SOTTO LA PROTEZIONE DI PADRE PIO PER TUTTA LA VITA
«Affido a te questa creatura»
Nel
febbraio del 1905 Padre Pio si trovava di residenza nel convento di S. Elia a
Pianisi (Campobasso) come chierico studente di filosofia.
Un giorno del
suddetto mese descrisse su un foglio di carta una sua bilocazione in un palazzo
signorile di una città del Veneto (Udine) e un'apparizione della
Madonna, che gli parlò e gli affidò un incarico
delicato.
Egli così scrisse:
«Giorni fa mi
è accaduto un fatto insolito: mentre mi trovavo in Coro con Fra
Anastasio, erano circa le ore 23 del 18 m.s. (gennaio 1905) quando mi ritrovai
lontano in una casa signorile, dove il padre moriva, mentre una bimba nasceva.
Mi apparve allora Maria SS.ma che mi disse: "Affido a te questa creatura;
è una pietra preziosa allo stato grezzo, lavorala, levigala, rendila il
più lucente possibile, perché un giorno voglio
adornarmene..."».
Padre Pio rispose alla Madonna:
«Come sarà possibile, se io sono ancora un povero chierico e non
so se un giorno avrò la fortuna e la gioia di essere sacerdote?. - Ed
anche se sarò sacerdote, come potrò pensare a questa bimba,
essendo io molto lontano da qui?».
La Madonna soggiunse:
«Non dubitare, sarà lei che verrà da te, ma prima la
incontrerai in S. Pietro... a Roma».
Padre Pio conclude:
«Dopo di ciò mi sono ritrovato nuovamente in
Coro».
La bimba di cui parla Padre Pio si chiamava Giovanna
Rizzani, la quale mi consegnò una fotocopia del foglio scritto dal caro
Padre, arricchendolo di preziose notizie.
La Signora Giovanna Rizzani
Boschi nacque nella città di Udine la sera del 18 gennaio 1905 da
Leonilde Serrao e dal marchese Rizzani Giovanni Battista mentre questi moriva.
Cresciuta negli anni, non aveva mai sentito parlare di Padre Pio: quindi
ignorava del tutto lo scritto del caro Padre che riguardava la sua nascita e il
suo futuro. Il foglio fu conservato gelosamente dal M.R. Padre Agostino da S.
Marco in Lamis, Direttore spirituale di Padre Pio e Superiore del Convento di S.
Giovanni Rotondo, il quale, dopo molti anni lo consegnò alla Signora
interessata. Questa, dopo averlo letto e meditato, ne parlò con Padre
Pio, ne ebbe assicurazione dell'autenticità e, fattene alcune
fotocopie, lo riconsegnò al Padre Superiore del Convento di S. Giovanni
Rotondo, perché fosse a disposizione della Curia Arcivescovile di
Manfredonia, dove la signora Giovanna è stata chiamata a testimoniare ed
è stata ascoltata dal Vescovo Cunial, Amministratore della Diocesi, e da
alcuni Canonici.
Quando nel settembre del 1923 Giovanna Rizzani non
più bimba, ma giovanetta di 18 anni e studentessa di liceo, per divina
disposizione si recò la prima volta a S. Giovanni Rotondo e
s'incontrò con Padre Pio, venne a conoscenza dei fatti misteriosi
che accompagnarono la sua nascita.
Il padre della ragazza era iscritto alla
Massoneria e viveva da vero massone. Nella malattia che doveva portarlo alla
tomba, il palazzo, sito in Via Tiberio De Ciani, n. 33, attualmente adibito a
Collegio Toppi, fu sorvegliato giorno e notte dai fratelli massoni,
perché non vi entrasse alcun sacerdote. Qualche ora prima della morte, la
moglie Leonilde, religiosa e pia, era presso il letto del moribondo, raccolta in
lacrime e in preghiera, quando all'improvviso vide uscire dalla camera ed
allontanarsi attraverso la galleria del palazzo la figura quasi evanescente di
un Frate cappuccino. Si alzò subito, lo chiamò e lo seguì
nella galleria, mentre il Frate si dileguava.
Era addoloratissima, pensando
che il marito stava morendo senza l'assistenza religiosa.
In quel
momento sentì il cane di guardia, legato presso l'ingresso del
palazzo, ululare e guaire lamentosamente, presentendo prossima la fine del
padrone.
La donna, non potendo sopportare quel continuo guaire del cane,
scese la scalinata per slegarlo e dargli la libertà.
Fu precisamente
in quell'istante, che, presa dalle doglie del parto, con incredibile
celerità, diede alla luce una graziosa bimba con l'aiuto del
castaldo, come veniva chiamato in quei tempi l'amministratore del palazzo.
Appena la giovane madre partorì, ancora sanguinante, ebbe tanta forza e
coraggio, da prendere nelle sue braccia la neonata, risalire la scalinata,
posarla sul letto e correre presso il marito moribondo.
Alla scena del
parto assistettero da lontano alcuni massoni di guardia e il Parroco di San
Quirino, accorso per assistere il moribondo, ma impedito di entrare nel
palazzo.
Il castaldo, sapendo che presso l'ingresso vi era il
sacerdote, in attesa di potere entrare, vedendo la nascita prematura della
bimba, e la prepotenza dei massoni, preso da forte sdegno, gridò:
«Fate entrare il sacerdote. Voi potete impedire che vada ad assistere il
moribondo, ma non avete alcun diritto d'impedirgli che vada a battezzare
la fragilissima bimba, nata or ora prematura».
Così si
permise al sacerdote di entrare nel palazzo e di amministrare i sacramenti al
moribondo, che implorava perdono, ripetendo:
«Mio Dio, mio Dio,
perdonami».
Spentosi serenamente il signore Giovanni Battista
Rizzani, il sacerdote si affrettò a battezzare la fragile bimba, appena
nata.
La giovane vedova, rimasta sola coi suoi bimbi, decise di trasferirsi
a Roma presso i genitori.
Qui la piccola Giovanna crebbe sotto lo sguardo
vigile della mamma e dei parenti nella bontà, nella pietà e negli
insegnamenti della religione cattolica. Frequentò con profitto le scuole
ginnasiali e liceali. Durante l'ultimo anno di liceo, fu molto tormentata
da dubbi di fede, istillati da professori agnostici e increduli.
Non
trovò mai un sacerdote disposto ad illuminarla e a dissiparle i
dubbi.
Incontro con Padre Pio nella Basilica di S. Pietro
Un tardo pomeriggio dell'estate 1922,
Giovanna si recò insieme con un'amica nella Basilica di S. Pietro,
sperando d'incontrare un dotto e santo sacerdote, che l'avesse
illuminata nei dubbi di fede, che tanto la molestavano. Ma a quell'ora non
vi era servizio di sacerdoti. Avanzando con l'amica lungo la Basilica,
quasi deserta, incontrò uno dei sacristi, al quale domandò dove
trovare un sacerdote. Il sacrista, rispose che, data l'ora tarda, quasi
della chiusura, i sacerdoti, addetti al servizio, erano andati via. Poi
aggiunse:
«Ci vuole ancora una mezz'ora per chiudere... girate...
potrebbe darsi che ne incontriate qualcuno...». Le due giovanette,
giunte nel centro della Basilica, dove comincia la crociera, si diressero a
sinistra e qui incontrarono un giovane sacerdote cappuccino. Giovanna lo
avvicinò e gli chiese se potesse ascoltarla, per rasserenare il suo
animo. Il Padre rispose di sì ed entrò nel secondo
confessionale.
La ragazza disse:
«Padre non sono venuta per
confessarmi, ma per essere illuminata in tanti dubbi di fede, che mi tormentano,
specialmente quello sul mistero della SS. Trinità».
Il
Padre con parole semplici e facili, cominciò a dissiparle le ombre del
dubbio. Le disse:
«Figlia mia, chi può spiegare i misteri di
Dio? Si dicono misteri, perché non si possono comprendere con la nostra
piccola intelligenza.
Possiamo farci qualche pallida idea dalle
similitudini.
Hai visto qualche volta ammassare la pasta per fare il
pane? La massaia che cosa fa? Prende la farina, il lievito e l'acqua. Sono
tre elementi distinti: la farina non è lievito, né acqua; il
lievito non è farina, né acqua; l'acqua non è farina,
né lievito; li ammassa insieme e da tre elementi, distinti l'uno
dall'altro, forma una sola sostanza. Quindi, tre elementi distinti
ammassati insieme, danno una sola sostanza. Con questa pasta fa tre pani, che
hanno la medesima e identica sostanza, ma sono distinti nella forma l'uno
dall'altro. Quindi tre pani distinti l'uno dall'altro, ma
un'unica sostanza.
Da questa similitudine portiamoci a Dio.
Dio è Uno nella Natura, Trino nelle Persone, eguali e distinte
l'Una dall'Altra. Il Padre non è il Figlio, né lo
Spirito Santo; il Figlio non è il Padre né lo Spirito Santo; lo
Spirito Santo non è il Padre, né il Figlio. Il Padre genera il
Figlio; il Figlio è generato dal Padre; lo Spirito Santo procede dal
Padre e dal Figlio. Sono tre Persone uguali e distinte e un solo Dio:
perché unica e identica è la natura
divina».
Soffermandosi su questo concetto, il dotto sacerdote,
illuminato dalla grazia, seppe dissipare con facilità i dubbi dalla mente
della giovane, la quale, raggiante di gioia, dopo avere ricevuto la benedizione,
si tolse dallo sportello del confessionale e si avvicinò all'amica,
esclamando:
«Quanto è buono questo Frate! È un sacerdote
dotto e santo. Mi ha dissipato ogni dubbio... Aspettiamo che esca dal
confessionale per chiedergli l'indirizzo della sua residenza, così
quando avremo bisogno di confessione e di consigli, andremo da
Lui».
Il Padre cappuccino non usciva dal
confessionale.
Ripassò il sacrista e disse:
«Signorine,
siete pregate di uscire dalla Basilica, perché bisogna chiudere. Venite
domani mattina e vi confesserete».
Giovanna rispose:
«Nel
confessionale c'è un Padre cappuccino: aspettiamo che esca per
baciargli la mano».
Il sacrista, temendo di chiuderlo dentro, si
avvicinò, aprì lo sportello e non vide nessuno...
«Signorine, qui non c'è
nessuno!...».
Giovanna, turbata e sbalordita, esclamò:
«Da dove è uscito? Siamo state qui senza muoverci e non
l'abbiamo visto uscire!... È un
mistero...».
Incontro con Padre Pio a San Giovanni Rotondo
Nelle vacanze estive del 1923, la giovane
universitaria Giovanna, insieme con una zia e con delle amiche, si recò
la prima volta a S. Gio- vanni Rotondo per conoscere Padre Pio. Era di
pomeriggio.
Il corridoio, che dalla piccola sacrestia immette nella
clausura del convento, era gremito di fedeli, fra cui alcune distinte
personalità.
La signorina Giovanna si trovò davanti nella
prima fila.
Padre Pio, passando, la guardò, si avvicinò, le
porse a baciare la mano e le disse:
«Giovanna! io ti conosco, tu sei
nata il giorno in cui morì tuo padre».
A queste parole, la
ragazza rimase sbalordita. Come poteva sapere Padre Pio il giorno della sua
nascita in coincidenza con la morte di suo padre?
Il mattino seguente,
Padre Pio confessava le donne senza la prenotazione. Dopo la confessione della
zia, Giovanna si avvicinò allo sportello. Padre Pio, la benedisse e
cominciò subito:
«Figlia mia, finalmente sei venuta! Da
quanti anni ti sto aspettando...».
La ragazza immediatamente
rispose:
«Padre, che cosa volete da me? Io non vi conosco. È la
prima volta che vengo a S. Giovanni Rotondo. Ho accompagnato la zia. Forse avete
preso un abbaglio, mi avete scambiata con qualche altra
ragazza».
Padre Pio:
«No: non mi sono sbagliato, né
ti ho scambiata con un'altra ragazza. Tu già mi
conosci».
Giovanna:
«No, Padre; ripeto: non vi conosco.
Non vi ho mai visto».
Padre Pio:
«L'anno scorso, in
un pomeriggio d'estate, ti recasti con un'amica nella Basilica di S.
Pietro, in cerca di un sacerdote che ti avesse illuminata nei tuoi dubbi.
È vero?».
Giovanna:
«Sì, Padre è
vero».
Padre Pio:
«Si presentò un Padre cappuccino,
il quale ti ascoltò, dissipò i tuoi dubbi e ti ridonò la
serenità; ricordi?».
Giovanna:
«Sì, Padre,
ricordo benissimo».
Padre Pio:
«Quel cappuccino ero
io».
Alle parole di Padre Pio, la ragazza rimase emozionata e
allibita.
Ecco svelato il mistero della scomparsa del Padre cappuccino dal
confessionale in S. Pietro di Roma. Padre Pio si era bilocato, come già
molti anni prima gli aveva predetto la Madonna, quando disse:
«Non
dubitare, sarà lei che verrà da te, ma prima la incontrerai in S.
Pietro».
Padre Pio continuò:
«Figlia mia,
ascoltami. Quando tu stavi per nascere, la Madonna mi ha portato a Udine nel tuo
palazzo. Mi ha fatto assistere alla morte di tuo padre, dicendomi: "Vedi,
in quella camera sta morendo un uomo: è il capo della famiglia. Egli
è salvo per le preghiere e per le lacrime della moglie e per la mia
intercessione. Tu prega per lui". La Madonna poi riprese: "La moglie
dell'uomo che muore sta per dare alla luce una bimba. Affido a te questa
creatura. È una pietra preziosa allo stato grezzo: lavorala, levigala,
rendila il più lucente possibile, perché un giorno voglio
adornarmene". Figlia mia, disse Padre Pio, tu mi appartieni. Sei stata
affidata alle mie cure dalla Madonna. Quando io risposi alla Madonna che mi
sarebbe stato impossibile prendermi cura della tua anima, a causa della
lontananza, Ella mi disse: "Non dubitare, sarà lei che verrà
da te, ma prima la incontrerai in S. Pietro". L'anno scorso
t'incontrai in S. Pietro: ora sei venuta qui, a S. Giovanni Rotondo
spontaneamente, senza che io ti avessi chiamata. È ora che io prenda cura
dell'anima tua, come vuole la Mamma celeste».
La ragazza,
emozionatissima, scoppiò a piangere; poi rispose:
«Padre,
poiché io vi appartengo, prendete cura di me. Ditemi che cosa debbo fare.
Mi devo fare suora?». Padre Pio:
«Nulla di questo. Tu verrai
spesso a S. Giovanni Rotondo; io avrò cura della tua anima e conoscerai
la volontà di Dio».
La ragazza, benedetta da Padre Pio, si
tolse dal confessionale con le lacrime agli occhi, tra la meraviglia e la
curiosità della zia, che voleva sapere la ragione della lunga confessione
e delle lacrime.
Giovanna conservò gelosamente il suo segreto; si
mise sotto la direzione spirituale di Padre Pio, e spesso da Roma intraprendeva
il viaggio per S. Giovanni Rotondo, per essere diretta ed illuminata dal caro
Padre nelle vie della perfezione.
Un giorno, dopo la confessione, con
l'animo pieno di gioia, esclamò:
«Padre, mi volete bene
davvero?».
Padre Pio:
«Come non dovrei volerti bene! Tu
sei il primo parto del mio cuore. Ama Gesù. Ama la Madonna, che ha
pensato a te, prima di nascere».
Terziaria Francescana
Dopo qualche tempo, Padre Pio disse alla
figlia spirituale, affidatagli dalla Madonna:
«Figlia mia, desidero
tanto che tu entri a fare parte della Famiglia Francescana nel
Terz'Ordine.
Qui potrai attingere e vivere lo spirito
evangelico del Serafico Padre. È mio ardente desiderio che tutti i miei
figli spirituali appartengano ad una delle Famiglie Francescane, per sentirmi
vero Padre e Fratello».
La ragazza, con l'animo
sovrabbondante di gioia, rispose all'invito del caro Padre, il quale le
impose lo scapolare e il cordone all'altare della Madonna delle Grazie,
dandole il nome di Suor Iacopa.
Quando la signorina sentì il nome di
Iacopa, impallidì e disse:
«Padre! che brutto nome. Non mi piace.
Datemi il nome di Suor Chiara».
Padre Pio:
«No. Ti
chiamerai Suor Iacopa». La ragazza:
«Perché mi date
questo nome?». Padre Pio:
«Hai letto la vita di S. Francesco?
In un capitolo si legge di una nobile matrona romana, Iacopa de'
Settesoli, chiamata da S. Francesco "Madre carissima del nostro
Ordine" e "nostro fratello Iacopa" per la sua grande
carità e generosità verso i Frati e per il suo carattere forte nel
proteggere e difendere l'Ordine: ebbene, questa signora ebbe il privilegio
di assistere alla morte del Serafico Padre S. Francesco. Ricordati che un giorno
tu assisterai alla mia morte».
Giovanna tacque.
Sotto la guida illuminata del padre
Un giorno si recò nella Basilica di S.
Maria Maggiore a Roma per ascoltare la S. Messa ed avvicinarsi alla S.
Comunione.
Volle prima riconciliarsi e si accostò al confessionale
del P. Innocenzo Taurisano, Penitenziere Domenicano. Questi, conoscendo la
delicatezza e la bellezza dell'anima di Giovanna, le disse:
«Cara
figliola, la tua vita non è fatta per la famiglia e per le cose di questo
mondo, ma per il Signore. Ti consiglio di abbracciare la vita religiosa in un
monastero o in un Istituto di Suore».
La giovane non rispose, ma
restò perplessa e disorientata. Il consiglio del P. Taurisano era in
contrasto con le direttive di Padre Pio. Decise di partire subito per S.
Giovanni Rotondo e parlarne al suo Padre Spirituale.
Padre Pio, senza
esitazione, con parole chiare e distinte le disse:
«Figlia mia, non
sul Tabor, ma sul Calvario ti vuole Gesù. La vita religiosa è il
Tabor. Il matrimonio è il Calvario. Sul Tabor si cerca, si trova e si
vive l'unione con Dio nella preghiera e nella contemplazione. Sul Calvario
si trova la sofferenza nella crocifissione con Gesù».
La
signorina Giovanna, rasserenatasi alle parole di Padre Pio, ritornò lieta
a Roma. Ormai non aveva alcun problema della sua vita, che era nelle mani di Dio
e sotto la guida e la responsabilità di un santo Sacerdote e grande
maestro di spiritualità.
Questa prediletta figlia spirituale di
Padre Pio, un giorno gli chiese una preghierina da recitare prima del pranzo e
della cena. Padre Pio le raccomandò il «Padre Nostro» e poi le
dettò questa preghiera:
«O Signore, tu che provvedi e pasci
gli uccelli dell'aria, provvedi e pasci anche noi, che non sappiamo
né seminare, né mietere e né raccogliere. Vieni, benedici
il nostro cibo e dànne anche a chi non ne ha».
La signora
Leonilde Serrao, nota scrittrice dei suoi tempi, non aveva mai conosciuto Padre
Pio. Ne sentì parlare, ma non si recò mai a S. Giovanni Rotondo.
Un giorno, incoraggiata dalla figlia, intraprese il viaggio per S. Giovanni
Rotondo. Volle confessarsi con Padre Pio, il quale, dopo la confessione le
disse:
«Signora, quel monacello che tu vedesti allontanarsi per la
galleria nel palazzo di Udine, mentre moriva tuo marito, ero io. Ti assicuro che
tuo marito è salvo. La Madonna che mi apparve nel palazzo e che mi
esortò a pregare per il moribondo mi disse che Gesù gli aveva
perdonato tutte le sue colpe e che era salvo per la sua materna
intercessione». Così Padre Pio spiegò il mistero del
fraticello che usciva dalla camera del moribondo e si dileguava nella galleria
del palazzo.
Una testimonianza di umiltà
La signora Giovanna Rizzani mi ha consegnato
un foglio, in cui ha scritto un giudizio del Padre Taurisano riguardo
all'umiltà ed alla sottomissione di Padre Pio alla S.
Chiesa.
Riporto fedelmente il suo scritto.
«Posso attestare
che quanto dichiaro mi fu narrato da Padre Innocenzo Taurisano, domenicano,
penitenziere di S. Maria Maggiore in Roma, che per diversi anni è stato
mio confessore.
Durante il periodo che il nostro venerato Padre Pio
non scendeva in Chiesa e celebrava la santa Messa nella Cappellina interna del
Convento (allora noi si andava a San Giovanni Rotondo solo per riconoscere i
suoi colpi di tosse in Coro), Padre Innocenzo Taurisano fu inviato a interrogare
il Padre. Egli mi disse: "Ero partito prevenuto". (So che Padre
Taurisano era discorde da Padre Pio anche nell'indirizzo da dare alla mia
vita).
Dopo averlo interrogato, gli dichiarò: "Padre,
sa che ho avuto la facoltà di farla sospendere a
divinis?".
Egli umilmente, chinando commosso la testa,
rispose: "Basta che non mi tolgano la S. Eucaristia".
A
questa risposta Padre Taurisano disse: "Hic est digitus
Dei".
Dopo un mese, il 16 luglio 1933, Padre Pio riapparve in
Chiesa a celebrare la santa Messa.
Ho voluto dichiarare quanto sopra
in fede per un'ennesima dimostrazione dell'infinita umiltà
del venerato ed amato Padre».
Giovanna Rizzani
Giovanna sposa e madre
Un giorno si presentò alla signorina
Giovanna Rizzani un giovane di bell'aspetto della nobile famiglia dei
Principi Chigi di Roma. La chiese in sposa. A Giovanna fece subito colpo e
piacque l'aristocratico e nobile giovane, ma prese tempo per dargli la
risposta. Partì per S. Giovanni Rotondo a consigliarsi col suo Padre
spirituale, al quale disse che il giovane apparteneva ad un'ottima
famiglia cattolica, molto vicina al Vaticano, che era ben formato moralmente,
religiosamente e intellettualmente.
Padre Pio le rispose:
«Figlia
mia, se ti senti di abbracciare la croce, fai pure il passo: è questo il
giovane che ti affida la divina Provvidenza; altrimenti non ci pensare
più».
Giovanna, sposando il giovane marchese, sapeva che il
suo matrimonio doveva essere una missione di bene ed un calvario; ma la donna
forte, sorretta dalla grazia del Signore, dai consigli e dalle preghiere di
Padre Pio abbracciò con generosità la croce e non vacillò
mai.
Con una grande fede, con l'amore e coi sacrifici, seppe formarsi
una famiglia secondo il cuore di Dio.
Non lasciò mai solo il marito.
La sua presenza e compagnia gli era di grande aiuto e conforto. Lo seguì
in diverse città, dove egli aveva impegni di lavoro.
Peregrinando di
qua e di là per l'Italia non cambiò mai il suo programma di
vita. Da sposa docile e fedele fu sempre pronta a seguirlo nei continui
spostamenti. La sua vita cominciò ad essere dura e insostenibile. Un
giorno trovandosi sola in una villa incantevole dell'isola di Rodi, stanca
della solitudine, decise di ritornare a Roma presso i suoi cari di famiglia.
Mise qualche indumento nella valigia e si avviò verso l'uscita,
dove le apparve Padre Pio, e le disse:
«Dove vai? Hai dimenticato la tua
missione? Torna indietro». La visione scomparve.
Confortata dalla
vista e dalla voce del suo Padre spirituale, rientrò rasserenata in casa.
Ritornata a Roma, riprese le sue peregrinazioni a S. Giovanni Rotondo per
corroborare il suo spirito dalla viva voce di Padre Pio. Ogni mattina andava ad
ascoltare la S. Messa e a ricevere Gesù Sacramentato nel suo cuore.
Delicata di coscienza, si confessava con frequenza. In ogni confessionale soleva
ripetere, contro la volontà di Padre Pio, i medesimi difetti e peccati,
già confessati tante altre volte.
Un giorno Padre Pio le disse:
"Se non smetti di ripetere continuamente gli stessi difetti, dovunque
ti troverai, verrò e ti darò un ceffone, che ricorderai per tutta
la vita". La penitente promise che non li avrebbe più
confessati, ma erano vane promesse.
Uno schiaffo sonoro
La signora Giovanna, trovandosi a Napoli per
impegni di lavoro del marito, una mattina si recò nella chiesa dei Padri
Missionari del Sacro Cuore a Marechiaro di Posillipo per confessarsi. Alla fine
della confessione, dimentica della promessa fatta a Padre Pio, accusò
nuovamente i soliti peccati e si accostò all'altare del SS.
Sacramento per soddisfare alla penitenza.
Mentre stava pregando, ricevette
da una mano invisibile uno schiaffo così sonoro, da essere avvertito in
tutta la Chiesa.
Il confessore, alla risonanza dello schiaffo, sporse il
capo fuori del confessionale per vedere che cosa fosse successo; ma si
rassicurò, non vedendo altra persona, presso l'altare del
sacramento, che la penitente in ginocchio.
Quando la signora Giovanna
ritornò da Padre Pio, gli disse:
«Se non smetti di accusare
sempre le stesse colpe, avrai un altro schiaffo più tremendo di quello
che hai ricevuto».
D'allora in poi la penitente non
osò più ripetere i peccati già
confessati.
«Vieni subito a San Giovanni Rotondo»
Nell'ultimo anno della vita terrena di
Padre Pio, Giovanna per alcuni mesi si assentò da S. Giovanni Rotondo. Un
giorno Padre Pio le fece sentire la sua voce:
«Vieni subito a S.
Giovanni Rotondo, perché me ne vado. Se ritardi, non mi vedrai
più».
L'anziana signora, senza perdere tempo,
accompagnata dall'amica Margherita Hamilton, si recò subito a S.
Giovanni Rotondo e prese alloggio presso una pensione vicina al
Convento.
Quattro giorni prima della morte di Padre Pio, ebbe la fortuna e
la gioia di confessarsi per l'ultima volta. Il Padre, quando la vide,
disse:
«Questa è l'ultima confessione che fai con me. Ora
ti do l'assoluzione da tutti i peccati commessi dall'uso di ragione
fino a questo momento».
La signora:
«Perché,
Padre?».
Padre Pio:
«Già te l'ho detto che
non posso più confessarti, perché me ne vado... È arrivata
l'ora mia... Gesù mi viene incontro».
La signora
capì subito che Padre Pio stava per lasciare questa terra e con le
lacrime agli occhi si tolse dallo sportello; si fece davanti per baciargli la
mano e per offrirgli cinquantamila lire a beneficio
dell'ospedale.
Padre Pio:
«Ti ho detto di tenerti il denaro,
perché ne avrai bisogno... ti tratterrai qui ancora parecchi
giorni», alludendo alla permanenza prolungata a causa della sua morte e
dei funerali.
La signora scoppiò a piangere.
Assiste alla morte di Padre Pio
Nel pomeriggio del 22 settembre 1968, mentre
sul piazzale del convento si commentavano in varie lingue le stazioni della Via
Crucis, in programma in occasione del Congresso Internazionale dei Gruppi di
Preghiera, riconosciuti ufficialmente dalla Sacra Congregazione dei Religiosi,
la signora Giovanna si trovava con l'amica Margherita presso
l'entrata centrale della grande Chiesa.
Passandole io dinanzi, mi
fermò e mi disse:
«Padre Alberto, posso chiedervi un
favore?». Le risposi che, se potevo, ben volentieri, l'avrei
fatto. Ella soggiunse:
«Vorrei una di quelle rose, che sono nei vasi di
cristallo sull'altare, dove Padre Pio questa mattina ha celebrato la sua
ultima S. Messa».
In quell'istante non feci riflessione alle
parole
«la sua ultima S. Messa» pensando che fosse
l'ultima in ordine di tempo, e non nel senso pronunziato dalla signora,
che già era a conoscenza della prossima morte di Padre Pio.
Risposi
che l'impresa si presentava difficile, dato che la Chiesa era gremita di
fedeli e che Padre Pio già si trovava in preghiera sul matroneo
dell'Altare Maggiore, ma avrei fatto il possibile per accontentarla. Andai
direttamente sull'Altare, finsi di preparare l'occorrente per la
celebrazione della S. Messa; poi allungando la mano, tirai due rose, incurante
delle proteste di alcune donne.
Portai le due rose alla signora Giovanna,
che attendeva all'ingresso della Chiesa. Mi ringraziò e
pianse.
Quella medesima sera, Padre Pio, dopo avere benedetto più
volte le migliaia di figli spirituali acclamanti, venuti a S. Giovanni Rotondo
da varie parti del mondo, si ritirò nella cella per prepararsi
all'incontro con la sorella morte. Fu allora che Suor Iacopa si
trovò in spirito nella cella di Padre Pio per assistere al suo beato
transito, come le aveva predetto il caro Padre molti anni prima, quando la
vestì Terziaria francescana e le impose il nome di Suor Iacopa.
La
pia signora assistette minuto per minuto alle ultime ore del Padre. Lo vide
soffrire; lo vide pregare... confessarsi con Padre Pellegrino... rinnovare i
voti religiosi... lo vide alzarsi da letto e portarsi da solo sulla veranda...
vide poi i tre medici in camice bianco che lo assistevano.
Vide Padre Paolo
che gli somministrava l'Olio Santo. Quando Padre Pio spirò, la
signora emise un forte grido:
«È morto Padre Pio! È morto
Padre Pio!».
Si svegliò l'amica Margherita che
riposava nella medesima camera, dicendole di smettere di gridare, che era un
sogno, un incubo. Si svegliarono tutti nella pensione. Suor Iacopa si
vestì frettolosamente, uscì dalla pensione e corse sul piazzale
del Convento, dove già si erano radunate molte persone, mentre un Padre
Cappuccino dava l'annunzio ufficiale della morte di Padre Pio.
La
signora Giovanna, qualche giorno dopo, mi chiamò alla pensione, dove
alloggiava, e mi raccontò quanto ho scritto su questi fogli, concludendo
che si trovò nella cella di Padre Pio nelle ultime due ore della sua vita
e assistette al suo beato transito. Io non ci volli credere. Allora la signora
mi disse:
«Padre Alberto, io vi descriverò la cella di Padre Pio
nei minimi particolari: voi mi dovete rispondere semplicemente:
"Sì" o "no"».
Quando la signora mi
descrisse la cella del Padre e tutto ciò che vi era dentro, nei minimi
particolari, esclamai:
«Basta signora! Sì, io credo che lei
è stata nella cella di Padre Pio ed ha assistito alla sua
morte».
Debbo chiarire che la cella di Padre Pio prima del
dicembre 1969 non era mai stata fotografata e che nessuna donna vi era
entrata.
La signora Giovanna Rizzani, nel Terz'Ordine Suor Iacopa,
è un'anima molto pia, mite, umile e caritatevole. Schiva del
chiasso, del mondo e dei facili entusiasmi delle anime superficiali, soffre
quando si presentano a lei persone fanatiche, che si dicono figlie spirituali di
Padre Pio ed avanzano strane ed insulse proposte.
È stata chiamata
dalle Autorità Religiose a testimoniare su quanto ho narrato per il
processo di beatificazione di Padre Pio.
Una dichiarazione di Margherita Hamilton
Margherita Hamilton, deceduta
nell'aprile 1974, ha lasciato scritto su un foglio la scena dolorosa che
si stava verificando nella camera di una pensione in S. Giovanni Rotondo, dove
alloggiava insieme con l'amica Giovanna, durante le ultime ore della vita
terrena di Padre Pio. Con semplicità e con verismo descrive la
trepidazione, la paura, la sofferenza di Giovanna, che, già presente la
fine del caro Padre, si ritrova in spirito nella sua cella, come le predisse
quando le impose il nome di «Iacopa» nella ammissione al
Terz'Ordine Francescano. Riporto fedelmente quanto la Hamilton ha scritto
a matita.
«Il 23 settembre 1969, primo anniversario del transito di
Padre Pio, una mia amica cara ed io ci recammo a S. Giovanni Rotondo per
prendere parte alle onoranze tributate al nostro amatissimo Padre spirituale.
Furono una vera apoteosi e, finite le imponenti funzioni, ci ritrovammo con
altri figli spirituali per una commemorazione più ristretta, nella quale
alcuni di loro narravano il proprio ricordo personale del Padre. Finita anche
questa, mentre uscivamo dalla sala, venne chiesto alla mia amica se
anch'essa non avesse qualcosa da raccontare. Nella sua modestia ella non
volle parlare, ma m'incaricò di scrivere quanto avvenne nella notte
della morte del Padre, essendo io stata testimone di quanto le era accaduto. Il
20 settembre l'affluenza delle persone, venute per il 50mo anniversario
delle Stigmate del Padre e per la riunione dei Gruppi di Preghiera nei giorni
seguenti, fu grandissima e non si trovava più un posto per dormire in
tutto il paese. Per carità cristiana, noi che normalmente dormiamo in
camere singole, fummo pregate di accontentarci di una sola camera, lasciandone
una per quelli che non avevano alloggio e noi lo facemmo volentieri. La sera del
22 ci coricammo stanchissime e addolorate per l'aspetto sofferente del
Padre e continuammo a discorrere tra noi fin verso la mezzanotte quando
spegnemmo il lume. Dopo circa mezz'ora Giovanna si lagnò con me per
i cani, che guaivano. Io non li avevo sentiti, ma quando essa me lo disse,
prestai orecchio ed udii distintamente i cani guaire a morto (come suol dirsi in
Toscana), come se dialogassero tra loro; pensai e dissi che forse c'era la
luce e che per questo mugolavano così.
Finalmente ci
addormentammo.
Improvvisamente fui destata di soprassalto da un
grido della mia amica. Accesi il lume, vidi l'ora e dissi: "Ma che
ti piglia! Sono le 2.25..." Ma lei, agitatissima: "O Dio mio, il
Padre sta malissimo! Ero nella sua cella e c'erano tanti frati! e
tristi!...".
"Quanti?"
"Credo
cinque, e mi pare che uno avesse un saio sul braccio e due vestiti di
bianco..."
"Ma il Padre
dov'era?".
"Non l'ho visto, perché
erano tutti chinati, guardando in giù. Il Padre sta male, ne sono
certa".
