Ostrogoti.

Gli Ostrogoti

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Gli Ostrogoti in

Alatri Amalasunta Arco Arles Assisi

Alatarico Attila Boezio, Anicio Manlio Torquato Severino Clotario I (497-561), re di Neustria

Eruli Gepidi Giovanni I Giovanni II Giustiniano I Giustino I

Goti Guerre greco-gotiche Lingua gotica

Narsete Odoacre Pannonia Procopio

Regni romano-barbarici Teodato Teodorico il Grande Totila Unni Vitige Zenone (imperatore)

Visigoti Il Regno Visigoto Re visigoti

Piacenza Palazzo Pubblico, Piacenza Storia

Catania Urbanistica e Luoghi di interesse Porta Uzeda Vincenzo Bellini Giovanni Verga Parco naturale regionale dell'Etna  Il castello Ursino storia

Filippi (greco Phílippoi)

Gli scavi di Alba Fucens

I castelli della Valle d'Aosta

Invasioni barbariche Gli antefatti Gli eventi principali L'invasione visigota Il declino dell'impero d'Occidente Il Mediterraneo all'alba del Medioevo La calata dei vandali Il regno ostrogoto in Italia Cause ed effetti delle invasioni Barbariche Le cause Gli effetti

Ischia: storia e architettura Isonzo: un fiume strategico

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Ostrogoti.

Popolazione germanica che, con i visigoti, costituì uno dei due rami principali dei goti. Nel III secolo d.C. gli ostrogoti erano stanziati nella Russia meridionale: quando gli unni calarono in Europa nel 370, gran parte di loro si unì ai conquistatori e rimase a questi soggetta fino a quando Attila dette inizio alle sue spedizioni in Occidente (451) tentando, senza successo, di invadere la Gallia visigota. Dissoltosi l'impero degli unni, gli ostrogoti si insediarono come foederati dell'impero d'Oriente in Pannonia, in un'area che oggi include l'Ungheria occidentale, la Croazia settentrionale, la Slovenia, la Serbia e l'Austria orientale, sotto la guida del re Teodemiro.

Nel 474 a questi succedette Teodorico che, dopo varie schermaglie alternate ad alleanze con l'imperatore bizantino Zenone, invase l'Italia (488) dove nel 493 uccise Odoacre (il primo reggente barbaro in Italia) e si autoproclamò sovrano della penisola. Morto Teodorico nel 526, il clima di unità che aveva caratterizzato i rapporti tra goti e latini si sfaldò, tanto che nel 535 l'imperatore bizantino Giustiniano inviò il suo generale Belisario a liberare le terre italiane. L'obiettivo fu raggiunto solo vent'anni dopo dagli esarchi (governatori) bizantini di Ravenna; gli ostrogoti vennero gradualmente assorbiti da alani, vandali, franchi e burgundi.

Gli Ostrogoti

Gli Ostrogoti

Alatri.

Cittadina del Lazio, in provincia di Frosinone: è situata a 502 m di quota, su un colle calcareo, alle pendici sudorientali dei monti Ernici. Costituisce, per importanza storica e ricchezza artistica, uno dei centri principali della Ciociaria.

L'origine è antichissima. Alatri fu fondata attorno al VI secolo a.C. dalla popolazione italica degli ernici. Entrò ben presto in conflitto con Roma, al pari delle altre città erniche, e ne fu sottomessa nel IV secolo a.C.; in seguito, nel corso delle guerre italiche, rimase fedele alleata dei romani, da cui ottenne l'autonomia municipale. Per secoli centro assai fiorente, fu distrutta nel VI secolo dagli ostrogoti; risorse solo nel XII secolo, istituendosi in libero comune con il nome di Civitanova (Civitas Nova).

L'elemento architettonico di maggior rilievo consiste nell'Acropoli, o Civita, eretta nel IV secolo a.C., ma già ristrutturata da Roma nel II secolo a.C.; il complesso sovrasta la città medievale e moderna ed è racchiuso da una possente cinta muraria trapezoidale. Un'altra cerchia di mura, ampiamente rinforzata nel Medioevo con l'aggiunta di torri, circonda a sua volta quasi interamente l'abitato di Alatri, sviluppandosi per 2 km. Nelle mura dell'Acropoli si aprivano cinque porte, di cui solo due sussistono: la grandiosa Porta Civita (o Maggiore) e la Porta Minore. Entrambe sono sovrastate da architravi monolitici (quello della Porta Civita supera i 5 m di lunghezza); dalle porte si dipartono le ripide gradinate che adducono alla spianata dell'Acropoli. Qui fu edificato nel X secolo il Duomo, interamente ristrutturato nel XVII secolo in forme barocche.

Tuttavia molto più pregevoli sono i monumenti, religiosi e civili, situati nella parte più bassa di Alatri, che conserva una forte impronta medievale. Spiccano le chiese romanico-gotiche di Santa Maria Maggiore, di San Francesco, di San Silvestro, il Palazzo Conti-Gentili (o Palazzo degli Studi, sede del collegio Gentili) e il Palazzo del Cardinale Gottifredo, in cui è allogato il ricco museo civico: tutti edifici risalenti o rimaneggiati nel XIII secolo.

Oltre che sul turismo, soprattutto d'arte, Alatri poggia le proprie risorse economiche sull'agricoltura (olivicoltura, ortofrutticoltura), con connesse piccole industrie di trasformazione, e sull'artigianato artistico (lavorazione del ferro battuto e del rame sbalzato, oggetti in vimini).

Abitanti (alatrini): 25.038 (1996).

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Amalasunta.

(? 498 ca. - Bolsena 535), regina degli ostrogoti. Figlia di Teodorico il Grande, sposò Eutarico, erede al trono; alla morte di Teodorico regnò in nome del figlio minorenne Atalarico su un territorio comprendente tutta l'Italia e la Sicilia e che si estendeva a est fino al Danubio e a ovest fino alla Provenza. Nel 534, morto il figlio, sposò il cugino Teodato, cercando di fargli proseguire una politica di accordo con l'impero d'Oriente e con il papa. Ma Teodato se ne sbarazzò, facendola uccidere e provocando così l'intervento di Giustiniano che, nonostante l'ambasceria di pace del papa Agapito, provocò la guerra greco-gotica (535-553).

Arco.

Cittadina del Trentino-Alto Adige, in provincia di Trento. Situata nella bassa valle del Sarca, sulla destra del fiume a circa 4 km dalla sua foce nel lago di Garda, gode di un clima mite grazie alla vicinanza del lago.

Già insediamento romano, nel XII secolo divenne sede dei conti d'Arco, di origine bavarese; fu quindi alleata dei Visconti di Milano e incendiata dai veneziani. Nel 1614 divenne feudo dell'impero, per passare all'Austria nel 1804 e all'Italia, definitivamente, nel 1918. L'abitato più antico si è sviluppato ad arco (da qui il nome) alle pendici della rupe su cui si trovano le torri diroccate del castello, la cui costruzione è attribuita a Teodorico, re degli ostrogoti, tra il V e il VI secolo. La città conserva inoltre la Collegiata dell'Assunta (secolo XVII) e il rinascimentale Palazzo Marchetti. Arco ha dato i natali al pittore Giovanni Segantini.

Rinomato centro di cura e di soggiorno già alla fine dell'Ottocento (l'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo possedeva qui una villa con ampio parco), Arco è un'attiva località turistica, che richiama molti appassionati sportivi, in particolare per le palestre naturali di roccia sulla rupe del castello. È sede inoltre di industrie meccaniche e chimiche.

Abitanti (arcensi o archesi): 12.855 (1996).

Arles.

Città della Francia sudorientale, sorge sulla riva sinistra del fiume Rodano. Appartiene alla regione amministrativa Provenza-Alpi-Costa Azzurra e al dipartimento Bouches-du-Rhône. Importante nodo ferroviario e stradale, porto collegato al Mediterraneo da un canale navigabile, Arles è un animato centro agricolo e manifatturiero, sede di industrie alimentari, tessili, chimiche e cartarie. La città conserva importanti rovine d'epoca romana, tra cui l'arena (I-II secolo d.C.), l'obelisco rinvenuto nel Rodano e ora in Place de la République, il teatro dove fu trovata la statua di Afrodite (oggi al Louvre) e il complesso delle terme sul Rodano. Altri monumenti di valore sono la chiesa romanica di Saint-Trophime e il municipio, opera dell'architetto Jules Hardouin-Mansart.

Nel I secolo a.C. Arelas, nome della città in epoca romana, divenne uno dei principali centri commerciali dell'impero romano. Sede episcopale dal IV secolo fino al 1790 e roccaforte del cristianesimo, Arles ospitò importanti concili ecclesiastici, tra cui quello del 314 contro i donatisti. Dopo la caduta dell'impero romano (476 d.C.) venne occupata dai visigoti e poi dagli ostrogoti. Nel 730, durante il dominio della dinastia merovingia, fu saccheggiata dagli invasori musulmani. Divenne sede del regno di Provenza nell'879 e nel 933 capitale del regno di Arles, nato dalla fusione della Provenza e della Borgogna. Dopo il 1246 fu annessa alla Provenza. Centro artistico e culturale, alla fine del XIX secolo Arles ospitò i pittori Paul Gauguin e Vincent van Gogh.

Abitanti: 52.600 (2005).

Assisi.

Città dell'Umbria, in provincia di Perugia; è situata su un contrafforte del monte Subasio che domina la pianura solcata dal Topino e dal Chiascio, affluenti del Tevere.

Di origine umbra, poi ricco municipio romano (Asisium), fu distrutta nel 545 dagli ostrogoti di Totila, quindi appartenne al Ducato di Spoleto e alla fine del XII secolo acquistò i privilegi di libero Comune. In lotta contro la rivale Perugia, fu sconfitta nel 1202 e in seguito assoggettata dai perugini dal 1321 al 1367, quando si donò alla Chiesa, che le restituì l'autonomia. Scossa nei secoli seguenti da lotte interne, passò sotto varie famiglie nobiliari (fra le quali Visconti, Montefeltro, Baglioni) e nel 1502 fu saccheggiata due volte dal duca Valentino, che ne decimò la popolazione. Ormai in rovina, entrò a far parte dello Stato della Chiesa, seguendone da allora le sorti politiche.

L'odierna città, famosa per aver dato i natali a san Francesco e a santa Chiara, conserva nella sua tessitura urbanistica medievale alcune strutture romane, tra cui il tempio di Minerva (I secolo), trasformato in chiesa, una cisterna sotto il campanile del Duomo e resti dell'anfiteatro. Di grande interesse è la basilica di San Francesco (1228-1253) adiacente al grandioso convento. Questa è costituita dalla chiesa inferiore (nella cui cripta si trova la tomba del santo) e dalla chiesa superiore, gotica, entrambe ornate da splendidi affreschi di Cimabue, Giotto, Pietro Lorenzetti e Simone Martini, che ne fanno il più importante complesso monumentale della pittura italiana dei secoli XIII-XIV. Notevoli inoltre il Duomo di San Rufino (1134-1228), con facciata romanica, la basilica di Santa Chiara (1257-1265) e la chiesa romanico-gotica di San Pietro. Il terremoto del 26 settembre 1997 ha gravemente danneggiato il patrimonio artistico della città, e in particolar modo la basilica di San Francesco. Grazie ai lavori di restauro, ancora in corso d'opera, l'edificio e la decorazione murale della basilica stanno ritornando al loro antico splendore.

Di grande interesse storico-artistico la basilica di Santa Maria degli Angeli, del XVI-XVII secolo, costruita attorno alla Porziuncola (un'antichissima cappella donata a san Francesco dai benedettini) e comprendente la Cappella del Transito, dove morì il santo. Sul crinale che domina la città si eleva la Rocca Maggiore, del 1367. Poco distante da Assisi, l'oratorio di San Damiano è un esempio ben conservato di convento duecentesco. A 4 km dalla città, sulle pendici del monte Subasio, sorge, in mezzo a un bosco di lecci, l'eremo delle Carceri, luogo di meditazione di san Francesco. L'economia locale è prevalentemente basata sul turismo culturale e religioso. Caratteristica è la lavorazione artigianale di ceramiche e ricami.

