera al passaggio della luce. Questa proprietà naturale dei cristalli liquidi è ciò che ha costituito il successo di questa tecnologia. Ora, se si introduce della corrente ad ogni estremità del cristallo liquido, il cristallo si orienta tramite la differenza di potenziale creata. Più o meno nello steso modo in cui un magnete si orienta in base al campo magnetico terrestre.
L'indirizzamento delle matrici passive degli schermi LCD viene eseguito quasi allo stesso modo di quelle degli schermi al plasma. Un elettrodo frontale comune all'intera colonna, conduce il voltaggio. L'elettrodo posteriore, comune all'intera riga, funziona come massa. Gli svantaggi delle matrici passive vecchio stile sono numerosi e ben conosciuti: i pannelli sono lenti e lo schermo non è brillante. Per porre rimedio a questi problemi, i costruttori hanno adottato delle tecnologie a matrici attive.
Il trucco qui è aggiungere un transistor ad ogni pixel che operi come un selettore. Quando il selettore è chiuso (ON), i dati possono essere scritti in un condensatore con lo scopo di immagazzinare il segnale. Quando invece il selettore è aperto (OFF), i dati rimangono all'interno del condensatore che funziona quindi come una memoria analogica. Questa tecnologia ha numerosi vantaggi: quando il selettore si chiude i dati rimangono immagazzinati all'interno del condensatore, il cristallo liquido continuerà ad avere un voltaggio sui suoi terminali e le linee potranno indirizzare un altro pixel. In pratica si evita il ritorno allo stato precedente mentre si indirizza un altro pixel. I tempi di scrittura del condensatore sono inferiori rispetto ai tempi di rotazione dei cristalli, quindi è possibile scrivere un dato e indirizzare immediatamente un altro pixel senza tempi di attesa.
Questa tecnologia, conosciuta come "TFT", dal sottile strato di transistor che usa, si è diffusa solo recentemente, in quanto il suo nome viene associato a tutti i monitor LCD.
I voltaggi usati sono di gran lunga inferiori rispetto quelli di uno schermo al plasma. Per far funzionare un pixel TFT, abbiamo infatti bisogno di una tensione tra -5 e +20V, non paragonabile alle centinaia di volt richieste per farne funzionare uno al plasma.
In generale, le soluzioni basate su LCD sono meno costose dei televisori al plasma, ma naturalmente bisogna tener conto dei fattori di mercato. In termini di qualità dell'immagine, gli LCD offrono miglior luminosità rispetto ai CRT; i pixel non soffrono effetti di sfarfallio, quindi possono essere benissimo guardati anche a distanze ravvicinate. I televisori LCD hanno quindi un'incredibile stabilità dell'immagine, ciò vuol dire che potete sedervi vicino alla TV senza sentire alcun affaticamento visivo. In aggiunta, la luminosità è eccellente e l'immagine perfettamente nitida.
Sfortunatamente, le angolazioni della visuale dei singoli pixel non sono paragonabili a quelli di uno schermo al plasma, né con quelli CRT. La luce emessa da dietro il pannello deve passare attraverso due polarizzatori prima di raggiungere la superficie del monitor. Anche le prestazioni del contrasto rimangono inferiori a quelle di schermi al plasma e CRT, ma ciò non rappresenta necessariamente un problema. Il difetto più importante invece, è legato alla profondità dei neri. Anche la latenza rappresenta un problema nei monitor LCD. Questa tecnologia è fondamentalmente lenta, per cui sono meno adatti alla visualizzazione di immagini animate rispetto a uno schermo al Plasma. Il costante progresso in questo campo ha reso gli LCD molto più prestanti, ma comunque ancora lontani dal poter essere paragonati ai CRT.
Infine, dato che la risoluzione originale degli LCD è alta, con immagini video e filmati bisogna necessariamente utilizzare un'interpolazione dei pixel, almeno fino a giorno in cui si adotterà l'HD (alta risoluzione). I televisori LCD non godono di grandi prestazioni sotto questo punto di vista, ovviamente le difficoltà incrementano all'aumentare della risoluzione da visualizzare.

