Il sacrificio di Abramo.
Le traduzioni della Bibbia Bíblos La Bibbia nell'arte Il SACRIFICIO DI ABRAMO. Il sacrificio di Abramo è uno degli episodi biblici che hanno ispirato con più frequenza gli artisti cristiani ed è ripetuto nella letteratura di tutti i paesi. Racconta il Genesi che Jahvè, per provare la fede di Abramo, gli ordinò d'immolargli il figlio Isacco. Lo stesso Isacco portò sulle spalle la legna del sacrificio, ma mentre il patriarca alzava il coltello sul figlio, un angelo scese dal cielo a fermargli il braccio e la voce del Signore benedisse Abramo e la sua progenie. Fin dal III secolo l'episodio appare raffigurato su sarcofaghi e mosaici. Nell'iconografia posteriore si ricordano i bassorilievi del Ghiberti e del Brunelleschi, il grande affresco di Raffaello nelle stanze Vaticane, i capolavori di Andrea del Sarto, di Rembrandt, di Flandrin, di P. P. Rubens, ecc. L'episodio offrì lo spunto a numerose opere del teatro religioso. La più famosa in Italia è la sacra rappresentazione Abramo e Isacco di Feo Belcari (1410-1484), recitata in Firenze per la prima volta nel 1449, nella chiesa di Santa Maria Maddalena in Cestelli. L'argomento, come dice il titolo, è tratto dalla Bibbia; la scenografia è puramente allusiva, i vari luoghi in cui si svolge l'azione essendo tutti adunati in una sola scena, la quale rimane invariata. Un palcoscenico circondato da tende: su di un lato, due traverse di legno chiuse da una tenda dipinta a porta; a destra un rialzo al quale si accedeva per due o tre gradini, rappresentava la montagna sulla quale doveva svolgersi il sacrificio: Sara e Abramo, l'una sulla porta di casa, l'altro sulla montagna, si trovavano contemporaneamente in scena pur essendo, nella finzione scenica, distanti l'uno dall'altra tre giorni di viaggio. La rappresentazione si apre con l'apparizione dell'Angelo che espone agli uditori l'argomento, richiamandosi alla Bibbia; dopo di che l'azione si svolge semplice e lineare, seguendo il racconto biblico, fino alla sua conclusione: il festoso ritorno di Abramo e Isacco. È facile, cedendo al gusto invalso colla drammaturgia romantica, che chiedeva l'urto delle passioni elementari, notare l'assenza di contrasto drammatico: ma il Belcari, che vuol condurre il suo pubblico devoto a una mite, estatica contemplazione, ha sviluppato con grazia e abbondanza l'elemento patetico: i lamenti del giovinetto Isacco, quando gli viene rivelato lo scopo del viaggio, l'angoscia di Abramo, "questo parlar d'Isac era un coltello - che 'l cor del santo Abram feriva forte, - pensando ch'al figliuol suo dolce e bello - con le sue proprie man dovea dar morte", e l'ansiosa trepidazione della madre Sara. Per il lettore l'azione è tutta nelle poche didascalie, e resta solo la sostanza narrativa e lirica nel clima di una religiosità umana e gentile che tempera il nudo schematismo e la religiosità più austera della narrazione biblica. Il metro è l'ottava rima. Il Belcari non è né un primitivo né un trecentista, e perciò è vano cercare nelle sue rappresentazioni i delicati profumi propri del sentimento religioso di un secolo prima; tuttavia, uomo di sincera pietà religiosa, egli ha saputo conservare alla sacra rappresentazione, nel culto clima dell'umanesimo, almeno un sentore dell'antico profumo e dell'antica grazia senza cader interamente nella maniera. L'Abramo e Isacco è considerato come il capolavoro del Belcari. A leggere di questi versi e di simili a questi, restringendosi nella cerchia della loro arte di edificazione, si prova una dolcezza di piacere, non turbata da alcuna insoddisfazione di effetto non raggiunto. (B. Croce). Fra le più antiche manifestazioni del teatro inglese troviamo un "miracle play", del ciclo di York (sec. XV) che ha per argomento il sacrificio di Abramo, notevole per l'effetto patetico e il vigore dell'impostazione drammatica. In Francia si ricorda il "mistero" Abramo sacrificante [Abraham, sacrifiant] del calvinista Teodoro di Beza (Théodore de Bèze, 1519-1605), rappresentato nel 1552. L'azione, che si attiene al racconto biblico, si svolge con rapidità e il dialogo corre sciolto, con una grazia e una ingenuità che sorprendono nel duro polemista. Particolarmente patetici gli addii fra Sara e Isacco. Tra i personaggi è introdotto anche Satana, forse per giustificare il dualismo calvinistico professato dall'autore. In Spagna la più antica rappresentazione sull'argomento è l'Auto del sacrificio de Abraham, conservata nel "Códice de autos viejos", drammi religiosi in un atto, pubblicati nel 1865 nella "Colección de autos, farsas y coloquios del siglo XVI" e nella "Biblioteca hispanica" di Léo Rouanet nel 1901. La rappresentazione appare ancora legata all'ufficio liturgico e ha un movimento scenico rudimentale. Le figure sono prive di ogni elemento personale che le caratterizzi. Notevole è anche il Sacrificio di Abramo, l'opera più antica del teatro cretese, in 1159 versi di quindici sillabe rimati, composta da un ignoto poeta che ora si vuole identificare con l'autore dell'Erotocrito, Vincenzo Cornaro, vissuto nel sec. XVI o XVII. Il libro fu stampato, forse per la prima volta, nel 1635. L'argomento del dramma, o, meglio, della tragedia, è la storia di Abramo, al quale Iddio, per metterne a prova la fede, ordina di sacrificare il figlio Isacco; Abramo ubbidisce, ma, nel momento in cui sta per compiere il sacrificio, sulla cima del monte, un Angelo gli ferma la mano, svelandogli l'intenzione e la soddisfazione del Signore. Trattato in numerosi "misteri" e "sacre rappresentazioni", soprattutto, in Italia, il tema non è modellato sugli esempi preesistenti, nemmeno nell'intreccio, che presenta una