Panenteismo.

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Panenteismo.

(dal greco pán en théo: tutto in Dio). Concezione filosofica secondo cui il mondo esiste in Dio che, però, conserva una propria essenza autonoma e distinta. Il termine fu introdotto da K. C. Krause che, nelle sue Lezioni sul sistema della filosofia (1828), designa come panenteista il proprio sistema metafisico che vuole essere una sintesi del Personalismo kantiano e del Panteismo idealistico di Hegel. In esso Dio è ancora trascendente ma, oltre che conoscenza e volontà, è anche realtà che vive e si manifesta nel mondo. Concezioni filosofiche di tipo panenteistico si sono avute anche prima che Krause introducesse il termine e ne precisasse il significato filosofico. Tra i sistemi filosofici che si possono considerare panenteistici rientrano la metafisica di Plotino, che sostiene che il mondo è in Dio e da Dio, ma non è Dio; la dottrina di Scoto Eriugena che, per quanto consideri il mondo una necessaria teofania, non si identifica con la sua fonte assoluta (Dio, oltre che come trascendenza ineffabile, si presenta come volontà, personalità e scelta); la filosofia di Spinoza, che giunge al riconoscimento della piena coincidenza di Dio e della natura, poiché afferma che in Dio vi sono l'infinità degli attributi di cui soltanto il pensiero e l'estensione costituiscono la natura del mondo. Fra i filosofi successivi a Krause possono essere considerati panenteisti J. H. Fichte, , G. T. Fechner, R. Eucken.

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Krause, Karl Christian Friederich.

Filosofo tedesco. Studiò a Jena dove fu allievo di Fichte e di Schelling, divenendo poi libero docente nella stessa università. La sua filosofia è soprattutto una dottrina dell'essenza. Col termine panenteismo egli designa il proprio sistema metafisico che vuole essere una sintesi del personalismo kantiano e del panteismo idealistico di Hegel, in esso Dio è ancora trascendente ed è conoscenza e volontà, ma è anche realtà che avviluppa il mondo nel quale e per il quale vive e si manifesta. Secondo K. si ha un processo ascensionale: per mezzo dell'esperienza e della ragione, l'uomo arriva a conoscere tutte le cose dell'universo, sino a coglierne il principio supremo; tale processo del pensiero viene definito da K. filosofia analitica che si compone di tre parti: psicologia razionale, fisica razionale, antropologia reazionale, corrispondenti rispettivamente ai tre aspetti del mondo: spirito, natura, umanità. Ma, per avere una visione che abbracci l'intero universo, è necessario risalire a un essere supremo, ossia a Dio e alla teologia razionale, in una visione panenteistica che si distingue dal panteismo hegeliano in quanto Dio rimane distinto dalle cose che non si identificano con lui, pur essendo tutte in lui. Tra gli scritti: Fondamento del diritto naturale, Lezioni sul sistema di filosofia (Eisenberg 1781 - Monaco 1832).

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Personalismo.

Filos. - Dottrina che afferma il valore assoluto della persona. Il termine fu usato da Ch. Renouvier (Le personnalisme, 1903) per definire la propria filosofia, che si opponeva sia all'impersonalismo del Naturalismo positivista sia al Panteismo assolutistico dell'Idealismo tedesco. Il P. sostiene l'idea della dignità e del valore della persona umana; l'agente morale, anziché subordinare i fini altrui ai propri, considera la persona degli altri come uguale a se stesso. Intorno al 1930, attraverso le pagine della rivista "Esprit", si manifestò un movimento facente capo a E. Mounier e definito P. sociale, secondo cui la persona umana sarebbe il fine della vita associata. Sul fondamento di una concezione cristiana dell'uomo, nel tentativo di superare i limiti dell'individualismo, come quelli del collettivismo che annulla la personalità, l'impegno politico-sociale assume un rilievo predominante: per salvaguardare l'interiorità si deve uscire da essa, perché la persona è un "dentro" che ha bisogno del "fuori". A questa concezione si riallaccia il P. pedagogico di L. Stefanini, secondo cui un'educazione ispirata ai valori classici e cristiani è in grado di risvegliare l'impegno sociale della persona. Senza volersi identificare con una precisa ideologia, l'umanesimo personalista mira a riconciliare l'uomo nella sua totalità, contro ogni tipo di alienazione del mondo contemporaneo. - Teol. - Concezione personale di Dio, in contrapposizione al Panteismo idealistico. Il termine è impiegato da F. Schleiermacher per definire la concezione cristiana del Dio-persona. ║ Per estens. - Azione o atteggiamento di chi persegue solo il proprio interesse.

