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Uccelli Coracirostri.

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VITA DEGLI ANIMALI - UCCELLI - CORACIROSTRI

INTRODUZIONE

Sono uccelli la cui mole varia fra quella dei corvi e quella dei fringuelli. In tutte le specie dell'ordine la struttura e la forma del corpo sono quasi analoghe: il tronco è slanciato senza essere molto esile, la testa in proporzione è grossa, il collo corto. La coda varia con le singole specie: ora è corta e quadrata, ora rotondeggiante, ora lunga e ben quadrata. I piedi, non troppo allungati come nei trampolieri, né corti, sono sempre robusti, coi tarsi rivestiti di scudi, e le dita corte provviste di unghie piuttosto grandi. Il becco, quasi sempre dritto, più o meno conico e spesso ricurvo alla punta senza però essere uncinato, uguaglia in lunghezza la metà del capo e a volte è anche più lungo di tutto il capo intero. Le piume sono compatte, corte e resistenti, ma in alcune specie sono allungate a barbe diverse in modo assolutamente caratteristico. Il colore varia: il più frequente è il nero, cui seguono il giallo, il bianco, ed anche, ma più di rado, il rosso, il bruno, il verde; frequentissimi gli splendidi riflessi metallici.

La struttura interna somiglia molto a quella dei passeri. Lo scheletro è forte con una numerosa rappresentanza di ossa pneumatiche. La colonna vertebrale è composta, per tutti gli appartenenti a quest'ordine, di dodici vertebre cervicali, otto dorsali, dieci o undici lombo-sacrali, sette od otto coccigee. Nella laringe inferiore ha sede l'apparato muscolare del canto. Il ventriglio è meno muscoloso che nei passeri, e nell'esofago manca il gozzo. I Coracirostri abitano in tutte le parti della Terra, a tutte le latitudini ed a qualsiasi altezza, e in genere sono molto diffusi, quantunque alcune specie si trovino solo entro confini angusti. La loro dimora favorita è il bosco, ma se ne trovano dovunque, nelle zone costiere, nelle steppe, nei deserti e sulle montagne, spesso nei paesi e nelle città. Le qualità intellettuali e fisiche di questi uccelli sono molte e molto bene sviluppate; sono agili e rapidi nel volo, lesti e disinvolti tanto in terra che fra i rami degli alberi. Hanno una voce ricca di modulazioni, i sensi pronti e l'intelligenza sveglia come pochi altri. Alcune specie particolarmente privilegiate radunano in sé le doti del pappagallo e quelle del falco. Ne viene di conseguenza che anche i loro costumi, il modo di nutrirsi, di propagarsi, siano particolarmente curiosi e interessanti. A questo riguardo si può dire in generale che le specie minori ricordano nei costumi i fringuelli e gli zigoli; quelle maggiori manifestano caratteristiche del tutto speciali tra cui, la forza e l'agilità, il coraggio e l'astuzia sono quelle cui si informa il loro comportamento.

Hanno un grande spirito di adattamento alle condizioni di tempo e di ambiente sono uccelli stazionari, migratori, pellegrini secondo le specie, i climi, le circostanze; vivono volentieri in società senza peraltro sacrificare al legame sociale la propria indipendenza. Si aiutano nel pericolo e nel bisogno; maschi e femmine si affezionano teneramente gli uni alle altre, i genitori sono più di altri uccelli solleciti della prole, ma in generale sono individualisti, ognuno provvede di preferenza al proprio utile. Se si adunano, questo porta a leghe offensive e difensive, utili nel pericolo e nella ricerca di piaceri e distrazioni. Molte specie sono solite riunirsi in dati luoghi e date ore, come per comunicarsi i fatti della giornata.

Il processo d'incubazione è molto diverso fra specie e specie: alcuni covano in cavità naturali, altri costruiscono il nido; la maggior parte fabbrica nidi isolati e la scelta del luogo è spesso causa di contrasti: i luoghi più opportuni sono oggetto di disputa e di conquista, il materiale per la costruzione viene spesso rubato a vicenda dall'uno all'altro, ma al termine della costruzione finiscono anche le liti. La forma del nido varia secondo il luogo dove viene costruito e l'abilità del costruttore: il numero delle uova va da quattro a otto. Maschio e femmina si alternano nella cova, il maschio si assenta periodicamente dal nido per recarsi dove si tengono le adunanze dei suoi simili, destinate al canto e alla conversazione.

In generale, questi uccelli vengono considerati utili all'uomo, soprattutto le specie minori che distruggono gli insetti nocivi, i vermi, le lumache, e non attaccano quasi mai, le colture e le buone sementi. Le specie maggiori invece sono ladre, tanto che alcuni corvi, per le frequenti depredazioni, si annoverano fra gli uccelli più dannosi d'Europa e come tali si combattono con tutti i mezzi. Tutte le specie di questo ordine si adattano alla prigionia. Si avvezzano facilmente a qualsiasi cibo e si affezionano in breve tempo al padrone. Si abituano facilmente, lasciati liberi, a ritornare alla gabbia, e siccome sono tutti di indole piacevole e allegra, imparano di buon grado scherzi e giuochi: insieme ai pappagalli sono i soli uccelli capaci di ripetere non solo motivi musicali, ma anche parole e frasi. Le specie più piccole, oltre che dell'uomo, sono facile preda di alcuni mammiferi e uccelli rapaci; le specie più forti, soccorrendosi a vicenda, sanno prevenire i pericoli e difendersi dai nemici con molto coraggio, e temono soltanto il danno di qualche parassita.

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ITTERI

Sono uccelli dal corpo slanciato ma robusto, la cui grossezza varia fra quella della cornacchia e quella dei fringuelli, ricoperti di piume lucenti e morbide, nelle quali predominano i colori nero, giallo e rosso. Il becco ha forma allungata e rotondeggiante, conica, base alta e culmine penetrante nella fronte, senza piume setolose alla radice; la punta è sprovvista di dente o d'intaccatura. Nelle ali, la quarta remigante è la più lunga; la coda è rotonda, talvolta graduata, e quando l'uccello è in riposo, viene ricoperta dalle ali fino a metà. I tarsi, forti e forniti sul davanti di grandi squame, sono più lunghi delle dita mediane; queste ultime terminano con unghie forti, adunche e aguzze. Certi individui hanno un ciuffo alla sommità del capo, altri hanno le guance prive di piume. Sono uccelli d'indole socievole e allegra, mobilissimi e amanti del canto. Abitano i boschi e si nutrono di piccoli vertebrati, di insetti, di molluschi, di frutta e sementi. In generale, tranne qualche eccezione, sono considerati dannosi per le coltivazioni e vengono per questo perseguitati. Mostrano molta arte nella costruzione dei nidi.

BOBLINK o PAPERLING (Dolichonyx oryzivorus)

Misura diciassette centimetri circa di lunghezza, oltre ventisette di apertura d'ali, e quasi otto di coda. Il colore varia moltissimo col sesso e con la stagione. Il maschio adulto, a primavera, è nero nella parte superiore, in quella anteriore del capo e sulla coda. Nere sono pure tutte le parti inferiori del corpo e la parte superiore del dorso, le cui penne hanno tutte larghi orli giallicci; la nuca è giallo-bruniccia; le copritrici delle ali e il groppone sono di un bianco-giallastro, le remiganti nere con orli giallicci. L'iride è bruna, la mascella superiore bruno-scura, quella inferiore grigio-azzurrognola, i piedi azzurro-chiari. La femmina è di misure alquanto inferiori e il suo mantello somiglia a quello invernale del maschio: bruno-gialliccio con striature più scure lungo gli steli delle piume, nelle parti superiori; giallo-grigio pallido sui fianchi, anche qui con striature più scure; la regione delle redini è bruna, le remiganti e le timoniere sono assai più chiare che nel maschio e sull'occhio passa una striscia gialla. Anche i soggetti giovani portano un mantello simile a questo, ma con tinte più smorzate e tendenti al grigio. Il becco è dritto sul culmine con margini angolosi e ripiegati all'ingiù all'angolo della bocca; non molto lungo, robusto, conico, più sottile nella mascella inferiore. Il corpo risulta tarchiato, con la testa grossa.

E' molto diffuso come uccello estivo nell'America settentrionale dove appare e scompare molto regolarmente. Nelle sue migrazioni verso il mezzogiorno arriva fino alle Antille e in qualche regione dell'America del sud, arrestandosi prima del Brasile. Arriva negli U.S.A. verso maggio in stuoli numerosi che si ingrossano di giorno in giorno con nuove ondate, invade ogni campo dove distrugge, fino alla maturazione dei semi, tutti gli insetti nocivi; fin qui la sua presenza può senz'altro ritenersi utile: purtroppo, però, appena i grani cominciano a formarsi e via via fino a quando arrivano a maturazione, divora anche quelli e, non a torto, viene considerato uno dei più dannosi uccelli dell'America settentrionale: cacciato da un campo, compare in quelli vicini: compiuta l'opera di distruzione nel nord, la riprende nel mezzogiorno verso cui si avanza, stando di giorno nelle piantagioni e rifugiandosi la notte nei canneti. Per chi non teme le sue devastazioni, questo uccello si mostra gradevole e interessante. Vive sempre in società con i suoi simili, anche nel periodo dell'accoppiamento. E' agilissimo nei movimenti: in terra la sua andatura ha più del passo che del salto, in volo si mostra rapido ed elegante ed ha un modo tutto suo di librarsi salendo e scendendo nell'aria mentre canta. Gareggia inoltre in bravura con i più noti arrampicatori. All'epoca dell'incubazione i maschi cantano piacevolmente, emettendo con grande rapidità suoni riccamente modulati, che passano bravamente dalle note alte a quelle basse. Spesso il verso di uno solo eccita tutti gli altri, che si innalzano numerosi ripetendolo in coro. Il nido viene costruito in terra, in mezzo ai cereali o all'erba, ed occupa il punto centrale dell'ambito scelto per abitazione dai genitori. La femmina vi depone le uova in numero che varia da quattro a sei: tutte bianche e cosparse di fitte e irregolari macchioline azzurre e nericce. E' la femmina che cova, mentre il maschio passa il tempo fra le erbe. L'incubazione avviene una sola volta in un anno e i piccoli, che in principio vengono nutriti soprattutto di insetti, crescono rapidamente e lasciano molto presto il nido per imbrancarsi con altri della loro specie. Da questo momento il Paperling si mostra diverso: diventa taciturno e comincia a mutare l'abito con quello più modesto dell'inverno. Questa è anche l'epoca delle depredazioni e della caccia accanita degli agricoltori. In gabbia si mostra vivacissimo e allegro, e canta con trasporto, tranne che nel periodo della muta.

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AGELAIO DALLE ALI ROSSE (Agelaius phoeniceus)

E' un bellissimo uccello dalle piume morbide e splendenti. Lungo circa ventuno centimetri, ne ha quasi trentatré d'apertura d'ali e otto di coda. In primavera il maschio è color nero-cupo, con le copritrici delle ali di un bellissimo rosso-scarlatto. Gli occhi sono bruno-scuri, il becco e i piedi nero-azzurrognoli. La femmina è nero-bruniccia nel le parti superiori, bruno-grigiastra inferiormente, con piume spesso orlate di giallastro; la gola e le guance sono a striature longitudinali scure su un fondo grigio-fulvo chiaro. Il corpo nell'insieme appare robusto; la coda è arrotondata e le ali presentano la seconda e la terza remigante più lunghe delle altre. Il becco, di forma conica, è lungo e molto aguzzo ed ha i lati molto compressi. Anche questo uccello è frequentissimo nell'America del Nord; vi compare in primavera proveniente dagli Stati meridionali, dove ha trovato ricovero nella rigida stagione invernale. I maschi arrivano per primi, cantando, come se col canto volessero allettare le femmine a seguirli. Durante il viaggio che si svolge soltanto di giorno, si riposano sugli alberi più bassi e di qui specialmente la mattina prima di rimettersi in volo, allargando la coda e drizzando le piume, fanno sentire i loro gorgheggi. All'arrivo delle femmine ha subito inizio l'incubazione: la femmina, inseguita da vari maschi, ne sceglie uno e subito la coppia si dedica alla costruzione del nido. Si sottraggono al branco rumoroso e cercano un luogo adatto sui margini di qualche stagno solitario o di qualche prato paludoso, dove foggiano la conca necessaria su qualche basso arbusto o nei folti cespugli di canne. La base dei loro nidi viene formata da cannucce secche e la conca viene rivestita, all'interno, di erbette e crini di cavallo. Le uova sono quattro e talvolta anche sei, bruno-chiare, cosparse di macchie più cupe. Questo è il momento per il maschio di palesare la sua natura affettuosa e il suo coraggio. Se ne sta vigilante presso la compagna, pronto ad assalire con alte strida chiunque si avvicini avventandosi audacemente persino incontro all'uomo che inavvedutamente capiti nei pressi della sua dimora. Le covate sono generalmente due: i giovani della prima lasciano il nido in giugno e cominciano una vita indipendente attruppandosi con altri a migliaia; quelli della seconda se ne vanno dal nido nei primi giorni d'agosto. Questo è il periodo delle scorrerie nei campi dove le messi sono giunte a completa maturazione Anche gli agelai si nutrono in primavera soprattutto di insetti e poi annullano il vantaggio arrecato alle coltivazioni saccheggiandone i frutti con vera disperazione dei coloni che con ogni mezzo ma inutilmente ne tentano lo sterminio. Al tempo dei raccolti questi predatori abbandonano i campi per raccogliersi in immensi stormi insieme ai paperling, ai tordi e ad altre specie affini, nei prati e sulle rive dei fiumi in cerca di altri insetti. La caccia che si dà a questi uccelli è veramente spietata: se ne uccidono facilmente a cinquantine con un sol colpo di fucile tanto sono numerosi e temerari, ma questo non è sufficiente a farne diminuire il numero. Per la sua eleganza, l'Agelaio dalle Ali Rosse viene spesso allevato in gabbia. Si accontenta di alcune specie di sementi ed è abbastanza pacifico e tollerante verso i compagni di gabbia della sua stessa forza. Si mostra vivace, allegro e canta senza posa. Con molte cautele se ne può ottenere anche la riproduzione.

ITTERO DEGLI ARMENTI o MOLOTRO NERO (Molothrus ater)

E' lungo quasi diciotto centimetri ed ha circa trenta centimetri d'apertura d'ali. Le piume degli adulti sono morbide, con bei riflessi di colore azzurro-acciaio. La testa e il collo sono color bruno-fuliggine, il petto azzurrognolo, il dorso verde-azzurro splendente e il resto del corpo nero-bruniccio. La femmina è un po' più piccola, di un uniforme color fuliggine più chiaro nelle parti inferiori. Il becco di questi uccelli è corto, conico e aguzzo, con margini fortemente rientranti; il colore è nero-bruniccio, come quello dei piedi. Gli occhi sono bruno-scuri. Nell'insieme sono graziosi; la coda è quadrata, le ali lunghe e aguzze, con le tre prime remiganti di una stessa lunghezza. L'Ittero degli Armenti abita vaste regioni dell'America settentrionale, ed è soprattutto diffuso nei pascoli popolati di buoi e di cavalli e nelle zone paludose. La notte sceglie per dormire i cespugli o i canneti lungo le rive dei fiumi. Compare alla fine di marzo o ai primi di aprile e parte alla fine di settembre. Si nutre di insetti e varie sementi, ed ha in comune coi nostri stornelli l'abitudine di cibarsi dei parassiti che vivono sul dorso del bestiame. Vive sempre in società e, specie sul far della sera, ha l'abitudine di riunirsi in branchi, spesso assieme all'agelaio dalle ali rosse. Non si isola mai in coppie, poiché nella sua specie sono in vigore non soltanto la poligamia, ma anche la poliandria: i maschi si uniscono alla prima femmina che capiti, e le femmine si comportano allo stesso modo coi maschi; non costruiscono il nido, ma depongono numerose uova, ognuno in un nido diverso, approfittando dell'assenza dei proprietari, disinteressandosi completamente dell'allevamento della prole, che viene curata dai genitori adottivi. Non è raro che per deporre le sue uova, colorate di azzurro con macchie e striature brune, l'Ittero degli Armenti arrivi ad usare la violenza, eliminando dai nidi quelle degli uccelli che li avevano costruiti; ma i genitori spodestati non sembrano accorgersene, covano le uova estranee e si dedicano amorevolmente all'allevamento dei piccoli altrui, che da parte loro, appena si sentono abbastanza sicuri, abbandonano con tutta indifferenza il nido che li ha ospitati. Alcuni individui osservati in prigionia hanno dimostrato un certo grado di adattabilità alla diversa condizione, confermando la consuetudine ad inserirsi nei nidi altrui, e ad approfittarne all'epoca della riproduzione: i piccoli davano però segno di grande attaccamento verso i genitori adottivi.

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SOFFRE (Ieterus jamacaii)

E' più grande del precedente, dotato di un becco lungo e aguzzo, ali di media lunghezza, coda lunga e arrotondata, tarsi e dita robusti e unghie ricurve. Il morbido piumaggio si presenta sulla testa, la gola, il dorso e la coda, di un bel nero lucido; mentre la nuca, il ventre, il petto e la parte inferiore del dorso sono arancioni, e sfumature sul bianco e sul giallo si notano sulle ali. Il becco è nero, macchiato di grigio piombo nella mascella inferiore, le zampe azzurrognole e l'occhio giallo: intorno a quest'ultimo si trova uno spazio nudo colorato di verde. La femmina, che nella mole è alquanto inferiore al compagno, ha colori meno vivaci, e così pure i piccoli. Il Soffre abita l'America meridionale, ed è specialmente diffuso nel Brasile e nella Guyana, scegliendo le zone in cui la boscaglia confina con i terreni coltivati e aperti: per i suoi splendidi colori, rappresenta uno dei maggiori ornamenti degli alberi e dei cespugli, tra il cui fitto e scuro fogliame spicca nitidamente. Svelto e mobilissimo, si unisce normalmente ai suoi simili in gruppi non molto numerosi, che si sciolgono in coppie col giungere del periodo dell'accoppiamento. Il suo carattere è intollerabile e dispotico, spietato con gli uccelli di forza inferiore, dei quali attacca sovente i nidi per rubare le uova e i piccoli; nei movimenti è di notevole eleganza, ed ha, inoltre, una voce varia e modulata, capace di apprendere e ripetere i suoni degli altri uccelli. Si ciba di insetti e di frutta: tra queste ultime, è soprattutto ghiotto di aranci e banane, per cui i danni che arreca ai frutteti sono tutt'altro che lievi, e gli procurano, quando si avvicina all'abitato, gli attacchi dei coloni. La caratteristica forse più spiccata dei soffre, come pure di alcune altre specie che descriveremo subito appresso, è il modo di costruzione del nido, per il quale essi possono essere paragonati ai tessitori. Anch'essi dedicano a questa incombenza una cura particolarissima, intrecciando i materiali con estrema solidità e perizia, disponendoli secondo forme sferiche e sospendendoli ai rami per mezzo di robuste attaccature. L'inizio della buona stagione coincide con quello del lavoro di nidificazione, che è prolungato e complesso, svolto di comune accordo tra maschio e femmina in luoghi sempre non troppo estesi, per cui è facile trovare, su di un medesimo albero e generalmente sospesi ad una altezza non superiore ai tre metri, parecchi nidi di famiglie che anche in questo periodo non spezzano del tutto le loro abitudini comunitarie. In gabbia, questi uccelli non smentiscono la rudezza del loro carattere, ma in complesso, sono oltre che decorativi, piacevoli, e si adattano agevolmente alla presenza dell'uomo e al cibo che vien loro procurato.

UCCELLO DI BALTIMORA (Ieterus galbula)

Strutturalmente, benché sia di proporzioni alquanto ridotte, è simile al precedente, ma a distinguerlo è il becco con il culmine piuttosto incurvato. La sua lunghezza si aggira sui venti centimetri, ed ha un'apertura alare di trenta. Il maschio adulto è colorato in nero sulla testa, sulla nuca, sulle parti anteriori del collo e sulle ali, le quali però presentano delle zone bianche e giallo-aranciate; e questo ultimo colore riappare, vivissimo, sul groppone e sulle parti inferiori del corpo. Il petto, invece, è rosso, il becco e il piede grigi. L'Uccello di Baltimora è diffuso in tutta l'America settentrionale, comparendo al nord all'inizio della primavera e migrando, con l'inverno, verso zone più temperate. I suoi luoghi preferiti sono quelli situati sui piccoli rilievi e lungo i fiumi, e qui si muove con misura ed eleganza: svelto nel volo, agile sul terreno, particolarmente abile nell'avventurarsi tra i rami degli alberi. Il cibo, quando la stagione è buona, è formato prevalentemente di insetti, ma anche esso è un accanito divoratore di frutta e quindi pericoloso per le colture. Con la primavera ha inizio il periodo dell'accoppiamento. L'Uccello di Baltimora dedica grande cura alla preparazione del nido, scegliendo sul suolo i materiali necessari, muschio ed erbe finissime, che fissa col becco e con le unghie all'estremità dei rami, per poi intesserli con perizia. Diversa è la consistenza finale della costruzione a seconda delle condizioni ambientali: se il clima è dolce, può esistere qualche sommarietà di impianto, ma dove c'è rischio che il freddo possa in qualche modo rappresentare un pericolo, come per esempio negli Stati più settentrionali, le pareti sono solidissime, a prova di vento, e rivestite all'interno di materiali soffici e confortevoli. Al termine della costruzione, la femmina depone quattro o cinque uova grigie, con punti e macchie di tono più scuro; e la cova si verifica, negli Stati del Sud, due volte all'anno. Di solito dura circa quattordici giorni, e i piccoli impiegano tre settimane per imparare a volare.