Abitanti (assisani o assisiati): 25.304 (2001).

Atalarico.

(516-534), re degli ostrogoti. Figlio di Eutarico e Amalasunta, alla morte del nonno Teodorico, nel 526, gli succedette sotto la tutela della madre. Amalasunta continuò, seguendo la volontà del padre, il programma di pacificazione e di collaborazione con i romani. I goti, ostili alla politica di romanizzazione incoraggiata da Amalasunta, le sottrassero il figlio Atalarico, per educarlo secondo le usanze ostrogote. Atalarico morì prematuramente, forse a causa degli stravizi favoriti dai nobili goti.

Attila.

(406 ca. - 453), re degli unni (433 ca.- 453). Poco si conosce delle sue origini, eccetto che apparteneva a un'importante famiglia della stirpe degli unni, una popolazione nomade asiatica che dalle steppe del Caspio compiva frequenti incursioni nei territori dell'impero romano d'Oriente.

Prima della nascita di Attila, gli unni avevano raggiunto il Danubio; nel 432 godevano di un tale potere che lo zio di Attila, il re Rua, riceveva ogni anno un consistente tributo da Roma. Attila, che succedette allo zio, dapprima regnò con il fratello Bleda, ma nel 445 lo fece uccidere rimanendo da solo sul trono.

Unificò varie tribù unne e, ponendosi alla loro guida, nel 447 avanzò nell'Illiria devastando gran parte dei territori tra il Mar Nero e il Mediterraneo e meritandosi così l'epiteto di "Flagello di Dio". Nel 447 sconfisse l'imperatore bizantino Teodosio II, ma non riuscì a espugnare Costantinopoli poiché il suo esercito non era esperto nelle tecniche d'assedio. Tuttavia, Teodosio fu costretto a cedere parte del territorio a sud del Danubio e a pagare agli unni un tributo annuale.

Attila sottomise e costrinse ad arruolarsi nel proprio esercito un contingente di ostrogoti, e nel 451 invase la Gallia insieme a Genserico, re dei vandali. Fu però sconfitto dal generale romano Flavio Ezio nella battaglia dei Campi Catalaunici (odierna Châlons-sur-Marne). Il conflitto che, secondo le fonti, fu uno dei più atroci della storia antica, vide i romani alleati con i visigoti guidati dal loro re Teodorico I (che regnò dal 418 al 451). Le fonti antiche stimarono le perdite degli unni fra i 200.000 e i 300.000 uomini, un numero eccessivo secondo gli storici moderni. Ezio li costrinse a ritirarsi fino al fiume Reno.

Ripresosi solo in parte dalla sconfitta, Attila invase l'Italia l'anno dopo, devastando Aquileia, Milano, Padova e altre città, e giungendo alle porte di Roma. Il suo esercito era ormai stremato dalla fame e dalle malattie e, quando un'ambasceria guidata dal papa Leone I andò incontro alle truppe, Attila accettò una tregua e si ritirò in Pannonia. Nel 453 si preparava a invadere nuovamente l'Italia, ma morì prima che il suo piano potesse attuarsi.

Una delle principali conseguenze dell'invasione degli unni in Italia fu che la popolazione dei veneti, stanziati nell'Italia nordorientale, si rifugiò nel territorio affacciato sul mar Adriatico, costituito da isole, paludi e lagune, che sarebbe diventato più tardi la città di Venezia.

Boezio, Anicio Manlio Torquato Severino.

(Roma 480 ca. - Pavia 524), filosofo e matematico latino. Nato da nobile famiglia, Boezio si guadagnò la stima di Teodorico, il re degli ostrogoti che allora governava Roma, e nel 510 venne nominato console. Accusato di tradimento dai suoi nemici, benché innocente, venne incarcerato a Pavia e infine giustiziato.

Durante la prigionia scrisse il De Consolatione philosophiae (523 ca.), un'opera filosofica in forma allegorica che ebbe un influsso enorme sul pensiero medievale. Prima di essere incarcerato, Boezio scrisse e commentò l'Isagoge di Porfirio, dando avvio alla cosiddetta disputa sugli universali fra nominalisti e realisti, scrisse trattati di logica che influenzarono profondamente la filosofia scolastica, nonché traduzioni e commenti alle opere di Aristotele, grazie ai quali i dotti nel Medioevo conobbero il grande filosofo greco; si occupò anche di musica (De institutione musicae), aritmetica (De institutione arithmetica) e geometria (De geometria).

Clotario I (497-561), re di Neustria.

Figlio di Clodoveo e di Clotilde, alla morte del padre (511) ricevette una delle quattro parti (comprendente i territori di Soissons e parte dell'Aquitania) in cui fu diviso il regno franco. Uomo ambizioso e senza scrupoli, alla morte del fratello Clodomiro ne uccise il figlio per spartire insieme al fratello Childeberto I i possedimenti del regno d'Orléans. Tra il 531 e il 534 partecipò a numerose spedizioni contro i burgundi, gli ostrogoti e i visigoti, conquistando parte della Turingia e della Sassonia. Alla morte dei fratelli nel 558, impadronitosi dei territori del Reno, della Mosella e della Marna, si ritrovò unico re dei franchi. Alla sua morte il regno fu nuovamente diviso tra gli eredi: Chilperico I e Sigoberto I acquisirono rispettivamente la Neustria e l'Austrasia; gli altri due figli si spartirono il territorio restante.

Eruli.

Popolazione di guerrieri di origine teutonica, probabilmente scacciata dalla Scandinavia nella prima metà del III secolo d.C. Secondo fonti medievali, un gruppo di eruli saccheggiò la Gallia nella seconda metà del III secolo e nel V minacciò le coste spagnole. Un altro gruppo si stabilì lungo le coste del Mar Nero e andò alla conquista della Grecia; sottomessi prima dagli ostrogoti, poi dagli unni e infine, nel VI secolo, dai longobardi, gli eruli furono dispersi: alcuni emigrarono verso la Scandinavia, altri vennero accolti nell'impero bizantino.

Gepidi.

Popolazione germanica, affine ai goti, che mosse nel III secolo dalla foce della Vistola nella regione carpatica. Assoggettati, insieme con il loro re Ardarico, dagli unni di Attila, si stanziarono poi in Dacia - costituendo un regno abbastanza saldo - per poi essere vinti dai vicini ostrogoti di Teodorico (489). L'impero bizantino ebbe con loro un rapporto ambiguo: non ne disdegnò l'aiuto militare nella guerra greco-gotica, ma favorì poi l'insediamento dei longobardi - loro ostili - nella vicina Pannonia (546 ca.). Dopo alterne vicende, una coalizione di longobardi e avari sconfisse nel 566 il re dei gepidi Cunimondo: ne conseguirono il crollo del suo regno e la diaspora del suo popolo.

Giovanni I.

(Toscana? 470 - Ravenna 526), papa (523-526), santo. Eletto papa nel 523, dovette recarsi a Bisanzio in seguito alle pressioni esercitate da Teodorico il Grande, re degli ostrogoti, per ottenere dall'imperatore Giustino I la cessazione della persecuzione degli ariani, correligionari di Teodorico. Venne accolto trionfalmente dall'imperatore, ma non riuscì a concludere la sua missione con pieno successo. Tornato in Italia, fu imprigionato da Teodorico a Ravenna, dove morì.

Giovanni II.

(Roma 470 ca. - 535), papa (533-535). Al secolo Mercurio, fu il primo papa ad adottare un nuovo nome dopo l'elezione al soglio pontificio. All'inizio del suo pontificato Giovanni si fece garantire da Atalarico, re degli ostrogoti in Italia, la conferma del decreto contro la simonia che era stato emesso dal senato romano; in seguito ottenne una professione di fede dall'imperatore bizantino Giustiniano, realizzando una conquista significativa per la Chiesa cristiana, che in quel periodo era minacciata dal diffondersi del monofisismo nell'impero bizantino.

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Giustiniano I.

(Tauresium, Illiria 483 - Costantinopoli 565), imperatore romano d'Oriente (527-565), detto il Grande. Nipote dell'imperatore Giustino I, crebbe alla corte di Costantinopoli; nel 518 fu incaricato della cura dell'amministrazione dallo zio, il quale lo nominò suo successore. Nel 523 sposò Teodora, di umili origini, dotata di grande intuito politico, e alla morte dello zio, nel 527, venne eletto imperatore.

Immediatamente dopo l'ascesa al trono, inaugurò una politica volta al consolidamento dei territori imperiali, fuori e dentro i confini. Nel 532 siglò un accordo di pace con la Persia, mentre contemporaneamente incaricò il generale Belisario di sedare un'insurrezione interna (la rivolta di Nika), scoppiata per cause politiche e religiose, durante la quale lo stesso trono di Giustiniano vacillò e fu salvato grazie anche all'intervento di Teodora. Nel 533 un esercito imperiale mosse contro il regno dei vandali nell'Africa del Nord, che venne annesso all'impero nel 534. L'anno seguente un'altra armata imperiale attaccò gli ostrogoti in Italia, ma incontrò una ferrea resistenza e la guerra si protrasse per quasi vent'anni. Una terza campagna, intrapresa questa volta contro i visigoti, assicurò la riconquista della Spagna sudorientale. Così, alla morte di Giustiniano, quasi tutti i territori intorno al bacino del Mediterraneo, che avevano fatto parte dell'originario impero romano, erano stati riuniti sotto la corona bizantina, a eccezione della Gallia e della Spagna settentrionale. Sul fronte orientale, però, le ostilità con la Persia erano riprese (540-545) e nei Balcani la minaccia di slavi, unni e bulgari si faceva sempre più pressante.

Per organizzare un impero così vasto Giustiniano si propose di istituire un sistema legislativo organico e incaricò una commissione, presieduta dal giurista Triboniano, di raccogliere e ordinare il diritto romano. Il lavoro di compilazione durò oltre un decennio e la raccolta venne infine incorporata nel Corpus juris civilis, chiamato anche Codice giustinianeo, promulgato nel 534 e aggiornato in seguito con nuovi decreti o Novellae. L'opera è ancora oggi alla base del diritto di gran parte dei paesi europei. Meno felice fu, invece, il tentativo di unificazione religiosa dell'impero: oltre che intervenire nel conflitto tra monofisiti e ortodossi, sostenendo questi ultimi, Giustiniano si scontrò con la dura opposizione dei papi di Roma, avversi al suo progetto.

Giustino I.

(Tauresio 450 ca. - Costantinopoli 527), imperatore d'Oriente. Di famiglia contadina, soldato senza istruzione, divenne capo della guardia imperiale. Alla morte di Anastasio I (518) comprò l'elezione con il denaro pubblico, ma si rivelò ottimo governante. Abrogò l'Henoticon con cui l'imperatore Zenone aveva vanamente tentato di conciliare monofisismo e ortodossia e, come premessa per la riconquista dell'Italia, invasa dagli ostrogoti, si riconciliò con il vescovo di Roma. Nel 523 emise infatti un editto contro l'arianesimo, che invano Teodorico il Grande, seguace di quella dottrina, tentò di scongiurare inviando presso l'imperatore d'Oriente il papa Giovanni I. Nel 527 Giustino associò all'impero il nipote Giustiniano.

Goti.

Popolazione originatasi verso il I secolo a.C. dalla fusione di tribù germaniche e scandinave. Dal primo insediamento nel bacino della Vistola, nel II secolo d.C., i goti migrarono a sud giungendo sul Mar Nero, dove si fusero con altre tribù balcaniche e iraniche e dove stabilirono i primi contatti con i romani attraverso il commercio dell'ambra.

Dagli inizi del III secolo i goti conquistarono diverse città dei Balcani, dell'Asia Minore e della Grecia (tra cui Atene nel 267-268), fino a costituire una grave minaccia per l'impero romano. Sconfitti da Claudio il Gotico (269) e poi da Aureliano (270-275), che tuttavia cedette loro la Tracia, nel IV secolo fondarono un vasto regno e si convertirono al cristianesimo.