Io tentai di calmarla, dicendo che era un incubo, che
aveva fatto un brutto sogno, che si calmasse; ma lei continuò a dire:
"L'ho visto, ti dico che l'ho
visto...".
Dopo pochi minuti, saltò giù dal
letto, dicendo: "devo sapere... io vado a vedere... a
sentire...".
Si vestì frettolosamente ed
uscì.
Io restai a letto, persuasa che sarebbe tornata presto
tranquillizzata. Invece pochi minuti dopo, sentii delle grida fortissime e, pur
non percependo le parole, conobbi la voce della mia cara amica. Saltai
giù dal letto e così come stavo mi precipitai verso
l'ingresso della pensione, giungendovi proprio mentre lei stava arrivando
urlando: «ll Padre è morto! è morto! siamo tutti orfani...
Come faremo a vivere senza di lui?».
A questa notizia provai un
acutissimo dolore al cuore e pensai: "Adesso mi viene un infarto; ma non
posso, devo occuparmi di lei". La presi tra le braccia, la trascinai sul
letto e la sgridai severamente, facendole presente che il Padre non avrebbe mai
approvato una simile disperazione, perché Lui ci voleva come le bibliche
donne forti. Pian piano si stava calmando e riuscì presto a
dominarsi.
Ma una cosa resta da dire, la cosa più importante,
che mi era stata detta da Giovanna circa nel 1955, oltre dieci anni prima della
morte del Padre. Quando Giovanna nel 1926 divenne Terziaria Francescana chiese a
Padre Pio che nome dovesse prendere, sperando nel suo cuore che fosse
«CHIARA», invece si sentì dire: "IACOPA...
Iacopa!".
"Padre, perché
IACOPA?".
"Non ti rammenti che IACOPA dei Settesoli fu
presente alla morte di San Francesco?... Tu sarai presente alla mia
morte". Così è stato».
Margherita
Hamilton
La morte di Margherita Hamilton
Il 29 aprile 1974, passando per Roma,
telefonai alla signora Giovanna Rizzani per sapere se avesse ricevuto una mia
lettera. Mi rispose emozionata, comunicandomi la notizia della recente ed
improvvisa morte della sua amica Margherita Hamilton, che io conoscevo da
parecchi anni. Mi disse che l'Hamilton la notte precedente alla morte
aveva visto Padre Pio, in sogno, presso il letto, che, sorridendole, la
benedisse tre volte.
La mattina di buon'ora, svegliatasi con
l'animo pieno di gioia, le telefonò,
dicendo:
«Giovanna, questa notte ho sognato Padre Pio sorridente
presso il mio letto e per tre volte mi ha benedetta».
Giovanna:
«Beata te, che hai fatto un bellissimo sogno! Io non l'ho mai
fatto così bello».
Margherita:
«Sì, il sogno
è bello e consolante, ma io ora sono tormentata da un cruccio. Ti ricordi
quando ci confessammo l'ultima volta con Padre
Pio?».
Giovanna:
«Si, mi ricordo molto bene. Ci
confessammo alcuni giorni prima del suo beato transito. Mi confessai prima io e
dopo ti confessasti tu».
Margherita:
«Dopo la confessione,
chiesi a Padre Pio di venire ad assistermi nel momento della morte, ed egli mi
rispose col sorriso sulle labbra: "Figlia mia, non abbandonerò mai
i miei figli spirituali. Quando arriverà l'ora tua, certamente
verrò. Ricordati, ti benedirò tre volte". Questa notte Padre
Pio è venuto, mi ha sorriso e mi ha benedetta tre volte, dunque è
arrivata l'ora della mia morte!».
Giovanna:
«Ma no,
stai tranquilla; è un sogno. Non bisogna dare importanza ai sogni. Nel
pomeriggio verrò a trattenermi un po' con te e ne
riparleremo».
Nel pomeriggio, Giovanna si recò a fare
visita all'amica Margherita; si riprese il discorso su Padre Pio e sul
sogno della notte. Mentre si stava discorrendo, improvvisamente Margherita
impallidì, si sentì venire meno, colpita da un violento collasso
cardiaco, che la stroncò in pochi minuti. Si spense serenamente nelle
braccia di Giovanna senza un grido, senza un gemito. - Giovanna, dinanzi alla
morte dell'amica, rimase turbata e impressionata.
Dopo tali notizie
la signora Giovanna aggiunse un altro particolare,
dicendomi:
«Padre Alberto, vi debbo ancora dire qualche altra
cosa. Durante la nostra lunga amicizia, parecchie volte ci scambiammo la
promessa, non per tentare il Signore, ma per scherzo, che chi fosse morta prima,
sarebbe apparsa all'altra per assicurarla dell'altra vita. La terza
sera dopo la sepoltura di Margherita, mentre mio marito si tratteneva nel
salotto, io, seduta sul letto, con la corona nelle mani e con la luce accesa,
stavo recitando il santo rosario in suffragio dell'anima benedetta della
mia cara amica, allorché, fissando lo sguardo sul seggiolone, dove mio
marito nel pomeriggio è solito fare il pisolino, vidi seduta Margherita.
Non volevo credere a tale visione, pensai subito ad una allucinazione o ad
un'autosuggestione; mi stropicciai gli occhi, per fare svanire
l'immagine, ma Margherita non si muoveva, era lì seduta che mi
guardava. Mi feci coraggio e gridai:
"Margherita, sei
tu?".
Margherita, alzandosi rispose: "Sì,
Giovanna, sono io. Non temere. Il Signore nella sua infinita bontà mi ha
permesso di venire a dirti che sono in luogo di salvezza; ma tu prega, prega per
me. Non puoi immaginare quanto mi è stata dolce la morte. Padre Pio mi fu
vicino ad assistermi".
Pronunziate queste parole,
l'immagine della mia cara amica, svanì nel nulla, lasciandomi in
una grande serenità di spirito. Scesi subito dal letto e andai nel
salotto a raccontare l'accaduto a mio marito, che rimase impressionato e
pensoso».
PROFEZIA E BILOCAZIONE
«Cinquant'anni dinanzi a noi»
Alle prime ore del
23 settembre 1968, si avverarono le parole profetiche di Padre Pio, dette
cinquant'anni prima al signore Vinelli Modesto, giovane fotografo
ambulante, che, nel 1918, quando il Padre ricevette le sacre stimmate,
riuscì a scattare qualche foto e, stampandone parecchie copie, le vendeva
a chi ne volesse. Avvenne un increscioso incidente a Rodi Garganico, dove un
uomo, vedendo le foto di Padre Pio, cominciò a imprecare e a bestemmiare,
chiamandolo impostore ed avutane una nelle mani, la strappò e la
calpestò sotto i piedi.
Il Vinelli reagì immediatamente con
calci e ceffoni. Si accese una zuffa violenta, in cui quell'uomo fu
ferito, Vinelli fu chiuso in carcere per quaranta giorni.
Uscito dalla
prigione, ritornò a S. Giovanni Rotondo e presentatosi a Padre Pio, gli
disse:
«Padre, per causa vostra, sono andato in galera». Padre
Pio:
«Per causa mia? Che cosa hai fatto?».
Vinelli gli
raccontò l'accaduto.
Padre Pio lo riprese, dicendogli di
tenere le mani a posto e di essere più paziente. Poi, ringraziandolo
dell'affetto e del coraggio nel rimproverare il bestemmiatore, gli disse:
«Modesto, ricordati, abbiamo cinquant'anni dinanzi a
noi».
Vinelli non capì il significato delle parole di Padre
Pio; ogni anno immancabilmente, il 20 settembre, porgeva gli auguri per
l'impressione delle stimmate.
Nel venticinquesimo anniversario,
secondo il solito, dando gli auguri, si sentì rispondere:
«Modesto, sono passati venticinque anni! Abbiamo ancora venticinque anni
dinanzi a noi!...».
Vinelli cominciò a preoccuparsi e a
pensare agli anni che passavano velocemente.
La scena degli auguri si
ripeteva ogni anno; Modesto con trepidazione sempre crescente, man mano che
passavano gli anni, cominciò a contare alla rovescia.
Alcuni giorni
prima del cinquantesimo anniversario delle stimmate di Padre Pio, Vinelli mi
raccontò questo piccolo episodio della sua vita, che iniziato nel 1918,
stava per concludersi dopo cinquant'anni. Mi espresse il timore della sua
prossima fine.
La mattina del 20 settembre, prima che Padre Pio vestisse i
paramenti sacri per la celebrazione della S. Messa, vidi entrare in sacrestia
Vinelli. Mi meravigliai come fosse entrato, essendo le porte chiuse. Mi disse
che lo aveva fatto entrare un Padre. Avvicinatosi a Padre Pio,
s'inginocchiò, baciò la mano e diede gli auguri. Padre Pio,
vedendolo, disse:
«Modesto sono passati i
cinquant'anni».
Per poco Modesto non cadde morto a terra. Lo
aiutai a rialzarsi: tremava come una foglia.
Lo incoraggiai, dicendogli che
le parole di Padre Pio non erano rivolte a lui, come immaginava, ma alla
prossima fine del venerato Padre.
Il 1918 nel dire che vi erano
cinquant'anni dinanzi, Padre Pio voleva alludere ai cinquant'anni
della sua crocifissione e nello stesso tempo fargli capire che per
cinquant'anni avrebbe beneficiato dei meriti delle sue sofferenze, delle
sue SS. Messe, delle preghiere, delle benedizioni e dei consigli. Infatti, due
giorni dopo, Padre Pio si spense serenamente.
Modesto, purificato dalla
sofferenza e dalla preghiera, ha raggiunto Padre Pio nella patria celeste, il 2
marzo 1983.
«Ritornerete a Pietrelcina!»
Nell'aprile del 1960 incontrai sul
piazzale di S. Maria delle Grazie a S. Giovanni Rotondo due figlie spirituali di
Padre Pio e insigni benefattrici del convento di Pietrelcina, Grazia Pannullo e
Lucia Iadanza, le quali, dopo avermi salutato, dissero:
«P. Alberto,
l'anno venturo ritornerete a Pietrelcina, ce lo ha detto Padre
Pio».
Risposi:
«Non è possibile. Sono Parroco a S.
Severo e non credo che i superiori mi vogliano trasferire ora che ho preso
conoscenza di tutta la Parrocchia e mi trovo in piena attività di lavoro
e di apostolato. Non ci verrei neppure volentieri, perché mi
dispiacerebbe cambiare lavoro ed abitudini per ritornare
indietro».
Le donne soggiunsero:
«Padre Alberto, vi
abbiamo voluto sempre bene, perché non volete più venire a
Pietrelcina? La popolazione vi ricorda con stima e con affetto e desidera che
torniate a Pietrelcina».
«Sono sempre grato alla
popolazione pietrelcinese per la stima e per la benevolenza prestatami in tutti
i momenti, nei tre anni di residenza. Ormai sono passati tanti anni, tutto
è cambiato. Del resto, sono Religioso e in caso di trasferimento, dinanzi
all'obbedienza, non potrò rifiutarmi».
Le donne:
«Vi attendiamo in mezzo a noi, come ci ha assicurato Padre
Pio».
Nel settembre del 1961, alla distanza di un anno e mezzo, la
profezia di Padre Pio si avverò.
Nella congregazione capitolare fui
trasferito a Pietrelcina come Vicario e l'anno dopo fui nominato
Superiore, riprendendo tutta l'attività del primo triennio nel
Terz'Ordine, nella Gifra e nella stessa Parrocchia, assistita da noi
Religiosi, per una lunga malattia del vecchio Parroco. Padre Pio era prodigo di
consigli e di incoraggiamenti nelle varie iniziative per il bene del suo paese
nativo.
La permanenza a Pietrelcina questa volta durò poco, due anni
e tre mesi. Con la venuta dell'Amministratore Apostolico, P. Clemente da
S. Maria in Punta, in Provincia ci fu uno spostamento generale di tutti i Frati
ed io fui trasferito per la seconda volta a S. Severo come Superiore del
convento.
Non tutti i mali vengono per nuocere.
Il Signore, nei
disegni della sua divina bontà, aveva disposto che negli ultimi anni
della vita terrena di Padre Pio gli fossi vicino. Infatti, gli incontri col
venerato Padre divennero settimanali. Potevo dire che gli ero sempre vicino, ora
per un motivo, ora per un altro, per accompagnare persone, per domandare
consigli per me, e per tutti quelli che non potendo avvicinare il Padre,
venivano a chiedere il mio aiuto.
Ordinariamente andavo a chiedergli
consigli per gli infermi, che non sapevano quale decisione prendere, in casi
difficili di discordanza dei medici; o per risolvere situazioni delicate; o per
tranquillizzare anime tormentate da dubbi e da scrupoli; o per preghiere. Quante
volte Padre Pio mi disse:
«Rispondi tu... dagli tu il consiglio... Tu
non sai dare il consiglio?».
«Padre, temo di
sbagliare».
Padre Pio:
«Prima di scrivere o di dare a voce
il consiglio, prega. Il Signore ti assiste e non puoi
sbagliare».
Spesso mi capitava che, quando davo un consiglio,
autorizzato dal caro Padre, mi sentivo inquieto e timoroso di avere sbagliato,
mi recavo subito da lui a riferire il consiglio dato. Padre Pio mi rinfrancava
con poche parole:
«Hai consigliato bene... avrei dato anch'io lo
stesso consiglio».
I consigli di Padre Pio erano illuminati e
sapienti. Qualche volta le sue parole sembravano errate e, alle osservazioni,
rispondeva:
«Non sono il Padre eterno. Do il consiglio secondo
ciò che mi dicono e mi raccontano... secondo il modo di espormi e di
presentarmi i casi... Se travisano le mie parole, che colpa ho
io!...».
«Pensasse alla morte»
Un episodio conferma l'asserzione di
Padre Pio. In una città dell'Italia centrale, una vedova mi diede
l'incarico di chiedere a Padre Pio se poteva risposarsi con un vedovo.
Entrambi di età sulla cinquantina, avevano una figlia ciascuno sui
diciotto anni. Recatomi a S. Giovanni Rotondo, riferii il desiderio della vedova
a Padre Pio, che mi rispose:
«Pensasse alla morte». Soggiunsi:
«Padre, che cosa devo rispondere?».
Padre Pio:
«Ti
ho dato la risposta».
Scrissi alla signora addolcendo
l'espressione, dicendo di pensare a santificarsi. La signora, non
soddisfatta della risposta per corrispondenza si rivolse al Cappellano di Casa
Sollievo della Sofferenza e ad una suora, pregandoli d'interrogare Padre
Pio sul suo secondo matrimonio. I due incaricati le risposero, l'uno che
Padre Pio benediceva il matrimonio ed augurava numerosa prole, l'altra che
Padre Pio approvava e benediceva il matrimonio.
L'anno successivo,
recatomi nella stessa città e incontrata la signora, non sapendo che ella
si fosse rivolta ai due Religiosi per lo stesso incarico dato a me, chiesi scusa
della risposta negativa di Padre Pio. La signora sorridente mi
disse:
«Padre non si offenda, se dopo la sua risposta, mi sono
rivolta a Padre S. e a Suora M., ai quali Padre Pio disse che benediceva il mio
matrimonio».
Io:
«Non credo che Padre Pio ci abbia
ripensato...».
La signora, per convincermi, mi presentò le
due lettere, che io lessi stupito ed incredulo, per gli auguri espressi in una
delle lettere.
Pregai la signora di darmele, per portarle a Padre Pio; ma
si rifiutò, dicendomi che non era il caso, dato che si era già
sposata.
Ritornato a S. Giovanni Rotondo, andai da Padre Pio e gli dissi:
«Padre Spirituale! Che figuraccia mi ha fatto
fare!».
Padre Pio:
«Che cosa è
successo?».
«Se ben ricorda, l'anno scorso, venni a
chiedere un consiglio per incarico di una vedova, che voleva risposarsi con un
vedovo, Lei mi rispose: "Pensasse alla morte"».
Padre
Pio:
«Sì, mi ricordo bene».
«Perché
a Padre S. e a Suor M., che ebbero lo stesso incarico dalla vedova, lei disse di
sposarsi e benedisse anche il matrimonio?».
Padre Pio:
«Da
me sei venuto solo tu e nessun altro. Mi fanno dire tante cose, che non ho mai
dette».
Recatomi all'ospedale, parlai prima col Cappellano e
poi con la Suora; sia l'uno che l'altra mi risposero che per non
importunare il Padre non lo interrogarono affatto, ma si regolarono secondo il
pensiero di Padre Pio in simili circostanze.
Con Madre Speranza al S. Uffizio
Nel febbraio 1970 mi recai a Terni per una
conferenza su Padre Pio al Gruppo di preghiera. Fui ospite dell'Avvocato
Giordanelli Guglielmo, che m'invitò ad una gita a Collevalenza,
dove viveva in concetto di santità Madre Speranza.
Visitai il
grandioso complesso di costruzioni e di opere, eseguito per volere della Madre a
scopo di bene per le anime.
Dallo stesso Avv. Giordanelli e dal Superiore
P. Gino, fui presentato a Madre Speranza, che mi accolse con grande
semplicità ed umiltà. Cominciai subito un discorso:
«Madre, sono un Cappuccino di S. Giovanni Rotondo: non voglio farle
perdere tempo; le chiedo soltanto di pregare per me e per la glorificazione di
Padre Pio». Madre Speranza, piccola di statura e curva, alzando gli
occhi e guardandomi, rispose:
«Ho sempre pregato per Padre
Pio».
«Lei ha conosciuto Padre
Pio?».
«Sì; l'ho visto molte
volte».
«Dove? A S. Giovanni
Rotondo?».
«No: non sono mai venuta a S. Giovanni
Rotondo».
«Allora, dove lo ha
conosciuto?».
«A Roma».
«Madre, lei
non ha potuto conoscere Padre Pio, perché questi a Roma è stato
solo una volta, quando, giovanissimo, il 17 maggio 1917, accompagnò la
sorella a farsi monaca di clausura nel Convento di S. Brigida. Lei in quel tempo
si trovava in Spagna. Certamente ha preso un abbaglio, scambiando Padre Pio con
qualche altro Frate Cappuccino».
«No, non mi sono
ingannata. Era Padre Pio».
«In quale località di
Roma lo ha visto?».
«L'ho visto tutti i giorni al S.
Uffizio per un anno intero; portava i mezzi guanti per nascondere le piaghe. Io
lo salutavo, gli baciavo la mano e qualche volta gli rivolgevo la parola, ed
egli mi rispondeva».
«In quale anno è avvenuto
questo incontro giornaliero?».
«Quando io ero a
disposizione del S. Uffizio. Sono stata per tre anni: dal 1937 al
1939».
«Madre, mi sembra strano e inverosimile il suo
racconto: stento a crederci...».
«Padre, debbo confessarle
che non sono mai andata soggetta ad allucinazione. Anzi, debbo aggiungere che
spesso veniva in aereo da Milano un personaggio misterioso con la barba bianca,
brutto di aspetto, che mi faceva tremare».
«Chi era?... Un
Frate?...».
«Non lo so, al solo vederlo ero presa da
grande timore e volevo fuggire. Mi sembrava il
demonio».
«Che cosa veniva a fare al S.
Uffizio?».
«Veniva a deporre contro Padre
Pio».
«Madre, non si offenda, se le dico che non credo a
quanto mi ha raccontato».
Madre Speranza, senza alcun segno
di risentimento, con dolcezza mi rispose:
«Padre, lei
è libero di pensare come vuole. Le ripeto che ho visto Padre Pio per un
anno, tutti i giorni a Roma. Ho sempre pregato per lui ed ora prego per la sua
glorificazione».
Che Madre Speranza abbia potuto conoscere
Padre Pio è possibile: dato che il venerato Padre era insignito del dono
della bilocazione. Infatti le bilocazioni di Padre Pio sono state molto
numerose. Ne abbiamo riferite alcune in questo nostro lavoro.
GRAZIE E FAVORI CELESTI
Intercedeva per la sua guarigione
Nel maggio del
1970, la signora Lilia Glorioso di Castelbuono (Palermo) m'invitò
per un ritiro spirituale ai suoi due Gruppi di preghiera.
In quella
circostanza mi disse che doveva la sua salute alle preghiere di Padre
Pio.
Mi narrò infatti che era ammalata di ematuria renale, dovuta ad
un grosso calcolo, e che si era ridotta ad uno scheletro, per una grave forma di
anemia, per cui si rese impossibile l'operazione chirurgica. Nonostante le
cure consigliate dai medici locali e dai professori specialisti di Palermo, si
era sempre più aggravata. In un consulto medico, si decise per
l'intervento chirurgico. Ricoverata nell'Ospedale di Palermo per le
analisi e per l'operazione, mentre tutto era pronto, venne a mancare il
Primario chirurgo, che avrebbe dovuto operarla. Allora, uno dei chirurghi
presenti, non assicurando l'esito dell'atto operatorio,
consigliò l'inferma di ritornare a casa.
Un'amica,
recatasi a visitarla, la consigliò di scrivere una lettera a Padre Pio
per impetrare la grazia della guarigione. Era il 1967.
La Glorioso, a tale
consiglio, si ribellò, protestandosi devota della Madonna, dalla Quale
sola aspettava la grazia.
L'amica soggiunse che Padre Pio era
prediletto e devotissimo della Madonna, dalla Quale otteneva grazie e miracoli
con le sue fervide preghiere e con le sue grandi sofferenze, quindi gli sarebbe
stato facile ottenerle la guarigione e la salute. Convinta da queste parole, la
Glorioso scrisse una lettera a Padre Pio; ma l'indomani si aggravò.
Nel pomeriggio, stando a letto, circondata dalle persone care e trepidanti, le
sembrò di vedere Padre Pio ai piedi della Madonna, che intercedeva per la
sua guarigione. La sera cominciò a migliorare e in piena lucidità
di mente raccontò ai parenti la visione.
Il giorno successivo si
sentì bene e si alzò dal letto.
Nella lettera indirizzata a
Padre Pio, non chiedeva la guarigione, ma un miglioramento per potere subire
l'operazione.
Dopo tre mesi, precisamente il 6 gennaio 1968, si
recò a S. Giovanni Rotondo. Nel pomeriggio del giorno successivo, mentre
Padre Pio si recava a confessare gli uomini, vedendo la signora Glorioso in
mezzo alla folla, la fece avvicinare e le disse:
«Che cosa
vuoi?».
La Glorioso:
«Padre, sono venuta a chiedervi un
consiglio se debbo operarmi o curarmi».
Padre Pio:
«È bene che ti faccia operare. Io pregherò per
te».
La Glorioso, piena di fede, ritornò a Castelbuono; si
ricoverò in un Ospedale di Palermo, fu operata e guarì
completamente.
In segno di gratitudine ha formato due fiorenti Gruppi di
preghiera, che tanto bene operano nella cittadinanza di
Castelbuono.
«Padre Pio è venuto a prenderla!»
Nell'ottobre del 1972 ero stato
invitato dalla Capo Gruppo di preghiera, Signora Lilia Glorioso, a tenere una
«Tre sere» ai Gruppi di Castelbuono, d'accordo col Rev.mo
Parroco della Chiesa Matrice.
Quindici giorni prima della data fissata, la
signora Glorioso mi telefonò, pregandomi di anticipare di una settimana
la mia andata per partecipare alla celebrazione del venticinquesimo anniversario
di matrimonio.
Dati i molteplici impegni che avevo in altre città
della Sicilia, risposi che mi era impossibile spostare le date, ma che avrei
partecipato alla festa di famiglia, quando sarei andato nei giorni
fissati.
Giunto a Palermo, appresi la dolorosa notizia della tragica morte
della figlia Marianna di 23 anni al termine della festa, in un incidente
automobilistico; a causa del gravissimo lutto, non si faceva più
nulla.
Telefonai al Parroco della Chiesa Matrice per sapere notizie
più dettagliate. Il Parroco mi rispose con voce emozionata che la
cittadinanza era in lutto e non era il caso di tenere la «Tre
sere».
Alcuni giorni dopo, accompagnato dal Rag. Di Girolamo Umberto e
dalla Sig.na Gaudesi Giovanna, mi recai a Castelbuono per porgere alla famiglia
Glorioso le condoglianze e dire una parola di conforto.
Ammirevole e
dignitoso è stato il comportamento di Lilia Glorioso, la quale, nel
vederci, pur prorompendo in lacrime e singhiozzi, disse:
«Padre Alberto,
se mi vedete ancora in vita, lo debbo alla fede che mi ha sorretta e a Padre Pio
che mi ha assistita. Il mio atroce dolore mi avrebbe fatto commettere un atto
insano, mi sarei suicidata, se il Signore e Padre Pio non mi avessero
assistita».
Calmatasi, cominciò a raccontarci tra le
lacrime lo svolgimento della funzione religiosa, tenutasi in Chiesa con la
partecipazione di una folla di parenti e di amici; poi ci parlò del
tragico incidente.
La Glorioso volle rimarcare un episodio molto
significativo. Prima di recarsi in Chiesa, i cinque figli prepararono ed
offrirono un dono ai genitori a ricordo del loro venticinquesimo anniversario di
matrimonio.
La mamma, nell'accettare il dono,
disse:
«Figli miei, il dono più gradito e più
prezioso, che ci potete fare, è di accostarvi quest'oggi ai
sacramenti insieme a noi...».
Tutti risposero affermativamente, ad
eccezione della figlia primogenita Marianna, impiegata a Palermo, fidanzata e
prossima al matrimonio, che rispose di non essere disposta. Ma dietro le
insistenze della mamma, si decise anch'ella a confessarsi e a
comunicarsi.
Terminata la funzione religiosa, ci furono i rinfreschi per i
partecipanti e la cena per gli intimi.
A sera inoltrata, Marianna, contenta
e gioiosa, disse ai genitori:
«È bene che torniamo ora a
Palermo, così domani ci troveremo riposati e pronti per andare in
ufficio».
Si decise di partire subito. Salirono in macchina il
fratello di Marianna e una signorina giapponese, che si accomodarono nei sedili
posteriori. Nei posti anteriori, si sedettero Marianna e il fidanzato alla
guida. Si era giunti alla periferia di Palermo, quando il giovane autista, preso
da un colpo di sonnolenza, perdette il controllo e andò a schiantarsi
violentemente contro un muro, riducendo la macchina in rottami.
Marianna,
che sonnecchiava poggiata sulla spalla del fidanzato, scossa dall'urto
tremendo, gridò:
«Che cosa è successo?»,
chinò il capo e morì.
I due giovani, seduti dietro, furono
estratti gravemente feriti e sanguinanti dalle lamiere contorte. Il giovane
autista uscì quasi illeso con poche contusioni ed escoriazioni.
Trasportati ad uno degli ospedali di Palermo e controllati i loro
documenti, si telefonò alle famiglie.
Il fatto straordinario e
significativo è il sogno, che stava facendo, nel momento
dell'incidente, una signorina di Castelbuono, Concetta Di Garbo, amica
della famiglia Glorioso, che io intervistai in una seconda andata a Castelbuono
nel maggio 1974.
La signorina Concetta Di Garbo stava sognando di camminare
lungo il corso principale di Castelbuono per recarsi a casa di una sorella
ammalata, quando incontrò una macchina, che si fermò dinanzi a
lei.
L'autista la chiamò e le disse che nella macchina vi era
Padre Pio. Infatti, aperto lo sportello, la signorina vide Padre Pio, che la
invitò a sedersi a fianco a Lui e la interrogò:
«Concetta,
dove vai?».
Concetta:
«Vado da mia sorella, che è
molto malata». Padre Pio:
«Vengo
anch'io».
Giunta la macchina presso la casa
dell'inferma, Padre Pio uscì e preceduto dalla ragazza, salì
la scalinata, dirigendosi verso la camera dell'inferma, la benedisse e le
posò la mano sulla parte malata. Poi andò ad affacciarsi alla
finestra prospiciente la casa della famiglia Glorioso e disse a Concetta:
«Chiama Marianna, perché deve venire con me. Su, grida, dille di
fare presto, perché non posso aspettare».
Al grido di
Concetta, si presentò sul balcone una donna vestita di nero con le
lacrime agli occhi. Padre Pio vedendola, esclamò:
«È la
mamma! È Lilia!... povera mamma, quanto deve
soffrire!...».
Dette queste parole, scomparve.
Concetta si
svegliò di soprassalto, spaventata e madida di sudore. Non potendo
ripigliare il sonno, scese dal letto, andò ad aprire la finestra della
camera e, nel silenzio della notte, sentì grida e pianti. Si vestì
in fretta, uscì di casa e si diresse verso l'abitazione dei
Glorioso, da dove provenivano le grida. Qui apprese la notizia della morte di
Marianna, avvenuta nello stesso tempo in cui faceva il fatidico sogno.
La
signora Glorioso terminò il suo racconto con queste parole:
«Padre Alberto, mi sorregge e mi conforta il pensiero che Padre Pio
è venuto a prendersela e se l'ha portata in Paradiso. Marianna era
tanto buona e comprensiva, sempre attenta a non arrecarci un dispiacere. Quella
sera in cui chiesi a tutti i miei figli di accostarsi alla santa comunione, mi
rispose che non era disposta, ma poi subito mi ubbidì. Dopo la funzione
religiosa si mostrò la più contenta e la più felice di
tutti. Il Signore la volle per sé e Padre Pio venne a
prenderla».
La signorina Concetta Di Garbo, nella tarda mattinata
si recò dalla sorella gravemente inferma, e quale non fu la sua sorpresa
nel vederla molto migliorata!...
L'inferma le disse di sentirsi bene
e che le erano scomparsi anche i dolori che la tormentavano e non la lasciavano
riposare un'ora. Poi aggiunse:
«Non ho mai riposato così
tranquillamente, come questa notte. Ora sento appetito, dammi qualche cosa da
mangiare».
Concetta le raccontò il sogno, la visita e la
benedizione di Padre Pio e poi le comunicò la morte dell'amica
Marianna, avvenuta mentre ella sognava.
Quindi, il miglioramento e la
guarigione dell'inferma si devono all'intercessione di Padre
Pio.
Qualche mese dopo questo misterioso avvenimento, Concetta
accompagnò la sorella a Palermo e la fece ricoverare in un ospedale per
controlli ed analisi.
Il risultato fu negativo. Non fu trovata alcuna
traccia di malattia. Dopo due anni dalla guarigione, recatomi di nuovo a
Castelbuono, volli vedere e intervistare la donna miracolata, la quale mi
confermò quanto mi aveva narrato la sorella Concetta, assicurando di
godere ottima salute, di essere aumentata di peso e di avere ripreso il suo
lavoro e la sua attività,, senza avvertire alcun disturbo della malattia
sofferta.
«Verrà a prendermi il 5 febbraio!»
Un pomeriggio del giugno 1973, ero sul
sagrato di S. Maria delle Grazie a S. Giovanni Rotondo, quando una signora di
Roma si avvicinò e mi disse:
«Padre, io sono una figlia
spirituale di Padre Pio, sono venuta da Roma a ringraziarlo per la morte di mio
marito».
Incuriosito dallo strano linguaggio della donna risposi:
«Signora, lei desiderava la morte di suo marito, forse perché non
lo amava più?».
La signora risentita, soggiunse:
«Ma no, Padre, non è così, come pensa lei. Io ho sempre
amato con tenerezza mio marito ed ho tanto sofferto per la sua morte. Mi
ascolti. Mio marito era affetto da un tumore maligno. Soffriva molto, notte e
giorno, senza tregua. Noi di famiglia ci prodigavamo per lui; pregavamo la
Madonna per la sua guarigione e lo raccomandavamo all'intercessione di
Padre Pio.
Un giorno, mio marito, dimesso dall'ospedale,
perché incurabile, mentre era a letto in condizioni gravissime,
cominciò a gridare: "Cacciate via quel frate... cacciate quel
frate... mi dice di andare con lui... cacciatelo... non voglio
andarci".
Io ed altre persone di famiglia, non vedendo in casa
alcun frate, rispondemmo che non c'era nessuno.
Mio marito
agitatissimo, continuava ad urlare: "Non lo vedete? eccolo ai piedi del
letto... insiste di andare con lui, mandatelo
via...".
Pensammo che delirasse e cercammo di
rasserenarlo.
Dopo qualche minuto, calmatosi, disse: "È
un frate cappuccino... ha la barba bianca... ora se ne sta andando... mi ha
detto che verrà a prendermi il 5
febbraio".
Preoccupati, non sapevamo spiegare il mistero.
Pensammo allora a Padre Pio, alla cui intercessione raccomandammo
l'infermo. Gli presentammo una foto di Padre Pio e lo interrogammo se
fosse il frate, che lo aveva invitato di andare con lui. Mio marito, vista la
foto, esclamò: "Sì, è proprio
lui".
Noi: "Ma questo frate è Padre Pio".
Da quel momento cominciò la miglioria dell'infermo da sembrare
quasi guarito. Per due mesi si sentì bene, usciva di casa, ogni mattina
andava alla S. Messa in chiesa, si comunicava, pregava. Verso la fine di gennaio
1973 si aggravò improvvisamente. Questa volta era sereno. Pregava quasi
ininterrottamente. Riceveva ogni giorno la santa comunione. Aspettava il ritorno
di Padre Pio, che lo avrebbe accompagnato dinanzi al Signore. Il 5 febbraio
1973, Padre Pio, puntuale alla promessa, ritornò a prenderselo. Mio
marito spirò serenamente col nome di Gesù sulle labbra. Ora sono
venuta a sciogliere il mio voto. Sono venuta a ringraziare Padre Pio di avere
assistito mio marito sul punto di morte».
Un'immagine di Padre Pio sotto il cuscino
Il 30 novembre 1973 mi recai a Mistretta in
Sicilia per la predicazione del novenario dell'Immacolata. Prima di andare
nella Casa Canonica, il Parroco P. Longo Filadelfio mi accompagnò
all'ospedale civile per benedire un ammalato grave. Entrato solo in una
cameretta, trovai una giovane donna, che piangeva ai piedi del letto, su cui era
disteso un uomo in gravissime condizioni. All'apparenza mi sembrava
vecchio, ma in realtà era molto giovane, appena quarantenne. Chiesi alla
donna il nome dell'infermo, mi disse: Antonio Indovino.
