PERIFERICHE DI INPUT E DI OUTPUT
Le periferiche
(peripheral units) sono tutte le unità di input/output che permettono
l'ingresso e l'uscita delle informazioni, e le memorie esterne o memorie di
massa.
Ad una unità centrale possono essere collegate periferiche di
diverso tipo.
Le periferiche di input sono quelle che permettono di
inserire dati nel computer, come la tastiera e i vari dispositivi di puntamento
(mouse, trackerball, joystick ecc.); le periferiche di output sono quelle che
consentono l'emissione di dati da parte del computer, come il video e la
stampante.
I dispositivi per la gestione delle memorie di massa sono
periferiche di input/output poiché consentono sia l'ingresso che l'uscita
delle informazioni, cioè la registrazione e la successiva lettura.
LA TASTIERA
La periferica usata normalmente per l'input
è la tastiera.
Sulla tastiera sono rappresentati lettere, cifre e
simboli; sono inoltre presenti dei tasti speciali (per esempio per lo
spostamento del cursore, per l'invio dei caratteri digitati, per la scelta dei
caratteri maiuscoli o minuscoli ecc.) e dei tasti funzione che possono essere
programmati in modo che alla pressione del tasto venga svolta la funzione
desiderata.
La tastiera può disporre di un buffer, cioè di
una piccola memoria (capace di contenere solo pochi caratteri) in cui possono
venire memorizzati i tasti premuti prima che il computer sia in grado di
accettarli; per esempio si può iniziare a scrivere un comando prima
ancora che compaia il prompt del sistema operativo; appena il sistema è
pronto accetta il comando e se è stato premuto anche il tasto di invio ne
comincia l'esecuzione.
Alla tastiera è associato anche un altro
buffer, di dimensioni maggiori, chiamato buffer di input; qui vengono conservati
i tasti digitati fino alla pressione del tasto di invio; finché non si
preme il tasto di invio i caratteri non vengono accettati e possono ancora
essere modificati.
I DISPOSITIVI DI PUNTAMENTO
Data la grande diffusione di interfacce grafiche,
per interagire con il computer sempre più spesso si utilizzano come
dispositivi di input a fianco della tastiera altre periferiche, note come
dispositivi di puntamento.
Il dispositivo di puntamento più
utilizzato è senz'altro il mouse (il nome significa topo, e deriva
probabilmente dalla forma e dal modo in cui viene usato). Il mouse ha nella
parte inferiore una pallina; muovendolo su un piano (in genere si usa un
apposito tappetino) si produce in corrispondenza uno spostamento di un puntatore
sul video, determinato dai movimenti della pallina; il puntatore sul video in
genere ha la forma di una freccia, ma può assumere forme diverse a
seconda della funzione assunta all'interno dei programmi che lo
gestiscono.
Il mouse è usato soprattutto per selezionare voci di
menu o finestre, e nei programmi grafici anche per disegnare.
Il programma
compie un'azione quando viene premuto il pulsante del mouse; il mouse può
anche avere più pulsanti (fino a tre). In questo caso ai pulsanti possono
essere associati comandi diversi.
Un altro dispositivo di puntamento, usato
al posto del mouse soprattutto sui personal computer portatili è la
trackerball, una pallina che si fa ruotare con la mano e che con i suoi
movimenti dirige un puntatore sullo schermo, proprio come la pallina del
mouse.
Il dispositivo più noto e desiderato fra i ragazzi è
il joystick, usato soprattutto per i video giochi; il joystick è una leva
che si può manovrare nelle varie direzioni (come la leva del cambio di
una automobile) e permette di controllare molto rapidamente i movimenti del
cursore.
Per interagire direttamente con lo schermo si possono usare le
penne ottiche o dei monitor particolari, sensibili al tatto.
La penna
ottica, o touchpen, è collegata al terminale con un cavo e porta sulla
punta un sensore ottico che permette di puntare direttamente un'area di uno
schermo grafico e di selezionare punti o comandi.
Sui monitor sensibili al
tatto, o touch screen, è possibile invece effettuare delle selezioni
usando semplicemente il dito; con questo metodo però non si ottengono
posizionamenti molto precisi.
Il dispositivo più preciso, usato per
applicazioni grafiche è però la tavoletta grafica o
digitalizzatrice; è composta da una tavoletta e da una penna che si
può spostare sulla superficie della tavoletta stessa consentendo di
disegnare o di selezionare voci di menu associate a determinate
aree.
LO SCANNER
Lo scanner è un dispositivo che consente di
"fotografare" delle immagini e di portarle all'interno del computer
perché possano essere registrate o elaborate.
Esistono scanner a
inserimento in cui il foglio inserito passa tra due rulli (in questo caso si
possono fotografare in genere interi fogli) e scanner a piano variabile in cui
è lo scanner che si muove per la rilevazione.
Solitamente questi
ultimi non hanno una larghezza sufficiente a scandire una pagina in una sola
volta, quindi un'immagine deve essere scandita con più passate e poi
ricomposta utilizzando del software con questa capacità. E' importante
che le singole scansioni siano fatte con mano ferma e seguendo delle linee
perfettamente verticali (magari aiutandosi con una guida in fianco al foglio);
gli scanner a piano variabile non sono quindi adatti per lavori di tipo
professionale.
LA LETTURA OTTICA
Se si deve immettere nel computer un testo di cui
si ha già una copia stampata può essere molto più veloce
utilizzare uno scanner anziché riscrivere tutto il testo.
Lo scanner
però fotografa la pagina di testo come se si trattasse di un'immagine; se
si devono fare delle correzioni bisogna che i singoli caratteri dell'immagine
siano interpretati e trasformati nella corrispondente rappresentazione in codice
ASCII in modo che possano poi essere elaborati con un word processor.
Con i
sistemi a lettura ottica (OCR, Optical Character Recognition, cioè
riconoscimento ottico dei caratteri) si procede proprio al riconoscimento della
forma dei caratteri.
LA DIGITALIZZAZIONE DELLE IMMAGINI
Le immagini all'interno del computer vengono
registrate nell'unica forma che il computer conosce ovvero: come una serie di
bit con valore 0 o 1.
Il procedimento che trasforma l'immagine in una
rappresentazione in cifre binarie si chiama digitalizzazione. L'immagine viene
suddivisa in punti e ad ogni punto viene associato un valore binario in funzione
dell'intensità della luce riflessa.
Naturalmente se l'immagine
è a colori serviranno più bit per rappresentare ciascun punto di
quanti non ne occorrano se l'immagine è in bianco e nero.