salda unità di azione, e nell'ossequio alle esigenze drammatiche, che appaiono profondamente sentite e opportunamente sviluppate dall'autore, mentre notevoli sono i pregi poetici e stilistici, naturali e spontanee le situazioni psicologiche, costante l'elemento passionale, ricca e viva, nonostante i molti idiotismi, la lingua, tecnicamente corretta e sovente artisticamente foggiata la verseggiatura. L'opera, qua e là verbosa e prolissa, piacque a lungo al popolo, ed esercitò duratura e benefica influenza nei secoli posteriori. In Germania è degno di menzione il poema in quattro canti Le prove di Abramo di Christoph Martin Wieland (1733-1813), pubblicato nel 1752. Benché opera giovanile, si raccomanda già per la sciolta eleganza formale e il calore del sentimento. L'oratorio trovò nell'argomento già una materia poeticamente atteggiata. Il testo più famoso è quello del secentista Francesco Balducci, giuntoci senza musica, importante, più che per le qualità artistiche, perché fissa la forma definitiva del genere, nella divisione in due parti, nella disposizione dei personaggi e del coro. Col Balducci, l'oratorio s'avvia a essere coscientemente "un perfetto melodramma". Alla sacra rappresentazione del Belcari, si ispirò Giacomo Carissimi
(1605-1674) in uno dei suoi famosi oratori, Abramo e Isacco, che però non è
all'altezza dello Jefte o del Giona. Ildebrando Pizzetti (n. 1880) compose nel 1917 le musiche di scena per la sacra rappresentazione del Belcari, musicata poi interamente nel 1928 in forma di oratorio scenico. ![]() [La Bibbia nell'arte - A. Mantegna. «Dalila e Sansone»] ![]() Le traduzioni della Bibbia. "Bíblos" La Bibbia. Con questo nome, che in greco significa "i libri", si indica la collezione dei libri sacri, ispirati da Dio, fondamento del Cristianesimo. Termine equivalente è Sacra Scrittura. Gli autori umani che la scrissero, cominciando da Mosè fino a san Giovanni Evangelista, l'ultimo scrittore sacro ispirato, non furono che strumenti nelle mani di Dio. Essa contiene la maggior parte della rivelazione divina, ossia di quelle verità naturali e soprannaturali che Dio volle far conoscere all'uomo. I libri che compongono la Bibbia formano due gruppi distinti chiamati l'"Antico" e il "Nuovo Testamento". L'"Antico Testamento" comprende i libri che hanno preceduto la venuta di Gesù; si possono suddividere in libri storici, dei quali i primi cinque formano il Pentateuco: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, Giosuè, Giudici, Ruth, Re, Paralipomeni, Esdra, Neemia, Tobia, Giuditta, Ester, Maccabei; in libri didattici: Giobbe, Salmi, Proverbi, Cantico dei Cantici, Ecclesiaste, Sapienza, Ecclesiastico; e in libri profetici: Isaia, Geremia, Baruch, Ezechiele, Daniele, Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Maiachia. Le Bibbie cattoliche li contengono tutti. I mancanti nelle Bibbie ebraiche sono chiamati deuterocanonici, cioè inseriti in un secondo tempo nel canone: Baruch, Tobia, Giuditta, Maccabei, Sapienza, Ecclesiastico, frammenti dei libri di Ester e di Daniele. Questi libri non sono accettati dai protestanti e da loro sono chiamati apocrifi. La lingua originale dei libri dell'"Antico Testamento" è, per la quasi totalità, l'ebraica. Solo alcune parti sono state scritte e ci pervennero in lingua aramaica. I sette libri deuterocanonici e le parti deuterocanoniche di Daniele e di Ester ci sono conosciuti in lingua greca. Però, a eccezione del secondo libro dei Maccabei e del libro della Sapienza, l'originale doveva essere ebraico. La versione greca dell'"Antico Testamento", che si raccomanda per la sua antichità e la sua autorità, è quella detta alessandrina, perché fatta ad Alessandria d'Egitto, o dei Settanta, perché la tradizione vuole che i traduttori siano stati in numero di settanta o più precisamente settantadue. Fu fatta tra il 301 e il 150 a.C. (*) L'edizione "hexaplaris" o Esapla è il lavoro monumentale dovuto a Origene che vi consacrò oltre 12 anni, dal 228 al 240 d. C. Il grande scrittore dispose tutto l'"Antico Testamento" in sei colonne; la prima dava il testo ebraico in caratteri ebraici, la seconda il testo ebraico trascritto in caratteri greci, la terza e le seguenti, per ordine, le versioni di Aquila, di Simmaco, dei Settanta, di Teodozione. Il prezioso manoscritto era conservato nella biblioteca di Cesarea, ove fu consultato tra gli altri da Eusebio e da san Girolamo. La sua scomparsa sembra risalire all'invasione araba nel VII sec. Tra le versioni se ne trova una per la quale si ripete che fosse chiamata da sant'Agostino "la versione Itala", che egli sembra raccomandare in modo speciale. (*) Nel 383 Girolamo dà una prima traduzione latina dei Salmi, correggendo la "Antica latina", ossia Itala, con uno dei buoni testi conosciuti da lui della versione alessandrina. Questa prima revisione dei Salmi era subito adottata dalla Chiesa di Roma. Perciò venne chiamata Salterio romano. Oggi, in S. Pietro a Roma, nella Chiesa Ambrosiana, in parti liturgiche del Messale Romano la prima versione di san Girolamo è ancora in uso. Nel 392 Girolamo dà una seconda revisione del Salterio, conosciuta sotto il nome di Salterio gallicano. Nel sec. XVI questo Salterio fu accolto da tutta la Chiesa latina. A trent'anni Girolamo si accinge allo studio dell'ebraico e può arrischiarsi a tradurre i libri sacri direttamente dagli originali. La traduzione della Bibbia in latino, fatta da san Girolamo, prese il nome di Volgata. Nel Concilio di Trento (1546) la Chiesa, con apposito decreto, dichiarò la Volgata "autentica", sorgente vera della rivelazione. Il "Nuovo Testamento" comprende i libri che sono stati scritti dopo la venuta