Mi avvicinai
presso il letto e lo chiamai ad alta voce, ma non si scosse. Aveva
l'aspetto cadaverico, le labbra bluastre, il respiro rantoloso.
Feci
una preghiera, impartii l'assoluzione e la benedizione con
l'indulgenza plenaria in articulo mortis, rivolsi parole di conforto alla
giovane consorte e le diedi un'immaginetta di Padre Pio, pregandola di
porla sotto il cuscino dell'infermo e dicendole:
«Padre Pio
voglia assisterlo e intercedere per lui! Il Signore può fare tutto se
vuole, può ridonare la guarigione e la salute a suo marito per i meriti e
l'intercessione di Padre Pio... Noi, questa sera, nella Chiesa
parrocchiale di S. Nicola, pregheremo tutti insieme per
l'ammalato».
La donna prese l'immaginetta e la mise
sotto il cuscino del marito, che non si accorse di nulla. Uscito dalla camera
dell'infermo, trovai nel corridoio P. Longo con un medico, al quale
rivolsi la parola per sapere notizie più dettagliate circa la malattia e
le condizioni dell'infermo, che avevo visitato. Mi rispose:
«Padre, il signore Indovino sta molto male, si trova in gravissime
condizioni ed in pericolo di vita. Noi abbiamo fatto tutto il possibile per
strapparlo alla morte. Ora sta a Dio fare il resto».
Mi trattenni
dieci giorni a Mistretta e in quei giorni l'infermo, sebbene in gravi
condizioni, non morì. Dopo qualche mese, il Parroco P. Longo, in una
lettera, mi comunicò la notizia che il signore Antonio Indovino, da me
visitato nell'ospedale, era perfettamente guarito.
Esclamai:
«Dio sia benedetto! Il Signore nella sua bontà ha fatto il
miracolo per fare conoscere, amare e glorificare Padre
Pio».
L'anno seguente, precisamente nel maggio 1974,
ritornai a Mistretta per preparare con un triduo di conferenze i Gruppi di
preghiera all'acquisto del Giubileo. Avevo del tutto dimenticato
l'infermo, guarito miracolosamente.
L'ultima sera il Parroco mi
pregò di partecipare insieme ad altri due sacerdoti ad una visita presso
una famiglia. Mi dettero la precedenza nel salire la scalinata.
Sul
pianerottolo mi venne incontro un simpatico uomo, molto giovane, di bella
presenza che, sorridente, mi invitò ad entrare.
Vidi nel centro
della camera su un tavolo, coperto da una candida tovaglia, vassoi di dolciumi,
bottiglie di liquori, bicchieri, tazze...
Pensai subito ad una festa di
famiglia e domandai:
«Fate festa? Per quale
ricorrenza?...».
Il signore, che mi ricevette, sempre sorridente,
rispose:
«Sì, Padre, abbiamo organizzato una festicciuola per
voi».
Io, stupito:
«Per me? Io non vi conosco. Non vi ho
mai visto...».
Il signore:
«Padre, voi mi avete strappato
dalla morte, mi avete guarito».
Sentendo questa asserzione, pensai
subito ad uno scherzo e, risentito, rivolgendomi al Parroco ed ai Sacerdoti,
dissi:
«Mi avete preso in giro».
I Sacerdoti sorridevano
di compiacenza. Non ancora mi rendevo conto dello scherzo. Allora il padrone di
casa spiegò il motivo della festicciuola.
«L'anno
scorso, disse, io ero gravemente malato nell'ospedale di Mistretta. Avevo
perduto la conoscenza; mia moglie, quando migliorai, mi raccontò
ciò che avvenne. Voi, accompagnato da P. Longo, siete venuto
all'ospedale a visitarmi. Avete pregato, mi avete benedetto e poi avete
fatto mettere sotto il cuscino un'immaginetta di Padre Pio. Da quel
momento cominciò la miglioria. Ora, come vedete, sono perfettamente
guarito. Sono stato due volte a Palermo per analisi e controlli: il risultato
è stato sempre negativo, senza alcuna traccia della mia grave malattia.
Sono aumentato di peso, ritornando al normale, ho ripreso il mio lavoro e sto
benissimo. Dato che voi siete ritornato a Mistretta, in segno di gratitudine vi
abbiamo organizzato questa piccola festa».
Indi, preso il
portafoglio, estrasse l'immaginetta di Padre Pio e la mostrò:
«Ecco, Padre, l'immaginetta miracolosa, che io porto sempre
addosso».
Risposi:
«Sì, è
l'immaginetta che io diedi alla vostra consorte e feci mettere sotto il
cuscino. Permettete, caro Antonio, di dirvi che non sono stato io che vi ho
guarito, ma il Signore mediante l'intercessione di Padre Pio. Dovete
ringraziare anzitutto il Signore poi Padre Pio. Raccogliete i documenti e le
cartelle mediche della vostra malattia, della sua gravità e della vostra
guarigione e portateli o spediteli a S. Giovanni Rotondo per la Causa di
Beatificazione di Padre Pio. Anzi, farete bene, quando verrete nel continente,
di arrivare anche a S. Giovanni Rotondo per ringraziare Padre Pio presso la sua
tomba»
Padre Pio con l'On. Aldo Moro (1968)
«Padre Pio è stato buono con me»
Una mattina del settembre 1974 ero di turno
per le confessioni delle donne nella Chiesa di S. Maria delle Grazie, quando si
presentò dinanzi al confessionale una distinta signora, Giancarla M. di
Milano, che mi disse:
«Padre, prima di confessarmi ho bisogno di
parlarle. Debbo anzitutto dirle che io ho sempre avuto nell'animo una
inspiegabile animosità contro Padre Pio e ne ho anche parlato male. Non
so se Padre Pio vorrà perdonarmi».
«Signora, Padre
Pio ha sempre perdonato e perdonerà anche lei. Perché ha avuto
tanto risentimento contro Padre Pio? Forse ha ricevuto qualche
sgarbatezza?».
«No. Non sono mai venuta a S. Giovanni
Rotondo. Ora è la prima volta. Non so neppure io, perché abbia
preso posizione contro Padre Pio. Forse, perché si parlava molto di lui,
della sua santità, che per me era un rimprovero ed un richiamo. Invece di
venire a conoscerlo, ne sentivo antipatia e
ripugnanza».
«Signora, parlare male di una persona che non
si conosce, è da stolto. Perché, ora che Padre Pio non
c'è più, si è decisa di venire a S. Giovanni
Rotondo?».
«Padre, non lo so. Anche questa mia venuta
quassù, per me, è un mistero. Appartengo ad una famiglia
benestante. Nella vita non mi è mancato nulla. Mi sono presa tutte le
soddisfazioni, ma non ho mai goduto un giorno di pace. Ieri, litigai ancora una
ennesima volta con mio marito, gridando che me ne sarei andata via. Infatti,
uscita di casa, non sapendo dove andare, mi diressi alla stazione centrale.
Dinanzi a me presso lo sportello vi erano alcune donne allegre e ciarliere che
chiesero il biglietto per Foggia. Avvicinatami, l'impiegato mi chiese:
"Signora, per dove?". In quel momento, ancora agitata, senza
riflettere risposi: "Per Foggia". Mi recai ai marciapiedi e salii
sul treno già pronto senza rivedere le donne che mi precedettero. Questa
mattina, arrivata a Foggia, scesa dal treno, mi sono interrogata: "Che
cosa sono venuta a fare a Foggia? Qui non conosco nessuno e non so dove andare.
Ma sono diventata matta?..."
Mentre stavo così
fantasticando, mi è passato dinanzi il gruppetto delle donne, che si
dirigevano verso un pullman. Le ho seguite, sono salita anche io sul pullman,
che mi ha portato a S. Giovanni Rotondo ed ora sono qui, nella Chiesa di Padre
Pio. Mai avrei pensato di venire sul Gargano, di venire da Padre Pio. Questa
mattina, entrando in Chiesa ho sentito tanta pace da sfogare in pianto. Sono
scesa nella cripta, mi sono inginocchiata presso la tomba di Padre Pio, ho
chiesto perdono, ho pianto e per la prima volta, dopo tanti anni, ho
pregato.
Padre, ho bisogno di riconciliarmi con Dio. Da molti anni
non entro in una chiesa».
La signora fece la sua confessione tra
un profluvio di lacrime. Poi disse:
«Padre, sono tanto contenta di
essere venuta presso la tomba di Padre Pio: qui ho ritrovato
Dio».
«Cara signora, ringrazi il Signore e Padre Pio di
tanta bontà e benevolenza. Lei sentiva antipatia e animosità
contro Padre Pio e il caro Padre sentiva pietà, tenerezza ed amore per la
sua anima. Padre Pio è venuto a Milano, l'ha presa per mano e
l'ha accompagnata nella sua dimora per ridonarle la serenità e la
pace».
Signora:
«Padre Pio è stato tanto buono con
me. Mi ha ridonato la fede e Gesù; la serenità e la pace. Questo
luogo è un lembo di Paradiso. Ritornerò altre volte insieme con la
mia famiglia».
ALLA VIGILIA DELLA SUA MORTE
«Non lasciarmi solo!»
Un giorno di aprile
del 1968, venne a trovarmi in convento l'amico Dr. Francesco Ricciardi, il
quale mi disse:
«Padre Alberto, sono stato a S. Giovanni Rotondo
per le feste della S. Pasqua, ho rivisto ed ho potuto avvicinare e scambiare
poche parole con Padre Pio. Sono rimasto impressionato per le condizioni di
salute in cui si è ridotto. Oltre a non poter più muoversi,
è molto consumato dalle sofferenze e dall'estenuante lavoro delle
confessioni. Penso che non duri a lungo. Sarebbe bene che lei gli fosse
vicino».
Risposi:
«Ho sempre desiderato di stare vicino a
Padre Pio, che ho sempre amato sin dalla mia fanciullezza, ma non dipende da me.
Sto pregando il Signore ogni mattina nella S. Messa, che mi faccia trovare
presso il caro Padre negli ultimi giorni della sua vita
terrena».
Il Signore infatti dispose, in un modo a me non gradito,
sotto l'aspetto umano, ma provvidenziale, che nel maggio fossi trasferito
nel convento di S. Giovanni Rotondo, dove trascorsi circa quattro mesi vicino al
caro Padre. Ogni pomeriggio, dalle tredici alle quindici e mezzo, gli facevo
compagnia sulla veranda insieme con alcuni confratelli addetti al turno di
assistenza. Sono state le ore più belle fra i tanti incontri avuti con
Padre Pio.
Ho potuto parlargli con calma tante e tante volte.
Un
pomeriggio per circa un'ora rimasi solo col Padre. Era tormentato
dall'asma bronchiale e da una tosse molesta. Io ero seduto a fianco,
pronto a porgergli la sputacchiera.
Ci fu un momento, in cui ebbe ripetuti
e violenti colpi di tosse, da sentirsi soffocato, fino a quando emise un
abbondante e vischioso spurgo. Allora, sollevato, esclamò:
«Non
ne posso più! Signore, che cosa faccio più sulla terra... vienimi
a prendere!...».
Mi ero alzato per andare a svuotare la
sputacchiera, il Padre mi disse:
«Dove vai? Non lasciarmi
solo!».
Temeva la solitudine.
«Mi hanno tradito tutti!»
Un altro giorno con le lacrime agli occhi
proruppe:
«Signore, quante sofferenze! Mi hanno tradito
tutti!».
Non so a chi volesse riferire l'espressione,
né ebbi il coraggio d'interrogarlo. Certamente doveva alludere a
persone che facevano il doppio gioco, che pensavano ai propri interessi, che non
gli dicevano la verità.
Negli ultimi mesi ci furono momenti di
angosce, di timori, di sofferenze inaudite. Man mano che si avvicinava sorella
morte, Padre Pio, che tanto l'aveva desiderata ed invocata, sentiva la
ripugnanza e lo spavento della separazione. Spesso esclamava:
«Pregate
per me: ho paura di incontrarmi con Cristo... non ho corrisposto al suo amore e
alle sue infinite grazie...».
Anche Gesù, alla vigilia
della sua dolorosa passione e morte, sentì tale ripugnanza, da esclamare:
«Padre, se è possibile, allontana da me questo
calice...».
«Se ritarderanno, non mi troveranno più»
Nel luglio del 1968, trovandomi a Genova di
passaggio, fui pregato dai coniugi Ing. Sergio e Augusta La Torre, miei amici e
figli spirituali di Padre Pio, d'interpellare il caro padre, se potevano
accompagnare a S. Giovanni Rotondo la figlia Maria Pia, per ricevere dalle sue
mani la prima comunione.
Ne parlai con Padre Pio, il quale mi rispose:
«Se vogliono che faccia io la prima comunione alla bambina, vengano al
più presto».
Comunicai la risposta affermativa e si
fissò la data del 25 agosto, ultima domenica del mese.
Dieci giorni
dopo, mi giunse una lettera espressa dai coniugi La Torre, i quali mi
annunziavano la notizia, che, per motivi di famiglia, erano costretti a
rimandare la loro venuta a S. Giovanni Rotondo e la prima comunione della
bambina alla primavera dell'anno successivo.
Riferii al venerato
Padre il rinvio della prima comunione di Maria Pia.
Padre Pio mi rispose:
«Se vogliono che faccia io la prima comunione alla bambina, vengano per
la data fissata. Se ritarderanno non gliela potrò più
fare».
«Padre spirituale, perché non gliela
potrà più fare?».
Padre Pio:
«Chissà... Se sarò ancora
vivo!».
«Padre, chissà... quanti anni vivrà
ancora! Il Signore la conserverà a lungo in mezzo a noi. Io gliene auguro
tanti...».
Padre Pio:
«Fai sapere che vengano ad ogni
costo per la data fissata; se ritarderanno, non mi troveranno
più».
Infatti telefonai immediatamente alla famiglia La
Torre, riferii il pensiero e le parole pressanti del Padre e insistetti di non
rimandare la prima comunione della bambina, ma di venire a S. Giovanni Rotondo
il sabato 24 agosto. Così fecero.
La domenica mattina, appena aperta
la Chiesa, la bimba bianco-vestita, insieme coi genitori e con le altre due
sorelle più grandi, era già presso il presbiterio alla S. Messa
del Padre per ricevere dalle sue mani la S. Comunione.
Dopo la Messa, Padre
Pio posò le mani sul capo della bimba, la esortò a conservare
sempre candida la veste dell'innocenza e della purezza e ad amare
Gesù. La benedisse insieme coi genitori e con le
sorelle.
Ripartirono per Genova con la pienezza della gioia nel cuore e con
la gratitudine verso di me, che avevo tanto insistito, perché non
avessero rimandato la prima comunione della bimba.
Quindici giorni prima di morire
Nelle prime ore di domenica, 8 settembre
1968, ero di turno per le confessioni delle donne, nella Chiesa grande. Avevo
terminato di confessare una penitente, quando questa mi disse:
«Padre,
vi chiedo un favore. Vi prego di farmi baciare la mano a Padre
Pio».
Risposi che, data la grande folla, non era possibile per
quel giorno, ma che l'avrei accontentata il giorno seguente.
La
donna, insistendo, mi disse:
«Padre, ho fatto un lungo viaggio. Sono
venuta dalla Sicilia con tanti sacrifici! Sono povera e non ho denaro per andare
all'albergo. Vi prego di farmi almeno il favore di vedere da vicino Padre
Pio».
Soggiunsi:
«Scusi, signora, se lei non ha denaro per
andare all'albergo e trattenersi qualche giorno, dopo un sì lungo
viaggio, e se, per venire qui, ha fatto tanti sacrifici, perché è
venuta?».
La donna:
«Padre, nella mia vita, ho sempre
desiderato vedere Padre Pio: ma non ho mai avuto la possibilità di venire
a S. Giovanni Rotondo per mancanza di denaro. Pochi giorni addietro, Padre Pio
mi è venuto in sogno e mi ha detto: "Se vuoi vedermi, vieni subito
a S. Giovanni Rotondo, perché fra pochi giorni morrò". Mi
sono data da fare per avere un po' di denaro in prestito e sono venuta.
Non posso trattenermi, perché non mi basterebbero i soldi per il
ritorno».
«Signora, lei mi sta raccontando delle fandonie
per commuovermi. Non mi dica più che Padre Pio è venuto in Sicilia
ad annunziarle la sua prossima fine».
La donna scoppiò in
pianto. Allora, considerando i suoi sacrifici e la sua particolare situazione,
per accontentarla, le dissi:
«Ora io esco dal confessionale e vado
in sacrestia, lei mi segua».
L'accompagnai presso
l'ascensore, dove s'inginocchiò e la raccomandai di non
muoversi da quel posto.
Ritornai in Chiesa per riprendere le confessioni.
Dopo dieci minuti, rividi la donna con le lacrime agli occhi dinanzi al
confessionale. Venne a ringraziarmi e a dirmi che Padre Pio, quando le fu
vicino, sostò qualche minuto, la guardò con dolcezza, le rivolse
alcune parole di conforto e, posandole la mano sul capo, la benedisse con
paterna bontà.
Nella stessa giornata, incurante della stanchezza,
con l'animo traboccante di gioia per l'incontro e per la benedizione
di Padre Pio e nello stesso tempo col cuore ricolmo di amarezza per le parole
udite nel sogno, intraprese il lungo ed estenuante viaggio di ritorno a
Catania.
Mentre mi baciava la mano, le dissi:
«Signora, Padre Pio
ha premiato i suoi desideri e i suoi sacrifici: può partire contenta, ora
è sotto la sua protezione; ma non ripeta più che Padre Pio deve
morire presto». La donna, ancora emozionata, soggiunse:
«No,
Padre, non voglio che Padre Pio muoia. Il Signore lo lasci ancora per molti anni
sulla terra».
Quindici giorni dopo, Padre Pio se ne volava al
cielo.
La rosa ridiventata bocciuolo
Qualche mese prima della morte di Padre Pio,
Don Bruno Botto, Parroco di Crosa Biellese, mi fece interpellare il caro Padre,
se volesse aderire al messaggio della Madonna di Lourdes di offrirsi vittima per
la Chiesa, per il Papa, per la santificazione dei Sacerdoti, per la salvezza
delle anime e per la pace del mondo.
Padre Pio mi fece rispondere che
benediva il movimento, che avrebbe pregato per il suo sviluppo e che ben
volentieri rinnovava l'offerta della sua vita, già fatta altre
volte.
Il Signore questa volta l'accettò. La Madonna volle
dimostrare il gradimento dell'offerta del suo servo prediletto, con un
episodio singolare e significativo.
Il 19 settembre 1968, nel primo
pomeriggio, Padre Pio era seduto nella veranda, assorto in preghiera, quando
venne un distinto signore di Napoli, con un fascio di bellissime rose rosse, che
gli offrì per il cinquantesimo anniversario delle stigmate. Io ero
presente con altri due confratelli. Padre Pio guardò quelle rose, ne
prese una, la consegnò al figlio spirituale e lo pregò di portarla
alla Madonna di Pompei. Il gentile signore, emozionato, prese la rosa dalla mano
di Padre Pio e promise che all'indomani l'avrebbe portata al
Santuario di Pompei. Il mattino seguente portò la rosa a Pompei, la
consegnò ad una Suora dicendole che la mandava Padre Pio e pregandola di
metterla dinanzi all'effigie della Madonna. La Suora, sentendo che la
mandava Padre Pio, prese la rosa e la infilò in un vaso di cristallo,
insieme con altri fiori.
La mattina del 23 settembre, quando Padre Pio era
volato al cielo, la suora, vedendo che i fiori dinanzi alla Madonna erano
appassiti, prese il vaso per gettarli, ma, con suo grande stupore e gioia,
notò che la rosa di Padre Pio si era richiusa e ridiventata un bocciolo
fresco e profumato. Si gridò al miracolo, ma non fu un miracolo. Fu un
segno eloquente della predilezione e dell'amore della Madonna verso Padre
Pio, che tanto l'aveva amata e l'aveva fatta amare da centinaia di
migliaia di fedeli. La notizia del simbolico episodio arrivò subito alle
orecchie del vescovo del Santuario, Mons. Signora, figlio spirituale di Padre
Pio, il quale volle vedere la rosa, ritornata bocciolo, la prese, la mise in un
astuccio col vetro e la fece esporre alla vista dei visitatori nella camera del
Beato Bartolo Longo.
Un anno dopo, accompagnai, il pellegrinaggio del
Terz'Ordine Francescano di S. Giovanni Rotondo a Pompei; tutti vedemmo la
rosa conservata nell'astuccio, ancora fresca con lo stelo leggermente
ingiallito.
L'ultima grazia dal cuore della Madonna?
Per la ricorrenza del cinquantesimo
anniversario delle stimmate di Padre Pio, il 20 settembre 1968, venne a S.
Giovanni Rotondo il signor Gino Pin, conosciuto ed amato dal venerato Padre per
la sua instancabile attività a favore dei Gruppi di Preghiera del
biellese. Col Pin venne pure la sua famiglia, per passare alcuni giorni presso
il caro Padre e per prendere parte alle varie manifestazioni, che si sarebbero
svolte in quei giorni. Essendo io obbligato al signor Pin, per le tante
gentilezze avute da lui durante le mie predicazioni a Biella, pensai di fargli
cosa gradita donandogli un'immaginetta sacra con a tergo un pensiero
scritto da Padre Pio.
Nel pomeriggio del 21 settembre, alle ore 14, mentre
Padre Pio era seduto nella veranda, lo avvicinai e lo pregai di scrivermi un
pensiero dietro un'immaginetta della Madonna col Bambino Gesù. Non
gli dissi, però, che quella immaginetta era destinata al signor Pin. Il
Padre la prese, la guardò, la baciò e la benedisse; poi scrisse:
«Gesù e Maria addolciscano sempre i tuoi
dolori».
Quando lessi il pensiero, rimasi turbato. Conoscevo bene
le continue ed incessanti prove, mortificazioni, sofferenze e malattie, che da
anni pesavano gravemente sulla famiglia e sul lavoro del signor Pin. Pensai
quindi di non dargli l'immaginetta, per risparmiargli un'altra
dolorosa emozione. Alle ore 14,30, accompagnai Pin da Padre Pio, il quale si
trovava sulla veranda, in compagnia di P. Mariano da S. Croce. Padre Pio si
mostrò buono, paterno e comprensivo verso il signor Pin. Gli chiese
notizie della famiglia, gli rivolse parole d'incoraggiamento, lo
rassicurò che avrebbe pregato per lui e per la sua famiglia; poi gli
posò le mani sul capo e lo benedisse. Il Pin era molto
emozionato.
Nel riaccompagnarlo verso l'uscita del Convento, gli
diedi l'immaginetta, precedentemente benedetta e scritta da Padre Pio.
Quando il Pin lesse il pensiero di Padre Pio, con le lacrime agli occhi, mi
disse:
«Padre Alberto! Avete letto che cosa ha scritto Padre
Pio?». Gli risposi:
«Coraggio! Padre Pio è con
te». Ritornò all'albergo, dove lo attendevano le persone
care di famiglia. La sera me lo vidi ritornare, piangendo.
«Padre
Alberto! mi disse,
le parole di Padre Pio si sono avverate! Mia figlia
Maria Pia è stata ricoverata urgentemente in Ospedale con febbre
altissima, con atroci dolori addominali e con rigetto. I medici non sanno a che
cosa attribuire il malessere. Pensano ad una appendicite acuta, o ad una
peritonite perforante, o a un tumore. Domani, terranno un consulto».
Cercai di tranquillizzarlo.
Il mattino del 22 settembre, dopo la Messa
solenne e dopo lo svenimento di Padre Pio, circa le ore 8, il Pin, addolorato e
disfatto per la notte insonne, venne da me e mi disse:
«Padre Alberto!
Maria Pia è grave... sta molto male. Sono tanto addolorato per il
malessere del caro Padre Pio e di mia figlia. Non so che cosa fare. Vorrei
partire subito per Biella e portarmi la ragazza a casa. Se dovesse succedere
qualche disgrazia, già mi troverei a casa mia. Vorrei un consiglio da
Padre Pio come regolarmi. Forse, in questo momento, chiedo una cosa
impossibile...». Gli risposi:
«Vado a vedere se Padre Pio si
è riavuto e se è in condizioni di darmi il
consiglio».
Andai sulla veranda, dove Padre Pio era seduto ed
assorto in preghiera con la corona del rosario nelle mani, assistito dal Padre
Onorato. M'inginocchiai e lo chiamai; ma non rispose. Era assorto,
sembrava fuori di sé. Allora gli diedi, con le dita, un colpetto su un
ginocchio e il Padre, come se avesse ricevuto una scossa, abbassò lo
sguardo verso di me e disse:
«Che cosa vuoi?».
Gli
raccontai in breve quanto era accaduto al signor Pin e poi dissi:
«Padre, il Pin vuole un consiglio. Che cosa deve fare? Deve portarsi la
ragazza a Biella o deve lasciarla ricoverata in questo Ospedale?».
Padre Pio, senza esitare, mi rispose:
«Resti in questo Ospedale. Se
è necessaria l'operazione, sia operata qui e non a Biella. Io
pregherò». Soggiunsi:
«Padre! Il signor Pin è
povero e non può sostenere tante spese per trattenersi con la famiglia a
San Giovanni. Perché non strappa dalle mani della Madonna la guarigione
della ragazza, senza l'operazione?...». Padre Pio, guardandomi
con uno sguardo profondo, rispose:
«Sì...
pregherò».
Gli baciai la mano e andai giù, dove mi
aspettava il Pin, il quale, sentita la risposta del Padre, si
rasserenò.
Alle ore 11, il dottore Gusso, Direttore
dell'Ospedale, ed alcuni medici andarono a visitare la ragazza; ma, con
loro meraviglia, constatarono che non aveva più nulla. La dimisero subito
dall'Ospedale.
Prima di volare al cielo, Padre Pio aveva strappato,
forse, l'ultima grazia dal cuore della Madonna.
La sera del 22
settembre, vigilia del suo sereno transito, la folla immensa dei figli
spirituali, ammassati nel campo dirimpetto alla finestra della sua cella,
cominciò a cantare inni religiosi e ad invocare Padre Pio.
Il caro
Padre, sorretto dal Superiore si avvicinò alla finestra, con le lacrime
agli occhi, rivolse a tutti una buona parola e impartì la benedizione. Un
grido formidabile si elevò al cielo:
«Padre Pio, ti vogliamo
bene; ancora per molti anni con noi!...Vita!...Vita!...Vita!» Padre Pio
emozionato rispose:
«Vi aspetto tutti in Paradiso». Alle ore
due di notte, Padre Pio si sentì male. Padre Pellegrino gli diede
l'assoluzione e la sacra unzione. Padre Pio esclamò:
«Vedo
due mamme... quanto sono belle! Vengono a prendermi». Spirò
dicendo:
«Gesù, Maria».
La salma di Padre Pio
esposta per tre giorni nel centro della Chiesa, fu portata in processione per le
vie principali della città di S. Giovanni Rotondo, sotto una continua
pioggia di fiori, accompagnata da alcuni Vescovi, dalle Autorità
Religiose e Civili, da centinaia di Sacerdoti e di Frati e da migliaia di
fedeli.
PADRE PIO, UOMO DI QUESTO MONDO
Nessun grande santo - è stato scritto
- è un sognatore ozioso; al contrario, gli autentici amanti di Dio sono
intensamente personali, perfettamente naturali, umani e appassionati.
In
essi la loro esemplare umanità è sublimata, ma non cancellata
dalla grazia: la santità fiorisce, se Dio aiuta, dappertutto ed ogni
ambiente le può giovare, ogni condizione di vita le può essere
propria, quando
«l'incontro delle due volontà divina e
umana» vi provocano la vittoriosa
«scintilla della
carità»; mentre da maldestri agiografi l'elemento umano
sovente è mortificato, quando non lo si lascia addirittura cadere come un
fastidioso ingombro, che obnubila lo splendore del proprio eroe. È un
conforto sapere che tutti i santi non sono nati santi, e che sono creature
anch'esse come noi,
«nutriti con lo stesso cibo, curati con gli
stessi mezzi, riscaldati e raffreddati dalle stesse stagioni estive ed
invernali», e che lottano per risolvere lo stesso problema umano del
peccato e della tentazione che ogni giorno aggredisce noialtri.
Soltanto
non si deve accentuare troppo la nota umana, perché
«è una
sciocchezza», anche se intesa a fin di bene, esagerare le doti naturali
di un santo. In tal modo si finisce di relegare in penombra l'elemento
costitutivo della stessa santità:
«l'azione di Dio nella
creatura».
Padre Pio a noi sembra è un modello perfetto:
«gronda» spiritualità e
umanità.
Faccia gialla di poca luce
Seduto in uno stallo del coro - racconta
Antonio Baldini - di lato alla finestra che dava sulla valle, c'era tutto
solo un fraticello che a sentirci entrare volse ridente verso di noi
«una faccia gialla di poca luce con due occhietti interrogativi.
Pregava? Dormiva? Conversava cogli angioli? [...]
.
Con quegli
occhietti interrogativi di sotto una fronte quadrata di coscritto [...]
e
poi con un fil di voce ci chiede donde venivamo e dove eravamo diretti
[...]
come se ci confessasse e con un'espressione esagerata di
meraviglia [...]
. Poi volle sapere con chi e perché eravamo venuti
sul Gargano, ma tutto questo ce lo domandava col tono assente e manierato del
maestro elementare che parla con uomini che già furono suoi scolari con
le stesse inflessioni di voce di trent'anni prima».
Antonio
Baldini stese questo «servizio», da noi appena accennato, nel lontano
1925 e lo rimise in circolazione nel 1942. Giudicato, da un altro giornalista e
scrittore,
«pezzo» di mirabile prosa, è un documento
prezioso, perché indicativo del metro che i giornalisti e letterati usano
per valutare il
«fenomeno» Padre Pio.
Veramente Padre Pio
non ha mai avuto
«una faccia gialla di poca luce»: a S. Elia a
Pianisi, appena dopo il noviziato, appare
«molto bello» «di
volto e di compostezza»; passato allo studio teologico di Montefusco
(1908), nonostante il suo male persistente ed una grande debolezza generale,
«si manteneva sempre roseo in viso ed in apparenza ben
nutrito», come ce lo mostra una fotografia di tre anni dopo
(1911).
Un altro giornalista lo vede così:
«Avrà
trentacinque o trentasei anni ed è molto diverso dal suo ritratto che si
vende in paese e che si direbbe stampato dal demonio tanto è brutto.
Questo monaco che parla con noi è invece un bel giovane. Ha la barba di
un colore biondo scuro, i capelli grigi alle tempie, lo sguardo sereno e mite,
la voce dolce; una voce che appena udita scende nell'anima e non si
dimentica più. Ho l'impressione, udendolo e guardandolo, che egli
solo, semplice come il più semplice dei frati, ignori la fama di
santità che lo circonda».
E un anno dopo (1924) ad un
corrispondente de «Il Messaggero» non sembrò proprio che Padre
Pio avesse
«un vocino senza timbro - sempre secondo il Baldini -
di grillo parlante»; ma ne constatava, al contrario,
«la
regolarità e la pienezza del suo volto, su cui i capelli, la barba ed i
baffi da forti riflessi, cari al pennello di Tiziano, aggravano il perlaceo
pallore; la statura media [...]
; occhi neri, di una dolcezza raramente
colta in altri occhi [...]
; voce che ha tutte le armonie della più
squisita e raffinata seduzione».
Padre Pio non è un santo
impastato di zucchero e miele (esiste realmente un tale santo?) ma ha la taglia
di un antico guerriero:
«Lo scrutai. Un frate come gli altri. Un
cappuccino con la barba brizzolata come se ne vedono parecchi in giro
[...]
. D'un tratto, avvertendo un certo brusìo alle spalle, si
voltò e disse, forte, con voce che non ammetteva disubbidienza:
"Silenzio. E in ginocchio"». Era all'altare per
iniziare la celebrazione della santa Messa.
«Pensai: questo è un
uomo deciso, che sa farsi ubbidire [...]
. Mi venne in mente
l'immagine di un altro cappuccino; piccoletto, quasi rattrappito dagli
anni, tutta dolcezza; padre Leopoldo, avvicinato a Padova in tempi per me
dolorosissimi. Se volevo cercare un'antitesi totale, assoluta nei
confronti suoi, l'avevo trovata in questo Padre Pio, che mi era apparso
all'improvviso di fronte di statura attorno alla media, robusto, forte,
nella persona e nei modi» (1).
Giambattista Angioletti confessa
candidamente (agosto 1950) di essersi formata l'idea di un Padre Pio
«fraticello» ed invece vede venirsi incontro
«un antico
guerriero dalla tonaca scura aperta sul collo» e rimane
«attonito a guardare quell'uomo inaspettato, così
impreveduto, pieno di energia e di vigore, e che invece di cose sacre parlava di
cose terrene, della politica di oggi, della riforma agraria, infierendo contro i
fiacchi, contro i pavidi, fustigando con la parola quel nostro amico
trasecolato, sol perché non si era mostrato animoso e inflessibile quanto
lui».
Quello, dunque, era Padre Pio: il santo sacerdote, il
taumaturgo, il portatore di stigmate!
«Fulmineamente ebbi la
certezza che la vera grande fede scaturisce dall'energia, anzi - ma non
vorrei essere frainteso - dalla violenza, da un indomabile spirito battagliero;
e che a scacciare il male dal cuore degli uomini due sono le armi adeguate, la
dolcezza prima e poi, insostituibile, la forza; né l'una disgiunta
dall'altra può far nulla».
E guardando
l'«antico guerriero dalla tonaca scura aperta sul collo», il
giornalista letterato si figurava S. Francesco d'Assisi simile a lui,
cioè lontanissimo dall'immagine esaltata dagli esteti
dell'umiltà e della povertà apparente, bensì tenace,
deciso, instancabile.