Verso la fine del IV secolo, in seguito all'arrivo degli unni, si scissero in due entità politiche autonome: gli ostrogoti (Ostgothen, o "goti dell'est", detti anche greutungi, "goti splendenti") stabilirono un vasto regno a est del fiume Dnestr fino al Don; i visigoti (Westgothen, o "goti dell'ovest", noti anche con il nome di tervingi, "goti saggi" ) si insediarono invece tra il Dnestr e i Carpazi.

Guerre greco-gotiche.

Conflitti combattuti dal 535 al 553 in Italia dai bizantini dell'imperatore Giustiniano contro gli ostrogoti. I bizantini, provenienti dal Nord Africa (che avevano sottratto al breve dominio dei vandali), sotto il comando dei generali Belisario e Narsete, conquistarono progressivamente buona parte della penisola, fino a raggiungere, nel 540, la capitale Ravenna dove catturarono il re Vitige, succeduto al precedente sovrano Teodato.

Il nuovo re Totila riorganizzò però la resistenza ostrogota e - con fasi alterne - protrasse a lungo la guerra, nella quale perse la vita nel 552, nella battaglia di Tagina. Il conflitto si concluse nel 553, dopo la morte, avvenuta nella battaglia di Monte Lattaro, del successore di Totila, il re Teia, ed ebbe come effetto la breve riannessione dell'Italia all'impero romano d'Oriente.

Lingua gotica.

Lingua morta, l'unica ben documentata dell'estinto ramo orientale delle lingue germaniche.

Il gotico era parlato dagli ostrogoti, antica popolazione stanziata in Germania e in Italia, e dai visigoti dell'Europa orientale e della Spagna. Fu soppiantata da altre lingue germaniche e romanze fra il VII e il IX secolo.

Più a lungo che in Spagna e in Italia, il gotico sopravvisse fra i goti di Crimea, dove negli anni 1560-1562 fu raccolta una serie di parole ed espressioni che mostrarono come la loro lingua fosse ancora una forma di gotico.

Con l'eccezione di alcune iscrizioni norvegesi in rune, le testimonianze di gotico sono le più antiche fra quelle delle lingue germaniche, e sono perciò molto preziose per lo studio della storia di questa famiglia linguistica.

La maggior conoscenza del gotico deriva dai frammenti di una traduzione della Bibbia fatta intorno al IV secolo dal vescovo goto Ulfila. Tra questi frammenti il maggiore e migliore è costituito dal Codex argenteus, che contiene circa la metà dei Vangeli. L'alfabeto gotico, tradizionalmente attribuito a Ulfila, consiste di 27 caratteri: 25 lettere greche modificate e due rune.

Narsete.

(? 478 ca. - Roma 569), generale bizantino. Eunuco, forse di origine armena, dopo aver represso una rivolta a Costantinopoli nel 532, ebbe da Giustiniano, nel 538, il comando dell'esercito inviato in Italia in aiuto a Belisario contro gli ostrogoti di Vitige: i due conquistarono Rimini e assediarono Ravenna. Scoppiati però dei disaccordi tra di loro, Narsete venne richiamato a Costantinopoli, dove il suo prestigio si accrebbe ulteriormente; quindi, rientrato Belisario, fu nuovamente spedito in Italia, dove sconfisse i re ostrogoti Totila e Teia (battaglia di Tagina, 552), entrò a Roma e, dopo aver distrutto anche un esercito franco, sottomise nuovamente all'impero tutta l'Italia dopo quasi un secolo di dominazione germanica.

Saggio ma troppo "ingombrante" per i suoi successi militari, quattordici anni dopo, inviso a Giustino II, Narsete fu allontanato. Alla discesa dei longobardi in Italia, trovandosi a Napoli, fu chiamato da papa Giovanni III a difendere Roma, dove morì.

Odoacre.

(? 434 ca. - Ravenna 493), re barbarico, al quale tradizionalmente si associa la data della caduta dell'impero romano d'Occidente (476 d.C.).

Figlio di Edicone, principe sciro alla corte di Attila re degli unni, nel 469 si mise al servizio dei romani come capo di un esercito di mercenari germanici. Nel 476 destituì l'ultimo imperatore romano d'Occidente Romolo Augustolo e venne proclamato re dal suo esercito. Cercò di ottenere un riconoscimento ufficiale dall'imperatore romano d'Oriente Zenone, il quale, pur invitandolo a sottomettersi all'autorità dell'imperatore legittimo, Giulio Nepote, accettò di fatto la sua sovranità sulle terre d'Occidente.

Con una saggia amministrazione, che mantenne sostanzialmente intatta l'organizzazione precedente, lasciando ai romani l'esercizio delle cariche minori e la libertà di professare il cristianesimo, Odoacre si assicurò la fedeltà di senato, aristocrazia e Chiesa. Nel 476-477 conquistò la Sicilia occupata dai vandali e poco dopo la Dalmazia, ma Zenone, preoccupato dei crescenti successi del re germanico, mobilitò Teodorico, re degli ostrogoti, che nel 489 sconfisse Odoacre presso Verona e, dopo la battaglia decisiva vicino a Ravenna (490), lo fece imprigionare e poi uccidere.

Pannonia.

Antica regione dell'Illiria compresa a nord e a est dal Danubio, a sud dalla Dalmazia, a ovest dal Norico e dall'Italia settentrionale. Prese il nome dalla popolazione dei pannoni, probabilmente di origine illirica, che abitava questa regione nell'antichità. Ottaviano (il futuro imperatore Augusto) invase la Pannonia nel 35 a.C.; sottomessa da Tiberio nel 10 a.C., la regione divenne allora parte dell'Illirico, provincia fondata nel 168 a.C. In seguito a un'insurrezione scoppiata nel 6 d.C. e sedata tre anni dopo, la Pannonia divenne provincia autonoma. Lungo le frontiere vennero erette numerose fortificazioni, furono costruite strade e fondate città. All'inizio del II secolo d.C. l'imperatore Traiano divise la provincia in Pannonia superiore e Pannonia inferiore. Tra il IV e il V secolo la regione fu occupata da unni, ostrogoti, avari e slavi e venne quindi abbandonata dagli imperatori romani.

Procopio.

(Cesarea 500-565 ca.), storico bizantino. Studiò legge e in seguito esercitò la professione a Costantinopoli. Qui, nel 527, fu nominato segretario di Belisario, generale di Giustiniano, e lo accompagnò nelle sue campagne durante la prima guerra persiana (527-531), contro i vandali in Africa (533-34) e contro gli ostrogoti in Italia (536-540 ca.). Nel 542 probabilmente era di nuovo a Costantinopoli, poiché descrisse in modo dettagliato la peste che colpì la città in quell'anno. Nel 562 ne divenne prefetto. La sua opera principale è La storia delle guerre di Giustiniano in otto libri. I primi due trattano la prima guerra persiana, il terzo e il quarto la guerra in Africa, i tre successivi quella contro gli ostrogoti e l'ultimo abbraccia gli eventi fino al 554. Sebbene tratti principalmente di questioni militari, l'opera contiene molte digressioni sulla vita politica a Costantinopoli e sugli eventi in altre parti dell'impero. La Storia segreta è una cronaca assai critica e scandalistica dell'azione politica e della vita privata di Giustiniano, di sua moglie Teodora e della corte di Bisanzio. Sugli edifici (553-555) è un'opera encomiastica relativa ai complessi progetti edilizi intrapresi da Giustiniano nella capitale e in altri siti dell'impero. Tutte le opere di Procopio sono scritte in un greco classicheggiante e chiaro, ricco di reminiscenze di storici più antichi, soprattutto di Tucidide.

Regni romano-barbarici.

Regni che si formarono in Europa e nel bacino del Mediterraneo in seguito alle invasioni barbariche del V secolo, nelle aree precedentemente sottomesse all'impero romano. L'espressione non sta solo a indicare la doppia componente etnica, latina e germanica, ma anche il costituirsi di due comunità distinte per lingua, tradizioni, valori e religione; solo lentamente si arrivò a una parziale fusione, che ebbe i suoi momenti-chiave nell'accettazione della superiorità del diritto romano, ormai codificato, sulle leggi orali e primitive delle genti germaniche, e nella conversione di alcuni barbari seguaci dell'arianesimo al cattolicesimo.

Si assistette dunque alla formazione del regno dei visigoti - prima (419) nella Gallia meridionale e poi in Spagna - ove mossero spinti dall'espansione del regno dei franchi di Clodoveo, costituitosi nel 486; di quello dei burgundi (437) nell'attuale Savoia; di quello degli svevi (dal 438) nel nord-ovest della penisola iberica; di quelli degli angli e dei sassoni (442) nel sud della Britannia; di quello dei vandali, che progressivamente occuparono Africa settentrionale, Sicilia, Sardegna e Corsica. L'Italia, dopo la caduta dell'impero romano d'Occidente (476) e la reggenza di Odoacre, cadde dal 493 in mano agli ostrogoti di Teodorico.

Teodato.

(? - 536), re degli ostrogoti. Nipote di Teodorico, avido e ambizioso, contrastò la politica di romanizzazione avviata durante la reggenza della cugina Amalasunta per conto del figlio Atalarico. Alla morte di questi nel 534 sposò Amalasunta e, dopo essere stato associato al trono, la fece imprigionare in un'isola del lago di Bolsena e assassinare (535). L'imperatore d'Oriente Giustiniano, che mirava a conquistare l'Italia, colse a pretesto l'assassinio per inviare contro Teodato un esercito al comando del generale Belisario, scatenando così la guerra greco-gotica. Accusato di non aver contrastato l'avanzata bizantina, Teodato fu deposto dai goti che proclamarono re Vitige, e cadde ucciso durante la fuga da Roma.

Teodorico il Grande.

(Pannonia 454 ca. - Ravenna 526), re degli ostrogoti (474-526) e fondatore del regno ostrogoto in Italia. Originario della provincia romana della Pannonia, figlio del re ostrogoto Teodemiro, fu tenuto in ostaggio ed educato presso la corte di Costantinopoli, capitale dell'impero bizantino. Alla morte del padre (474) tornò fra i goti e fu eletto re; nel corso dei quattordici anni che seguirono si pose al servizio dell'imperatore bizantino Zenone che nel 488 gli ordinò di invadere l'Italia per detronizzare Odoacre, il re germanico che aveva deposto (476) Romolo Augustolo, l'ultimo imperatore d'Occidente. Nelle tre battaglie decisive sull'Isonzo, a Verona e a Pavia (489), Teodorico mise in rotta l'esercito di Odoacre costringendolo a rifugiarsi a Ravenna. L'assedio durò tre anni e quando ormai i goti avevano occupato le province romane di Rezia, Illiria e Pannonia, Odoacre si arrese ma venne assassinato a tradimento nel corso di un banchetto (493).

Teodorico spostò la capitale del regno a Ravenna e nel 498 ricevette il Ostrogoti di patrizio dal nuovo imperatore d'Oriente Anastasio I. La sua attività di governo mirò a integrare l'elemento ostrogoto e quello romano, a promuovere lo sviluppo agricolo e commerciale dei territori conquistati, a instaurare solidi legami con i popoli vicini (visigoti, burgundi, vandali e franchi) attraverso un'accorta politica matrimoniale. Riconoscendo la grandezza della civiltà romana, si avvalse dell'opera di consiglieri latini quali Boezio e Cassiodoro e lasciò nelle mani di funzionari latini anche la cura dell'amministrazione del regno. Le leggi del cosiddetto 'Editto di Teodorico' furono raccolte e compilate sulla base del codice di diritto romano. Benché di religione ariana, il sovrano si mostrò tollerante verso la Chiesa di Roma e il nuovo regno conobbe un periodo di pace e di prosperità senza precedenti.

I suoi ultimi anni furono però funestati dall'occupazione dei territori visigotici da parte dei franchi, che costrinsero gli ostrogoti a scendere in guerra, e dalle persecuzioni contro gli ariani attuate dall'imperatore d'Oriente Giustino I. Teodorico temette che a corte i sudditi latini stessero tramando contro di lui e condannò a morte numerosi funzionari, tra cui lo stesso Boezio; inoltre fece imprigionare il papa Giovanni I.