Panteismo.

Termine che definisce ogni dottrina filosofico-religiosa che identifica la divinità col mondo o che consideri ogni cosa di natura divina. Nel p., perciò, si afferma l'assoluta unità e unicità dell'Essere, ossia l'assoluta identità tra Dio e l'universo. Il termine fu introdotto all'inizio del XVIII sec. dal filosofo inglese J. Toland e ripreso da J. Fay per indicare la teoria metafisica e cosmologica secondo cui non vi è che una sostanza unica della quale le cose sono parti (p. sostanzialistico), o manifestazioni (p. dinamico), o rappresentazioni soggettive dell'unico spirito (p. idealistico). Pertanto il p. è l'espressione estrema dell'esigenza dell'unicità, che però tiene conto della molteplicità concreta delle cose le quali, appunto in quanto molteplici, si contrappongono alla unità divina, pur partecipandovi in qualche modo (senza di questo non ci sarebbe p., ma semplicemente monoteismo, implicante la rigida trascendenza della divinità rispetto alle cose). Il p. assume forme diverse, a seconda di come viene concepito il rapporto tra la totalità delle cose e la sua essenza divina. Si distingue così tra p. acosmistico, ossia negatore del mondo (che caratterizza, per esempio, la concezione buddhista), dove il principio dell'unità delle cose è portato fino a considerare come mere apparenze gli aspetti di molteplicità delle cose, e un p. naturalistico, proprio del mondo classico e del suo orientamento oggettivista. Esso identifica Dio con la realtà cosmica e propugna una concezione di sostanza cosmica che contiene in sé il proprio principio animatore cui viene attribuito un carattere divino, non distinto dal mondo. In tale forma il p. ha caratterizzato lo Stoicismo e, in certa misura, tutte le forme di Positivismo e di Naturalismo, avvicinandosi all'Ateismo, in quanto in esso si ha la negazione di Dio come entità indipendente e distinta dalla natura. Il p. naturalistico informa di sé le filosofie elatica ed eraclitea, anche se, nella prima, l'unità, che si presenta astratta e statica, esclude la molteplicità; mentre nella seconda, in cui si presenta concreta e dinamica, si articola e vive nella molteplicità. In ogni caso ritroviamo caratteri panteistici in pressoché tutta la filosofia greca, dal Neoplatonismo al sistema plotiniano (p. emozionistico). Il p. più sistematico e conseguente, nel mondo antico, si ha nella metafisica stoica e in tale forma il p. avrà poi nel Rinascimento i suoi continuatori. Si ricorda il filosofo tedesco J. Böhme, la cui dottrina rientra nella corrente della mistica tedesca, nella quale prevale il motivo della rivelazione diretta e perenne del divino nell'uomo e nel mondo. Si tratta di un motivo che, nel Rinascimento, si era andato precisando sempre più in una visione panteista che ebbe il suo maggiore esponente in Giordano Bruno. In senso più generale, può essere considerato panteistico ogni sistema filosofico che, ponendo un principio assoluto della realtà, faccia derivare da quello i suoi aspetti particolari, senza quindi mantenere quel principio nella sua rigida trascendenza; così si è parlato di