di Gesù, dal 45 al 100 d. C., tutti in lingua greca, se si eccettua il Vangelo di san Matteo che una testimonianza patristica dice composto originariamente in aramaico. Da questi scritti appare la Nuova Alleanza, che Iddio Padre per mezzo del suo Figlio Divino concede all'umanità intiera che crederà in Lui. Il numero dei libri del "Nuovo Testamento" ascende a ventisette: Vangeli di san Matteo, di san Marco, di san Luca, di san Giovanni, Atti degli Apostoli, 14 Epistole di san Paolo (ai Romani, I ai Corinzi, II ai Corinzi, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, I ai Tessalonicesi, II ai Tessalonicesi, I a Timoteo, II a Timoteo, a Tito, a Filemone, agli Ebrei), 7 Epistole, dette cattoliche (di san Giacomo, I di san Pietro, II di san Pietro, I di san Giovanni, II di san Giovanni, III di san Giovanni, di san Giuda), e in ultimo l'Apocalisse di san Giovanni. Se si considera la natura degli scritti neo-testamentari si ha la stessa divisione già incontrata per i libri antico-testamentari: libri storici: Vangeli e Atti; libri didattici: Epistole paoline e cattoliche; libro profetico: Apocalisse. Tutti questi libri sono considerati come sacri dalla Chiesa cattolica, e questo numero di 27 era fissato sino dal 393 d. C. nel concilio di Ippona. I concili seguenti, citiamo solo il Tridentino e il Vaticano, si pronunciarono per la canonicità e ispirazione di essi. Però nei primi secoli dell'era cristiana alcuni libri si consideravano come non autentici ed erano chiamati deuterocanonici: Epistola agli Ebrei, II e III di Giovanni, di Giuda, Apocalisse di Giovanni. Di questi la maggior parte era accettata dai Padri Apostolici e nella prima parte del II sec. si aveva qualche dubbio soltanto sulla II di Pietro. Tutti gli agiografi neo-testamentari, a eccezione di Luca, erano Ebrei e scrissero i libri sacri in una lingua che non era la patria. Questo fatto va spiegato coll'intenzione degli scrittori sacri di penetrare nel mondo pagano ellenista invitato a far parte del nuovo regno messianico. La lingua neo-testamentaria è la lingua della "koinè diNlekto"", lingua volgare, di cui si hanno tante iscrizioni profane. I manoscritti migliori e più antichi che contengono parte dell'"Antico" e tutto il "Nuovo Testamento" sono: il Codice Sinaitico del IV sec.; il Codice Alessandrino del V sec.; il Cod. Vaticano del IV sec.; il Cod. di Efremo scritto (palinsesto) del V sec. Scoperte recentissime ci danno però certezza che i quattro primi Vangeli erano scritti e conosciuti in Egitto nella prima metà del II sec. d. C. Una distinzione molto importante dei sensi scritturistici è quella tra senso "letterale", secondo il vocabolo, e "reale", secondo la cosa, l'individuo, l'evento. Il senso reale, chiamato anche "tipico" o "mistico", si trova in quei passi ove per mezzo di individui, di cose, di eventi storici, cosiddetti tipici, sono significati altri individui, altre cose, altri eventi storici detti antitipici. Così il Cantico dei Cantici ha un senso soltanto tipico; nel "Nuovo Testamento" Adamo è il tipo di Gesù (cfr. Rom. 5, 14); l'agnello pasquale è il tipo di Gesù messo in croce (cfr. Giov. 19, 36); la manna è il tipo dell'Eucaristia (Giov. VI, 30 e segg.); la liberazione del popolo ebraico dalla servitù di Babilonia è il tipo della liberazione spirituale operata da Cristo (Is. XLV). Il senso letterale è quello espresso direttamente per mezzo della parola stessa e si divide in senso proprio e metaforico come presso gli autori profani. Se si ha riguardo alla materia, entrambi i sensi possono essere storico, profetico, allegorico o dogmatico, tropologico o morale e anagogico, secondo che annunziano fatti o profezie, verità da credere, da praticare o i beni futuri da sperare. [La Bibbia nell'arte - Jacopo della Quercia. «Storie della Genesi: Il Peccato Originale»][La Bibbia nell'arte - E. Delacroix: «Lotta di Giacobbe con l'angelo»] ![]() (*) L'Esapla o Sestupla [{Exapla] fu la più celebre opera filologica del teologo e filosofo alessandrino Origene (185-254?). Essa consisteva in un imponente prospetto del Vecchio Testamento in colonne parallele (generalmente sei, donde il titolo di Sestupla secondo il testo ebraico - col. 1 -, la sua trascrizione in lettere greche - col. 2 -, la versione greca di Aquila, un cristiano ritornato all'ebraismo - col. 3 -, di Simmaco, un giudaizzante - col. 4 -, la versione detta dei Settanta, ufficiale per gli Ebrei ellenistici e pei Cristiani di lingua greca - col. 5 -, di Teodozione - col. 6 -. Quando esistevano altre versioni oltre le ricordate (come per esempio pei Salmi) queste venivano aggiunte in una settima e ottava colonna, come, viceversa, talora venivan tralasciate le due prime colonne, così da darne una edizione ridotta alle quattro colonne restanti ("tetrapla"). Lo scopo di siffatto lavoro, che doveva occupare circa 6500 pagine, era di dare una edizione critica della versione dei Settanta. A tale fine Origene faceva rilevare le "varianti" tra il testo dei Settanta e quello ebraico, segnando con òbeli (÷) i passi mancanti nel testo ebraico e aggiunti in quello greco, e con asterischi (*) i passi del testo ebraico che non si ritrovavano nella versione greca. Con questo metodo egli intendeva rivedere la versione dei Settanta e ricondurla alla purezza primitiva. Quest'opera si è conservata nella biblioteca di Cesarea in Palestina probabilmente fino al sec. VII e fu consultata e valorizzata da molti dotti, tra cui san Girolamo, autore della revisione della traduzione latina divenuta ufficiale nella Chiesa cattolica. Il suo testo dei Settanta fu pure riprodotto da copisti dando luogo a quella recensione del testo che si chiama