Quando Teodorico morì, gli succedette la figlia Amalasunta come reggente per il proprio figlio Atalarico. Il re ostrogoto fu sepolto nell'imponente mausoleo di Ravenna, tuttora esistente.

Totila.

(? - Gualdo Tadino 552), re degli ostrogoti in Italia (541-552). Nel 540, quando il generale bizantino Belisario riuscì a sconfiggere l'ostrogoto Vitige e a conquistare Ravenna, gli ostrogoti nominarono loro re Totila. Egli sconfisse Belisario e, entro il 550, riconquistò quasi tutta l'Italia (tranne Ravenna), comprese Roma e la Sicilia. Con una flotta partì alla conquista della Corsica e della Sardegna e si spinse fino alla Grecia; nel 551, tuttavia, le sue navi furono annientate nel mare Adriatico al largo di Sena Gallica (l'odierna Senigallia). Nel 552 il sovrano fu ferito mortalmente nella battaglia di Tagina (nei pressi dell'attuale Gualdo Tadino) combattendo contro i bizantini guidati dal successore di Belisario, Narsete.

Unni.

Antica popolazione nomade di stirpe turco-mongola proveniente dall'Asia, che giunse in Europa nel IV secolo d.C. Le fonti antiche sono concordi nel descrivere gli unni come un popolo dedito quasi esclusivamente alla guerra, che sviluppò una grande abilità nel combattimento. Il nucleo originario degli unni si può forse ricondurre a una tribù della Cina occidentale nota con il nome di xiongnu, che durante la dinastia Han fondò un regno nelle regioni a nord dell'impero cinese. Il potere di questa tribù si indebolì durante i secoli seguenti e alla fine vi fu una scissione in due distinti gruppi: uno di questi migrò verso occidente, stabilendosi lungo il corso del Volga, invadendo i territori degli alani, quelli degli ostrogoti e successivamente quelli dei visigoti.

Nel corso del V secolo gli unni costituirono un regno nell'Europa centro-orientale, sottomettendo le popolazioni germaniche precedentemente stanziate in quelle regioni. Sotto la guida dei re Ruas, Attila e Bleda gli unni acquisirono una potenza sempre maggiore, tanto da costringere l'imperatore romano d'Oriente, Teodosio II, a versare loro un tributo annuale. Nel 451 Attila si spinse fino in Gallia e, sconfitto dall'esercito romano, si diresse verso l'Italia occupando le regioni settentrionali della penisola. La potenza degli unni decadde tuttavia con la morte di Attila (453), a causa delle discordie per la successione e per le ribellioni delle popolazioni sottomesse.

Vitige.

(? - Costantinopoli 542), re degli ostrogoti, succedette nel 536 a Teodato, dopo aver capeggiato la rivolta dell'esercito contro di lui. Non riuscì però a opporsi al generale bizantino Belisario che lo scacciò da Roma e lo assediò a Ravenna, dove finì per essere definitivamente sconfitto e catturato (540). Imprigionato, fu portato a Costantinopoli, dove divenne amico di Giustiniano.

Zenone (imperatore).

(425 ca. - 491), imperatore romano d'Oriente (474-491). Originario dell'Isauria, in Asia Minore, e capo delle milizie di quella regione, fu chiamato dall'imperatore Leone I per contrastare l'influenza delle popolazioni germaniche a Costantinopoli. Nel 466 Zenone sposò la figlia di Leone e nel 474, alla morte dell'imperatore, regnò per un breve periodo come reggente del figlio Leone II; alla morte di quest'ultimo, ottenne il trono imperiale.

Regnò sotto la pressione degli ostrogoti, che nel 488 furono inviati da Zenone in Italia per combattere Odoacre e per sottomettere i territori italiani. In campo religioso, nel tentativo di porre fine alla disputa suscitata dai monofisiti, Zenone promulgò l'Henotikon, un editto inteso a conciliare monofisismo e ortodossia cristiana, che tuttavia non risolse le discordie e che trovò l'opposizione del papa Felice III (II).

Visigoti.

Popolazione germanica che con gli ostrogoti costituì uno dei due rami principali dei goti.

Originari, secondo Plinio il Vecchio, di una regione a ovest del mar Baltico, sotto il regno dell'imperatore Aureliano (270-275 d.C.) si stabilirono a sud-est, in Dacia, e nel 376, sospinti dagli unni, cercarono la protezione dell'imperatore romano Valente. Questi concesse loro il permesso di stanziarsi come foederati nella provincia imperiale della Mesia, in cambio dell'impegno a contribuire alla sua difesa.

Una rivolta di militi visigoti, provocata dai maltrattamenti inflitti dagli ufficiali romani, si trasformò rapidamente in guerra aperta, che si concluse nel 378 con la sconfitta e la morte dell'imperatore Valente nella battaglia di Adrianopoli (attuale Edirne): nel corso del conflitto la stessa Costantinopoli venne minacciata. Teodosio, successo a Valente come imperatore d'Oriente, si riappacificò con i visigoti e incorporò il loro esercito in quello imperiale.

In questo periodo il vescovo Ulfila tradusse la Bibbia in gotico, impegnandosi poi nella conversione dei visigoti all'arianesimo.

Il Regno Visigoto

Re visigoti.

Alla morte di Teodosio, nel 395, i visigoti ruppero il legame pacifico con Roma; Alarico invase la Grecia prima e l'Italia poi, saccheggiando Roma nel 410. Nello stesso anno ad Alarico succedette Ataulfo, che condusse i visigoti in Spagna attraverso i Pirenei.

Tra il 415 e il 418 il successore di Ataulfo, Vallia, conquistò buona parte della penisola iberica e della Gallia meridionale, fondando un regno visigoto in Aquitania (vedi Regni romano-barbarici) che ebbe Tolosa come capitale.

Il successore di Vallia, Teodorico I, morì nella battaglia dei Campi Catalaunici contro gli unni di Attila nel 451; suo figlio Eurico mantenne l'indipendenza del regno visigoto da Roma, introducendo tuttavia molti elementi del diritto e della cultura romani ed estendendo ulteriormente i suoi possedimenti in Francia e in Spagna.

Successivamente il regno dovette affrontare difficoltà interne, dovute all'ostilità dei nobili visigoti verso l'istituzione di una monarchia ereditaria, e minacce esterne, rappresentate dall'impero bizantino e dai franchi. Per ottenere maggiore fedeltà dai sudditi romani e cristiani il successore di Eurico, Alarico II, emanò nel 506 un codice di leggi noto come breviario di Alarico. L'anno dopo il re franco Clodoveo sconfisse i visigoti a Vouillé e ne circoscrisse il regno ai soli territori iberici, togliendo loro i possedimenti in Provenza.

Nonostante i tentativi di mantenere l'unità del regno, i cui possedimenti nel frattempo si erano ampliati in seguito alla conquista, nel 585, del regno degli svevi (corrispondente all'odierna Galizia) da parte del re Leovigildo, la potenza visigota si avviò verso il declino: l'ultimo re visigoto, Roderico, dovette soccombere ai musulmani nella battaglia di Rio Barbate nel 711; due anni dopo la Spagna cadeva definitivamente in mano ai mori, mentre ai visigoti non rimase che rifugiarsi nel regno indipendente cristiano delle Asturie.

Piacenza.

Città e capoluogo di provincia dell'Emilia-Romagna; è situata nella Pianura Padana, lungo la sponda destra del Po, non lontano dalla confluenza del fiume Trebbia.

Piacenza costituisce il principale mercato per i prodotti del circostante territorio agricolo ed è anche un centro industriale, con stabilimenti alimentari (zuccherifici, conservifici, molini, aziende vinicole), chimici, metallurgici, della carta, delle fibre artificiali e del vetro. La provincia, che comprende 48 comuni ed è per circa un terzo pianeggiante e per il resto collinare e montuosa, è dedita all'agricoltura (cereali, foraggio, ortaggi, vite), all'allevamento di bovini e suini e ad attività industriali (alimentari, metalmeccaniche, tessili, delle materie plastiche, della carta). Giacimenti di metano sono sfruttati a Cortemaggiore, che possiede anche impianti di raffinazione petrolifera.

Urbanistica e luoghi d'interesse

Palazzo Pubblico, Piacenza.

Palazzo Pubblico di Piacenza, detto Il Gotico. Il pregevole edificio porticato, che prospetta su piazza dei Cavalli, il cuore del centro storico, fu iniziato nel 1281. Altri monumenti importanti della città emiliana sono il Palazzo Farnese, del XVI secolo, sede del Museo Civico, il Duomo, del 1122, la chiesa rinascimentale Madonna di Campagna, del 1522, a croce greca, e l'antichissima chiesa di Sant'Antonino, che fu cattedrale dal IV al IX secolo.

Piacenza era difesa, a iniziare dall'età romana, da cinque cerchie di mura, di cui le prime quattro con un tracciato in parte coincidente a nord: quella repubblicana del castrum, di forma rettangolare, quella imperiale, quella comunale del XII secolo, che inizia a tendere alla forma ellittica, quella comunale del XIII secolo e quella cinquecentesca farnesina, dal profilo ellittico-poligonale, la sola di cui restano notevoli segmenti lungo i viali di circonvallazione. All'interno di questo esteso nucleo storico, eccentrico, a causa della vicinanza del Po, rispetto all'espansione moderna della città, l'area d'origine romana è definita dalle strade rettilinee, parallele e ortogonali fra loro e al corso del fiume; le aree di avanzamento successive sono comprese fra le lunghe strade subparallele del settore centro-sud.

Vi sorgono notevoli monumenti, quali la basilica di Sant'Antonino, di origini paleocristiane, eretta nel IV secolo; la basilica romanica di San Savino (1107), con un prezioso pavimento di mosaico del XII secolo nella cripta; il Duomo (1122-1133), in stile romanico con elementi gotici, affreschi del Guercino e alto campanile trecentesco; il magnifico Palazzo Pubblico detto il Gotico (1281), con profondo portico e grandi polifore, su piazza dei Cavalli, centro civile della città, dove sorgono le due celebri statue equestri bronzee dei duchi Alessandro e Ranuccio Farnese, opera di Francesco Mochi; il rinascimentale santuario della Madonna di Campagna, opera di Alessio Tramello che disegnò anche la chiesa di San Sisto (1522-1528), originariamente a croce greca, con affreschi del Pordenone; il vasto Palazzo Farnese, incompiuto, che risale al 1559-1570, dov'è sistemato il Museo civico, che possiede, oltre a pregevoli raccolte di arti minori, una Madonna del Botticelli (1487), sculture medievali, carrozze dal XVIII al XIX secolo, e il celebre 'fegato etrusco', un modello in bronzo di fegato risalente al II secolo a.C.; nelle adiacenze si trova anche la rocca viscontea, trecentesca, in parte demolita nel Cinquecento.

La ricca Galleria d'arte moderna Ricci-Oddi conserva opere, fra l'altro, di Antonio Fontanesi, Medardo Rosso e Federico Zandomeneghi; la Galleria Alberoni, nel collegio omonimo, a circa 3 km a sud-est, custodisce il famoso Ecce Homo di Antonello da Messina.

Storia.

Placentia, questo il nome latino dato a una delle più antiche colonie romane, venne fondata nel 218 a.C. quale castrum contro i galli e verso il 187 a.C. fu collegata a Rimini attraverso la via Emilia. Conquistata dagli ostrogoti nel VI secolo, si sviluppò notevolmente sotto i bizantini e i longobardi; dal IX secolo al 1090 fu retta dai vescovi, poi si affermò come Comune e fu tra i fondatori della Lega Lombarda. Fu questo un periodo di grande attività commerciale, favorita anche dai traffici fluviali e dalle importanti fiere che vi si tenevano. Tuttavia, fazioni interne dividevano la città e il ricco mercante Alberto Scotti riuscì a imporle la sua signoria solo dal 1290 al 1302.