Il volto del frate
«era affascinante: la
fronte possente e priva di rughe malgrado l'età avanzata, le
sopracciglia scure e spesse, lievemente volte all'insù, sopra gli
occhi lunghi percorsi da un lampeggiare continuo, occhi di una purezza di
diamante».
Il naso largo, la barba bianca e nera tutto intorno
alla guancia e al mento robusto, accentuavano l'impressione di trovarsi di
fronte a un «rustico condottiero». E la sua voce
«squillante
nell'accento meridionale, non aveva mai timore di farsi udire
perché nulla trovava da travisare, né mai era fermata da un attimo
di pentimento».
Sempre parlando - era tempo di ricreazione
serotina - e camminando in su e in giù per l'orto, Padre Pio si
tirava dietro altri confratelli e laici e gli altri visitatori occasionali,
«come se quel corpo, non alto eppure dominante su tutti gli altri,
avesse il potere di una calamita».
«Quest'uomo che
porta nella sua carne, apparse un giorno ormai lontano dopo una breve estasi, le
cinque piaghe di Gesù crocifisso e trafitto», par quasi non
accorgersene, o almeno li considera fatti privati dei quali la gente non si
dovrebbe interessare:
«Se fosse possibile, nei santi, qualche barlume di
vanità, questa certo non apparirebbe mai in Padre Pio. Quello che invece
lo esalta e lo accende ogni giorno, è la dedizione agli altri, la
passione per i problemi concreti degli uomini. Operare per il bene dei viventi,
specie quelli che soffrono, è la sua unica missione».
Non
è
«uggioso», «retrivo», «moralista»
e neppure
«un utopista». «Gli basta che gli uomini,
anziché perseguire una impossibile perfezione sulla terra, si astengano
dal compiere il male, soprattutto il male dettato da astratte ideologie o da
sfrenata cupidigia di sopraffazione. Inutile aggiungere che in ciò
consistono anche le sue opinioni politiche, le stesse che egli, contro tutti se
è necessario, mai si astiene dal proclamare».
Rivela un
carattere, un temperamento, una individualità così potenti, che
anche chi non militi fra le schiere dei devoti deve arrestarsi davanti a lui con
animo reverente.
Non ci colpisce tanto la spiegazione - conclude il
giornalista - più o meno ortodossa, o più o meno scientifica dei
suoi miracoli,
«quanto il rivelarsi costante di una personalità
così completa, così aliena dagli interessi che fanno meschina la
folla degli abitatori della terra. Che Padre Pio sia un santo, nessuno di noi ha
il diritto di sostenerlo, oggi [1950]. Certo è un uomo. Un vero uomo, che
abbiamo avuto la ventura di incontrare, in tempi di inganni e di paure, in uno
sperduto villaggio del Sud».
Chi ha avuto la fortuna di conoscere
Padre Pio e di incontrarsi con lui più di una volta restava affascinato
dalla sua persona: nella sua umiltà vi scorgeva
«qualche cosa di
principesco»; dalla voce
«ben timbrata, pastosa,
dolce», che a volte cercava di essere
«dura», mezzo
scherzando mezzo ridendo, per nascondere la dolcezza del suo cuore, così
puro, amante; dagli occhi
«grandi, neri e belli», «illimpiditi
da un lungo fiducioso pianto versato nel grembo di Dio», che
conservavano fino all'ultimo giorno terreno la freschezza vivida della
gioventù, splendenti di grazia: in quelle pupille vi
«si
contemplava la grazia di Gesù Cristo».
Costante serena coerenza
All'età di trentatre anni, al
dottor Giorgio Festa Padre Pio appare di costituzione
«esile ed
emaciata», ma senza dimostrare un'età superiore a quella
che ha; di statura un po' al di sopra della media, non offre
«nessuna anormalità a carico delle articolazioni e dei muscoli
degli arti», ed ha tuttavia
«un'andatura, ora più
ora meno, manifestamente incerta» per le sofferenze che gli procuravano
le lesioni che presenta ai piedi:
«I lunghi anni trascorsi dal tempo
delle mie prime visite non hanno minimamente cambiato in lui le linee del volto,
gli atteggiamenti della persona, il carattere, lo stato interiore ed apparente
dello spirito. Il suo volto pallido, in contrasto col colorito roseo delle
labbra, è incorniciato da una barba breve, bruna, appena ravviata; ed
illuminato da uno sguardo sempre limpido, dolce sorridente. La fronte alta,
diritta e spaziosa, rispecchia la serenità dell'anima e la
intelligenza della sua mente» (2).
Cuore normale, polso piuttosto
frequente nello stato di riposo (90 battiti al minuto), respiro vescicolare
normale in tutto l'ambito toracico, salvo una certa debolezza respiratoria
nella regione dell'apice polmonare destro, dove però non si sentono
rantoli né altri rumori polmonari anormali, Padre Pio fu esonerato dal
servizio militare con la diagnosi di infiltrazione apicale, in seguito ad esame
radiologico, ma tale diagnosi non trova riscontro nell'indagine clinica,
per quanto più volte, ed anche in epoca recente, accuratamente
eseguita.
Per ciò che più particolarmente può
riferirsi alle funzioni del
«sistema nervoso centrale», Padre
Pio
«non ha mai avuto convulsioni, non deliqui, non paresi, neppur
transitorie, in nessuna regione del corpo, non fenomeni di eccitazione,
né di depressione psichica. Nulla, dunque, dalle ricerche eseguite appare
che permetta di supporre in lui una disposizione, sia pur lieve, a
manifestazioni neuro o psicopatiche di qualsiasi natura. Al contrario, durante
le indagini compiute sulla sua persona e nel corso delle nostre lunghe
conversazioni, ho più volte avuto modo di raccogliere le prove della
costante e serena coerenza che caratterizza ogni suo atto, ed il perfetto
completo equilibrio del suo sistema nervoso, le facoltà della sua mente e
le speciali prerogative delle quali il suo spirito si mostra dotato»
(Festa G., Padre Pio
o.c., p. 151).
Pensieri, giudizi e scritti
rivelano un equilibrio così perfetto nelle prerogative della sua anima e
una dirittura così rettilinea della sua mente,
«da far escludere
in modo perentorio l'esistenza in lui di una qualsiasi delle pretese tare
psicopatiche colle quali dalla sdrucita retorica di certi maestri di psicologia
si vorrebbero anche oggi spiegare le più sorprendenti manifestazioni di
una vita che, sfuggendo misteriosamente alle indagini della scienza, si svolge
in modo incontrollabile, al di fuori e al di sopra delle ordinarie leggi della
natura» (ivi, p. 141).
In lui si osservano fenomeni che,
oggettivamente parlando, sfuggono al controllo di ogni legge naturale e
scientifica: le notevoli
«ipertermie» da far salire con tanta
rapidità la colonnina mercuriale sino alla temperatura di 48°; C.; il
«profumo» fine e delicato che emana dal sangue sgorgante dalle
ferite che presenta sulla sua persona; il fenomeno, ancor più
interessante, della
«stigmatizzazione».
Inoltre, per la
nutrizione estremamente scarsa e per la mancanza anche di quel minimo di tempo
che la natura avrebbe il diritto di reclamare a ristoro della fatica
giornaliera, manca una
«ragione» di equilibrio nel bilancio
delle sue forze organiche,
«e tuttavia l'energia del suo spirito,
della sua mente e della sua volontà si conservano meravigliose, tanto
che, tranne una breve ora di riposo che egli si concede dopo il pasto meridiano
per meglio potersi concentrare nella solitudine della sua cella, dalle prime ore
del mattino all'imbrunire, spesso anche a notte alta, dedica tutto il suo
tempo alla confessione e alla conversazione coloro che si recano a
visitarlo» (ivi, p. 124 s; cf. anche pp. 138-140).
Cuore d'oro
Vive con noi - attesta uno dei tanti, che
con Padre Pio aveva una certa dimestichezza -
«con un senso di vera
umanità», ama di vero
«amore umano, con gl'impeti,
le ansie, gli abbandoni e le tenerezze improvvise», che solo da un gran
cuore possono uscire: è
«Padre nel più vasto senso della
parola, perché con il suo spirito abbraccia tutta la nostra
umanità, amando i suoi figli prima di essere amato».
Di
questo argomento, così incoraggiante per la debolezza spirituale di noi
uomini comuni, si può parlare molto a lungo, con la lieta conclusione - e
per molti anche sorpresa - che una creatura più è santa e
più vive da uomo, come Dio intende e vuole.
Padre Pio ama tanto, da
definirsi un
«malato di cuore»; e pur riconoscendo per
esperienza diretta che è una
«brutta cosa vivere di
cuore», il suo è un
«vulcano sempre
acceso».
Chi ebbe la fortuna e la gioia di vivergli accanto
esperimentò un po' del calore di quel vulcano, e tenta, alla
meglio, di dirne qualcosa, definendolo - non trovando altra espressione -
«cuore d'oro»: «Il cuore di Padre Pio! No, non riesco a
tradurre l'armonia gentile che lo spirito di Dio vi alitava dentro. Per me
è stato un eterno bambino, esultante alle sorprese che gli si
procuravano, dalla presa di tabacco all'offerta di un cioccolatino.
Gustava il delicato piacere dell'amicizia, purificata e garantita dalla
povertà. Sensibilissimo alla minima cortesia che riceveva e che
ricambiava con preghiere e grazie di vita eterna. Penetrantissimo, di una
sensibilità di mimosa, intuiva a distanza il desiderio degli uomini e
rispondeva a chi lo amava con immediata prontezza. Se ne era accorto anche il
cane del convento se trovava la porta aperta che mena nell'orto, si faceva
la sua passeggiata sino alla camera del Padre, raspava un istante vicino
all'uscio e andava via solo quando il Padre gli diceva: "Beh, adesso
basta: puoi andar via!".
Cuore d'oro Padre Pio! Anche
per quelli, e forse di più, che ricevevano qualche strigliata. Il senso
di umanità e di bontà che gli riluceva negli occhi è
difficile precisarlo con parole».
L'uomo che viveva con Dio,
provava anche lui gioia di conversare con gli uomini: gli sarebbe piaciuto -
continua p. Pellegrino da S. Elia a Pianisi - avere vicino tutti i suoi figli
spirituali e tutti i suoi confratelli, salutando il loro arrivo con gioia
festosa e rattristandosi, se pensava alla loro partenza
«e pregava come
un bambino: "E resta un altro poco, statti un po' con me qualche
altro giorno!"».
Non dimenticava mai d'inviare i suoi
saluti a tutti gli amici e confratelli lontani, che conosceva e sapeva in attesa
di un suo ricordo,
«il confratello poi o l'amico non si contentava
di abbracciarlo una sola volta. Anzi, bonario, con il viso atteggiato ad un
furbo sorrisetto e con gli occhi ridenti, prendeva garbatamente in giro (con una
mimica quanto mai indicativa e penetrante) quelli che si salutano con abbracci e
baci non sentiti, forzati, finti» (3).
Nella vita di un uomo tutta
di Dio, qual'è quella di Padre Pio, non è raro il caso di
gesti delicatamente umani:
«Il 16 ottobre - racconta un padre
vicario del convento di S. Giovanni Rotondo -
ricorreva il mio onomastico.
Come sempre, mi ero ritirato in ufficio a lavorare. Non avevo veduto il Padre ed
aspettavo, perciò, con impazienza le ore 11 per salutarlo. Quella mattina
non sentii il suo passo cadenzato e strisciante, accompagnato dai forti colpi di
tosse. Continuavo il mio lavoro quando, all'improvviso, mi sembrò
che qualcuno si fosse fermato vicino all'uscio e lo toccasse
delicatamente. Insospettito, mi alzai ed aprii. Era lui: sorridente e un
po' imbarazzato come un fanciullo sorpreso dalla mamma a fare qualche
marachella. "Auguri" mi disse; e togliendo dalla toppa dove
l'aveva inserito, mi diede un fiorellino. Lo ringraziai commosso e gli
baciai la mano. Conservo quel fiorellino tra le mie cose più
care».
Il suo atteggiamento, in qualche occasione, è quello
di un avvocato che vuole a tutti i costi salvare il reo e non danneggiare
l'innocente:
«Era sempre pronto a piangere sul reo e
sull'innocente, come se i guai dell'uno fossero staccati e
indipendenti da quelli dell'altro. E poi il cuore non si controlla e i
sentimenti di tenerezza non sono frutti di riflessione, ma impulsi
primitivi».
L'applicazione di certi principi è meno
rigida di altri moralisti, perché sostenuta da un sottofondo di
comprensione e di bontà, ammorbiditi da circostanze attenuanti, spinte
sino ai limiti ultimi del lecito.
La sua tenerezza ha forme impreviste,
profonde:
«Tutte le feste della Chiesa - diceva -
sono belle. La
Pasqua, sì, è la glorificazione... ma il Natale ha una tenerezza,
una dolcezza infantile che mi prende tutto il cuore». E difatti in
qualunque giorno della seconda metà dell'anno gli si domandava
quanti giorni mancavano a Natale, egli rispondeva subito con precisione
enumerando i giorni e certe volte anche le ore.
Questa sua paternità
amorosa fa parte di quella visione bella e chiara della vita, che palpita in lui
di un ritmo largo e possente. Vive, e sa vivere, ovunque, con chiunque. Tratta
familiarmente con tutti e familiarmente risolve tutti i problemi, anche quelli
vasti e complicati. Sa amare genuinamente e semplicemente, come ama e si
comporta un
«uomo naturale», di una semplicità e
sincerità incapace di ingannare o di dire un
«sì»
per un
«no».
Nei giorni di canicola sente il caldo e va in
cerca di una boccata d'aria fresca; nei crudi inverni il freddo lo
tormenta e non rifiuta la vampa di frate fuoco:
«Le sue mani ed i suoi
piedi stigmatizzati non sono mai riscaldati abbastanza. L'inverno scorso
[1925] - è un amico che lo riferisce -
si metteva vicinissimo ad
una gran fiammata, accanto alla quale nessuno poteva resistere e, tolte le
scarpe, metteva i piedi a pochi centimetri dalla fiamma, tenendoli per delle
mezz'ore e talvolta fino a un'ora sovra il fuoco. Sovente si vedeva
la calza fumare, qualche volta anche la si abbruciava».
Quando si
sente spremuto dal torchio di pesanti prove, Padre Pio ricorre a Dio, offre a
lui le sue sofferenze, ma va in cerca anche di un sostegno e di una persona
umana e non nasconde le lacrime: sono i
«fiottarelli» della
natura - come li chiama Leonardo da Porto Maurizio - rimasti anche nei santi,
nostri amici e modelli, che con il loro comportamento insegnano a noi poverelli
come possiamo sfogarci filialmente con il Signore senza offenderlo.
Non
prende la morte a cuor leggero, come coloro che dicono di aver lo spirito tutto
intento alla nuova vita:
«Anche l'umanità - diceva -
vuole la sua parte».
Alla morte della mamma - dopo averla
assistita con attenta e delicata premura - dà sfogo, come un torrente
impetuoso, al suo amore di figlio, ripetendo chissà quante volte tra
singulti e lacrime:
«Mammella mia, mammella mia!...»,
rimettendosi poi completamente alla volontà di Dio.
La stessa scena
si ripete alla morte del padre ed alla improvvisa scomparsa del dottor Guglielmo
Sanguinetti si addolorò moltissimo, tanto da risentirne anche nel fisico
per molti giorni, pur continuando il quotidiano lavoro.
La misericordia lo
trascinava, a volte, in una complicità che potrebbe sembrare strana in un
uomo di Dio; lui, così nemico del peccato, sapeva discernere caso per
caso, e perciò a chi una frustata, a chi un sorridente abbraccio; solo
chi lo conosceva troppo bene poteva accorgersi che egli dissimulava per non far
soffrire i suoi fratelli.
Per contenere nei limiti di un saggio questa vita
di Padre Pio, siamo costretti a staccarci dal suo
«cuore
d'oro», aggiungendo soltanto qualche altro particolare di questo
- per noi - capolavoro di santità e di umanità, attingendo sempre
da fonti a lui vicine.
Manifestava fino alla commozione la più
limpida nobiltà di cuore nel ringraziare per un piacere ricevuto,
specialmente se un sacerdote gli offriva l'applicazione di una santa
Messa;
«sembrava a volte che si sottraesse addirittura alle proprie
rigide norme, perché l'umanità e la tenerezza di cuore verso
i sofferenti porta talvolta a un contrasto reale o apparente con qualche altro
dovere [...]
. Sentimenti di intensa compassione sorgevano
nell'anima sua, allorché gli si presentavano gli ammalati,
specialmente se piccoli. A volte restava come paralizzato, e non riusciva a far
altro che piangere su di essi. Disse infatti una volta: "Oh, se potessi
distruggere il dolore dalla faccia della terra!" Ma subito si corresse:
"E chi sono io che voglio fare quello che Dio non
fa?"».
Lui - Padre Pio - è il vero poeta della vita,
di cui fa un inno di lode e di ringraziamento a Dio. Disse una volta:
«Chi vuole amare può. Basta togliersi quello che è
disordine. Entrando nell'ordine si ama Dio!» Un frate esclamò:
«Sì, sì spogliarsi di tutti gli affetti delle
creature!». «...No, amare Dio e tutto il
creato!».
Verace figlio di Francesco d'Assisi, non accetta
l'opposizione tra creazione e Creatore: non è la natura che
è corrotta, ma è la volontà che la corrompe; non si onora
affatto il Creatore, maledicendo la creatura, quasi che il Dio redentore ci
impedisca di credere nel Dio creatore.
La natura è cattiva soltanto
se si stacca da Dio, il pensiero del soprannaturale non fa diventare miserabili
le cose di questo mondo, ma ridona ad esse la interiorità di cui sono
state svuotate ed il santo reale ci mostra il mondo come è stato voluto
da Dio: è una luce che Dio mette nel mondo e che lo rischiara tanto
più quanto meno ne vediamo la sorgente.
Il meno mistico
Nel 1929 si reca a S. Giovanni Rotondo lo
scrittore Riccardo Bacchelli, con l'animo
«disposto a rispettare
un fatto ed a scrutare un uom senza vana curiosità». Discorrendo
del più e del meno,
«scherzando anche», lo scrittore non
capì se parlando di argomenti seri Padre Pio
«si esprimesse con
giustezza e criterio, come faceva, per naturale buon discernimento o per
esercizio di studio. Diceva cose fini con parole illetterate, di solida
semplicità insolita. Così, discorrendo di un suo detrattore
invelenito, si espresse con risoluzione e fermezza, con una severa
carità, che mi dissero molto sulla saldezza convinta dell'animo
suo. Questa nasceva da un non so che di più spontaneo e nativo della
umiltà ascetica e degli esercizi spirituali, che avevano contribuito a
fortificarla.
Parlando d'una ritrattazione del detrattore
(pare, assai violento e velenoso), e dicendosi che costui pareva dire e fare sul
serio nel pentirsi, il frate disse: "Questo lo spero per lui; per me non
ne ho bisogno". Delle stimmate e dei miracoli non si discorre, quasi ci
fossero usciti di mente. E questo, per quel che ne posso dir io con criterio
naturale, mi fece al ripensarci più disposto alla meraviglia ed al
rispetto insieme. Tale è stato il mio incontro con uno che un giorno
sarà forse sugli altari, e che vive nella valle che fu di Giano, ed
è oggi francescana, in Gargano».
Un altro scrittore, fra i
tanti, racconta anche lui le sue impressioni.
A S. Giovanni Rotondo non
esisteva l'immenso ospedale e la sofferenza era diffusa un po'
dovunque, tra rocce e case, su stradicciole e sul sagrato del convento, quando
arrivava il letterato fiorentino, in compagnia della sua educazione estetica che
gli faceva concepire certi religiosi soltanto in atteggiamento ispirato,
«con gli occhi rivolti al cielo, la fronte illuminata da un raggio di
luce, le braccia aperte o incrociate sul petto».
Perciò nel
coro dei Cappuccini ricercava tra le ieratiche figure in preghiera, quella di un
Padre Pio secondo la sua estetica immaginazione, ed invece
«era di no.
Padre Pio non aveva né occhi estatici, né barba fluente. Padre Pio
era colui che io avrei definito il meno mistico. Invece di provarne delusione,
ne fui soddisfatto, temevo, infatti, di trovare una copia di maniera, e invece
scoprivo una figura originale. Temevo d'incontrare, non dico un
simulatore, ma per lo meno un imitatore di santità, ed invece ero di
fronte, semmai, ad un ostentatore di naturalezze, o meglio, ad una rivelazione
di sincerità».
La seconda sorpresa, assieme ad una profonda
impressione, l'ebbe la mattina dopo in chiesa. Accanto all'altare
maggiore, l'immagine di Padre Pio gli appariva di profilo:
«Notai - dice -
durante la lunghissima celebrazione, certi
movimenti del suo viso. Stringeva le palpebre arrossate, facendo quasi una
smorfia [...]
. Piangeva. Piangeva come piange chi non sa o vuole
piangere; chi non può raffrenarlo, ma lo reprime e contrasta
[...]
, un pianto tormentoso, antidrammatico: un pianto
vero».
La stessa mattina attorno al confessionale di Padre Pio la
gente si accalcava, si spingeva, quasi altercava: spettacolo di rude ed anche
primitiva devozione. Ed il visitatore letterato si teneva in disparte, con una
discrezione che aveva dello schizzinoso, e con una ritenutezza che aveva della
titubanza:
«Indugiai a lungo, più osservando gli altri, in
atteggiamento di disappunto, che indagando la mia coscienza, con sentimento di
contrizione. Fosse ormai tardi o non meritassi altra accoglienza, quando giunsi
ad inginocchiarmi al confessionale, Padre Pio mi sbatacchiò lo sportello
sul viso, s'alzò ed uscì borbottando. Intercede
l'amico; e nel pomeriggio Padre Pio mi accolse nella sua cella, per
confessarmi.
Nell'atteggiamento, nei suggerimenti, negli
ammonimenti, non fu diverso da un parroco di campagna. Nessuna parola fuor del
comune, nessuna espressione sublime. Nulla di straordinario, per me che
evidentemente non ero che un ordinario peccatore. Ricordo che accusandomi delle
eccessive preoccupazioni familiari, mi batté sulla spalla, dicendomi:
"Coraggio, coraggio, i figli non sono chiodi!"».
Terza
sorpresa, terza lezione che gli venne da Padre Pio,
«frate privo di pose
ascetiche, sacerdote privo di atteggiamenti mistici, confessore privo di
raffinatezze spirituali, almeno con me, che forse mi sarei compiaciuto, se fossi
stato trattato come un penitente di eccezione, o per lo meno di riguardo
[...]
. Padre Pio è Padre Pio. A parte la santità, che non
spetta a noi proclamare, è un uomo capace di superare tutte le
previsioni, di sconvolgere tutti i disegni, di smentire tutti i preconcetti. La
sua autenticità, la sua originalità, la sua genuinità sono
fuori discussione. Al di sopra di ogni sospetto sono la sincerità della
sua anima e la potenza del suo spirito. Me ne resi conto personalmente, in
quella lontana visita a S. Giovanni Rotondo; ne abbiamo le riprove nelle opere
che attorno a lui fioriscono, con prodigiosa fecondità, sull'aspra
terra garganica, e su quella anche più aridamente ingrata
dell'umana sofferenza».
Il letterato fiorentino è
Piero Bargellini (4).
Padre Pio: uomo privo di pose ascetiche, accessibile
a tutti, spontaneo e naturale, aperto e amabile con tutti gli uomini che
incontra sulla sua strada, per sostenerli ed aiutarli con la sua presenza,
continuamente;
«uomo semplice, frate comune», che vive nel
più comune e normale dei modi
«la più straordinaria e
anormale delle avventure»: portare nella sua carne le stigmate di
Cristo, vivere l'Agonia e la Passione di Cristo tutti i giorni e tutte le
ore e in tal guisa che gli altri non se ne debbono accorgere, mostrarsi uguale
agli altri, uguale con tutti, senza rifiutarsi a nessuna condizione
umana.
Pura e santa semplicità, sorella della santa umiltà,
che scava quel vuoto dell'anima, per preparare lo spazio vuoto a Dio che
verrà a riempirlo: chi si umilia riceve più abbondantemente la
grazia, perché crea in sé la china che permette a Dio di
discendere fino a lui.
Padre Pio credeva veramente che, se il Signore
avesse conferito ad un ladrone, ed anche ad un pagano, tanti beni quanti ne ha
dati a lui, essi sarebbero stati più fedeli di lui al Signore:
«Io riconosco benissimo - afferma -
di non aver in me niente che
sia stato capace di attirare gli sguardi di questo nostro dolcissimo
Gesù. La sola sua bontà ha colmato l'anima mia di tanti
beni» (
Epist. I, 307).
Anche chi lo guarda con occhio
clinico ravvisa in lui un atteggiamento
«modesto»,
«compunto», espressione del viso buona e sincera, che ispirano
«simpatia», senza nulla che vi sia di
«particolarmente
attraente» nel suo modo di parlare.
Natura
«semplice e
timida» lo giudica il dottor Festa, desiderosa di sfuggire
all'attenzione altrui e
«gli stessi segni che porta impressi sulla
persona, lungi dall'esser motivo di soddisfazione, costituiscono per lui
una vera sorgente di mortificazione. Nel suo insieme la persona di Padre Pio,
soprattutto nelle linee del volto e nello sguardo, rivela un che di così
semplice, di così buono, talora di così infantile, che ispira
simpatia e desta l'impressione di una grande sincerità. La vita che
egli conduce nell'eremo che lo accoglie è semplice ed austera.
Umiltà e modestia caratterizzano il suo spirito, che costituiscono una
delle più simpatiche attrattive di chi lo avvicina» (Festa G.,
o.c., pp. 132, 134, 143).
La
«china» che egli
preparava a Dio, ogni giorno diventava sempre più ripida e perciò
Egli discendeva fino a lui con impetuosità, elargendo al suo servo fedele
sempre nuovi beni e
«la creazione non finiva mai di fiorire»:
come in S. Francesco d'Assisi, suo amato e imitato padre, la
spiritualità discendeva nella vita quotidiana e la trasfigurava. Il
minimo gesto perdeva la sua materialità e lasciava trasparire soltanto la
pura intenzione che lo animava.
Con la sua affabile semplicità
disarmava tutti, anche quelli che di proposito si recavano a cercare in lui il
soprannaturale e che volevano
«vedere» qualcosa a tutti i
costi. Una sera, mentre si avviava verso il coro,
«veramente -
diceva -
non me la sento di pregare stasera; e non ho neppure la scusa del
buon volere, perché non ne ho proprio voglia!...».
Il suo
pensiero sgorga nitido e senza veli; dice quel che vuole dire con perfetta
naturalezza, proprio
«cose fini con parole illetterate, di solida
semplicità insolita». L'espressione del suo pensiero non
ha nessuna delle prerogative
«oratorie che sulle labbra di un sacerdote
potrebbero rendere smagliante ed efficace l'arte della parola; e tuttavia
questa espressione di pensiero è sempre in lui chiara, semplice, precisa,
avvincente, piena di buon senso, di valore pratico, di sapienza vera e
profonda [...] (
ivi, p. 252).
La sorgente donde egli trae le
energie del suo sapere non è lo studio, ma la continua e profonda
meditazione ed
«è forse in virtù di questa forza
meditativa, unita alla potente facoltà di intuizione che egli possiede,
che è per lui cosa facile riassumere, nella sintesi di brevi parole,
pensieri vasti e profondi».
È proprio vero che mentre noi
viviamo tra i problemi, il santo vive tra le soluzioni; o meglio, di tutti i
problemi, che l'esistenza presenta, la condotta del santo ci dà la
soluzione ed il male presente si converte in bene.
Ma di tutte le buone
qualità, di cui è ripiena la vita di Padre Pio,
l'esempio è l'attrattiva maggiore: molti, un giorno
profani in materia di religione e di fede,
«dopo aver avuto contatto con
lui, hanno sentito di un tratto mutare il loro spirito», hanno
incominciato a provare
«il fascino e la dolcezza della preghiera
soltanto dopo aver conversato con lui», a molti altri, il cui pensiero
non si era mai fermato sulle cose divine,
«l'esempio salutare e
commovente di Padre Pio era riuscito ad insegnar loro la
meditazione».
È l'esempio,
«materiato di
realtà contingenti, di fatti intimamente legati alla sua persona, quello
che più spicca nell'esame degli avvenimenti che lo riguardano e che
più va tenuto in considerazione, per poter giudicare con qualche
precisione della elevatezza del suo spirito e della severa dirittura psicologica
che presiede ad ogni suo atto» (
ivi, p. 213
s).
Rimasugli di natura
Egli - S. Bernardino da Siena - era sempre
lieto ed arguto, non di rado sarcastico. La sua dolcezza, se di dolcezza si vuol
parlare, non era languida. Era come certi bocci di fiori, che hanno la punta
come se dovessero bucare. C'era, anzi tra i frati, chi si scandalizzava
dei suoi motteggi e delle sue parole taglienti.
Fra Marcellino da Civezza
racconta che uno di questi frati, vedendone i miracoli dopo morto, ebbe a
chieder perdono con queste parole:
«O Padre mio, perdonami ch'io
mormoravo di te» (5).
Noi lo abbiamo già fatto
quest'atto di pentimento, ma non abbiamo rinunciato al principio
universale che, in questa vita - pensiero di S. Francesco di Sales -, nessuno
sarà così santo da non andar soggetto a imperfezioni.
Non
crediamo a Padre Pio quando si dice carico di
«innumerevoli
peccati», dalla
«vita avvelenata dal peccato», dal
«cuore per molto tempo focolare di moltissime iniquità»,
perché sappiamo che si tratta di pia - anche se convinta e sincera -
esagerazione assai frequente nell'agiografia cattolica, che affonda le sue
radici nell'intima conoscenza della umana debolezza e della santità
divina.
Ma non accettiamo per buone tutte le ingegnose trovate di quelli
che a tutti i costi vanno alla ricerca di chi sa quale recondito motivo
spirituale e soprannaturale in ogni gesto di poca grazia compiuto, o apparso
come tale, da Padre Pio, volendo sostenere la mancanza del pur minimo
«rimasuglio di natura» nella sua vita, dalla nascita alla
morte.
Ci danno l'impressione ch'essi temano di sminuire la
santità e perciò soffocano la sua fresca umanità e aperta
sincerità, recando così un servigio non vantaggioso al personaggio
che amano di un amore... preoccupato; e non sanno, forse, che molti santi si
servirono addirittura della collera per esercitare il loro zelo in momenti
critici e pur tuttavia
«furono dei grandi santi, i quali seppero
regolare le loro passioni come il centurione del Vangelo, che diceva ai suoi
soldati: "Andate", ed essi andavano; "Tornate", ed essi
tornavano».
Noi, povera gente, non abbiamo tanto dominio su noi
stessi; il nostro cavallo non è tanto ben domato da ubbidir prontamente
ai nostri cenni. Però anche accanto a santi che possono servirsi della
collera senza pericolo e per zelo apostolico, l'agiografia cattolica ci
presenta pure la
«irruenza» di altri servi di Dio che,
quantunque combattuta assiduamente dall'impegno ascetico, non fu mai vinta
del tutto.
Son difetti - quando pure voglia parlarsi di difetti, riflette
P. Domenico Mondrone - che stanno a ricordare che se il liberarci da essi
è un presupposto necessario per raggiungere la santità, è
vero anche che la santità non consiste nell'esser liberi da ogni
difetto.
S. Francesca di Chantal, attesta S. Vincenzo de Paoli suo ultimo
direttore spirituale, avrebbe avuto sino alla morte impazienze difficilmente
scusabili - si noti bene - secondo il modo umano di concepire, da colpe veniali.
Ed a proposito di Padre Pio,
«giornalisti, biografi e visitatori
d'ogni categoria - scrive lo stesso P. Mondrone -
sovente hanno
parlato di certa scontrosità ora faceta, ora sbrigativa e agghiacciante
usata dal Padre cappuccino con persone venutegli improvvisamente dinanzi e anche
con penitenti andati a inginocchiarsi ai suoi piedi. La fioritura di simili
episodi pare sia innegabile e abbondante: è un comportamento che
andrà studiato e spiegato. Ma di ciò avrà potuto
scandalizzarsi chi è a corto di letture agiografiche. Da anni andiamo
auspicando un'opera in cui siano raccolte e indagate quelle che diremmo le
"stranezze" di certi santi. Oltre tutto, ci aiuterebbe, un tal
libro, ad approfondire meglio quello che fa veramente santo un santo, nonostante
le dissonanze tra il divino e l'umano» (6).
Noi non abbiamo
l'intenzione di raccogliere e indagare sulle «stranezze» dei
santi, ma ci domandiamo soltanto se la scontrosità di Padre Pio
appartenga alla collera esercitata per zelo o a impazienza, almeno qualche
volta, apparentate,
«secondo il modo umano di concepire», a
rimasugli di natura. E rispondiamo: è l'una e l'altra cosa; e
perché tale risposta non appaia troppo... salomonica, cerchiamo di
spiegarci.
È stato scritto che i santi sono l'ultima parte
della vita di Gesù, che durerà fino a tanto che vi saranno dei
santi nella Chiesa, ossia sino alla fine dei secoli; ed allora anche
«l'ultima» deve essere
«tutta» simile
alla
«prima parte» e
«sin dall'inizio».
L'agiografo che vuol rispettare la verità - siccome anche i santi
vanno soggetti alle miserie umane - si trova allora a mal partito e la sua
fedeltà dipende molto dalle proprie disposizioni d'animo: chi,
convinto che i difetti del santo, combattuti ma non vinti, non nuocciano alla
sua gloria ma diano risalto al trionfo della grazia divina e coraggio ai miseri
mortali, non lascia al buio il lato umano del suo eroe, guardandosi dal
sollevarlo ad altezze inaccessibili; chi, invece, toglierebbe dal Vangelo il
rinnegamento di S. Pietro per non oscurare l'aureola del principe degli
Apostoli.