p. idealistico. Di p. non acosmistico si può parlare nel caso della concezione spinoziana del mondo. Per Spinoza, la realtà di tutte le cose è divina, perché unica è la loro sostanza, la quale è Dio; e d'altra parte le cose non svaniscono nel nulla, perché permangono nella sostanza come modi dei suoi attributi. Dio, quindi, si identifica con l'ordine razionale della realtà che è la sua stessa essenza. Di quelli che Spinoza definisce gli "infiniti attributi" di Dio, noi non ne conosciamo che due, pensiero ed estensione, che si concretizzano nei "modi", cioè negli individui. Nel pensiero di Spinoza, Dio viene definito natura naturans e i modi, che nel loro ordine necessario riproducono l'essenza divina, definiti natura naturata. In tal modo egli raggiunge un perfetto monismo metafisico: non vi è che una sola realtà e tutto è spiegabile mediante un solo principio. La concezione panteista spinoziana influì sui sistemi di Fichte, Schelling, Schleiermacher, Schopenhauer, Hegel, il cui panlogismo maturò nel clima panteistico del Romanticismo. Nella concezione hegeliana, Dio è l'idea che genera il tutto e si identifica con esso, in un continuo superamento e rinnovamento, ossia in un processo in continuo svolgimento, che è lo svolgimento della storia. Il p. venne spesso avversato perché accusato di essere un elemento destabilizzante delle teologie ufficiali e delle religioni, in quanto centri di potere. Esso infatti pone su uno stesso piano tutte le credenze, per cui le religioni vengono ridotte a simboli di una verità inaccessibile. Sospendendo il rapporto io-tu tra uomo e Dio e negando la trascendenza della divinità rispetto al mondo, il p. annulla nell'essere umano, in quanto partecipe della natura divina, la necessità della sottomissione e dell'adorazione verso Dio. Nell'origine eminentemente speculativa del concetto di p. è pur tuttavia riconoscibile un nucleo di intuizione lirico-mistica, e in quanto tale viene considerato come formula intellettualizzata di un'originaria esperienza mistico-estetica. Varie religioni presentano aspetti che possono definirsi panteistici, nella misura in cui l'universo viene concepito come unità; tale concezione si potrebbe ravvisare nelle religioni primitive, dove è avvenuto un processo spontaneo di identificazione della divinità con il mondo sentito come un Tutto. Tuttavia questa idea religiosa implica ancora una netta distinzione tra Dio (o mondo) e uomo. Questo rapporto uomo-Dio resta per lo più inalterato anche nella religione politeistica. La vicinanza massima al concetto di p. è in una particolare corrente del Brahamanesimo, in cui però ha ormai gran parte la speculazione filosofica; qui viene esplicitamente affermata l'identità tra Brahman (concepito come Dio universale, comprendente in sé tutte le divinità e manifestantesi nel cosmo) e l'ātman, cioè l'essenza dell'Io. Accenni a una tendenza panteistica non mancano neanche in altre religioni, benché si trovino per lo più in una sfera intermedia tra religione e filosofia: così, nella Grecia antica, gli orfici esaltavano Zeus al punto da identificarlo con il Tutto.