Dominata quindi dai Visconti di Milano, poi dagli Sforza fino al 1449, passò allo Stato della Chiesa nel 1521 e, dal 1545, fece parte, costituendone la capitale fino al 1566, del Ducato di Parma e Piacenza, creato dal papa Paolo III per il figlio Pier Luigi Farnese. Estinta la famiglia ducale nel 1731, Piacenza, insieme alla capitale Parma, passò nel 1748 a Filippo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese, moglie di Filippo V di Spagna. Dopo il periodo napoleonico, dal 1815 al 1847 fu 'vitalizio' di Maria Luisa d'Asburgo, figlia dell'imperatore d'Austria e moglie di Napoleone, prima di passare nuovamente ai Borbone, fino al 1859.

Abitanti (piacentini): 98.407 (2001).

Università Cattolica del Sacro Cuore

Musei di Palazzo Farnese, Piacenza

Piacenza Calcio (calcio)

Libertà Quotidiano di Piacenza (quotidiano)

Camera di commercio, Piacenza

Piacenza Expo Fiere

Centro Servizi Amministrativi, Piacenza. Il sito del Centro Servizi Amministrativi di Piacenza offre informazioni sul sistema scolastico nella provincia, sulle iniziative e sui corsi promossi per l'aggiornamento degli insegnanti.

Piacenza, provincia d'Italia

Piacenza, comune d'Italia

Catania.

Città portuale, capoluogo di provincia della Sicilia; è situata lungo la costa del mar Ionio presso l'estremità nordorientale dell'omonima piana, alle prime falde sudorientali dell'Etna.

Catania, seconda città e secondo porto della Sicilia dopo Palermo, è il principale mercato per i prodotti del circostante territorio agricolo, con numerose industrie alimentari, chimiche (fertilizzanti) e tessili. La provincia, che comprende 58 comuni in un territorio prevalentemente collinare e montuoso, è dedita all'agricoltura, che produce agrumi, uva, olive, frutta, ortaggi e cereali.

Urbanistica e Luoghi di interesse

La città, che conserva alcuni resti dei monumenti romani (teatro, odeon e anfiteatro) e normanni, ha un vasto centro storico d'aspetto prevalentemente settecentesco (con edifici in scuri blocchi lavici) che si manifesta in particolare nella monumentale via dei Crociferi, fitta di chiese e palazzi barocchi, e nella piazza del Duomo (intorno alla nota fontana dell'Elefante), ove prospettano la Cattedrale (1733-1761, con le superstiti absidi normanne), la chiesa della patrona Sant'Agata (1735-1767), il Palazzo municipale, tutte opere dell'architetto palermitano Giovan Battista Vaccarini (vicina è anche la porta Uzeda, del 1696, termine sud della rettilinea via Etnea, ottocentesca).

Porta Uzeda.

Catania deve il suo assetto urbanistico al rigoroso piano regolatore a scacchiera studiato da G.B. Vaccarini (1702-1768) per la ricostruzione di alcune zone del centro storico in seguito al devastante terremoto del 1693. I numerosi palazzi civili e religiosi edificati negli anni successivi conferiscono alla città la caratteristica fisionomia tardobarocca.

Vincenzo Bellini.

Il compositore catanese Vincenzo Bellini, uno dei massimi rappresentanti del melodramma romantico italiano, compose in dieci anni altrettante opere liriche, ben sette delle quali sul testo dello stesso librettista, l'amico Felice Romani. Lo straordinario successo delle sue creazioni, accompagnato da eccellenti doti di autopromozione e grande abilità commerciale, gli permise di vivere esclusivamente dei proventi delle rappresentazioni, a differenza di tanti colleghi suoi coetanei costretti ad arrotondare il bilancio con l'insegnamento.

Giovanni Verga.

Trasferitosi dalla natia Sicilia a Firenze per assecondare la sua vocazione letteraria, Giovanni Verga passò in seguito a Milano dove entrò in contatto con il mondo della Scapigliatura e soprattutto con i veristi, della cui corrente divenne uno dei massimi esponenti. La sua produzione attraversò diverse fasi, passando dai temi storico-patriottici a quelli romantico-mondani, a quelli più propriamente veristi, di ambiente soprattutto siciliano, che ebbero la più compiuta espressione nel progettato ciclo dei Vinti, di cui I Malavoglia (1881) e Mastro Don Gesualdo (1889) furono gli unici due romanzi conclusi. Nonostante l'indubbia qualità artistica, Verga non ebbe, in vita, grande successo e negli ultimi anni tornò in Sicilia abbandonando la scrittura; la sua rivalutazione come uno dei massimi esponenti della letteratura italiana del Novecento avvenne più tardi.

Parco naturale regionale dell'Etna.

Il Parco dell'Etna, il primo a essere istituito in Sicilia, si estende dalla vetta del vulcano fino alla cerchia superiore dei paesi etnei ed è suddiviso in quattro aree a diverso grado di protezione: la fascia A, selvaggia e priva di insediamenti umani, dove vivono la maggior parte dei grandi rapaci che popolano le pendici del monte (aquila reale, falco pellegrino, poiana, allocco, barbagianni); la fascia B, che comprende appezzamenti agricoli privati su cui sorgono antiche masserie, case padronali e begli esempi di dimore rustiche; e infine le fasce C e D, una sorta di preparco in cui è prevista la realizzazione di strutture turistiche. La straordinaria ricchezza di ambienti dell'Etna è illustrata nel brano che segue, tratto dal volume Parchi e aree naturali protette d'Italia del Touring Club Italiano.
vedi approfondimento

Il castello Ursino, svevo del 1250 ma rimaneggiato, ospita il Museo comunale, con raccolte archeologiche, d'arte figurativa e numismatiche. Nel Museo belliniano (casa natale del musicista Vincenzo Bellini) e nella casa dello scrittore Giovanni Verga, sono conservati documenti sull'opera dei due grandi catanesi.

Storia.

Catania dagli Aragonesi ai Borboni.

Dopo il felice periodo aragonese - quando fu sede della corte e vide il potenziamento delle strutture portuali e la fondazione della prima, e per secoli unica, università siciliana - nel Seicento Catania fu travolta da una serie di sciagure: una gravissima crisi economica che costrinse il Senato a vendere le terre demaniali, l'eruzione dell'Etna che devastò la campagna, il terremoto che rase al suolo la città. Nella ricostruzione, che diede a Catania un nuovo volto barocco, vennero adottate misure antisismiche e si posero le basi per l'espansione urbana al di là delle mura, cui seguì un notevole incremento demografico. La storia della città dal XV al XIX secolo è ripercorsa nel brano della Guida Rossa Sicilia del Touring Club Italiano.

Fondata nella seconda metà del secolo VIII a.C. (Katáne) da calcidesi di Nasso, ai quali fu sottratta nel 476 a.C. da Gerone di Siracusa (che la denominò Aitna), divenne città romana nel 263 a.C. (Catana). Sede vescovile dal VI secolo, fu conquistata dagli ostrogoti - il cui re Teodorico autorizzò i catanesi a utilizzare materiali dell'anfiteatro romano per il restauro delle mura - dai bizantini e, nel IX secolo, dagli arabi. Passata nel 1071 ai normanni (che costruirono la prima cattedrale), poi agli svevi che la saccheggiarono due volte (1194 e 1232), divenne sotto gli Aragonesi sede della corte, e fu favorita da vari privilegi, tra cui la fondazione della prima università siciliana (1434).

Nel periodo spagnolo fu gravemente danneggiata dall'eruzione dell'Etna del 1669 (le lave colmarono il porto) e, distrutta dal terremoto del 1693, fu ricostruita nel XVIII secolo con criteri urbanistici già antisismici. Il porto fu potenziato e Catania diventò uno dei maggiori centri commerciali d'Italia

Abitanti (catanesi): 305.773 (2005).

Filippi (greco Phílippoi), antica città della Tracia situata in Grecia, a 14 km a nord di Kavála. Fondata, con il nome di Krenídes, nel 360-359 a.C. da coloni di Taso, che intendevano sfruttare le miniere d'oro del monte Pangeo, venne conquistata nel 356 da Filippo II il Macedone, che la ribattezzò Filippi.

Esaurite le miniere aurifere, la città continuò tuttavia a prosperare grazie ai traffici commerciali, avvantaggiandosi della sua collocazione geografica lungo il percorso della via Egnazia. Nel 42 a.C., nella pianura vicino alla città, l'esercito di Antonio e Ottaviano affrontò e sconfisse quello di Bruto e Cassio (vedi Battaglia di Filippi). Nel 30 a.C. Ottaviano trasformò la città in colonia e vi fece trasferire i partigiani di Antonio.

Paolo di Tarso, imprigionato nella città nel 49 d.C., vi fondò in seguito una comunità cristiana, la prima in Europa. Nella seconda metà del II secolo d.C. Filippi raggiunse la massima espansione. Conquistata dagli ostrogoti nel 473, poi fiorente per tutto il periodo bizantino, con l'avvento dei turchi ottomani venne abbandonata.

L'area della città è stata solo parzialmente interessata dagli scavi archeologici. Le imponenti rovine rinvenute appartengono a due fasi principali della storia dell'insediamento: il complesso del Foro, il mercato, le terme e il teatro risalgono alla seconda metà del II secolo d.C.; le quattro grandiose basiliche furono invece edificate in epoca paleocristiana (IV-VI secolo).

Gli scavi di Alba Fucens.

Colonia latina creata dai romani alla fine del IV secolo a.C. dopo la sconfitta degli equi, Alba Fucens conserva una poderosa cinta murata tra le più complete che si conoscano. Tra la via Valeria, che attraversa la città, e la parallela via dei Pilastri si dispongono il foro, la basilica, il mercato, le terme e, più lontano, il teatro. Mentre le mura risalgono al III-II secolo a.C., l'impianto urbanistico della città che si può osservare oggi è databile alla metà del I secolo. Nel brano seguente, tratto dal volume Abruzzo e Molise delle Guide Rosse del Touring Club Italiano, è raccontata la storia della città, dalla fondazione fino alla sua scomparsa a opera dei saraceni nei secoli IX e X.

Gli scavi iniziarono nel 1949, per iniziativa di una missione belga, in stretta collaborazione con la Soprintendenza Archeologica di Chieti.

Alba Fucens ripete nel suo nome un antichissimo vocabolo significante altura: in realtà, sorta su una propaggine del monte Velino si innalza a più di 300 metri dalla sottostante pianura. Il colle dove è situata ha tre cime: San Pietro metri 993 (a sud), San Nicola metri 1022 (a nord, dove sono le rovine del castello) e Pettorino metri 990 (a est), e di esse forse la prima portava l'acropoli degli Equi, che Roma prese nel corso della seconda guerra punica. Nel 303 a.C. una colonia composta di 6000 capifamiglia fu dedotta ad Alba, che al vecchio nome aggiunse l'attributo Fucens per distinguerla dalla omonima città laziale. La popolazione di allora, computando i componenti dei nuclei familiari, può calcolarsi sulle 30.000 persone. Alla colonia risale la poderosa cinta in opera poligonale, sviluppata su 3 chilometri circa. Nel 211 a.C., mentre Annibale minacciava da presso Roma, Alba inviò 200 uomini a tutelare la capitale; ma due anni dopo, a un nuovo appello romano per ottenere aiuti, rifiutò l'invio di contingenti. Alla fine del III secolo a.C. ad Alba è confinato Siface, re di Numidia, e nel secolo successivo Perseo di Macedonia, il vinto di Pidna (168 a.C.), e Bituito, re degli Arverni (121 a.C.). Durante le guerre sociali gli alleati assediarono la vecchia colonia e forse la occuparono. In epoca sillana, è da ritenere che, in conseguenza delle rovine operate negli anni precedenti, Alba sia stata completamente rinnovata secondo un nuovo assetto urbanisitico. All'epoca della contesa tra Cesare e Pompeo essa era presidiata da 20 coorti pompeiane; durante la guerra tra Marcantonio e Ottaviano vi erano acquartierate due legioni del primo, le quali dopo Azio, tentarono una sollevazione in favore di Ottaviano, nipote di Cesare.