JAPUO o CACICO DAL CIUFFO (Cassicus cristatus)

Lungo quaranta e più centimetri, e con una apertura d'ali di oltre sessanta, questo grosso uccello si presenta con forme snelle, ii becco alto alla radice con la mascella inferiore molto grossa, ali e coda lunghe e dita di notevole robustezza. Il suo tratto più tipico è il ciuffo, formato dalle piume posteriori del capo; nella colorazione predomina il nero, diffuso dappertutto con l'eccezione del groppone e della parte inferiore del dorso di una scura tonalità rossa, e delle timoniere laterali che sono gialle. Il becco è giallo chiaro, l'occhio azzurro e il piede nero. La patria del Japu è l'America del Sud, e soprattutto le regioni settentrionali di essa; qui gli uccelli sono diffusi esclusivamente nei boschi, non spingendosi verso le piantagioni ed i luoghi abitati se non quando questi si trovino in prossimità delle dense distese arboree. Vivono socievolmente in tutti i periodi dell'anno, e nei movimenti sono assai vivaci. Nel loro nutrimento rientrano larve ed insetti, ma la parte preponderante è tenuta dai frutti maturi, specie gli aranci e le banane: tenendosi saldamente ancorati agli alberi che li producono con le robuste zampe, li afferrano e li divorano, altre volte si limitano a staccarli e a portarli via, per inghiottirli più comodamente in un luogo diverso. La loro voracità ed il loro numero hanno naturalmente per conseguenza una lotta continua ed accanita da parte degli agricoltori. Il nido viene stabilito sugli alberi, a diverse altezze: anche lo Japu gli dà la forma di una borsa rigonfia inferiormente, di grandi proporzioni che raggiungono in larghezza i quindici-venti centimetri ed in lunghezza superano il metro. Vengono usati materiali molto leggeri intessuti con grandissima precisione mediante un lavoro che richiede tempo, fatica e abilità, e a volte gli uccelli ricavano al loro interno una doppia stanza, una doppia cavità. La tendenza alla vita in comune fa sì che si possano spesso vedere anche trenta o quaranta di queste grandi costruzioni su di uno stesso albero; e lo spettacolo che esse offrono insieme con gli individui maschi che si trattengono intorno allargando la coda, sollevando le ali e il ciuffo ed emettendo il loro singolare e flautato verso, è estremamente suggestivo. Nella cavità principale del nido la femmina si ritira per deporre le uova e covare: la covata è normalmente formata da un uovo o due, di forma allungata e di aspetto marmorizzato in toni più o meno scuri di violetto. Non è raro che i nidi dello Japu siano sospesi sulle acque dei fiumi, e che questa loro ubicazione possa essere causa di pericolo e di insidie: a volte è semplicemente il crescere del livello delle acque, che arriva a travolgerli, trascinando nella corrente le uova e i piccoli, altre volte sono gli alligatori che si avvicinano ad essi e li distruggono per divorarne il contenuto. E a questi eccezionali nemici lo Japu deve aggiungere i predatori di grandi dimensioni, mentre da quelli più piccoli è in grado di difendersi con successo. In gabbia, questi uccelli sono piuttosto rari ed abbisognano di cure sollecite specialmente per quanto riguarda lo spazio a disposizione: è necessario che ne abbiano parecchio, perché solo in questo modo possono sfogare la loro necessità di movimento e disporsi alla costruzione dei propri grandi nidi, e quindi alla riproduzione.

QUISCALO MAGGIORE (Quiscalus major)

Chiamato anche Coda a Barchetta per la caratteristica disposizione delle penne caudali, che hanno le barbe volte verso l'alto, questo uccello ha il becco conico e lungo, appena ricurvo alla punta, ali di media lunghezza e piedi molto snelli. La sua lunghezza si aggira sui quaranta centimetri e, ad ali spiegate, tocca i sessanta; il colore è nero, con riflessi di un magnifico azzurro violetto sul capo e sulla nuca e tendenti invece al verde metallico sulle remiganti e sulle timoniere. La femmina, notevolmente più piccola, è colorata in grigio scuro sulle parti superiori e in bruno rossiccio su quelle inferiori; il becco e i piedi sono neri in ambedue i sessi, e l'occhio è sempre giallo. Il suo regno è tra le paludi e sulle rive dei fiumi del Sud degli U.S.A.; del tutto assente dai luoghi asciutti, vive socievolmente in tutte le stagioni dell'anno, è abile nei movimenti a terra e in volo, e spiega una particolare destrezza nell'arrampicarsi sulle canne e sulle grandi erbe palustri. Il suo cibo è principalmente composto di vermi e di piccoli crostacei; vi rientrano pure numerose specie di insetti, e frutti e sementi di diverse qualità, per procurarsi i quali non è da meno dei suoi affini nel devastare frutteti e colture.

Sul principio di febbraio ha inizio per il Quiscalo Maggiore la stagione degli amori: il maschio spiega tutta la bellezza del suo abito, e nella ricerca della compagna scatena la sua gelosia in lotte continue con i suoi simili. Il nido viene costruito con caratteristiche simili a quelle della specie precedente, sospeso ai rami degli alberi o tra i canneti; e la femmina vi depone quattro o cinque uova, che sul fondo bianchiccio mostrano punti bruni e neri irregolarmente sparsi. Per allevare i figli, i genitori non esitano a devastare i nidi degli altri uccelli e ad impadronirsi delle uova, usate come cibo. Naturalmente, anch'essi hanno i loro nemici: gli alligatori che escono dalle acque per distruggere i nidi e le specie più forti degli uccelli da rapina.

STORNI

Gli uccelli di questa famiglia sono caratterizzati da una struttura di medie dimensioni e tarchiata, col becco dritto, largo e conico e piedi robusti. Le piume sono piuttosto folte e consistenti, e di colore molto variabile. Malgrado la forma tozza, sono agilissimi nei movimenti, tanto sul terreno che tra i rami e nel volo: tutte le specie dimostrano una vivacità straordinaria, continuamente affaccendate anche nei momenti di riposo. La loro indole è estremamente socievole, e li porta a trattenersi costantemente in stuoli anche nel periodo della riproduzione; quanto al cibo, lo scelgono tra insetti, vermi e chiocciole, e anche tra i frutti, senza tuttavia arrecare alle coltivazioni danni particolarmente gravi. Costruiscono i loro nidi nelle cavità degli alberi, delle rupi e delle muraglie, disponendo in modo molto sommario i materiali che li compongono, e il numero delle uova che vi depongono varia da quattro a sette. In generale, tutti gli Storni si adattano agevolmente alla schiavitù.

STORNELLO COMUNE (Sturnus vulgaris)

Le misure di questo uccello, che raduna in sé tutte le principali caratteristiche della famiglia, vanno dai venti-ventidue centimetri in lunghezza ai trentacinque-trentotto della apertura alare; le singole ali sono di circa dodici centimetri, e la coda raggiunge i sei. La femmina è di proporzioni alquanto ridotte. I colori e il disegno variano con l'età e le stagioni: in primavera, il maschio adulto è nero con riflessi verdi e porporini, e larghi margini grigi schiariscono la tinta complessiva delle ali e della coda; l'occhio è bruno, il piede rossiccio e il becco giallo. Dopo la muta autunnale, tutte le piume della nuca, del petto e della parte superiore del dorso presentano le punte bianche, cosicché l'intero abito appare punteggiato; inoltre, il becco assume un colore quasi nero. La macchiettatura bianca, presente in tutti i periodi dell'anno, costituisce il dato distintivo del sesso femminile, che quanto al resto ha un abito del tutto simile a quello dei maschi. A partire dall'Islanda e dalle isole Far Oër troviamo lo Stornello Comune diffuso in tutta Europa; nelle regioni meridionali, tuttavia, è comune solo durante l'inverno. E' un uccello migratore, che dopo aver nidificato nei luoghi che gli sono più propri, con l'avvicinarsi dell'inverno prende la via del mezzogiorno e va a svernare nelle regioni del nord africano. In Italia si ferma e nidifica al nord, mentre nel mezzogiorno lo si incontra solo di passaggio durante l'inverno: in alcuni casi vi si sofferma anche per svernare. Le zone che preferisce sono quelle pianeggianti, cosparse di praterie, di boschetti e largamente provviste di acqua: qui esso spiega il suo carattere festoso e vivace, capace di resistere senza cambiamenti alle circostanze più sfavorevoli; e il suo canto è altrettanto allegro e brioso, anche se composto di suoni stridenti e sgradevoli e spesso concluso in un fitto cicaleccio. La voce dello Stornello è inoltre abbastanza duttile, capace di piegarsi all'imitazione, non solo di quella degli altri uccelli, ma anche dei suoni ambientali più diversi. Il periodo degli amori inizia con il mese di marzo: il maschio mette in opera tutte le proprie abilità per conquistare la compagna, inseguendola con grande frastuono e congiungendosi con lei sul terreno. Per formare il nido, le coppie innanzitutto si scelgono una posizione adatta, nelle naturali cavità degli alberi, nelle spaccature delle rocce e degli edifici; e poi apportano disordinatamente paglie e fili d'erba, disponendoli senza cura alcuna e solo badando che l'interno sia soffice e accogliente. Sul finire di aprile, nei nidi sono già state deposte cinque o sei uova piuttosto voluminose, lunghe, con il guscio azzurro lucido, e la femmina provvede a covarle. I piccoli vengono alimentati scambievolmente dai due genitori, e sono piuttosto rapidi nel rendersi indipendenti: quando le cure ad essi rivolte sono terminate, la coppia si dispone ad una seconda incubazione, alla fine della quale si ricompongono i grandi stormi che si muovono ininterrottamente alla ricerca del cibo. E' soprattutto durante l'autunno che questi stuoli sono visibili: sembrano grosse nubi, salgono e scendono nel cielo assumendo le disposizioni più diverse, e inevitabilmente finiscono per tendere verso il terreno; di giorno per alimentarsi, di sera per cercare rifugio sugli alberi e nei canneti per trascorrere la notte. Ed è in queste ore serali che più insistentemente si coglie il loro instancabile cicaleccio, che trova pace soltanto con lo stendersi delle tenebre notturne. Con l'avvicinarsi dell'inverno, gli storni comuni si riportano ai nidi che avevano abbandonato, esaurita la riproduzione, per cercarvi riparo e calore; ma ben presto si dispongono ad emigrare alla volta delle zone più calde, ancora una volta raggruppati nei loro stuoli sterminati. Questi uccelli sono tra i più utili per le campagne: i pochi danni che causano a certe colture di cereali sono largamente compensati, infatti, dalle distruzioni che portano tra gli insetti nocivi, i vermi e le lumache. Ne divorano per sé stessi grandissime quantità, altrettanti li usano per cibare la prole, ed è molto divertente seguirli mentre si adoperano, mobilissimi sul terreno, a cercarli. Tutti i buchi, tutte le fessure vengono esplorati minuziosamente con il becco e con la lingua: il becco viene introdotto, chiuso, nel luogo da esaminare, e successivamente si apre lasciando fuoruscire la lingua che tocca ogni minimo particolare circostante, cogliendo tutto quanto esista di commestibile. E' una ricerca precisa e minuziosa, alla quale poco o nulla riesce a sfuggire. L'uomo non si può dire sia granché riconoscente a questi uccelli per l'opera proficua che svolgono a suo favore: in certe zone, e fra queste molte regioni italiane, si dà loro una caccia accanita, con i mezzi più diversi dalle armi da fuoco alle reti, nelle quali cadono in gran numero; e ciò a cagione della buona qualità delle loro carni. Oltre che dall'uomo, lo storno deve poi guardarsi da parecchi animali da preda, sia aerei, come i falchi, i corvi, le gazze e le ghiandaie, che terrestri: martore, donnole e scoiattoli. D'altro canto, gli storni si riproducono così abbondantemente che i pur vasti vuoti creati nelle loro file si risanano abbastanza velocemente. In cattività non è frequente trovarli; ad ogni modo, mostrano molte buone qualità, e le osservazioni compiute hanno permesso di scoprirne alcuni caratteri non sempre presenti negli individui liberi. Fra i tanti, la eccezionale prudenza, che confina con la sospettosità; la disposizione a dividere i luoghi in cui è tenuto con uccelli diversi, anche se questi ultimi non dimostrano di gradire troppo la loro continua smania di movimento; la docilità con cui si affezionano al padrone, e la capacità di ripetere, se convenientemente addestrati, anche i suoni della voce umana.

Stornello delle pagode

Stornello delle pagode

Esemplare di Storno

Esemplare di Storno

STORNELLO NERO (Sturnus unicolor)

Le misure di questa specie sono in tutto corrispondenti a quelle dello stornello comune, dal quale essa è differenziata, piuttosto, per la speciale conformazione delle piume del capo, del petto e della nuca che sono lunghe e assottigliate. Il colorito, inoltre, non presenta le macchie caratteristiche dell'abito autunnale della specie precedente, né se ne vedono i riflessi, perché l'intero corpo è di un color lavagna uniforme e opaco. Lo Stornello Nero vive esclusivamente nelle regioni meridionali: è presente in Spagna, nell'Italia meridionale, e in gran parte dell'Asia, e quanto ai costumi e ai caratteri per esso si può ripetere tutto quanto s'è detto per la specie precedente.

STORNO ROSEO o STORNO MARINO (Pastor roseus)

Anche questo uccello presenta parecchie analogie strutturali con la specie comune, dalla quale si diversifica soprattutto per la diversa conformazione del becco che è compresso ai lati e leggermente ricurvo nella mascella superiore, per il ciuffo del capo, per le ali più lunghe e per i tarsi più alti. Oltre che, naturalmente, per le differenze di colore, esso ha la testa, il collo e la parte superiore del petto neri con riflessi azzurri e violetti, ali e coda più chiare anch'esse con lucentezza metallica, e tutto il resto del corpo colorato di rosa pallido. La femmina ha il ciuffo meno pronunciato e i colori generalmente più pallidi. I luoghi tipici dello Storno Roseo sono le regioni del sud-est europeo, a cominciare dall'Ungheria, nonché la maggior parte dell'Asia orientale e meridionale. Lo si è trovato anche in Spagna, in Francia e in Germania, ma le sue migrazioni regolari lo portano principalmente nella Grecia e nei paesi dell'Asia meridionale: è qui che suole svernare. Non di rado ai suoi branchi si associano individui della specie comune, e allora, si direbbe per compiacerli, i rosei si adattano a ripeterne alcune abitudini: per esempio, quella di spandersi a trascorrere la notte nei canneti, cosa che di per sé non farebbero, perché preferiscono a questo fine gli alberi di grandi proporzioni. D'altro canto, in parecchie delle loro abitudini essi si rifanno alle tendenze generali della famiglia. Allo Storno Roseo viene pure dato il nome di Uccello delle Locuste, e per una ragione ben precisa: esso è infatti il nemico più temibile per questi dannosi insetti. Li ricerca in tutti gli stadi della loro vita, dall'uovo fino all'età adulta, e li uccide anche quando non ha intenzione di cibarsene. In molti Paesi il rapporto tra queste due specie animali è considerato tanto stretto che la comparsa dello Storno Roseo è giudicata sicuro indizio dell'approssimarsi dei terribili branchi di cavallette. In questo senso, va riconosciuta ai nostri uccelli una funzione veramente utile; d'altra parte, però, essi si rendono anche colpevoli di danni molto gravi a certe colture agricole, per esempio quella del riso, in India. Dopo il raccolto, si cibano di semi di varie erbe e piante, di frutti e fiori e anche, ma secondariamente, di insetti. Al mattino, partono dagli alberi dove hanno passato la notte e compiono escursioni in cerca di cibo, radunandosi in foltissimi branchi dove trovano qualcosa di gradito. Gli stornelli rosei somigliano molto a quelli comuni anche nei movimenti, mostrandosi però più sicuri nel passo. Tutto il canto del maschio oltre a due o tre gridi striduli di richiamo, consiste in un miscuglio di suoni garruli stridenti e chioccianti, recitati con grande sforzo e instancabile ardore. Un profano sentendoli cantare li direbbe piuttosto impegnati in interminabili litigi. E' raro trovarlo in Italia; tuttavia, quasi ogni anno ne arrivano pochi individui e vi nidificano. Costruisce il nido nelle cavità degli alberi, preferendo quelli che stanno al margine dei boschi, in fori e fessure nelle pareti delle rupi, nei casolari abbandonati, e persino fra mucchi di rami secchi o fra cataste di legna. Il nido per la sua struttura è in tutto simile a quello dello storno comune, e questa somiglianza vale anche per le uova, tanto nel colore che nel numero. Il maschio e la femmina si amano teneramente e sono molto affettuosi con i piccini. In gabbia non mostrano aspetti particolarmente gradevoli, oltre alla bellezza delle piume: mancano del brio bizzarro che è caratteristico nello stornello comune e si mostrano ghiotti e noiosi.

MEINA o STORNO PASTORE (Sturnus tristis)

E' una specie affine ai nostri storni originaria dell'India. E' lunga venticinque centimetri, ha un'apertura d'ali di circa trenta e la coda di nove. Il becco è molto corto, robusto e poco ricurvo al culmine; i piedi sono formati da dita lunghe, la coda è arrotondata e la testa è sempre munita di un ciuffo più o meno lungo. Il colore predominante è un bruno-cannella più scuro sul dorso e sulle remiganti, più chiaro nelle parti inferiori. Testa, nuca e petto sono nero-lucidi. Sulle ali nere è ben visibile una macchia bianca formata dalla radice delle prime remiganti. Nera è anche la coda, con una larga fascia bianca all'estremità. La Meina è comune in India, particolarmente nella Birmania, nell'Assam ed a Ceylon; è considerata un uccello sacro e si vede riprodotta in alcuni simulacri del dio Ram, posata sulla sua mano. Preferisce abitare nelle città e nei villaggi piuttosto che nel folto dei boschi. Passa le notti raccogliendosi in gran numero su qualche pianta e specie alla mattina e alla sera produce un grande schiamazzo. Frequenta tanto le strade dei paesi quanto i campi e i giardini. E' un uccello sempre vivace, allegro, cammina speditamente nicchiando ad ogni passo col capo, e all'occorrenza percorre lunghi tratti saltellando con agilità. Il volo è rapido e rettilineo, ma piuttosto pesante. Ha una bella voce, piena e armoniosa in certi suoni in altri metallica e aspra. Vive di giorno in piccoli drappelli, che spesso si radunano al rumore di qualche lotta: questi uccelli sono infatti molto battaglieri e, a volte, quando la lotta viene cominciata da due maschi che, afferratisi reciprocamente con le unghie e battendosi con le ali, si rotolano avviticchiati sul terreno, gli altri intorno si slanciano addosso ai contendenti per dividerli, oppure, eccitati dalle strida, si azzuffano a loro volta rendendo la lite generale e così violenta che alcuni ne escono con ali e zampe spezzate. Si ciba delle sostanze più svariate: nei villaggi becca come le cornacchie gli avanzi di cucina, di cui va in cerca nelle vie e nelle case; segue gli armenti nei campi e qui distrugge gli insetti snidati dalle zampe dei buoi; saccheggia poi regolarmente i campi e i giardini. Costruisce il nido quasi esclusivamente nelle case, sotto i tetti, nelle fessure delle mura, dentro vasi preparati appositamente dall'uomo, con cui ha molta dimestichezza. Non si può lodare questo uccello come costruttore: spesso sbaglia anche la scelta del luogo adatto, collocando il nido nei canali di scolo dei tetti, con rischio, per i canali stessi, di occlusioni e, per la prole, di sicura morte in caso di forti acquazzoni. Il nido poi non è che un confuso mucchio di ramoscelli, penne, erbe secche e anche di cenci e pezzi di carta. Le uova sono quattro o cinque, di color verde-azzurrognolo, e vengono covate alternativamente dal maschio e dalla femmina. Tutti e due concorrono poi alle cure dei piccoli, che sono voracissimi. La caccia a questo animale non è consigliabile per gli scarsi pregi della sua carne; gradevolissimo invece è averlo in casa, perché sta in gabbia volentieri e diventa così domestico da seguire, se lasciato libero, il padrone, affezionandosi a lui né più né meno di un cane.

MAINATE o GRACULA RELIGIOSA (Gracula religiosa)

E' un uccello piuttosto corpulento, lungo venticinque centimetri e con un'apertura alare di quasi cinquanta; la coda misura circa sette centimetri, e le singole ali tredici. Le piume sono di un complessivo colore nero porporino, arricchito di riflessi verdi sulla parte posteriore del dorso e sulle copritrici superiori della coda; nelle parti inferiori il nero diviene meno luccicante e tendente al carbone, e la stessa cosa si ripete sul resto della coda e sulle ali segnate da una larga fascia bianca formata dalla base delle sette remiganti primarie. L'occhio è caratterizzato da una zona sottostante priva di penne e di un giallo vivissimo, e una membrana dello stesso colore parte da dietro ciascun occhio, gira dietro l'orecchio e aderisce al capo mediante un sottile lembo di pelle. Il becco, di color arancione, è lungo circa come la testa, grosso, alto, con la parte superiore incurvata e quella inferiore a sezione rettangolare; la coda è tondeggiante, i piedi forti e gialli e l'iride bruno-scura. Il Meinate è indigeno dell'India; abita sui monti fino a grandi altezze e nel folto dei boschi, ma non è diffuso che in poche regioni. Lo si incontra in piccoli drappelli di cinque o sei individui, oppure in brigate molto numerose: il che è soprattutto frequente verso le ore della sera quando i singoli si raccolgono per passare la notte nei boschetti di bambù che seguono le rive dei piccoli torrenti di montagna, oppure nella stagione fredda. Mobile e brioso come lo stornello comune, il Meinate è inoltre dotato di una voce modulata e graziosa, solo a tratti interrotta da qualche suono stridente, e possiede una notevole attitudine ad imitare i suoni degli altri uccelli e in generale dell'ambiente in cui vive. Si ciba esclusivamente di frutta e di bacche, andando spesso a cercare alimento nei frutteti e nei luoghi coltivati, e dimostrandosi quindi piuttosto dannoso; e quanto al nido, esso è posto nelle cavità degli alberi e costruito piuttosto sommariamente. In cattività, la sua indole lo rende abbastanza gradevole e simpatico, ma a volte accade che abbiano la prevalenza quelle tra le sue caratteristiche, che non sono le più piacevoli. Si affeziona al padrone, vola e si muove libero per la casa, andando da solo a cercarsi il cibo, e la sua disposizione ad apprendere i suoni fa sì che riesca persino a ripetere certe frasi dell'uomo; ma sovente è noioso, pigro e indifferente, occupato soltanto a inghiottire il cibo che gli viene porto, e pronto, magari, ad assalire brutalmente gli uccelli più deboli che vivono con lui.

BUFAGA COMUNE o BUFAGA DAL BECCO GIALLO (Buphagus africanus)

Di forma allungata, con ali piuttosto lunghe, coda media e dita munite di forti unghie adunche, questi uccelli sono soprattutto distinti dall'aspetto del becco. Esso è: singolarmente rotondeggiante alla base, compresso ai lati, con la mascella superiore leggermente arcuata e quella inferiore foggiata ad angolo ottuso. In lunghezza misurano sui ventidue-ventitré centimetri e in apertura d'ali superano i trenta, mentre la coda è lunga quasi otto centimetri e ogni singola ala supera leggermente i dieci. Le parti superiori, quella anteriore del collo e il petto sono colorati di bruno rossiccio, il groppone e le parti inferiori sono fulvi e le ali e la coda bruno scure; il becco ha la base gialla e la punta rossa, il piede grigio e l'occhio bruno rossiccio. La Bufaga Comune è diffusa nell'Africa meridionale fino all'Abissinia e al Senegal; la si trova imbrancata con poche compagne, in drappelli che non superano quasi mai le otto unità, nelle regioni scoperte in cui pascolano i mammiferi. La Bufaga non può, infatti, fare a meno della vicinanza di questi animali, perché da essi ricava il cibo: si posa su di loro, cercando le diverse specie di larve che vivono dentro la pelle delle bestie e le zecche che si nutrono a spese dell'animale che le porta. Non si può certo, per questo, accusare le bufaghe di parassitismo: gli animali sui quali vanno a cibarsi sono i primi ad accettarne di buon grado la presenza, e non le molestano mai nemmeno con la coda, probabilmente rendendosi conto che quei curiosi compagni svolgono un lavoro, tutto sommato, benefico. Le si vede perciò attaccate nelle posizioni più curiose sui grandi corpi dei mammiferi, intente a scorrere dappertutto alla scoperta del cibo; e in questa attività fanno sfoggio di una grande destrezza di movimenti, simili ai picchi nel loro salire e scendere lungo i tronchi degli alberi. Le uniche occasioni, in cui si può assistere allo spezzarsi dei buoni rapporti tra bufaghe e mammiferi, sono quelle in cui si verifica un attacco in massa degli uccelli contro animali che non li conoscono perfettamente, o che possono essere spaventati dal loro numero: sono ad ogni modo casi molto rari. Fiduciosa verso gli altri animali, la Bufaga è invece sospettosissima nei confronti dell'uomo: non si lascia mai avvicinare, e appena ne avverte la presenza si dà alla fuga mettendosi al sicuro in qualche punto elevato, sui sassi, mai sui rami degli alberi, che non ama.