appunto "esaplare". La sua importanza negli studi biblici dell'antichità cristiana è stata fondamentale: giacché non solo testimonia la viva sensibilità critica di codesto dotto che pur era incline alla interpretazione allegorica - tanto da divenirne un maestro e caposcuola -, ma pure il bisogno che la Chiesa antica aveva di stabilire un testo sicuro del suo libro sacro, minacciato dalle tendenziose varianti e interpolazioni delle molteplici sètte gnostiche. Dell'opera perduta ci sono giunti frammenti raccolti anche recentemente in due grandi volumi dal Field (Oxford, 1867-75); un frammento esaplare completo si ha in un palinsesto ambrosiano scoperto da G. Mercati. (*) Col nome di Itala si indica una delle prime versioni sistematiche della Bibbia dal testo greco in quello latino fatta nell'Europa occidentale da diversi autori, tutti anonimi, fra il II e il III sec. e divenuta di uso comune in Italia. Essa si distingue con il nome Itala dalla Afra, la versione della Bibbia circolante nell'Africa cristiana, che diverge dall'Itala in special modo nella traduzione dei vocaboli greci, che nell'Itala è più conforme all'indole della lingua latina. Il nome di Itala risale a sant'Agostino che dichiarò questa versione preferibile alle altre per esattezza. Tanto l'Itala che l'Afra fanno parte di quella serie di versioni latine della Bibbia compiute prima della versione geronimiana che si usa designare con il titolo complessivo di Latina vetus. Di questa e probabilmente proprio dell'Itala si valse san Girolamo per la sua celebre Volgata in parte accogliendola integralmente, in parte (per i libri del "Nuovo Testamento") limitandosi a correggerla sul testo greco. (*) La Volgata [Editio vulgata] è la versione latina della Bibbia in uso nella Chiesa cattolica; opera, in massima parte, di san Girolamo (circa 347-420). L'espressione "vulgata" era attribuita, ancora da san Girolamo, alla traduzione greca della Bibbia detta "dei Settanta", ed è traduzione del greco koinè. Quest'uso si mantenne ancora nel Medioevo. Ruggero Bacone (1214-1294) attribuì il nome per la prima volta alla versione di san Girolamo, e l'uso, ripreso da Erasmo da Rotterdam, all'epoca della Riforma, fu definitivamente consacrato dal Concilio di Trento nel suo decreto (8 aprile 1546) che dichiarò la versione di san Girolamo "autentica". Verso la fine del IV secolo si manifestò la necessità di una revisione dell'antica traduzione latina della Bibbia (versione nota col nome di Antica latina [Vetus latina]) che, per lo stato dei codici, per i numerosi errori dei copisti, per la confusione cagionata da un gran numero di versioni indipendenti, era in condizioni deplorevoli. Papa Damaso incaricò san Girolamo, allora a Roma, di rivedere la Antica latina. Il primo lavoro di revisione dei quattro vangeli apparve nel 383: inesorabile per tutto quanto riguardava il senso, Girolamo, in questa prima revisione, fece solo pochi ritocchi formali. È incerto, ma quasi concordemente ammesso da tutti, che egli, nello stesso anno o poco dopo, rivedesse, in maniera certo più affrettata, anche il resto del Nuovo Testamento (cioè Atti degli Apostoli, Epistole, Apocalisse). Certo compì la revisione del libro dei Salmi, dalla quale è uscito il Salterio cosiddetto Romano, perché introdotto da Damaso nella liturgia romana. Partito per l'Oriente, san Girolamo venne a conoscenza del testo biblico, cosiddetto Esaplare, curato da Origene. Il quale, in sei colonne (donde il nome, Esapli), aveva disposto sinotticamente: il testo ebraico dell'Antico Testamento in caratteri ebraici, lo stesso trascritto in caratteri greci, la traduzione greca del giudeo Aquila, la traduzione greca del giudeo Simmaco (contemporaneo di Settimio Severo), la traduzione greca detta dei Settanta, quella, infine, del giudeo Teodozione (180 d. C.). In base a questo testo Girolamo mise mano a una nuova revisione del Salterio, che fu detto Gallico (386) perché diffuso soprattutto in Gallia e che più tardi diventò il Salterio della Volgata; sul testo esaplare di Origene rivide l'antica versione latina del libro di Giobbe, dei Proverbi, dell'Ecclesiaste, del Cantico dei Cantici, dei Paralipomeni: ma questa revisione, salvo che per il Salterio e il libro di Giobbe, non ci è pervenuta. Verso il 390, sempre in Palestina, Girolamo concepì l'arduo disegno di tradurre tutto il Vecchio Testamento direttamente dall'originale ebraico, abbandonando ogni più o meno infido intermediario, e l'impresa portò a termine in circa 14 anni di duro lavoro. Iniziò coi libri di Samuele e dei Re (390-391) tradusse quindi i Salmi (ma questa traduzione non riuscì mai a soppiantare il Salterio Gallico), i Profeti e Giobbe (392-393), poi Esdra e le Cronache (394-396). Caduto malato, riprese il lavoro nel 398 coi Proverbi, continuandolo con l'Ecclesiaste e il Cantico. La data del Pentateuco è incerta (circa 401); nel 405 tradusse Giosuè, Giudici, Ruh, Esther e, dal caldaico, le aggiunte deuterocanoniche di Daniele, i libri di Tobia e Giuditta. Lasciò da parte, perché da lui considerati non canonici o dubbiosi, la Sapienza, l'Ecclesiastico, Baruch con la lettera di Geremia, i due libri dei Maccabei, il terzo e quarto libro di Erdra. Tutti questi libri entrarono nella Volgata nella traduzione Antica latina. Per le aggiunte deuterocanoniche al libro di Esther c'è qualche incertezza: quella che possediamo nella Volgata è forse la revisione geronimiana sul testo greco esaplare di Origene. Concludendo, la Volgata, come oggi la possediamo, si compone di quattro parti: libri nei quali Girolamo non pose affatto le mani e che sono rappresentati dalla versione Antica latina (i deuterocanonici già