Nei primi secoli dell'impero, la storia della città è documentata solo dai reperti: albense si è rivelato Quinto Nevio Macrone, celebre prefetto del pretorio all'epoca di Tiberio, che succedette a Seiano di cui aveva determinato la fine. Ad Alba, alla metà del III secolo d.C., appaiono interessati membri della famiglia dell'imperatore Treboniano Gallo e cento anni dopo l'imperatore Magnenzio cura il restauro della Via Valeria che attraversa la città. Nel 537 d.C., infine Alba Fucens appare, nella narrazione di Procopio, come quartiere invernale delle truppe imperiali mosse contro gli Ostrogoti. La sua distruzione avvenne, pare, ad opera dei Saraceni nei secoli IX e X.

La cinta murata di Alba, dal punto di vista militare tra le più complete che si conoscano, è costruita in opera poligonale della quale è uno dei più notevoli esempi, ed è costituita da una cortina continua, non intervallata cioè da torri, dello spessore che va da 2,40 a 3 metri. In essa si aprono quattro porte: di San Massimo, a ovest, Fellonica, a nord-ovest e di Massa a est, tuttora in uso; la quarta, a sud-est è stata accertata dagli scavi. Nel tratto nord-ovest la cinta è doppia, e dinanzi alla più esterna appare una grandiosa terrazza rettangolare: ivi è il tratto meglio conservato della cinta.

Le porte, chiuse da saracinesche di cui restano le guide, sono "scee", presentano cioè sopravvanzato il fianco che si trova sulla destra di chi entra, sicché dall'alto di esso i difensori potevano colpire gli attaccanti dal lato non riparato dagli scudi. La costruzione delle mura è riferibile al III-II secolo a.C.; il terrazzo è forse dell'epoca delle guerre sociali.

I castelli della Valle d'Aosta.

Quando Umberto Biancamano, fondatore della dinastia dei Savoia, divenne conte di Aosta, tra i feudatari della zona si creò un certo malcontento che spinse molti nobili ad abbandonare la città per rifugiarsi nelle vallli, dove costruirono un complesso sistema di castelli fortificati, testimonianza di un'evoluzione dell'architettura militare che interessò diversi secoli. Oltre ai castelli più famosi, quelli trecenteschi di Fénis, Sarriod de la Tour, Verrès, Quart, Ussel, esistono interessanti esempi precedenti, generalmente in rovina, come il castello di Graines a Brusson o quello di Cly nei pressi di Saint Denis, o posteriori, come la fortezza ottocentesca di Bard. Il brano che segue, tratto dalla Guida Rossa Piemonte e Valle d'Aosta del Touring Club Italiano, ripercorre l'evoluzione storica dell'incastellamento e le diverse tipologie di maniero presenti nella regione.

Una precisa identità storica valdostana venne affermandosi nei secoli. Il territorio, prima appartenente alle diocesi di Milano e Vercelli, fu eretto in diocesi autonoma già intorno all'inizio del V secolo. Nei vescovi di Aosta venne a identificarsi anche la massima autorità civile quantomeno nei due secoli a cavallo dell'anno Mille, a fronte della scarsa incisività del potere laico centrale contrastato dai feudatari locali. Del resto, quando Tommaso I conte di Savoia riuscirà, dopo più di un secolo dall'investitura, ad affermare concretamente la signoria della propria casata sulla nobiltà valdostana (1191), dovrà ottenere l'avallo dei vescovi locali tramite la stipula di un trattato di amicizia.

Popolata sin dall'età neolitica e assoggettata dal 25 a.C. ai Romani, durante la cui fase di dominio i passaggi lungo la strada consolare delle Gallie da Eporedia (Ivrea) a Lugdunum (Lione) avevano coinvolto la valle nel sistema dei grandi commerci internazionali, dopo un periodo di dominazioni diverse (Burgundi, Ostrogoti, Bizantini, Longobardi, Franchi) il territorio era divenuto nel 904 dominio dei re della Borgogna transgiuriana. Già nel terzo decennio dell'XI secolo Umberto Biancamano, ritenuto il capostipite dei Savoia (e già consigliere dei re borgognoni), subentrava nel possesso e veniva insignito del titolo di conte di Aosta. La signoria dei Savoia - poi trasformata in ducato dal 1416 - perdurò nei secoli sino all'età contemporanea tranne per brevissimi periodi di dominazione francese.

Il rapporto della valle con i suoi signori venne configurandosi con caratteristiche tali da garantire a quella terra di montagna una certa autonomia. La contea risultava inizialmente un aggregato disuniforme di circoscrizioni regolate da rapporti feudali diversi: solo alcuni territori, come la Valdigne (l'alta valle oltre Avise) o come quelli dipendenti dello Châtel-Argent (a monte di Villeneuve), erano sotto l'effettivo controllo sabaudo, altri lo divennero poi per conquista, come nel caso di Bard e Montjovet con le loro rocche fortificate. La città di Aosta pervenne sotto la giurisdizione diretta dei Savoia nel 1191, con il conte Tommaso I che, nell'occasione, stipulò la Carta delle Franchigie, regolamentando i doveri dei cittadini nei confronti della signoria centrale e proteggendoli nel contempo dalle angherie dei vassalli valdostani. La Carta fu rivista e perfezionata nel tempo, sempre con accordi bilaterali, e costituì un modello per le franchigie che - loro malgrado e per la costante pressione esercitata dai Savoia che intendevano annullarne le prerogative di giurisdizione - i signori feudali vennero man mano accordando alle popolazioni delle proprie castellanìe, quasi sempre barattando le concessioni con il versamento una tantum di una cospicua somma di denaro. Il dominio dei conti su Aosta fu garantito in loco dapprima da un visconte appartenente alla famiglia degli Challant, che divenne la più potente nella valle e dal 1263 da un balivo, che dalla sede in città esercitava la giurisdizione su tutti i territori di diretta pertinenza dei Savoia.

Anche come diretta conseguenza degli accordi del 1191 si era venuto a creare un fenomeno fondamentale per l'assetto del territorio: i nobili di Aosta, privati dei poteri che esercitavano nella città, emigrarono nelle valli stabilendovi la propria residenza, onde esercitare un controllo diretto sulle terre che, anche in alta quota, venivano trasformate in redditizi comprensori agricoli con opere di disboscamento, con la creazione di terrazzamenti per la formazione di aree coltivabili lungo le dorsali dei monti, con massicce e ardite opere di canalizzazione delle acque. Al fenomeno della ruralizzazione - conseguente anche a una notevole crescita demografica coeva - corrispose la creazione di nuovi insediamenti, anche lontani dalla rete dei percorsi tradizionali e l'erezione di un gran numero di nuovi castelli, che vennero a integrare la preesistente rete di "luoghi forti". Torri e difese di tipo elementare dominavano sui rilievi montuosi, in collegamento visivo tra loro tanto da far ipotizzare un sistema poligonale di osservazione esteso in tutta la valle, ma più verosimilmente funzionante per settori. Le strutture fortificate fungevano da presidi sulle principali vie di comunicazione per l'esazione di pedaggi, oppure (o in concomitanza) da centri di controllo dei domini agricoli, luoghi di rifugio delle scorte alimentari e della popolazione in tempo di invasioni o di guerre locali, nei quali il castellano - direttamente o per interposta persona - raccoglieva i tributi e amministrava la "giustizia".

Nella fase duecentesca di ruralizzazione, le più antiche e potenti famiglie cittadine si erano dunque installate in castelli isolati anche ad alte quote; i vescovi stessi esercitavano il potere temporale, ed erigevano edifici fortificati nella valle di Cogne. Dalla metà del XIV secolo, come segno di un potere ormai consolidato, furono costruiti ex novo - o ristrutturati e ampliati - da personaggi della stirpe degli Challant i grandi manieri in punti nodali del territorio (Ussel, Fénis, Aymavilles, Verrès). Nel contempo un forte raffreddamento climatico, con il conseguente avanzamento dei fronti dei ghiacciai, aveva ridotto i periodi di facile transitabilità dei valichi alpini. Pertanto luoghi come Cogne o Gressoney spostavano il loro ambito relazionale verso la valle centrale, mentre in precedenza gravitavano sui territori transalpini: basti pensare che Cogne dipendeva dalla diocesi di Ivrea e le sue principali funzioni religiose si svolgevano nella parrocchia di Campiglia, sita in Canavese nella valle del torrente Soana.

Nel Quattrocento, periodo di maggior sicurezza anche per la cessazione delle guerre locali, venne a prodursi un fenomeno inverso rispetto a quello centrifugo precedente, nella localizzazione delle sedi delle castellanìe: spesso i signori trasferirono da monte a valle le proprie dimore, edificando in luoghi più facilmente accessibili e lasciando in abbandono le rocche avite: si verifica così, in molti casi, la compresenza in uno stesso ambito di due (o anche più) castelli a quote altimetriche diverse. Le nuove costruzioni venivano perdendo i caratteri peculiari del castrum e assumendo quelli di una dimora signorile: il maniero di Issogne, degli ultimi anni del XV secolo, è l'emblematico risultato finale di questa vicenda evolutiva.

Con la rifondazione dello Stato sabaudo, Emanuele Filiberto, riacquistata la maggior parte delle sue terre a seguito della pace di Cateau-Cambrésis (1559), veniva predisponendo un imponente piano strategico per la difesa esterna dei suoi territori "di qua e di là dai monti" e, nel contempo, attuava una dura politica volta a garantirsi la sicurezza interna. Sospettoso nei confronti della lealtà dei propri vassalli il duca aveva infatti ribadito il divieto di edificare o di riparare qualsivoglia manufatto militare, avocando questo diritto unicamente allo stato. In effetti, solo le roccaforti di Bard e di Montjovet, in posizione strategica per la difesa del territorio e sotto stretto controllo sabaudo, vennero poi sottoposte a migliorie, atte a farne strumenti bellici aggiornati secondo le "moderne" tecniche militari. Una tra le prime grandi famiglie coinvolte dall'applicazione delle nuove regole sovrane era risultata quella degli Challant, contro la quale il presidente del Senato di Piemonte Cassiano dal Pozzo, in una relazione del 1570, osservava che l'intero territorio valdostano risultava a rischio "con via delli Castelli del signor Chialand": essi avrebbero potuto costituire forti presidi nemici, qualora fossero entrati in possesso di generi stranieri, non vigendo nella valle la legge salica - con esclusione della discendenza femminile dalla linea di successione. Nonostante la riaffermazione del proprio potere sovrano, lo stesso Emanuele Filiberto riconosceva alla Valle d'Aosta quei caratteri di autonomia cui già si è accennato, tanto che in una sua Lettera patente del 1580 la definiva "une province séparée qui ne dépend de nos autres provinces deçà ni delà les monts, et qui a ses lois et impositions à part". Una provincia che ancora per due secoli manterrà un proprio codice di leggi, il Coutumier, e sarà retta dall'Assemblea dei tre stati e dal Consiglio dei Commis.

Nella seconda metà del XVI secolo e nei primi decenni del successivo si venne comunque a godere di un periodo di tranquillità pur se di stenti, anche a causa delle condizioni climatiche avverse che avevano ridotto di quota le aree coltivabili. Nuove terre venivano comunque bonificate e l'insediamento nelle zone agricole si consolidava ulteriormente, sia con l'ampliamento delle borgate preesistenti, sia con la costruzione di nuovi nuclei rurali: la crescita della popolazione era infatti continua. Veniva frattanto affermandosi un nuovo modello insediativo: sorgevano in gran numero fuori dai centri urbani piccoli palazzi della nuova borghesia (notai, funzionari sabaudi) o di responsabili locali delle grandi signorie, disseminati un po' ovunque nei luoghi ove la produzione agricola necessitava di un controllo. Queste costruzioni - ancora poco studiate come fenomeno complessivo - sono caratterizzate da un'architettura in pietra, robusta tanto da apparire atta alla difesa, ma nella realtà funzionale contro i furti, non certo contro attacchi armati. Esse costituiscono, per numero e per qualità architettonica, una delle tipologie edilizie più significative da "scoprire" durante le visite.