Padre Pio, per grazia di Dio, non ha mai rinnegato il suo
«dolcissimo» Gesù, ma non portava in petto un animo legnoso. Si
dispiace, se ingiustamente ripreso dal suo direttore spirituale e padre
provinciale Benedetto da S. Marco in Lamis (cf.
Epist. I, 309); si
lamenta del suo silenzio alle ripetute richieste per la facoltà di
confessare gli uomini (ivi, p. 220); difende con una certa vivacità il
diritto alla vita (ivi, p. 234s), tanto da essere richiamato da chi lo dirige
(ivi, p. 239) che in un'altra occasione lo solleva dal gran dolore per una
supposta bugia esortandolo a calmare le ansie per la venialità commessa
ed a confidare al buon Gesù la sua debolezza (
«bisogna che tu non
ti meravigli né ti avvilisca per qualche infermità del tuo
cuore», ivi, p. 237), anche se è convinto che i santi non hanno
i sensi
«avventurieri» e tengono sempre in freno le tendenze
«discole».
Il discepolo sa, quanto il suo direttore, che
con la pazienza possediamo la nostra anima, e più sarà perfetta,
più il possesso sarà intiero, sicuro; eppure, confessa
candidamente il discepolo, in certe
«ansie accesissime» dello
spirito,
«senza che lo voglia, vado soggetto ad atti d'impazienza.
E questa è un'altra spina che mi trapassa il cuore»
(
Epist. I, 883); si rammarica che
«qualche volta»,
«anche senza volerlo e senza avvertirlo», gli accade
«di
alzare un po' la voce in ciò che riguarda la correzione. Conosco
essere una debolezza riprovevole, ma come fare per poterla evitare se mi accade
senza accorgermene? Eppure prego, gemo, mi lamento con nostro Signore per
questo, ma non ancora mi esaudisce a pieno. E nonostante tutta la vigilanza che
vi pongo in questo, qualche volta mi tocca di fare quello che purtroppo io
aborrisco e voglio evitare. Continuate anche voi a raccomandarmi alla divina
pietà» (
Epist. I, 1170).
P. Benedetto da S. Marco in
Lamis, parlando dell'ira, sorella maggiore dell'impazienza, esorta a
non scoraggiarsi e consiglia a raccoglierla sempre, come si fa col gomitolo, e
dire dolcemente a Gesù:
«Vedi?...Voglio pazientare d'essere
impaziente» ed alla
«debolezza riprovevole» di Padre
Pio dà il seguente consiglio e penitenza:
«Non ti agitare per gli
scatti, quantunque non ti devi mai quietare. Se il Signore non ti dà la
grazia della perenne e continua dolcezza, è per lasciarti una base di
esercizio alla santa umiltà. Imponiti per penitenza, ogni volta che ti
scappa il freno, di mostrarti subito due volte più soave. Con
l'incoscienza non vi è colpa e specialmente negli atti repentini.
Io penso che si tratta di un residuo dell'abitudine già
contratta» (
Epist. I, 1172).
Il figlio spirituale, docile,
si impegna a possedere completamente la virtù della dolcezza e comunica i
suoi sforzi al suo
«sempre carissimo padre». «Madama dolcezza
pare che vada un po' meglio, ma non sono neppure io soddisfatto. Ma non
voglio perdermi d'animo. Son tante, padre mio, le promesse che ho fatto a
Gesù ed a Maria. Io voglio questa virtù mediante il loro aiuto ed
in ricambio, oltre a mantenere le altre promesse fatte loro, ho promesso anche
di formare oggetto delle mie assidue meditazioni ed ancora assiduo soggetto
delle mie insinuazioni alle anime. Vedete dunque, padre, che non me ne rimango
indifferente nella pratica di questa virtù. Aiutatemi con le vostre e con
le altrui preghiere» (
ivi, p. 1144).
E gli spiega
anche la causa delle
«sfuriate»: divorato dall'amore di
Dio e del prossimo, con Dio sempre fisso nella mente ed a lui legato in tutte le
potenze interiori continuamente, le
«sfuriate» sono causate
proprio
«da questa dura prigionia, chiamiamola pure fortunata. Come
è possibile vedere Dio che si contrista pel male e non contristarsi
parimenti? Vedere Dio che è sul punto di scaricare i suoi fulmini, e per
pararli altro rimedio non vi è se non alzando una mano a trattenere il
suo braccio, e l'altra rivolgerla concitata al proprio fratello, per un
duplice motivo: che gittino via il male e che si scostino e presto da quel luogo
dove sono, perché la mano del giudice è per scaricarsi su di esso?
Credete pure, però, che in questo momento il mio interno non resta punto
scosso e menomamente alterato. Non tento altro se non di avere e di volere
quello che vuole Dio. Ed in lui mi sento sempre riposato, almeno
coll'interno sempre; coll'esterno qualche volta un po'
scomodo» (
ivi, p. 1247 s).
Il p. Benedetto comprende, vuol
sapere e gli fa un augurio:
«Fammi sapere come va il fatto tuo, se noti
il pieno dominio o non ancora. Quanto m'importa saperti dolce,
abitualmente dolce come i santi!» (
ivi, p. 1250).
I peccati
del mondo, prima di rattristare lui, rattristano il cuore di Dio e danneggiano
le anime; e per ciò c'erano, talvolta, sul volto, nello sguardo e
nel linguaggio, venature di amarezza, che non provenivano da insofferenze o da
interiore ribellione a situazioni sconvolgenti, bensì dalla vista di cose
che non avrebbe voluto vedere.
Uno dei più terribili doni che il
Signore possa concedere ad un'anima, specie se sacerdotale, è
quello di leggere nei cuori come in un libro aperto e vedere, dietro ingannevoli
apparenze, nauseanti ipocrisie. E che dire di un sacerdote come Padre Pio, che
se ne stava per ore e ore, per mesi e mesi, per anni e anni, in quello
«scolatoio» di tutte le miserie degli uomini? (cf. Mondrone D.,
art. cit.).
Il terribile dono di leggere nei cuori come in un libro
aperto Padre Pio lo ha avuto dal Signore, pur escludendo da tale affermazione
ogni fanatica esagerazione del
«sempre» e
«dovunque»: «senti - mi disse un giorno -
io tratto le
anime come meritano davanti a Dio»; era la risposta ad una mia osservazione
circa una personalità che era rimasta un po' male per il
trattamento sbrigativo che le era stato usato» (P. Carmelo da Sessano
del Molise).
Semplice strumento nelle mani di Dio, scuoteva per amore:
presso di lui c'erano soltanto anime da salvare e non
«dava il
dolce a chi aveva bisogno del purgante» - affermazione sua, cioè
di Padre Pio.
Sul metodo di direzione spirituale di Padre Pio, avendone
parlato precedentemente, non vogliamo ripeterci, ma aggiungiamo soltanto che
questa
«savia durezza», «sdegnosità di
superficie», «violenta carità», se a più di
qualcuno dava fastidio, come un giorno a Giuliano l'apostata la
«rusticità» degli amici di Dio, molti ne intuivano il
motivo giusto; egli
«mandava via» gli uomini
«lontani» per avvicinarli di più:
«Ricordo che
un giorno bistrattò un'anima. Al lamento di una persona che era
presente: "Ma, padre, l'avete ammazzata quell'anima!"
spiegò: "No, l'avrei stretta al cuore!". Si faceva
forza ad essere burbero, rude; gli costava doversi mostrare in
quell'atteggiamento, quando invece il suo temperamento era tutto teso a
"stringere al cuore" quanti gli si avvicinavano», ed
è un fatto incontestato che i maltrattati non si davano pace e con
più voglia ed audacia tornavano a lui (P. Carmelo da Sessano del
Molise).
Mediatore tra Dio - contristato per il male e pronto a scaricare i
suoi fulmini - e gli uomini, che allontana dal luogo dove sono anche con qualche
gomitata ben assestata per sottrarli alla mano del giudice che sta per
scaricarsi su di esso: così ci appare Padre Pio, attorniato da una turba
magna di miseri spirituali, di malati corporali, di anime maldisposte, di
soggetti presuntuosi, avventurieri a caccia di straordinario e di tante anime
torchiate dal dolore ed assetate di divino.
Ognuno viene trattato come si
merita.
Ricondurre le anime al
«dolcissimo Gesù»,
specie con il sacramento della confessione: questo è un aspetto
meraviglioso del suo apostolato sacerdotale. La confessione: sua gioia e suo
tormento.
Dove non c'è
«malizia volontaria»
scusa ed aiuta i pusillanimi:
«Dio ci ama: e che ci ama è
dimostrato dal fatto che ci tollera nel momento dell'offesa»; non
compatisce e prende provvedimenti energici, quando scorge
«malizia
vera»; ed a questa pedagogia del confessionale dalle radici dolci e
amare non va mai disgiunto il prezzo della
«moneta pregiata»
per la salvezza delle anime:
«Esco dal confessionale ed ecco il pensiero
dubbioso: ho agito bene? Ho agito male? E non riesco a trovare né di che
accusarmi né di che scusarmi. Scrollo la testa e tiro avanti, illudendomi
con ciò di quietare lo spirito. Mi confesso e dico di confessarmi anche
se in certi casi avessi sbagliato, ma il dubbio non mi lascia. E tu credi che
sia un tormento da poco? Mi cruccia notte e giorno ed io mi domando: chi sono?
Non lo so. Un illuso? Non lo so»; e con la illusione, il dubbio che
diventa un tormento continuo:
«di non essere in grazia per aver
amministrato il sacramento della confessione sbagliando» (P. Giovanni
da Baggio).
Un altro motivo addotto da chi ha sfiorato il problema dei
«gesti di poca grazia» nella vita di Padre Pio è la difesa da
una popolarità, che in un certo momento non ebbe più né
misura né ritegno, che soltanto pochissimi avranno compreso in pieno
quanto riuscisse schiacciante per quelle povere spalle, così contrastante
con i suoi intimi convincimenti e
«il peso di quei segni»
sempre così difficilmente occultati, lo rendevano ad un tempo
«vittima felicemente partecipe dei patimenti di Cristo» e
oggetto di esaltazioni, che ai suoi orecchi giungevano
«rivoltanti e
blasfeme».
I colpiti dai suoi modi sbrigativi e forti si
risentivano, restavano scandalizzati o quasi, ricorrevano ai superiori, i quali
cercavano di richiamare la sua attenzione, quando il galateo del cielo sembrava
cozzare in modo troppo stridente con quello della terra.
Una volta mentre
scendeva in chiesa (era il 14 maggio 1954) per la funzione serotina, gli fu
presentato un giovane con queste parole:
«Padre, ecco un vostro
miracolato!». Ed egli, abbassando gli occhi, rispose:
«Non
sapete quello che dite! Dio vi perdoni!».
«Duro»
Padre Pio ma anche
«dolce» e tanto, che più dolce la
mamma sua non lo poteva fare.
Un giovane israelita, nobile e distinto,
recatosi a S. Giovanni Rotondo per curiosità e diporto, parlando con
alcuni cappuccini sull'ingresso della chiesa, avvicinatosi a Padre Pio,
dopo averlo per poco fissato in volto, gli chiede: «
"Scusi,
reverendo, è forse lei il Padre Pio?". E quegli con dolcezza:
"Per servirla!...". Ebbene, ricordo che bastò il modo con cui
la semplice risposta venne pronunciata perché quel giovane, rimasto per
brevi istanti a rimirarlo ancora, superando ogni senso di ritegno e di rispetto
umano, piegò alla presenza di tutti le ginocchia dinanzi a lui e poi con
un singulto di santa emozione: "Padre - supplicò - sono qui ai
piedi del Signore; di qui non parto se lei non mi battezza!"»
(Festa G.,
o.c., p. 202).
Alla notizia della morte della
sorella Felicita Padre Pio piange, e più ancora per la sorte dei tre
nipotini orfani ma, accorgendosi che le sue lagrime rattristano i circostanti,
si raffrena, perché
«non poteva soffrire che gli altri
soffrissero».
Quando il pianto faceva bene e
«sgretolava
le vecchie macerie», lasciava piangere ed aiutava alla purificazione,
anche se tale comportamento gli costava:
«Non sempre farò
questo - diceva -
perché chi nasce tondo non può morir
quadro; il mio naturale non è portato ad essere tale, ma qualche volta
purtroppo faremo il sacrificio per amor di Dio».
E proprio
perché chi nasce tondo non può morir quadro, il temperamento di
Padre Pio - ci conferma chi gli è vissuto vicino - era tutto teso a
«stringere al cuore», spiegando così quel rapido
cambiamento che si notava sempre dopo un rabbuffo, perché
«bastava che volgesse il capo per vederlo di nuovo sorridente, come se
nulla fosse stato. Mi capitò una volta di osservarlo, e ne rimasi
stupito, tanto che gli dissi: "Ma, Padre, un istante fa sembrava finito il
mondo, ora invece tutto è cielo!". E lui: "Figlio mio, mi son
turbato solo alla superficie; ma dentro, nel cuore, c'è sempre
tanta calma e serenità". La stessa affermazione fatta, il 30
novembre 1953, ad un seminarista di Varazze che gli chiedeva scusa per averlo
fatto "inquietare". "Ma no, figlio mio; le parole devono
essere esternamente qualche volta così, altrimenti ci ammazzano;
internamente però mai va via la serenità, e sapessi quanto amo
tutti"». (7)
È il biblico
irascimini et nolite
peccare - nell'ira, non peccate - (
Ef. 4,26), la cui non facile
applicazione Padre Pio spiega a chi ha modi aspri, quasi avesse mangiato uva
acerba, con la esortazione a diventare amorevole, pensando a Gesù mite ed
umile:
«Io non mi sono mai pentito della dolcezza usata, ma mi sono
sentito un rimorso di coscienza e mi son dovuto confessare, quando ho usato un
po' di durezza. Però: quando dico mitezza, non dico quella che
lascia tutto andare. Quella no! Ma intendo quella che rende dolce la disciplina,
la quale non va mai trascurata».
Il carattere burbero lo si deve
modificare, nelle riprensioni dev'esserci «bontà e
cuore»:
«Gesù vuole che acquisti la mitezza ed allora potrai
anche camminare più spedito nella via della perfezione». E di se
stesso candidamente confessa:
«Io non posso patire il criticare e il dir
male dei fratelli. È vero, a volte, mi diverto a punzecchiarli, ma la
mormorazione mi mette nausea. Abbiamo tanti difetti da criticare in noi,
perché perdersi contro i fratelli? E poi mancando alla carità, si
intacca la radice dell'albero della vita, col pericolo di farlo
seccare».
Padre Pio non si è mai perso contro i
fratelli, anche se qualche volta nella sua vita incontriamo involontarie
imperfezioni, acquattate nell'anima
«come allo stato di
radici», che a volte si manifestano quali rimasugli di difetti
naturali. Il padre guardiano non potendo convincere alcuni giornalisti ad
andarsene, a malincuore li presentò a Padre Pio.
«Ciò che
non riuscì a fare il guardiano (a mandare in santa pace i giornalisti) lo
fece Padre Pio e con gesto abbastanza vigoroso. Si rifiutò e in modo
molto energico e risentito, rispondendo: "Noi qui stiamo ad amministrare i
sacramenti e non a concedere interviste". Io restai ammirato del tono con
cui Padre Pio rispose al padre guardiano. Alle volte Padre Pio aveva delle
uscite troppo energiche e risentite. Io ne restavo alquanto perplesso. Non
pensavo a male, ma non me lo sapevo spiegare. Qualcuno mi rispondeva:
"Anche il santo ha qualche rimasuglio di difetti naturali"»
(P. Damaso da S. Elia a Pianisi).
Nell'affiorare di tali
«rimasugli» malanimo non ce n'era, mai, e se Padre Pio
scorgeva l'ombra dell'offesa alla carità, correva ai
ripari.
Nella vita di tutti i santi si trovano quelle «care
imperfezioni» che ci fanno conoscere la nostra miseria e ci esercitano
nell'umiltà; e così anche in quella di Padre Pio, il quale
se arriva, a volte, come quelle certe benedizioni che ci entrano in casa
fracassando i vetri, non perde mai il senso di quello che agli altri può
far male, perché possiede quella virtù che si chiama tatto, che
significa saper penetrare nell'animo di un altro.
Signore, donami il buonumore
I cristiani sono i
«figli della
gioia»; Dio
«ha posto la letizia nel nostro cuore»
(
Sal. 4,8); la Chiesa per la creatura rigenerata dal battesimo, in una
magnifica preghiera al Padrone della vita e della gioia, chiede:
«Che
essa ti serva lieta nella tua Chiesa!»; Gesù nell'ultima
Cena prega il Padre di darci, non soltanto la gioia, ma
«la pienezza
della gioia» (
Gv. 15,11); S. Paolo a tutti grida:
«Godete nel Signore sempre; dico di nuovo godete» (
Fil.
4,4); S. Agostino incita:
«Canta e cammina; canta con la voce, canta col
cuore, canta con i costumi» e se il ricordo di te ti fascia di
tristezza, il pensiero di Lui ti illumini di gioia.
La gioia è
«il gigantesco segreto del cristiano» (Chesterton); a ciascun
cristiano Dio dà il potere di far sì che chiunque lo guardi -
è un pensiero di Claudel - abbia voglia di cantare, come se
gl'indichi sotto voce il tono... Eppure la selva dei salici piangenti
è sempre folta; è più facile vedere un angelo che scoprire
tra i cristiani una faccia allegra. La
«buona notizia», data e
sparsa da Gesù, non sembra li rallegri un gran che; molti sono i volti
tirati e le rughe precoci.
«Dove diamine nascondete la vostra gioia?
- interroga Bernanos -.
A vedervi vivere come vivete, non si crederebbe che a
voi ed a voi soli sia stata promessa la gioia del Signore».
Chi
saprà mai a quanti cristiani Dio rimprovererà la loro tristezza?
Mentre non dovrebbero esser tristi che di una sola tristezza: quella di non
essere santi.
Tale stortura ha infettato anche certi agiografi che a volte
ci hanno afflitto con biografie di santi taciturni, corrucciati, mentre al
contrario essi ricordano che Dio
«ci ha creati nell'amore
perché viviamo nella gioia» e son contenti sempre e di tutto,
perché la nostra gioia è Qualcuno e non qualcosa; son felici
perfino di esser... santi,
«non perché la loro santità
- osserva Merton -
li renda ammirevoli agli altri, ma perché il dono
della santità fa che essi possano ammirare gli altri. Quel dono
attribuisce loro una visione che può trovare il bene nei delinquenti
più terribili».
Un aspetto particolare della gioia è
il buonumore. Può esserci posto anche per esso non soltanto nella vita di
un cristiano, ma perfino in quella di un santo? Come buona introduzione, che
anticipa la risposta in senso affermativo, trascriviamo una preghiera,
addirittura, che un santo elevava al cielo per ottenere il dono del buonumore:
«Signore, donami una buona digestione e anche qualcosa da digerire.
Donami la salute del corpo col buonumore necessario per mantenerla. Donami,
Signore, un'anima santa che faccia tesoro di quello che è buono e
puro, affinché non si spaventi alla vista del peccato ma trovi, alla sua
presenza, la via per mettere le cose di nuovo a posto. Donami un'anima che
non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri e i lamenti, e non permettere
che io mi crucci eccessivamente per quella cosa troppo invadente che si chiama
"io". Signore, dammi il senso del ridicolo. Concedimi la grazia di
comprendere uno scherzo, affinché conosca, nella vita, un poco di gioia e
possa darne parte anche ad altri. Amen» (Tommaso Moro).
Tentare
una definizione dell'«umorismo» (nel senso
dell'«humor» inglese) è molto difficile, anzi - è
stato scritto - è uno sforzo vano voler restringere questa parola nei
limiti di una definizione. Molto più sfumato del riso, più
multiforme e meno circoscritto di esso; variabile secondo i costumi, le
mentalità e le culture di un'epoca; espresso in maniera, forme e
circostanze infinitamente diverse l'una dall'altra, l'umorismo
manifesta sempre una disposizione eminentemente personale dello spirito umano, e
perciò possiamo dire che esso è
«capacità di
rilevare e rappresentare il ridicolo delle cose, in quanto non implichi una
posizione ostile o puramente divertita, ma l'intervento di una
intelligenza arguta e pensosa e spesso indulgente simpatia umana»
(Devoto G. - Oli G.C.).
Questo ed altro intendiamo, parlando
dell'umorismo e del buonumore di Padre Pio: la letizia, l'allegria,
la giocondità, la battuta scherzosa e arguta, piacevole, allusiva e
pungente, ma non fino a convertirsi in ironia.
È un datore ilare,
serve Dio e lo serve con gioia, con riso innocente e schietto che gli viene dal
cuore puro, possiede quella gioia «sacra» che ha in Dio il suo punto
di riferimento.
Ammirabile la sua disinvoltura, con cui di solito portava
il peso della sua ascesi inimitabile e delle sue croci che Dio e gli uomini
caricavano sul suo dorso, uno degli aspetti
«proverbiali erano le sue
"uscite" divertenti, le battute di spirito, le barzellette, spuntate
nel bel mezzo di un discorso, ora per diradare di colpo ogni impressione che
potesse aver data di vittimismo, ora per alleggerire l'effetto discostante
di stoccate, che di solito erano lezioncine bene azzeccate» (Mondrone
D.,
art. cit., p. 147).
«Formidabile» conversatore,
«vivace» e
«brillante» lo giudica un altro
uomo di penna - che possiede ed usa tutte le malizie psicologiche per incatenare
il suo uditorio; nel dialogo diretto difficilmente lo si mette in imbarazzo,
anche se si cerca di impegnarlo in problemi scientifici, lontani dalla sua
dimestichezza.
«Alle strette è capace di ricorrere ad una
"boutade" d'indubbio effetto demagogico per uscirne
vittorioso. Se poi non bastasse, sconcerta il pugnace interlocutore con uscite
apparentemente bizzarre e frasi ironiche da sbarrargli le conclusioni. Allora
ricorre anche alla mimica [...]. Possiede indiscutibili doti d'attore che
un intelligente ascoltatore disincantato non può non apprezzare. Ma
soprattutto è la sua grande carica d'umorismo che non sfugge a
nessuno» (8).
Se durante le conversazioni con gli amici - che
Padre Pio si concede dopo le fatiche del confessionale - la presenza di qualche
persona sconosciuta raggela la ricreazione, ci pensa lui stesso a ricomporre
l'atmosfera di aperta cordialità e il sereno, riposante
«divertimento» continua a nervi distesi ed a riposo e godimento
dell'anima.
Si
«divertiva» e faceva divertire, nel
senso proprio etimologico della parola, deviando la tensione dell'animo e
del corpo dalle abituali attività, per godere una pausa di quiete e di
riposo nei brevi gioiosi intercalari del ministero; si
«rilassava» (
«relaxare»; rallentare, che
è distensione), partecipando sempre e volentieri alle ricreazioni della
comunità religiosa, non dimenticando che l'amabile e fraterna
conversazione è pure carità e la carità
«è
sempre preziosa».
Dal suo inesauribile repertorio traeva le storie
«più impensate ed originali», raccontando con
«prestigiosa disinvoltura», da far invidia al più
brillante narratore. Conosceva e sapeva usare la piacevole virtù
dell'
«eutrapelìa»: né troppo e né
troppo poco, faceto e urbano, impegnato uomo di Dio, che trasfigura anima e
corpo nella pace e nella gioia.
Anche scegliendo fior da fiore, vi manca il
meglio: la sua viva voce.
Quand'era studente, con un asciugamano ed
un teschio mise in spaventosa fuga un suo compagno, riducendolo al rantolo per
la paura. Chiamato alle armi, anche lui ebbe le sue avventure militari. In una
giornataccia di pioggia
«gli toccò andare non so dove. Il nostro
soldato si armò coraggiosamente di ombrello e via, ben riparato per
Piazza Plebiscito. "Ehi, soldato!". Ma il soldato tirava dritto come
se non avesse sentito. "Neh, per bacco, dico a voi soldato!". Era un
colonnello che giustamente si impazientiva. Convenne tornare indietro.
"Che novità è questa?", gridò il colonnello
sotto l'acqua che lo inondava. "Un soldato con l'ombrello!
Siete impazzito?". Mi convenne fare lo stupido - racconta a questo punto
Padre Pio con un sorrido furbo - gli offersi il mio paracqua: "Se il
signor colonnello si vuol riparare, io l'accompagno...". Il
colonnello capì di avere a che fare con una recluta intontita e con un
gesto di dispetto mi voltò le spalle e mi piantò lì col mio
ombrello in mano».
Una recluta sempliciotta viene
psicologicamente preparata ad una imminente visita del Re. Il sergente sapeva
che, di solito, i colloqui tra il Re e le reclute non sfuggivano a questo
formulario: 1. domanda:
«Quanti anni hai?», risposta:
«Ventidue»; 2. domanda:
«Quanti anni di servizio
hai?», risposta:
«Due»; 3. domanda:
«Chi servi
più volentieri, il Re o la Patria?», risposta:
«Sia
l'uno che l'altra». E su questa falsariga il sergente
istruisce pazientemente il gregario, che dopo molti sforzi, impara la
lezione.
Finalmente arriva il Re. Passa in rassegna il reggimento e
interroga, come previsto. Le domande sono le stesse, ma l'ordine è
invertito. E allora: 1. domanda:
«Quanti anni di servizio
hai?», risposta:
«Ventidue»; 2. domanda:
«Quanti anni hai?», risposta:
«Due». Il
sergente suda freddo e il Re, spazientito, esclama:
«O sei scemo tu o
sono scemo io!». Il soldato, che sa la lezione a memoria, risponde con
la replica del punto 3:
«Sia l'uno che l'altro,
maestà».
Il tipo di barzelletta preferito da Padre Pio
è quello per categoria; spesso accomuna i soliti avvocati ai medici,
scherzando sulla loro cattiva fama, bonariamente premettendo:
«Si fa per
ridere». Un giorno, dunque, un Papa è chiamato a risolvere un
delicato problema di
«precedenze» nelle processioni. Gli
avvocati vogliono stare davanti ai medici, e i medici davanti agli
avvocati.
Il Pontefice salomonicamente si rifà alle procedure per i
cortei degli impiccati. E sentenzia:
«Praecedant carnifices, sequantur
latrones: avanti i medici e dietro gli avvocati...».
Un giorno
Padre Pio, attorniato da un gruppetto, scorge due medici che si avvicinano e
lui, pronto:
«Sapete come sta un malato tra due medici? Come un topo tra
due gatti!...».
E per punzecchiare i
«togati»:
«Sapete perché sant'Ivone è l'unico avvocato che
sia entrato in Paradiso? Ora ve lo dico io» e inizia con
vivacità e ricchezza di particolari.
Nel raccontare la storiella
dell'ubriaco, si alza in piedi dalla poltrona di vimini e rifà il
personaggio:
«Perché, o Signore - diceva l'ubriaco che
aveva visto sul muro camminare un millepiedi -
a questo animaletto hai dato
mille zampe e a me che non riesco a reggermi in equilibrio solo
due?».
In genere non racconta soltanto per raccontare, ma utilizza
quel tempo ricreativo, servendosi di barzellette a sfondo didattico e morale,
che si inseriscono nella conversazione a mo' di risposta a questo o a
quell'interlocutore. Per indurre, per esempio, uno di questi a lasciar S.
Giovanni Rotondo e far ritorno alla sua città natale per riprendere il
lavoro abituale narra come Cristo insieme agli Apostoli avessero affittato un
campo di frumento per la mietitura.
«La sera del primo giorno non era
stato tagliato un solo mannello perché Gesù anziché far
lavorare gli Apostoli li aveva intrattenuti a colloquio. Rimproverato dal
padrone del campo, Gesù fece un gesto e la distesa di frumento si
cangiò in un campo di covoni accatastati. Il giorno dopo S. Pietro volle
imitare il Maestro. Affittato un altro campo, invece di far lavorare gli altri
Apostoli si mise a conversare con loro sotto gli alberi, ma la sera dinanzi alle
furie del padrone inutilmente rifece il gesto di Gesù. Il miracolo non si
compì. S. Pietro si prese del farabutto dal padrone e dell'ingenuo
da Gesù (Bedeschi L.,
art. cit., pag. 90).
Pronto a
scherzare anche sulla propria fede, segno certo - questo - di chi crede sul
serio.
Un giorno il Signore girò per il Paradiso e vide tanti brutti
ceffi che assolutamente non dovevano essere presenti nel luogo pieno di ogni
delizia e vuoto di ogni male ed il portinaio del Cielo se la passò
brutta, fino a quando non si appurò che non era mancanza di sorveglianza,
ma abbondanza di misericordia della Madonna e di S. Giuseppe.
Morale: al
primo posto Dio, centro della nostra adorazione; e dopo invocare i santi, validi
intercessori celesti, rivolgendoci ad essi come a dei buoni amici.
Dopo i
comprensori del Cielo, i terrigeni accolti e trattati con modi cordialmente
decisi e sbrigativi.
Campanini e Macario, i due noti attori comici,
arrivano a S. Giovanni Rotondo per visitare il santuario della Madonna delle
Grazie e per ossequiare Padre Pio. Appena li incontra per i corridoi:
«Guarda che facce!...» esclama. Il signore che li accompagna e
li presenta a lui, dice:
«Padre, gli attori hanno deciso di
smettere di lavorare con le gambe e cominciare a lavorare con la
testa». E Padre Pio:
«Facciano quello che vogliono,
l'importanza è che mettano giudizio». E congedandosi, con
tono ilare aggiunge:
«Continuate a farvi disonore; tanto, onore non ve
ne siete mai fatto. Cambiate subito altrimenti vi caccio».
A chi
dice o si crede
«giovanotto» dà una pratica
dimostrazione del come il vero giovanotto sia lui, sfidandolo a tenergli dietro,
anche in salita. Tornava dalla sacrestia, dopo le confessioni degli uomini, per
la via del chiostro e, rivolgendosi al giovane padre sacrista che
l'accompagnava:
«Sti giovani - dice -
non sono buoni a
nulla! Vedi come si sale». E così dicendo salì le scale a
due a due, senza che il padre sacrista potesse tenergli dietro. Giunto sul primo
pianerottolo vide della gente e - con molta semplicità - esclamò,
poggiando la mano sulla bocca:
«Madonna
mia!...».
L'esplosione di gioia, manifestata a questa
maniera, ci fa venire in mente ciò che Chesterton dice di S. Francesco
d'Assisi:
«Il senso dell'umorismo è il sale di ogni
sua birichinata».
Per Padre Pio non c'era proprio bisogno di
rivolgere al Signore la preghiera di S. Teresa, la quale temeva più una
religiosa malcontenta che una banda di demoni:
«Liberami, o Signore,
dalle devozioni sciocche e dai santi con l'espressione
acida».
Padre Pio sapeva che il
«datore gioioso»
non piace soltanto a Dio ma anche agli uomini; che non è da buon
cristiano rendere la vita al prossimo più gravosa di quanto lo sia
già, opprimendolo col nostro umor nero; perciò, pieno il cuore di
quella gioia che ama Dio -
«l'allegria, quando sia frutto di
serenità e di gioia, il cuore del cristiano è la sua casa, il viso
del cristiano è il suo specchio» (Don Giuseppe De Luca) - si
mostra aperto amabile e gaio con tutti coloro che incontra sulla sua strada per
sostenerli ed aiutarli continuamente con la sua presenza. Ed anche in questo
Padre Pio è in perfetta armonia con lo spirito del suo serafico padre
Francesco d'Assisi.
Così il suo umorismo diventa anche
apostolato e non resta soltanto un semplice svago e riposo: la sua anima santa
non si spaventa davanti al peccato, ma trova la via
«per mettere di
nuovo le cose a posto».
Nelle sue mani il buonumore, il motto di
spirito, la battuta non è soltanto svago e arma spirituale, ma anche
difesa dai curiosi ed importuni:
«Tra un sorriso ed una barzelletta vi
nasconde il suo segreto, per modo che molti vivono accanto a lui senza intuirne
nulla e certuni senza intendere nemmeno la sua bontà e l'eroismo
delle sue virtù. Dice le cose più gravi con una semplicità
piena di naturalezza, che vi fa accogliere il soprannaturale senza che ve ne
accorgiate. Egli sta fra due vite, sorridendo a scambiar parole con gli esseri
dei due mondi».
Solo rarissime volte risponde a precise domande:
"Padre che cosa date sulle vostre mani, che son così
profumate?". "Ma nulla, figliuolo...". "Padre, le vostre
ferite vi fanno molto male?" "E che credi che il Signore me le abbia
date per burla?". "Padre, è un gran pezzo che non sento il
vostro profumo...". "Sei qui con me e non ne hai
bisogno".
In genere, abilissimo, usa l'altra maniera nel
nascondere i doni di cui Dio l'ha ricolmo. A chi gli dice, pieno di
ammirazione:
«Perché io non amo Gesù come te?»,
lui risponde:
«E perché io non l'amo come
te?».
Passando dal confessionale delle donne all'altare e
vedendosi precipitare addosso i devoti, dà di piglio come a spada
liberatrice al cordiglio e con voce imperiosa, sotto forma di suggestiva
bonarietà:
«Ecché! oggi qui c'è la
rivoluzione - dice -
oh, c'è un campo di mine»; ai
peccatori che non avvertono o che scusano il loro stato dicendosi, nonostante le
loro gromme, fondamentalmente buoni, usa i modi
«ruvidi e fieri»:
«Sì, sei buono, buono come il lesso»; ad un mistico un
po' tocco che era sicuro di avere le stimmate:
«Speriamo di no,
altrimenti sarebbero cominciati i guai tuoi», e al celebre avvocato
Cassinelli che lo investiva con la sua foga oratoria, interrottolo bruscamente:
«Ohé - gli dice -
sei troppo complicato per il mio
carattere, figliuolo...». «Questo gran viaggio per vedere
me?», fa, meravigliato, al grande giornalista Orio Vergani, che voleva
intervistarlo per il «Corriere della Sera».
«Non lo avete a
casa un libro di preghiere? Era un viaggio risparmiato. Dio vi benedica.