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Plotino.

Filosofo greco. A 28 anni si trasferì ad Alessandria per frequentare la scuola di Ammonio Sacca, il pensatore che la tradizione indica come l'iniziatore del Neoplatonismo (V.). Dopo aver seguito le lezioni di Ammonio per 11 anni, con lo scopo di conoscere meglio la tradizione sapienziale orientale, decise di seguire l'imperatore Gordiano III nella sua spedizione contro i Persiani. Nel 244, a seguito della sconfitta e della morte di Gordiano, P. si rifugiò ad Antiochia per poi trasferirsi a Roma dove fondò una scuola (245). Il suo insegnamento riscosse grandissimo favore non solo presso i suoi diretti discepoli, ma anche fra il popolo e l'ambiente di corte, dove si guadagnò l'amicizia dell'imperatore Gallieno. Con l'appoggio di quest'ultimo, P. concepì l'idea di fondare in Campania una città, Platonopoli, dove si sarebbero realizzati gli ideali platonici teorizzati nelle Leggi, ma a causa di intrighi di corte il progetto non fu mai realizzato. Per gran parte della sua esistenza P. non scrisse nulla, essendosi impegnato insieme ad altri condiscepoli a non divulgare la dottrina del maestro Ammonio Sacca. Ma dopo che tale promessa fu rotta da un amico, egli iniziò a stendere diversi trattati che furono sistemati e pubblicati da un suo discepolo, Porfirio, con il titolo di Enneadi. Si tratta di sei raccolte di nove scritti ciascuna, cui Porfirio premise una Vita di Plotino. L'ordinamento dato agli scritti rispecchia criteri contenutistici e non cronologici: la prima enneade raggruppa gli scritti di etica; la seconda quelli di fisica e cosmologia; la terza quelli di cosmologia, con particolare riferimento al problema del tempo, dell'eternità, della contemplazione dell'Uno; la quarta gli scritti sull'anima; la quinta quelli sull'intelletto e le idee; la sesta tratta dell'ente, dell'essere e del Bene. ║ Il pensiero: benché P. abbia presentato i suoi scritti come semplici commenti a Platone, in realtà essi costituiscono una sintesi originale di tutto il pensiero filosofico antico che, influenzata dalla spiritualità orientale, cerca di fondere le esigenze razionalistiche con le istanze dell'esperienza mistica. Si tratta di una vera e propria rifondazione della metafisica classica da leggersi sullo sfondo dello scontro fra cultura pagana e Cristianesimo: il pensiero plotiniano costituisce l'estremo e più compiuto tentativo della filosofia greca di rispondere alle questioni riguardanti il destino ultimo dell'uomo e il suo rapporto con il divino. Pur risultando sconfitto sul piano storico dal trionfo del Cristianesimo, il sistema plotiniano si prese una sorta rivincita interna: gli autori protocristiani, infatti, vi attinsero ampiamente nella sistemazione teorica del Cristianesimo stesso. Il caposaldo della dottrina plotiniana sta nella ripresa dell'idea platonica di una graduale discesa dal divino al mondano, fermo restando l'assoluta immutabilità e trascendenza del divino: la forma, assolutamente trascendente, viene identificata con Dio, pensato eleaticamente come Uno. Supremo principio immateriale e infinito, l'Uno, chiamato talvolta anche Bene, è posto al di sopra dell'essere, del pensiero e della vita, non in quanto non sia essere, pensiero o vita, ma perché essere, pensiero, vita alla somma potenza. In quanto tale, dell'Uno non si può affermare nulla in modo positivo: esso è ineffabile e può essere solo pensato con definizioni negative. Nasce così la teologia negativa, per cui del divino si parlerà non dicendo cosa esso è, ma cosa non è. Il legame fra Uno e