Il concetto di progresso scientifico di Ludovico Geymonat.

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«Il concetto di progresso scientifico» di Ludovico Geymonat

Per riconoscimento concorde di tutti gli studiosi oggi non si può fare una seria indagine sulla natura della scienza senza estendere questo esame alla storia della scienza. E allora il problema che emerge con maggiore urgenza è quello di analizzare e definire il concetto di progresso scientifico. A prima vista infatti tutti sono disposti a riconoscere che nella sua storia ormai secolare - cioè almeno a partire da Galileo, per non parlare della scienza greca a cui è succeduto un lungo periodo di decadenza - la scienza ha compiuto progressi sempre più rapidi, incidendo profondamente anche sulla tecnica, cosicché essa costituisce una delle colonne portanti della nostra civiltà. Eppure, se riflettiamo attentamente sul concetto di progresso scientifico, dobbiamo constatare che esso è irto di grosse difficoltà. Fino alla prima metà dell'Ottocento circa, si era convinti che le scoperte scientifiche fossero delle verità assolute, indiscutibiii; e partendo da tale convinzione si riteneva che il concetto in questione fosse assai facile a definirsi. «La scienza progredisce - così si pensava - in quanto aggiunge nuove verità a quelle già scoperte negli anni precedenti». Le complicazioni scaturirono in primo luogo dalla constatazione che molte teorie, ritenute assolutamente vere da generazioni e generazioni di rispettabilissimi scienziati, si rivelarono invece del tutto insoddisfacenti sia per il carattere discutibile dei loro principi sia per la loro incapacità di spiegare alcuni dati osservativi; questo accadde ad esempio per la teoria newtoniana, dopo la critica rivlita (da Ernesto Mach e da molti altri) alla presunta evidenza dei suoi principi (principio di inerzia, principio della proporzionalità diretta tra forza e accelerazione, principio di azione e reazione), e dopo il fallimento di tutti i tentativi di spiegare il comportamento anomalo dell'orbita del pianeta Mercurio, il cui perielio anticipa di 43" ogni secolo rispetto ai valori stabiliti dai calcoli dell'astronomia newtoniana. Proprio da questa crisi della teoria newtoniana prese le mosse Einstein per costruire la teoria della relatività. Le complicazioni anzidette scaturirono in secondo luogo dall'impossibilità di decidere, in taluni casi particolarmente delicati, quale fra due teorie alternative in aperto contrasto fra di loro, fosse la teoria vera. Per lungo tempo si era ritenuto che in casi siffatti fosse possibile costruire un cosiddetto «esperimento cruciale» capace di confutare la teoria falsa, dimostrando con ciò stesso la validità dell'altra; per esempio si era ritenuto che l'esperimento eseguito da Foucault alla metà del secolo scorso sulla velocità di trasmissione della luce nell'acqua e nell'aria fosse «cruciale», e precisamente dimostrasse la verità della teoria ondulatoria della luce contro la teoria corpuscolare.

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Ma all'inizio del nostro secolo le critiche dei fisico ed epistemologo francese Pierre Duhem dimostrarono l'infondatezza dei presunti esperimenti cruciali. Nel terzo decennio del secolo la fisica quantistica ideò una nuova teoria della luce diversa tanto da quella corpuscolare quanto da quella ondulatoria. La conclusione che se ne può trarre è che i risultati conseguiti dalle teorie scientifiche non costituiscono delle verità assolute, donde segue che il vecchio concetto di progresso scientifico come l'abbiamo poco sopra riferito deve venire abbandonato. Ma se i risultati delle scienze non sono delle verità assolute, che cosa potranno mai essere? La risposta avanzata da gran parte degli epistemologi e dai filosofi dei primi anni del nostro secolo fu che le teorie scientifiche, anche le più rispettabili, sono soltanto delle costruzioni convenzionali, in quanto i loro princìpi sono null'altro che delle convenzioni, press'a poco come le regole dei diversi giochi. L'unica differenza fra le teorie scientifiche e i giochi (per esempio della dama, degli scacchi, ecc.) sarebbe che i giochi servono soltanto a divertire i giocatori, mentre le teorie scientifiche servono a creare nuove tecniche, ricche di straordinari successi sul dominio della natura. La conseguenza che se ne può trarre è che non si può parlare di un vero e proprio progresso scientifico, come non si può affermare che un gioco sia superiore all'altro: questi sono semplicemente, «diversi» e non esiste motivo con cui persuadere chi ama un gioco di preferirgliene un altro. In breve: dal punto di vista convenzionalistico non esisterebbe alcun progresso delle scienze, ma solo un progresso della tecnica. La concezione convenzionalistica della scienza, che all'inizio del nostro secolo aveva suscitato larghi consensi anche fra certi filosofi desiderosi di denigrare la scienza negandole ogni valore conoscitivo, sembra però suscitare oggi molte perplessità. Non già che ci si rifiuti di ammettere che nella costruzione delle teorie scientifiche possa sempre, o pressoché sempre, riscontrarsi un qualche aspetto convenzionale (infatti tali principi non sono né evidenti né direttamente ricavabili dall'esperienza), ma sembra impossibile ammettere che la semplice presenza di tale aspetto basti a farci concludere che i risultati della ricerca scientifica non possano qualificarsi come conoscenze, cioè che non siano in grado di farci cogliere in un qualche modo la realtà oggettiva. Non potendo qui fornire un quadro completo di tutti questi articolatissimi dibattiti, mi limiterò ad accennare a due indirizzi che oggi sembrano incontrare un particolare favore: quello popperiano e quello materialistico-dialettico. Secondo Karl Popper una teoria scientifica non è mai verificabile ma solo falsificabile. In altre parole: essa deve indicare qualche risultato, contrario alla teoria («falsificatore potenziale») tale che, se riuscissimo a riscontrarlo nell'esperienza, varrebbe a dimostrare la falsità della teoria stessa. Ciò posto, lo sviluppo della scienza consisterebbe in una critica ininterrotta: più precisamente nella «invenzione» di sempre nuove congetture e nella loro successiva falsificazione. Una teoria risulterebbe costituire un progresso rispetto ad altre, allorché proviene dalla confutazione di queste ultime e dalla sostituzione ai loro principi di più ardite congetture, a loro volta sottoponibili a ulteriori confutazioni. Secondo il materialismo dialettico, che risale a Marx, Engels, Lenin e che oggi è abbracciato da gran parte degli epistemologi sovietici e cinesi, la scienza è bensì in grado di conseguire delle verità, ma relative e non mai assolute. Proprio per il loro carattere relativo, queste verità sono sempre sottoponibili a critiche che varranno a farci passare da esse ad altre verità più profonde e più complete. Il progresso scientifico consisterà dunque in un doppio processo: di acquisizione di nuovi dati empirici e di approfondimento delle teorie con cui cerchiamo di spiegarli.

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