Un'Ave Maria vale più di un viaggio, figlio
mio».
Durante la visita dell'ex presidente della Repubblica
Antonio Segni (22 nov. 1959) l'illustre ospite presentava il seguito,
cominciando dall'onorevole Russo. Nella sala erano in tanti, ma silenzio e
venerazione circondavano Padre Pio, che esce dal suo raccoglimento con una delle
sue:
«Eccellenza, perché mi ha portato un "russo"
solo? Me ne porti tanti!».
Con una risata generale si ruppe il
gran silenzio, sembrava un incontro di vecchi e festosi amici, il tempo
dell'incontro passò velocemente e Padre Pio ritornava nel silenzio
conventuale, dopo aver steso intorno a sé una cortina di nebbia per
difendersi da onori e lodi che gli si tributavano sinceramente.
Ecco come
racconta un miracolo avvenuto quasi per scherzo, caratterizzato dalla frase
dialettale
«te' ros' ch': tieni, rosica». Un
giorno durante una ricreazione, che teneva lepida e spiritosa, a bruciapelo
gli fu domandato:
«Padre spirituale, avete mai fatto qualche
miracolo?». Preso così in contropiede, con un sorriso rispose:
«Sì, una volta, e quasi per scherzo».
E
continuò:
«C'era un'ammalata, che io andavo ogni
tanto a visitare. La poveretta, pur ringraziando, tutte le volte che io mi
congedavo, mi pregava perché la prossima volta le portassi qualcosa da
mangiare che era stata sulla mia mensa. Un giorno dopo aver pranzato, mentre
riponevo la posata nel cassetto notai nel fondo di esso un "propato"
(biscotto durissimo) che doveva essere lì da parecchio.
Lo
misi in tasca ed andai a visitare l'ammalata. Entrato in casa, prima che
lei rispondesse al mio saluto, dissi quasi con faceta ironia:
"Te' ros'ch'
", dandole il biscotto. Voi ci
credereste? Quando ritornai da lei la volta successiva, la trovai che mi
aspettava in piedi e mi ringraziava, perché era guarita dopo aver
mangiato il "propato". E mi fece rimanere con un palmo di
naso».
Leale, aperto, cordiale, con le sue uscite spiritose spesso
capovolgeva situazioni imbarazzanti nel suo spassoso verna-colo che gli fluiva
dal labbro anche in momenti solenni e che non si arrestava neppure di fronte
alla... morte!
La sua pietà si fonde con un cuor leggero e gaio:
dove vi è molta fede - è stato scritto - vi sarà anche
moltissimo sorriso (
«è sempre primavera nel cuore che ama
Dio», disse il curato d'Ars - e parlava per esperienza
personale). Sorriso condito con un pizzico di quel
«sale della
vita», che si chiama umorismo:
«Padre spirituale, perché
ieri sera durante la predica sulla morte, tenuta dal padre eserciziante, lei
rideva?». «E ch'aveva fa? Nun m'agge putute
mantené: cierti predecature te fanne ride pure 'nnanze' a
morte!...».
Durante un temporale un frate sta con Padre Pio nel
corridoio del convento di S. Giovanni Rotondo, spaventato dai lampi, che sono
frequenti per la presenza della cabina elettrica situata in una stanza, dice:
«Padre spirituale, allontaniamoci almeno dalla cabina. Ieri per un
fulmine sono morte dieci persone». E lui, pronto:
«Nuie nun
currimme stu pericole: sime duie sule».
La santa dottore della
Chiesa Teresa d'Avila faceva osservare a frate Giovanni della Miseria, che
le aveva fatto il ritratto:
«Dio ti perdoni, frate Giovanni,
perché mi hai fatta brutta e cisposa».
Non sappiamo se
Padre Pio debba lamentarsi anche lui di qualche frate Giovanni della Miseria
(fece notare, invece, che lo vendevano a troppo... poco prezzo, quando
sentì un ragazzino sul sagrato che strillava:
«Padre Pio per due
soldi...», offrendo foto ai pellegrini), ma è certo che egli non
è né brutto né cisposo e né musone: è
«molto bello» (all'indirizzo stizzito di una donna:
«Padre brutto e cattivo!», Padre Pio di rimando:
«Cattivo sì! ma brutto no, perché Dio mi ha fatto
bello!»), i suoi grandi occhi sono
«pieni di luce»,
secondo il suggerimento del suo Fondatore lascia al demonio la tristezza ed al
buffone dice di continuare a fare il buffone; e per tale linea di condotta
riceve l'approvazione di un filosofo santo:
«Etiam officium
histrionum, quod ordinatur ad officium hominibus exhibendum, non est secundum se
illicitum», il sorriso della Madonna ed un battimani da Gesù
bambino:
«Carlo Campanini va da Padre Pio: "Padre come posso
vantarmi di essere della vostra famiglia spirituale, se ogni sera devo
impiastricciarmi la faccia e fare il buffone su un palcoscenico?". Padre
Pio sorride: "Figlio, a questo mondo ognuno fa il buffone nel posto che
Dio gli ha assegnato". Basta presupporre Iddio e ogni cosa torna al suo
posto [...]
. Vi fu un giocoliere che andò a farsi monaco e
poiché era davvero ignorante non gli riusciva di apprendere i canti e le
preghiere dei confratelli. Allora, quando la chiesa era deserta, il frate
giocoliere si esibiva davanti alla statua di Nostra Signora, dando saggio delle
sue uniche bravure: salti, capriole, giravolte. Fu grande lo scandalo nel
convento quando si venne a conoscenza dell'episodio. Ed una bella mattina
il padre guardiano si nascose dietro una colonna per sorprendere il frate
giocoliere. Quale non fu la sorpresa del padre guardiano allorché vide la
Vergine santa sorridere dalla sua statua e il Bimbo Gesù battere le
manine compiaciuto per le prodezze del funambolo in tonaca grigia! Ecco: il
frate più ignorante della comunità offriva alla Regina del cielo
il fiore delle sue qualità: e lei accettava con gioia. Perché quel
frate aveva scelto bene il suo posto. Oseremo dire con Padre Pio "faceva
bene il 'buffone', nel posto che Iddio gli aveva assegnato".
Oh, quella meravigliosa "buffoneria" di Francesco d'Assisi e
di S. Giovanni Bosco! Signore, datecene un poco; soltanto un poco. Ne avremmo
tanto bisogno per aiutare Padre Pio a condurre a termine la sua opera
grandiosa!» (9).
Chi pensa ancora che i Fioretti di S.
Francesco siano una singolare rarità? Si ripetono, si rinnovano in
multiforme gradazioni ed intensità, a seconda delle esigenze dei
tempi.
(1) TRABUCCO C.,
Il mondo di Padre Pio, Roma 1952, p.
18 s.
(2) FESTA G.,
Misteri di scienza e luci di Fede, 2ª ed.
Roma 1949, p. 132 s.
(3) Cf. PELLEGRINO DA S. ELIA A PIANISI,
Aveva un
cuore d'oro, in
Testimonianze, a cura di Vincenzo da
Casacalenda, S. Giovanni Rotondo 1970, pp. 111-116.
(4) Cf. BARGELLINI P.,
Genuinità di Padre Pio, in
Cinquant'anni di
sacerdozio (10 agosto 1910 - 10 agosto 1960), a cura della Casa Sollievo
della Sofferenza, Foggia 1960, pp. 80-82.
(5) Cf. BARGELLINI P.,
San
Bernardino da Siena, 2ª ed. Brescia 1934, p. 93.
(6) Cf. MONDRONE
D.,
Ricordo di Padre Pio, in
Civ. Catt. 1968, IV, 146.
(7)
Cf. CARMELO DA SESSANO DEL MOLISE,
Il terribile dono della
scontrosità, in
Testimonianze, a cura di Vincenzo da
Casacalenda, S. Giovanni Rotondo 1970, p. 117.
(8) Cf. BEDESCHI L.,
Il
suo umorismo, in
Cinquant'anni di sacerdozio (10 agosto 1910 -
10 agosto 1960), a cura della Casa Sollievo della Sofferenza, Foggia 1960, p.
90.
(9) GIGLIOZZI G.,
Ognuno al suo posto, in
La Casa Sollievo
della Sofferenza 8 (1-31 luglio 1957) 1. - Sulla gioia cristiana, cf.
l'esortazione apostolica di sua santità Paolo VI del 9 maggio
1975.
CHI SOFFRE CONQUISTA
Un letterato si lamenta con Dio,
perché i suoi santi dovrebbero vivere sempre ed invece essi partono
troppo presto, sempre troppo presto.
Comprendiamo tale rammarico ma
dobbiamo pur dire che il santo, «strumento di Dio», è una luce
che egli mette nel mondo per rischiararlo e che, una volta accesa, non si spegne
più. Il ricordo della loro vita ce li mostra ancora mescolati alla terra,
pieni di debolezze e sottomessi a mille tribolazioni e il loro esempio è
per noi una sicurezza, che fa considerare la vita con meno inquietudine o meno
disprezzo. La loro luce e la forza che ci donano nelle prove, è spinta a
spiritualizzarla in tutte le sue manifestazioni.
Sono essi a darci
«il nostro nome», cosa che non solo li individualizza ma li
avvicina anche a noi, in un'atmosfera di intimità, rifugiandoci
all'ombra di uno di loro e, mediando tra Dio e noi, ci indicano la
«nostra» strada: ognuno di loro è per noi una specie di guida,
che ci insegna a seguire la
«nostra» via (1).
La
Provvidenza che governa il mondo si accorge che l'uomo spesso non cammina
per la
«sua» via; ed allora manda nel mondo cattivo il santo,
che fa il bene, per riparare alla cattiveria degli uomini (che fanno il male e,
a volte, si danno da fare per dimostrare che agiscono bene) e per aiutarli ad
imboccare la via giusta.
Frutto fuori stagione?
Consumato il corso mortale di sua vita, il
corpo di Padre Pio riposa nel
«tranquillo cantuccio», che ha
già testimoniato il suo sacrificio e che, certamente, testimonierà
la sua apoteosi nello stesso convento e nella stessa chiesa che per lunghi e
sofferti anni lo hanno visto operante.
Continua il suo apostolato e la sua
voce è sempre viva: in quella cripta s'è accesa una gran
luce e dal cielo si è staccato un pezzetto di Paradiso:
«Che
sblendore!» - esclama in dialetto garganico una donnetta vestita di
nero - e sussurra, come se recitasse una preghiera:
«Chiste nun è
nu sepulcre. Chiste ié nu' uccone [porzioncella] de
Paravise», perché quella tomba santa racchiude un corpo che mai
altri ha imitato Gesù nel dolore e nella sofferenza:
«Noi siamo
certi che la Chiesa, madre, maestra e regina, alla quale ogni obbedienza con
infinita gioia è data, farà del nostro Gargano la montagna
più bella, più santa e splendente della moderna età. In un
momento in cui il mondo conquista la luna, il Cristo Signore conquista la
terra», (E. Medi).
Quand'egli era vivo, a chi
domandava di voler diventare un suo figlio spirituale, nell'accettarlo lo
avvisava con tutta semplicità e schiettezza:
«Ti accetto ad una
condizione: che tu viva da buon cristiano e che non mi faccia
scomparire». E proprio per vivere da
«buoni
cristiani», il pellegrinaggio alla sua tomba continua ininterrotto e
col passar degli anni si intensifica sempre più.
Sfogliando le
pagine della cronaca conventuale di S. Giovanni Rotondo, possiamo leggere:
«È veramente eccezionale l'afflusso della gente che viene a
visitare il nostro santuario per visitare la tomba di Padre Pio. In gran parte
è gente che viene a S. Giovanni Rotondo per la prima volta e si rammarica
di non essere venuta prima, quando Padre Pio era ancora in vita. Tutti scendono
in cripta, piangono, pregano e per devozione a Padre Pio si accostano ai
sacramenti della confessione e comunione»; «l'affluenza dei
pellegrini continua ad essere veramente straordinaria: i confessori non bastano
più, perché tutti chiedono di confessarsi e fare la santa
comunione. Continua il frutto e l'opera di Padre Pio che in
cinquant'anni ha richiamato qui sul Gargano gli uomini di ogni continente
e li rimetteva in grazia di Dio attraverso la confessione e la comunione.
È veramente consolante questa dimostrazione di fede e di vera
devozione».
Segno che la
«presenza» è
sentita, invocata e il suo
«buon esempio» attira alla via del
bene; sono gli uomini di preghiera come Padre Pio quelli che rinnovano la vita
cristiana e la Chiesa! Sarà l'opera di
«anime che pregano e
sperano e soffrono con i loro vescovi e col papa - ha detto Paolo VI -
e
che rigenerano in se stesse la Chiesa nuova, la Chiesa viva, la Chiesa
santa». Alla luce di questa esemplarità la figura di Padre Pio
«spezza la ristretta cornice di S. Giovanni Rotondo e si offre
all'indicazione e all'ammirazione del mondo intero. Padre Pio
è ancora qui e vi attende, vi guarda uno per uno, vi ascolta e vi ama.
Con la morte la sua carità non ha patito diminuzioni, ma è
cresciuta a dismisura. Io sono sicuro che nessuno di voi se ne andrà via
da quella tomba senza portare con sé un dono del suo inesausto cuore
paterno» (2).
È la riprova che solo il santo lascia una
traccia, gli altri fanno solo del chiasso e, svaniti loro, si perde anche il
loro ricordo:
«Da morto - diceva Padre Pio un giorno, scherzando -
farò più baccano che da vivo» ed è stato
davvero un uomo che ha smosso il mondo.
Cosa rispondere, allora, a
chi pensa che quella di Padre Pio è una santità oggi non
più accettabile e che il suo è un mondo ormai superato? Che la sua
santità è attuale, come è sempre attuale il Vangelo, da cui
scaturisce: nel delizioso giardino di Dio non esistono frutti fuori stagione.
Sarebbe incomprensibile che Iddio si sia dilettato di creare in lui un frutto
fuori stagione, un esemplare
«pittoresco» quasi un
«elemento di curiosità».
Padre Pio, visto nel
quadro della cultura contemporanea, è di una sorprendente
modernità e la sua
«ruvida umiltà» nasconde una
«conoscenza psicologica impensabile e profonda»
dell'epoca nostra e dei mali che l'affliggono. Nei tempi del trionfo
della
«civiltà tecnica» e dell'«apostolato
attivistico e clamoroso», la sua predicazione e il suo apostolato
«fu il suo silenzio pieno di Dio e la sua immolazione nel confessionale:
una testimonianza silenziosa, e altrettanto potente nella sua irradiazione che
è stato uno schiaffo per tanti che pongono l'apostolato,
prevalentemente o quasi, nell'attivismo, nelle organizzazioni, nei mezzi
materiali, sottovalutando la vita interiore, la preghiera,
l'umiltà, l'obbedienza, il sacrificio. Utili la parola, la
organizzazione, i mezzi tecnici..., ma essenziale è soltanto la
"testimonianza", che è possesso e irradiazione dello spirito
di Dio [...]
.
Vivendo così nella vita la passione del
Signore, Padre Pio la esprimeva nella Messa e la riversava nelle anime,
rinnovando e cuori e famiglie e società. Ecco il segreto, il mistero di
Padre Pio e il suo messaggio» (3).
Poiché Gesù
Cristo
«è lo stesso ieri, oggi e sempre» (
Ebr.
13,8), viva e identica rimarrà la mistica cristiana sino alla fine del
mondo: l'esempio e la dottrina di Padre Pio gioveranno grandemente alla
intelligenza e alla assimilazione di quel Mistero Pasquale, intessuto di
passione e di risurrezione, di dolore e di gioia, di umiliazione e di
esaltazione, che il Concilio Vaticano II ha riproposto ai credenti del secolo XX
nelle costituzioni sulla Sacra Liturgia e sulla Chiesa del mondo moderno,
«e che il famoso cappuccino sembra aver compreso, rivissuto e
ripresentato in sé medesimo in misura impressionante. La via della Croce
è la più rapida e sicura, anche oggi, per salire il monte
dell'Ascensione» (CIAPPI L.,
Oss. Rom.
26-3-1971).
All'uomo debole e vacillante nel suo impegno cristiano,
che cede troppo al mondo, quale potente richiamo Dio ha mandato Padre Pio,
plasmandolo per il mondo di oggi,
«che in verità è stato
scosso per un cinquantennio dalla sua voce silenziosa ma irrompente, dalla sua
testimonianza che è risuonata irresistibile in ogni paese del mondo, e
che ora, dopo la sua morte, si approfondisce e si dilata sempre più negli
spiriti» (URSI card. C.,
art. cit.).
È stato scritto
e ripetuto che Padre Pio è l'uomo contro corrente, un uomo
all'antica. Ne conveniamo anche noi, purché ci si intenda sul vero
senso di tali espressioni ed aggiungiamo che egli, per noi, è il
«vero contestatore», «l'uomo della coerenza»,
«l'uomo del Vangelo».
Chi considera la sua vita
svoltasi tra le mura di un convento cappuccino - cella, chiesa, coro, altare,
confessionale - potrebbe avere l'impressione che sia in netto contrasto
con la dinamica che caratterizza il mondo moderno anche quello ecclesiastico
perché la sua azione sacerdotale si riduce alla Messa ed
all'amministrazione della Penitenza, proprio in un tempo in cui
l'apostolato cattolico assume dimensioni sempre più ampie e si apre
sempre a nuovi campi di lavoro:
«Devo subito dire - è il
padre generale dei Cappuccini -
che tale modo di vedere e di giudicare, a mio
parere, pecca di semplicismo, si ferma troppo alle apparenze senza penetrare nel
profondo, dimostrando di non aver capito né Padre Pio né gli
insegnamenti più essenziali del Concilio Vaticano II» [Cf.
Voce di padre Pio 1 (ottobre 1970) 6-7].
Alla luce di alcune
testimonianze, scelte fra tante nei documenti conciliari e cappuccini,
«la vicenda di Padre Pio risulta non solo - per dirla con parola abusata
- di palpitante attualità, ma addirittura precorritrice dei tempi nuovi,
dei nostri e di quelli che verranno. A provarlo basta rifarci alla sua
biografia [...]
. Uomo del nostro tempo, egli ha lasciato un ricco
messaggio di salvezza che deve essere da noi raccolto e ampliato, in unione col
suo grande spirito [...]
. I santi - dico nel nostro senso usuale - sono
miniere da scoprire. E io penso che in Padre Pio ci sia ancora molto da
esplorare» (Idem).
La conclusione del padre generale dei
Cappuccini sembra l'eco delle parole che un giorno lo stesso Padre Pio
diceva ad un suo confratello:
«Lascia che un'ombra di cipresso
cada sulla mia tomba e vedrai quante meraviglie di Dio si
scopriranno!...».
Certo per chi va in cerca di un Cristo su misura
e di un Gesù senza croce, Padre Pio gli appare più vecchio di un
anacoreta e più lontano di un asceta dei secoli bui; per chi imbrocca le
vie del secolo,
«in aperta opposizione all'itinerario verso Dio,
per il "cattolico orizzontale"» che - mal usando il
Concilio Vaticano II nella interpretazione della
«teologia delle
realtà terrestri» - seppellisce ogni
«teologia»
e rosicchia soltanto l'osso delle
«realtà
terrestri», Padre Pio è un seguace di Cristo del tutto
incomprensibile: oggi, domani e sempre.
Per chi invece la pensa
diversamente, egli è «l'asse di apostolato in questi
anni», figura veramente degna di venerazione, destinata dalla divina
Provvidenza a passare in questo mondo per seminare cose belle, per spargere il
profumo delle sue virtù, dal Signore purificata con tanto sacrificio,
fatta vivere proprio
«in questi giorni, per risvegliare nel mondo, e,
noi diciamo, per risvegliare in ciascuno di noi, quei sentimenti veri di
pietà, di umiltà, di generosità nel servizio di Dio, di
carità per i nostri fratelli: tutte virtù caratteristiche che
hanno brillato così bene nella vita di Padre Pio, e che noi dobbiamo
tenere davanti a noi come un invito, come un incitamento, per brillare anche
noi, se non con quella perfezione che veramente è di poche anime
privilegiate e generose, ma almeno ricopiandola in una certa misura [...].
Noi siamo certi che il Padre Pio, che ha fatto tanto bene nella sua vita,
continuerà a fare del bene con l'influenza del suo pensiero e del
suo ricordo, che l'impressione delle sue virtù ha lasciato e
lascerà ancora per tanto tempo nelle anime cristiane»
(4).
Il suo messaggio è il messaggio di Cristo e perciò
sempre attuale e operatore di salvezza; messaggio di preghiera e d'invito
alla preghiera; messaggio di lotta incessante, decisa e senza compromessi,
contro il peccato, persuaso che il più grande male che potesse colpire
l'uomo era il peccato:
«Quanto ha detto e fatto per evitarlo e
distruggerlo negli altri! Le lunghe ore passate in confessionale, il suo
comportamento, talvolta apparentemente duro, con i penitenti, ne sono la prova
più tangibile [...]
. Contro ideologie alleate al demonio ha sempre
avuto parole di fuoco, pur essendo pieno di misericordia verso gli erranti che
lo avvicinavano penitenti per implorare il perdono»; messaggio di
penitenza e di mortificazione: quanto abbia egli sofferto solo Dio lo sa,
«si è unito a Cristo nell'espiazione dei peccati degli
uomini, se molte conversioni si sono operate per mezzo di lui, alcune anche
clamorose, credo che ciò sia dovuto soprattutto a queste sue
sofferenze»; messaggio di
«devozione», di
«fedeltà» e di
«amore» al Papa ed alla
Chiesa:
«Per lui il Papa era Cristo. E benché talvolta nella sua
vita gli sia enormemente costata l'obbedienza al Papa, egli, in silenzio e
con perfetta rassegnazione, l'ha accettata come fosse comando di Cristo
stesso»; messaggio di carità
«verso Dio Padre e verso i
fratelli».
Questi i messaggi che soprattutto egli ha rivolto
a noi - conclude il vescovo di Foggia monsignor Lenotti - con i richiami, i suoi
scritti e in modo particolare con l'esempio del la sua vita.
«A
noi accogliere e mettere in pratica il messaggio che Dio ha voluto, alla fine di
questo secolo ventesimo, ripetere agli uomini per mezzo del suo servo umile e
fedele Padre Pio da Pietrelcina» (5).
Frutto fuori stagione, no;
segno di contraddizione, sì. È la storia degli
«uomini di
Dio» che si ripete immancabilmente, per merito o per colpa di altri
figli di Dio, che la pensano diversamente ma che poi sono costretti a
ricredersi, perché i frutti buoni non possono produrli che alberi buoni.
Di questi uomini il più vicino a noi per volgere di anni è Padre
Pio.
«Del resto di don Bosco e del canonico Cottolengo non afferrarono a
suo tempo l'essenza della loro azione neppure i torinesi. Leggiamo le due
storie e vediamo che non hanno camminato su petali di rose né il
Cottolengo né il don Bosco; anche nel settore ecclesiastico hanno avuto i
loro grossi inciampi. Così di Padre Pio» (Trabucco
C.).
Il bene che viene da Dio rimane sempre. Un altro cappuccino
contemporaneo di Padre Pio, il libanese p. Giacomo da Gazir (1 febbr. 1875 - 26
giu. 1954), che ha riempito la sua lunga vita con opere che hanno fatto di lui
un benemerito della sua patria e un candidato alla gloria degli altari, a chi,
guardando lo sviluppo delle sue opere per gl'infermi, per i poveri vecchi,
per i sacerdoti derelitti, per le vocazioni, si preoccupava per che cosa sarebbe
stato di esse dopo la sua scomparsa, rispondeva:
«Se me ne vado non
cambierà niente. Allora si vedrà che è la mano di Dio che
ha costruito. Tutto il bene viene da Dio».
Lo stesso si può
dire del benefico apostolato di Padre Pio, che continua a seminare il bene su
questa terra, come prima e meglio di prima:
«Figlio mio - diceva ad
un confratello -
tu non sai che di là si può fare di
più».
Come un profeta
Il lamento del salmista:
«Non
vediamo più le nostre insegne, non ci sono più profeti»
(
Sal. 74,9), sembra non essere attuale ai nostri giorni, perché
nella Chiesa c'è una forte ventata di profetismo. Assieme ai
carismatici di altri generi, i profeti sorgono da ogni parte e non passa giorno
che non si dica una parola profetica o non si compia un gesto profetico.
Ma
non ci sono solo i veri profeti, quelli scelti ed inviati da Dio; pullulano
anche i falsi profeti, che profetizzano menzogne ed i tanti profeti che sorgono
oggi nella Chiesa sono profeti veri o falsi? La risposta non è sempre
facile, però ci sono dei criteri che permettono di discernere i veri dai
falsi profeti.
Per quanto riguarda il
«fedelissimo»
servo di Dio Padre Pio, possiamo affermare che egli è un vero profeta
inviato da Dio, anche se a volte scomodo. È il destino dei profeti essere
persone scomode ed i primi a sentire quanto gravoso, per sé e per gli
altri, sia il loro compito sono gli stessi profeti, divenuti uomini di
«litigio e di contesa», «oggetto di scherno» (cf.
Ger. 20,7s); può perciò, sempre avvenire che quanto essi
dicono disturbi o non piaccia.
«Di ciò si hanno esempi clamorosi
nella storia della Chiesa. È avvenuto, così, che i loro rapporti
con l'autorità della Chiesa siano stati spesso difficili. Tuttavia,
ciò che li ha distinti dai falsi profeti è stata la loro
ubbidienza alla Chiesa, l'umile accettazione del giudizio della Chiesa sul
loro carisma. Con la loro ubbidienza, essi hanno mostrato di posseder lo spirito
della verità, di essere veramente "da Dio"» (cf.
Civ. Catt. 1970, II, 109).
Da una parte il richiamo a tornare al
Vangelo di Cristo nella sua integrità è ciò che
caratterizza il
«vero» profeta, ieri come oggi;
dall'altra, i profeti cristiani più autentici sono i santi. Ecco
perché i santi sono i profeti di cui la Chiesa ha oggi più urgente
bisogno.
Il Concilio Vaticano II ha puntualizzato l'investitura
profetica, che ogni cristiano riceve già nel sacramento del Battesimo, e
che deve esercitare in tutti gli stadi della sua vita, secondo le diverse sue
responsabilità.
Padre Pio da Pietrelcina - ci dice
l'arcivescovo di Manfredonia -
«per cinquant'anni vissuto
nel nostro Gargano, è stato come un "profeta" inviato da Dio.
Gesù Cristo chiese un giorno ad alcuni discepoli: "Chi siete andati
a vedere nel deserto? Un profeta?... ". Il Santo Padre Paolo VI, in un
discorso di alcuni mesi fa, chiedeva: "Chi andava a vedere la folla nel
convento cappuccino di S. Giovanni Rotondo?". La risposta è
identica a quella che si legge nel Vangelo, a proposito di Giovanni Battista.
Lì si trovava Padre Pio, come un profeta, indicava le vie del Signore,
testimoniava come incontrarlo nella fede, nella preghiera, nel sacrificio, nella
carità. In questo senso Padre Pio fu veramente un profeta, che
dedicò la sua vita a "ricostruire la casa del
Signore"», quella casa spirituale che è la coscienza
cristiana e nessuno può dubitare di questa sua missione profetica, che
costruisce la sua vera grandezza, segno della sua provvidenziale presenza a
favore non solo di chi lo ha conosciuto, avvicinato personalmente, ma a favore
di tutta la Chiesa, che è la
«Casa del
Signore».
Non sono gli innumerevoli episodi, gli avvenimenti
stessi straordinari, che a lui si attribuiscono durante e dopo la sua vita, che
fanno grande Padre Pio; anzi possono essere un ostacolo a ben vederlo, per chi
non è provvisto del vero senso della fede.
«Io credo
che il Santo Padre Paolo VI abbia indicato con esattezza la missione di Padre
Pio:
"Che clientela mondiale ha adunato intorno a sé! Ma
perché? Forse perché era un filosofo, perché era un
sapiente, perché aveva mezzi a disposizione? No. Perché diceva la
Messa umilmente, confessava dalla mattina alla sera; ed era, difficile a dirsi,
rappresentante «stampato» delle stimmate di Nostro Signore. Era uomo
di preghiera e di sofferenza" (20 febbraio 1971).
Egli, dunque, si
è eroicamente impegnato a ricostruire la casa del Signore, difendendo i
valori fondamentali della fede e della morale cattolica, con il coraggio di un
profeta».
La sua vita e la sua parola, scritta o parlata, ci
rivelano apertamente la sua
«voce profetica», convergono,
«lo possiamo sinceramente affermare, verso il mistero della Croce,
adorata, abbracciata, rivissuta, compartecipata ai fratelli redenti. E cosa
rimarrebbe della Chiesa santa del Signore, senza il mistero della Croce? Non
è forse S. Paolo che giudicava distruttori della fede i nemici della
Croce di Cristo?».
Il Concilio Vaticano II ci presenta il
mistero della Chiesa parallelo al mistero della Croce, da cui prende origine e
vita e perennità (Cf.
Lumen Gentium, cap. 1, n. 3 s): senza Croce
non c'è Chiesa autentica; la presenza della Chiesa, anche nel mondo
contemporaneo, non può essere dissociata dalla Croce, come afferma lo
stesso Concilio nella costituzione pastorale.
Mettendo in bocca a Padre Pio
le stesse parole del profeta Aggeo, l'arcivescovo di Manfredonia le
risente rivolte ai cattolici di oggi, ai vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi di
questa epoca travagliata post-conciliare:
«Badate a quanto vi succede.
Voi avete seminato molto, ma avete raccolto poco; avete da mangiare, ma non da
saziarvi; avete da bere, ma non da inebriarvi; avete da vestirvi ma non da
riscaldarvi; il vostro guadagno lo mettete in sacchetto bucato»
(
Aggeo 1,6); e commenta:
«È propria la nostra storia, se
non siamo capaci di fare la scelta della Croce e seguire il Cristo. Bisogna
averne il coraggio, per non rimanere cristiani a
metà».
Troppe volte noi impersoniamo Erode, presentato da
san Luca (9,7ss) come un personaggio a metà, né caldo né
freddo, che non sa prendere le sue decisioni e va di continuo illudendosi nella
ricerca di esperienze insolite:
«troppe volte noi facciamo così,
ci illudiamo di poter sostituire qualche cosa alla croce. Padre Pio, invece,
l'ha presa con fede: "Scio cui credidi", e tanto l'amava
che non l'ha abbandonata, fino alla morte» [Cf.
Voce di padre
Pio 2 (nov. 1971) 10s].
Padre Pio, profeta vero, è una persona
scomoda, specie per i
«profeti menzogneri» che vogliono un
cristianesimo
«senza croce e senza vita eterna», che desiderano
«miele» e non vogliono essere
«sale» della
terra, perché il sale su una pelle a vivo è una cosa che brucia,
anche se impedisce alla piaga di non marcire. Ma Iddio la pensa diversamente.
Teresa di Gesù, una santa amata da Dio come poche, oppressa dal peso
della sofferenza fino al limite della resistenza umana, che parlava al Signore
delle sue croci, si sentì rispondere:
«È così che
provo coloro che amo». E la santa, di rimando:
«Adesso,
Signore, capisco perché tu hai pochi amici. Tu li
crocifiggi».
Padre Pio lo sapeva di essere crocifisso: ad uno dei
suoi collaboratori, al quale non erano risparmiati dolori e angustie:
«Ti sei scelto - disse un giorno -
un padre
crocifisso».
Attratti da questa voce profetica, le anime si recano
pellegrini a S. Giovanni Rotondo per chiedere a lui fermezza nella fede, amore
alla preghiera, ubbidienza alla Chiesa.
Dopo i concili ecumenici - è
la storia della Chiesa - negli anni di contorsione anche interna, Iddio suscita
i santi per neutralizzare le voci stonate:
«Oggi nell'interno
della Chiesa - afferma monsignor Pollio arcivescovo di Salerno -
stanno
sorgendo tanti falsi profeti che il Papa, con un termine più cristiano,
chiama autoeletti-teologi. Ma la Chiesa non li riconosce tali. E dicono tante
sciocchezze nei riguardi della fede. E la grazia grande che Padre Pio ci deve
ottenere quest'oggi è la "fermezza nella fede",
l'"amore alla preghiera" e devozione alla Vergine,
perché attraverso la Vergine noi ci salveremo».
Il Santo
Padre ci ha detto più volte che
«l'uomo moderno non sa
più pregare e, quel che è peggio, non sente più il bisogno
di pregare. Noi vogliamo pregare, noi sentiamo il bisogno di
pregare».
Un altro punto negativo della società: si
vorrebbe togliere l'obbedienza. Eppure Cristo ci ha salvato con
l'obbedienza. Il Vangelo è pieno di obbedienza. Noi vogliamo
l'obbedienza e Padre Pio ci ottenga di essere docili alla Chiesa:
«Sono entrato poc'anzi in una cappellina in clausura, dove Padre
Pio dal 1931 al 1933 fu relegato [...]
due anni. Non poteva scendere in
quella piccola chiesa-santuario; non esisteva ancora la nuova. Non poteva
scendere a confessare; eppure aveva già le stimmate. Non poteva
incontrare gente di fuori: era relegato. In quel piccolo conventino, in una
cella, oggi cappelletta, egli per due anni ha celebrato da solo la santa Messa.
E mi si diceva che la sua Messa durava due o tre ore. Ha ubbidito Padre Pio. Se
io ho voluto scegliere quale breve argomento di omelia la fortezza nella fede,
l'amore alla preghiera, l'ubbidienza alla Chiesa, è
perché, leggendo la vita di Padre Pio, leggendo alcune lettere sue,
traspare chiaro questo triplice amore» [cf.
Voce di Padre Pio 2
(dic. 1971) 8 s].