Prototipi dei castelli sono da considerare le torri di Aosta: delle venti facenti parte della cinta romana solo quelle del Pailleron e del Lebbroso conservano l'aspetto originario, mentre le altre sono riplasmazioni o costruzioni medievali, nelle quali tra l'XI e il XII secolo si insediarono le antiche famiglie feudali (quella che assumerà il nome di Challant aveva come residenza la torre di Bramafam). Nello stesso periodo venivano sorgendo nel territorio le prime "torri castellate", in posizione strategica su promontori rocciosi che con i loro strapiombi risultavano il principale strumento di difesa, costituite da una cinta murata e da un torrione (il donjon) di forma preferenzialmente quadrata o poligonale, in massi litei squadrati, e con accesso praticabile solo con scale, rialzato di circa 7 metri dal terreno: esempio tuttora conservato è l'ottagonale Tournalla, sovrastante i declivi a nord di Oyace in Valpelline.

I castra di tipo alto-romanico assumevano caratteristiche di complesso con il sorgere, entro un perimetro di mura merlate adattato alla conformazione del terreno, di altri edifici, tra i quali la cappella. Tipico e particolarmente suggestivo per la sua posizione su uno strapiombo, è il castello di Graines nella val d'Ayas, con donjon quadrato e cappella absidata. Altri esempi tuttora ben leggibili, legati anche alla fase di emigrazione delle casate urbane dopo i patti sabaudi del 1191, sono il castello di Cly (Saint-Denis), con torrione quadro e cappella, e le parti più antiche del castello di Introd (il maschio entro il rimaneggiato perimetro tondeggiante) e del castello di Saint-Germain a Montjovet (il donjon quadrato e la cinta a nord-est), poi ampliato e rifortificato "alla moderna" in età rinascimentale. Un'ulteriore evoluzione delle tecniche militari di difesa si consolida nel XIII secolo, riconoscibile dal donjon cilindrico (elevato con ponteggi elicoidali di cui restano le buche pontaie), dagli archi di scarico nelle murature e dalla migliorata tecnica muraria, con apparecchiature più regolari e maggior impiego di malta. È il caso dello Châtel-Argent a monte di Villeneuve, nel quale l'abside della cappella - ritmata da lesene e arcatelle, come la facciata - emerge dalla cinta murata, e dei castelli di Montmayeur all'innesto della Valgrisenche e di Châtelard sopra La Salle.

Lo schema dei castelli primitivi perdura sin quasi alla metà del Trecento. Più tardi, sedatesi le lotte tra feudatari e per la sempre maggior influenza dei Savoia, i castelli vengono perdendo la loro esclusiva funzione militare, sono localizzati in siti più accessibili e più prossimi ai borghi, e assumono una configurazione atta a migliorarne l'abitabilità. In molti casi si ristrutturano torri o complessi più antichi, integrando i mastî in nuovi corpi di fabbrica, con cura per l'architettura e per le tecniche costruttive. Tra gli esempi più significativi ritroviamo il castello di Aymavilles, con le quattro torri rotonde intorno al donjon centrale, quello di Quart, il Sarriod de La Tour a Saint-Pierre. Il più noto tra questi manieri è certamente quello di Fénis, a pianta pseudopentagonale su impianto trapezio e inglobante il mastio antico, che conservava nel doppio recinto un apparato bellico inusitato, forse dovuto alla posizione indifesa. Il castello verrà ulteriormente arricchito nei primi decenni del XV secolo, ingentilendone l'architettura con le finestre a croce, sistemando il cortile e le sale, impreziositi dalle pitture jaqueriane.

Vertici assoluti dell'architettura militare valdostana, concepiti secondo uno schema ormai slegato da quello antico donjon-cinta, sono due castelli monoblocco costruiti ex novo: Ussel, della metà del Trecento, in posizione spettacolare sullo sperone roccioso che domina l'anfiteatro di Châtillon e Saint-Vincent, e Verrès, terminato nel 1390, in posizione emergente all'innesto della val d'Ayas. Il primo conserva unicamente le murature esterne dell'imponente massa parallelepipeda e resti dell'assetto interno, sufficienti tuttavia a evidenziare una cura costruttiva fino ad allora impraticata ed elementi architettonici - bifore, coronamento a fascia di archetti ciechi - dovuti a una ricerca estetica atta a celebrare il fasto della casata. II castello di Verrès si presenta come un enorme cubo concluso da una imponente cornice di caditoie su beccatelli con bande decorate sotto la merlatura e scandito da grandi bifore variamente scolpite e ornate. Un'eccezionale unità compositiva, su di una maglia a doppia simmetria con cortile centrale, l'arditezza dello scalone su archi rampanti, la maestosità delle volte, la raffinatezza dei particolari architettonici ne fanno il monumento militare più prestigioso dell'intera valle, conservatosi nelle condizioni tardo-trecentesche, con alcuni elementi difensivi esterni - cinta e antiporta con ponte levatoio, del 1536 - "alla moderna".

Non più residenza fortificata, ma elegante dimora in rappresentanza del prestigio europeo degli Challant è il castello di Issogne, eretto a fine Quattrocento inglobando in modo irriconoscibile le strutture fortificate preesistenti. Si tratta di un palazzo concepito secondo ideali - se non forme - ormai rinascimentali, gravitante sull'ampio cortile a loggiati, con bello scalone a viret e ricchi ambienti interni, reso più prezioso dalle pareti affrescate.

Invasioni barbariche.

Invasioni barbariche Processi migratori di popolazioni per lo più germaniche, che si conclusero con il crollo dell'impero romano d'Occidente (476) e la progressiva costituzione dei regni romano-barbarici.

I Barbari e il Crollo dell'Impero d'Occidente

Gli antefatti.

Già quando non sussisteva la distinzione tra la parte occidentale e quella orientale dell'impero, le frontiere dei domini romani avevano subito pericolose incursioni da parte di popolazioni site a nord dei confini stessi e mai entrate nell'orbita romana; al massimo, in certe fasi, alcune tribù germaniche avevano ottenuto da Roma mediante trattati il permesso di stanziarsi in prossimità del limes renano-danubiano, impegnandosi a concorrere alla sua difesa. Vanno infatti ricordate le scorrerie dei quadi e dei marcomanni sotto il regno di Marco Aurelio e quelle dei visigoti che, spinti a sud dall'avanzata degli Unni (tribù nomadi di stirpe mongolica) avevano sconfitto e ucciso nel 378 l'imperatore Valente nella battaglia di Adrianopoli (odierna Edirne).

Gli eventi principali.

L'invasione visigota.

Il fenomeno migratorio si intensificò quando, alla morte di Teodosio (395), l'impero venne diviso tra i figli Arcadio, che ebbe il governo dell'Oriente, e Onorio, cui spettò l'Occidente: fu questa parte soprattutto a essere colpita dalle invasioni. Arcadio dovette infatti nuovamente fronteggiare, con il validissimo supporto del generale Stilicone, i visigoti, che guidati dal loro re Alarico I cercarono di penetrare in Italia per ben due volte; morto Stilicone, che li aveva respinti, essi giunsero fino a Roma, assediandola e saccheggiandola per tre giorni (410), con un gesto carico di valore simbolico se è vero che per sant'Agostino ciò era il chiaro segno della condanna divina del paganesimo.

Le peregrinazioni dei visigoti si placarono solo nel 419 quando il nuovo re Ataulfo stanziò il suo popolo nella Gallia meridionale, imponendo di fatto ai romani il primo regno autonomo romano-barbarico. In quegli stessi anni gli ostrogoti avevano passato il Danubio e i vandali, gli svevi, gli alani e i burgundi avevano invaso la Gallia settentrionale, facendo leva anche sul malcontento delle classi meno abbienti.

Il declino dell'impero d'Occidente.

Il Mediterraneo all'alba del Medioevo.

È concetto largamente scontato che il Medioevo non fu età buia e inerte, neppure negli anni che videro la caduta dell'Impero di Roma e il dilagare, in Europa, delle invasioni barbariche: dell'affermarsi di questa visione storiografica fu protagonista, tra gli altri, Henri Pirenne, il grande storico belga che in opere tuttora fondamentali, come Le città del Medioevo da cui è tratto questo brano, illustrò i primi processi del formarsi di una nuova economia capitalistica. Nelle pagine che qui proponiamo è disegnato, in forte sintesi, un quadro della vita nella regione del Mediterraneo tra la caduta dell'impero romano e il nascere dei regni barbarici. È un quadro di insospettata vivacità: attivo, e mai interrotto, è il commercio marittimo (compreso, purtroppo, il commercio degli schiavi); vigorosa ed efficace l'azione della Chiesa d'Occidente per la salvaguardia e la vitalità delle città romane; rudimentale ma non insignificante l'attività finanziaria, esercitata parallelamente a quella commerciale. Intanto sul mondo sopravvissuto alle invasioni germaniche si affaccia l'Islam: e il Mediterraneo, già lago romano, "ora diventa, per gran parte, un lago musulmano".

La progressiva disgregazione dell'impero d'Occidente si accelerò soprattutto durante il lungo regno di Valentiniano III (425-455), costretto ad assistere impotente alla conquista dell'Africa del Nord da parte dei vandali (429-439), all'occupazione stabile della Savoia da parte dei burgundi (437), al controllo della Spagna occidentale da parte degli svevi (438), e alla fine della dominazione romana della Britannia per opera di angli e sassoni (442).

La morte dell'imperatore d'Oriente Teodosio II (450), che aveva contribuito a parare diplomaticamente il pericolo degli unni, peggiorò ulteriormente la situazione: gli unni mossero infatti verso ovest e invasero la Gallia, e, seppure sconfitti dal generale Flavio Ezio ai Campi Catalaunici (presso Troyes, in Francia), devastarono nel 451 alcuni importanti centri della Pianura Padana. Ciò che riuscì a impedire al loro capo Attila un nuovo saccheggio di Roma non fu l'autorità dell'imperatore (ormai dal 404 nella sede di Ravenna e assai poco sensibile alla sorte della vecchia capitale), ma quella del papa Leone Magno, che impose così il crescente prestigio della figura del vescovo cattolico della città.

La calata dei vandali.

Nel 455 furono però i vandali di Genserico (ormai padroni, oltre che del Nord Africa, anche di Sicilia, Sardegna e Corsica) a invadere Roma per saccheggiarla, infliggendo all'Italia un colpo terribile; dopo questo evento, l'agonia dell'impero d'Occidente - ormai affidato a 'imperatori fantocci' in balia dei barbari invasori - durò ancora per poco, poiché nel 476 il germanico di stirpe erula Odoacre, capo delle milizie mercenarie di stanza in Italia, poté senza difficoltà deporre il giovane imperatore Romolo Augustolo e attribuirsi il controllo dell'Italia con il semplice titolo di 'patrizio'. Il rifiuto da parte sua delle titolature ufficiali, che da Augusto in poi avevano rappresentato la composita natura del potere imperiale, era il segno della loro anacronistica vacuità; dal 476 in poi, infatti, l'unica istituzione legittimamente erede del nome romano fu l'impero romano d'Oriente (che durò fino al 1453).

Il regno ostrogoto in Italia.

Odoacre governò dunque sotto la formale autorità dell'imperatore bizantino, fino a che non venne sconfitto e ucciso dagli ostrogoti di Teodorico nel 493. Pochi anni prima, sotto la guida del re Clodoveo, anche la popolazione dei franchi aveva costituito un proprio regno nella Gallia centro-settentrionale: a differenza della maggior parte degli altri popoli barbari, che si erano avvicinati all'arianesimo, i franchi si convertirono al cattolicesimo nel 482. Gli eventi successivi, per convenzione ormai da tutti accettata, non appartengono più alla sfera della storia antica, ma di quella medievale.

Cause ed effetti delle invasioni Barbariche

Le cause.