BUFAGA DAL BECCO ROSSO (Buphagus erythrorhynchus)

E' appena più piccola della precedente: sulle sue abitudini non c'è nulla da dire per differenziarla da quella, perché ne ripete fedelmente, in ogni particolare, i costumi. Diverso è solo il colorito, grigio cenere nelle parti superiori e giallo pallido nelle inferiori, con il becco completamente tinto di rosso chiaro. Inoltre, a differenza della specie comune, essa prospera specialmente nelle regioni centrali dell'Africa, dalla costa orientale all'occidentale; ma è tutt'altro che raro trovare esemplari delle due specie nelle stesse località, dove, a quanto pare, essi evitano accuratamente di fare vita in comune.

STORNI SPLENDENTI

Questi uccelli che vivono nelle parti più calde dell'Africa e in alcune regioni del l'Asia sono per costumi e per forma molto somiglianti ai nostri stornelli; d'altra parte vestono piume così belle, lucide come il raso e dei più svariati colori, che forse è più giusto considerarli come anello di congiunzione fra gli stornelli e gli uccelli del paradiso. Scelgono per dimorarvi i luoghi più disparati, preferendo soprattutto i boschi e le foreste e, comunque, i luoghi coperti di alberi. Più che le foltissime selve abitano i boschetti che interrompono la steppa e le pianure disseminate di cespugli; a volte, però, si annidano fra dirupi e macigni o si spingono nei luoghi abitati, rifugiandosi fin nelle case. Sono uccelli vivacissimi, arditi, e tutti entusiasti cantori, anche quando la voce è sgradevole, cosa molto frequente nella famiglia. Sono quasi tutti stazionari; si muovono in un certo ambito senza intraprendere delle vere e proprie migrazioni; alcuni si stabiliscono e soggiornano a lungo in un luogo che poi abbandonano per sempre. Vivono di solito in stuoli numerosi e si uniscono alle specie affini per compiere escursioni in cerca di cibo; con gli altri uccelli invece si mostrano piuttosto ostili e con le averle, coi corvi e con le gazze marine sono sempre in guerra. Si nutrono di frutti, sementi, insetti, chioccioline, vermi, raramente anche di carogne, da cui staccano la carne a brandelli, e rendono utili servigi agli armenti, beccando sul dorso degli animali zecche ed altri noiosi parassiti allo stesso modo delle bufaghe e degli stornelli. Volano con facilità e prestezza, e si muovono sul terreno con straordinaria agilità saltellando e correndo. Sono dotati di un sicuro istinto, che permette loro di distinguere gli esseri pericolosi da quelli innocui: sono prudenti senza esser mai troppo timorosi, adattandosi alle circostanze. Come si è detto, la voce è spesso sgradevole, ma non mancano specie di buoni cantori: il richiamo è quasi sempre molto melodioso e modulato. Da specie a specie hanno costumi differenti riguardo alla cova. La maggior parte, e sono quasi sempre quelli che vivono tra i dirupi, nidificano in comune; altri nel periodo dell'accoppiamento si dividono in coppie. Questa differenza si riscontra anche nella costrizione dei nidi, che a volte sono spaziosi e ben fatti, a volte consistono in un cumulo di ramoscelli secchi ed erbe radunati alla meglio; generalmente sono più grossolani quelli fatti tra le rocce che quelli costruiti sugli alberi, ma tutti sono comunque rozzi e poco solidi. Le uova sono cinque o sei, di colore verdognolo con macchioline rossicce, brunicce, azzurro-grige o nere. Per alcune specie la cova si ripete due volte l'anno.

STORNELLO SPLENDENTE o STORNO COLOR ACCIAIO (Lamprocolius chalybaeus)

E' lungo più di venticinque centimetri, ne ha quarantatré di apertura d'ali e circa nove di coda. Ha le piume color verde-bronzeo; i lati del capo, il groppone e la parte inferiore del ventre sono azzurri e macchie azzurre sono presenti pure sulle ali. Le sue piume hanno un tale potere di rifrazione della luce che, colpite dal sole, ne riflettono il bagliore allo stesso modo del metallo e del cristallo terso. Nell'uccello ucciso questa proprietà scompare quasi completamente. Maschio e femmina sono uguali; i giovani nelle parti inferiori del corpo sono di color grigio-bruniccio senza lucentezza. Nella sua struttura, lo Stornello Splendente ricorda i tordi e gli stornelli; ha il becco piuttosto corto appena incurvato verso la punta, e la mascella superiore che si prolunga notevolmente su quella inferiore. Le ali arrivano fino a coprire metà della coda che è corta, tronca e arrotondata. I piedi, corti e robusti, hanno dita grosse e unghie brevi. Abita nel nord-est dell'Africa e vive tanto nelle fitte boscaglie delle vallate percorse dai fiumi, quanto tra i radi boschetti di montagna e di pianura. Dopo l'epoca dell'accoppiamento, gli individui si riuniscono in piccole schiere nei cespugli o sulle pietre sparse nella pianura. Stanno spesso posati a terra e si ritirano sugli alberi soltanto alla sera, per dormire. Il loro modo di volare è assolutamente caratteristico, agile ma piuttosto lento e strascicato, forse per la consistenza delle ali coperte di piume morbide e soffici: un occhio esercitato può riconoscere dal volo questo uccello, anche a grande distanza. Sul terreno si muove procedendo a salti anziché a passi ed è veloce e instancabile. Il suo canto è insignificante e il grido di richiamo è stridulo e sgradevole.

STORNELLO SPLENDENTE DAL VENTRE ROSSICCIO (Notauges chrysogaster)

Le sue piume sono più resistenti, ma meno luccicanti di quelle della specie appena descritta, il becco è più sottile, la coda più corta, i piedi in proporzione abbastanza alti, con dita lunghe. Misura in lunghezza venti centimetri, oltre trentatré di apertura d'ali, e sei di coda. Ha la fronte e la parte superiore della testa verde-grigio, le parti superiori, la gola e il petto verde-neri misti a bruno-vivo, il groppone azzurro acciaio splendente; il ventre e le gambe sono rosso-ruggine opachi, le redini nere, gli occhi bruni; il becco è giallo e i piedi nero-azzurrognoli. I giovani sono superiormente color verde bruniccio scuro, bruno-rossi inferiormente, più scuri vicino alla gola che sul petto.

STORNELLO MAGNIFICO (Spreo superbus)

E' grande come quello appena descritto ed è forse la specie più bella di tutte. Ha la testa color verde-scuro dorato, verdi le parti superiori, con le copritrici delle ali segnate all'apice da macchie di un nero vellutato; la parte anteriore del collo, il petto e la coda di un verde tendente all'azzurro e il resto delle parti inferiori di un ruggine intenso, su cui spiccano una fascia sul petto e il sottocoda bianchi. Abita l'Abissinia e le parti più centrali dell'Africa, molto frequente nelle pianure coperte di vegetazione; e non si spinge quasi mai oltre i mille metri di altitudine. Li si incontra in branchi, che percorrono ogni giorno tratti notevoli, riposandosi ora sugli alberi tutti insieme, ora sparpagliati, per poi raccogliersi e ripartire. Nelle ore del mattino e della sera tutta la brigata si rifugia su qualche albero ben alto e intona in coro la sua canzone del buon giorno o della buona notte, come fanno gli stornelli. Nelle ore più calde se ne stanno zitti e tranquilli fra i rami e fra i cespugli. Quando vanno a caccia di cibo e mentre volano, producono un frastuono tutt'altro che gradevole; sono estremamente mobili, com'è nell'indole di tutti i componenti la loro famiglia e si sottraggono con grande scaltrezza alle insidie dei loro nemici naturali e degli uomini, specie se hanno già avuto modo di sperimentarne il grado di pericolosità.

STORNELLO SPLENDENTE DAL VENTRE BIANCO (Cinnyricinclus leucogaster)

Nella struttura questa specie è contraddistinta da ali di media lunghezza, coda breve, piedi deboli con lunghe dita e becco elegante, leggermente curvo e compresso verso la punta. La sua lunghezza raggiunge i diciotto centimetri, cinque-sei dei quali fan parte della coda; le singole ali misurano circa dieci centimetri, e spiegate nel volo superano i trenta. Il piumaggio dello Stornello dal ventre bianco è tra i più belli nella famiglia degli splendenti: violetto nelle parti superiori del corpo, sul collo e fino al petto, in quelle inferiori è bianco, mentre sulle ali le remiganti si tingono di nero con riflessi violetti ai bordi. Tutto l'abito, sotto certe incidenze di luce, assume uno splendore simile a quello del rame. I più giovani si distinguono nettamente sotto questo aspetto dagli individui adulti: in essi, infatti, le parti superiori sono molto più chiare e striate di bruno, e queste stesse striature si ritrovano nelle parti inferiori, disegnate su di un fondo bianco rossiccio. Il piede e il becco sono neri, e il colore dell'iride è bruno. Questo uccello abita specialmente le regioni dell'Africa Centrale, e si trova anche diffuso al di là del Mar Rosso, in Arabia. Predilige le zone montuose, tra le quali si muove unito a parecchi suoi simili tenendosi quasi sempre in mezzo agli alberi, e scendendo assai di rado sul terreno; il suo volo è svelto e leggero, sicuri i movimenti sul terreno, mentre è abbastanza difficile riuscire ad ascoltarne la voce perché di norma è molto taciturno. La bellezza di questi stornelli si spiega in tutte le sue sfumature soprattutto durante il volo: allora i raggi del sole si riflettono nei suoi splendidi colori, ricavandone riflessi di estrema suggestione per l'osservatore. Circa le sue abitudini relativamente al cibo ed alla riproduzione, vanno richiamate per esso, come del resto per la maggior parte delle specie fin qui indicate, le abitudini generali della famiglia.

STORNO SPLENDENTE BRONZATO (Lamprotornis aenea)

Più grosso delle specie finora descritte, se ne distingue altresì per la notevole lunghezza della coda, che costituisce da sola oltre la metà della sua lunghezza complessiva. Il becco, breve ed elegante, è leggermente ricurvo alla punta, le ali sono lunghe e piuttosto arrotondate, i piedi alti e robusti, con forti dita potentemente unghiate. Le sue misure sono le seguenti: lunghezza complessiva tra quarantacinque e i cinquanta centimetri, compresi i venticinque-trenta della coda, e ali che raggiungono i diciotto centimetri ciascuna. Quanto ai colori, distinguiamo il verde azzurro splendente del dorso e delle parti inferiori, il rame del capo, l'azzurro porporino della coda, tutta percorsa da riflessi metallici e disegnata da fasce trasversali più scure; mentre il becco e le zampe sono neri, e l'occhio giallo chiaro. Lo Storno Splendente Bronzato vive nell'Africa Occidentale e nella meridionale, prediligendo le zone coperte d'alberi e trattenendovisi assieme ai suoi simili in brigate più o meno numerose, sul terreno scende per raccogliere il cibo, vermi e insetti, e vi si muove in maniera che ricorda da vicino quella delle gazze: leggero ed elegante, tenendo la splendida e lunghissima coda leggermente rialzata per evitarle danni di qualsiasi genere. Questi uccelli hanno in generale un'indole piuttosto diffidente, specie nei confronti dell'uomo, ed è piuttosto raro sorprenderli nei pressi di qualche luogo abitato. In cattività, peraltro, si abituano rapidamente alla vicinanza del padrone: ricercati soprattutto per la bellezza del loro aspetto, svelano anche un carattere abbastanza amabile, pacifico e silenzioso, disposto ad accontentarsi volonterosamente per quel che riguarda l'alimentazione.

STORNELLO DELLE RUPI (Pilorhinus albirostris)

Tra le rupi, le rovine e gli alberi dell'Abissinia vive quest'altra specie di storni splendenti, che salvo alcune differenze di colore, ripete in tutto e per tutto i caratteri tipici delle specie affini. Il suo piumaggio è simile alla seta, il becco è breve e segnato da una piccola intaccatura, e la sua base è ricoperta di piume setolose; ali e coda sono di media lunghezza, il piede robusto con dita munite di unghie abbastanza forti e ricurve. Il colore prevalente nel maschio è il nero azzurro splendente, che sulle ali si stempera nel rosso cannella delle penne remiganti; pure neri sono i piedi, il becco bruno corno e l'iride rossiccia. Femmine e giovani si distinguono per il grigio azzurro che si mescola al nero sulla testa, sul collo e sulla parte superiore del petto. Quanto alle misure, il corpo in lunghezza sta sui ventotto centimetri, le ali sui quindici ciascuna e la coda raggiunge quasi i dieci; la femmina si presenta di proporzioni alquanto ridotte. Come s'è accennato, la patria dello Stornello delle Rupi è nell'Abissinia, e più particolarmente nelle zone montuose di essa. In stuoli abbastanza numerosi esso si arrampica con grande agilità sulle pareti rocciose e corre velocemente tra i dirupi, perché il terreno e i sassi sono il suo vero elemento: nel volo non è tuttavia inabile, anzi i suoi movimenti danno un'impressione di eleganza e di mancanza di sforzo. I suoi punti di ritrovo per trascorrere la notte e le ore più calde del giorno sono le rupi, e più raramente i rami degli alberi più vicini alla sua dimora abituale; di qui è possibile sentirlo emettere i suoni di cui è capace, un richiamo abbastanza armonioso e un canto ricco e modulato.

STORNO SPLENDENTE DI MONTE o NABORUP (Amydrus naburup)

Coda piuttosto lunga, ali brevi e arrotondate, becco sottile con intaccatura ben visibile, piume sericee, ma prive di splendore metallico, sono le principali caratteristiche di questa specie di storni splendenti. Lunghi circa ventitré centimetri, con l'ala di dodici e la coda di dieci, si presentano colorati generalmente in azzurro acciaio molto scuro, con le ali sfumate in diverse gradazioni di bruno. Le femmine hanno gli stessi colori e si distinguono solo per la mole leggermente inferiore; i piccoli presentano invece delle macchie brune e azzurre. La pupilla è sempre rossa, piede e becco neri. Il Naborup vive principalmente nell'Africa Centrale e Meridionale, e si trova anche in certe zone dell'Arabia; ripete il consueto costume della vita associata, e quanto ai luoghi che preferisce, essi sono gli stessi della specie precedente, rocce e dirupi. Il cibo è quello solito, il canto breve ed armonioso; la riproduzione si verifica due volte l'anno, con deposizione di un numero di uova variabile tra le quattro e le cinque.

RIGOGOLI

I componenti di questa famiglia sono contraddistinti dalle forme snelle ed allungate, becco lungo e conico con uncinatura appena accennata sulla mascella superiore, e piume generalmente di notevole bellezza di colori, morbide e diverse a seconda del sesso. I Rigogoli sono diffusi in Europa, Asia, Australia e Africa, e preferiscono le zone boscose muovendosi tra gli alberi con grande leggerezza: di solito non si uniscono in una vita comunitaria, e le singole coppie difendono, anzi, con estrema decisione la zona che hanno scelto a dimora da ogni intrusione estranea. Il loro cibo è costituito da frutta e da insetti, e la voce, anche se semplice, non manca di forza e di melodia. Per quel che riguarda la riproduzione, i Rigogoli costruiscono quasi sempre il loro nido con una certa abilità, talvolta tra i rami e tal'altra appesi ad essi; è poi curioso il costume di certe specie, che oltre a quella del nido si dedicano anche alla costruzione di piccoli ricoveri da usare per riparo e trattenimento, variamente intessuti e ornati nelle maniere più diverse.

UCCELLO SERICEO (Ptilonorhynchus holosericeus)

E' una specie australiana della famiglia, ancora piuttosto simile agli storni e costituente, in certo senso, l'anello di congiunzione tra essi e i rigogoli in senso stretto. Il suo corpo è robusto, con la coda breve e quadrata; il forte becco ha la mascella superiore arcuata in modo accentuato e munita di due piccole intaccature nei pressi della punta. Il maschio, la cui lunghezza si aggira sui venticinque centimetri è un uccello molto elegante: le sue piume, lucide come il raso, sono colorate in nero azzurro cupo, con l'eccezione delle ali e della coda, dove assumono tonalità più vellutate e hanno le punte azzurre; l'iride è azzurro-chiara, con un cerchio rosso che circonda la pupilla, il piede rossiccio e il becco color corno con sfumature azzurre, decisamente giallo alla punta. La femmina, come i giovani che le somigliano, è del tutto diversa: verde sulle parti superiori, gialliccia sulle inferiori, bruno gialla sulle ali e sulla coda; e sull'estremità di ciascuna piuma ha delle macchie bruno scure, foggiate a mezzaluna, che nel complesso formano un disegno di aspetto squamoso. La patria dell'Uccello Sericeo è la Nuova Galles del Sud, e la dimora favorita sono i cespugli più rigogliosi e fitti, disposti lungo le rive dei corsi di acqua. In primavera questi uccelli si trovano in coppie, e sono tra i pochi che in autunno si radunino in piccole brigate; abitano stabilmente i luoghi prescelti, muovendosi solo qua e là entro limiti molto ristretti, e sempre per soddisfare alle esigenze della nutrizione, la quale è principalmente composta di semi e frutta, e secondariamente anche di insetti. Il carattere degli uccelli sericei è cauto e vigilante: in caso di pericolo, i maschi si vanno a fermare sulle alte cime degli alberi, e di là lanciano a tutti i compagni il loro grido di allarme. Il tratto più curioso, da cui è segnata la natura di questi animali, è certo da ricercare nella loro abitudine a costruirsi delle vere e proprie piccole case, dei luoghi di trattenimento che sono ben distinti e diversi dal nido; sono costruzioni fatte sul suolo, generalmente nelle parti più solitarie dei boschi e al riparo di rami sporgenti, e composte di ramoscelli intrecciati in modo che le punte si incrocino superiormente. Una specie di cunicolo, o di tunnel, aperto dalle due parti, e di proporzioni abbastanza cospicue; e le sue pareti, verdi per i molti fili d'erba che vi sono intrecciati, appaiono arricchite con ogni sorta di oggetti variopinti, piume di pappagallo, pietruzze, conchiglie: oggetti che spesso l'Uccello Sericeo ruba all'uomo, il quale sa bene che, quando ha smarrito qualcosa di luccicante o di risplendente, il primo posto dove dovrà cercarla saranno appunto le singolari costruzioni di questo ladro alato. S'è accennato allo scopo delle costruzioni, che sono luoghi di ricreazione e di convegno per i due sessi nel tempo degli amori, e la cui durata si prolunga per un certo numero di anni. Il nido è un'altra cosa: gli uccelli sericei lo pongono nelle depressioni del terreno, tra gli arbusti e i cespugli, senza dedicargli gran cura: ed è eccezionale la indifferenza che contrassegna i rapporti della femmina con il compagno. Si è dato il caso che, per esperimento, venisse data la morte ad un maschio intento a costruire il nido con l'aiuto della femmina: quest'ultima si è immediatamente scelta un altro compagno, e così ha seguitato a fare ogni volta che, per portare avanti l'osservazione, si tornava ad uccidere il maschio.

CLAMIDERA MACCHIATA (Chlamydera maculata)

E' molto affine all'uccello sericeo, del quale ripete puntualmente le abitudini. Ha la coda più lunga e meno squadrata della sua, e il becco, compresso ai lati e col culmine rilevato e ricurvo ha una sola intaccatura presso la punta. La sua mole è analoga a quella dell'affine; i colori molto compositi. Le ali, la coda e le parti superiori sono bruno cupe, con ciascuna piuma macchiata all'estremità in bruno giallo; le parti inferiori sono bianco grigiastre, con i fianchi segnati trasversalmente da linee più scure leggere e tortuose. Inoltre, sulla nuca è presente un bel semicerchio di piume allungate, colorate come i fiori del pesco. La mancanza di questo semicerchio è il tratto distintivo essenziale dei giovani, mentre gli adulti dei due sessi sono praticamente identici, ed entrambi hanno l'iride bruno-scura, invece il becco e il piede bruni. I bassi cespugli sui margini delle pianure del centro dell'Australia sono i luoghi scelti abitualmente dalle clamidere per vivere e moltiplicarsi. Di natura timorosa e prudente, è piuttosto difficile riuscire a vederle o a sorprenderle: a rivelarle è soprattutto il canto, aspro e sgradevole, e per catturarle il momento migliore è forse quello dell'abbeverata, specie durante la stagione asciutta. Anche le clamidere si dedicano a quel genere di costruzioni per cui sono caratteristici gli uccelli sericei, e vi dispiegano un grado di abilità forse anche maggiore; le residenze della Clamidera raggiungono a volte il metro di lunghezza; ciascuna parete, intrecciata con l'altra alla sommità, alla base è tenuta ferma da pietre disposte accuratamente, e i diversi oggetti che ne costituiscono l'ornamento - conchiglie, pietre, ossa imbiancate ecc. - sono distribuiti sulle pareti o ammucchiati ai due ingressi. Anche per questa specie vale la regola della costruzione fatta una volta tanto, e quindi conservata attraverso parecchi anni consecutivi; e quanto allo scopo, anch'esso rimane immutato, le costruzioni servono cioè per gli incontri amichevoli, per il riparo e per gli approcci amorosi. Il nido della Clamidera non è situato, come quello dell'uccello sericeo, sul terreno, bensì tra i rami degli alberi; ma come l'affine, anche la Clamidera lo costruisce non troppo discosto dall'altro tipo di abitazione, e nel disporne i materiali non va troppo per il sottile.