Per gli ingenui promotori del mondo nuovo, che proclamano
scaduto tutto ciò che separa gli «Atti degli Apostoli» dal
«Concilio Vaticano II (interpretato, oltre tutto, a modo loro) Padre Pio
è un profeta arrivato in ritardo, uomo da storia, vogliamo dire campione
di secoli passati:
«Forse è morto l'ultimo dei grandi
mistici italiani, protagonista involontario e interprete, più sospetto
che ammirato, di un genere di spiritualità alla quale apparentemente la
Chiesa del dopo Concilio non sembra prestare molta attenzione né dedicare
molto spazio della sua riflessione teorica. Padre Pio, se è da
riconoscere santo, lo è per tutta una vita intrisa di fede dolorosa e
appassionata di amore infuocato per «lo spirituale» contro «il
temporale» anche chiesastico - simile in questo a tutti i grandi mistici
italiani che si sentono sempre la Chiesa addosso come un cilicio, più
spesso matrigna che madre - una vita tutta spesa nella carità spirituale
e corporale per i malati di anima e di corpo» (Pisoni
E.).
Per i Pastori, che hanno il dovere di guidare il gregge di Dio
ai pascoli eterni, Padre Pio è
«un segno per tutti: per i
credenti e per i non credenti»: più per i secondi che per i
primi;
«e di che cosa è stato segno? segno chiaro, segno
evidente? È stato segno della trascendenza e del soprannaturale. In
questo senso egli è stato una "teofania", cioè una
evidente manifestazione di Dio [...]
. La sua sola presenza, così
com'essa si mostrava nell'ordine esistenziale, è stata un
segno. Ed essendo un segno, egli è stato uno stimolo per tutti. Uno
stimolo alla meditazione, alla conversione. Uno stimolo alla santità. E
non è stato stimolo attraverso i doni straordinari di cui pure fu
arricchito. Ma è stato stimolo perché ha saputo predicare un
messaggio. Con la parola indubbiamente. Ma prima e più che con le parole,
con la sua vita [...]
. Un messaggio di amore. E questo messaggio rimane.
Ecco perché non possiamo dire che Padre Pio sia un assente. Rimane il
messaggio in tutta la sua validità. E forse questo messaggio è
oggi più valido di ieri, perché è un messaggio liberato,
è un messaggio purificato. A noi accoglierlo. A noi attuarlo. A noi
portarlo agli altri, perché noi tutti siamo chiamati a perseguire gli
stessi ideali e a conquistare le stesse mete che furono gli ideali e le mete di
Padre Pio. La vocazione alla santità non è un privilegio di pochi.
È chiamata per tutti» (6).
Ce lo ricorda anche il Concilio
Vaticano II:
«la vita cristiana deve essere santa» e Paolo VI:
«La scala morale di Cristo non discende, ma sale; è la scala del
"più", non del "meno"», non è
passiva e non esonera l'uomo da uno sforzo morale continuo. E noi
ringraziamo il Signore che ci ha inviato Padre Pio per ricordarci a salire per
una scelta
«accessibile a tutti i cristiani», dovere
«morale della vita umana, elevata ad una misteriosa e stupenda
dignità soprannaturale» (Paolo VI). Ci ricorda ed aiuta a
salire, poiché farsi santo
«è facile e difficile»
- parole di Padre Pio.
Un'immagine di Padre Pio
Le vie più sicure
La Chiesa, testimonio perenne della presenza
di Dio nel mondo, popolo di Dio ancora in cammino, ha lo stesso fine che ebbe
Gesù Cristo venendo al mondo: comunicare agli uomini i mezzi necessari
per la salvezza, distruggendo il peccato, infondendo loro la vita divina ed
insegnando con autorità ed amore la via della verità.
La
Chiesa è la santità di Cristo in mezzo al mondo ed i cristiani
devono vivere in santità individuale con mire ecclesiali, perché
essa possa presentare al mondo il suo vero volto, così come la
configurò Cristo, suo fondatore.
La Chiesa cresce sensibilmente nel
mondo per virtù della croce di Cristo e con la croce è in
strettissima relazione l'altare del sacrificio
eucaristico.
L'Eucaristia costruisce la Chiesa da cui vengono
unità, vita, perfezione, crescita e il Concilio Vaticano, parlando del
dovere missionario dei sacerdoti, ricorda che il loro ministero è
«incentrato essenzialmente nell'Eucaristia, la quale dà
alla Chiesa la sua perfezione» (
Ad Gentes, n. 39). E nella
costituzione dogmatica sulla Chiesa, nell'affermare che
«ad ogni
discepolo di Cristo incombe il dovere di diffondere, quanto gli è
possibile, la fede», ricorda al sacerdote che è suo
«ufficio di completare l'edificazione del Corpo col sacrificio
eucaristico» (
Lumen Gentium, n. 17).
Accanto a questo
brevissimo accenno sulla inesauribile ricchezza dottrinale della Chiesa vi
è la dovizia dei suoi aspetti spirituali: Chiesa
«madre dei
cristiani», «Maria, madre della Chiesa»... Maternità
che esige corrispondenza e fedeltà da parte dei suoi figli, rispetto,
obbedienza e amore:
«senza tale amore la vita del cristiano non
può essere ecclesiale. L'amore deve stimolare i cristiani ad una
corrispondenza generosa, aiutando la Chiesa nelle urgenti necessità di
ordine spirituale. Soprattutto deve stimolarli allo spirito di preghiera e di
sacrificio. L'obbedienza si manifesterà nel consenso agli
insegnamenti ed alle esortazioni del Magistero: consenso ai suoi desideri e ai
suoi consigli. Non si deve attendere alla materia quanto allo spirito
dell'obbedienza [...]
. Il "sentire con la Chiesa"
è norma inconfondibile per il vero cattolico» (7).
Tutte
verità - queste - attualizzate e vitalizzate da Padre Pio,
«figlio ubbidiente» della
«santa madre Chiesa» (la
Chiesa è sempre madre - soleva dire -
anche quando percuote).
Tutta la sua attività ministeriale non si è trovata mai
«fuori dei tempi nuovi»: egli non è stato colto in
contropiede dal proposto ed auspicato rinnovamento del Concilio Vaticano II e
non si è dovuto affannare a cambiar marcia e dirottarsi per le vie
dell'aggiornamento: già le percorreva. Le vie battute dai santi
sono le più sicure, le più certe e sempre attuali perché
sono le vie del Vangelo (8).
«Tra i santi, uno è nostro
contemporaneo [Padre Pio] che raggiungerà la santità
riconosciuta», perché ha raggiunto la intimità con Dio
attraverso le solite vie dei tre amori che sono
«gli amori dei santi.
Senza di questi non si va in paradiso, non si è santi. Neanche buoni
cristiani. L'amore alla Chiesa. L'amore all'Eucarestia.
L'amore alla Madonna» (9).
Padre Pio ha sempre amato la
Chiesa. Diceva:
«Voglio vivere e morire nella Chiesa». Intorno
a lui vi è stato del rumore:
«Non sappiamo perché
questo fatto si è verificato. Sarà stata certamente una
disposizione della provvidenza di Dio. Un polverone, a un certo momento, si
è alzato intorno a questa grande figura che dal momento della sua morte
sta onorando la Chiesa in maniera veramente straordinaria e stupenda. Ma della
sua santità non era possibile discutere [...]
C'era da
ammirare in lui l'amore alla Chiesa; come è vissuto nella Chiesa o,
meglio, come la Chiesa è cresciuta in lui durante gli anni della sua vita
terrena» (10).
In Padre Pio, povero frate del Gargano che tutto il
mondo conobbe ed ammirò, forse nulla
«vi è di più
grande che il suo silenzioso persistente, quasi caparbio, sebbene tanto umile,
amore alla Chiesa, la sua fedeltà alla Chiesa, la sua
disponibilità completa che, nella prima ventata, gli consentiva di
prepararsi serenamente a partire per la Spagna e, nella seconda gli
consentì di cedere con tutta semplicità la sua più sognata
e amata realizzazione terrena. L'ultima sua parola, quando ormai nessun
velo gli nascondeva prossimo il transito dal tormentato crocifisso esilio alla
Patria, fu perciò una lettera di leale, filiale, affettuosa devozione
alla Sede Apostolica. Poi, in silenzio, come era vissuto, se ne
andò» (11).
Padre Pio era
«tenerezza»,
«rispetto», «devozione» per quello che era il Santo
Padre, si chiamasse Pio X o Benedetto XV o Pio XI o Pio XII, quello che sia.
«Il mio primo ricordo nella preghiera - diceva -
è per il
Papa». «La tenerezza per il Papa, Vicario di Cristo! Mai una critica.
Sempre il rispetto, la preghiera. Ricordo quando Padre Pio, a bassa voce, in
modo che nessuno sentisse, mi ha detto: "Enrico, di' al Papa (Pio
XII) che io do con immensa gioia la vita per lui". E poi Pio XII che mi ha
detto: "No, professore. Ringrazi Padre Pio. Sono tanto stanco". E in
silenzio, si capiva, diceva: "Voglio andare lassù". E dopo
sette giorni era lassù».
E due giorni prima che morisse
Padre Pio, lo stesso professor E. Medi chiedeva a Paolo VI:
«Santità, io vado su al Gargano. Son cinquant'anni delle
stimmate di Padre Pio. Posso portare la sua benedizione? E il Papa mi ha detto:
"Con tutto il cuore. Con tutta la gioia. Con tutto
l'affetto"» (12).
Padre Pio amava la Chiesa,
l'ascoltava e la incarnava nel suo genuino insegnamento: l'amore
senza limiti al mistero eucaristico, che ce lo presenta quale
«modello
eccezionale», è una risposta piena al suo magistero.
Se
l'azione che un sacerdote può svolgere per la salvezza del mondo
è multiforme, la più degna, la più efficace, la più
duratura è senza dubbi quella di
«farsi dispensatore
dell'Eucarestia, dopo essersene egli stesso abbondantemente nutrito.
L'opera sua non sarebbe più sacerdotale, se egli, sia pure per lo
zelo delle anime, mettesse in secondo luogo la vocazione eucaristica»
(Pio XII).
Il Concilio Vaticano II ribadisce che i presbiteri nella
celebrazione del sacrificio eucaristico svolgono la loro
«funzione
principale», perché il loro sacerdozio ministeriale è
essenzialmente ordinato all'Eucarestia.
Il documento sul sacerdozio
ministeriale del terzo sinodo dei Vescovi dichiara che
«il ministero
sacerdotale raggiunge il suo culmine nella celebrazione dell'Eucarestia,
che è la fonte ed il centro dell'unità della Chiesa. Solo il
sacerdote è in grado di agire "in persona Christi" nel
presiedere e nel compiere il convito sacrificale nel quale il popolo di Dio
viene associato all'oblazione di Cristo» (n. 4).
La
vocazione sacerdotale è per eccellenza una vocazione eucaristica,
perché
«nella santissima Eucarestia è racchiuso tutto il
bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane
vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante,
dà vita agli uomini i quali in tal modo sono invitati e indotti a offrire
assieme a Lui se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create»
(
Presbyterorum ordinis, n. 5).
Padre Pio
«viveva per la
Messa, della Messa»; per lui era
«sorgente della luce, della
forza, dell'alimento del suo duro servizio per la salvezza dei
peccatori», proprio come afferma il citato decreto conciliare:
«tutti i Sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le
opere d'apostolato, sono strettamente uniti alla sacra Eucarestia e ad
essa sono ordinati» (13).
Sottolineava in modo singolare
questo atto,
«il più sublime, il più alto, il vero atto
sacerdotale del suo ministero. La sua Messa celebrata in una maniera
inconfondibile richiamava l'attenzione ed incideva sulla devozione di
quanti la presenziavano. E pure questo, mi pare, dobbiamo sottolineare, in un
momento in cui la santa madre Chiesa ha chiamato tutto il mondo cattolico ad una
partecipazione più attiva, più consapevole e più devota
alla santa Messa; e quindi anche la nostra partecipazione alla Messa stessa. La
Messa di Padre Pio da Pietrelcina ha anticipato gli eventi non nelle forme
esteriori (non era compito suo e sarebbe andato fuori dei limiti che doveva
osservare); ha anticipato non le forme liturgiche nuove, ma lo spirito che anima
queste forme» (14).
La Chiesa ha richiamato tutto il mondo
cattolico ad una partecipazione più responsabile e devota alla santa
Messa; finalizza alla Messa la predicazione e gli stessi Sacramenti, vertice di
tutta la sua attività, sorgente di tutte le sue risorse, tutte le sue
energie soprannaturali. Tutto questo Padre Pio lo
«ha anticipato di
cinquant'anni, che poi il Concilio Vaticano II ha consacrato così
solennemente; anticipato, dicevo, nello spirito; lo ha sottolineato agli occhi
di folle intere che giorno per giorno si avvicendavano intorno al suo altare
anche nelle ore più mattutine. Ha anticipato la proclamazione, non a
parole ma coi fatti, del "valore vertice della santa Messa" e la sua
frase direi teologicamente indovinata ha significato proprio questa
anticipazione meravigliosa. "Il mondo - diceva il Padre -
potrebbe
stare anche senza sole, ma non può stare senza la santa
Messa"» (15).
Il «Corpus Christi
eucharisticum» era la sua fonte di apostolato, centro ed alimento della
sua vita interiore; il suo cuore smaniava di unirsi a Lui sin dalle primissime
ore del mattino; le sue preparazioni alla Messa o Comunione erano veglie
prolungate. Passata la mezzanotte,
«per il povero Padre era un tormento,
un'ansia continua".
«Che ore sono?», mi
domandava.
«Sono le 12,30; è presto
ancora».
«Mi raccomando, non fare passare l'orario.
Per l'una io debbo alzarmi».
Ma l'orario non poteva
passare, perché lui era sveglio e all'una mi diceva: «Alzami,
che ci faccio in questo letto?". E si levava all'una di
notte.
Dall'una e mezzo fino alle quattro, seduto sulla
poltroncina con la corona che mai lasciava, pregava, si preparava alla Messa.
Alle quattro scendevamo in sacrestia e per un'ora egli attendeva alla
preparazione immediata alla Messa. Ma anche in quest'ora il solito
ritornello: «Che ore sono?».
«Ci vuole ancora
tempo».
«Come, sono già suonate le quattro e mezzo
da un bel poco. Presto, presto, vestimi».
Ma l'ansia e il
tormento si facevano più pressanti. Appena vestito dei sacri paramenti,
lo mettevo a sedere per non farlo stancare, aspettando che il sacrestano aprisse
la chiesa, mentre io uscivo dinanzi all'altare per le preghiere del
mattino. Ad un tratto il Padre grida: «Onorato! Onorato!». Io mi
precipito: «Che c'è, Padre
spirituale?».
«Fa' aprire la chiesa;
sbrigati».
«Ma ci vuole ancora qualche minuto, non sono
ancora le cinque».
«Alle cinque debbo essere
sull'altare - rispondeva.
Sbrigati». Appena aperta la chiesa,
la calma era tornata nel suo spirito [...].
Dall'altare
pendeva tutta la sua vita, con il suo amore, con il suo dolore, con la sua
carità ed ha trasfuso nei suoi figli tutto l'ardore che gli veniva
dal Corpo e dal Sangue di Gesù [...]. «
Dal suo altare sono
partiti i raggi del suo amore e della sua luce, che hanno raggiunto tutti i suoi
figli, unendoli come membri di una stessa famiglia. Dalla sua mensa egli ci ha
dato lo stesso pane e siamo diventati un solo corpo e un'anima sola con il
Cristo. Questa chiesa [di S. Maria delle Grazie] era il Cenacolo ove tutti noi
mangiavamo dello stesso pane, lasciatoci da Gesù, e dato a noi dal
Padre» (16).
Del suo sacerdozio aveva una profonda stima e tanta
paura di sciuparlo da fargli dire che, nascendo una seconda volta, cappuccino
sì ma sacerdote no, perché troppo sublime. Lo si vedeva quando
durante la celebrazione al momento della consacrazione era preso da
un'angoscia profonda:
«Un giorno me l'ha detto. Parlava
poco, molto rapidamente di queste cose: "Tu devi capire cosa significa
ogni giorno ammazzare mio Padre, ammazzare Gesù"»
(17).
È un parlare che potrà non riuscire gradito a
quanti discutono sull'identità del sacerdozio,
«considerando l'ascetica e la mistica di S. Francesco
d'Assisi, di S. Teresa e di S. Giovanni della Croce, di Padre Pio, prassi
e fenomeni di un cristianesimo ormai sorpassato, non più adatto al tempo
della secolarizzazione del sacerdozio, del trionfo della civiltà tecnica
e dell'apostolato attivistico e clamoroso. Ma Gesù Cristo, in cui
"abita corporalmente la pienezza della Divinità"
(
Col. 2,9),
è il medesimo ieri e oggi, ed è anche per i
secoli (
Ebr. 13,8)» (18).
La Messa perdura nel culto
eucaristico, perciò il magistero ecclesiastico non soltanto ricorda al
sacerdote che egli
«prima di tutto è ordinato alla celebrazione
eucaristica», che di questo sacrificio deve farne
«alimento di
vita soprannaturale per sé e per i fedeli», ma gli raccomanda
anche la
«ineguagliabile importanza del culto eucaristico fuori della
Messa»: sia sotto l'aspetto
«cultuale» -
adorazione, ringraziamento, propiziazione, implorazione - che comprende gli
stessi fini del Sacrificio; sia dal punto di vista
«ascetico e
mistico», perché senza
«una genuina pietà
eucaristica non si dà vero alimento all'apostolato, né si
assicura la fedeltà delle vocazioni ecclesiastiche e del ministero
sacerdotale (cf.
Presbyterorum ordinis, n. 4 s);
sia dal punto di
vista "ecclesiale-comunitario", perché l'Eucarestia
è conservata nei templi e negli oratori come il centro spirituale della
comunità religiosa e parrocchiale, anzi della Chiesa universale e di
tutta l'umanità (enc.
Mysterium Fidei, in AAS 57 [1965]
772);
sia dal punto di vista "sociale" e "umano" come
ispiratrice di carità e di socialità; sia infine anche da quello
"ecumenico', come fonte e alimento di unità»
(19).
Pare di vedere ancora Padre Pio
«come singolare sentinella,
al suo posto abituale del vecchio coro o del matroneo della nuova chiesa, con la
fronte raccolta nelle sue mani stimmatizzate, per lunghe ore, in atteggiamento
di estasi dinanzi all'altare, in un colloquio incessante ed intimo con
Gesù Ostia, mentre le anime lo fissano con una protesa attenzione, legate
fra loro da una stessa forza: quella dell'unità dello
spirito» (20).
A chi gli domandava:
«Padre, quando non ci
sarete più, come faremo senza di voi? - poteva ben a ragione
rispondere:
«Andate innanzi al tabernacolo: in Gesù troverete
anche me».
Nel clima di aggiornamento ecumenico e nella
riscoperta della teologia contemporanea di un nesso così profondo tra
Eucarestia ed ecclesiologia, che non si può riflettere in
profondità sulla Chiesa di Dio senza far menzione dell'Eucarestia,
segno e fermento dell'unità dei credenti, vi è anche
l'esortazione ai fedeli di adorare
«con ardore» Cristo
Signore nel Sacramento ed ai Pastori il richiamo a guidarli
«con
l'esempio» ed a spronarli
«con opportuni
ammaestramenti» (
Eucharisticum mysterium; n. 50).
Padre Pio
per compiere con fedeltà il proprio ministero praticò intensamente
«il culto personale della Sacra Eucarestia» e il
«dialogo quotidiano con Cristo andandolo a visitare nel
Tabernacolo», anticipando di cinquant'anni coi fatti ciò
che poi stabilisce il Concilio Vaticano II (cf.
Presbyterorum ordinis, n.
18).
Lo stesso decreto sul ministero e vita sacerdotale esorta i Presbiteri
a venerare e amare
«con devozione e culto filiale», «la Madre
del Sommo ed Eterno Sacerdote, la Regina degli Apostoli, l'Ausilio dei
Presbiteri nel loro ministero» (n. 18) e Paolo VI nella sua esortazione
apostolica
«Cultus marialis» del 2 febbraio 1974 propone ai
singoli cristiani, come
«maestra di vita spirituale», Maria
«modello di tutta la Chiesa nell'esercizio del culto
divino»: guardare a Maria per fare, come lei, della propria vita un
culto a Dio e del loro culto un impegno di vita (cf. n. 21).
La venerazione
e l'amore a Maria santissima è una delle componenti essenziali
della spiritualità di Padre Pio, ma non è nostro fine dimostrarlo
(21), qui vogliamo soltanto accennare al pio esercizio del santo Rosario o
corona della beata Vergine Maria, di cui Padre Pio era talmente innamorato da
diventare un
«rosario vivente».
Il problema dei problemi
per ogni cristiano è - anche attraverso il culto - l'esigenza di
rivestirsi di Cristo, conoscerlo, approfondire il suo insegnamento, amarlo. Il
Concilio Vaticano II valorizza la Liturgia, come una delle vie maestre che
conduce a Cristo,
«ritenuta come l'esercizio di Gesù Cristo
stesso» (cf.
Sacrosanctum Concilium, n. 7).
Ma vi sono
anche altre vie, capaci di condurre anime a Cristo, una di queste è il
Rosario e Paolo VI nella citata esortazione (nn. 32-55), tratteggiandone una
sintesi teologica e storica, ne sottolinea sempre l'aspetto di via a
Cristo; infatti il Rosario ci fissa in Cristo, nei quadri della sua vita e della
sua teologia,
«non solo con Maria, bensì, per quanto a noi
possibile, come Maria, che è certamente quella che più di tutto lo
ha pensato».
La presentazione allo sguardo spirituale
dell'orante dei cosìddetti
«misteri del Rosario»,
fanno di questo
«pio esercizio mariano una meditazione cristologica,
abituandoci a studiare Cristo dal migliore posto di osservazione, e cioè
da Maria stessa» (22).
Ci può essere migliore guida di una
Madre al Figlio? E ci può essere più sicurezza nel cammino verso
Betlem, il Calvario e il Risorto, di quella di un percorso fatto a fianco alla
Madre di Gesù, com'è nella pia recita del santo rosario?
«Con lei, nel Rosario, percorriamo sicuri il cammino della storia della
salvezza nel nucleo centrale di attuazione del piano stesso. È la via
storica che anche il Concilio Ecumenico Vaticano II ha vivamente
raccomandato» (23).
A questa
«preghiera
evangelica» - come oggi forse più che nel passato amano
definirla i pastori e gli studiosi - Padre Pio attingeva continuamente per
l'impegno apostolico e la efficace promozione della vita
cristiana.
L'amore che Padre Pio portava alla Madre di Dio non era
impastato di sentimentalismo e melate parole o di sospirosi accenti e facili
singhiozzi, ma frutto di meditazione continua, incarnata nella vita: contemplava
Maria nel piano della salvezza voluto da Dio e, nella sua luce, si sentiva
più vicino a Gesù:
«Stretto e legato al Figlio - dice
Padre Pio -
per mezzo della Madre»: «Questa tenerissima Madre nella
sua grande misericordia, sapienza e bontà ha voluto punirmi in modo assai
eccelso alla presenza sua ed a quella di Gesù sono costretto ad
esclamare: "Dove sono, dove mi trovo? Chi è che mi sta
vicino?" Mi sento tutto bruciare senza fuoco; mi sento stretto e legato al
Figlio per mezzo di questa Madre, senza neanche vedere le catene che tanto
stretto mi tengono; mille fiamme mi consumano; sento di morire continuamente e
pur sempre vivo» (
Epist. I, 357).
L'amore alla Madre
di Dio lo inebriò e lo fece diventare apostolo:
«Vorrei avere una
voce così forte per invitare i peccatori di tutto il mondo ad amare la
Madonna» (ivi, p.
277) «amate la Madonna», «la
Madonna regni sovrana nei vostri cuori», «la Madonna sia la stella che
guidi il vostro cammino», «recitate sempre il Rosario»...
erano i suoi messaggi ai figli vicini e lontani.
Sfogava il suo tenerissimo
amore alla Madonna con la recita senza numero di Rosari, per le scale, per i
corridoi, in mezzo alla folla - sempre e dovunque con la corona in mano,
nascosta nella pettorina dell'abito; ed è passato al premio eterno
stringendo tra le mani la corona del
«Rosario benedetto di Maria, catena
dolce che ci annoda a Dio», e mormorando forse ancora l'ultima
Ave Maria sulla terra, prima di cominciare a dar lode a Dio e alla sua Madre
celeste nella vita eterna.
Due giorni prima di morire a chi gli chiedeva:
«Padre, cosa ci dite?» - egli rispondeva:
«Amate la
Madonna e fatela amare. Recitate il rosario e recitatelo sempre. E recitatelo
quanto più potete». E a chi gli ripeteva l'eco di un certo
andazzo del Rosario che «ha fatto il suo tempo», egli diceva:
«Facciamo quello che abbiamo sempre fatto, quello che hanno fatto i
nostri padri e ci troveremo bene». «Ma satana impera nel mondo».
«Perché lo fanno imperare: può uno spirito imperare da
sé se non si unisce alla volontà umana? Amate la Madonna e fatela
amare, recitate sempre il suo rosario e bene. Satana mira sempre a distruggere
questa preghiera ma non ci riuscirà mai: è la preghiera di Colui
che trionfa su tutto e su tutti. E lei che ce l'ha insegnata come
Gesù ci ha insegnato il Pater noster» (24).
Recitare
il Rosario sì, ma recitarlo bene, come si conviene ad ogni preghiera
perché sia efficace: i due elementi diversi della corona - meditazione
dei misteri e preghiera vocale - devono combinarsi tra loro con
«un'attenzione speciale» perché non basta pensare
a Dio in un modo qualsiasi. E Padre Pio ha una risposta chiarificatrice anche
per quelli che vogliono creare un problema tra preghiera mentale e vocale nella
recita del santo Rosario. Una figlia spirituale, chiestogli un parere sul modo
di recitare praticamente la corona e cioè
«se si dovesse fare
attenzione alle parole dell'Ave Maria (preghiera vocale)
oppure
alla raffigurazione mentale della scena del mistero», disse:
«L'attenzione dev'essere portata all'Ave, al saluto che
rivolgi alla Vergine nel mistero che contempli. In tutti i misteri essa era
presente, a tutti partecipò con l'amore e con il
dolore».
Un altro atto di devozione filiale di Padre Pio alla
Madonna era la recita dell'
Angelus Domini, a cui partecipavano
tanto volentieri gli amici occasionali o abituali, edificati dal suo tono caldo,
raccolto e amoroso: la voce scopriva il cuore di un figlio incatenato
dall'amore della più tenera fra le madri.
Paolo VI nella
esortazione apostolica sul culto della beata Vergine Maria parla anche di questo
pio esercizio, con parola breve ma viva, per mantenerne «consueta la
recita», perché anche a distanza di secoli conserva inalterato il
suo valore e la sua freschezza, senza bisogno di
«restauro», e
«nonostante le mutate condizioni dei tempi, invariati permangono per la
maggior parte degli uomini quei momenti caratteristici della giornata - mattina,
mezzogiorno, sera - i quali seguono i tempi della loro attività e
costituiscono invito ad una pausa di preghiera» (cf. n. 41).
Chi
si domanda perché Padre Pio ha saputo attirare attorno a sé
milioni di anime e riportarle sui sentieri della salvezza, come mai
quest'uomo
«all'antica» ha esercitato tanto fascino
su anime già lusingate dal
«miraggio d'una
religiosità e d'una spiritualità di nuova moda»,
risponde:
«È perché egli ha saputo tener alta la
dignità, la sublimità, la fiaccola del vero autentico sacerdote di
Cristo! [...].
Aveva capito che un sacerdote difficilmente riesce ad
essere un autentico "alter Christus" senza una profonda e filiale
devozione a Maria, e Padre Pio da Colei che fu la prima portatrice di Cristo
alle anime - ai piedi della sua cara Madonna delle Grazie - seppe attingere
aiuti abbondantissimi per diventare un insigne portatore di anime a
Cristo» (25).
Dio e il prossimo
Padre Pio,
«affondato» nel
Signore, sapeva che nella vita personale si chiacchiera soltanto della
«contemplazione per le strade» o della
«preghiera
diffusa», e non si collocano momenti precisi di contemplazione e di
preghiera soprattutto eucaristica.
La preghiera
«è stata la
vita di Padre Pio, è stato il suo destino: noi confessiamo in lui questa
grandezza eccezionale» (Vailati V., arciv. di Manfredonia); a noi Padre
Pio ha lasciato un testamento, quello evangelico di
«preghiera e
penitenza. La sua vita era stata tutta una preghiera, era trascorsa ad
insegnarci la preghiera, lui come S. Francesco» - l'uomo fatto di
preghiera (Pasquale da Lens, generale dei Cappuccini);
«come pregava
bene Padre Pio! Si sentiva che ci metteva tutta l'anima» (Carta
P., arciv. di Sassari); Padre Pio
«è come Gesù,
l'uomo del colloquio col Padre: uomo di preghiera: un uomo di preghiera
che alla preghiera dava il suo calore, consacrandovi le ore della giornata;
amando in modo particolare la preghiera comune, ma apprezzando la preghiera
individuale che Gesù ha raccomandato» (Lercaro card.
G.).
L'irresistibile attrattiva della sua persona e la
travolgente irradiazione della sua attività sacerdotale non sarebbero
comprensibili staccate dalla visione del contatto intimo vitale e personale con
il Padre che è nei cieli.
«Invece attraverso il prisma della
preghiera e della contemplazione, tutto si rischiara nello stimmatizzato del
Gargano; tutto si illumina e si spiega; la sua missione non è più
una incognita per gli uomini del secolo del benessere, della tecnologia e della
secolarizzazione [...]
. Affermare che Padre Pio fu "l'uomo
d'orazione", non è una esagerazione affettiva o un topico
letterario. È la voce univoca dimostrata dai fatti, dai documenti e dalla
esperienza di quanti lo conobbero. La vita d'orazione era il centro di
gravità del suo apostolato e la chiave di volta del suo edificio
spirituale» (26).
L'ultimo superiore di Padre Pio,
Carmelo da S. Giovanni in Galdo, afferma:
«La caratteristica che
più brillava in Padre Pio era la preghiera continua, con cui egli si
manteneva ininterrottamente unito con Dio. La preghiera era il suo rifugio, la
sua arma, la sua forza misteriosa».
Anche il sonno, se sonno
può chiamarsi il suo, era un alternarsi di sospiri, giaculatorie,
invocazioni:
«Gesù mio!», «Mamma mia Maria, a te il
gemito della povera anima mia!...». Piccole scintille di quel fuoco che
gli bruciava dentro; poteva veramente affermare:
«Prego di
continuo» (
Epist. I, 751).
La Messa antelucana - ci
ricorda il card. Lercaro - in mezzo all'assemblea affollata e pur tanto
raccolta e quasi rapita, e l'orazione silenziosa nel coretto erano le
radici di quella forza soprannaturale che irrobustiva la sua parola illuminata,
burbera talora e dura, ma tanto suasiva e confortante.
Profondamente
convinto della forza sovrumana della preghiera, Padre Pio non si stancava di
esortare i suoi figli spirituali, sempre più numerosi nel mondo, a
pregare:
«Pregate, pregate molto, figli miei. Pregate sempre, senza
stancarvi»; «Ti sei dette le preghiere? Devi pregare. Prega, prega di
più...».
E quale preziosa eredità a continuazione
della sua costante sollecitudine per l'avvento del Regno di Dio nelle
anime e nel mondo - del cui sviluppo e della cui efficacia era tanto sollecito,
anche se il
suo «osservatorio» era un
«piccolo convento
romito» - Padre Pio lasciava i
«gruppi di preghiera»
per pregare insieme e insieme meditare sulla provvida efficacia
dell'insostituibile forza di Dio per il bene del mondo; e chiudeva tra il
coro degli oranti la sua missione terrena, che in realtà era stata
«una preghiera continua, una supplica persistente al Padre per
presentargli, con Cristo, in Cristo, per Cristo, le necessità e i dolori,
le speranze e le ansie della Chiesa e del mondo. Nel suo sacerdozio, la
mediazione dell'unico Mediatore, si attuava con l'incessante offerta
che lo univa alla vittima dell'altare; e, come intorno all'altare
del modesto santuario, così dietro il suo invito, nel mondo tutto, le
anime facevano assemblea e univano il coro delle loro voci ai gemiti
irresistibili di Cristo» (27).
È teologia del
Concilio Vaticano II che Padre Pio vive intensamente:
«Il vero discepolo
di Cristo è contrassegnato dalla carità sia verso Dio che verso il
prossimo» (
Lumen Gentium, n. 42); e la carità si
manifesta e si sviluppa nel
«dialogo quotidiano con Cristo andandolo a
visitare nel Tabernacolo e praticando il culto personale della Sacra
Eucarestia (
Presbyterorum ordinis, n. 18).
L'amore del
cristiano non può essere che carità verso Dio, ma Dio vuole che
gliela dimostriamo amando il prossimo:
«Carissimi, se Dio ci ha amato
anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri», ci dice S. Giovanni nella
sua prima lettera (4, 11) perché Dio non può essere «il
beneficiario» delle nostre azioni. Per questo la carità
quando si trasforma in opere e si attua in favore dei fratelli,
«nulla
come il prossimo rende prossimo Dio» ed ogni incontro con l'uno
è un appuntamento con l'altro:
«È a me che
l'avete fatto...».
Il cristiano vive la carità
fraterna perché vive di Dio e con Dio, più ama Dio con fervore
più si attacca al fratello che vive o può vivere di Dio, separando
l'uomo dal male che ha commesso; la sua carità tende ad edificare
il corpo di Cristo, amando e rendendosi amabile per un vicendevole amore: amore
personale, tinto di tenerezza, incarnato, vissuto, manifestato in modo
umano.
Padre Pio si sforza di amare Dio e in Dio generosamente i fratelli,
diventando «prossimo di ogni uomo», per edificare il corpo di Cristo,
in modo integrale, pensando al bene dell'anima e del corpo. Esercita in
modo instancabile e preminente il ministero della Penitenza,
«sacramento
di grandissimo giovamento per la vita cristiana» e perciò ogni
sacerdote deve mostrarsi
«sempre disposto e pronto ad ascoltare la
confessione dei fedeli» e raccomandarne la frequenza (cfr.