LA STAMPANTE

La stampante consente di ottenere su carta un testo o un'immagine grafica (nel caso di stampanti grafiche) in bianco e nero o anche a colori.
Le stampanti possono funzionare con metodo ad impatto, quando il carattere viene stampato per contatto, e a non impatto quando il carattere viene impresso con sistemi magnetici, chimici, elettronici o laser.
Il carattere prodotto può essere intero o definito per punti.
Le prime stampanti che erano apparse sul mercato si chiamavano a margherita, perché adottavano per la stampa una matrice di caratteri alfanumerici (128), similarmente alle vecchie macchine da scrivere, montata su una sfera, che ruotando veniva impressa su un nastro pre-inchiostrato e quindi sulla carta. Ovviamente erano molto rumorose, lente ed ingombranti: si usavano moduli continui a 136 colonne, trascinati da dei trattori montati lateralmente alla stampante. L'evoluzione tecnologica ha prodotto in seguito le stampanti ad aghi che, per la loro versatilità ed economicità dei materiali di consumo, hanno conquistato rapidamente il mercato.
In queste stampanti il carattere viene formato per induzione elettrica da una testina composta da minuscoli aghi (in genere 9 o 24) che vengono poi "martellati" su un nastro pre-inchiostrato e quindi sulla carta; i caratteri quindi non sono continui ma appaiono formati da una serie di puntini, anche se scegliendo particolari modalità di stampa (per esempio letter quality) l'aspetto dei caratteri migliora notevolmente.
Alcuni modelli di queste stampanti possono essere anche abbastanza veloci e stampare anche in senso bidirezionale, si possono utilizzare inchiostri neri e blu, moduli continui a 80 e 136 colonne e fogli singoli, dato che sono dotate sia di carrello trascinatore sia di frizione. In queste stampanti come in quelle a margherita la velocità di funzionamento è calcolata in caratteri per secondo (cps), diversamente da quello che vedremo in seguito.

LE STAMPANTI A GETTO D'INCHIOSTRO

Nelle stampanti a getto di inchiostro il carattere viene prodotto dal getto di inchiostro che fuoriesce da un piccolissimo ugello, pilotato da un sistema elettronico di definizione del carattere; la qualità di stampa è decisamente migliore, il funzionamento silenzioso, rapido ed efficiente. L'inchiostro può essere nero, ma in alcuni modelli possono essere adottati anche inchiostri multicolore (tricromia, esacromia) che miscelati in automatico permettono la stampa a colori. Dunque un bel passo in avanti rispetto ai modelli ad aghi. Furono anche prodotti dei modelli a 136 colonne dotati di trascinatore per modulo continuo, ma il mercato si indirizzò verso quelle più pratiche nel formato A4, dotate di cassetto per i fogli e trascinatore a frizione. La possibilità di stampare anche immagini a colori estese la gamma dei modelli, per usi amatoriali e professionali. La velocità di stampa viene calcolata in pagine per minuto (ppm), con indicazione sia a colori o sia solo nero, supponendo che il foglio sia battuto per un 75%. Alcuni svantaggi di questi modelli sono rapprestanti dai consumi, il costo di una cartuccia è ben più alto di un nastro. Se non viene spesso utilizzata, l'ugello della stampante a getto d'inchiostro tende a otturarsi (l'inchiostro secca a contatto con l'aria), e quindi all'avvio della stampante è necessario eseguire un ciclo di pulizia che può durare alcuni minuti. Rispetto ai modelli ad aghi, quella a getto d'inchiostro (e poi vedermo anche la laser) non può fare multiple copie, cioe stampare su fogli autocopianti (chimici o a carbone) o su carta di particolare spessore. Per usi professionali il metodo a getto d'inchiostro si è diffuso notevolmente su modelli di dimensioni A3, A2 e persino A1.
Schemi di stampanti ink jet e laser

LE STAMPANTI LASER

Le stampanti che recentemente hanno avuto una grande evoluzione sono le stampanti laser che funzionano con un metodo simile a quello delle fotocopiatrici: certamente sono molto più complesse di quelle a getto d'inchiostro ma hanno una velocità e qualità molto superiore.
Mentre in tutte le stampanti precedenti veniva battuto il singolo carattere di volta in volta, sulla laser viene prima impressa l'intera immagine da stampare su un tamburo di materiale fotoconduttivo, attraverso un raggio laser che carica selettivamente le zone colpite a un potenziale di circa 1000 volt, successivamente, nella sezione di sviluppo, tali zone attirano particelle (caricate negativamente) di inchiostro in polvere (toner), che vengono quindi trasferite sulla carta (caricata a circa 2000 volt per "sottrarre" le particelle di inchiostro dal tamburo).
Una volta sulla carta, le particelle vengono fissate mediante riscaldamento (con un procedimento analogo a quello utilizzato proprio nella macchine fotocopiatrici). Infine una forte sorgente luminosa ripristina l'intero tamburo, portandolo a un potenziale generale di circa 100 volt e preparandolo per la passata successiva.
Più il fascio luminoso emesso dal laser è ridotto, più elevata è la risoluzione di stampa. In questo modo la laser può stampare grafici, immagini ad alta risoluzione, testi con caratteri di varie fonti, disegni e riproduzioni di firme con una qualità elevatissima.
I principali problemi della laser sono legati alla complessità del procedimento di generazione delle immagini e alle tolleranze meccaniche molto strette, soprattutto per quanto riguarda la deflessione del raggio laser. Il risultato è una stampante con costo e dimensioni maggiori e che necessita inoltre di manutenzione abbastanza frequenze per operazioni di taratura.
Numerosi sono gli accessori orami a corredo di questa categoria: dai cassetti addizionali alla possibilità di stampa fronte-retro. Infine con un sistema a più toner diventa anche possibile stampare con i colori.

