LA MINACCIA TURCA
Durante tutto il XVI
secolo, l'Impero turco impegnò militarmente gli Stati europei del
Mediterraneo e dei Balcani, riuscendo a penetrare sino in Ungheria e a scacciare
i Veneziani dall'isola di Cipro. Dopo la sconfitta di Lepanto del 1571, l'Impero
turco conobbe un periodo di profonda crisi che si protrasse per gran parte del
'600.
Il ritorno della Turchia ha una politica espansionistica, si ebbe con
l'elezione di Mehmet Köprülü a gran visir, il quale guardò
sub con grande interesse alle terre austriache di Leopoldo II.
Dopo la
disastrosa avventura polacca del principe Ràkòczy, gli Stati
transilvani, nella speranza di placare le mire espansionistiche dei Turchi,
elessero come nuovo principe Rédei; ma Ràkòczy, non
contento di questa decisione, si fece riconoscere nuovamente principe e,
dimostrando una grande forza di volontà e di coraggio, nel maggio del
1658 si scontrò contro gli invasori Turchi ottenendo la vittoria di
Lipova. Nel settembre dello stesso anno però l'esercito dell'Impero
ottomano ritornò nuovamente all'attacco e, dopo aver sopraffatto le
strenue forze difensive, proclamò principe vassallo di Transilvania Akos
Barcsay. Ràkòczy decise così di chiedere aiuto a Leopoldo
d'Austria; essendo però l'esercito austriaco impegnato nel Baltico, nel
maggio del 1660 lo stesso Ràkòczy fu ferito mortalmente e la
città di Oradea cadde nelle mani dei Turchi, prima che potessero giungere
i rinforzi richiesti.
L'avanzata ottomana non si fermò, ma
proseguì in tutta la Transilvania, giungendo persino ad uccidere anche il
successore di Ràkòczy, Janos Kemeny, a Segesvar, nel 1662. La
caduta del principato di Transilvania nelle mani dei Turchi terrorizzò
l'intera cristianità, oltre che l'imperatore Leopoldo, al quale non fu
lasciato il tempo di cercare alleati e di rafforzare il proprio esercito.
Nell'aprile del 1663, il gran visir fece avanzare le sue truppe con l'intenzione
di risalire direttamente il Danubio sino a Vienna. La gravissima situazione
sensibilizzò tutti gli Stati europei che inviarono uomini e aiuti a
sostegno di Leopoldo II: la Francia, Filippo IV di Spagna, papa Alessandro VII,
il grande elettore del Brandeburgo Federico Guglielmo e altri principi germanici
furono i primi a rispondere all'appello.
Venne così armato un grande
esercito cristiano e costituita una linea difensiva nella Raàb, a circa
ottanta chilometri da Vienna. Lì, e più precisamente a San
Gottardo, il grande esercito di Fahil Ahmed (che nel frattempo era succeduto al
padre Mehmet Köprülü) venne distrutto dalle truppe cristiane,
comandate dal generale Raimondo Montecuccoli. La grande vittoria non
eliminò la minaccia turca contro Vienna, ma soltanto la rinviò di
vent'anni: con la Pace di Vasvàr infatti, che sancì una tregua
ventennale, fu, per il momento, stabilito che la Transilvania, pur rimanendo
sotto la sovranità del sultano, doveva essere liberata sia dalle truppe
imperiali che da quelle turche.
Gli anni che seguirono, videro il completo
disinteressamento da parte di Leopoldo II nei confronti delle questioni turche,
a causa del problema della successione spagnola che in quel periodo
polarizzò l'attenzione degli Stati europei. Nel frattempo i magnati
magiari, intenzionati a salvare quanto ancora rimaneva del regno d'Ungheria,
cominciarono a cospirare contro Leopoldo. Essi intendevano stipulare un'alleanza
con la Turchia che avrebbe dovuto portare all'unione e all'indipendenza di tutti
i territori ungheresi.