Linea flashing backefro

Linea flashing backefro

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RIGOGOLO (Oriolus oliolus)

E' questo il tipo della famiglia: con il becco allungato, le ali di notevole misura e il piede corto, misura in lunghezza sui ventitré-ventiquattro centimetri, con una apertura alare che sfiora i quarantacinque; le singole ali sono lunghe quasi quindici centimetri e la coda dieci. L'abito del maschio presenta le redini, le ali e la coda di un bel colore nero, mentre il resto del corpo è giallo e una macchia dello stesso colore fa spicco sulle ali e sulla coda, alla base delle remiganti ed all'estremità delle timoniere. Le femmine, ed i giovani fino all'età di un anno, sono alquanto diversi: verdicci superiormente, biancastri nelle parti inferiori, hanno la parte anteriore del collo colorata di grigio cenere con macchie longitudinali più scure. Anche il loro becco, grigio nericcio, si distingue da quello del maschio adulto, che è rossastro; mentre l'occhio è in ogni caso di color carminio e il piede color piombo. La patria del Rigogolo è costituita da tutta l'Europa, ad eccezione delle regioni dell'estremo settentrione, e dalla maggior parte dell'Asia: qui questi uccelli arrivano con il giungere della primavera, nidificano e si riproducono, e di qui partono, sul finire d'agosto, per dirigersi verso terre più accoglienti in cui trascorrere la stagione fredda. La meta delle sue migrazioni è normalmente l'Africa, nelle zone centrali e persino meridionali. Nei luoghi che gli sono tipici, il Rigogolo gradisce in special modo i boschi delle pianure, tanto più se essi sono interrotti da piantagioni: da queste basi parte per le sue escursioni nei giardini, nei vigneti e anche per le vie della città, soprattutto nella stagione in cui maturano le ciliege, delle quali è ghiottissimo. Oltre ad esse, rientrano nella sua dieta varie specie di frutta, bacche, e poi insetti, farfalle, vermi e bruchi: il che vuol dire che può anche essere dannoso per le colture agricole, ma certo gli si deve riconoscere un buon grado di utilità per le distruzioni che arreca nelle file degli insetti nocivi. L'indole dei rigogoli è abbastanza singolare. Sono uccelli timidi, selvaggi ed instabili, benché vivano relativamente vicini all'uomo, lo sfuggono e ne diffidano; continuamente in movimento, saltellano e svolazzano tra gli alberi più frondosi, cambiando continuamente pianta e ramo, e molto di rado scendono sui bassi cespugli o sul terreno e vi rimangono il tempo strettamente necessario per procurarsi il cibo. Arditi e battaglieri, sono continuamente impegnati in liti con i compagni o con uccelli d'altre specie; e queste zuffe diventano particolarmente violente nell'epoca degli amori. Il volo, benché apparentemente faticoso, è veloce e sicuro, e il canto pieno, sonoro e melodioso: meno gradevole è la voce emessa nel grido di richiamo, ma in generale si può dire che i suoni di cui i rigogoli sono capaci siano piacevoli ad ascoltare, e poiché, a differenza degli altri uccelli, non cessano di cantare nemmeno nelle giornate più calde ed afose, è sufficiente una coppia di rigogoli a rallegrare un bosco intero. Il nido viene iniziato subito dopo il rientro dalla migrazione invernale, e di solito è appeso alla biforcazione di qualche ramoscello di piante elevate; più di rado lo si è trovato sui bassi cespugli. Maschio e femmina provvedono ad assicurare i lunghi steli d'erba, attorcigliandoli varie volte intorno al ramo, e costituendo così la base della costruzione; questa appare composta di foglie secche, muschio, ragnatele, e steli diversi, e nella parte interna, che è molto concava, tappezzata di piume e lana. La femmina depone nel nido da quattro a cinque uova di aspetto lucido e liscio, colorate di bianco con punti e macchie più scure. Alla cova provvedono entrambi i genitori, poiché la femmina nelle ore pomeridiane si dedica alla ricerca del cibo ed allora il compagno si incarica di sostituirla. In genere, occorrono circa quindici giorni perché le uova si schiudano e ne escano i piccini, i quali crescono molto celermente e fanno la muta delle piume all'interno stesso del nido. In gabbia, il Rigogolo si adatta con qualche facilità solo se preso molto piccolo, ma in ogni caso la mancanza di libertà gli pesa come una grandissima limitazione, ed è difficile che viva a lungo.

RIGOGOLO CAPODORO (Sericulus chrysocephalus)

E' uno degli uccelli più eleganti del Continente australiano, e costituisce un po' l'anello di congiunzione tra la famiglia dei rigogoli e quella degli uccelli del paradiso. Rispetto al rigogolo propriamente detto, ha il becco più corto e più debole, con l'intaccatura più visibile e sporgente sulla punta della mascella superiore; inoltre, i suoi colori sono del tutto diversi. La testa, la parte superiore del collo ed un collare, che si allunga verso il petto, sono gialli: il resto del piumaggio è di un nero vellutato, con strisce gialle variamente disposte sulle ali. La femmina e il maschio giovane presentano delle differenze rispetto a queste indicazioni, che si riferiscono, come sempre, ai maschi adulti: infatti hanno la testa e la gola biancastre con una gran macchia nera sulla sommità del capo, e un generale colore bruno oliva diffuso in tutto il corpo e qua e là interrotto da macchie triangolari brunicce. Inoltre, il loro occhio è bruno, il becco e i piedi sono neri; mentre il maschio adulto ha l'occhio giallo pallido e il becco giallo. Indigeno dell'Australia orientale, il Rigogolo Capodoro è molto simile al suo più prossimo affine per quel che riguarda i costumi, anche se, in generale, si può dire che non abbia un'indole altrettanto nobile e battagliera. Il suo cibo essenziale è formato dalle frutta, e quindi esso è di solito considerato un pericoloso nemico delle piantagioni; mentre il ricorso agli insetti nell'alimentazione si verifica molto raramente e costituisce quasi un'eccezione.

UCCELLI DEL PARADISO

Nell'ordine dei coracirostri, gli Uccelli del Paradiso si distinguono per le straordinarie caratteristiche del loro aspetto: un'apparenza estremamente bella ed elegante, sia nelle forme che nella disposizione delle penne e nei colori. Nei secoli scorsi, quando questa famiglia non era ancora granché conosciuta, e pochi esemplari arrivavano in Europa sulle navi dei commercianti e degli esploratori, sorsero su questi animali eccezionali le leggende più disparate. Li si considerava come creature la cui patria era l'atmosfera, dalla quale unicamente essi ricavavano il nutrimento, e nella quale si riproducevano: perennemente in volo, erano specie di esseri soprannaturali e autosufficienti, per i quali il contatto con la terra non era affatto indispensabile. E la straordinaria bellezza della loro coda aveva fatto immaginare che di essa si servissero per appendersi ai rami degli alberi nelle brevi soste che si concedevano. Una credenza di questo genere aveva anche un'altra radice: poiché giungevano in Europa privi di piedi, si pensava che il loro corpo ne fosse sprovvisto. Mentre, in realtà, la spiegazione molto più semplice era che gli indigeni glieli tagliavano dopo averli catturati.

Uccello del Paradiso

Uccello del Paradiso

Occorse gran tempo perché tutte queste credenze venissero superate, e gli Uccelli del Paradiso ricondotti alla loro vera natura, che è quella di splendidi ma normalissimi esemplari della fauna aerea, il cui unico tratto eccezionale è costituito, per l'appunto, dalla meravigliosa apparenza che li distingue. La loro coda, composta di dodici piume, assume forme diverse: ora è quadrata e di media lunghezza, con penne filiformi sottilissime e assai lunghe, ora invece molto lunga, ma più semplicemente configurata, e con le penne disposte in gradazione. Le ali sono sempre di lunghezza non eccezionale e di forma arrotondata, e il becco o rettilineo, o alquanto ricurvo, sempre di misure medie, compresso, e coperto alla base da piume, sotto le quali sono nascoste le narici. I piedi sono grossi e robusti, con dita forti e munite di unghie acute e ricurve. In molte specie, le piume dei fianchi assumono una configurazione singolare, presentandosi con le barbe decomposte e di lunghezza fuori del comune. Tutte queste caratteristiche si trovano, poi, specialmente evidenti negli individui adulti di sesso maschile, mentre le femmine ed i giovani sono di apparenza molto più modesta. I luoghi d'origine degli Uccelli del Paradiso sono circoscritti alla Nuova Guinea e alle isole che la circondano ma questa accentuata delimitazione geografica non è certo l'ultima tra le ragioni che hanno provocato il sorgere delle molte notizie imprecise che, attraverso il tempo, si sono date sul loro conto.

UCCELLO DEL PARADISO (Paradisea apoda)

Il nome scientifico attribuito a questa specie, e che la qualifica come «apoda», cioè priva di piedi, richiama la più nota tra le molte credenze inesatte che si sono diffuse intorno alla nostra famiglia. L'Uccello del Paradiso ha una lunghezza di circa trentatré centimetri, e il colore che predomina nel suo piumaggio è il bruno castano. La fronte appare di un nero vellutato con riflessi verde smeraldo, le parti superiori del capo e del collo sono giallo limone, la gola verde con riflessi d'oro, il davanti del collo è violetto e le lunghe e finissime piume dei fianchi, le cui barbe sono decomposte, si sfumano in uno splendente giallo arancio con punteggiature rosso porpora alle estremità. Un insieme di colori, come si vede, di estrema suggestione, che tuttavia è soggetto a rapido impallidimento se sottoposto troppo a lungo alla luce del sole; e che inoltre è assai meno variato nelle femmine, prive delle penne allungate e generalmente più fosche e sbiadite. L'occhio è bianchiccio, becco e piedi cinerini. Assieme alle due specie che descriveremo immediatamente di seguito, l'Uccello del Paradiso fa parte dei rappresentanti più propri della famiglia, che si distinguono per la citata presenza di un gruppo di piume lunghe e a barbe decomposte, aventi radice in una piegatura della pelle localizzata sotto l'articolazione delle ali. Le abitudini di queste tre specie sono in tutto simili, e quindi ne parleremo a questo punto, complessivamente, rimandando allo specifico esame delle specie successive solo i pochi caratteri differenzianti. Vivono, come abbiamo accennato, nella Nuova Guinea, e scelgono a sede le zone ricche di vegetazione: qui si muovono, isolatamente o a piccoli drappelli, dando prova di grande agilità e di continuo desiderio di cambiare sede e posizione. I gruppi sono di solito guidati da un capo, che nel volo si tiene più alto, e si mostrano di carattere allegro, ma estremamente prudente: il minimo sentore di pericolo li spinge a cercare rifugio tra i rami più fitti, tra i quali, e specialmente tra quelli degli alberi più alti, riparano pure alla fine della giornata per disporsi a trascorrere la notte. La loro prudenza, ovviamente, rende difficoltoso l'avvistamento e ancor più la cattura. Cercano nutrimento tra gli insetti, ma il loro cibo preferito sono le frutta: e proprio secondo il tempo della maturazione delle diverse specie essi regolano i loro spostamenti, che li portano dalla costa alle zone più interne. Il volo è abile e spedito, e consente loro di raggiungere altezze ragguardevoli: l'unico impaccio è costituito dalle lunghissime penne. La voce non è molto gradevole: si compone per lo più di suoni rauchi, di tonalità più o meno acuta, ed è specialmente facile da udire nelle ore del mattino e della sera. Il tempo della riproduzione dipende dai venti monsoni, e dalle variazioni di clima e di stagione che comportano: così, sulle coste orientali e settentrionali della Nuova Guinea esso coincide con il maggio, su quelle occidentali col novembre. In questo tempo i maschi si sforzano di mettere in mostra al massimo la loro bellezza e la loro abilità. Riuniti in gruppi sulle cime degli alberi più alti, scuotono le ali, agitano la coda, allargano e stringono le piume dei fianchi ed emettono le loro grida gracchianti per attirare le femmine. S'è brevemente detto delle difficoltà connesse con la cattura degli uccelli del paradiso: poiché, tuttavia, il cacciatore non può non essere attratto dalla loro bellezza, e dalle diverse forme di sfruttamento commerciale delle meravigliose piume che li ricoprono, la caccia è molto diffusa e si svolge secondo metodi svariati. Ad essa si dedicano tanto gli indigeni che gli stranieri, quest'ultimi tentando spesso di catturare degli esemplari viventi per farne oggetto di osservazione. In realtà, questi uccelli non sono destinati a sopravvivere in condizioni di cattività: tuttavia sugli esemplari sottoposti ad esame si sono potute compiere osservazioni di grande interesse. Prima fra tutte, forse quella che ha permesso di stabilirne la grande vanità, la estrema cura che essi hanno del loro aspetto e, si direbbe, una sorta di coscienza, per quanto imprecisa, della propria bellezza. In gabbia, dedicano molto tempo a rendere quanto più possibile impeccabile il loro aspetto, disponendo in bell'ordine il piumaggio ed eliminando da esso ogni traccia di imperfezione. Si cita il caso di alcuni esemplari davanti ai quali è stato posto uno specchio, e che rimanevano per ore a contemplarlo; quando poi lo specchio veniva abbassato, scendevano anch'essi per rimetterglisi di fronte, ma non tanto in basso da venire a contatto col terreno, sul quale temevano di sporcarsi. Sul suolo non scendono mai, nemmeno per cibarsi: l'unica eccezione la fanno per bere. Quanto al cibo che può loro essere dato in cattività, non hanno esigenze particolarmente esclusive e si adattano di buon grado a diete miste, in cui entrino frutta, insetti e cereali di vario genere.

ZIANCAR o VUMBI (Paradisea papuana)

Rispetto al precedente è alquanto più piccolo, toccando in lunghezza i trenta centimetri. Il dorso è colorato di castano chiaro, le parti inferiori sono rosso brune, la parte superiore del collo, la nuca e i fianchi giallo pallidi; sulla fronte e intorno al becco le piume sono nere con riflessi verdi, e sulla gola verde smeraldo. L'occhio è bianchiccio, il becco ed i piedi, di una scura tonalità cinerina. Lo Ziancar ripete nelle abitudini le regole generali, ed è soprattutto diffuso nella penisola settentrionale della Nuova Guinea e nelle isole viciniori, diventando sempre più raro, man mano che si procede verso oriente.

SEBUM o PARADISEA ROSSA (Paradisea rubra)

Grande quanto il precedente, si distingue da esso e dalla specie descritta per prima per un ciuffo erigibile verde dorato posto sulla parte posteriore del capo. Il resto della testa è giallo dorato, colore che è presente anche sul dorso e da questo si distende sulla parte superiore del petto in forma di fascia. Il resto del petto e le ali sono rossicci, mentre le piume alla base del becco e una macchia posta dietro l'occhio sono nere; la gola è verde smeraldo, i fianchi rossi, l'occhio giallo e il becco e i piedi, infine, azzurro cenere. La femmina è colorata in modo abbastanza diverso: ha le parti superiori e il ventre rossastri, la gola e il davanti della testa vellutati, la nuca, il collo e il petto rosso chiari. Di notevole, in questa specie, c'è soprattutto la limitata diffusione: i suoi individui non si trovano che nelle isole meridionali della Nuova Guinea. Per il resto, non presenta differenze apprezzabili rispetto alle precedenti.

UCCELLO DEL PARADISO REALE (Cinnurus regius)

La mole di questo uccello è alquanto ridotta rispetto a quelli di cui s'è già discorso, toccando in lunghezza, all'incirca, i venticinque centimetri. La particolarità più spiccata del suo aspetto sta nella coda, che presenta le due timoniere centrali prive di barbe fin quasi alla punta, dove inizia un vessillo rotondo che si avvolge a spirale e da ciò il nome di «coda a spirale» da cui è pure distinto. Per il resto, caratteristica è pure la forma del becco, che è più esile, e la misura molto ridotta delle piume dei fianchi. Quanto poi ai colori, il maschio adulto è superiormente rosso rubino, sulla fronte e sulla sommità del capo è arancione, mentre la gola è gialla e il ventre bianco grigiastro. L'occhio è sormontato da una macchia nera, e tra il bianco del ventre e la tonalità scura della parte inferiore del collo corre una fascia verde-metallica. I fianchi sono grigi, con le penne che terminano in una larga striatura verde preceduta da una più sottile sottolineatura rossiccia La femmina è rossastra nelle parti superiori, color ruggine in quelle inferiori percorse da striscie brune; e anch'essa ha il becco bruno scuro e il piede azzurrino. L'Uccello del Paradiso Reale è considerato il più diffuso di tutta la famiglia, e si trova in tutto il settentrione della Nuova Guinea e nelle isole vicine. Vive in brigate di trenta o quaranta individui, quasi sempre sotto la guida di un maschio, e frequenta i boschi non troppo folti che sorgono lungo le coste. Molto grazioso, come si deduce dalla descrizione dei suoi colori, è pure estremamente mobile, e, come tutti i suoi affini, vanitoso e pronto a fare sfoggio della sua bellezza: basta un qualsiasi motivo di eccitazione perché si induca ad allargare a ventaglio la fascia verde che ha sul petto. La sua voce può essere avvicinata ad un dolce miagolìo di gatto, e riguardo al cibo, anch'esso mostra di preferire le frutta e gli insetti. E' proprio sul conto di questa specie di uccelli del paradiso che sono fiorite, in passato, le leggende più fantasiose e, in fondo, più suggestive: non solo tra i profani, per la verità perché anche certe relazioni antiche, scritte da studiosi che non avevano potuto documentarsi direttamente, ne recano larghe tracce.

PARADISEA SUPERBA (Lophorina superba)

Diventati ormai molto rari anche nelle regioni che sono loro abituali, questi uccelli sono soprattutto caratterizzati dalle piume della nuca e della parte superiore del dorso, allungate in forma di collare; e sono inoltre privi delle lunghe penne sui fianchi e delle barbe sulle timoniere centrali. Il loro colore principale è il nero che nelle piume del petto, molto lunghe, assume riflessi di verde metallico; le piume scapolari, quando l'uccello è in posizione di riposo, si dispongono sul dorso come un mantello, e si sollevano quando esso vuole mostrarsi in tutto il suo splendore.

PARADISEA DELLE SEI PENNE (Parotia sexpennis)

Anche questa è una specie molto rara. La caratteristica maggiore del suo aspetto sta in tre penne a lungo stelo che hanno brevi barbe soltanto verso l'estremità, sporgenti dietro l'orecchio da entrambi i lati del capo e quindi sdoppiate, così da sembrare sei. Le penne dei fianchi sono allungate, la coda è graduata - si prolunga cioè progressivamente verso il centro - e tutte le penne della coda sono provviste di barbe. La mole è media, con lunghezza che si aggira sui venticinque centimetri, e il colore è nero scuro con una macchia a forma di scudo sul petto, dipinta di verde dorato.

EPIMACO DALLE PIUME FILIFORMI (Seleucides resplendens)

Gli uccelli di questa specie hanno il becco incurvato e debolmente intaccato presso la punta della mascella superiore, un cerchio di piume alla base del collo e un fascio di piume sui lati del petto, fornite queste ultime di barbe fino circa alla metà della loro lunghezza, e poi del tutto prive di barbe e filiformi, simili in grandezza ai crini del cavallo. La lunghezza è di circa settanta centimetri. Il capo, il dorso e il petto sono neri, con riflessi verdi e violetti, le ali e la coda sono violette, mentre le piume dei lati sono di un magnifico giallo dorato. Le lunghe penne filiformi, principale caratteristica della specie, sono dorate alla base e vanno progressivamente scurendosi verso l'estremità. Nelle femmine, il nero è diffuso sul capo, sulla parte inferiore del collo e su quella superiore del dorso, mentre il groppone, le ali e la coda sono di color ruggine. Tutte le loro parti inferiori, fondamentalmente grigiastre, sono percorse da striature sottili ed ondeggianti di colore nero; i giovani somigliano alla madre. L'occhio è sempre scarlatto, il becco nero, il piede giallo carnicino. L'Epimaco dalle Piume Filiformi è confinato nell'isola di Salawati, una di quelle che circondano la Nuova Guinea. Gli individui vivono in piccole famiglie, prevalentemente nei boschi, e sono eccellenti volatori; il loro cibo è costituito, al solito, prima di tutto da frutta e secondariamente da insetti. Essi appaiono in tutta la loro bellezza durante il periodo della riproduzione, quando spiegano le piume della base del collo a modo di collare, e quelle dei fianchi come un meraviglioso ventaglio.

EPIMACO DALLA LUNGA CODA (Epimachus magnus)

La coda graduata e lunghissima è il tratto distintivo principale di questa specie, dotata inoltre di un becco lungo e arcuato, di ali di media lunghezza e di piedi piuttosto corti, ma robusti. Ai lati del petto presenta, inoltre, dei ciuffi di penne che, nella posizione di riposo, stanno adagiate sulle ali e possono essere sollevate a ventaglio. E' di grandi proporzioni: la sua lunghezza si avvicina al metro, ma occorre considerare che oltre sessanta centimetri fanno parte della coda. Il capo è coperto di piccole piume squamose e rotonde di colore verde bronzeo con riflessi azzurri o dorati; sul collo le piume assumono, posteriormente, una foggia allungata e filamentosa, e il loro colore è nero e vellutato. Tale è pure il colore del dorso, mentre le parti inferiori sono nero-violette. Becco e gambe sono neri. Le femmine hanno la parte superiore del capo e la nuca di color cannella, e per il resto non differiscono dal maschio se non per il tono meno vivace della colorazione. L'Epimaco dalla Lunga Coda, molto raro nelle collezioni (ma questa è una condizione che si ripete pressoché per tutti i componenti di questa famiglia) vive in tutta la parte settentrionale della Nuova Guinea, ad eccezione delle isole.

ASTRAPIA (Astrapia gularis)

Questo uccello, bellissimo e raro, misura in lunghezza circa settantacinque centimetri, quasi cinquanta dei quali fanno parte della lunga coda. E' distinto da due ciuffi caratteristici, che sporgono a ventaglio su ciascun lato della testa, dal becco di media lunghezza, dritto e intaccato presso la punta, ma privo di setole e di piume alla radice, da ali non molto lunghe e da forti gambe. Le piume, nelle parti superiori, sono nere con magnifici riflessi porporini; la sommità del capo è rosso giacinto con estremità verdi, mentre tutta la parte inferiore del capo è verde. Una fascia rosso giacinto parte dall'occhio e termina in giro sotto la gola; e il becco ed i piedi sono neri. L'Astrapia, sulla quale non si hanno notizie molto particolareggiate, è diffusa nelle isole Molucche, e specialmente quella di Obi.

CORVI

La famiglia dei Corvi comprende alcune delle specie più grandi dell'ordine dei coracirostri, e ripete nelle caratteristiche dei suoi componenti tutti i tratti più tipici di esso. I caratteri principali sono costituiti dalla notevole mole del becco, che è forte, incurvato ma raramente con la mascella superiore foggiata ad uncino, e fornito di margini dentellati e taglienti; dalle ali non molto lunghe e tondeggianti, dalla coda ora squadrata ora puntuta, dalle piume abbondanti e splendenti, che di solito alla base del becco assumono una consistenza pelosa o setolosa. I Corvi dimorano, praticamente, in tutti i Continenti, spandendosi in ognuna delle loro regioni ed a qualsiasi altezza: sì può solo dire che, quanto più ci si addentra nelle zone temperate, tanto più si accresce il numero delle specie esistenti. Per solito sono uccelli stazionari, che si limitano a percorrere con escursioni i luoghi in cui vivono e si moltiplicano: anche i pochi che migrano non lo fanno attraverso viaggi di grande respiro. Quanto ai costumi, s'è accennato al fatto che racchiudono un po' tutte le caratteristiche del loro ordine: eccezion fatta per il canto, per il quale non hanno alcuna disposizione, possiedono sensi assai svegli e sviluppati, primo tra tutti un finissimo odorato; camminano con facilità, volano senza sforzo e con discreta velocità. In generale, mettono a profitto nel modo più idoneo tutte le doti che possiedono per adeguarsi all'ambiente vitale, e le specie più grandi gareggiano, in questo, anche con i rapaci.