Per
esempio se ogni punto può essere soltanto bianco o nero per la
rappresentazione basta un solo bit con valore 0 o 1 (per esempio 0 per il bianco
e 1 per il nero). Se oltre al bianco e al nero vengono usate due tonalità
di grigio, grigio chiaro e grigio scuro, per rappresentare ogni punto serviranno
due bit (per esempio con i valori 00 per il bianco, 01 per il grigio chiaro, 10
per il grigio scuro e 11 per il nero). Così se il numero di colori
aumenta, aumenta anche il numero di bit necessari per la rappresentazione di
ciascun punto; se ogni punto viene rappresentato con un byte si possono
descrivere 256 tonalità di colore.
IL VIDEO
Il video è il dispositivo di output
normalmente usato; può essere di tipo monocromatico (a due colori, di
solito bianco su nero o verde su nero) oppure a colori.
Può essere
usato in modo testo o in modo grafico.
In modo testo il video viene
considerato suddiviso in righe e colonne e ogni posizione può contenere
un carattere.
In modo grafico, si considera costituito da punti (pixel);
maggiore è il numero di pixel e migliore è la definizione
dell'immagine.
Il video viene gestito da un dispositivo chiamato adattatore
dello schermo, che permette di selezionare le diverse modalità in cui
può essere utilizzato.
Se viene utilizzato in modo testo le
informazioni sulla sequenza di caratteri da produrre a video vengono conservate
in una "mappa video" in cui ad ogni posizione utilizzabile corrisponde un
byte.
Se viene utilizzato in modo grafico le informazioni sull'immagine
vengono registrate pixel per pixel; l'immagine digitalizzata viene conservata in
un buffer di memoria chiamato frame buffer.
Il controller del video legge i
valori del frame buffer e converte i segnali 0 e 1 in segnali video; l'immagine
deve essere riprodotta sul video almeno 50 volte al secondo perché
rimanga stabile; se le ripetizioni sono meno frequenti l'immagine lampeggia
fastidiosamente (flickering). Si definisce come frequenza di sincronismo
orizzontale semplicemente il numero di volte al secondo che il monitor può scrivere una
linea di scansione orizzontale; è la più importante informazione sul vostro monitor.
La frequenza di sincronismo verticale è il numero di volte al secondo alla quale il
monitor può far attraversare il fascio verticalmente sullo schermo.
Le frequenze di sincronismo di solito sono elencate nelle specifiche del manuale del monitor.
Il valore della frequenza di sincronismo verticale è tipicamente calibrato in Hz (cicli
per secondo), quello orizzontale in Khz (kilocicli per secondo). Le comuni gamme di valori
sono fra 50 e 150Hz verticali, e fra 31 e 135Khz orizzontali.
Se avete un monitor multifrequenza, queste frequenze saranno date come gamma di valori.
Alcuni monitor, specialmente quelli più scadenti, hanno svariate frequenze fisse.
Anche queste possono essere configurate, ma le vostre possibilità saranno molto limitate
dalle caratteristiche proprie del monitor. Scegliete il paio di frequenze più alte per
la migliore risoluzione. Un'altro elemento importante è legato alla memoria disponibile sulla scheda video:
la possibilità di vedere ad una risoluzione elevata è direttamente legata sia alla capacità di alte frequenze di
sincornizzazione video sia alla dimensione della VRAM (ram video). Questa è una memoria molto particolare, a doppia porta,
con accesso molto veloce sia in lettura sia in scrittura. La RAM disponibile per il buffer del quadro video può limitare la risoluzione che potete ottenere su schermi a colori o in scala di grigi.
Probabilmente non è così importante su schermi che hanno solo due colori, bianco e nero senza gradazioni di grigio.
Per gli schermi a 256 colori, un byte di memoria video è richiesto per ogni punto visibile. Questo byte contiene l'informazione che
determina quale mistura di rosso, verde e blu deve essere generata per quel punto. Per ottenere la quantità di memoria richiesta, moltiplicate il numero di punti
visibili per linea per il numero di linee visibili. Per uno schermo con una risoluzione di 1024x768, questa sarebbe 1024 x 768 = 786432, che è il numero di punti
visibili sullo schermo. Questo è anche, a un byte per punto, il numero di byte di memoria video che sono necessari sulla vostra scheda video.
Così, la memoria video richiesta sarà tipicamente (HR * VR)/1024 Kbytes di VRAM, arrotondati (sarebbero esattamente 768K nell'esempio precedente).
Se avete più memoria di quella strettamente richiesta, ne avrete extra per il panning di schermo virtuale.
Se per esempio avete solo 512K sulla vostra scheda video, allora non potete usare questa risoluzione. Anche se avete un buon
monitor, ma non abbastanza video RAM, non potete avvantaggiarvi della potenzialità del
vostro monitor. D'altra parte, se la vostra SVGA ha un mega, ma il vostro monitor può visualizzare
al massimo 800x600, allora l'alta risoluzione è per voi irraggiungibile.
COME FUNZIONA IL VIDEO
Il video è costituito da un tubo a raggi
catodici (come l'apparecchio televisivo) sul quale le immagini vengono
rappresentate tramite un cannone che spara degli elettroni per eccitare i punti
desiderati dello strato di fosforo che ricopre l'interno dello schermo.
Nei
monitor a colori ci sono tre cannoni che sparano elettroni per colpire
rispettivamente punti di fosforo verdi, rossi, e blu; gli elettroni passando
attraverso un foro attivano tre punti, uno rosso, uno verde, uno blu, che
rappresentano un pixel. Regolando il numero di elettroni e attivando o
disattivando i cannoni si ottengono le diverse intensità (con una
combinazione di luce rossa, verde e blu si può ottenere qualsiasi
colore).
Il raggio che colpisce un pixel viene guidato da campi magnetici
in modo da percorrere tutto lo schermo seguendo delle linee orizzontali (linee
di scansione); una volta arrivato in basso ritorna nell'angolo in alto a
sinistra e ricomincia la scansione.
Lo schermo genera un quadro con quello che considerate essere una serie di punti raster.
I punti sono disposti da sinistra a destra per formare delle linee. Le linee sono
disposte dall'alto in basso per formare il quadro. I punti emettono luce quando sono
colpiti dal fascio elettronico anzidetto dentro lo schermo. Per far sì che il fascio
colpisca ciascun punto per un uguale periodo di tempo, il fascio è diretto sullo schermo
con un percorso costante, detto raster.
Abbiamo detto "quello che considerate essere una serie di punti" perché questi punti
raster non corrispondono propriamente ai fosfori. I fosfori sono molto più piccoli dei punti
raster (lo devono essere, altrimenti lo schermo mostrerebbe gravi effetti detti moiré).