I particolari della congiura vennero svelati
all'imperatore quando, nel 1670, il giovane Ferenc Francopan prese le armi e
cercò di conquistare Zagabria senza successo. La congiura fu così
svelata e, dopo aver giustiziato i suoi capi, Leopoldo II abolì tutte le
libertà politiche dell'Ungheria.
LA RIVOLTA BOEMA
La guerra di successione spagnola, in cui era
impegnato anche Leopoldo II, indusse la politica degli Asburgo ad un aggravio
fiscale, soprattutto a danno dei territori sottomessi. Fra questi vi era la
Boemia, in cui già nel 1652, nel 1668 e nel 1673 si erano accesi focolai
di rivolta contro la famiglia degli Asburgo. La nuova pressione austriaca,
accompagnata da una epidemia di peste e dalla carestia del 1679, portò la
popolazione allo stremo e originò nuovi motivi di rivolta. La ribellione
scoppiò con tutta la sua violenza nel 1680: alle devastazioni dei
contadini contro i signori venne risposto inviando truppe armate che soffocarono
rapidamente, ma con notevole spargimento di sangue, la rivolta.
Ma le
aspirazioni nazionali ungheresi non furono del tutto soffocate e coloro che
erano stati costretti a prendere la via dell'esilio nel 1671 cominciarono ad
organizzare un esercito di patrioti, i famosi Kurucok, sotto il comando del
giovane Imre Thököly.
L'ASSEDIO DI VIENNA
Thököly passò alle vie di fatto
nell'estate del 1678: con l'aiuto di un gruppo di ufficiali francesi e di
mercenari polacchi incominciò infatti la cacciata degli Austriaci
dall'Ungheria settentrionale. I Kurukoc ungheresi riuscirono così ad
occupare le città minerarie della Slovacchia centrale, la Slesia e la
Moravia. Questa difficile situazione, accompagnata alla crescente minaccia
turca, spinse il nuovo papa Innocenzo XI a prendere l'iniziativa per una
riconciliazione tra l'imperatore Leopoldo, il re di Francia Luigi XIV e gli
Ungheresi.
L'intervento di Innocenzo XI ebbe risultati positivi e Leopoldo
riuscì a riconciliarsi con l'aristocrazia magiara, ripristinando gli
antichi diritti del regno d'Ungheria. Dal canto suo Thököly si rese
immediatamente conto dell'impossibilità di liberare il suo Paese
dall'oppressione asburgica senza l'aiuto esterno dei Turchi.
Nell'estate
del 1682 Maometto IV si fece promotore della causa magiara e, dopo aver nominato
principe d'Ungheria e suo vassallo Thököly, incominciò la
marcia su Vienna.
La capitale austriaca fu raggiunta nel luglio del 1683 e
il suo assedio si protrasse sino al 12 settembre dello stesso anno. Su
iniziativa del papa l'esercito cristiano fu ricostituito e sotto il comando del
re polacco Giovanni Sobieski ottenne una grande vittoria nella battaglia
combattuta alle pendici del monte Kahlenberg.
Il 19 agosto del 1691 i
Turchi furono allontanati anche dalla Transilvania, dopo la battaglia di
Zalànkémen e nel settembre del 1697 l'esercito ottomano fu
completamente distrutto a Senta, per opera delle truppe imperiali comandate da
Eugenio di Savoia.
Nel gennaio del 1699, nei pressi del villaggio di
Carlowitz, i rappresentanti dell'imperatore, del sultano, della Polonia, della
Russia e di Venezia, conclusero la pace che riconobbe la sovranità della
casa d'Asburgo su tutta l'Ungheria e la Transilvania.