GRACCHIO ALPIGINO o GRACCHIO CORALLINO (Pyrrhocorax pyrrhocorax)

Si differenzia da tutti gli altri corvi per la forma del becco, che è allungato, sottile ed arcuato. La sua lunghezza è di circa trentasette centimetri, l'apertura alare ne misura quasi ottanta; le singole ali sono di circa ventotto centimetri, e la coda è sui tredici. La femmina è appena più piccola, e, come accade per tutta la famiglia, è piuttosto difficile distinguerla dal maschio. Il piumaggio è nero, lucido e splendente, l'occhio bruno scuro, il becco e il piede rosso corallo. I giovani si distinguono per la mancanza di splendore delle piume, nonché per il colore nericcio del becco e dei piedi. Il Gracchio Alpigino è diffuso in tutte le Alpi europee, dai Carpazi ai Pirenei, e lo si incontra anche sui rilievi indiani e nell'isola di Giava. In genere, le zone che mostra di preferire sono quelle più elevate, al limite delle nevi perpetue e povere di vegetazione; ma scende anche ad altezze minori, specialmente quando è indotto a farlo dalla scarsezza di cibo. Gli individui si tengono in gruppi molto numerosi, che raggiungono i quattrocento o i seicento componenti, e non si muovono dai luoghi che hanno scelto per effettuare delle migrazioni vere e proprie: al massimo compiono delle escursioni, abbandonando le vette eccelse nel corso della stagione più rigida, e cercando nelle basse valli i mezzi di sopravvivenza. Di carattere prudente e di aspetto snello ed elegante, volano con grande abilità, ondeggiando e volteggiando; e i densi stuoli si abbattono spesso sui campi arati di fresco, oppure nei pressi delle fonti e dei corsi d'acqua dove scendono a dissetarsi. In genere, la loro giornata inizia al le prime luci dell'alba, allorché escono dai rifugi tra le rocce in cerca di cibo; verso le nove si riportano al punto di partenza e vi si trattengono fino al momento in cui sentono il bisogno di abbeverarsi. La seconda uscita li porta anche a una nuova ricerca di alimenti, e solo quando incomincia a farsi sentire il caldo delle ore pomeridiane riprendono la via delle spaccature ombrose. Il riposo non è ad ogni modo così esclusivo da impedir loro di tenere costantemente d'occhio i luoghi circostanti, per cogliervi ogni segno di pericolo, oppure la presenza di qualche preda; e in questo senso il Gracchio Alpigino si mostra estremamente coraggioso, attaccando altri animali anche di mole superiore, inseguendoli per lunghi tratti finché non li abbia raggiunti ed uccisi. Dopo un'ultima uscita pomeridiana, la sua giornata si conclude con il definitivo ritorno alle tane rocciose per trascorrere al loro riparo le ore della notte. Nella ricerca del cibo, questi uccelli mostrano di saper fare ottimo uso del loro becco ricurvo. Rivolgono il loro interesse quasi unicamente agli insetti e, solo eccezionalmente, ammettono nella dieta sementi e sostanze vegetali; e con il lungo becco sollevano le pietre sotto cui si celano gli animaletti preferiti, ragni, locuste e scorpioni, snidandoli anche dal terreno smosso sempre con il soccorso della loro utilissima appendice. Il tempo della riproduzione, che si apre con l'inizio della primavera, non li induce a sciogliere del tutto le loro abitudini al vivere socievole, nelle quali rientrano, tra l'altro, le straordinarie dimostrazioni di coraggio che essi sono pronti ad offrire quando si tratti di venire in soccorso di compagni in pericolo. Il nido viene posto nelle fessure delle rocce, scegliendo sempre quelle che offrono le maggiori garanzie di inaccessibilità, e quindi di sicurezza; ed è di mole abbondante, composto di fieno e steli secchi e tappezzato internamente di muschio. Le uova, che la femmina vi depone, variano in numero da tre a cinque, e si presentano a fondo bianchiccio o giallo sporco, con punti e macchie scure. Alla cova provvede esclusivamente la femmina, che il maschio si incarica di alimentare; mentre invece alle pesanti necessità della nutrizione dei figli che vengono alla luce dopo circa diciotto giorni e sono molto voraci, si dedicano entrambi i genitori. Nella famiglia dei corvi, che tutti si adattano abbastanza facilmente alla vita in gabbia, il Gracchio Alpigino è probabilmente quello che presenta il maggior grado di capacità di assuefazione. Certo, tra le doti che lo raccomandano agli amatori, non si può porre il canto, che è un monotono e stridulo gracchiare, ma a questa lacuna, che del resto è caratteristica di tutti gli appartenenti alla sua famiglia, esso sopperisce con il suo buon carattere, con la mobilità incessante, con la capacità di affezione che dimostra nei confronti dei padroni. Le osservazioni, che si sono fatte al riguardo, sono numerosissime, ed esistono dettagliate relazioni stilate dai proprietari di diversi soggetti, che ne mettono in luce le eccellenti qualità, e l'interesse che esso invariabilmente suscita negli uomini, che lo tengono presso di loro. Con un minimo di libertà e di possibilità di movimento, il Gracchio Alpigino si mantiene sempre di umore eccellente, vive tranquillo e, se ben curato, è persino in grado di riprodursi. Il suo cibo preferito è la carne, ma non tarda ad accogliere nella propria dieta anche alimenti tipici dell'uomo, come il pane e il formaggio. Non perde la sua abituale vigorìa e il coraggio, per cui è giustamente famoso, ed anche in gabbia, se gli vengono accostati piccoli mammiferi e uccelli di taglia anche non inferiore alla sua, si dimostra battagliero e riesce quasi sempre ad averne ragione, uccidendoli e cibandosene.

GRACCHIO ORDINARIO (Pyrrhocorax graculus)

E' molto simile al precedente, del quale ripete le misure: le differenze stanno nel becco, che è giallo e più robusto, e in lunghezza non supera quella del capo, e nelle piume, il cui colore nero piuttosto che splendente è vellutato, e meno definito negli individui giovani. Il piede di questi ultimi è giallo, mentre gli adulti lo hanno rosso. Il regno del Gracchio Ordinario è costituito dai vertici alpini. Gli individui si trovano riuniti in grandi stuoli che litigano e schiamazzano, muovendosi di roccia in roccia, elevandosi in volo fino a grandi altezze per poi calare, con ampie volute, nei luoghi stessi da cui sono partiti. Nelle Alpi si trovano dovunque, dalle praterie al di sopra del limite dei boschi fino alle rupi nude, che spiccano tra le nevi perpetue, e arrivano fino alle altezze estreme, là dove non giungono neppure le pernici della neve, o i fringuelli alpini. Per chi viaggia tra le immense solitudini dell'alta montagna, il loro grido acuto e monotono è l'unica voce della natura, così come l'unico spettacolo è quello che essi offrono mentre sono intenti a scavare sotto la neve alla ricerca degli insetti. In un certo senso, quindi, il Gracchio Ordinario si direbbe che porti all'estremo le caratteristiche d'abitudine già descritte per la specie precedente; e questo avviene, oltre che per quanto riguarda i luoghi scelti a dimora, anche relativamente agli altri costumi. Così, anche il Gracchio Ordinario è uccello stazionario, che si decide ad abbandonare i picchi più elevati soltanto se il cibo vi è del tutto introvabile, e lo fa sempre con escursioni limitate nello spazio e nel tempo. Il cibo è a prevalente base animale: nello stomaco dei soggetti uccisi si sono trovate grandi quantità di insetti e di chiocciole, e solo durante la stagione della carestia è possibile rintracciarvi delle sostanze vegetali, bacche, gemme e foglie aghiformi di pino. Questi uccelli sono, inoltre, avidissimi di animali più grandi, ai quali danno pervicacemente, violentemente la caccia spezzandone il cranio con il becco robusto per divorarne avidamente le cervella. Molto coraggiosi, son persino capaci di inseguire i cani del cacciatore; e il naturale istinto alla socievolezza non riesce a frenare le battaglie intestine per la divisione del bottino raccolto, che si spiegano attraverso zuffe violente per sottrarsi a vicenda i bocconi più prelibati. Il che non esclude affatto il mutuo soccorso nei casi di pericolo, né le lamentose dimostrazioni di dolore al cospetto dei compagni uccisi o feriti. I gracchi ordinari nidificano in comune nelle anfrattuosità rocciose alle altezze meno accessibili, e i nidi sono larghe e piatte costruzioni sommariamente intessute; le uova sono ordinariamente cinque, di fondo cinerino con macchie più scure. L'abitudine a tenersi vicini anche nel periodo della riproduzione si accompagna a quella di non variare rifugio attraverso le generazioni, cosicché intorno alle rocce prescelte e sul suolo si trovano a volte depositi di escrementi che raggiungono i trenta centimetri di spessore. Anche in cattività questo uccello ripete, accrescendole d'intensità, le caratteristiche osservate nel gracchio alpigino: estremamente adattabile, dopo poco tempo ed acquisita una certa confidenza con i padroni, può essere anche lasciato libero di muoversi e di circolare, senza che esista il rischio di vederselo sfuggire. Accetta i cibi più svariati, ed è molto divertente vederlo affaccendato nel costituire veri e propri depositi di cibo con gli avanzi dei pasti e con quanto gli viene somministrato in abbondanza; spesso si pone immobile a fare da guardiano di fronte ad essi, e chiunque si avvicini, uomo o animale, provoca il suo risentimento, che si manifesta in attacchi violenti, portati con le ali aperte, le penne arruffate e la testa bassa, e in poderosi colpi di becco. Peraltro, la sua natura si mostra nei confronti dei padroni straordinariamente affettuosa e docile. Quando si è molto affezionato, rivela per l'uomo un attaccamento pari a quello degli animali più domestici, manifestando la sua gioia ogni volta che lo vede comparire, festeggiandolo e correndo ad appollaiarsi sulle sue spalle; e anche nel canto riesce a trovare accenti che, pure sempre compresi entro le limitate possibilità espressive della famiglia cui appartiene, non mancano di modulazione e di dolcezza. Tutto questo non deve far credere che la cattività spenga completamente la sua fierezza naturale: se si affeziona al padrone, non se ne considera però in alcun modo lo schiavo, e quando lo si voglia obbligare a far qualcosa che è contraria alla sua natura, si ribella, manifestando tutta la sua violenza.

CORVO IMPERIALE (Corvus corax)

Questo uccello può essere considerato il vero e proprio tipo della famiglia dei corvi. Si presenta con il becco grande e più o meno incurvato, coperto alla base di nere piume setolose, piedi molto robusti e un piumaggio folto e serrato: il corpo è allungato e le ali grandi e lunghe. La sua lunghezza complessiva supera i sessanta centimetri, e l'apertura alare si aggira sul metro e trenta; mentre le singole ali son lunghe circa quarantacinque centimetri, e la coda tocca i trenta. Il colore è nero uniforme, con l'eccezione dell'occhio che dà nell'azzurro negli adulti e nel grigio chiaro nei giovani. Il Corvo Imperiale è la specie più diffusa della famiglia cui appartiene. Lo si incontra in Europa, nella maggior parte del Continente asiatico e nell'America settentrionale. In certe regioni non è molto diffuso, come ad esempio nell'Europa centrale ed occidentale e in Italia è più facile trovarlo in Sardegna che altrove. Sceglie a dimora i luoghi in cui il bosco si alterna col prato, e i campi con le acque; il litorale del mare lo ospita così come i rilievi non troppo elevati, ed in genere la scelta della residenza obbedisce esclusivamente a criteri pratici, cioè alla facilità di reperimento del cibo. Di solito, i corvi imperiali vivono in coppie, anche durante l'inverno, con tendenza a riunirsi in piccole famiglie, nelle quali non sono mai compresi, tuttavia, gli uccelli affini; in questo senso, essi sono grandemente odiati da tutte le altre specie di corvi, che dan loro aspra battaglia per allontanarli e spegnere qualunque tentativo di associazione. Del tutto isolati non restano, comunque, che gli individui giovani, non ancora arrivati alla riproduzione, perché gli altri, una volta che le coppie si sono formate, non si lasciano più e trascorrono assieme tutta la vita. Il volo è sempre agilissimo ed elegante, accompagnato, quando è rapido, da un forte battere d'ali. Spesso aleggiano lungamente, descrivendo ampie volute nel cielo, per poi precipitare improvvisamente con repentini mutamenti di direzione; in generale, il loro modo di muoversi nell'aria ricorda quello dei rapaci, e si distingue nettamente da quello di tutti gli affini. Sul terreno incedono quasi con sussiego, tenendo la parte anteriore del corpo più alta della posteriore, dondolando e piegando il capo; sui rami stanno in posizione ora verticale, ora quasi orizzontale; e sempre, quando non volano, tengono le ali alquanto distanti dal corpo, pronti a rizzare le penne del capo e del collo nei momenti di eccitazione. Nella loro indole fa spicco la prudenza: non scendono mai sul terreno se prima non l'hanno esplorato dall'alto in ogni particolare, si tengono sempre lontani dall'uomo, con il quale rifiutano qualunque dimestichezza, salvo che in luoghi e in circostanze del tutto particolari, e anche nel nido sono sempre all'erta, disposti ad abbandonarlo appena si accorgano che esso è stato scoperto e può diventare pericoloso. Il Corvo Imperiale è dotato, ancora, di grande astuzia, e ne fa uso specialmente per procurarsi il cibo: tanto che lo si può paragonare a quel che è la volpe tra i mammiferi, paragone che regge anche se si pone mente al tipo di cibo che predilige. Non è facile trovare un altro uccello cui si attagli meglio che a questo l'appellativo di onnivoro: inghiotte tutto ciò che può essere inghiottito, frutti, semi ed altre sostanze vegetali di ogni specie, ma soprattutto, è un predone di prim'ordine, e nei modi in cui si batte per procurarsi il cibo animale, si comporta con una forza, con un'energia che, anche tenendo conto della sua mole, sono veramente sorprendenti. Non si accontenta degli insetti, dei vermi e dei piccoli vertebrati, ma attacca anche uccelli e mammiferi di forza superiore; deruba sfacciatamente i nidi per sé e per i suoi piccoli, senza indietreggiare nemmeno di fronte a quelli, violentemente difesi, dei gabbiani. Non c'è praticamente animale che possa dirsi al sicuro dai suoi attacchi, perché dal topo alla lepre, dal gallo di montagna a quello domestico, dai fagiani ai pesci che va a cercare sulle rive del mare, tutti lo interessano e tutti è pronto ad uccidere. Nell'inverno giunge a rubare il cibo, nei cortili, ai cani ed ai gatti, e in primavera si lancia sugli agnellini appena nati per ghermirli: si posa persino sulle piaghe dei buoi e dei cavalli, e qui lavora di becco senza darsi pensiero delle contorsioni cui quelli si lasciano andare per sbarazzarsi di lui. In piccoli drappelli, i corvi imperiali seguono le aquile, e sebbene non osino attaccarle, non le perdono di vista, sperando di poter approfittare degli avanzi dei loro pasti. Per cibarsi, infatti, essi non sdegnano affatto le carogne e le carni putrefatte, che scovano dall'alto guidati soprattutto dalla vista, perché quanto ad odorato non sembrano essere granché dotati. Coraggiosissimi oltre che violenti, seguono i passi dei cacciatori per sottrarre le loro prede, e in una cosa ancora richiamano la rassomiglianza con le volpi, nell'abitudine, cioè, di costituire dei piccoli depositi di cibo da sfruttare nei periodi di carestia. Aggiungiamo alla loro naturale voracità quella, veramente straordinaria, dei piccoli nati, che spinge i genitori a moltiplicare le loro azioni predatrici specie nei confronti delle nidiate, e avremo la spiegazione dell'odio, da cui è generalmente circondata questa specie di uccelli; in realtà, si tratta di una avversione ragionevole, perché oltretutto, i suoi componenti sono degli ostinati devastatori di orti e giardini. D'altra parte, l'astuzia, il coraggio e la forza, da cui sono distinti, han fatto sì che valutazioni completamente diverse venissero date a volte di loro: alcuni popoli li ebbero in passato in grande venerazione, altri ancora non li ritengono poi così nemici e dannosi da non dar loro una certa confidenza, di cui subito essi approfittano. I corvi imperiali sono tra i più solleciti nel disporsi alla procreazione il periodo degli amori incomincia per loro mentre ancora dura l'inverno. Subito si apprestano alla costruzione del nido, collocato tre le rupi o sulle cime degli alberi più alti. Anche in questa operazione essi non smentiscono la singolare diffidenza che li distingue, adoperando la massima cautela nell'avvicinarsi al luogo prescelto, e abbandonando del tutto la costruzione se appena hanno sentore della vicinanza dell'uomo. I nidi sono molto ampi, con un diametro che spesso si avvicina al metro e una cavità profonda almeno trenta centimetri: la base è formata di robusti ramoscelli, che all'interno si vengono progressivamente assottigliando, fino alla zona destinata ad accogliere le uova e i piccoli, completamente rivestita di muschio, licheni e lana di pecora. Le pareti sono spesse e robuste, come dimostrano le misurazioni compiute: la cavità interna, infatti, non supera in diametro i venticinque centimetri, e i dodici-tredici in profondità. In essa la femmina depone le uova, quattro o cinque, piuttosto grosse e segnate di macchie brune e grigie sul fondo verdiccio. Alla cova si dedica essa sola, mentre ad alimentare i voracissimi pulcini devono concorrere entrambi, e con grande fatica. Per quanto i Genitori si affannino, recando loro vermi, insetti, uova e carni putrefatte, i piccoli non cessano per un istante di chiedere cibo; e le cure che essi richiedono sono molto prolungate, perché anche dopo che hanno lasciato il nido hanno bisogno della guida e dell'insegnamento degli adulti, e solo verso l'autunno diventano del tutto indipendenti. In prigionia, i corvi imperiali, oltre a vivere abbastanza bene e tranquillamente, possono essere indotti a variare l'indirizzo negativo dei loro principali caratteri, affinandoli nel contatto con l'uomo, ma soprattutto volgendoli a fini di qualche utilità. La forza e l'astuzia, per esempio, possono dimostrarsi utili per farne degli animali di difesa, e più in generale possono rivelare al padrone o allo studioso aspetti non del tutto noti dell'indole, e magari abbastanza divertenti e sconcertanti. Con gli uomini e con gli animali domestici fanno agevolmente amicizia, e si inducono anche a riprodurre i suoni dell'ambiente in cui vivono e magari addirittura quelli della voce umana; non troppo esigenti nel cibo, danno inoltre continuamente prova della notevole intelligenza che li distingue. Ma è ben raro che non riaffiori la loro naturale tendenza alla malvagità e alla violenza, e allora uccidono gli animali domestici, rubano e nascondono gli oggetti rubati, e possono diventare estremamente pericolosi, specialmente se nelle case che li ospitano ci siano dei bambini, quando, dopo il periodo di ambientazione, riprendono il loro costume di vita, estremamente selvatico e privo di qualsiasi affettuosità.

Un corvo

Un corvo

CORVO AVVOLTOIO (Corvultur crassirostris)

E' da considerare il rappresentante africano del corvo imperiale, del quale è ancora più grande e più ladro. Il suo becco è di singolare grossezza, compresso ai lati e fortemente incurvato al culmine, le ali sono lunghe e la coda notevolmente graduata. Le sue grandi misure sono comprese tra il metro circa della lunghezza, i più che quaranta centimetri di ciascuna delle ali e ventitré centimetri della coda; mentre l'apertura alare non di rado è superiore a due metri. Quanto ai colori, anche in questa specie prevale il nero, ma la nuca è bianca a causa di una macchia piriforme che raggiunge la sommità del capo; ai lati del collo vi sono dei riflessi porporini e sulle ali al nero generale è mescolata qualche sfumatura castana. Il becco che ha sulla punta una macchia bianca, per il resto è del tutto nero e dello stesso colore sono le estremità inferiori: l'occhio, invece, è bruno castano. Il Corvo Avvoltoio è diffuso nell'Africa orientale e, più raramente, in quella meridionale, scegliendo di preferenza le zone elevate come quelle dell'altipiano abissino. Gli individui si riuniscono in brigate non molto numerose, e cercano il loro alimento tra gli insetti, gli animali di non grande robustezza e la carne putrefatta. Viene definito come un uccello vorace, sfacciato e insocievole, e in generale le sue abitudini richiamano molto da vicino quelle del corvo imperiale. Dà la caccia agli animali viventi, attaccando le pecore e le giovani gazzelle e inseguendo persino le mandrie di buoi e di bufali, per i quali, se fosse appena più forte, potrebbe riuscire estremamente pericoloso; e poiché non può competere con essi in battaglia, si accontenta di divorarne le carogne, oppure di posarsi sui loro corpi quando siano feriti ed infetti, tormentando le piaghe con il becco. Non è raro che, quando si ponga sulle tracce della carne putrefatta, chiami a compagni un gran numero di suoi simili, nel qual caso si costituiscono dei numerosi e chiassosissimi stuoli. Nelle famiglie in cui normalmente si trattiene, a volte, si inseriscono anche altri corvi, che prediligono lo stesso genere di cibo. Riguardo alla procreazione, i corvi avvoltoi vi si dedicano all'incirca verso il mese di ottobre, nidificando sui rami degli alberi; le costruzioni sono fatte di grossi ramoscelli, e tappezzate all'interno di sostanze più morbide. Le uova sono quasi sempre quattro, di fondo verdiccio con macchie brune.

CORVO DALLO SCAPOLARE (Pterocorax scapulatus)

Lungo circa quarantacinque centimetri, con le ali di trentadue e la coda di quindici, questo uccello è distinto da un piumaggio nero lucido, che si interrompe sulla parte superiore del petto e in una fascia che circonda la nuca, entrambe bianche e dall'apparenza del raso. L'occhio è bruno chiaro e piedi e becco sono neri. Lo si trova diffuso in gran parte dell'Africa, più in pianura che in montagna, e solitamente a coppie: a volte forma delle piccole società che, tuttavia, non durano mai molto a lungo, mentre gli stuoli numerosi non lo attraggono. E' un uccello elegante, dal volo rapido e leggero; le ali acute e la coda arrotondata gli danno quasi l'aspetto di un falco, e anche sul terreno si muove con estrema sicurezza e facilità. Non è eccessivamente timido e non si tiene lontano dall'uomo: spesso si avvicina alle carovane, e nei villaggi del Sahara è un ospite abituale, messo in sospetto solo dalla presenza di persone che, per l'apparenza o l'abbigliamento, gli riescono nuove, come potrebbe essere degli europei. Il suo nido viene costruito sugli alberi isolati o nei boschi poco folti, e in esso, nei primi mesi della stagione delle piogge, la femmina depone da tre a quattro uova non dissimili da quelle degli altri corvi. Nel difendere la prole i genitori danno prova di grande coraggio, non esitando ad attaccare l'uomo, qualora questi si proponga di minacciare la incolumità dei piccoli.