molteplice, ovvero fra Dio e Natura, non è diretto ma è mediato da ipostasi (sostanze) intermedie. Infatti il Dio di P. non crea, come nella tradizione ebraico-cristiana, né plasma una materia informe sulla base del cosmo intelligibile, come illustrato dal mito del Timeo, ma dalla sua assoluta unità procede ogni realtà molteplice dell'universo, materia compresa, senza che ciò intacchi minimamente la sua sostanza o la sua trascendenza. Le ipostasi dell'Uno sono due: il Nous (intelletto), concepito come suprema intelligenza aristotelica che contiene in sé il mondo platonico delle Idee; e l'Anima, sorta di Demiurgo del corporeo. Il processo attraverso cui dall'Uno derivano le altre ipostasi è stato illustrato da P. con diverse immagini, fra cui la più celebre è quella che identifica il divino con una fonte luminosa, da cui la luce si diffonde incessantemente senza che ciò intacchi la sua sostanza. La dinamica che lega le tre ipostasi è stata a lungo interpretata dalla storiografia come emanazionismo, ovvero come un flusso di sostanza che, procedendo dalla prima, produce la seconda e poi dalla seconda la terza. Altri interpreti hanno parlato di panteismo dinamico: dalle tre ipostasi non vi sarebbe un flusso di sostanza, quanto di potenza. La critica contemporanea ha invece messo in luce l'estrema complessità della processione delle ipostasi e l'importanza del concetto di contemplazione generatrice: l'Uno è attività autoproduttrice, che pone se stesso con un atto di assoluta libertà; dall'Uno procede una potenza informe, una sorta di materia intelligibile che, per sussistere, si rivolge indietro a contemplare l'Uno; così "riempita" da questa contemplazione si rivolge su se stessa a contemplarsi. Nel primo momento nasce il contenuto del pensiero, nel secondo il pensiero vero e proprio. Analogo è il meccanismo di processione dell'Anima, solo che da essa si irraggia una potenza illanguidita (la luce si fa fioca allontanandosi dalla sua sorgente), che non ha più la forza di rivolgersi indietro alla contemplazione. Questo spegnersi della luce è la materia, la cui vita è garantita dall'attività residua dell'Anima. Il cosmo, la Natura si configura così come mescolanza di materia, intesa come privazione di essere, e di attività dell'Anima, immateriale e immortale. L'uomo occupa un posto particolare nell'universo: la sua essenza è l'anima, frammento dell'anima universale, di cui segue il destino. Infatti come l'Anima universale mantiene un aggancio con il divino tramite il Nous da cui discende, così anche l'anima dell'uomo mantiene un legame con l'Assoluto. Il fine dell'uomo consiste proprio nel ricongiungimento con l'Assoluto; tale ritorno all'Uno non riguarda solo il destino ultramondano dell'anima, ma è possibile anche durante la vita terrena. Per raggiungere tale fine è necessario spogliarsi dalle alterità che separano dal divino: innanzitutto da quelle corporee, quindi da quelle che riguardano l'anima (le passioni), fino ad arrivare all'estasi: si tratta di un uscire da sé in cui l'anima si libera dai limiti spazio-temporali dell'individualità e si raccoglie tutta nel suo centro per ricongiungersi misticamente all'Uno in una gioia senza nome. Nel percorso di ascesa dell'anima, un ruolo particolare viene assegnato all'arte, concepita come rivelazione della pura bellezza intelligibile: l'artista infatti non crea ma, ponendosi in un rapporto di contemplazione e intuizione del Nous, esprime la bellezza ideale, che risulta in tal modo fruibile da chiunque contempli l'opera d'arte stessa (Licopoli, Egitto 205 - Campania 269-270).