I ROMANOV
La Russia, retta dalla nuova dinastia dei Romanov,
si presentava, intorno alla metà del XVII secolo, come un Paese molto
povero, arretrato e retto da un'economia basata su un'agricoltura rudimentale e
sulla produzione del legname e delle pelli. Rimanevano vaste aree desertiche,
scarsa era la popolazione e poche le città. Suo unico sbocco verso
occidente era, a nord, il porto di Arcangelo che rimaneva bloccato dai ghiacci
per metà dell'anno. A sud, la Crimea, stato tributario dell'impero
ottomano, era abitata dai Tartari le cui incursioni costituivano una costante
minaccia per la sicurezza dell'Ucraina e della Russia meridionale.
Ma
l'isolamento della Russia non era dovuto soltanto alla sua posizione geografica
ma anche alla sua storia, alle profondissime divergenze religiose e all'orgoglio
nazionale, che spesso si spingeva sino all'arroganza. La sua estromissione dalla
vita europea era pressoché assoluta, sia in campo politico che in campo
economico.
Questa era la situazione della Russia quando, nel 1645
salì al potere il giovane zar (appena sedicenne) Alessio Michajlovic
della dinastia dei Romanov. Il regno di Alessio fu inizialmente caratterizzato
da una politica di pace, dopo le gravi perdite territoriali subite in seguito
alle guerre nei decenni precedenti, che erano costate la cessione della costa
baltica alla Svezia, nonché quella dei distretti di Smolensk e Novgorod
alla Polonia e di Azov all'impero turco. Ma a partire dal 1650 la Russia fu
coinvolta nelle lotte che da tempo i Cosacchi ucraini conducevano contro la
Polonia, a cui erano sottoposti. La Prima guerra del Nord, che impegnò la
Russia e la Polonia dal 1654 al 1660, si concluse con un armistizio che
fissò i confini sulla riva sinistra del Don, permettendo quindi allo zar
di mantenere il possesso dell'antica città di Kiev.
Ma l'acquisto
dell'Ucraina da parte dei Russi non migliorò certo la situazione e lo zar
fu subito impegnato nella repressione di una rivolta, guidata dal cosacco
Stefano Razin. Questi suscitò l'entusiasmo delle masse popolari
promettendo che, eliminati i nobili e i funzionari governativi, avrebbe fondato
una nuova comunità egualitaria, ispirata ai princìpi liberali. La
sommossa del Razin fu soffocata nel 1671, quando gli uomini dello zar
catturarono il rivoluzionario e lo giustiziarono. Stefano Razin, soprannominato
dai Russi Stenka, è rimasto nella memoria dei sovietici e ancora oggi
viene annoverato fra gli eroi nazionali.
Nel 1676 lo zar Alessio
morì lasciando il trono al figlio Fiodor, che dopo soli quattro anni
perì a sua volta. Nel 1682 venne assunta la reggenza dalla principessa
Sofia, figlia dello zar Alessio, per conto dei due fratelli minori, Pietro e
Ivan.
PIETRO IL GRANDE
Alla morte del padre, Pietro aveva solo quattro
anni e di conseguenza non era in grado di opporsi alle manovre della sorella
Sofia e, in pratica, venne isolato insieme con la madre Natalia Kirillovna
Naryskina, seconda moglie dello zar Alessio. Nel suo isolamente il giovane
Pietro poté meglio coltivare il suo interesse per ogni forma di lavoro
manuale specializzato, acquisendo un'esperienza insolita per una persona del suo
rango. Poco incline allo studio sui libri e appassionato cultore dell'arte
militare, Pietro dimostrò sin da piccolo un'inestinguibile
curiosità per tutto ciò che di nuovo poteva apprendere; proprio
per questi suoi interessi egli frequentò moltissimo la nemecka sloboda
(cioè il «quartiere tedesco») dove il governo russo relegava
gli stranieri (detti genericamente «tedeschi») per timore di una
contaminazione da parte di nuove ideologie. Da queste amicizie, Pietro
poté apprendere le idee fondamentali che ispirarono la politica del suo
regno: il progetto di ampliare i contatti con l'occidente; la tendenza a
scegliere amici e collaboratori a prescindere dalle loro origini (tanto che si
sposò per la seconda volta con una domestica straniera); la passione per
il mare (che lui non conosceva) che lo portò a promuovere la costruzione
di grosse flotte militari e mercantili; il rifiuto della xenofobia della chiesa
ortodossa; il desiderio di porre fine alla segregazione femminile che lo
portò, sull'esempio francese, ad organizzare delle riunioni speciali in
cui uomini e donne potevano liberamente discutere.