I punti raster sono in realtà campioni del segnale analogico, e si vedono come una
griglia di punti solo perché i picchi nel segnale sono molto regolari e spaziati con
precisione.
Il percorso parte in alto a sinistra sullo schermo, attraversa lo schermo verso destra
con una linea diritta, muovendosi leggerissimamente "in discesa" (lo spostamento
verticale è troppo esiguo da essere percepito). Poi il fascio è riportato indietro sul lato
sinistro, ripartendo con una nuova linea. La nuova linea va da sinistra a destra proprio
come la prima. Questo percorso è ripetuto fino a che l'ultima linea in fondo allo schermo
è stata passata. Allora il fascio viene portato dall'angolo in basso a destra (spazzando
avanti e indietro un po' di volte) all'angolo in alto a sinistra, e il percorso viene
ripetuto.
C'è una variante di questo schema conosciuto come interlacciamento: qui solamente ogni
linea pari è passata ogni mezzo quadro e quelle dispari sono tracciate durante il
secondo mezzo quadro.
Quando il fascio parte dall'angolo superiore sinistro dello schermo è detto inizio
di quadro. Il quadro termina quando il fascio raggiunge l'angolo superiore sinistro dinuovo venendo dall'angolo inferiore destro dello schermo. Un quadro è composto da tutte
le linee tracciate dal fascio dall'alto in basso dello schermo.
Se il fascio degli elettroni funzionasse per tutto il tempo che attraversa il quadro,
tutti i punti dello schermo sarebbero accesi. Non ci sarebbero bordi neri ai lati dello
schermo. Ai lati dello schermo il quadro sarebbe distorto perché è difficile controllare
il fascio in quei punti. Per ridurre la distorsione, i punti vicino ai lati dello schermo
non sono illuminati dal fascio (perché sono spenti) anche se questo, se fossero accesi,
li puntasse. L'area visibile dello schermo è ridotta in questo modo.
Un'altra cosa importante da capire è cosa succede del fascio quando nessuna cosa è
disegnata nell'area visibile. Il tempo che il fascio avrebbe dovuto usare per illuminare
i lati sinistro e destro dello schermo è invece usato per portare il fascio indietro
da destra a sinistra e per muoverlo giù alla linea successiva. Il tempo che il fascio
avrebbe dovuto usare per illuminare i lati superiore ed inferiore dello schermo è
usato per muovere il fascio dall'angolo in basso a destra all'angolo in alto a
sinistra.
La scheda video genera i segnali che permettono allo schermo di accendere il fascio (del
colore voluto) ad ogni punto per generare un quadro. La scheda controlla anche quando
lo schermo muove il fascio da destra a sinistra e giù di una riga generando un segnale
chiamato sync (per sincronismo) orizzontale. C'è un impulso di sincronismo orizzontale
alla fine di ogni linea. La scheda genera anche un impulso di sincronismo verticale che
segnala allo schermo quando muovere il fascio dall'angolo sinistro in alto dello schermo.
Un impulso di sincronismo verticale è generato quasi alla fine di ogni quadro.
Lo schermo richiede che ci sia un breve lasso di tempo sia prima che dopo gli impulsi
di sincronismo orizzontale e verticale così che si possa stabilizzare la posizione
del fascio di elettroni. Se il fascio non può stabilizzarsi, il quadro non sarà nitido.
GLI SCHERMI PIATTI AL PLASMA
Gli schermi piatti rappresentano ormai il futuro della televisione: HDTV, convergenza
digitale e DVD ad alta risoluzione contribuiranno attivamente a rendere i televisori
CRT (a tubo catodico) obsoleti entro i prossimi anni. Se siete tentati dall'acquisto di
un televisore dallo schermo piatto dovrete vedervela con un altra difficoltà: la scelta
tra due tecnologie complementari ma diverse tra loro: Plasma e LCD.
Per i monitor dei computer la scelta è abbastanza semplice, data la vittoria degli LCD
sul mercato ma per le TV, le due tecnologie sono ancora in competizione.
L'approccio iniziale utilizzato dai produttori di schermi per rappresentare
l'intero spettro dei colori si basa sulla loro scomposizione. Invece che progettare
pixel complessi, in grado di visualizzare una moltitudine di colori, ogni pixel
viene scomposto in tre sotto-pixel in grado di visualizzare un solo colore dei tre primari (meglio detti colori additivi):
rosso, verde e blu. Quando l'utente si trova ad una certa distanza dallo schermo, non
è più in grado di distinguerne i piccoli sotto-pixel, ma vedrà soltanto l'effetto finale
risultato dalla combinazione dei tre colori. Questo trucco rende possibile la
visualizzazione dell'intera gamma di colori semplicemente giocando sulla variazione delle
combinazioni tra rosso, verde e blu. In questo modo è anche possibile visualizzare
ogni tonalità di grigio, dal nero al bianco più luminoso, combinando i tre colori
in ugual misura.
Le ricerche sugli schermi al plasma iniziarono negli Stati Uniti quattro decenni fa,
nel 1960. La tecnologia venne sviluppata da quattro ricercatori: Bitzer, Slottow, Willson,
e Arora. Il primo prototipo venne rilasciato molto velocemente, nel 1964.
La matrice, rivoluzionaria per quei tempi, era costituita da 4x4 pixel, in grado
di emettere una luce monocroma blu. Quindi, nel 1967, le dimensioni delle matrici
vennero incrementate, passando a 16x16, grazie ad un neon, una pallida luce monocroma
rossa. Ovviamente questa tecnologia fu di grande interesse per i produttori e compagnie
come IBM, NEC, Fujitsu, e Matsushita che si attivarono sin dal 1970. Sfortunatamente,
la mancanza di un vero e proprio mercato industriale ne causò il quasi totale arresto
dello sviluppo nel 1987 (l'ultima a gettare la spugna fu il gigante IBM).
Negli Stati Uniti solo un pugno di ricercatori rimase a sostegno del plasma, mentre
la ricerca continuava principalmente sull'altra sponda del Pacifico, in Giappone.
I primi modelli commerciali vennero diffusi sul mercato agli inizi degli anni '90.
Fujitsu fu la prima a infrangere il limite dei 21 pollici. Oggi quasi la maggioranza
delle società di elettronica offre schermi al plasma: LG, Pioneer, Philips, Hitachi, ed
altri ancora si sono lanciati nella produzione industriale in larga scala.
L'idea di base dietro il funzionamento degli schermi al plasma è abbastanza semplice:
ogni sotto-pixel è una lampadina fluorescente microscopica che emette un colore primario:
rosso, verde o blu. Modificando l'intensità della luce emessa dai sotto-pixel è possibile
visualizzare un'infinità di colori.