Si può forse dire che le invasioni barbariche furono la conclusione di un contrasto inevitabile tra due diversi modelli di vita, quello delle comunità stanziali e di quelle nomadi; molte popolazioni germaniche, infatti, erano tradizionalmente nomadi e i territori dell'impero abitati stanzialmente erano visti da queste come potenziali fonti di bottino. L'intensificarsi delle invasioni nel V secolo fu dovuto ai movimenti da est verso l'Europa degli unni, che provocarono numerosi spostamenti 'a catena', e nello stesso tempo a una sempre maggiore permeabilità dei confini dell'impero, difesi da militari inaffidabili, in larga parte proprio di estrazione barbarica e quindi poco legati ai valori della civiltà romana.

Gli effetti.

Tali bellicosi movimenti migratori concorsero, uniti a più complesse cause di natura economica, sociale e religiosa, al crollo dell'impero d'Occidente; favorirono invece il sorgere di nuove entità politiche - quali furono i regni romano-barbarici - che rappresentarono per molti popoli germanici il definitivo abbandono di quel modello di vita nomade che aveva prodotto l'antagonismo con il mondo romano.

Ischia: storia e architettura.

La più grande delle isole partenopee, situata al margine settentrionale del golfo di Napoli, è di origine vulcanica. Montuosa, con una costa poco incisa, è ricca di sorgenti termali che la rendono, fin dall'antichità, rinomato centro di cure. Una breve storia dell'isola è narrata nel brano tratto dalla Guida Rossa Napoli e dintorni del Touring Club Italiano.

Nell'antichità l'isola venne indicata con nomi aventi relazione con la sua natura vulcanica. Dai greci dell'Eubea venne detta Pithecusa (Pithecusae o Pithecussae), il cui nome secondo alcuni sarebbe stato esteso anche a Procida, per altri invece ristretto solo all'isolotto del Castello, per altri ancora all'abitato di Lacco Ameno, e che significherebbe "isola delle scimmie" ossia dei malefici Cercopi, mitici abitatori delle terre vulcaniche; secondo Plinio invece fu così detta per l'industria dei vasi di creta o per il culto ad Apollo Pizio. Virgilio la chiamò Inarime e altri Arime. In epoca romana tuttavia s'impose il nome Aenaria, forse dai floridi vigneti, ma che potrebbe anche dalla voce ionica ainos, cioè "veemente, terrificante". L'attuale denominazione appare per la prima volta in una lettera di Leone III a Carlo Magno dell'813 (da insula, poi iscla); secondo alcuni però si tratterebbe di una corruzione di Ischra (I-schra), che nelle lingue semitiche significa "isola nera".

È incerto se l'isola fosse abitata durante la preistoria. In epoca storica venne colonizzata (VII-VI secolo a.C.) dai Calcidesi o Eubei (Eretriesi), che furono però costretti a fuggire sulla costa campana per l'eruzione del Montagnone (fine VI secolo a.C.?). Quando nel 474 a.C. Gerone di Siracusa, chiamato in aiuto dai Cumani, vinse in battaglia navale gli Etruschi, occupò Ischia e le isole vicine, lasciandovi un presidio militare e facendo costruire, sull'isolotto davanti all'attuale città di Ischia, un castello che nel medioevo era ancora detto Castel Gerone. Ma il presidio fu messo in fuga dall'eruzione del 470 ca. e l'isola fu occupata dai Napoletani, poi dai Romani, al tempo (322 a.C.) del consolato di L. Cornelio Lentulo e Q. Publio Filone. Nell'87 vi riparò per breve tempo Mario. Nel 6 d.C. Augusto la restituì a Napoli in cambio di Capri e Ischia divenne luogo di villeggiatura dei Romani, per la bontà del clima e per le acque salutari.

Subì poi invasioni barbariche e il dominio degli Eruli, degli Ostrogoti e dei Greci. Nel 588 l'imperatore bizantino Maurizio la pose sotto il dominio diretto di Napoli e dal 661 essa ebbe il governo di un conte dipendente dal duca di Napoli. Fu devastata dai Saraceni nell'813 e 847; nel 1004 fu occupata da Enrico II detto lo Zoppo o il Santo; passò nel 1130 sotto Ruggero II Normanno; nel 1135 e 1137 fu depredata dai Pisani, poi ebbe il dominio svevo e angioino. Nel 1282, dopo i Vespri Siciliani, si ribellò a Carlo I riconoscendo Pietro d'Aragona, ma l'angioino la riprese l'anno dopo; nel 1284 fu conquistata da Ruggero di Lauria all'aragonese. Carlo II d'Angiò tentò di prenderla nell'ottobre 1291 e la ebbe solo il 4 luglio 1299 dopo una vittoria sull'armata siciliana.

Nel 1302, quando avvenne l'ultima eruzione storica, gli abitanti fuggirono a Baia e tornarono dopo 4 anni, raccogliendosi nell'isolotto del Castello. Nel 1320 Roberto d'Angiò con la moglie Sancia visitò Ischia e fu ospitato nel castello da Cesare Sterlich, già inviato da Carlo II presso la Santa Sede e governatore dell'isola dal 1306 e allora quasi centenario. Molto soffrì l'isola dalle lotte del periodo angioino-durazzesco. Nel 1382 fu presa da Carlo Durazzo, nel 1385 da Luigi II d'Angiò, da Ladislao Durazzo nel 1386; fu saccheggiata dalla flotta dell'antipapa Giovanni XXIII (1410-1415), comandata dal fratello Gaspare Cossa (1410), ripresa da Ladislao nel 1411. Nel 1422 Giovanna II donò l'isola al figlio adottivo Alfonso d'Aragona, ma quando questi cadde in disgrazia, se la riprese con l'aiuto dei Genovesi (1424). Nel 1438 Alfonso rioccupò il castello cacciandone tutti gli abitanti maschi e chiamò una colonia di Catalani, ai quali sposò le mogli e le figlie degli espulsi. Inoltre fece aprire un più comodo accesso al Castello mediante un ponte che l'unì all'isola, e scavare nella roccia una galleria, tuttora esistenti. Nel 1442 donò l'isola alla favorita Lucrezia d'Alagno , la quale ne affidò il governo a suo cognato Giovanni Torella, ma questi, alla morte di Alfonso (1458), alzò la bandiera angioina. Ferdinando I ordinò ad Alessandro Sforza di cacciare dal castello il Torella e donò nel 1462 l'isola a Garceraldo Requesens e, nel 1464, dopo un breve trionfo del Torella, a Marino Caracciolo.

Nel febbraio 1495, alla venuta di Carlo VIII, Ferdinando II sbarcò nell'isola e s'impossessò del castello, dopo avere ucciso di sua mano il castellano sleale Giusto di Candida, lasciandovi a guardia Innico D'Avalos, marchese di Pescara e del Vasto, che resistette valorosamente agli attacchi della flotta francese ed ebbe il dominio dell'isola. Con lui era la sorella Costanza, donna di virile ardimento; incomincia così la signoria dei D'Avalos, durata fino al 1700. Al principio del 1500 la famiglia salì in grande fama per le virtù guerresche di Ferrante (nato nel castello nel 1488) e di Alfonso, il vero trionfatore di Khair ad-din nell'impresa di Tunisi (1535), e per le virtù delle donne: Costanza già ricordata, che fu letterata e successe al fratello Innico nel 1504, Maria d'Aragona, moglie di Alfonso nel 1523, e particolarmente Vittoria Colonna, la celebre poetessa, le cui nozze con Ferrante D'Avalos furono celebrate nel castello il 27 dicembre 1509.

Durante il 1500 l'isola soffrì incursioni da parte dei corsari: nel 1543 e 1544 Khair ad-din, detto Barbarossa, la devastò facendo 4 mila prigionieri; nel 1548 e 1552 la saccheggiò il famoso Dragut. Fattisi poi più rari e meno temibili (anche per la costruzione delle torri di difesa) gli assalti dei pirati, gli abitanti incominciarono a passare dal castello nell'isola, dove sorse il centro di Ischia. Tuttavia anche in seguito molti abitanti furono fatti schiavi dai pirati; gli ultimi isolani che soffrirono tale sventura furono 6 Foriani andati a tagliare la legna nel 1796 nell'isola di Ventotene.

Durante la rivoluzione di Masaniello (1647) si ebbe nell'isola un tentativo di rivolta contro i feudatari e vi stette qualche tempo il duca di Guisa prima di entrare in Napoli. Essendosi nel 1729 spento il ramo diretto dei D'Avalos, l'isola si costituì in università e tornò al demanio; nel marzo 1734 fu conquistata dai Borboni e amministrata poi da regi governatori che risiedevano nel castello. Nel marzo 1799 gl'isolani innalzarono l'albero della libertà, ma il 3 aprile il commodoro Trowbridge, comandato dal Nelson, vi ristabilì, come nella vicina Procida, il governo regio e, per ordine di Vincenzo Speciale, alcuni patrioti furono impiccati nella piazza ora detta dei Martiri a Procida; tra essi, con altri 12, Francesco Buonocore iuniore, che aveva avuto in Napoli dal francese Championnet l'investitura dell'isola. Il 13 febbraio 1806 i Francesi occuparono l'isola e il 24 giugno resistettero entro il castello agli attacchi degli Inglesi, che però la devastarono. Da allora essa non ebbe più storia particolare.

Lungo la costa, e specialmente a ovest, sorgono numerose torri erette a vedetta e difesa contro i corsari: alcune sono cilindriche, costruite dopo le incursioni di Khair ad-din, altre quadrate, di epoca posteriore. Quando dalle torri si levava il fumo di giorno o il fuoco di notte, le sentinelle, in osservazione sui campanili, scorgendo i segnali, a loro volta suonavano a martello le campane avvertendo la popolazione dell'imminente sbarco dei pirati.

Isonzo: un fiume strategico.

Da sempre passaggio obbligato per accedere alla pianura veneta, durante la prima guerra mondiale l'Isonzo fu teatro di ben dodici, cruente battaglie che hanno visto l'esercito italiano opporsi a quello austroungarico. Il brano seguente, tratto dalla Guida Rossa Friuli-Venezia Giulia del Touring Club Italiano, ne ripercorre il corso sottolineando la sua importanza militare nelle diverse epoche storiche.

L'Isonzo ha un percorso di km 136 e un bacino di km2 3460. Nasce in val Trenta, nelle Giulie orientali, in territorio iugoslavo (in sloveno Soèa). Ha corso molto tortuoso con bruschi cambiamenti di direzione. L'alta e media valle, che si trovano in territorio iugoslavo, sono in genere incassate tranne che nella conca di Plezzo, ove confluisce la Coritenza, nella conca di Caporetto, e in quella di Tolmino. Tra le sue forre più belle è l'orrido di Santa Lucia, dove avviene la confluenza dell'Idria. A Salcano l'Isonzo entra in territorio italiano sboccando nel largo piano di Gorizia e nella pianura friulana, dove si allarga fra le ghiaie e si sdoppia prendendo i nomi di Sdobba e Isonzato. Infine sfocia per il Canale di Quarantia nel golfo di Panzano. I suoi affluenti principali sono: sulla sinistra, il Rio Lepegne (Lipnik), l'Idria e il Vipacco; sulla destra, la Coritenza, il Rio Uccea e il Torrente Torre.

L'Isonzo ebbe notevole importanza militare come chiave strategica per l'accesso alla pianura veneta. Presso le sue sponde si scontrarono Teodorico re degli Ostrogoti e Odoacre re degli Eruli. Nel 1477 il fiume costituiva la linea di difesa della Repubblica Veneta contro le invasioni ottomane. Durante la campagna del 1797, Napoleone vi batté gli Austriaci per dirigersi verso l'Austria; nel 1806, durante la guerra della quarta coalizione antinapoleonica, l'esercito francese forzò nuovamente le difese approntate sull'Isonzo. L'importanza strategica di questo fiume venne soprattutto in risalto durante la prima guerra mondiale, quando lungo il suo corso si svolsero tra il maggio 1915 e l'ottobre 1917 le dodci grandi battaglie dell'Isonzo che costituirono una parte notevole delle operazioni belliche sul fronte italiano.

L'origine del nome è preromana; la forma antica (Aesontius) è nota attraverso un'aretta del III secolo d.C., scoperta nel 1923 a sud di Gorizia, in località Mainizza.

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