CORNACCHIA o CORNACCHIA BIGIA (Corvus cornix)

La Cornacchia si distingue da tutti gli altri corvi per la mole relativamente piccola del becco, per le piume molli e poco lucide e per la coda rotonda e non graduata. Detta anche Cornacchia Bigia o Mulacchia, essa è di colore nero sulla testa, sulla parte anteriore del collo; sulle ali e sulla coda; mentre il resto delle piume è grigio-cinerino chiaro. Le sue misure: lunghezza circa cinquanta centimetri, apertura alare fino ad un metro, ali poco più lunghe di trenta centimetri e coda sui venti. Questo uccello è indigeno del settentrione, ma oltre che in Scandinavia e nella Germania settentrionale, si è diffuso anche nell'Europa meridionale, e lo si trova pure nell'Africa del nord, nell'Afganistan e nel Giappone. In Italia è molto comune. Di abitudini stazionarie, le cornacchie vivono normalmente in coppie che si limitano a compiere escursioni nei distretti che hanno scelto per residenza; può succedere negli inverni particolarmente rigidi, che esse siano spinte dal bisogno di cibo a fare delle migrazioni verso il sud, ma la cosa è abbastanza infrequente. Le loro zone preferite sono i boschi non troppo folti e anche, quando non siano rese diffidenti dalle insidie, le località prossime a quelle in cui vive l'uomo, e l'interno stesso delle città e dei paesi. Camminano con facilità, vacillando alquanto, ma senza sforzo, e nel volo sono abili e leggere; i loro sensi sono molto sviluppati, specie per quanto riguarda la vista, l'udito e l'odorato. In generale, ripetono in piccolo le abitudini degli affini maggiori, ivi compresa la tendenza a muovere guerra ai piccoli animali, ma siccome, per la loro mole, si devono accontentare veramente dei più ridotti, finiscono per dirigere la loro forza contro quelli che, in fondo, sono molto dannosi all'agricoltura, e quindi si rendono benemerite nei confronti dell'uomo. Si può dire che siano tra gli uccelli più utili: la lotta che conducono contro i piccoli vertebrati e gli insetti nocivi è spietata, e in tal modo essi contribuiscono validamente alla difesa dei raccolti. Non si può dire, sfortunatamente, che l'uomo si renda granché conto di questa loro utilità: avendo l'occhio solo ai danni che producono, rubando delle uova o facendo qualche guasto agli orti ed ai frutteti, egli le combatte aspramente, perseguitandole perfino con l'offrire dei premi a chi le distrugga in maggior numero.

Cornacchia bigia

Cornacchia bigia

Allo spuntare del giorno, le cornacchie si concentrano in buon numero sugli alti alberi o sugli edifici, tra i quali hanno trascorso la notte, e di lì partono alla ricerca del cibo. Le loro abitudini giornaliere non sono molto diverse da quelle comuni a tutti gli uccelli: anche esse dedicano la mattina alla nutrizione, le ore più calde al riposo, il pomeriggio ad una ulteriore sortita per poi riguadagnare, con il calare della sera, i luoghi abituali. La caccia al nutrimento si svolge con pazienti ricerche di insetti nei campi, nei prati, lungo le rive dei fiumi e dei ruscelli, nonché con improvvisi attacchi alle tane dei topi e ai nidi delle specie minori. Qualunque elemento di disturbo è sufficiente a far scattare i meccanismi d'allarme: se si tratta dell'uomo non c'è altro scampo che la fuga, ma se il nemico è un uccello da preda esse, forti del loro numero, non esitano ad attaccarlo e a metterlo in fuga. Molto prudenti, si accostano alle sedi notturne dopo averle minuziosamente esplorate, e in esse si tengono nel massimo silenzio per tutto il periodo del riposo. I primi segni dell'amore si manifestano a febbraio e a marzo. Le coppie divengono più unite e affiatate, il maschio fa la corte alla sua compagna con strani atteggiamenti e inchini, allargando comicamente le ali. Il nido, fabbricato di nuovo o restaurato su quello degli anni precedenti, è posto tra i rami degli alberi elevati o nelle fenditure dei vecchi edifici, ed è simile a quello del corvo imperiale anche se, naturalmente, in scala largamente ridotta. La base è composta di ramoscelli secchi, le pareti di erbe e radici, che spesso vengono cementate assieme con uno strato argilloso; e all'interno con steli, muschio, crini di varie specie e lana, il costruttore cerca di assicurarsi la massima comodità. La femmina depone generalmente le uova nella prima metà d'aprile, e sono in numero variabile da tre a cinque, raramente sei; sul fondo verdiccio o azzurrognolo mostrano punti e macchie di diverse tonalità più scure. Solo la madre si occupa della cova, assistita dal compagno che le tiene compagnia e si preoccupa di alimentarla. Entrambi, poi, si dedicano ai nuovi nati, nutrendoli e difendendoli con grande coraggio. Tra i principali nemici delle cornacchie, il primo posto è tenuto dal gufo reale, che le assale durante la notte, quando esse hanno poca possibilità di difesa: per questo, tra le due specie esiste un odio acerrimo, e se i vuoti, che i gufi producono tra le file delle avversarie, sono notevoli, non è meno vero che quando le cornacchie ne sorprendono qualcuno alla luce del giorno, lo attaccano a branchi serrati, senza concedergli via di scampo. Esse devono tuttavia stare in guardia anche contro le volpi, le faine ed i falchi; e temono, si capisce, l'uomo e le sue armi micidiali, assieme alla tendenza a catturarle per tenerle in schiavitù. A questa condizione, del resto, si adattano con una certa facilità, e imparano persino a ripetere i suoni della voce umana. Non si liberano, naturalmente, dal vizio di rubare e di nascondere, e spesso possono diventare pericolose anche per i cani e i gatti giovani e per il pollame. Né si può dire che siano granché piacevoli, per la loro tendenza ad insudiciarsi a dispetto di tutte le cure di chi le ha in custodia.

CORNACCHIA NERA (Corvus corone)

Nelle misure, nell'aspetto e nelle abitudini di vita è perfettamente uguale alla precedente: a distinguerla vale il colore, che è nero con riflessi brunicci e porporini. Ma soprattutto diverse sono le zone che abita: Germania, Francia, gran parte dell'Asia soprattutto in Siberia, e persino l'isola di Giava. Anche quando i distretti abitati dalla specie precedente confinano con i suoi, è raro che le si trovi mescolate, i limiti sono sempre segnati piuttosto nettamente: per questo, se per qualche tempo si è pensato di poterle far risalire ad una specie unica, differenziata dalle diverse condizioni climatiche, alla fine si è dovuto constatare che era scientificamente più esatto distinguerle nettamente. Ciò non toglie che quando gli individui di sesso diverso, appartenenti alle due famiglie, vengono in contatto si possano anche unire tra loro, dando luogo a degli incroci. Nulla di ulteriore c'è da aggiungere sulla vita e sui costumi della Cornacchia Nera: come s'è accennato, la coincidenza con quelli della cornacchia è completa ed assoluta.

CORVO (Corvus frugilegus)

Il Corvo propriamente detto si distingue dalle cornacchie per la conformazione più svelta, il becco allungato e, negli individui adulti, la faccia nuda, e ciò deriva dall'abitudine a frugare nel terreno. La sua lunghezza è di circa cinquanta centimetri, ha un'apertura d'ali che è di poco inferiore al metro, le singole ali di circa trentacinque centimetri e la coda di venticinque. Negli individui adulti, il piumaggio è nero uniforme, con riflessi porporini e azzurrognoli; i giovani, oltre ad avere la faccia regolarmente ricoperta di piume, sono di un tono meno accentuato di nero. Il Corvo abita le pianure dell'Europa settentrionale, il sud della Siberia, ed alcune regioni asiatiche meridionali, come il Cashmir e l'Afganistan. Nell'Europa del sud e nell'Africa settentrionale compare soltanto durante i mesi invernali, nel corso delle regolari migrazioni che compie e per le quali si distingue dalle specie affini menzionate finora. Soggiorna di preferenza tra i boschi non molto folti, ma è facile trovarlo anche nei luoghi abitati. tra gli alberi e le vecchie costruzioni. Meno aggressivo dei suoi affini maggiori, è altrettanto abile nel camminare e forse anche più veloce nel volo, e molto più di essi si mostra socievole con i suoi simili e con alcune specie di uccelli anche non appartenenti alla sua famiglia, costituendo spesso dei branchi assai numerosi, che mantengono l'abitudine alla vita comunitaria in tutte le circostanze e in ogni periodo dell'anno, compreso quello della riproduzione. Di solito, è considerato un uccello noioso e ingombrante, soprattutto perché le grandi colonie, che costituisce all'interno dei centri abitati, finiscono per rendersi insopportabili, insudiciando i giardini e riempiendo l'aria del loro infaticabile gracchiare; gli si rimprovera anche l'abitudine di rubare nei campi e nei frutteti, e di attaccare qualche volta eli animali più deboli. Ma questi difetti sono largamente compensati dalla assidua opera di distruzione che il Corvo compie tra gli insetti nocivi, soprattutto tra gli scarafaggi e tra i topi. In queste utili occupazioni si dimostra instancabile: guidato da un odorato finissimo, esplora minuziosamente gli alberi e il terreno, liberando dagli insetti nocivi i rami e i tronchi, le messi, i solchi appena tracciati dall'aratro; e si pone pazientemente in attesa presso le tane dei topi, spesso attaccandole a gran colpi di becco per farne uscire gli abitanti ed ucciderli. Con tutto ciò, l'uomo si ricorda dei corvi solo per odiarli e perseguitarli in tutti i modi, secondo una consuetudine che non è azzardato definire incivile, oltre che autolesionista, ma giocano in questo molti pregiudizi abitudini tramandate senza che mai nessuno abbia pensato di sottoporle a qualche giudizio critico, che sarebbe servito a mutarne completamente il contenuto. Fatto sta, che in certe regioni, le indiscriminate uccisioni di questi uccelli hanno fatto toccare con mano una improvvisa recrudescenza dei danni prodotti alle colture dagli insetti e dai parassiti; ma se queste osservazioni concrete hanno in qualche luogo contribuito a determinare una diversa valutazione dell'utilità dei corvi, esse hanno appena scalfito la generale avversione che gli uomini sembrano nutrire nei loro riguardi. I nostri uccelli nidificano, come abbiamo accennato, senza sciogliere i vincoli di solidarietà che li legano: con l'inizio della stagione degli amori, migliaia di individui si riuniscono in uno spazio limitato, generalmente entro i confini di un boschetto, e qui producono un fracasso infernale, composto dalle voci dei maschi e delle femmine eccitati. Anche quando le coppie si sono formate (quelle nuove, poiché, se nessun fatto irreparabile si verifica, le unioni tra i corvi di sesso diverso si protraggono per tutta la vita), seguitano a risiedere le une presso le altre, costruendo i loro nidi l'uno vicino all'altro: spesso lo stesso albero ne porta quindici o venti. Terminata l'opera di costruzione, sottolineata dai continui litigi causati dal reciproco tentativo di sottrarsi i materiali, subentra una quiete relativa: le femmine si ritirano all'interno del nido e vi depongono da quattro a cinque uova, verdicce e segnate di macchie brune o cinerine. Ma è una tranquillità destinata a finire presto: appena i piccoli sono nati, essi aggiungono al coro generale le loro voci inquiete per richiedere instancabilmente il cibo. Il disturbo in certi casi è tale che si può comprendere, anche se non giustificare, l'assunzione da parte degli uomini di misure draconiane per allontanare gli insopportabili vicini: in alcuni casi, si è arrivati ad usare i soldati in pieno assetto di guerra per spaventare, costringendoli a cambiare sede, certi gruppi che avevano preso dimora nei giardini al centro delle città. Ma spaventare i corvi è tutt'altro che facile, specie quando essi sentano l'inderogabile dovere di assistere e difendere la prole. L'unico sistema sicuro, anche se inumano, per liberarsene, è quello di procedere scientificamente e metodicamente alla distruzione dei nidi. Uno degli spettacoli più grandiosi che questi uccelli offrono all'uomo è certo quello delle loro migrazioni. Le colonie possono già essere numerose e disturbanti, ma quando si avvicina l'inverno i branchi, che si costituiscono, ospitano al loro interno decine e decine di esse. Sono masse di migliaia di individui che prendono il via verso i climi più dolci, spiegando tutta la loro abilità nei voli, che durano, a volte, per giorni e giorni. E non sempre la méta, cui aspirano, si dimostra accogliente come essi avevano immaginato: succede spesso che i Paesi di immigrazione, e soprattutto l'Africa, non dispongano che in misura del tutto insufficiente di quel cibo che per essi è necessario, e così centinaia di individui vi trovano la morte, perdendo ogni possibilità di far ritorno in patria. In gabbia, i corvi sono molto rari: benché non siano, in questo senso, meno duttili e disponibili dei loro affini, offrono per l'uomo minori attrattive, e questo, assieme con l'eco dei molti pregiudizi, che li riguardano, spiega lo scarso interesse esistente nei loro confronti.

TACCOLA (Coloeus monedula)

Caratterizzato da un becco breve, forte e poco adunco nella mascella superiore, questo uccello misura in lunghezza dai trenta ai trentadue centimetri, ha ali di venti centimetri e coda di dodici; ad ali spiegate supera i sessanta centimetri. Le piume sono nero-brune sulla sommità della testa e sulla fronte, cinerine sulla nuca, e nere variamente sfumate verso l'azzurro e di color ardesia sul resto del corpo. Il becco ed i piedi sono neri, e l'occhio bianco; i giovani si distinguono per i colori meno vivi e per l'occhio grigio. La Taccola è diffusa in tutta Europa e in gran parte dell'Asia, numerosa in certi distretti e singolarmente assente da altri. Vive nelle vecchie torri e negli edifici così come nei boschi, specie in quelli i cui alberi presentano molte cavità, e la si trova anche nelle pianure deserte e brulle, dalle quali è assente ogni traccia di irrigazione. E' un uccello allegro, vivace e socievolissimo, che si unisce in branchi con i suoi simili ed anche con individui di altre specie affini. Vola con grande abilità, inframmezzando ai movimenti lineari giravolte, impennate rapidissime e, in genere, manovre difficili e graziose; sul terreno poi si dimostra agile e scaltrito. La sua voce è simile a quella del corvo. La Taccola compie nella stagione avversa regolari migrazioni in gruppi numerosi, nei quali sono compresi individui di specie diverse. Si ciba di insetti di ogni specie, di lumache e di vermi che va a cercare sugli alberi, nei muri, per terra e persino sul dorso degli animali domestici; nei campi rovista tra il letame, e anche entro i confini dell'abitato la si vede sovente intenta a razzolare nei mucchi di sudiciume. Uova e piccoli uccelli fanno parte dei suoi cibi preferiti, tra i quali solo secondariamente entrano le sostanze vegetali, semi, tuberi, bacche e frutta. I danni che provoca per impadronirsi di alcuni prodotti coltivati non sono granché elevati. Dopo lo svernamento, la Taccola con l'inizio della primavera si accinge all'opera di riproduzione. Il nido viene posto nelle cavità degli alberi o dei vecchi muri, e varia a seconda del luogo, mantenendo tuttavia costanti alcuni tratti fondamentali, primo fra tutti quello della sommarietà di costruzione a base di ramoscelli, paglia, fieno, crini e piume. La covata è composta da un numero di uova variabili da quattro a sei, verdicce o azzurrognole con macchie più scure. I genitori difendono i loro piccoli con grande energia: se si avvicina al nido qualche uccello da preda, tutta la banda che ha preso dimora nei dintorni del luogo minacciato si scaglia contro l'intruso, inseguendolo a volte per ore intere. Non solo tra gli uccelli predatori, comunque, si trovano i nemici delle taccole: esse devono guardarsi anche dalle martore e dai gatti, e in genere dai piccoli mammiferi voraci. L'uomo, invece, non le insidia granché e le considera delle vicine non sgradevoli. Spesso se ne impadronisce per tenerle in gabbia, ed infatti esse sono tra i corvini più diffusi in cattività, condizione per la quale mostrano buone disposizioni, mantenendovi il loro carattere vivace e allegro, e affezionandosi al padrone.

CORNACCHIA SPLENDENTE (Anomalocorax splendens)

In grossezza è quasi pari alla taccola, e in lunghezza la supera alquanto poiché raggiunge i quaranta centimetri e a volte arriva a superarli. Il colore è nero lucido sulle guance e sulla parte anteriore del capo, cinerino sulla nuca e sulla parte posteriore del collo; il nero lucido si ritrova sul mento, sul petto e ai lati del collo, mentre sul dorso, sulle ali e sulla coda esso presenta dei riflessi porporini o azzurro metallici. Le cornacchie splendenti vivono nell'India, e sono molto attratte dalla compagnia dell'uomo. Nelle grandi città si aggirano indisturbate per le strade dando prova di grande confidenza e solo messe in allarme da qualche improvviso sentore di pericolo. Frettolose, affaccendate e operosissime, si direbbe quasi che conoscano il valore del tempo e non vogliano in alcun modo farne spreco; in questi loro movimenti continui, naturalmente, sono soprattutto guidate dalla necessità di procurarsi il cibo. Anche in questo senso rivelano la loro indole quasi domestica: quando risiedono nella campagna e tra gli alberi si dedicano, naturalmente, alla caccia di alimenti diversissimi, dagli insetti alle rane e alle frutta facendo persino concorrenza, quando vivano nei pressi del mare o dei fiumi, agli uccelli acquatici; ma il loro interesse principale è rivolto verso i cibi dell'uomo. Si aggirano tra le case in attesa che vengano loro gettati gli avanzi dei pasti. Seguono le carovane con lo stesso scopo, ed hanno imparato così bene a conoscere le azioni umane che non è raro vederle avvicinare alle case quando si accorgano che all'interno di esse si stanno preparando i pasti. Le scorribande delle cornacchie splendenti iniziano, al solito, di buon mattino, e si interrompono solo negli afosi pomeriggi delle giornate più calde, durante i quali vanno a cercare riparo negli alberghi usuali: le fenditure delle case o delle rocce, e i rami degli alberi. Per il resto del giorno, il movimento è continuo, e gli individui lo compiono tenendosi in gruppi non troppo numerosi. Agli elementi più usuali della loro dieta, questi uccelli uniscono anche le carogne degli animali i piccoli uccelli e i prodotti dei frutteti, tra i quali sembrano prediligere soprattutto le banane. Nel carattere, benché sostanzialmente tranquilli nei rapporti con i loro simili, non è difficile che diano prova di accanimento e di tendenza alla zuffa, specie quando si tratta di scegliersi il posto del riposo diurno e notturno; e allora i luoghi in cui si raccolgono risuonano delle loro grida aspre e stridenti e del rumore prodotto nei combattimenti in cui sono impegnati. Del resto, il fatto che si acconcino ad una certa dimestichezza con l'uomo non vuol dire che non possiedano nell'indole dei tratti nettamente selvatici, alcune volte piuttosto divertenti: tra questi, il piacere con cui si beffano dei loro simili, per esempio impaurendo gli uccelli delle specie minori con lo slanciarsi improvvisamente alla loro volta per poi risollevarsi lieti e superbi della impresa compiuta. Non ignorano, inoltre, la diffusa tendenza della famiglia cui appartengono di lasciarsi attrarre dai più disparati oggetti, che si divertono a rubare e nascondere; la propensione naturale a questo genere di imprese si associa alla loro indole confidente, per cui non si peritano a volte di andare a cercare quanto intendono sottrarre persino dentro le case e nei pacchetti. I frenetici movimenti delle cornacchie splendenti sono favoriti da una notevole attitudine al volo. Per quanto riguarda la riproduzione, essa inizia durante la stagione primaverile e si protrae fin nel cuore dell'estate. Di solito le coppie si tengono isolate, o se si avvicinano, lo fanno in numero limitato. Per la costruzione dei nidi scelgono i rami degli alberi o le favorevoli ubicazioni che riescono a scovare nelle mura delle case, e le cure che le dedicano sono abbastanza sommarie. Ramoscelli all'esterno e sostanze soffici nelle cavità interne costituiscono l'intera impalcatura del nido, entro il quale la femmina depone solitamente quattro uova azzurro verdiccie punteggiate di bruno. Ovviamente, quel che si è finora detto riguardo alla loro indole spiega i motivi per cui non è difficile adattare questi uccelli alle esigenze della vita in cattività.

NOCCIOLAIA (Nucifraga caryocatactes)

Ha il corpo allungato, il collo lungo, la testa grande e piatta, il becco lungo e affusolato col culmine generalmente dritto; le ali sono di media grandezza e piuttosto ottuse, il piede lungo e forte con unghie robuste e ricurve. Le sue misure vanno dai trentaquattro centimetri della lunghezza complessiva ai quasi sessanta dell'apertura alare, mentre la coda si aggira sui tredici centimetri. Il piumaggio morbido e folto è bruno scuro sulla sommità del capo e sulla nuca, mentre su quasi tutto il resto del corpo lo stesso colore è interrotto da macchie rotonde o allungate poste all'estremità delle singole piume. Fanno eccezione le ali e la coda, di un nero lucido orlato di bianco sulle timoniere e sulle copritrici inferiori della coda. Le nocciolaie abitano nelle dense boscaglie delle Alpi e nelle vaste foreste dell'Europa settentrionale e dell'Asia, e la condizione principale, perché possano vivere regolarmente, sembra essere la presenza delle conifere, i cui frutti occupano un posto di rilievo tra i cibi di cui si nutrono; dai luoghi prescelti non compiono vere e proprie migrazioni, ma se ne allontanano appena per scendere più a valle, sempre probabilmente spinte dalla scarsezza dei prodotti delle conifere. Di aspetto goffo e impacciato, sono tuttavia assai destre nei movimenti, camminano agilmente, si arrampicano sui rami come fanno i picchi e vi si appendono con le zampe. Il volo è sicuro, ma piuttosto lento, ritmato dai larghi movimenti delle ali. Durante il giorno, le nocciolaie si mostrano continuamente affaccendate, ma non eccessivamente inquiete e instabili; si tengono prevalentemente isolate, sfuggendo soprattutto il contatto con l'uomo che avvertono ostile e nemico; cercano avvedutamente di evitare le insidie che vengono loro tese, non solo dagli uomini, ma anche da certi animali, i mammiferi carnivori e certi uccelli rapaci. Abbiamo accennato al fatto che la Nocciolaia si nutre dei frutti e dei semi delle conifere: altri alimenti da essa ricercati sono gli insetti, i vermi, i piccoli vertebrati e gli uccelli di mole minore, dei quali devastano spesso anche i nidi. E' molto difficile riuscire a scoprire i nidi di questi uccelli, per studiarne le abitudini all'epoca della riproduzione: le nocciolaie nidificano, infatti, assai al riparo dalla presenza umana, sui rami o nelle cavità degli alberi delle grandi foreste e sull'inizio della primavera, quando le zone in cui abitano sono ancora ricoperte da grandi strati nevosi. Le osservazioni fatte hanno ad ogni modo consentito di stabilire che le costruzioni sono eseguite esternamente con ramoscelli sottili e secchi, intrecciati con rametti verdi dell'albero stesso su cui sorgono; e vengono progressivamente ammorbidendosi verso la cavità interna per la disposizione di muschio o fibre vegetali molto soffici. Le uova sono di fondo azzurrino o verdastro, con macchie appena visibili di color cuoio. Nonostante la loro prudenza, le nocciolaie incappano sovente nei tranelli tesi dall'uomo, e spesso vengono ridotte in cattività. Non sono uccelli da gabbia: per quanto si adattino alle inevitabili variazioni di cibo, il loro anelito alla libertà è continuo, e lo dimostrano agitandosi continuamente entro il ristretto perimetro loro assegnato. Inoltre, in questa condizione innaturale le loro tendenze alla violenza insorgono in modo prepotente, e non è assolutamente possibile, ad esempio, accostare loro altri uccelli più deboli, perché subito si scagliano su di essi e li uccidono, fracassandone il cranio con potenti colpi di becco e poi divorandoli. In alcuni esemplari è stato osservato un istinto sanguinario così spiccato da farli paragonare ai falchi.