Nel frattempo la
sorellastra Sofia, appoggiata dal primo ministro Golicyn, non si dimostrò
molto incline a cedere il potere nelle mani del giovane Pietro. Quest'ultimo,
sostenuto a sua volta dai partigiani della famiglia della madre, i Naryskin,
diede vita ad una lotta per il potere che si concluse nel settembre del 1689 con
la segregazione di Sofia in un convento e con l'esilio nelle lande desertiche
della Russia settentrionale del primo ministro Golicyn.
Pietro non assunse
però immediatamente la direzione degli affari di Stato, che lasciò
nelle mani di alcuni esponenti dell'alta burocrazia direttamente dipendenti
dalla madre, e continuò a dedicarsi ai suoi studi militari e navali. A
partire dal 1695, quando ormai aveva ventiquattro anni, Pietro assunse la carica
di zar e incominciò a guidare il Paese autonomamente. Da sei anni si era
sposato con Eudocia Lopuchina (imposta da sua madre) che, nel 1698, fu costretta
a ritirarsi in un convento. Nel 1707 Pietro si risposò con la futura
Caterina I, una ex domestica, che nel 1724 fu incoronata imperatrice. Una delle
prime azioni militari fu l'attacco alla fortezza turca di Azak che fu
conquistata nel luglio del 1696, primo passo verso la conquista dello stretto di
Kerc, porta d'accesso al Mar Nero.
Alcuni mesi dopo Pietro condusse in
occidente quella che fu detta la grande ambasceria. Rompendo la tradizione di
isolamento del suo Paese, nel marzo del 1697, sotto il falso nome di Piotr
Mikhailov, lasciò la Russia accompagnato fedelmente da un gruppo di
nobili e, attraverso la Livonia svedese, il ducato di Curlandia, la Prussia
orientale e il Brandeburgo, giunse nei Paesi Bassi.
L'obiettivo del giovane
zar era quello di apprendere personalmente le più recenti innovazioni
tecnologiche e soprattutto la tecnica della costruzione navale. Proprio a questo
scopo, lavorò come carpentiere nei cantieri di Amsterdam e nel gennaio
del 1698 si recò in Inghilterra dove si trattenne per quattro mesi.
Quindi riattraversò i Paesi Bassi e raggiunse Vienna dove
soggiornò per circa un mese.
Prima di rientrare in patria Pietro
concluse con il re di Polonia, Federico Augusto II, un'intesa contro la Svezia
che, nel 1700 darà origine alla Seconda guerra del Nord.
Questa
guerra si concluse nel 1720 con le Paci di Stoccolma e di Nystadt: la prima
prevedeva la cessione, da parte della Svevia, della Pomerania alla Prussia e del
ducato di Schleswig alla Danimarca; mentre la seconda sanciva il passaggio alla
Russia della Livonia, dell'Ingria e della Carelia in cambio della restituzione
della Finlandia.
Con quest'ultimo documento, Pietro il Grande
riuscì a realizzare il suo progetto di influenza russa sul Baltico. Nel
1703, inoltre, il saggio zar dispose la costruzione di Pietroburgo che
diventerà capitale dell'impero: questa nuova città permise alla
Russia un contatto più stretto con il mondo europeo, proprio grazie alla
sua particolare posizione geografica.
Pietro, che ormai aveva nelle sue
mani uno Stato vasto e potente, fu eletto zar di tutte le Russie nel
1721.