indicati), libri da Girolamo rivisti sulla versione Antica latina (il Nuovo Testamento), libri rivisti da Girolamo sul testo esaplare di Origene (i Salmi e forse le aggiunte di Esther), libri tradotti da lui direttamente dall'originale ebraico (il resto). Quest'ultima parte rappresenta circa i tre quarti del totale. La versione non è tutta di eguale valore né omogenea; Girolamo stesso ci dice di aver voluto rendere l'originale con fedeltà ma non servilmente, mirando più al senso delle parole originali che non al loro significato letterale: "non verbum de verbo, sed sensum exprimere de sensu"; il latino è chiaro e corretto per quanto siano mantenuti i termini consacrati dall'uso: a questo scopo Girolamo fece uso di ebraismi, ellenismi, e di espressioni tratte dal latino volgare. Comunque la versione supera di gran lunga tutte le precedenti e ha avuto una importanza eccezionale nella storia della diffusione della Bibbia: le antiche versioni bibilche in lingue volgari (basti nominare quella inglese di Wycliffe) sono tutte condotte sulla Volgata, che è ancora oggi il testo ufficiale della Chiesa cattolica. Ciò non vuol dire che la versione fosse accolta subito con favore: non le furono risparmiate critiche (anche da parte dello stesso sant'Agostino, per ciò che si riferiva alla traduzione diretta dall'ebraico dell'Antico Testamento), e per tre secoli dovette contendere il terreno all'Antica latina. Con la Riforma e l'affermarsi degli studi filologici, la polemica e le critiche si fecero più aspre. Il già citato decreto del Concilio di Trento - che peraltro ha valore disciplinare e non dogmatico, ed è perciò revocabile - stabilì testualmente "questa vecchia e volgata edizione, collaudata nella stessa Chiesa da un lungo uso secolare, nelle pubbliche lezioni, dispute e prediche, deve ritenersi autentica" nel senso di "ufficiale" e immune da errori che riguardino la fede e la morale; "nessuno quindi ardisca o presuma con qualche pretesto di rigettarla". Inoltre, il 30 aprile 1934, la Commissione Biblica stabilì che le traduzioni in lingua moderna delle Epistole e dei Vangeli che si leggono o che si danno a leggere nelle chiese devono essere condotte non sui testi originali, ma sulla Volgata. La Chiesa cattolica ha peraltro sentito la necessità di dare della Volgata un testo sicuro, fedele e ufficiale: e ciò in seguito agli errori introdottisi nel testo attraverso il succedersi delle copie manoscritte e poi delle edizioni a stampa. La revisione fu iniziata da Paolo III (1546). Sisto V (1585-1590) fece preparare e pubblicare (1590) un testo (la cosiddetta Volgata Sistina) della Volgata, che nell'uso pubblico come privato doveva essere considerato come l'unico autentico. Clemente VIII tornò sul lavoro del suo predecessore e pubblicò (1592) un nuovo testo ufficiale (la cosiddetta Bibbia Clementina). Due barnabiti italiani del secolo scorso, Luigi Ungarelli e Carlo Vercellone, si diedero a raccogliere i materiali per una nuova emendazione. Il lavoro (Varie lectiones Vulgatae bibliorum editionis, 2 voll., Roma 1860-64) fu interrotto al libro dei Re per la morte (1896) del Vercellone, e ripreso dalla Santa Sede che ne incaricò l'Ordine benedettino. Sono già stati pubblicati, a cura di don Enrico Quentin, i primi volumi (Genesi, Esodo, Levitico) del nuovo testo. [La Bibbia nell'arte - G. B. Tiepolo: «L'apparizione dell'angelo a Sara»] (*) La Bibbia di Ulfila è la traduzione fatta in lingua gotica da Ulfila (forma grecizzata del nome gotico Wulfila), vescovo ariano dei Goti del basso Danubio (circa 311-383), della quale abbiamo diversi manoscritti tutti provenienti dall'Italia dove furono probabilmente redatti durante la dominazione ostrogota (489-555). Il più importante di essi 187 fogli - è il cosiddetto "Codex argenteus" di Upsala che fu scoperto a Werden presso Colonia, poi depositato a Praga, di lì preso dagli Svedesi nel 1648 e offerto alla regina Cristina di Svezia; è scritto su pergamena colorata di porpora con lettere argentee e iniziali in oro; altri manoscritti scoperti in un palinsesto di Wolfenbüttel - il cosìddetto "Codex Carolinus", - all'Universitaria di Giessen, all'Ambrosiana di Milano e a Torino, sono di minor importanza. Tutto ciò che della traduzione di Ulfila ci rimane è costituito da ampi e importanti frammenti del "Nuovo Testamento" la seconda Lettera ai Corinzi, brani della Lettera ai Romani, lepaoline, un commento al Vangelo di S. Matteo e un frammento di calendario, oltre a tre brevi frammenti del "Vecchio Testamento". Ulfila ha tradotto direttamente dal testo greco, e quasi certamente dal testo in uso allora a Costantinopoli, dove egli ricevette prima la sua formazione religiosa e più tardi la consacrazione a vescovo. Il testo era forse anche intercalato da dizioni latine, e Ulfila lo seguì per lo più, pedissequamente in una prosa gotica mista di molti grecismi e di qualche latinismo. Tuttavia il problema del testo, allo stato attuale degli studi, è da considerarsi tutt'altro che risoluto: anche in relazione alla complessità dell'intrapresa a cui Ulfila si accinse. Tutta una materia etica e religiosa dovette infatti trovare espressione in una lingua a cui tali caratteri erano estranei; egli inventò da sé i caratteri, che fissò basandosi principalmente sull'alfabeto greco e servendosi anche di segni runici e latini. La lingua da lui usata, il gotico, è la più antica fra le lingue germaniche a noi note, di cui ci sono pervenuti documenti scritti, e conserva ancora le sillabe finali atone, le forme del duale e del medio passivo. Non rappresenta la lingua comune parlata da tutti i Teutoni nel VI sec., poiché presenta sostanziali differenze rispetto