Il principio è lo stesso che permette il funzionamento dei tubi fluorescenti: un gas
rarefatto (per esempio l'argon) viene sigillato all'interno di un tubo.
Ad ogni estremità ci sono elettrodi ai quali viene applicata elettricità ad alto voltaggio,
nell'ordine di centinaia di volt. Il gas all'interno del tubo è elettricamente neutro ma
l'eccitazione dovuta alla corrente lo trasforma in plasma: un gas composto da elettroni
liberi e ioni positivi (la somma delle cariche rimane neutra). A causa della differenza
di potenziale di centinaia di volt, gli elettroni scorrono verso l'elettrodo positivo,
mentre gli ioni positivi vengono attratti dal terminale negativo del tubo. Questa
movimentazione produce impatti tra gli atomi i quali, impattando, acquistano energia
e i propri elettroni passano in un'orbita a energia superiore. Quando ritornano alla
loro orbita originale liberano un fotone: un "quantum" di luce.
La luce rilasciata è quindi il risultato del movimento del plasma sotto gli effetti
di un forte campo elettrico. Ma non è sufficiente applicare continue differenze
di potenziale sui terminali del tubo. Il plasma deve essere mantenuto in continuo
movimento in modo che non smetta di emettere luce, per questo è necessario applicare
sui terminali corrente alternata. Questi voltaggi causano la migrazione degli ioni del
gas da un terminale all'altro, avanti e indietro. La luce emessa dal plasma non è però
visibile. Si tratta infatti di radiazioni ultraviolette e gli UV sono invisibili
ad occhio umano, per questo devono essere trasformate in qualcosa di visibile.
La trasformazione viene effettuata ricoprendo la superficie interna del tubo con una
polvere sensibile agli UV che emette luce bianca (nel caso di tubi per illuminazione convenzionale per esempio).
Questa polvere, spesso chiamata fosforo, è un scintillatore: un materiale che converte
una forma di radiazione in un'altra. L'utilizzo di scintillatori non è una novità nel
mondo delle tecnologie di visualizzazione. I tubi a raggi catodici (CRT) contengono
scintillatori che convertono il raggio di elettroni in luce rossa, verde o blu.
L'applicazione di questa tecnologia ai pixel di uno schermo al plasma è abbastanza
semplice. Ogni pixel è costituito da tre identiche cavità microscopiche contenenti
un gas rarefatto (Xeon) ed aventi due elettrodi, uno frontale e uno posteriore.
Applicando una forte corrente alternata ad entrambi gli elettrodi il plasma contenuto
nelle cavità viene messo in moto emettendo raggi UV che colpiscono il scintillatore.
Questi scintillatori sono scelti in modo tale da emettere ciascuno un differente colore
primario: rosso, verde o blu. La luce colorata passa quindi attraverso il vetro per
essere vista dall'utente.
Mentre il funzionamento dei pixel del plasma è simile a quello dei tubi catodici,
la fabbricazione di interi pannelli di pixel implica qualche problema tecnico.
La prima difficoltà che incontrano i produttori di schermi al plasma riguarda le
dimensioni dei singoli pixel. Un sotto-pixel ha un volume pari a 200µm x 200µm x 100µm e
non sono fatti per essere assemblati in milioni, l'uno di fianco all'altro. Inoltre,
l'elettrodo frontale deve essere costruito il più trasparente possibile.
Grazie alle sue caratteristiche di conduttore e di trasparenza, la scelta del conduttore
ricade molto spesso sull'ITO (indium tin oxide). Sfortunatamente gli schermi al plasma
possono essere talmente larghi, e lo strato di ITO così sottile, che la resistenza
elettrica del materiale diventa troppo alta per assicurare una buona propagazione del
voltaggio (circa 300 volt). Per risolvere questo problema si aggiunge uno strato sottile
di cromo, migliore conduttore ma purtroppo opaco.
Alla fine bisogna ancora trovare gli scintillatori giusti, (chiamati anche luminofori).
Quelli usati nei pixel degli schermi al plasma dipendono dal colore desiderato:
- Verde: Zn2SiO4:Mn2+ / BaAl12O19:Mn2+
- Rosso: Y2O3:Eu3+ / Y0,65Gd0,35BO3:Eu3
- Blu: BaMgAl10O17:Eu2+
Questi tre luminofori producono lunghezze d'onda tra 510 e 525 nm per il verde, 610 nm
per il rosso e 450 nm per il blu. L'ultimo problema rimasto riguarda il modo in cui
indirizzare i pixel poiché, come abbiamo visto, per ottenere diverse sfumature di colore
l'intensità della luce dei sotto-pixel deve essere variabile indipendentemente dai pixel
confinanti.
Su uno schermo al plasma da 1280x768 pixel, ci sono approssimativamente tre milioni
di sotto-pixel con sei milioni di elettrodi. Naturalmente è impossibile tracciare sei
milioni di linee per controllare il singolo sotto-pixel, per questo le linee sono
multiplexate: quelle frontali sono in comune per un'intera riga mentre ognuna di
quelle posteriori collega una colonna di elettrodi. La scheda elettronica montata su
questi schermi successivamente sceglierà quali pixel dovranno essere accesi sullo
schermo. Questa operazione viene eseguita molto velocemente, tanto da essere completamente
invisibile all'utente; accade qualcosa di simile alla scansione dei monitor CRT.
La tecnologia al plasma ha innumerevoli vantaggi rispetto quella degli schermi LCD e CRT.
Prima di tutto, la scelta dell'uso di scintillatori. Per i televisori al plasma
permette di ottenere una gamma cromatica più ampia di qualsiasi monitor CRT e
caratterizzata da colori più brillanti.
Secondo, le angolazioni della visuale. Sono molto ampie, specialmente se confrontate
con quelle degli LCD, perché, diversamente dalla tecnologia LCD, la luce viene generata
dai pixel stessi. Inoltre gli schermi al plasma non hanno bisogno di polarizzatori.
Infine, il contrasto. La qualità dei toni neri è equivalente a quella dei migliori televisori
CRT: contrariamente a ciò che accade negli schermi LCD, un pixel spento non emette alcuna
luce. I televisori al plasma sono anche dotati di una migliore luminosità rispetto i CRT,
raggiungendo valori tra i 900 e i 1000 nit.
Da notare anche il fatto che gli schermi al plasma possono avere diagonali di grandi
dimensioni (da 32 a 50 pollici) e profondità molto ristrette; vantaggio enorme
rispetto i CRT che come ben sapete, diventano più ingombranti in profondità al crescere
della diagonale.