Egli ebbe un alto concetto delle sua missione regale e le sue riforme
investirono tutti i settori della vita pubblica, trasformando la Russia in un
Paese laico e largamente europeizzato. Importanti furono le innovazioni per
incrementare le attività industriali e commerciali e per assicurare al
Paese un sistema scolastico adeguato alle nuove esigenze del progresso. Le
riforme, frutto della personale volontà di Pietro, ebbero l'approvazione
entusiastica di una minoranza di giovani occidentalizzati, ma incontrarono
l'ostilità della grande maggioranza dei sudditi, sia perché si
innestavano su di un territorio del tutto impreparato e restio, sia
perché comportavano un gravoso onere finanziario.
L'opposizione
maggiore giunse dagli ambienti ecclesiastici, tipicamente conservatori, e da
coloro che erano indotti dal fanatismo a vedere nello zar l'Anticristo in
persona. Tale fanatismo ebbe una parte importante nella grande rivolta scoppiata
nell'Astrakan nel 1705. Nella sua opera di rinnovamento, Pietro fu osteggiato
anche dal figlio Alessio che, sotto l'influenza della madre e dei suoi
consiglieri, arrivò a considerare la politica paterna pericolosa per la
Russia e per le sue tradizioni.
L'antagonismo tra padre e figlio
sfociò in un punto di rottura nell'autunno del 1716, quando Alessio
fuggì all'estero.
Egli ritornò da Napoli nel febbraio del
1718, dietro promessa di avere salva la vita, ma non gli fu riservata sorte
migliore di quella di molti altri suoi partigiani: arrestato, interrogato e
torturato, morì nel luglio successivo.
CATERINA I
Pietro il Grande morì nel 1725, lasciando
un Paese potente, vincitore sulla Svezia e considerato ormai una parte
integrante dell'Europa.
Pur avendo stabilito che la designazione del
successore spettava allo zar in carica, egli non provvide a designarlo aprendo
in tal modo un nuovo periodo di incertezze.
L'unico discendente diretto in
linea maschile era il figlio di Alessio, Pietro, i cui diritti al trono erano
appoggiati dalle grandi famiglie dell'aristocrazia moscovita, in particolare dai
Golicyn e dai Dolgorukij, che facevano assegnamento sulla minore età del
nuovo zar per riconquistare potere a corte e poter abolire così molte
delle innovazioni introdotte da Pietro. Il potente feldmaresciallo Mensikov
appoggiava invece la candidatura dell'imperatrice Caterina e, poiché come
presidente del collegio di guerra, aveva ai suoi ordini anche la guardia
imperiale, fece circondare il palazzo di Pietroburgo mentre si stava discutendo
la nomina dell'erede, costringendo i nobili che vi erano riuniti a cedere e a
riconoscere la sovranità dell'imperatrice Caterina. Apparve evidente a
quel punto che il capo effettivo del governo sarebbe diventato lo stesso
Mensikov. Per assicurarsi il potere anche dopo la morte di Caterina, piuttosto
debole di salute, egli adottò una soluzione di compromesso accordandosi
con il partito avversario e riconoscendo il giovane Pietro come primo nella
linea di successione, ma riservandosi di dargli in moglie una delle sue due
figlie. In tal modo, le sorelle Anna e Elisabetta, nate dal matrimonio del
defunto zar con Caterina, passarono in secondo piano. Quando, nel maggio del
1627, Caterina morì Mensikov tenne fede ai propri impegni e prestò
giuramento di fedeltà al dodicenne Pietro. Approfittando di una sua
malattia, i Dolgorukij lo spodestarono, procedendo a consolidare la loro
posizione con il fidanzamento del giovane zar con la figlia di Alessio
Dolgorukij.
La sede del governo e della corte fu riportata da Pietroburgo a
Mosca, mentre il sistema di amministrazione locale, istituito da Pietro il
Grande, fu abbandonato in luogo di un sistema più
centralizzato.