agli idiomi del nord e dell'occidente. Secondo la testimonianza di Procopio essa era la lingua parlata dagli Ostrogoti, Visigoti, Vandali e Gepidi. L'importanza della Bibbia di Ulfida per gli studi di storia delle lingue germaniche è addirittura incalcolabile. È infatti quasi sorprendente come il vescovo riesca spesso a esprimere con esattezza, con perfetta aderenza, nella sua lingua greggia, il pensiero - non sempre facile - del testo. La Bibbia è stata certamente il grande strumento per la conversione di quelle genti al Cristianesimo. E, per questo riguardo, essa costituisce anche un documento essenziale per intendere le condizioni di cultura di quel mondo rapidamente scomparso. (*) La più celebre delle versioni moderne è la Bibbia di Lutero. Il grande riformatore tedesco Martin Lutero (1487-1546) ha voluto dare al suo popolo, con questa traduzione, il libro fondamentale del Cristianesimo scritto nella sua propria lingua con aderenza al suo proprio modo di sentire. Prima della versione di Lutero esistevano in Germania già 14 versioni in alto tedesco e 3 in basso tedesco, delle quali la più antica era quella di Mentel uscita a Strasburgo il 1466 e la più recente era quella uscita il 1522 a Halberstadt. La traduzione di Lutero ha su tutte queste il vantaggio di muovere da due nuovi princìpi suggeriti dall'Umanesimo, cioè: che nella Bibbia si rispecchi l'anima del popolo a cui serve, e che il suo testo debba essere attinto dalle sue fonti più genuine. Fede nazionale e ritorno alle fonti sono dunque i fattori della originalità della Bibbia luterana. Lutero non tradusse dalla Vulgata ma risalì al testo ebraico e greco riveduto da Erasmo nel 1516. La lingua che egli adoperò è una felice combinazione di tutti gli elementi linguistici che costituivano al suo tempo la parlata del popolo germanico. Egli mosse dalla lingua della cancelleria sassone che considerava come sua lingua materna, ma la temperò con quella della cancelleria boemo-lussemburghese arricchendola della parlata viva del popolo del sud e del nord di Germania, parlata che egli colse dalle labbra dei contadini, delle donne sul mercato, dei bambini parlottanti con la mamma. Nel suo Messaqgio sul tradurre [Sendbrief vom Dolmetschen, 1530] egli dice infatti: " non si deve domandare come la lettera latina debba essere detta in tedesco ma si deve interrogare la madre in casa, i bambini per istrada, l'uomo del popolo sul mercato, e si deve guardare in bocca come parlano". Lutero voleva parlare al popolo con la lingua del popolo perché la sua prima necessità era di farsi comprendere da tutti. La parola di Dio, che è diretta a tutti, deve infatti poter essere compresa da tutti. In questo è la forza della sua Bibbia e una delle cause della vittoria del protestantesimo in vaste zone della Germania, aggiunta naturalmente alla invenzione della stampa. La tenace industria con cui Lutero attese per più di un dodicennio al gigantesco lavoro, utilizzando sapientemente la valentìa filologica dei suoi amici più cari e spiegando tutte le infinite risorse del suo gusto letterario, ci mostra a quale vasto e alto volo sapesse elevarsi questo spirito inquieto e tormentato. Chiuso alla Wartburg egli aveva atteso a una versione germanica del "Nuovo Testamento" che vide la luce nel 1522. Negli anni successivi pose mano alla versione del "Vecchio". E di anno in anno era riuscito a mandare fuori i singoli libri del canone biblico: il entateuco nel 1523, Giosuè, Giobbe, i Salmi e Salomone nel 1524, i "Profeti" fra il 1526 e il 1530, i libri "sapienziali" nel 1529, gli altri "deuterocanonici" nel 1532. Finalmente nel 1534 presso l'editore Lufft di Wittenberg usciva la traduzione completa: Biblia, das ist die gantze Heilige Schrifft Deutsch. La monumentale versione segnava la vera data di nascita della letteratura tedesca. La traduzione non la si potrebbe considerare come un'opera del tutto originale e personale di Lutero. Essa è nata da una stretta, familiare, quotidiana collaborazione del Riformatore con i suoi amici, dopo lunghe laboriose giornate di discussione. Lutero vi ha trasfuso la sua eccezionale sensibilità artistica, la sua squisita attitudine letteraria. Melantone vi ha contribuito con la sua sicura e larga perizia filologica. Il gruppo dei collaboratori avverte nitidamente l'enorme difficoltà che è nel programma di riprodurre in una lingua aspra, indocile, contorta, la fluida lucentezza dello stile ebraico. La letteratura profetica è, naturalmente, quella che oppone maggiore resistenza e provoca le più copiose incertezze. Fin dal 1528, Lutero confidava all'amico Link il suo imbarazzo nel costringere all'idioma germanico la copiosa e luccicante immaginazione dei Profeti. Gli sembrava veramente di dover ridurre il gorgheggio di un usignolo alla cadenza monotona del cuculo. Son queste oggettive e aspre difficoltà che hanno molto spesso tratto i traduttori a parafrasare e a diluire. La Bibbia di Lutero è per la Germania e per la letteratura tedesca ciò che la Divina Commedia è per l'Italia e per la letteratura italiana: essa, spianando le differenze locali, diede alla Germania una lingua nazionale ed elevò il tedesco a dignità letteraria inaugurando l'epoca moderna. La Bibbia è stata finora il miglior libro tedesco. In confronto alla Bibbia di Lutero tutto il resto può dirsi "letteratura", una cosa che non è cresciuta in Germania e che perciò non ha messo né metterà radice nei cuori tedeschi come seppe fare la Bibbia. (Nietzsche). (*) La prima versione inglese della Bibbia è quella di John Wycliffe (m. 1384) fatta in collaborazione con Nicola di Hereford e altri discepoli, tramandata in circa 150 manoscritti. Notissima