LE STAMPANTI A COLORI

Le stampanti a colori per formare ciascun colore utilizzano una combinazione di tre inchiostri: ciano, magenta e giallo (da cui il nome di CMY dove la Y sta per Yellow cioè giallo).
Il nero si può ottenere dalla combinazione dei tre colori, ma poiché uno dei tre colori può prevalere sugli altri (producendo un nero che tende per esempio al verde) si preferisce usare un quarto inchiostro di colore nero (metodo CMYK).

IL PLOTTER

L'output di disegni e grafici a livello professionale si ottiene con un dispositivo di output chiamato plotter.
I plotter si dividono in vettoriali e a matrice di punti. Nei plotter vettoriali, penne di vario tipo (biro, china, pennarelli ecc.) permettono di realizzare il disegno per segmenti. Nei plotter a matrice di punti il disegno viene prodotto a partire da una matrice che contiene una rappresentazione del disegno stesso.
I plotter a matrice di punti sono particolarmente indicati per riprodurre su carta immagini grafiche.
Questa categoria si è estesa anche a plotter più professionali: oltre alla classica versione da tavolo, esistono in commercio anche quelli verticali, in grado di riprodurre fedelmente progetti o immagini di grandi dimensioni (alcuni metri di larghezza e lunghezza). La tecnologia ha fatto una notevole evoluzione, passando a macchine a sublimazione che permettono di ovviare al problema della lunga ascigautara dell'inchiostro a getto grazie ad un meccanismo termico introdotto.

LE STAMPANTI MULTIFUNZIONE

Come già succede per i cellulari, l'applicazione combinata di più tecnologie nel medesimo prodotto è tendenza sempre più diffusa, anche tra le stampanti. Ad un prezzo inferiore rispetto a quello di prodotti dalla qualità di stampa medio-alta, è possibile comprare una all-in-one (o multifunzione) che offre risultati di stampa, fotocopiatura, scansione e invio fax accettabili. Al contrario, se la resa cromatica d'alto livello e l'editing grafico avanzato delle immagini sono prerogative irrinunciabili, allora converrà optare per un prodotto specificatamente destinato alla stampa (e quindi più costoso).Inoltre, una all-in-one ti dà il vantaggio di disporre soltanto di una periferica sulla scrivania con un indiscutibile risparmio di spazio nell'area di lavoro.
Le stampanti multifunzione risultano inevitabilmente un po' più ingombranti rispetto ai semplici modelli a cui eravamo abituati qualche tempo fa. Secondo il modello, poi, la velocità delle singole funzioni (es.: fotocopiatura) tende ad essere inferiore rispetto ai quei prodotti specificatamente destinati a svolgere la medesima ed esclusiva funzione (es.: fotocopiatrici classiche). Nei modelli multifunzione i consumabili (come carta e cartucce d'inchiostro) possono essere un po' costosi. Se poi una componente della all-in-one dovesse guastarsi, anche le altre potrebbero non funzionare correttamente e rimanere inutilizzabili fino a quando non si rimedia al guasto. Ma una stampante multifunzione risulta quasi insuperabile per quanto riguarda la convenienza e l'integrazione delle funzioni svolte.
Alcuni modelli più costosi presentano anche funzioni che supportano l'OCR (cioè il riconoscimento ottico dei caratteri) in modo tale da poter acquisire e poi in seguito modificare a piacimento la parte testuale del documento scansito. Un altro comodo accessorio è il vassoio per la scansione/fotocopia/fax multi pagina che permette di gestire volumi maggiori di carta agevolmente. Infine per i modelli di gamma più alta vi è la funzione fronte retro.
I modelli entry-level adottano generalmente la tecnica a getto d'inchiostro (anche a colori) per stampare o riprodurre i documenti, quelli di fascia media ed alta la tecnologia a laser. Cio è dovuto al volume di documenti da gestire, che per i primi è quello di una piccola impresa/studio professionale, mentre per le altre assume un ordine maggiore.
Una stampante laser multifunzione ovviamente può stampare testo con una maggiore nitidezza rispetto a quella a getto d'inchiostro.