La dimensione dei pixel rappresenta uno dei più grossi svantaggi degli schermi al plasma.
È difficile, se non impossibile, ridurre le dimensioni dei pixel al di sotto dei 0.5 o 0.6 mm.
Di conseguenza non esistono televisori al plasma con diagonali inferiori ai 32 pollici (82 cm).
Per mantenere posizioni competitive sul mercato, i produttori di televisori al plasma
non hanno avuto altra scelta se non quella di aumentare le dimensioni degli schermi,
limitandosi così alla fascia di mercato per televisori dai 32 ai 50 pollici
(da 82 a 127 cm).
Per quanto riguarda la qualità dell'immagine, ci sono ancora problemi essenzialmente
legati alla natura dei pixel stessi. Dato che un pixel al plasma ha bisogno di scariche
elettriche per generare luce, un pixel può venire acceso o spento ma non ha uno stato
intermedio. Per questo motivo i produttori usano un metodo chiamato PCM (Modulazione
a Codice Di Impulso) per controllarne la luminosità. Il metodo in realtà è semplice,
per rendere un pixel più brillante viene accesso più frequentemente. Al contrario, per
ottenere un'immagine più scura, viene acceso meno spesso. Questi effetti non vengono notati
dall'occhio umano in quanto percepisce una specie di media temporanea dei tempi di
accensione. È funzionale ma comporta diversi problemi, tra cui il più significativo è
rappresentato dalla ridotta quantificazione dei colori più bui, rendendo più difficile
la distinzione tra due tonalità scure.
Mentre questa tecnologia produce immagini più uniformi quando lo spettatore è lontano
dallo schermo, crea disagi visivi se la distanza tra utente e schermo è breve.
Generalmente si assume che l'occhio umano non è in grado di distinguere alcuno sfarfallio
dei pixel se la frequenza è superiore agli 85Hz, ma non è propriamente vero. Infatti
l'occhio è perfettamente in grado di scorgere queste veloci variazioni di luminosità, ma
il cervello non può elaborare le immagini così velocemente. Di conseguenza, un'immagine
a 85Hz può causare un affaticamento visivo senza che l'utente si sia accorto di alcuno
sfarfallio dell'immagine.
I pixel al plasma sono anche soggetti a bruciature. Se proiettate per un tempo abbastanza
lungo un'immagine su un monitor CRT, la vedrete permanentemente stampata sul fosforo.
Questo fenomeno è dovuto al prematuro invecchiamento degli scintillatori quando vengono
usati in continuazione, causando un crollo della loro efficienza. Dato che la tecnologia
al plasma si basa sull'uso di scintillatori, soffre dello stesso difetto dei televisori
CRT. In condizioni di normale utilizzo del televisore, la bruciatura dei pixel non
rappresenta un vero problema, dato che l'immagine visualizzata cambia frequentemente i
pixel invecchiano in modo uniforme.
Contrariamente a quanto si pensa questi schermi non hanno perdite di alcun tipo, e non
devono essere ricaricati. Gli scintillatori però invecchiano, e sfortunatamente non si
può fare molto per evitarlo. A peggiorare le cose, il fatto che non tutti i tipi di
scintillatori invecchiano alla stessa velocità; il canale blu, per esempio, invecchia
sempre più in fretta degli altri, anche se la situazione è profondamente migliorata
rispetto ai modelli più vecchi.
Infine il fattore economico: questi schermi sono costosi. Non solo sono difficili da
produrre, ma l'elettronica di controllo dello schermo richiede specifici semiconduttori
ad alte prestazioni perché le linee di controllo degli elettrodi devono trasportare
centinaia di volt ad alte frequenze. La diretta conseguenza di questa gestione
e dell'impiego di alte tensioni, è l'alto consumo energetico, di gran lunga più alto
dei monitor LCD. Per farvi un esempio, uno schermo al plasma da 42" (107 cm) consuma
250W, mentre un LCD con la stessa diagonale richiede solo 150W.
GLI SCHERMI LCD
È una tecnologia emergente e promettente che si è fortemente sviluppata negli ultimi 10 anni soprattutto
nel settore dei computer portatile e notebook e in tutti quei sistemi digitali in cui il cristallo liquido ha fatto da padrone.
Per risalire all'origine del termine "cristallo liquido" non basta fermarsi però al secolo scorso, ma bisogna
risalire addirittura a quello precedente, dato che la frase ha avuto origine nel 1889.
Interessante anche il fatto che non è arrivata a noi tramite l'elettronica, bensì grazie
alla botanica. È solo nel 1968 che RCA si interessa a questo fenomeno inventando i
primi schermi a cristalli liquidi. Nel 1969 James Fergason scoprì l'effetto nematico
ritorto (TN). Scoperta fondamentale dato che tutti i monitor LCD a noi familiari si
basano sul principio della rotazione del piano di polarizzazione. Nel 1973, George
Gray inventò il cristallo liquido bifenile, che rese possibile l'implementazione di
soluzioni a cristalli liquidi stabili anche in normali condizioni di pressione e
temperatura. Fu così che all'inizio del 1986, NEC produsse il primo computer portatile
dotato di Display a Cristalli Liquidi (LCD). Nel 1995 si produssero i primi schermi
LCD dalle grandi diagonali: oltre i 28" (71 cm).
È interessante notare che mentre il plasma viene associato ad applicazioni audiovisive,
gli LCD hanno raggiunto la maturità grazie al loro impiego nei computer e nei portatili.
Si tratta quindi di una tecnologia relativamente emergente per quanto riguarda i televisori
domestici anche se, in realtà, sia dotata di tutti i presupposti per conquistare la
fetta del mercato più grossa. La differenza principale tra il plasma e la tecnologia
LCD, sta nel fatto che i pixel LCD non emettono alcuna luce. Tutti i punti deboli e
le qualità di questa tecnologia girano attorno a questa caratteristica.
Così come le altre tecnologie, un pixel LCD è costituito da tre sotto-pixel dai colori
elementari. Un LCD non emette alcuna luce ma funziona come un selettore, ecco il
motivo per cui questi schermi sono retro-illuminati. La luce emessa dalla retroilluminazione
passa attraverso il cristallo liquido e viene quindi colorata dal filtro. Ogni
sotto-pixel ha la stessa architettura: cambia solo il colore del filtro in base al
suo utilizzo finale. Il cristallo di ogni sotto-pixel può essere controllato elettronicamente
come una valvola in modo da lasciar passare più o meno luce in base a quanto
rosso, verde e blu il pixel deve emettere.