Quando sembrava ormai che tutta l'opera del grande zar
dovesse essere spazzata via, nel gennaio del 1730 il non ancora quindicenne
Pietro morì di vaiolo. Si scatenò allora una nuova lotta per la
successione tra le famiglie della grande nobiltà, che finì col
portare sul trono una nipote di Pietro il Grande (figlia di suo fratello Ivan),
la duchessa Anna di Curlandia affiancata da E.J. Biron, il consigliere amante
che l'aveva seguita a Mosca dalla Curlandia. La morte di Anna nell'ottobre del
1740 fu preceduta e seguita da febbrili trattative, intrighi e torbidi giochi
tra quanti intendevano assicurarsi il potere attraverso la ascesa al trono di un
proprio candidato. Intervennero anche le varie potenze straniere e, con
l'intenzione di far saltare l'alleanza austro-russa, l'ambasciatore francese
avviò trattative con la figlia superstite di Pietro il Grande,
Elisabetta, appoggiata anche dall'ambasciatore di Svezia. Ella godeva di molta
popolarità e, pur non nutrendo ambizioni politiche, si lasciò
indurre a dare il proprio assenso a un piano che prevedeva una dichiarazione di
guerra della Svezia alla Russia, con lo scopo di sottrarre il Paese
all'influenza tedesca e di permettere la sua elezione al trono. La notte del 24
novembre del 1741, Elisabetta fu acclamata imperatrice e alla testa di una
compagnia del reggimento mosse dalla caserma Preobrazenskij verso il palazzo
imperiale, deponendo Ivan VI (figlio di un nipote della defunta imperatrice).
Elisabetta giustificò la propria azione con il fatto di essere stata
designata, insieme alla sorella Anna, al secondo posto nella linea di
successione alla morte del padre.
Come gesto di grazia alla sovrana ella
promise che nessuna condanna a morte sarebbe stata pronunciata durante il suo
regno e graziò gli avversari. Non avendo figli, Elisabetta designò
come proprio erede il duca di Holstein, figlio della sorella Anna e dell'ex
pretendente al trono svedese. Il giovane duca di Holstein, dal debole fisico e
psichicamente instabile, straniero e poco al corrente della politica russa, non
si preoccupò molto di adeguarsi alla nuova società. Ben altra
tempra aveva invece sua moglie, la principessa Sofia Augusta di Anhalt Zerbst,
sposata nel 1745 e ribattezzata con il nome di Caterina al momento della sua
conversione alla religione ortodossa. Decisa, intelligente e ambiziosa, Caterina
si dedicò ben presto allo studio dei problemi del suo Paese di adozione,
intenzionata a farsi proclamare imperatrice-consorte, con rango e poteri uguali
a quelli del marito.
Quando Elisabetta morì nel dicembre del 1761,
le sue disposizioni testamentarie vennero applicate senza incontrare
difficoltà e il duca di Holstein, che viveva ormai in Russia da
vent'anni, venne proclamato zar con il nome di Pietro III.
PICCOLO LESSICO
ANTICRISTO
È l'oppositore di Cristo
che, secondo l'Apocalisse, scenderà sulla Terra prima della fine del
mondo per predicare una nuova religione opposta a quella cristiana. Nel Medioevo
venne talora identificato con personaggi noti, quali imperatori e papi.
FELDMARESCIALLO
Particolare carica militare tipica dell'esercito
zarista.
XENOFOBIA
Termine di origine greca (composto dalle parole
xeno e fobia) che significa letteralmente «paura dello straniero». In
realtà viene utilizzato per indicare l'odio e il rifiuto delle
innovazioni provenienti dall'esterno in nome del tradizionalismo e delle usanze
preesistenti. A proposito della Russia si parla di Chiesa xenofoba, cioè
contraria alle idee innovative europee, frutto di rivoluzioni culturali tipiche
della cultura occidentale.