FLAUTISTA (Gymnorhina tibicen)

Nella mole si avvicina molto al corvo, misurando in lunghezza circa quaranta centimetri; fornito di coda breve e becco conico e lungo, con la mascella superiore ripiegata ad uncino sull'inferiore e spesso munita di un dente sporgente sulla punta, è specialmente singolare per i suoni che emette, simili a quelli di un flauto anche se, spesso, interrotti da variazioni meno gradevoli. Il colore predominante nel piumaggio è il nero, ma sulla nuca, sulla parte inferiore del dorso, sulla coda e sulle ali è diffuso a macchie più o meno grandi il bianco. L'occhio è rossiccio, il becco grigio e le zampe nere. Il Flautista abita la Nuova Galles del Sud, preferendo le zone aperte e sparse d'alberi e accostandosi regolarmente alle abitazioni dell'uomo, nei campi e nei giardini. Si introduce nelle case, e risponde con grande fiducia ai buoni trattamenti che gli vengono usati. Vive molto sul terreno, saltellando con grande agilità, e invece non è granché abile nel volo: di rado si solleva troppo in alto, ed è del pari difficile che prolunghi la sua permanenza in aria. Il cibo principale del Flautista sono le locuste, accompagnate da vari altri generi di insetti; e riguardo all'incubazione, essa comincia di solito verso il mese di agosto. Siccome le coppie covano due volte, questo periodo non finisce prima del gennaio successivo. Il nido viene costruito in forma larga e molto concava intessuto di foglie, ramoscelli e sostanze soffici: in esso vengono deposte ordinariamente tre o quattro uova, biancazzurre o rossicce con grandi macchie più scure disposte asimmetricamente. In gabbia il Flautista dimostra una certa adattabilità, anche se è molto difficile che riesca a riprodursi. Lo si tiene spesso per gustarne il piacevole canto, che esso riesce ad arricchire attraverso l'apprensione di altri suoni che gli vengano sovente ripetuti; inoltre è abbastanza affettuoso verso i propri padroni. E' abbastanza facile, ad ogni modo, che gli individui in cattività mutino repentinamente di umore, e così come si sono mostrati affettuosi divengano improvvisamente violenti e vendicativi.

STREPERA GRACCHIANTE (Strepera graculina)

Appena più grande del flautista, ha il becco più lungo e sottile, appena arcuato al culmine, segnato da una leggera intaccatura. Fondamentalmente è nera azzurrognola, con una macchia bianca sull'ala e con la coda del tutto bianca, salvo una larga fascia trasversale nera. Pure neri sono l'occhio e i piedi, mentre il becco è giallo. Anche la Strepera risiede nella Nuova Galles meridionale. I suoi luoghi preferiti stanno nelle valli più profonde, solcate dai ruscelli e sparse di fitti cespugli. La si incontra in piccoli branchi formati da quattro o sei individui, molto raramente in coppie e in branchi numerosi, e risiede sugli alberi più che sul terreno; il che non significa che nel camminare non sia agile e spedita. Il volo è slanciato e sostenuto, senza grandi movimenti delle ali. Soprattutto quando vola, essa emette un suono speciale, simile ad un tintinnio. Il cibo della Strepera è costituito, oltre che dagli insetti, da bacche, semi e frutta, per cui non è raro che produca dei guasti alle piantagioni; e quanto al nido, esso è ampio e tondeggiante, intessuto di fuscelli e coperto di erbe e di muschio. All'interno, all'epoca della cova, vi si trovano non più di tre o quattro uova. Gli uomini le danno la caccia non tanto per tenerla in cattività, quanto per cibarsi delle sue carni, considerate eccellenti.

CORVO CALVO (Picathartes gymnocephalus)

E' una delle specie più singolari della famiglia, quasi un anello di congiunzione tra i corvi e gli avvoltoi. Il becco alla base non ha le piume setolose, ma è ricoperto di cera, le ali sono corte e rotonde, la coda lunga, il tarso alto e le dita robuste. La testa è interamente nuda, e il collo, come quello degli avvoltoi, ricoperto di penne setolose e lanuginose. Le piume appaiono brunicce nelle parti superiori, bianche nelle inferiori, mentre le ali e la coda sono rossastre; sul collo e sul capo la pelle è colorata di rosso. Il becco è nero e il piede giallo. Quanto alle dimensioni, il Corvo Calvo misura in lunghezza circa trentotto centimetri, le ali arrivano ai sedici e la coda ai tredici. Lo si trova nell'Africa occidentale, e specialmente nella Sierra Leone.

GHIANDAIE

Gli uccelli compresi in questa famiglia, pur avendo alcune precise somiglianze con i corvi, se ne distinguono per parecchie caratteristiche sia dell'aspetto che dei costumi. Il becco è breve, ottuso, con o senza apice incurvato nella mascella superiore, le ali brevi, la coda lunga e spesso lunghissima; il piumaggio poi è abbondante e variopinto, a lunghe barbe decomposte.

Ghiandaia

Ghiandaia

Le Ghiandaie conducono vita arboricola, trattenendosi raramente sul terreno, dove sono goffe e imbarazzate; di solito stanno isolate, o riunite in piccoli branchi, o in famiglie, e si aggirano tutto il giorno nei boschi, volando di pianta in pianta. I percorsi che compiono in volo non sono mai grandi: anche qui, infatti, non sono granché abili, perché le ali brevi rendono incerto e oscillante il moto attraverso l'aria. I loro sensi più sviluppati sono la vista, l'udito e l'odorato, e quanto all'indole sono crudeli e rapaci, ma non troppo coraggiose. Il loro cibo in alcune stagioni dell'anno è esclusivamente vegetale, in altre consiste in uova e piccoli uccelli per procurarselo, non di rado producono gravi danni alle coltivazioni dell'uomo, che ha perciò le sue buone ragioni per perseguitarle. Anche nella costruzione del nido le Ghiandaie si scostano dai corvi: non succede quasi mai che si formino delle colonie di famiglie riunite, poiché le coppie si dedicano isolatamente alla riproduzione; i nidi, inoltre, sono sempre più piccoli, e il numero delle uova di ciascuna covata è di solito di cinque o sette. Tutte le Ghiandaie, se tolte dal nido in giovane età, si addomesticano facilmente. Imparano spesso a riprodurre suoni diversi, compresi quelli della voce dell'uomo, ma osservate da vicino sono abbastanza sgradevoli: intolleranti e rapaci, somigliano ai corvi anche nella pessima abitudine di sottrarre e nascondere gli oggetti, specialmente quelli luccicanti.

GAZZA (Pica pica)

La lunghezza di questo uccello si aggira sui quaranta centimetri, almeno venti dei quali fan parte della lunga coda; le singole ali misurano circa quindici centimetri, e cinquanta la loro apertura. Non solo la lunga coda vale a caratterizzare la Gazza, ma anche il becco, corto e con l'apice piuttosto incurvato, quanto ai colori, sono semplici ma eleganti, e si spiegano nel bianco sul petto e sulle scapolari e nel nero sul resto del corpo, con riflessi di vari colori. Il becco è nero e del medesimo colore sono le zampe, mentre gli occhi sono bruni. Tutta l'Europa e la maggior parte dell'Asia sono popolate da questi uccelli, che evitano le altitudini, le pianure aperte e le grandi boscaglie, preferendo trattenersi nei boschetti non molto fitti e ai margini dei boschi e dei giardini; in certe zone, per esempio in Scandinavia, stabiliscono la loro dimora nei cortili stessi delle case, e in generale amano vivere in vicinanza dei luoghi abitati dagli uomini. Le gazze sono stazionarie, limitandosi durante l'inverno a compiere delle escursioni, che non le allontanano mai troppo dalle residenze abituali. In gruppi e famiglie non molto numerosi, si muovono preferibilmente tra gli alberi, limitandosi molto l'ampiezza dei tratti percorsi in volo: sul terreno infatti si muovono piuttosto difficoltosamente, dondolando la lunga coda, e in aria sono molto pesanti e lente, costrette per progredire ad un batter d'ali frequentissimo. I loro sensi sono molto sviluppati, e le inducono a comportarsi con estrema prudenza nei confronti dell'uomo; con gli altri uccelli sono viceversa ardite, e manifestano un alto grado di crudeltà verso le specie minori, delle quali saccheggiano senza riguardo i nidi. A ciò sono indotte, ovviamente, dalla volontà di assicurarsi un cibo gradito: e a questo proposito va detto che nell'alimentazione della Gazza rientrano pure insetti, vermi, lumache, piccoli vertebrati, e inoltre, frutta e granaglie; In complesso si tratta di animali altamente dannosi per l'uomo, e che nei confronti dei loro simili esplicano del pari un'attività tutt'altro che innocua. Nel periodo della riproduzione vanno a costruire i loro nidi sui rami più alti degli alberi, e solo raramente in posizioni meno inaccessibili o addirittura sulle case. Le costruzioni sono composte con l'apporto di rami secchi e spinosi alla base, di materiali più raffinati man mano che si procede verso la cavità interna, tutti sovente tenuti assieme mediante un consistente strato argilloso; al di sopra sono coperte, e l'ingresso è assicurato mediante un'apertura laterale. La covata è composta da sette o otto uova dal fondo verde screziato di bruno, e l'incubazione procede per circa tre settimane. In alcune zone, come ad esempio la Spagna, succede che nel nido della Gazza vada a posare le sue uova il cuculo, sicuro che la madre e il padre adottivi si acconceranno di buon grado a provvedere all'allevamento dei suoi piccoli. Se la si pone in gabbia in giovane età, la Gazza diventa molto domestica. Impara a volare liberamente anche fuori delle sbarre senza allontanarsi dalla casa, a ripetere suoni e parole, spiegando in questo senso un'abilità più o meno accentuata. Non perde ad ogni modo alcuni fondamentali difetti, come il vizio di rubare e di nascondere gli oggetti luccicanti, e di attaccare con estrema crudeltà gli individui delle specie minori.

GAZZA AZZURRA (Cyanopica cooki)

Le proporzioni di questa specie vanno dalla lunghezza di circa trentacinque centimetri all'apertura alare che tocca e supera i quaranta, mentre le singole ali misurano tredici centimetri e la coda arriva ai ventisette. Nella testa e sulla parte superiore della nuca è colorata in nero velluto; la gola e le guance sono bianco grige; ali e coda sono azzurre e tutta la parte inferiore è fulvo-chiara. I giovani sono generalmente più pallidi, e le femmine di proporzioni alquanto ridotte. Gli occhi sono bruni e il becco e i piedi neri. La Gazza Azzurra, elegantissima sia di forma che di colore, abbonda nella Spagna centrale e meridionale, nonché nell'Africa di Nord-Ovest, diffusa nelle vaste boscaglie i cui numerosi e folti alberi le offrono protezione e riparo. A differenza della gazza comune, è socievole e vive sempre in branchi, schivando la presenza dell'uomo e tenendosi quindi lontana dagli abitati. Molto mobile, quando viene inseguita passa dalla chioma di un albero all'altra mantenendosi silenziosissima per non farsi scoprire, e generalmente nei movimenti e nelle abitudini di vita ripete le regole della specie precedente, limitando alcune delle manifestazioni tipiche a cagione della sua mole inferiore. La riproduzione inizia verso la metà della primavera, e il nido, posto sugli olmi e sugli alberi d'alto fusto, differisce parecchio da quello della gazza comune, essendo privo della parte superiore e dei rafforzamenti argillosi, e in genere più sommario e approssimativo. E' da notare che nemmeno durante il periodo degli amori queste gazze rinunciano ai vincoli societari che le legano, per cui di solito accade di trovare anche parecchi nidi sullo stesso albero, e macchie non granché estese accoglienti intere, numerose e chiassose colonie. Le uova vengono deposte in numero variabile da un minimo di cinque ad un massimo di nove, e sono di fondo gialliccio con macchie e punti frequenti soprattutto verso l'estremità ottusa. Non è facile trovare questi uccelli in cattività: i rari esemplari osservati dimostrano un carattere molto amabile.

CORVO AZZURRO DAL CIUFFO (Cyanocorax pileatus)

Le ghiandaie di questa specie hanno il becco forte diritto e compresso, lungo quasi quanto la testa e coperto alla base di piume setolose, e presentano le penne della parte superiore del capo prolungate in un ciuffo. La loro lunghezza è di circa trentacinque centimetri, quindici dei quali fan parte della coda, e l'apertura alare supera i quaranta centimetri. Il colore nero è diffuso nel loro piumaggio sulla fronte, le redini, il ciuffo, i lati del collo e la gola fino al petto; mentre la nuca, il dorso, le ali e la coda sono azzurro oltremare, e le parti inferiori, l'interno delle ali e l'apice delle penne timoniere sono bianchi. Sopra e sotto l'occhio è posta una macchia azzurra a forma di mezzaluna. Questi uccelli vivono nell'America meridionale, percorrendo le selve in branchi non molto numerosi. La loro indole è timida e irrequieta; la sede preferita la trovano sugli alberi più alti, e si cibano di frutta e di semi. Un grido continuato e non troppo armonioso costituisce il suono principale da essi emesso. Nidificano sugli alberi a grande altezza, con costruzioni rudimentali all'interno delle quali la femmina depone di solito due uova, segnate da macchie brune sul fondo bianco bruniccio.

GHIANDAIA AZZURRA (Cyanocitta cristata)

E' un uccello di forme snelle, con becco breve, robusto e leggermente curvato, ali non troppo lunghe e coda invece di notevoli dimensioni e molto rotonda. Raggiunge quasi i trenta centimetri di lunghezza; la coda ne misura dodici-tredici, le singole ali poco di più, mentre l'apertura alare è vicina ai quaranta centimetri. Il suo abito molto bello, caratterizzato da piume molli e lucide che sul capo si allungano in un ciuffo, è colorato nelle parti superiori di azzurro lucido, in quelle inferiori è invece bianco o bianco-grigiastro. Variamente distribuite sulle ali e sulla coda, vi sono poi macchie e striature nere e bianche, mentre il colore azzurro intorno ai lati del capo e due fasce nere, l'una a forma di collare e l'altra disposta sulla fronte, arricchiscono la colorazione della faccia. L'occhio è grigio scuro, il becco e i piedi quasi neri. La Ghiandaia Azzurra vive nell'America del Nord, stazionaria ovunque salvo che nelle zone più settentrionali, e rappresenta uno dei maggiori ornamenti delle foreste americane. Più che tra gli alberi d'alto fusto sembra trovarsi a suo agio in mezzo a quelli non troppo alti e molto folti; continuamente in moto, è prontissima a cogliere ogni avvisaglia di pericolo e ad avvertire le compagne, a imitare le voci altrui ed a rubare tutto ciò che le viene a tiro. Voracissima e dannosa, mette a ruba i nidi, divora le uova e i piccoli uccelli, che la temono e la odiano mostrandosi inquietissimi quando la vedono avvicinarsi. Nel suo carattere entrano anche l'astuzia e l'ipocrisia: così, se è rapidissima a fuggire quando si trova a fronteggiare un nemico più forte, d'altra parte non rinuncia ad attaccare i nidi di certe specie di mole pari alla sua, per esempio i tordi, e per non incappare nelle difese predisposte spia il momento in cui i genitori sono assenti, lanciandosi appena il campo è libero a distruggere uova e piccini. Nel suo cibo entrano anche insetti, frutta e semi, e durante l'autunno la si vede in branchi sugli aceri e sulle querce, intenta a cibarsi dei loro frutti, dei quali spesso costituisce dei piccoli depositi destinati a consentirle di superare senza troppo danno il periodo della carestia invernale. Il grido della Ghiandaia Azzurra è sgradevole, e in complesso la somma dei suoi tratti caratteristici ce la dipinge come un uccello piuttosto odioso, oltre che dannoso, a dispetto della sua bella apparenza. La riproduzione avviene una volta l'anno in certe regioni, altrove anche due volte. Il nido, sommario, è composto di ramoscelli secchi e rivestito all'interno di tenere radici; la femmina vi depone e cova da quattro a cinque uova di colore generale bruno oliva con punteggiatura più scura. Fino a che i piccoli non sono nati, padre e madre, molto timorosi degli assalti dei grossi predatori come i falchi e i rapaci notturni, osservano uno scrupoloso silenzio, perché sia il più difficile possibile rintracciare il nido. Presi in giovane età, questi uccelli si adattano bene alla vita in cattività, si nutrono facilmente e si dimostrano abbastanza socievoli e tranquilli. Gli individui adulti incontrano qualche difficoltà maggiore, ma anch'essi dopo i primi giorni di disorientamento non tardano ad acconciarsi al nuovo stato.

GHIANDAIA D'EUROPA (Garrulus glandarius)

Ha becco più robusto e coda più breve e tondeggiante della precedente. Sul capo le piume si allungano in un ciuffo bianco segnato da linee nere, e nel resto dei colori si nota una tonalità prevalente rossiccio-grigia, variamente interrotta. Così, groppone e sottocoda sono bianchi, la gola è biancastra segnata ai lati da due larghe sottolineature nere, e sulle ali e sulla coda al colore di fondo si mescolano il nero, il bianco e l'azzurro, in composizioni tonali di notevole bellezza. La femmina è praticamente eguale al maschio, mentre i giovani se ne distinguono per la colorazione più pallida. Gli occhi sono sempre azzurro chiari, il becco nero e il piede grigio corno. Le misure della Ghiandaia: lunghezza trentatré centimetri circa, apertura d'ali sui cinquanta centimetri, ali quindici e coda dodici-tredici. Le ghiandaie vivono in tutta Europa, ad eccezione delle regioni più settentrionali e inoltre nell'Altopiano centrale Asiatico e nell'Africa nord-occidentale. Sparse nei boschi e nelle zone in cui la vegetazione arborea è limitata nelle selve di conifere e in quelle a foglie decidue, si tengono normalmente in piccoli drappelli che hanno l'abitudine di volare in formazione molto sparpagliata per evitare che attacchi improvvisi da parte di uccelli rapaci o dell'uomo rischino di sorprenderle in gran numero. Sono uccelli vivaci, irrequieti e astuti, ma nei loro costumi, come diremo, sono frequenti i tratti crudeli e irritanti. Fra i rami sono agilissimi, e anche sul terreno si muovono abilmente; il loro volo, invece, è impacciato e pesante, e non si azzardano mai a percorrere tratti troppo lunghi. Di preferenza si spostano in volo da un albero all'altro, celandosi destramente nel fitto del fogliame. La loro voce è fondamentalmente stridula e sgradevole, ma sono in grado di piegarla a moltissime imitazioni sul modello dei suoni che vengono dalla natura e anche dalla voce umana. Abbiamo accennato agli aspetti scostanti dell'indole della Ghiandaia: essi si riassumono nella sua voracità, nella crudeltà con cui attaccano e distruggono gli esseri deboli e indifesi. Non esiste probabilmente un più accanito persecutore di nidi e di piccoli uccelli: di albero in albero, di cespuglio in cespuglio, la Ghiandaia setaccia in primavera e in estate tutta la zona circostante per rubare e distruggere quanto più le è possibile, senza alcuna pietà per le grida dolorose dei genitori che si vedono divorare la prole o le uova, e pronta anche ad attaccare ed uccidere gli individui adulti delle specie minori. Oltre a ciò, essa è una accanita distruggitrice di frutta, alle quali fa posto nella sua dieta accanto agli insetti, alle bacche e ai topi. Nemmeno la constatazione del coraggio, con cui si dispone ad attaccare le vipere, uccidendole a grandi colpi di becco senza mai lasciarsi raggiungere dal loro morso velenoso, vale a far dimenticare i danni e le cattiverie che essa compie nel corso della sua giornata. Una qualche utilità la si riscontra forse nella abitudine a cibarsi, durante l'autunno, di ghiande e di altri frutti selvatici, poiché in questo modo essa contribuisce a spargere sul terreno i semi delle piante e quindi ne determina la nascita, con vantaggio per le foreste. Per riuscire a mangiare le ghiande, le ammolla prima nel gozzo, poi le espelle e le rompe con il becco; gli altri frutti li estrae pure a colpi di becco, non senza grande fatica. La Ghiandaia si propaga nel corso della primavera, iniziando generalmente la costruzione del nido durante il mese di marzo e deponendo le uova in aprile. Il nido non è mai situato a grande altezza; vicino al tronco o tra i rami, esso non è molto grande, e si compone di ramoscelli sottili e morbidi, rivestiti all'interno con molta cura di soffici radici. Le uova sono in numero variabile tra cinque e sette, e si presentano di fondo giallo sporco o verdiccio con macchie e screziature più scure disposte soprattutto intorno all'estremità ottusa. L'incubazione dura poco più di due settimane, ed i piccoli vengono allevati con bruchi, vermiciattoli e insetti; nel corso dell'anno la Ghiandaia vi provvede un'unica volta. La prudenza non è sempre sufficiente a salvare questi uccelli dalle insidie della natura e degli uomini; falchi, sparvieri e altri uccelli da preda, come pure alcuni rapaci notturni e i piccoli mammiferi carnivori ripagano spesso con altrettanta crudeltà gli attacchi che le ghiandaie portano agli animali più deboli. Quanto all'uomo, non le ricerca granché, perché non sa che farsene delle loro carni poco pregiate, e tenta invece talvolta di catturarle vive. Se sono adulte è difficile che si adattino alla prigionia, ma se prese in giovane età, si addomesticano facilmente, imparando a ripetere suoni e parole. Naturalmente, non perdono la loro tradizionale violenza, per cui è indispensabile tenerle isolate dagli altri uccelli, con i quali, altrimenti, sarebbero continuamente in lotta.