La retroilluminazione emette una luce bianca naturale non polarizzata. La sua
polarizzazione viene determinata dall'orientamento del vettore del suo campo elettrico.
La luce è un'onda elettromagnetica: i vettori dei suoi campi elettrici e magnetici
sono perpendicolari alla direzione del suo movimento. Una lampadina emette luce non
polarizzata, così che il campo elettrico possa viaggiare in ogni direzione perpendicolarmente
all'asse di propagazione della luce. Quando la luce passa attraverso un polarizzatore,
ne esce dall'altra parte con il vettore del campo elettrico orientato verso una
direzione conosciuta (in verticale nel nostro esempio). Se la luce viene fatta
passare attraverso un secondo polarizzatore perpendicolare al primo (quindi orizzontale
in questo esempio), non può uscirne nessuna luce. Ma se si posiziona un cristallo
liquido tra i due polarizzatori, il cristallo altera il piano di polarizzazione
per allinearlo col secondo polarizzatore, dando così il via libera al passaggio
della luce. Questa proprietà naturale dei cristalli liquidi è ciò che ha costituito
il successo di questa tecnologia. Ora, se si introduce della corrente ad ogni
estremità del cristallo liquido, il cristallo si orienta tramite la differenza di
potenziale creata. Più o meno nello steso modo in cui un magnete si orienta in base
al campo magnetico terrestre.
L'indirizzamento delle matrici passive degli schermi LCD viene eseguito quasi allo
stesso modo di quelle degli schermi al plasma. Un elettrodo frontale comune
all'intera colonna, conduce il voltaggio. L'elettrodo posteriore, comune all'intera
riga, funziona come massa. Gli svantaggi delle matrici passive vecchio stile sono numerosi
e ben conosciuti: i pannelli sono lenti e lo schermo non è brillante. Per porre rimedio
a questi problemi, i costruttori hanno adottato delle tecnologie a matrici attive.
Il trucco qui è aggiungere un transistor ad ogni pixel che operi come un selettore.
Quando il selettore è chiuso (ON), i dati possono essere scritti in un condensatore con
lo scopo di immagazzinare il segnale. Quando invece il selettore è aperto (OFF), i dati
rimangono all'interno del condensatore che funziona quindi come una memoria analogica.
Questa tecnologia ha numerosi vantaggi: quando il selettore si chiude i dati
rimangono immagazzinati all'interno del condensatore, il cristallo liquido continuerà
ad avere un voltaggio sui suoi terminali e le linee potranno indirizzare
un altro pixel. In pratica si evita il ritorno allo stato precedente mentre si
indirizza un altro pixel. I tempi di scrittura del condensatore sono inferiori rispetto
ai tempi di rotazione dei cristalli, quindi è possibile scrivere un dato e
indirizzare immediatamente un altro pixel senza tempi di attesa.
Questa tecnologia, conosciuta come "TFT", dal sottile strato di transistor che usa,
si è diffusa solo recentemente, in quanto il suo nome viene associato a
tutti i monitor LCD.
I voltaggi usati sono di gran lunga inferiori rispetto quelli di uno schermo
al plasma. Per far funzionare un pixel TFT, abbiamo infatti bisogno di una
tensione tra -5 e +20V, non paragonabile alle centinaia di volt richieste per farne funzionare uno al plasma.
In generale, le soluzioni basate su LCD sono meno costose dei televisori al plasma, ma
naturalmente bisogna tener conto dei fattori di mercato. In termini di qualità
dell'immagine, gli LCD offrono miglior luminosità rispetto ai CRT; i pixel non
soffrono effetti di sfarfallio, quindi possono essere benissimo guardati anche a
distanze ravvicinate. I televisori LCD hanno quindi un'incredibile stabilità dell'immagine,
ciò vuol dire che potete sedervi vicino alla TV senza sentire alcun affaticamento visivo.
In aggiunta, la luminosità è eccellente e l'immagine perfettamente nitida.
Sfortunatamente, le angolazioni della visuale dei singoli pixel non sono paragonabili
a quelli di uno schermo al plasma, né con quelli CRT. La luce emessa da dietro il
pannello deve passare attraverso due polarizzatori prima di raggiungere la superficie
del monitor. Anche le prestazioni del contrasto rimangono inferiori a quelle di
schermi al plasma e CRT, ma ciò non rappresenta necessariamente un problema. Il
difetto più importante invece, è legato alla profondità dei neri. Anche la latenza
rappresenta un problema nei monitor LCD. Questa tecnologia è fondamentalmente lenta, per
cui sono meno adatti alla visualizzazione di immagini animate rispetto a uno schermo
al Plasma. Il costante progresso in questo campo ha reso gli LCD molto più prestanti,
ma comunque ancora lontani dal poter essere paragonati ai CRT.
Infine, dato che la risoluzione originale degli LCD è alta, con immagini video e
filmati bisogna necessariamente utilizzare un'interpolazione dei pixel, almeno fino
a giorno in cui si adotterà l'HD (alta risoluzione). I televisori LCD non godono
di grandi prestazioni sotto questo punto di vista, ovviamente le difficoltà incrementano
all'aumentare della risoluzione da visualizzare.
LA STAMPANTE
La stampante consente di ottenere su carta un
testo o un'immagine grafica (nel caso di stampanti grafiche) in bianco e nero o
anche a colori.
Le stampanti possono funzionare con metodo ad impatto,
quando il carattere viene stampato per contatto, e a non impatto quando il
carattere viene impresso con sistemi magnetici, chimici, elettronici o
laser.
Il carattere prodotto può essere intero o definito per
punti.
Le prime stampanti che erano apparse sul mercato si chiamavano a margherita, perché adottavano
per la stampa una matrice di caratteri alfanumerici (128), similarmente alle vecchie macchine
da scrivere, montata su una sfera, che ruotando veniva impressa su un nastro pre-inchiostrato e
quindi sulla carta. Ovviamente erano molto rumorose, lente ed ingombranti: si usavano moduli
continui a 136 colonne, trascinati da dei trattori montati lateralmente alla stampante.
L'evoluzione tecnologica ha prodotto in seguito le stampanti ad aghi che, per la loro versatilità
ed economicità dei materiali di consumo, hanno conquistato rapidamente il mercato.
In queste stampanti
il carattere viene formato per induzione elettrica da una testina composta da minuscoli aghi
(in genere 9 o 24) che vengono poi "martellati" su un nastro pre-inchiostrato e quindi sulla carta;
i caratteri quindi non sono continui ma appaiono formati da una serie di puntini, anche se
scegliendo particolari modalità di stampa (per esempio letter quality)
l'aspetto dei caratteri migliora notevolmente.