Scoto Eriùgena, Giovanni.

Filosofo e teologo irlandese. Il suo appellativo (Scoto ed Eriugena sono sinonimi) deriva dal nome della regione di nascita. Intorno all'anno 847 si recò a Parigi, ricoprendo la carica di magister alla schola palatina della corte di Carlo il Calvo, come è attestato dalla sua partecipazione alla controversia teologica in tema di predestinazione (V.) innescata dalle tesi di Gotescalco di Fulda. Su sollecitazione dello stesso re Carlo, S.E. tradusse in latino le opere di Dionigi l'Aeropagita, che rappresentarono una delle sue principali fonti, insieme ad Agostino e alla Patristica, sia latina (Gregorio Magno e Isidoro), sia greca (completò infatti traduzioni anche di Gregorio di Nissa e di Massimo il Confessore). Non si hanno notizie certe di S.E. a partire dall'877, anno della morte di Carlo il Calvo: secondo alcuni morì lo stesso anno in Francia, secondo altri, dopo essere stato convocato in Inghilterra a dirigere la schola di Oxford, morì, forse assassinato, in un monastero di quella regione. Animato da uno spirito di ricerca libero e vivace, dotato di una vasta erudizione e di una grande confidenza con il greco, per primo nella sua epoca applicò il metodo aprioristico deduttivo, che fu poi caratteristico della ricerca scolastica (V. SCOLASTICA). Proprio la frequentazione dei Padri orientali orientò secondo una nuova prospettiva la sua speculazione, in precedenza incentrata solo sugli studi dei grammatici e dialettici latini, che fu tesa all'esposizione sistematica della realtà in chiave neoplatonico-agostiniana, non esitando tuttavia, per quanto riguarda il tema della predestinazione e del libero arbitrio (che egli trattò nel De predestinatione scritto contro la teoria della doppia predestinazione di Gotescalco) a modificare la dottrina agostiniana. Mentre per Agostino, infatti, la libera volontà dell'uomo poteva consistere solo nella volontà di bene, per S.E. essa coincideva con il libero arbitrio, cioè con la libera possibilità di scelta sia per il bene sia per il male. Quindi, causa del peccato è solo la mutevolezza della volontà in ordine al proprio oggetto, e solo tale volontà sarebbe soggetta alla pena conseguente il peccato, non l'intera natura del peccatore. L'uomo, dunque, in forza della sua natura (che è data in virtù della creazione) e della Grazia (che è concessa gratuitamente da Dio senza meriti da parte dell'uomo stesso) può, anche dopo il peccato, volgere nuovamente la propria volontà al bene e ritornare a Dio. Coerentemente a tale impostazione, S.E. arrivò a sostenere che anche la condanna all'Inferno in realtà sarebbe transitoria, perché Dio non potrebbe destinare la natura umana del singolo alla dannazione eterna: questa dottrina fu tuttavia condannata come eretica dal Concilio di Valenza dell'855. Capolavoro di S.E. sono considerati i cinque libri del De divisione naturae (il cui titolo originale fu Perì phýseon), composti in forma di dialogo tra maestro e discepolo. Essi rappresentano il primo grande scritto speculativo del Medioevo, con ogni probabilità già compiuto nell'anno 865: in esso S.E. innestò la credenza cristiana nella creazione e in un Dio personale distinto dalle sue creature su un impianto schiettamente neoplatonico. Nell'opera si descrive il processo dialettico di divisione e riunificazione dell'unica natura (concepita come l'insieme dell'essere e del non essere) nelle sue quattro parti, per il quale l'universo si dispone gerarchicamente dal livello massimo di unità e perfezione di Dio, al livello minimo di molteplicità e imperfezione del mondo sensibile che, tuttavia, tende a sua volta a ritornare all'unità. S.E. descrive così quattro nature: la prima natura crea e non è creata, trascende ogni altro essere e non può essere definita né compresa (teologia negativa); essa coincide con la Trinità cristiana e si articola in tre sostanze (ingenita quella del Padre, genita quella del Figlio, procedente da entrambe quella dello Spirito). Mediante una successione di teofanie l'unica divinità si manifesta nella seconda natura, che è creata e crea: nel Figlio (il Verbo divino che corrisponde al logos platonico), infatti, sono presenti gli archetipi delle cose, che ne costituiscono non solo la causa finale, ma anche la causa efficiente. La creazione, quindi, non avvenne ex nihilo ma a partire dalle cause primordiali, le idee coessenziali al Verbo. Attraverso l'azione moltiplicatrice e distributiva dello Spirito si passa alla terza natura, che è creata e non crea: si tratta del mondo sensibile, costituito dalla molteplicità degli oggetti, unione di forma e materia, nel tempo e nello spazio. Secondo il processo teofanico, dunque, Dio, pur mantenendo la propria trascendenza, è anche immanente alle proprie creature che, secondo la terminologia neoplatonica, mediante l'exitus dalla divinità ne conservano l'essenza. Per ciò stesso, Dio non solo è origine del mondo ma ne è anche il fine: la quarta natura, infatti, che non è creata e non crea, consiste di nuovo in Dio, termine ultimo di questo processo circolare, per cui la molteplicità della creazione ritorna alla sua origine (è il concetto neoplatonico di reditus). Principio informatore di tutta la speculazione eriugeniana, che costituì anche il momento fondante dell'intero percorso della filosofia scolastica, fu l'affermazione dell'accordo intrinseco tra fede e ragione, che, procedendo entrambe dalla medesima fonte della sapienza divina, sono considerate da S.E. elementi inscindibili della ricerca intrapresa dall'uomo per attingere la verità (Irlanda 810 - dopo l'877).

Fichte, Immanuel Hermann von.