GHIANDAIA INFAUSTA (Perisoreus infaustus)

Lunga trenta centimetri, con ali e coda di tredici ed apertura alare che arriva ai quarantacinque, è dotata di becco piccolo, coda arrotondata e piumaggio più scuro della precedente. Generalmente è color ruggine, con remiganti e timoniere grige, con sfumature rossastre e la sommità del capo bruno-nera. I giovani sono colorati meno incisivamente, e mostrano sulle parti inferiori delle striature longitudinali. Il becco e il piede sono neri, e l'occhio bruno. La Ghiandaia Infausta rappresenta la specie precedente nelle zone più settentrionali dell'Europa, in Russia e in Siberia, dove quella non arriva; e si tiene prevalentemente nelle grandi selve di conifere. Meno vivace e crudele dell'altra, vola anch'essa con difficoltà, a sbalzi, si muove discretamente sul terreno e molto bene tra i rami degli alberi, e il suo grido è un po' meno sgradevole. Cerca il proprio cibo soprattutto tra le sementi delle conifere, tra i frutti dei faggi e delle querce, e dà inoltre la caccia agli insetti ed ai piccoli vertebrati. Spesso, quando si avvicina l'inverno, costituisce dei depositi di cibo in previsione di giornate più difficili, ma non è raro che abbia la sorpresa, quando si appresta ad usufruirne, di trovarli depredati dai topi, dagli scoiattoli o da altre specie di uccelli. Il nido che costruisce è assai ampio, intessuto di ramoscelli, erbe e licheni e reso estremamente accogliente con la disposizione di crini e piume di pernici di montagna in strati abbondanti. Le uova vanno da cinque a sette, bianco-verdicce con macchie piuttosto grandi di colore grigiastro o verde-oliva. Le precauzioni che le ghiandaie infauste pongono nella difesa delle uova e dei piccoli sono singolari: non solo, quando il pericolo è più imminente, lo affrontano con grande coraggio, ma mettono in opera molti sotterfugi per impedire ai nemici di scoprire l'ubicazione della loro dimora. Succede a volte che, avvertita la presenza del nemico, si facciano trovare sul terreno impacciate e tarde nei movimenti, come se fossero ferite e quindi facilmente raggiungibili; in realtà, costringono il cacciatore ad inseguirle per lunghi tratti, facendogli perdere di vista il luogo in cui le aveva trovate. Quando sono sicure di aver abbastanza allontanato la minaccia, si rimettono improvvisamente in volo e, descrivendo traiettorie complicate ed elusive, riguadagnano il nido. Con le sue armi raffinate, ad ogni modo, l'uomo non incontra soverchie difficoltà per ucciderle o per impadronirsene: in cattività si lasciano facilmente addomesticare, anche se non perdono del tutto la loro indole aspra e bisbetica.

KOTRI o GAZZA ERRANTE (Dendrocitta rufa)

E' un uccello piuttosto grosso, con il becco corto, compresso e fortemente ricurvo, ali brevi e arrotondate, coda molto lunga e di forma conica, piedi di media forza e lunghezza. I suoi colori vanno dal bruno-fuliggine della testa, della nuca e del petto, più scuro verso l'alto e man mano tendente al grigio verso il ventre, al rossiccio scuro delle scapolari, del dorso e delle copritrici superiori della coda; mentre sulle ali le remiganti e le copritrici sono colorate in bianco e nero deciso, e la coda è cinerina, con gli apici delle piume neri. Sulle parti inferiori, dal ventre in giù, la tinta dominante è il rossiccio o il giallo-fulvo; l'occhio è rosso-sangue, il becco nero e i piedi color ardesia scura. Le misure sono comprese tra i quaranta centimetri della lunghezza complessiva, ben venticinque dei quali, fan parte della coda, e i quindici di ciascuna delle ali. Il Kotri è diffuso in tutta l'India, e lo si trova anche in Cina, soprattutto frequente nelle pianure coperte di boschi. Spesso lo si incontra anche tra i cespugli e nei giardini in prossimità dell'abitato, quasi mai solo, in coppie o branchetti che passano di pianta in pianta percorrendo ampie distanze. Nel suo nutrimento rientrano cibi animali, insetti, uova e piccoli vertebrati, e anche frutta e sementi. E' difficile trovarlo in cattività.

BENTEOT (Crypsirhina varians)

Di becco robusto, col piede relativamente debole e le dita armate di unghie assai forti, questo uccello per la sua mole può essere paragonato al tordo, ma la lunghissima coda lo fa apparire più grande. Il colore dominante nel suo piumaggio è il nero, che sul corpo si illumina di riflessi porporini e verdi e sul capo, le redini e la gola appare invece più opaco. Becco e piedi sono pure di colore nero, mentre, sulla coda e sulle ali, le penne timoniere e remiganti sono di un verdiccio più definito. Il Benteot vive nell'isola di Giava, ed ha costumi schivi e timorosi, che lo portano a tenersi il più possibile nascosto tra i boschi, facendo solo rapide apparizioni nei luoghi più aperti, da cui subito si al lontana al minimo sentore di pericolo. Sta lontano dall'uomo e dagli abitati, ed è quindi piuttosto difficile vederlo. Il suo volo è incerto e ondeggiante, e non è più abile il modo in cui si muove sul terreno. Cerca il proprio cibo tra le frutta e gli insetti, mettendo spesso a profitto le robuste unghie per attaccare i nidi degli uccelli minori. Per quel che riguarda i suoi modi di vita e le abitudini in schiavitù, non si discosta dalle regole generali della famiglia cui appartiene.

CISSA DALLA LUNGA CODA (Urocissa sinensis)

Questa specie è distinta da un becco lungo quasi come il capo, duro e robusto, piegato a cominciare dalla radice e ricurvo all'apice; da dita e piedi forti con unghie assai potenti, ali tondeggianti e coda lunghissima. Le sue misure vanno dai sessantacinque centimetri della lunghezza complessiva, oltre quaranta dei quali sono costituiti dalla coda, ai venti centimetri delle singole ali. Il colorito è molto bello: tutta la testa, il collo ed il petto sono neri, con una striscia bianca che percorre longitudinalmente il centro del capo e della nuca, assumendo gradatamente una tonalità azzurrognola sempre più marcata. Le parti superiori sono azzurro-cobalto, le inferiori bianchicce con sfumature cinerine e rossastre, mentre sulla coda l'azzurro si mescola al bianco e al nero. La Cissa dalla Lunga Coda si trova in India e in Cina, sui rilievi montuosi dove si trattiene preferibilmente a terra, talvolta tra i cespugli. Prudente e attenta, fa un po' da sentinella agli altri uccelli, avvertendoli dei pericoli con il suo grido acuto e sventando spesso le insidie degli animali da preda. Nel volo assomiglia alla gazza, perché si muove con un batter d'ali molto frequente e tenendo la coda sempre orizzontale; quanto al cibo, è all'incirca il medesimo delle altre ghiandaie, principalmente costituito di insetti, semi, frutta e piccoli vertebrati. Il suo nido è visibile a poca altezza come sulle eccelse cime degli alberi, ed è di costruzione molto sommaria. Vi depone da tre a cinque uova, di colore verdiccio pallido e segnate da spesse macchie brune. Nell'India non è difficile trovarla in cattività, abbastanza socievole e ghiotta di carne cruda, piccoli uccelli e insetti.

SIRGANG o GHIANDAIA VERDE (Cissa sinensis)

Dotata di becco forte e di media lunghezza, poco ricurvo al culmine e compresso ai lati, il Sirgang o Ghiandaia Verde misura in lunghezza circa trentotto centimetri - più di venti dei quali appartengono alla lunga coda - ed ha le ali di quasi sedici centimetri. Anch'esso è colorato in modo molto vivace. Prevalentemente le piume sono verde-pallide, sfumate qua e là nell'azzurro e nel gialliccio. Le redini sono nere, segnate da una linea che contorna tutto il capo, mentre sulle ali compare una colorazione verdiccia negli individui adulti, rossa scura nei giovani. Sulla coda, le timoniere terminano in bianco, e all'esterno in bianco e nero. Il Sirgang è inoltre dotato di un grazioso ciuffo di penne sul capo. Vive in India, particolarmente nell'Assam e in Birmania, scegliendo le zone molto elevate; e qui vola di albero in albero cibandosi di insetti, ma anche di piccoli vertebrati, essendo fornito di un'indole violenta e sanguinaria. Il suo canto non è spiacevole, e in gabbia diviene domestico e si affeziona facilmente agli allevatori.

ANFIBOLI

Questa famiglia è composta da un piccolo gruppo di uccelli di struttura singolare, che vivono quasi esclusivamente nell'Africa. In considerazione delle loro caratteristiche, vi è stata qualche contestazione riguardo all'ordine cui debbono essere attribuiti, ma poiché i loro costumi presentano non pochi punti di contatto con quelli delle ghiandaie, non è ingiustificato considerarli compresi nell'ordine dei coracirostri. Non c'è molto da dire sugli Amfiboli in generale: i loro caratteri presentano numerose analogie, ma anche non poche discordanze, per cui è più logico descriverli parlando delle singole specie.

MUSOFAGA VIOLACEA (Musophaga violacea)

Questo uccello si distingue prima di tutto per la singolare conformazione del becco, che appare assai forte per via di una squama cornea che parte dal culmine della mascella superiore e ricopre la maggior parte della fronte; esso è inoltre incurvato fino all'apice, adunco e con i margini dentati, e le narici si aprono nella metà anteriore della mascella superiore. Le redini e lo spazio perioculare sono nudi, le ali e la coda non molto lunghe, i piedi corti, ma robusti. La lunghezza della Musofaga Violacea è di circa cinquanta centimetri, e le ali e la coda ne misurano quasi venti. Sulla sommità del capo spicca un bellissimo colore rosso vivo, mentre le altre piume sono violette, quasi nere, ed alla luce assumono riflessi verdi. Sulle ali compare il rosso sfumato di violetto agli apici. Lo spazio interoculare è rosso carminio con una striscia bianchissima che lo sottolinea, i piedi sono neri e gli occhi bruni. I giovani somigliano agli adulti, ma non hanno la colorazione rossa alla sommità del capo. La patria delle musofaghe è posta nell'Africa meridionale e centrale; sono solite dimorare nei boschi specie quando siano posti in prossimità dei fiumi, in pianura, e partire di qui per compiere escursioni nei campi coltivati. Vivono in piccoli branchi di quindici individui al massimo, e stanno di preferenza sugli alberi, dove si muovono assai agilmente, scendendo anche sul terreno e mostrandovisi più disinvolte che nel volo; il quale, come si può immaginare dalla poca lunghezza e consistenza delle ali, appare stentato e niente affatto veloce. Non hanno l'abitudine di unirsi ad altre specie se non raramente; all'epoca degli amori si dividono in coppie. Si mostrano di intelligenza vivace e molto prudenti, attentissime a tutto quanto accade intorno a loro, diventando timide appena abbiano sperimentato le persecuzioni dei cacciatori. Il loro alimento quasi esclusivo, è costituito di sostanze vegetali: gemme, semi, frutti e bacche che cercano sui rami degli alberi, fra i cespugli o sul terreno. Per questo abitano di preferenza i luoghi ricchi d'acqua e di alberi da frutta.
Costruiscono per lo più i loro nidi nelle cavità degli alberi; le uova sono di colore bianco, e la prole viene curata amorosamente e per lungo tempo dopo la nascita da tutti e due i genitori. E' facile abituare alla prigionia questi uccelli, che con le dovute cure possono vivere per anni anche in Europa. Per il cibo si mostrano poco esigenti e la predilezione per le varie specie di frutta facilita molto il compito dell'allevatore. Inoltre, si mostrano sempre vivaci e allegri, pregi questi che, uniti alla bellezza delle piume, rendono particolarmente gradevole la loro presenza nelle nostre case.

TURACO DALLE GOTE BIANCHE (Turacus leucotis)

E' il tipo di una serie degli amfiboli dalle forme eleganti e dalle piume ben disegnate, la cui caratteristica è un ciuffo che occupa la sommità del capo come un elmo. E' lungo circa quarantaquattro centimetri, ha un'apertura d'ali di circa cinquantaquattro e la coda di quasi ventuno. La femmina è uguale al maschio, appena un poco più corta. Il colore predominante delle piume è il verde, che sul dorso e sulle ali si mescola al violetto e sulla coda al nero, con sottili linee ondulate trasversali scure; ventre e tibie sono grigio-scuri, il ciuffo verde scuro lucido. Davanti all'occhio e nella zona che dall'orecchio scende verso il collo fanno spicco due macchie candide, e le remiganti sono di un bellissimo rosso carminio con orli verdi. L'occhio, bruno chiaro, è circondato di piccole protuberanze rosso-cinabro. Il becco breve, piccolo, triangolare, ha sulla mascella superiore un piccolo uncino che scende su quella inferiore; le piume frontali coprono in parte le narici; l'apice è rosso-sangue, la mascella superiore verde, dall'apice fino alle narici. I piedi sono grigio-bruni.

Il Turaco dalle Gote Bianche si incontra in Abissinia in stuoli o in piccole famiglie. Predilige le zone montuose piuttosto elevate o le valli ombrose e ben irrigate, dove crescono certe specie di euforbie fra le quali si aggira instancabile, irrequieto, facendo la spola fra queste piante e quelle dei sicomori che possono dirsi i punti di convegno della sua tribù. Chi si apposti verso mezzogiorno o verso sera sotto uno di tali alberi può a suo agio ammirare questi bellissimi uccelli che saltellano di ramo in ramo, facendo sentire al tempo stesso la loro voce dai suoni rauchi e cupi e dall'emissione singolare, che inganna al primo momento sulla distanza reale del cantore. I movimenti di uno vengono ripetuti volta a volta da tutti i componenti del branco: da un ramo volano in terra a cercare del cibo per tornare su un ramo vicino e da questo, dopo una prudente occhiata all'intorno, a un altro e così via, spesso sparendo nel fitto delle cime di quello stesso albero da cui hanno osservato i dintorni. Nel volo procedono ad archi non molto ampi: a colpi d'ala accelerati si innalzano, le ali si allargano per alcuni istanti, mostrando tutti i loro bei colori, e poi l'uccello si abbassa repentinamente per ricominciare di lì a poco. Si cibano esclusivamente di sostanze vegetali, bacche, sementi, frutta. Collocano il nido nelle cavità degli alberi e vivono in branchetti anche nel periodo della riproduzione. Le uova sono bianche, con un guscio lucido e sottile molto somigliante a quello della nostra colomba domestica. La grande cautela che mostrano nei loro movimenti, il loro volare separati, trattenendosi sul terreno fugacemente per correre subito al riparo fra i rami, dimostra chiaramente che i loro nemici più temuti sono alcuni rapaci indigeni, falchi e sparvieri. Gli abissini non sono soliti dar loro la caccia e infatti verso l'uomo si mostrano piuttosto fiduciosi, pronti però a mettersi in allarme alla prima avvisaglia di persecuzione. L'allevamento in prigionia è cosa piuttosto facile: il Turaco non perde la sua vivacità e prende tanta dimestichezza col padrone da abituarsi a beccare il cibo sul palmo della mano; si esercita in continue passeggiate, corse, voli per la gabbia e anche per la casa sottolineando con la voce le eventuali impressioni che riceve da fatti o cose che lo sorprendono. Il suo verso è un brontolio leggero che si ripete ad intervalli, in crescendo, fino a diventare molto forte e percepibile anche a grande distanza. Il portamento è eretto e, a parte i periodi di riposo, anche il ciuffo si mantiene sempre dritto e ardito. Si ciba di mollica di pane inzuppata nell'acqua, e, secondo la stagione, di varie qualità di frutta tagliuzzate. Ha bisogno di molta acqua, non solo per bere ma anche per bagnarsi, cosa che fa spesso con evidente soddisfazione. Con eventuali compagni di cella vive in buona armonia, senza turbarla neppure in precarie condizioni di clima e di spazio.

TURACO (Turacus cristatus)

E' molto simile alla specie precedente, dalla quale si distingue per la forma del becco e del ciuffo. Lungo circa sessantacinque centimetri, ne misura settanta di apertura d'ali e quasi trentacinque di coda. Il verde vivace e il turchino sono i suoi colori predominanti. Il ciuffo è nero con apici azzurro-neri, il petto e la parte anteriore del ventre verdi o verde-giallo sporchi; la parte inferiore del ventre e il sottocoda sono bruno-cannella pallidi, mentre la coda è azzurro-verdiccia con una fascia nera orlata di azzurro all'estremità. Il becco, molto ricurvo, corto e arrotondato al culmine, coi margini delle due mascelle seghettati, è giallo, e i piedi sono grigio-piombo. La femmina è identica; i piccoli mancano del ciuffo e hanno la gola nuda, e inoltre, il loro becco è nericcio, la sommità del capo nera e, in generale, hanno una colorazione più sbiadita di quella degli adulti. Anche questo Turaco è diffuso nell'Africa occidentale, soprattutto frequente nei boschi fitti in prossimità dell'acqua. La struttura delle ali, piuttosto brevi in confronto al corpo robusto, non gli consente lunghi voli; si cala dagli alti rami in terra con molta eleganza, ma dura fatica ad alzarsi verso le cime, e vive perciò soprattutto nel fitto delle fronde, dove si muove assai meglio che altrove. Il suo cibo preferito sono i frutti succosi i fichi, le banane, ma anche gli insetti e in modo particolare le locuste; ed è così vorace che gli agricoltori lo temono come un pericolo non trascurabile per le piantagioni. Suoni e oggetti sconosciuti lo mettono in grande agitazione: drizza le piume del ciuffo, che di solito tiene abbassate, si guarda attorno inquieto e rapidamente spicca il volo verso il folto del bosco. Possiede una voce aspra e sonora che si sente molto più spesso di quanto, per la sua abitudine di celarsi tra le foglie, sia possibile vederlo.

SCHIZORI CHIASSOSO (Schizorhis zonura)

Caratteristici di questa specie sono il becco forte, grosso, molto ricurvo al culmine e con i margini seghettati, e la sveltezza delle forme. Misura quasi cinquanta centimetri di lunghezza, oltre settanta centimetri di apertura alare e ventiquattro di coda; e queste misure sono leggermente superate negli individui di sesso femminile, che per il resto non si differenziano dal maschio. Il colore, nelle parti superiori è bruno scuro, e cinerino nelle inferiori segnate da striature brunicce che cominciano dal petto. Sull'occipite è presente un ciuffo di piume lunghe e appuntite, orlate di bianco; l'occhio è grigiastro, il becco giallo verde e il piede cinerino scuro. Lo Schizori Chiassoso è molto diffuso nelle regioni centrali ed occidentali del Continente africano, e vive in branchi o in coppie che hanno come sede preferita le alte cime delle piante. Il suo grido di richiamo è sonoro, aspro e gutturale come il verso di certe scimmie, e non è difficile che questa somiglianza sia tale da trarre in inganno il cacciatore poco esperto: mentre emette la voce, lo Schizori si tiene eretto e muove continuamente la coda. Va a cercare il proprio cibo, composto di bacche di varie specie nei cespugli più bassi, e si dedica a questa ricerca soprattutto nelle ore del mattino e della sera: durante il resto del giorno si comporta pigramente, solo preoccupato, si direbbe, di evitare i raggi troppo intensi del sole, e resta perciò acquattato nel più fitto fogliame degli alberi.

UCCELLO TOPO DALLE GOTE BIANCHE (Colius leucotis) - VIRIVA (Colius senegalensis)

Poniamo assieme queste due specie perché le caratteristiche che presentano sono assolutamente comuni, e le uniche differenze che tra di essi è possibile riscontrare si riferiscono ai colori del piumaggio. Entrambi appartengono al genere dei cosiddetti uccelli-topo, nome che deriva dal loro colore e dalla abilità che dimostrano nel muoversi, dove la foresta africana è più impenetrabile e richiede, per essere percorsa, destrezza e capacità di sgusciare paragonabili, appunto, a quelle dei topi. Morfologicamente, questi due uccelli si presentano col corpo allungato e muscoloso, la coda lunghissima, i piedi brevi, ma con lunghe dita, il becco corto, grosso, arcuato, compresso alla punta e con la mascella superiore che termina ad uncino. Le piume sono finissime e a barbe decomposte, simili nell'aspetto ai peli dei mammiferi; ad eccezione di quelle della coda, che hanno invece una grande rigidezza e si presentano fortemente graduate, poiché le timoniere centrali sono lunghe almeno quattro volte più di quelle laterali. Il Viriva ha la fronte fulva, un ciuffo grigio scuro composto di penne a barbe decomposte, il sommo del capo e i lati del collo giallo-rossicci, la gola fulvo chiara: sul resto delle parti superiori del corpo domina il grigio azzurro, che sul petto e sulla parte superiore del collo presenta delle nubecole fulve. Il petto è ruggine, il becco rossiccio alla radice e nero all'apice; mentre l'occhio è bruno rosso col margine perioculare rosso lacca, e le zampe sono coralline. Nell'Uccello Topo dalle Gote Bianche le piume sono tutte grigio-topo punteggiate in una tonalità più chiara: le parti inferiori danno nel fulvo, la gola è cinerina e la fronte nerastra. Sulle guance spiccano due macchie di un grigio molto chiaro. Il becco è azzurrognolo nella mascella superiore, rossiccio nella inferiore, l'occhio azzurro e il piede anch'esso corallino. La mole di questi due uccelli è praticamente eguale: in lunghezza raggiungono i trentatré centimetri, di cui ventidue fan parte della coda, le singole ali misurano circa otto centimetri e la loro apertura si aggira sui ventotto. Entrambi vivono nell'Africa centrale e meridionale, e sono del tutto assenti da quella del Nord. Il loro regno è costituito dalla foresta vergine nelle sue parti più impenetrabili, dove nessun altro uccello riesce a vivere e a muoversi, e solo periodicamente fanno la loro apparizione nei dintorni delle città. Dove i cespugli sono più fitti e intricati, ricoperti di vegetazione parassita che li circonda e avvolge in maglie impenetrabili a tal punto che l'uomo non può aprirsi un varco tra di essi se non a faticosi colpi di accetta e di coltello, qui si stabiliscono il Viriva e il suo affine, al sicuro da qualsiasi insidia. Sono di abilità estrema nel muoversi all'interno dell'intrico della vegetazione: le famiglie e i piccoli branchi, in cui di solito si trattengono, si posano sulle compatte pareti dei cespugli descritti, e non appena abbiano individuato un varco vi penetrano quasi strisciando e trascinandosi. E' come se d'improvviso sparissero, ingoiati dall'intrico dei rami e delle foglie: poi si vede timidamente sporgere il capo di uno di essi al limite opposto della macchia, e a poco a poco tutto l'uccello ne affiora, gli altri lo seguono, la famiglia si ricompone e spicca il volo verso un'altra sede analoga. Spiegare come riescano a sgrovigliarsi in quegli inestricabili ammassi vegetali non è possibile, se non ammettendo in questi uccelli, appunto, la presenza di una abilità paragonabile solo a quella del topo, e che non trova alcun riscontro nelle altre specie alate. Nel muoversi da un cespuglio all'altro volano battendo le ali e volteggiando, con la coda spiegata e tenuta come uno strascico: non raggiungono mai grandi altezze, così come quasi mai scendono sul terreno, e mentre si muovono fanno udire il loro grido acuto e assordante, che, unito a quello degli altri componenti del gruppo, produce un clamoroso fracasso. Il loro cibo, come si è constatato osservando lo stomaco degli individui uccisi, è esclusivamente o almeno preponderantemente vegetale, composto di gemme, di semi e di frutti, ed essi lo colgono appendendosi con le zampe alla parte inferiore dei rami o agli stessi frutti. In alcune regioni, principalmente quelle meridionali, sono dei temibili ladri di seminagioni e di frutteti, cui producono danni a volte gravissimi. Il nido è di forma conica collocato naturalmente nel più fitto, dei cespugli e formato di radici, erbe e steli di ogni sorta. Anche nel periodo della riproduzione le società non si sciolgono, per cui è frequente trovare più nidi costruiti l'uno vicino all'altro. All'interno vengono deposte da sei a sette uova. A cagione della loro dannosa voracità, e anche perché possiedono delle carni molto gustose, tanto il Viriva che l'Uccello Topo dalle Gote Bianche sono sottoposti al rischio di cacce accanite. Meno frequente, invece, è che l'uomo si preoccupi di catturarli vivi, perché, sebbene di facile contentatura nel cibo, essi non sono affatto piacevoli come vicini.

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