Alcuni modelli di queste stampanti possono essere
anche abbastanza veloci e stampare anche in senso bidirezionale, si possono utilizzare inchiostri neri e blu, moduli continui
a 80 e 136 colonne e fogli singoli, dato che sono dotate sia di carrello trascinatore sia di frizione. In queste stampanti come in quelle a margherita
la velocità di funzionamento è calcolata in caratteri per secondo (cps), diversamente da quello che vedremo in seguito.
LE STAMPANTI A GETTO D'INCHIOSTRO
Nelle stampanti a getto di inchiostro il carattere viene prodotto dal getto di
inchiostro che fuoriesce da un piccolissimo ugello, pilotato da un sistema elettronico di definizione del carattere; la
qualità di stampa è decisamente migliore, il funzionamento silenzioso, rapido ed efficiente.
L'inchiostro può essere nero, ma in alcuni modelli possono essere adottati anche inchiostri multicolore (tricromia, esacromia) che miscelati
in automatico permettono la stampa a colori. Dunque un bel passo in avanti rispetto ai modelli ad aghi. Furono anche prodotti
dei modelli a 136 colonne dotati di trascinatore per modulo continuo, ma il mercato si indirizzò verso quelle più
pratiche nel formato A4, dotate di cassetto per i fogli e trascinatore a frizione. La possibilità di stampare anche immagini a colori
estese la gamma dei modelli, per usi amatoriali e professionali. La velocità di stampa viene calcolata in pagine per minuto (ppm),
con indicazione sia a colori o sia solo nero, supponendo che il foglio sia battuto per un 75%.
Alcuni svantaggi di questi modelli sono rapprestanti dai consumi, il costo di una cartuccia è ben
più alto di un nastro. Se non viene spesso utilizzata, l'ugello della stampante a getto d'inchiostro tende
a otturarsi (l'inchiostro secca a contatto con l'aria), e quindi all'avvio della stampante è necessario eseguire un ciclo di
pulizia che può durare alcuni minuti. Rispetto ai modelli ad aghi, quella a getto d'inchiostro (e poi vedermo anche la laser) non può fare multiple copie, cioe stampare
su fogli autocopianti (chimici o a carbone) o su carta di particolare spessore. Per usi professionali il metodo a getto d'inchiostro si è
diffuso notevolmente su modelli di dimensioni A3, A2 e persino A1.
Schemi di stampanti ink jet e laser
LE STAMPANTI LASER
Le stampanti che recentemente hanno avuto una grande evoluzione sono le stampanti laser che funzionano con un metodo
simile a quello delle fotocopiatrici: certamente sono molto più complesse di quelle a getto d'inchiostro ma hanno una velocità e qualità molto superiore.
Mentre in tutte le stampanti precedenti veniva battuto il singolo carattere di volta in volta, sulla laser viene prima impressa
l'intera immagine da stampare su un tamburo di materiale fotoconduttivo, attraverso un raggio
laser che carica selettivamente le zone colpite a un potenziale di circa 1000 volt, successivamente, nella sezione di sviluppo, tali zone attirano particelle (caricate negativamente) di
inchiostro in polvere (toner), che vengono quindi trasferite sulla carta (caricata a circa 2000 volt per "sottrarre" le particelle di inchiostro dal tamburo).
Una volta sulla carta, le particelle vengono fissate mediante riscaldamento (con un procedimento analogo a quello utilizzato proprio nella macchine fotocopiatrici). Infine una
forte sorgente luminosa ripristina l'intero tamburo, portandolo a un potenziale generale di circa 100 volt e preparandolo per
la passata successiva.
Più il fascio luminoso emesso dal laser è ridotto, più elevata è la risoluzione di stampa. In questo modo la laser può stampare grafici, immagini ad alta risoluzione,
testi con caratteri di varie fonti, disegni e riproduzioni di firme con una qualità elevatissima.
I principali problemi della laser sono legati alla complessità del procedimento di generazione delle immagini e alle tolleranze meccaniche molto strette, soprattutto per quanto riguarda la deflessione
del raggio laser. Il risultato è una stampante con costo e dimensioni maggiori e che necessita inoltre di manutenzione
abbastanza frequenze per operazioni di taratura.
Numerosi sono gli accessori orami a corredo di questa categoria: dai cassetti addizionali alla possibilità di stampa fronte-retro. Infine con un sistema a più toner diventa anche possibile stampare con i colori.
LE STAMPANTI A COLORI
Le stampanti a colori per formare ciascun colore
utilizzano una combinazione di tre inchiostri: ciano, magenta e giallo (da cui
il nome di CMY dove la Y sta per Yellow cioè giallo).
Il nero si
può ottenere dalla combinazione dei tre colori, ma poiché uno dei
tre colori può prevalere sugli altri (producendo un nero che tende per
esempio al verde) si preferisce usare un quarto inchiostro di colore nero
(metodo CMYK).
IL PLOTTER
L'output di disegni e grafici a livello
professionale si ottiene con un dispositivo di output chiamato plotter.
I
plotter si dividono in vettoriali e a matrice di punti. Nei plotter vettoriali,
penne di vario tipo (biro, china, pennarelli ecc.) permettono di realizzare il
disegno per segmenti. Nei plotter a matrice di punti il disegno viene prodotto a
partire da una matrice che contiene una rappresentazione del disegno
stesso.
I plotter a matrice di punti sono particolarmente indicati per
riprodurre su carta immagini grafiche.
Questa categoria si è estesa anche a plotter più professionali: oltre alla classica versione da tavolo,
esistono in commercio anche quelli verticali, in grado di riprodurre fedelmente progetti o immagini di grandi dimensioni (alcuni metri di larghezza e lunghezza).
La tecnologia ha fatto una notevole evoluzione, passando a macchine a sublimazione che permettono di ovviare al problema della lunga ascigautara dell'inchiostro a getto grazie ad un meccanismo termico introdotto.
LE STAMPANTI MULTIFUNZIONE
Come già succede per i cellulari, l'applicazione combinata di più tecnologie nel medesimo prodotto
è tendenza sempre più diffusa, anche tra le stampanti. Ad un prezzo inferiore rispetto a quello
di prodotti dalla qualità di stampa medio-alta, è possibile comprare una all-in-one (o multifunzione)
che offre risultati di stampa, fotocopiatura, scansione e invio fax accettabili. Al contrario, se
la resa cromatica d'alto livello e l'editing grafico avanzato delle immagini sono prerogative irrinunciabili,
allora converrà optare per un prodotto specificatamente destinato alla stampa (e quindi più
costoso).Inoltre, una all-in-one ti dà il vantaggio di disporre soltanto di una periferica sulla
scrivania con un indiscutibile risparmio di spazio nell'area di lavoro.