TARTARI O TATARI
Con questo termine furono chiamati nel XIII secolo
i Mongoli che facevano capo a Gengis Khan e che confluirono nel regno
turco-mongolico chiamato Orda d'oro. Più tardi con questo nome si era
soliti indicare tutti i popoli dell'Europa orientale: Balcani, Baschiri, Nogai
ecc, che parlavano lingua turca e che oggi si sono stabiliti nelle regioni
dell'U.R.S.S. I Tatari della Siberia erano molto evoluti e diedero un grande
impulso soprattutto alla metallurgia, alla tessitura e alla pastorizia. Col
passare del tempo, molti di loro si dedicarono all'agricoltura.
PERSONAGGI CELEBRI
CATERINA II LA GRANDE
(1729-1796). Figlia di
Cristiano Augusto di Anhalt Zerbst e di Giovanna Elisabetta di Holstein-Gottorp,
si recò in Russia su invito della zarina Elisabetta Petrovana, sua zia, e
fu maritata a Pietro, duca di Holstein ed erede al trono di Russia. Nel 1762 lo
zar Pietro III, accusato di favorire i legami con la Prussia, fu deposto e
Caterina assunse il trono. Fu una donna molto influenzata dalla cultura
dell'Illuminismo, colta e intelligente, realizzò un complesso di riforme
ispirate a quelle dei sovrani dell'Europa occidentale. Lo Stato russo, sotto la
zarina, si centralizzò; vennero riformati i codici (sulla base del
Beccaria e del Montesquieu), e confiscati alcuni beni del clero. Caterina
domò la rivolta di Pugacev, un contadino che aveva saputo accattivarsi le
simpatie dei generali dell'esercito, e sconfisse i Turchi (il cui confine fu
portato al fiume Bug) ottenendo l'indipendenza della Crimea e il diritto di
protezione sugli ortodossi balcanici. La zarina precisò con alcune leggi
la condizione dei servi della gleba e fu presente alla spartizione della
Polonia, riuscendo a strappare per il suo Paese alcune province orientali. Dopo
l'inizio della Rivoluzione Francese perseguitò i democratici, avendo
diffidenza per le riforme troppo radicali. Oltre alla sua attività di
politica, fu autrice di opere teatrali e di saggi e mantenne un interessante
carteggio con Grimm, Diderot e Voltaire.
RIASSUNTO CRONOLOGICO
1654-1667: scoppia la prima Guerra del
nord che vede opposte la Polonia e la Russia. La pace conseguente fissa i
confini fra i due Stati sul fiume Dniepr.
1664: i Turchi vengono
sconfitti nella battaglia del S. Gottardo (nei pressi del fiume Raab) per opera
dell'esercito asburgico comandato da Raimondo
Montecuccoli.
1667-1671: l'eroe nazionale russo Stefano Razin induce
il popolo russo alla rivolta. Dopo essere stata catturato viene giustiziato
dalle autorità zariste.
1682-1689: dopo la morte dello zar
Alessio, Sofia, sorella di Pietro il Grande, mantiene la reggenza.
1683: Vienna viene assediata dai Turchi e liberata dal re polacco
Giovanni Sobieski.
1683-1697: l'esercito cristiano attacca l'impero
ottomano. Partecipano all'impresa gli Austriaci, i Veneti, e i
Polacchi.
1689-1725: Pietro il Grande è zar della Russia. In
questo periodo prendono il via le riforme innovatrici proposte dall'energico
reggente.
1700-1721: seconda Guerra del Nord. Danimarca, Prussia,
Polonia e Russia si schierano contro la Svezia, dominatrice del
Baltico.
1715: Pietroburgo è la nuova capitale del regno
russo.
1720: pace di Stoccolma che sancisce la fine della seconda
Guerra del nord, a favore della coalizione antisvedese.
1721: Pace di
Nystadt che permette alla Russia di impossessarsi dei domini della Livonia,
dell'Ingria e della Carelia in cambio della restituzione alla Svezia della
Finlandia.