è anche la Grande Bibbia [Great Bible], chiamata anche Cranmers'Bible dal nome di Thomas Cranmer (1489-1556) arcivescovo di Canterbury, pubblicata nel 1579 per ordine di Enrico VIII. Cromwell incaricò Coverdale di prepararne l'edizione. La stampa ne fu cominciata a Parigi e terminata a Londra. (*) Altra nota versione inglese è la Bibbia di Ginevra [Genevan Bible] che ripete la traduzione protestante eseguita nel 1540 da Nicolas Malingre con la collaborazione di Calvino: Bible en laquelle sont contenus tous les livres canoniques de la Sainte Ecriture, tant du Vieil que du Nouveau Testament, et pereillement les apocryphes. Durante il regno di Maria I d'Inghilterra (1553-59) i riformisti si rifugiarono a Ginevra e a Francoforte sul Meno. A Ginevra pubblicarono in inglese questa versione che da un passo del Genesi (III, 7) fu anche detta Breeches Bible, e che aveva un commento approvato dai puritani. [La Bibbia nell'arte - S. Botticelli: «Il ritorno di Giuditta a Betulia»] Guadagnare navigando! Acquisti prodotti e servizi. Guadagnare acquistando online. PENTATEUCO. Si comprendono sotto questa denominazione i primi cinque libri della Bibbia, chiamati nelle versioni dei Settanta e della Volgata Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deutoronomio. Nel testo ebraico essi sono indicati con la prima parola di ciascun libro. La storia dell'origine del mondo e dei Patriarchi prima del diluvio; quella del diluvio, di Noè e dei suoi figli che popolarono nuovamente la terra; la storia di Abramo, progenitore del popolo ebreo e quella degli Ebrei dopo lui, fino alla morte di Giuseppe in terra d'Egitto, formano la materia contenuta nel Genesi. L'uscita degli Ebrei dall'Egitto e i fatti avvenuti loro nel deserto durante quaranta anni ci sono narrati da Mosè nell'Esodo e nei Numeri. Il Levitico è come un rituale, diretto specialmente ai Leviti e ai Sacerdoti: è il codice del culto esterno. Il Deutoronomio o Seconda Legge, dato alla fine del soggiorno nel deserto, espone leggi già promulgate, ma con qualche ritocco, e adattate alle nuove condizioni di vita sedentaria, in cui doveva trovarsi fra poco il popolo in Palestina. L'opinione degli esegeti e critici cattolici moderni è unanime nel riconoscere Mosè quale autore del Pentateuco. Essi appoggiano la loro tesi su questi argomenti speciali: la testimonianza di Gesù nel Vangelo di san Marco XII, 18-27: "Non avete letto nel libro di Mosè" e nel Vangelo di san Giovanni, V. 45 e ss.: "Non pensate che io (persona) debba accusarvi davanti al Padre; vostro accusatore è lo stesso Mosè nel quale ponete ogni speranza. Poiché se aveste creduto a Mosè, avreste creduto anche a me, perché "egli ha scritto di me". Ma se non credeste agli "scritti di lui", come potrete credere alle mie parole?". E sono oltre venti i passi neotestamentari in cui si attribuisce a Mosè un'attività letteraria, e altrettanti sono i passi attribuiti a Mosè nel Nuovo Testamento che si ritrovano nei diversi libri del Pentateuco. La tradizione ebraica riconosce Mosè quale autore del Pentateuco. Questo anzitutto ci consta dalla traduzione dei Settanta, da Flavio Giuseppe, da Filone, dal Talmud. I santi Padri e la Chiesa Cattolica convengono in questo riconoscimento. I critici razionalisti moderni sostengono che il Pentateuco non sia opera di un solo scrittore, ma di più autori, ignoti, i cui scritti sarebbero stati fusi insieme da un compilatore assai posteriore a Mosè: si avrebbero diversi documenti: 1) il Jahvista, così detto dal nome di Jahvè che vi si riscontra quale nome di Dio, sarebbe il documento più antico che risale a circa il IX sec. a. C. 2) L'Elohista, così chiamato perché il nome di Dio appare sotto la forma di Elohim, sarebbe alquanto posteriore, non molto prima del 722 a. C. 3) Il Deuteronomista, ristretto alla quasi totalità del Deuteronomio (tranne 42, 48-52; e 34,1, 7-9 attribuiti al Codice Sacerdotale), sarebbe stato scritto poco prima della riforma religiosa fatta da re Giosia l'anno 621 a. C. 4) Il Codice Sacerdotale comprende principalmente le leggi liturgiche, tutto il Levitico, gran parte dei Numeri e parti più o meno lunghe dei tre altri libri. Si sarebbe formato durante l'esilio babilonese (586-538) e sarebbe stato messo in vigore l'anno 444 a. C. nella restaurazione di Esdra. Questi vari scritti si riconoscerebbero: per il diverso impiego dei due nomi divini Jahvè ed Elohim; per alcuni contrasti di lingua e di stile; per alcune differenze nelle idee religiose e morali; nella valutazione del culto; nell'atteggiamento di fronte alla questione nazionale e politica; per le ripetizioni con antinomie, divergenze, talvolta contraddizioni, per la presenza di testi paralleli particolari nell'ambito di uno stesso racconto, costituiti dall'intreccio di due o più racconti originariamente distinti e poi fusi insieme da un redattore, ovvero costituiti da un racconto originario e da aggiunte più tarde. Ma, mentre il primo e il secondo argomento possono essere ammessi da chiunque senza necessità di dedurre che l'autore debba essere ritardato dopo i tempi di Mosè, autore sostanziale del Pentateuco, il terzo argomento è confutato dalle scoperte molto recenti di Ugarit (Ras Shamra). Nel secondo millennio a. C. vi erano in questa città della Siria molti usi liturgici, diversità di sacrifici, che i razionalisti ritardano al 444 a. C. Vi si rivela anche un senso di giustizia e di bontà che richiama le leggi del Deuteronomio. Non vi è dunque ragione di credere che Mosè non abbia potuto avere questo spirito altamente religioso e questa esplicazione deuteronomistica della sua religiosità che esisteva prima della sua epoca presso una