Le stampanti multifunzione risultano inevitabilmente un po' più ingombranti rispetto ai semplici modelli a cui eravamo abituati qualche tempo fa. Secondo il modello, poi, la velocità delle singole funzioni (es.: fotocopiatura) tende ad essere inferiore rispetto ai quei prodotti specificatamente destinati a svolgere la medesima ed esclusiva funzione (es.: fotocopiatrici classiche).
Nei modelli multifunzione i consumabili (come carta e cartucce d'inchiostro) possono essere un po'
costosi. Se poi una componente della all-in-one dovesse guastarsi, anche le altre potrebbero
non funzionare correttamente e rimanere inutilizzabili fino a quando non si rimedia al guasto.
Ma una stampante multifunzione risulta quasi insuperabile per quanto riguarda la convenienza
e l'integrazione delle funzioni svolte.
Alcuni modelli più costosi presentano anche funzioni che supportano l'OCR (cioè il riconoscimento ottico dei caratteri) in
modo tale da poter acquisire e poi in seguito modificare a piacimento la parte testuale del documento scansito. Un altro comodo accessorio è
il vassoio per la scansione/fotocopia/fax multi pagina che permette di gestire volumi maggiori di carta agevolmente. Infine per i modelli di gamma più alta vi è la funzione fronte retro.
I modelli entry-level adottano generalmente la tecnica a getto d'inchiostro (anche a colori) per stampare o riprodurre i documenti, quelli di fascia media ed alta la tecnologia a laser.
Cio è dovuto al volume di documenti da gestire, che per i primi è quello di una piccola impresa/studio professionale, mentre per le altre assume un ordine maggiore.
Una stampante laser multifunzione ovviamente può stampare testo con una maggiore nitidezza rispetto a quella a getto d'inchiostro.
LE PERIFERICHE PER LA GESTIONE DELLE MEMORIE DI MASSA
I drive per la gestione di nastri e dischi sono
periferiche di input/output. Sono dispositivi su cui vengono montate le bobine
dove è avvolto il nastro magnetico.
Le unità a disco si
dividono in dispositivi per la gestione degli hard disk e dispositivi per la
gestione dei floppy disk.
IL NASTRO
Il nastro è costituito da un supporto di
materia plastica (a forma appunto di nastro) con una faccia ricoperta di
materiale magnetizzabile.
La superficie del nastro si può pensare
percorsa da tracce longitudinali su ognuna delle quali viene memorizzata una
sequenza di bit. Un byte viene registrato su una perpendicolare al nastro, un
bit per traccia.
I nastri sono memorie ad accesso sequenziale cioè
la registrazione e la lettura avvengono solo in modo
sequenziale.
IL DISCO
Il dispositivo comunemente chiamato disco è
in realtà costituito da una pila di dischi che ruotano attorno ad un asse
comune.
Le facciate dei dischi sono ricoperte da materiale magnetizzabile;
in corrispondenza di ogni faccia dei dischi si trova una testina di
lettura/scrittura che può spostarsi lungo il raggio del disco, in modo
solidale con le altre testine.
Le informazioni sono memorizzate su tracce
concentriche divise in archi chiamati settori; ogni operazione di lettura o
scrittura agisce su un settore.
L'accesso al disco è di tipo random,
cioè si può accedere direttamente al settore che
interessa.
IL FLOPPY DISK
Il floppy disk è un supporto molto
economico, costituito da un solo disco, contenuto in una busta di plastica
più o meno rigida che ne costituisce la protezione, con delle aperture
che consentono alle testine l'accesso alla superficie del disco
stesso.
I CD-ROM
I CD-ROM (Compact Disk Read Only Memory) sono
dischi che sfruttano la tecnologia laser per la memorizzazione e la lettura
delle informazioni.
L'invenzione dei CD-ROM deriva dalla diffusione del
Compact Disk Audio per l'ascolto della musica. Nei primi anni '80 ci si rese
conto che lo stesso formato dei CD-audio poteva essere utilizzato come supporto
per la memorizzazione dei dati.
I CD-ROM permettono una densità di
registrazione molto maggiore dei dischi magnetici (centinaia di Mbytes); il
processo di registrazione però modifica in modo irreversibile la
superficie del disco così, una volta memorizzate, le informazioni non
possono essere modificate o cancellate. Per questo il loro uso è limitato
alla memorizzazione di dati permanenti (programmi, enciclopedie ecc.) ma non di
file di dati soggetti a variazione.
La memorizzazione dei bit sul CD-ROM
avviene su un solo lato del disco e segue una traccia a forma di spirale,
partendo dalla circonferenza verso il centro; i blocchi di informazioni hanno
tutti la stessa lunghezza, cioè la densità di memorizzazione
è uguale in qualsiasi punto del disco.
Schema di funzionamento del Compact Disk
I DISCHI MAGNETO OTTICI
Sono dischi a supporto magnetico, su cui però la scrittura dei dati può avvenire
solo dopo un forte riscaldamento della superficie con un fascio laser. A temperatura
ambiente i dischi magneto-ottici non sono sensibili ai campi magnetici e questo li
mette al riparo dalle cancellazioni accidentali. I dischi magneto-ottici esistono in
numerosi modelli, con capacità che arriva fino ad alcuni GByte, e richiedono la presenza
di un apposito drive. Furono messi in commercio nella seconda metà degli anni '80, prima
dell'avvento dei CD-ROM, ma non ebbero subito un grande successo, sia per il costo eccessivo (soprattutto
del drive), sia per la contemporanea affermazione degli hard disk e dei primi masterizzaotri CD.
Si diffusero alla fine degli anni 90 i supporti magneto ottici della IoMega denominati Zip e Jazz. Somigliano
ai dischetti floppy ma sono un po' più grandi e la forma è un poco diversa. I primi hanno un taglio da
100 e 250 MByte , i secondi 1 Gb e 2,5 Gb. Necessitano di un drive apposito, diverso da quello dei floppy disponibile
sia esterno che da montare internamente al computer (da 3 1/2 pollici). Il loro costo fu relativamente
contenuto rispetto ai modelli degli anni precedenti, ma soprattutto molto più affidabili.
Oggi rimangono in uso solo in alcuni sistemi dove è richiesto il frequente salvataggio di
una grande quantità di dati in condizioni di sicurezza, in altri casi son stati sostituiti
da hard disk estraibili o portatili, CD e DVD riscrivibili o altri supporti di memorizzazione analoghi.