LE PERIFERICHE PER LA GESTIONE DELLE MEMORIE DI MASSA

I drive per la gestione di nastri e dischi sono periferiche di input/output. Sono dispositivi su cui vengono montate le bobine dove è avvolto il nastro magnetico.
Le unità a disco si dividono in dispositivi per la gestione degli hard disk e dispositivi per la gestione dei floppy disk.

IL NASTRO

Il nastro è costituito da un supporto di materia plastica (a forma appunto di nastro) con una faccia ricoperta di materiale magnetizzabile.
La superficie del nastro si può pensare percorsa da tracce longitudinali su ognuna delle quali viene memorizzata una sequenza di bit. Un byte viene registrato su una perpendicolare al nastro, un bit per traccia.
I nastri sono memorie ad accesso sequenziale cioè la registrazione e la lettura avvengono solo in modo sequenziale.

IL DISCO

Il dispositivo comunemente chiamato disco è in realtà costituito da una pila di dischi che ruotano attorno ad un asse comune.
Le facciate dei dischi sono ricoperte da materiale magnetizzabile; in corrispondenza di ogni faccia dei dischi si trova una testina di lettura/scrittura che può spostarsi lungo il raggio del disco, in modo solidale con le altre testine.
Le informazioni sono memorizzate su tracce concentriche divise in archi chiamati settori; ogni operazione di lettura o scrittura agisce su un settore.
L'accesso al disco è di tipo random, cioè si può accedere direttamente al settore che interessa.

IL FLOPPY DISK

Il floppy disk è un supporto molto economico, costituito da un solo disco, contenuto in una busta di plastica più o meno rigida che ne costituisce la protezione, con delle aperture che consentono alle testine l'accesso alla superficie del disco stesso.

I CD-ROM

I CD-ROM (Compact Disk Read Only Memory) sono dischi che sfruttano la tecnologia laser per la memorizzazione e la lettura delle informazioni.
L'invenzione dei CD-ROM deriva dalla diffusione del Compact Disk Audio per l'ascolto della musica. Nei primi anni '80 ci si rese conto che lo stesso formato dei CD-audio poteva essere utilizzato come supporto per la memorizzazione dei dati.
I CD-ROM permettono una densità di registrazione molto maggiore dei dischi magnetici (centinaia di Mbytes); il processo di registrazione però modifica in modo irreversibile la superficie del disco così, una volta memorizzate, le informazioni non possono essere modificate o cancellate. Per questo il loro uso è limitato alla memorizzazione di dati permanenti (programmi, enciclopedie ecc.) ma non di file di dati soggetti a variazione.
La memorizzazione dei bit sul CD-ROM avviene su un solo lato del disco e segue una traccia a forma di spirale, partendo dalla circonferenza verso il centro; i blocchi di informazioni hanno tutti la stessa lunghezza, cioè la densità di memorizzazione è uguale in qualsiasi punto del disco.
Schema di funzionamento del Compact Disk

I DISCHI MAGNETO OTTICI

Sono dischi a supporto magnetico, su cui però la scrittura dei dati può avvenire solo dopo un forte riscaldamento della superficie con un fascio laser. A temperatura ambiente i dischi magneto-ottici non sono sensibili ai campi magnetici e questo li mette al riparo dalle cancellazioni accidentali. I dischi magneto-ottici esistono in numerosi modelli, con capacità che arriva fino ad alcuni GByte, e richiedono la presenza di un apposito drive. Furono messi in commercio nella seconda metà degli anni '80, prima dell'avvento dei CD-ROM, ma non ebbero subito un grande successo, sia per il costo eccessivo (soprattutto del drive), sia per la contemporanea affermazione degli hard disk e dei primi masterizzaotri CD. Si diffusero alla fine degli anni 90 i supporti magneto ottici della IoMega denominati Zip e Jazz. Somigliano ai dischetti floppy ma sono un po' più grandi e la forma è un poco diversa. I primi hanno un taglio da 100 e 250 MByte , i secondi 1 Gb e 2,5 Gb. Necessitano di un drive apposito, diverso da quello dei floppy disponibile sia esterno che da montare internamente al computer (da 3 1/2 pollici). Il loro costo fu relativamente contenuto rispetto ai modelli degli anni precedenti, ma soprattutto molto più affidabili. Oggi rimangono in uso solo in alcuni sistemi dove è richiesto il frequente salvataggio di una grande quantità di dati in condizioni di sicurezza, in altri casi son stati sostituiti da hard disk estraibili o portatili, CD e DVD riscrivibili o altri supporti di memorizzazione analoghi.

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