Filosofo tedesco. Figlio del più famoso Johann Gottlieb, curò la pubblicazione delle opere complete del padre. Dal 1836, professore di Filosofia nell'università di Bonn, nel 1842 passò a quella di Tubinga e conservò la cattedra sino al 1863 quando si ritirò a vita privata a Stoccarda. Prendendo come punto di partenza il pensiero del padre, soprattutto nell'ultima sua fase religiosa, elaborò una filosofia piuttosto eclettica. Egli fu l'iniziatore del movimento filosofico denominato "teismo speculativo" che, in opposizione al panlogismo hegeliano, tentò una rivalutazione del teismo cristiano, richiamandosi ai diritti della conoscenza empirica. Secondo la sua concezione spiritualistica, la scienza della natura dimostrerebbe che il mondo è retto da un intrinseco finalismo che presuppone un ordinatore supremo. Dalla coscienza originaria di Dio, l'uomo trae la propria coscienza e nell'amore divino trova il principio dell'amore che lo lega agli altri esseri umani. Per provare il principio della sopravvivenza dell'anima si occupò di fenomeni spiritici che denominò parapsichici. Opere: Beiträge zur Charakteristik der neuren Philosophie, 1833-46 (Contributi alla caratteristica della filosofia moderna); System der Ethik, 2 volumi 1850-53 (Sistema di etica); Die theistische Weltanschauung und ihre Berechtigung, 1873 (La concezione teistica del mondo e la sua giustificazione) (Jena 1796 - Stoccarda 1879).

Fechner, Gustav Theodor.

Psicologo, filosofo e fisico tedesco. Figlio di un pastore protestante, si recò giovanissimo a Lipsia per studiare medicina. Laureatosi in Medicina, si diede, nonostante difficoltà economiche, agli studi di fisica e nel 1834 diveniva professore ordinario di Fisica all'università di Lipsia; tenne la cattedra solo per sei anni, perché una grave malattia nervosa, che lo aveva colpito soprattutto agli occhi per gli sforzi compiuti nello studio dei fenomeni luminosi, ne compromise gravemente la vista. Guarì insperatamente tre anni dopo; e nel 1846 ritornò all'insegnamento, ricoprendo la carica di professore di filosofia; gli interessi filosofici lo assorbirono interamente negli anni della malattia, e così ebbe inizio il periodo della sua speculazione filosofico-metafisica. La concezione panteistica e panpsichistica da lui sostenuta lo portava ad ammettere l'anima anche negli organismi inferiori, e a concepire animata la terra intera, e al tempo stesso a negare la concezione monadistica di anime separate, concependo invece tutte le forme individuali come gradi relativi di animazione entro l'ambito di quello spirito superiore e onnicomprensivo che è Dio. Ciò che diede la maggiore celebrità al F. fu, più tardi, la creazione della psicologia sperimentale. Studiando i legami tra le serie dei processi fisici e di quelli psichici, arrivò a determinare un rapporto matematico tra la sensazione e lo stimolo, la cosiddetta legge di F.-Weber, che egli aveva chiamato di Weber in onore del fisiologo che fu suo maestro (Gross-Särchen 1801 - Lipsia 1887).

Eucken, Rudolf Christian.

Filosofo tedesco. Esponente della corrente spiritualistica tedesca e, in particolare, della reazione al Positivismo, affermatosi in Germania come materialismo. Contro quest'ultimo, l'E. cercò di riaffermare i valori dello spirito umano, soprattutto sul piano della morale e dell'attività pratica. La sua formazione all'università di Göttingen fu hegeliana, ma i suoi veri maestri spirituali furono Platone e Fichte, dai quali trasse il senso quasi religioso della filosofia, in una Storia della terminologia filosofica. Notevole come introduzione al suo pensiero è la Storia e critica dei concetti fondamentali del tempo presente. Tra le altre opere: L'unità della vita dello spirito, La visione della vita nei grandi pensatori e La validità della religione che esprimono l'ultimo indirizzo filosofico dello E. verso l'attivismo. Nel 1908 ricevette il premio Nobel per la letteratura (Aurich 1846 - Jena 1926).

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