popolazione politeista proveniente dai confini della Palestina del sud. Il quarto e quinto argomento, benché contengano obbiezioni non facili, sono da spiegarsi con l'accettazione di fonti diverse che si completano a vicenda. Un critico che non abbia preconcetti filosofici può accettare con tranquillità il responso della Commissione Biblica che ammette diverse fonti per la composizione del Pentateuco e non esclude diversi redattori o segretari. A queste fonti attinse Mosè, autore principale o sostanziale dell'opera. [La Bibbia nell'arte - William Blake: «Dio crea Adamo»] L'Angelo mostra Gerusalemme a san Giovanni In questa incisione di Gustave Doré per la Bibbia (1866) l'angelo dell'Apocalisse, "dalla cima di un monte grande e alto", mostra a San Giovanni "la città santa, Gerusalemme, risplendente della gloria di Dio" (Apocalisse 21:10). ![]() Apocalisse di Giovanni. Ultimo libro del Nuovo Testamento, ricco di allegorie e soggetto a numerose interpretazioni. PATERNITÀ. La tradizione ecclesiastica attribuisce pressoché unanimemente il libro dell'Apocalisse (dal greco apokálypsis, 'rivelazione') a Giovanni, l'autore dell'omonimo Vangelo e delle tre lettere. Tuttavia già l'antichità cristiana (il vescovo di Alessandria Dionigi, III secolo) distingueva tra l'apostolo e discepolo di Gesù e un altro Giovanni detto 'il presbitero' (l'anziano) così che, anche se la maggior parte degli esegeti propende oggi per l'attribuzione apostolica dello scritto, la questione rimane aperta. Anche l'epoca di composizione è stata variamente determinata: alcuni (la maggior parte) collocherebbero l'opera negli ultimi anni dell'impero di Domiziano (94-95 d.C.), altri nel periodo successivo alla persecuzione di Nerone, durante il regno di Vespasiano (69-79). Rimane comunque abbastanza condiviso che lo scritto sia stato redatto dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme a opera di Tito (70). Non è facile nemmeno chiarire il motivo e l'occasione che hanno generato il libro dell'Apocalisse, poiché tutto dipende dall'interpretazione generale che si dà al testo e ai particolari elementi simbolici e allusivi presenti. Peraltro, l'appartenenza dell'opera a un genere come quello apocalittico non sempre riesce a risolvere dubbi e problemi. L'opera sembra delinearsi in un momento critico per le comunità cristiane, segnate dalle persecuzioni e provate nella fede. L'invito dell'autore, la ferma raccomandazione che attraversa le pagine del testo è quella di 'perseverare': il senso della storia umana, rivelatosi nella morte salvifica di Cristo, sta per manifestarsi definitivamente, quando Dio darà ai credenti 'cieli e terra nuova' (21:1) dopo aver definitivamente sconfitto il male (Satana, l'Anticristo). Si tratta allora di leggere i segni che anticipano la fine, divenendo quindi l'Apocalisse profezia del futuro. Interessante appare anche l'interpretazione che concentra decisamente su Cristo il senso del testo: invece che indicare il futuro, l'opera sarebbe una grande riflessione teologica sul significato salvifico ed escatologico della morte di Cristo così che i continui riferimenti e allusioni all'Antico Testamento sarebbero da leggere in riferimento alla venuta storica di Cristo e non a quella finale. STRUTTURA DELL'OPERA. Dopo la grande visione d'apertura, dalla quale apprendiamo che il veggente si trova nell'isola di Pátmos, si apre un primo settenario di lettere inviate alle Chiese di Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia, Laodicea, tutte in Asia Minore (1-3:22). Viene successivamente introdotta la figura dell'Agnello, simbolo di Cristo immolato nella sua Pasqua, che apre progressivamente i sette sigilli di un misterioso libro e a cui si accompagnano segni portentosi in cielo e in terra. Il settenario delle trombe dischiude alle ulteriori visioni del dragone (simbolo di Satana) che aggredisce la donna (simbolo della Chiesa) e della bestia a cui è affidato il potere di sedurre e mortale di aggredire i credenti. Il male sembra spandersi irrimediabilmente sulla terra. Agli angeli vengono allora consegnati sette flagelli e sette coppe che vengono poi versate sulla terra: si avvia così il giudizio di Dio sugli empi e sulla città che li rappresenta, Babilonia (forse un'allusione a Roma). Dopo la sconfitta del dragone e del falso profeta a opera del Verbo di Dio viene descritta la resurrezione dei giusti destinati a regnare con Cristo per mille anni (capitolo 20). Dopo questo periodo, la liberazione temporanea di Satana porterà all'ultimo tentativo di aggressione dei credenti, ma il definitivo intervento di Dio chiuderà per sempre la storia del male. Può così presentarsi l'ultima visione del libro: Gerusalemme, la nuova città che scende dal cielo 'adorna come una sposa per lo sposò (21:2). Particolarmente difficile e delicata appare l'interpretazione del capitolo 20, che ha dato origine a diffuse teorie millenaristiche. Enciclopedia termini lemmi con iniziale a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Storia Antica dizionario lemmi a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z Dizionario di Storia Moderna e Contemporanea a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w y z Lemmi Storia Antica Lemmi Storia Moderna e Contemporanea Dizionario Egizio Dizionario di storia antica e medievale Prima Seconda Terza Parte Storia Antica e Medievale Storia Moderna e Contemporanea Dizionario di matematica iniziale: a b c d e f g i k l m n o p q r s t u v z Dizionario faunistico df1 df2 df3 df4 df5 df6 df7 df8 df9 Dizionario di botanica a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z |
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