Christus
Dominus, n. 30,
Presbyterorum ordinis, n. 13).
Era
talmente irrefrenabile il suo desiderio di seminare la salvezza, da potergli far
dire, senza esagerazione, quello che ripeteva a sé stesso l'abate
Huvelin:
«Non posso posare lo sguardo su nessuno senza desiderare di
dargli l'assoluzione». Del suo ministero amò costantemente
il sacramento della Penitenza e la Santa Messa:
«due ministeri
fondamentali della attività sacerdotale: fondamentali nella vita della
Chiesa. Direi che a questi due ministeri riservò il suo lungo sacerdozio:
la Confessione che, conforme alla comune prassi, implica anche la direzione
spirituale e la santa Messa. E i pellegrini che andavano a S. Giovanni Rotondo,
andavano per incontrare Padre Pio in questi due ministeri»
(28).
Egli mostrava ai fedeli, e soprattutto ai sacerdoti, il valore
della grazia di Dio che si deve attingere principalmente al sacramento della
Penitenza: è l'insegnamento più grande e luminoso di Padre
Pio:
«Io amerei chiamarlo "martire della confessione, martire del
sacramento della Penitenza", perché l'ho visto tante volte
stanco, sfinito, eppure, nelle ore a lui stabilite dall'ubbidienza
(perché era un religioso umilissimo, dolcissimo, obbedientissimo),
all'ora stabilita dall'ubbidienza, era pronto a confessare. E io
sapevo che cosa gli costavano quelle confessioni, perché dormiva
pochissimo. Spesso doveva alzarsi alle due di notte per i dolori fortissimi. Era
costretto allora a sedersi su un seggiolone e aspettava così l'ora
della Santa Messa, che allora, di solito era le cinque del mattino. E giù
tutta la mattinata, e poi tutta la serata, era assediato quando scendeva a
confessare o a celebrare funzioni. E più assediato ancora era dentro il
convento, per tutte le personalità che venivano da ogni parte del mondo.
Chi andava a visitare Padre Pio doveva andare per questo scopo: attingere da lui
la grazia santificante, altrimenti non era gradito» (29).
Il
ministero della Penitenza, sempre delicato e difficile, era per Padre Pio
sorgente di tante sofferenze: la sua
«passione».
Il
peccato,
«parola taciuta» (Paolo VI) ai nostri giorni, si
redime a prezzo di sangue ed alla sua Passione Cristo vuole associate le
sofferenze degli uomini, che ha più vicino nell'amore e nella
carità, per la remissione dei peccati:
«Le anime non vengono date
in dono: si comprano. Voi ignorate - diceva Padre Pio -
quello che
costarono a Gesù. Ora è sempre con la stessa moneta che bisogna
pagarle». Perciò spesso si sentiva ripetere:
«Quanto,
quanto mi è costata quell'anima!...»; «Quanto mi ha fatto
penare!...», faceva sapere a certi penitenti.
Era sempre la
stessa moneta:
«Mio Dio - poteva ripetere con S. Veronica -
non
con voce, ma col mio sangue vengo per chiedervi anime»; perciò
Padre Pio quando si prendeva un'anima non la lasciava più:
«Una volta che un'anima si è avvicinata a me io la
prendo». Lui che
«fece tutto da innamorato», come il
suo serafico padre Francesco, lui che ha amato il prossimo col cuore di Dio,
sapeva che amore è amaro:
«L'amore è amaro -
diceva -
Amore significa amaro, cioè sofferenza. Se realmente vogliamo
amare dobbiamo soffrire».
E tutta la vita di Padre Pio è
stata una
«passione»; interiore ed esteriore; il peccato pesava
sopra di lui:
«il peccato che egli ascoltava, constatava e rimproverava,
ma per chiamare su quello la misericordia di Dio; il peccato, che in nome di Dio
perdonava, era una ferita alla sua anima. Una sofferenza interiore, che talvolta
diventava tanto profonda da non poterla più sostenere e si traduceva
anche in sofferenza esterna. Ed egli univa la sua sofferenza a quella di Cristo
perché fossero perdonate le colpe dei fratelli»
(30).
È la passione di tutta la vita di Padre Pio - continua il
card. Lercaro - che non possiamo dimenticare, perché è un grande
insegnamento che Dio ha dato a noi, proprio a noi, che pensiamo di essere
«buoni cristiani», ci chiamiamo qualche volta
«cristiani praticanti», proprio noi abbiamo sciupato talvolta
il sacramento della Penitenza:
«Io mi confesso tutte le settimane e con
questo i conti con Dio sono bell'e chiusi...» e la confessione
diventa una
«pratica di ordinaria amministrazione».
Padre
Pio, inconciliabile col male, al contrario dei
«sempre pronti a mettere
guanciali sotto il capo dei peccatori per addormentarli nel vizio» (S.
Alfonso de' Liguori), sventava questo pericolo alla sua maniera, senza
mezzi termini; dal confessionale:
«Egli gridava, inflessibile ed
austero, contro il peccato e l'offesa di Dio: "Sciagurato, hai
venduto l'anima al diavolo!... Sciagurato, tu vai all'inferno!...
Sciagurato, va' a vestirti!... Sciagurato, va' a disporti al divino
perdono... ". Il Padre non era l'uomo dei mezzi termini:
inconciliabile col male, nemico irriducibile dell'offesa di Dio: da una
parte era duro con chi non era convinto e deciso a fuggire il peccato,
dall'altra era paterno, accogliente, comprensivo, incoraggiante con chi
impegnava tutta la sua buona volontà nel superamento della debolezza e
fragilità umana, per proseguire con lena nel cammino dell'amore di
Dio» (31).
La sofferenza con cui Padre Pio accompagna la sua
assoluzione è un monito per il mondo, anche per il mondo cristiano, in
cui l'assuefazione, magari fin dall'infanzia, dalla fanciullezza, ha
talvolta sminuiti, diluiti i contorni di realtà che nella nostra vita
dovrebbero essere profonde e profondamente incise:
«Questo lineamento
così caratteristico di Padre Pio, lo dobbiamo tenere presente;
perché io penso che la Provvidenza abbia voluto sottolinearlo, per un
avvertimento al mondo credente e praticante, devoto; infatti se i peccatori, che
si inginocchiavano al confessionale di Padre Pio potevano essere figli prodighi
e stanchi, noi forse siamo il figlio maggiore».
E fu proprio il
figlio maggiore
«che diede il dolore più grande a suo padre!...
Qualche volta siamo noi dei figli maggiori che ci scordiamo di andare a tavola
col Padre nostro, perché abbiamo l'abitudine di star sempre in
casa» (32).
Combatteva il peccato con misericordia e fermezza,
perché amministrava il sangue di Cristo:
«Ringraziamo Dio che non
può confessare - faceva sapere ad un sacerdote -.
Se sapesse
quanto è tremendo sedersi nel tribunale delle confessioni!... Noi
sacerdoti amministriamo il sangue di Cristo. Attenti a non buttarlo con
facilità e leggerezza».
Anche un'altra santa,
Caterina da Siena, secoli prima alla luce della fede scorge tutta la grandezza
del sacramento della Penitenza, che con espressione del tutto singolare insiste
a definire
«battesimo del sangue, il quale si riceve con la contrizione
del cuore e colla santa confessione, confessando, quando può ai ministri
che tengono le chiavi del Sangue. Il quale sangue [questi ultimi] gittano
nell'assoluzione sopra la faccia dell'anima (
Dialogo, c.
75).
A chi si inteneriva e pietiva per i non assolti, specialmente se
l'intercessore era un sacerdote, rispondeva:
«Anche tu non mi
comprendi? Se sapessi come soffro nel dover negare l'assoluzione... Sappi
che è meglio essere rimproverato da un uomo su questa terra che da Dio
nell'altra vita».
Ad un confratello che un giorno, per
metterlo in imbarazzo, gli dice:
«Ma lo sa che il p. Leopoldo confessava
sedici ore al giorno e non cacciava mai nessuno?», Padre Pio rimbecca:
«Sì, perché i peggiori li mandava a
me!...»
Battuta a parte, Padre Pio ammoniva i sacerdoti a non
scimmiottarlo; ad un confessore che mandò via un penitente che non
tornò più, disse:
«È un lusso che tu non puoi
permetterti!...»; e li esortava a regolarsi secondo la propria
coscienza. Ad un confratello che gli chiedeva come comportarsi con le anime che
andavano a confessarsi da lui, dopo essere state mandate via dal suo
confessionale, rispose:
«Io mi devo comportare per forza così. Tu
regolati secondo la tua coscienza».
Padre Pio non si dedicava
soltanto alla carità spirituale, ma sull'esempio di Cristo che ha
salvato
«tutto» l'uomo in
«tutte» le sue
dimensioni, cercava di sollevare anche le membra doloranti del corpo di Cristo.
Per lui, attorno a lui e lontano da lui è nato un fiume di bene che
continua a scorrere, alimentato dai suoi figli spirituali e amici,
«coscientizzati» dalla sua parola e dal suo esempio
nell'impegno della promozione umana: la irradiazione benefica della
«carità indiretta» di Padre Pio è concreta ed
immensa; nel mondo, oggi, il suo nome e la sua realtà spirituale sono
diventati come la
«chiave d'oro» per amorosamente
violentare qualsiasi cuore umano, proprio com'egli si esprimeva nei
riguardi di Dio:
«Continuerò a violentare il divin
Cuore» (30 gennaio 1921) (33).
Tacendo dei tanti
«sollievi» a persone bisognose che bussano alla porta del
convento, perché anche la mano tesa ha la sua dignità, sin dal
1923
«tra i benefici più noti», in un esposto al
prefetto di Foggia il comune di S. Giovanni Rotondo può elencare, oltre a
lire novantamila per l'erigendo ospedale,
«l'aiuto
incessante alla Congrega di Carità [...]
, i continui sussidi al
ricreatorio degli orfani di guerra; l'aiuto materiale (medicine, vitto,
vestiario, fitto di casa) a tutti i poveri ammalati e bisognosi del paese
[...]
; il collocamento in istituti religiosi di una ventina di giovanette
povere, sole, abbandonate (non solo di S. Giovanni Rotondo, ma anche dei paesi
vicini) che avrebbero potuto traviare senza sostegno ed appoggio; il ricovero in
orfanotrofi di dieci orfani di guerra; il ricovero in orfanotrofi di parecchie
bambine non solo orfane, ma veramente povere (due delle quali sono adottate per
figlie, da rispettabili famiglie di Mola di Bari e di Milano), il ricovero
nell'istituto dei sordo-muti di Roma dell'infelice sordo-muta Natale
Rosa, orfana di entrambi i genitori. I corredi a parecchie giovanette
disonorate, per farle riabilitare; il collocamento di alcuni giovanetti
disoccupati; la pace, la concordia, l'amore a tante famiglie tribolate; ed
inoltre Padre Pio, mostrandosi estraneo alla politica, ha incoraggiato ed
aiutato le organizzazioni cittadine, ha contributo alla tutela ed
all'ordine pubblico, inculcando nell'animo dei cittadini, che
innumerevoli vanno a confessarsi, l'amore ed il rispetto delle
leggi».
Dalla sua mente e più dal suo cuore nasce
«Casa Sollievo della Sofferenza» con una grandiosità e
una ricchezza da reggia, la reggia per gli eredi del Regno:
«La
"carità" cristiana nella sua accezione evangelica; non
elemosina, che getta al povero le briciole avanzate, ma che divide con lui e
compartecipa i beni che sono al mondo: "Se dividiamo i beni celesti,
quanto più non condivideremo i beni terreni?" La carità che
rappresenta nella persona del sofferente, dell'ammalato, del povero
"il volto di Cristo" che vi è in maniera tutta particolare
presente!» (34).
Ed accanto alla sorella maggiore
«Casa
Sollievo della Sofferenza» è tutto un fiorire di opere sociali:
le scuole materne
«S. Maria delle Grazie», «S. Francesco
d'Assisi» e
«Pace e Bene», il
«Centro di
Addestramento Professionale»; il
«Cenacolo di cultura
francescana», affiancato dalla rivista
«Il fraticello»
e le tante altre in cantiere.
In rione
«Santa Croce»,
anello di congiunzione tra il paese e la zona d'influenza del convento,
sorse una chiesetta con annesso istituto di suore per la istruzione ed
educazione dei bambini, nonché della gioventù
femminile.
All'estremità del paese, nella zona di
sant'Onofrio, fu eretta la scuola materna «S. Francesco
d'Assisi», con annesso orfanotrofio e laboratorio con corsi
ministeriali ed attività varie di assistenza e beneficenza.
Nella
zona sud del paese si attrezzò la scuola materna francescana «Pace e
Bene» ed i tre centri di assistenza accoglievano oltre cinquecento bambini,
curati amorosamente da numerose figlie di S. Francesco, infervorate e guidate
dalla parola illuminata di Padre Pio.
Il suo programma era
«combattere il male», non solo con la preghiera ma anche con le
opere:
«Preghiera e azione».
La
«nuova
ventata» di bene sociale che si veniva stabilendo tra le mura
conventuali e il popolo di S. Giovanni Rotondo, richiamava l'attenzione
anche dei fanciulli e dei giovani.
Fatto inconsueto:
«Adulti e
giovani si assiepavano lungo la scalinata e nel salottino, a volte anche nel
corridoio del convento. Si era stabilito un contatto nuovo non solo con la
povertà dei padri di famiglia (il Terzordine francescano femminile,
nonostante un'azione preziosa di altissima capillarità,
evidentemente non poteva arrivare dappertutto) ma a favore di giovani
disoccupati o sottoccupati».
Questa processione continua
richiamò, naturalmente l'attenzione di Padre Pio, il quale
chiamò il padre guardiano Carmelo da Sessano del Molise e lo
interrogò:
«Uagliò, dimmi un po': che vengono a fare
tutti questi giovanotti?... Prima non si vedevano mai!... Che succede?...».
«Padre, risposi, questi giovani, poveretti, sono disoccupati, non trovano
lavoro. Vorrebbero lavorare, ma purtroppo!...». «Ed allora?...»,
continuò con un sorrisetto - "malizioso" -. Io tacevo, avendo
capito che la risposta che stavo per dare non era la migliore. «Ed allora -
dissi con uno sforzo - vengono qui a chiedere l'elemosina ed io do loro a
chi cinquecento, a chi trecento lire...». Scoppiò il fulmine. Il
Padre sgranò gli occhi e quasi gridò: «Come, giovani di
vent'anni che chiedono l'elemosina!... E questi quando lavoreranno
per guadagnarsi il pane?... A vent'anni l'elemosina!...
Sicché i poveri genitori, che dovrebbero essere aiutati da loro, si
trovano nelle condizioni di dover dare da mangiare ai figli di
vent'anni!... Lavorassero! Lavorassero!...».
La buona
volontà c'era ma il lavoro mancava e Padre Pio suggeriva al
guardiano.
«Insegna loro un'arte o un mestiere!... a questi
giovani: devono lavorare e guadagnarsi il pane!... Va' a Roma dai nostri
amici e fa' qualcosa».
La macchina si mosse: lunghi
viaggi e ripetuti contatti a Roma per un grande
«Centro di Addestramento
Professionale», inaugurato il 26 gennaio 1956, uno dei primi della
Capitanata, con locali amplissimi e funzionali, divenuto la fucina di centinaia
di giovani del Gargano e fuori, e continua il suo apostolato di bene nel mondo.
«Insegna loro l'arte» era diventata un'altra
realtà e Padre Pio nelle feste riceveva quegli allievi con immensa
gioia.
Tra il fervore di opere materiali non poteva mancare
l'interessamento per la cultura e la formazione. Un'altra idea di
«avanguardia» fu il
«Cenacolo di cultura
francescana», iniziato con una sala-lettura e poi ampliata in una
grande sala nel centro di S. Giovanni Rotondo. Divenne
«davvero un
piccolo faro di scienza; conferenzieri di fama internazionale, come il sempre
caro professore Enrico Medi, ed altri di fama nazionale si susseguirono sulla
cattedra francescana. Sacerdoti e laici, forestieri e paesani, portarono un
soffio nuovo di spiritualità e di cultura». La voce del Cenacolo
arrivava anche lontano con il
«Fratozzo», divenuto poi
«Fraticello».
A S. Giovanni Rotondo la lotta al
comunismo, nei vari periodi elettorali, si svolgeva sempre sul taglio del
coltello:
«Dopo i primi anni di attiva partecipazione a tutte le
attività anche politiche della cittadina per fronteggiare la marea del
comunismo, ci si trovava sempre di fronte ad uno spiegamento di risorse
finanziarie che ci sbalordivano. Radio Praga incitava alla lotta ed alla
vittoria con continui richiami di propaganda e con lo slogan: "Bisogna
vincere a tutti i costi a S. Giovanni Rotondo, dove c'è il
così detto monaco santo"».
La democrazia
cristiana vinceva, ma dopo estenuanti fatiche di propaganda elettorale,
«fatta non solo di parole!...». Una delle fonti di guadagno per
i comunisti era la fiorente cooperativa di consumo e in più, quello che
ad un attento esame risultò sconcertante, ad essa affluivano anche le
organizzazioni cattoliche di ogni ceto, dato il ribasso dei prezzi in essa
operato:
«C'era quindi un problema morale di fondo. Padre Pio,
come sempre, fu chiaro nella impostazione: "Non è lecito aiutare,
anche se indirettamente, il male; è un assurdo che i cattolici debbano
aiutare i nemici della Chiesa!... Fa' una cooperativa tutta nostra
"», dice al padre guardiano Carmelo da Sessano del Molise, il
quale commenta:
«Ci si accorge che non era facile vivere accanto ad un
"Santo"... Fare una cooperativa?!...», dissi, meravigliato e
poco disponibile. Ma il Padre replicò: «Va' dai nostri amici e
fatti guidare da loro. Bisogna farla: il male si combatte con le opere!».
Si trovò subito un gruppo di figli spirituali del Padre, che
organizzarono la desiderata 'Cooperativa di Consumo' (23 giugno
1955) che si volle dedicare al Poverello di Assisi. In meno di due anni si ebbe
un giro di affari di circa venticinque milioni!... I comunisti non risero
più ed accusarono il colpo».
Per mezzo di essa con un
numero straordinario di
«buoni viveri» si riuscì ad
alleviare la miseria di tanti bisognosi, nel nome di quel Padre Pio, che rimane
«immagine vivente della carità cristiana», fiaccola
sempre accesa ed alimentata continuamente dalla sua presenza che spinge a
realizzare ciò che egli non poté, perché la sua opera
sociale non poteva esaurirsi a quanto è stato esposto in brevi
cenni.
Tra le altre iniziative in cantiere si possono citare la
«Casa per i preti anziani o invalidi».
In una di quelle
tante mattine vissute insieme tra il 10 ottobre 1953-1959, apprendiamo dal p.
Carmelo da Sessano del Molise, Padre Pio
«mi chiamò e mi disse:
"Senti un po'. Dopo aver pensato ai bambini, ai giovani, ecc., ora
dobbiamo pensare a fare una Casa per preti vecchi!...". "Padre, vuol
dire una Casa per i frati vecchi!". Egli m'interruppe di scatto e,
fissandomi negli occhi, quasi gridò: "Per i preti! ho detto. Questi
poveretti quando si fanno vecchi non hanno chi dia loro un bicchiere di
acqua!... Noi frati abbiamo sempre qualcuno che ci assiste!...". Tutto mi
divenne così chiaro che non potei che dire: "Va bene, Padre, ha
ragione. Cercherò di fare quanto posso". Vi furono immediate
trattative con benefattori e vi fu chi si disse disposto a tale scopo offrendo
duecento milioni!... Ma le opere non sono poesie!... Per cui questa iniziativa
di altissimo valore ecclesiale rimase in cantiere».
La
presenza di Padre Pio aveva attirato a S. Giovanni Rotondo
«la potenza
delle forze del male: massoneria, comunismo, anticlericalismo, protestantesimo,
ecc. si unirono nello sforzo di ostacolare e fermare i frutti meravigliosi
dell'apostolato del Padre. Più volte il Padre amorevolmente mi
ammonì: "Figlio mio, stiamoci attenti... Satana ha messo qui il suo
quartiere generale!... Stiamoci attenti!". Per controbilanciare questa
presenza delle tenebre, col consiglio del Padre, si pensò di fondare un
convento di clausura di monache cappuccine». Opera che, con
l'aiuto dei sempre tanti amici e figli spirituali di Padre Pio e per
interessamento dei suoi confratelli cappuccini, oggi è una
realtà.
In cantiere vi era anche la
«Casa del
pellegrino» - oggi realizzata - la
«parrocchia» nella
chiesa conventuale,
«programmata già con confini dal bivio di S.
Croce a ventaglio verso la pianura, Montenero e il territorio di S. Marco in
Lamis». Infine vi era
«l'Opera per bambini anormali e
subnormali» e il
«Villaggio internazionale del
fanciullo» (35).
I Cappuccini della provincia di Foggia,
«continuatori ed eredi della missione spirituale di Padre Pio»,
hanno eretto un
«Centro spastici», inaugurato il 22 gennaio
1971 e per la circostanza l'arcivescovo di Manfredonia Valentino Vailati,
durante la Messa celebrata nella cappella del Centro:
«Noi salutiamo con
gioia - diceva tra l'altro -
l'apertura di questa casa. Essa
avviene nel nome di S. Francesco e di Padre Pio, per la riabilitazione sociale
dei bimbi spastici. Nel nome di S. Francesco, perché è la
provincia monastica francescana dei Cappuccini di Foggia, che si è presa
l'onore e l'onere di aprire questa casa. Ecco perché
l'opera sarà gestita, guidata e sorretta dai frati. Nel corso dei
secoli S. Francesco ha avuto tanti, tantissimi figli esemplari, ripieni del suo
spirito di carità. Tra questi noi annoveriamo il venerato Padre
Pio».
Già l'alba...
«Come il Padre ha amato me,
così anch'io ho amato voi» (
Gv. 15,9); e voi
«Amatevi come io vi ho amato» (
Gv. 13,34; 15,12), ci
ricorda Gesù per bocca dell'evangelista S. Giovanni. Dio è
un esempio
«terribile» per l'uomo. Il Crocifisso: ecco il
ritratto autentico di Dio. Quando l'amore si incarna, ecco che cosa
diventa. Il cristiano, trasformato e chiamato a vivere dello stesso amore di
Dio, ha davanti a sé quello che deve divenire:
«Nessuno ha un
amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici»
(Gv. 15,13).
Se ama e conquista chi soffre e si dona, Padre Pio ha
conquistato molto, perché ha sofferto molto, lui
«tutto
sacrificio», «l'umile e grande cireneo di Cristo», lui
«crocifisso». E un crocifisso non può incontrarsi che
sulla via della Croce e su questa via
«cammina oggi e sempre. Egli visse
crocifisso come Cristo. Chi vuol trovarlo lo troverà sulla via della
Croce. Su questa via ci conforta e ci aiuta a progredire verso la
risurrezione [...]
. Camminate per questa strada segnata dal sangue
divino, con Cristo che vive in mezzo a noi e con Padre Pio, che ha vissuto una
lunga Via Crucis in perfetta e amorosa obbedienza alla volontà del Padre
del Cielo e che ora ce la lascia in eredità, come il suo testamento di
amore, per il nostro incontro col Padre e con i fratelli».
Son
pensieri della meditazione sul mistero della prima stazione, pronunziata da C.
Ursi cardinale di Napoli il 25 maggio 1971, alla inaugurazione della Via Crucis,
eretta per espresso desiderio dello stesso Padre Pio
(36).
All'inizio del 1967 i religiosi della comunità
cappuccina del santuario di S. Giovanni Rotondo cominciarono a caldeggiare
l'idea di installare ai piedi del monte Castellana una Via Crucis
più comoda e più raccolta di quella che sorge lungo il viale che
dal paese porta al convento.
«L'occasione propizia, per parlarne
col Padre, mi venne offerta da lui stesso. In un giorno di febbraio del 1967,
Padre Pio, uscendo dal piccolo coro della vecchia chiesina, ancora estatico per
la lunga meditazione ai piedi del Crocifisso delle stimmate e dinanzi alla sacra
immagine della Madonna delle Grazie, mi salutò con un ampio sorriso.
Approfittando di tanta affabilità e confidenza, mi affrettai ad esporgli
l'idea della nuova monumentale Via Crucis. Non avevo ancora finito di
parlare, quando il Padre mi disse testualmente: "Fra le tante cose belle,
questa che si vuole realizzare adesso è una delle più
belle"». (37)
La Via Crucis accanto alla tomba di Padre Pio
e al suo confessionale, che conosce tanti misteri del tormento umano e della
misericordia divina, è un elemento
«marginale», la
«cornice» di un quadro, un
«riempitivo»
devozionale o
«qualcosa centrale» per i pellegrini che vanno in
cerca di Dio?
Nel santuario di S. Maria delle Grazie c'è la
celebrazione dell'Eucarestia, ci sono i confessionali, ci sono le spoglie
mortali di colui che fu
«l'angelo della resurrezione per tanti
peccatori e che ancora intona l'Alleluia per tanti che lo
interrogano», ma è facile partecipare alla celebrazione
dell'Eucarestia? - continua a interrogare il card. Ursi -. È facile
usufruire del sacramento della riconciliazione con Dio? Riescono tutti a
percepire nel silenzio del Padre le sue arcane parole ammonitrici e
ispiratrici?
La Via Crucis che è l'opposto della via che
percorriamo nel mondo tutti i giorni, ci rimette alla ricerca dell'Amore,
della gioia per la via del pentimento e del sacrificio:
«Chi vuol venire
dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi
segua» (Lc. 9,24), verso il Padre del Cielo e verso i fratelli della
terra nel clima della pace.
«Salendo con l'animo meditativo
per le balze faticose della sacra montagna e sostando alle stazioni della Via
Crucis, noi pellegrini, assieme a Padre Pio, l'umile e grande cireneo di
Cristo utilmente effigiato nella V stazione, veniamo portati dallo Spirito
Santo, sotto gli occhi incoraggianti di Maria, che ci attende al vertice della
santa via, a comprendere e ad assimilare il mistero della morte e della
resurrezione di Cristo [...]
.
La Via Crucis acuisce la sete
della penitenza e della riconciliazione con Dio e coi fratelli, che si consegue
nel sacramento della Confessione, acuisce la fama della vita divina, che viene
soddisfatta alla Mensa Eucaristica, rende più viva nel travaglio umano di
ogni giorno la "beata speranza" e l'attesa del ritorno del
Signore Gesù, giudice e sposo.
Chi si esercita bene nella
devozione della Via Crucis - ora purtroppo, per un aggiornamento mal inteso
della pietà cristiana, tanto vilipesa; ma tanto ricca di valori e di
impulsi cristiani - usufruisce bene dei Sacramenti, che sono tutti espressione
del ministero pasquale di Cristo, e imbocca la via della Vita. Padre Pio
è morto; ma continuerà attraverso le stazioni della Via Crucis,
che inizia dalla sua tomba, ad accompagnare nel suo fascino di cireneo di Cristo
e di crocifisso con Cristo, verso la vera Vita i pellegrini e a parlar loro nel
profondo dello spirito del mistero di amore e di dolore e di speranza e,
attraverso loro, al mondo.
Se S. Giovanni Rotondo, la cittadina che
è destinata a far risuonare vivo e cogente il messaggio di Padre Pio, non
avesse la Via Crucis, non avrebbe voce efficace per lanciare l'appello
alla rinascita cristiana» (38).
Padre Pio ha radunato intorno a
sé una
«clientela mondiale - diceva Paolo VI al generale dei
Cappuccini perché
«uomo di preghiera e di sofferenza».
Il 25 maggio 1971 il padre generale durante la celebrazione della santa Messa
per tutti i benefattori, ricordando tale udienza pontificia, faceva notare che
sofferenza e preghiera è l'essenziale nella vita di Padre Pio;
tutta la sua vita fu
«una continua Via Crucis, per cui egli
diventò davvero il "rappresentante di Nostro Signore,
'stampato' dalle sue stimmate" [...].
Quella preghiera
continua, umile, fidente che tante grazie strappava dal cuore di Dio; e quella
sofferenza che gli veniva dalle ferite sempre aperte nella sua carne, e dalla
penitenza eccezionale, a cui egli volontariamente si sottopose per tutta la sua
vita. Ora quella Via Crucis si concretizza nel bronzo e nella pietra, si
perpetua attraverso i secoli, in modo plastico e visibile, sulla montagna,
accanto al convento, dove egli pregò, sofferse e rese la sua
bell'anima a Dio.
Mi sembra che i miei carissimi figli e
fratelli cappuccini di S. Giovanni Rotondo, unitamente ai devoti e figli
spirituali di Padre Pio, sparsi in tutto il mondo, non potevano realizzare
nessun'altra opera, che meglio di questa ricordasse a tutti quella
dolorosa Via Crucis, che il venerato Padre percorse nei suoi lunghi anni di
terrena esistenza» (39).
Ci piace concludere ribadendo
l'idea che Padre Pio non soltanto non è un frutto fuori stagione,
ma è il dono di Dio nel quale si legge la vera realtà del nostro
tempo, autentico testimone di
«evangelizzazione e promozione
umana» (40).
Un uomo che sta crocifisso per mezzo secolo, Dio che
compie cose inaudite, cose che non hanno riscontro a nessun'altra
esperienza nel nostro secolo, cosa vuol dire?:
«Il fatto di Padre Pio
è quello nel quale si legge la vera realtà del nostro tempo, ecco
il contesto. Sapete perché Gesù Cristo è andato in croce?
È andato in croce per i peccati degli uomini e quando nella storia
compare qualche crocifisso con i motivi di credibilità, vuol dire che il
peccato degli uomini è grande e che per salvarli occorre che qualcuno
rivada sul Calvario, rimonti in croce e stia lì a soffrire per i suoi
fratelli» (41).
Il nostro tempo ha bisogno di gente che offra
quello che l'Unigenito Figlio ha sofferto: la sofferenza, e Padre Pio non
è il solo, ma
«certo è stata la manifestazione, in questo
secolo, più rilevante». Tutta la sua sofferenza deve essere
guardata sotto questa prospettiva: la sua sofferenza sta in cima alla sofferenza
di tutta la gente che soffre.
«Le controversie sollevate anche per
la difesa fatta male e a sproposito da taluni zelanti e non sempre ragionevoli
non velano il bene, la sofferenza, l'esempio. Il suo caso sta in testa.
Credo però che dietro a lui ce ne sia una schiera. A suo tempo forse il
mondo saprà. Rispettiamo i segreti di Dio, ma qui c'è tutto
il fatto di Padre Pio: le sofferenze per i peccati degli uomini. Forse se non ci
fosse questo peccato nel mondo in tutte le direzioni, grave, greve, opprimente,
manifestato con satanica malizia, il suo caso sarebbe diverso, forse Dio avrebbe
dato i suoi doni mistici a Padre Pio senza obbligarlo a stare mezzo secolo
attaccato alla croce. Ma non è così. È un segnale
divino [...].
Un giorno il mondo saprà tante cose che noi non
sappiamo. Una cosa ci rimane. Quello di cui c'è bisogno oggi non
è che si facciano stupidaggini, che si debordi dai limiti della
ragionevolezza, del buon senso, che si gettino via sacri usi i quali hanno
custodito la grazia del Signore per tanto tempo. Non è questo che Dio
chiede a noi. Iddio chiede che tutti portino la loro croce e l'abbraccino.
Sappiamo che quando accolgono la loro croce e l'abbracciano diventano
benefici per gli altri. Perché c'è questa
reversibilità dei meriti: in uno siamo stati salvati tutti.
Nell'applicazione della Redenzione molti, moltissimi possono salvare
molti. E questo è l'insegnamento di Padre Pio»
(42).
E se, in senso cristiano, la gloria di un uomo, chiunque sia ed a
qualunque professione o categoria appartenga, consiste nel bene che fa, nella
misura in cui si sacrifica ed ama gli altri e non vi è gloria suprema se
non nel dono totale, considerando il bene che ha fatto e i sacrifici che ha
sopportato (era tutto un sacrificio) per gli altri, Padre Pio deve dirsi un uomo
pieno di gloria.
Monsignor Adolfo Tortolo, arcivescovo di Paranà
(Argentina) è convinto della
«straordinaria
santità» di Padre Pio, che
«ha commosso il mondo e che
lo continuerà a commuovere. Comincia ora - scrive l'illustre
presule -
il lavoro storico, che porgerà agli occhi umani pagine
meravigliose di lavoro divino compiuto con lui. Sarà certamente un nuovo
"dono", una nuova "grazia" che Dio darà agli
uomini» (43).
Alla fretta di quelli che subito vorrebbero Padre
Pio innalzato agli onori degli altari fa riscontro la
«prudenza» della Chiesa, che non deve essere interpretata come
«indifferenza», perché nessuno potrà provare
gioia più grande dei suoi rappresentanti, quando alla conclusione dei
processi canonici, che non sono soltanto delle formalità, sarà
decisa la proclamazione della venerabilità del Servo di Dio e poi quella
più solenne della beatificazione e della santificazione
«ufficiale»; perché
«non spetta alla Chiesa
stabilire il grado di gloria partecipato da Dio al suo servo fedele»,
ma solo
«dichiarare il fatto dommatico, secondo l'espressione
classica della teologia, che quel suo degno figlio fa parte della Chiesa
celeste, senza pretesa alcuna di determinarne il momento. Se al buon ladrone
Gesù sulla Croce ha detto: "Oggi sarai con me in Paradiso",
si può pensare a maggior ragione che lo stesso dono sia stato fatto ad un
Religioso dalla vita santa come Padre Pio nel momento stesso del sereno
transito» (44).
Anche per Padre Pio si annuncia l'alba della
sua glorificazione
«ufficiale». Il 4 novembre 1969 la curia
generale dell'Ordine dei padri Cappuccini firmava la domanda al vescovo
monsignor A. Cunial, amministratore apostolico dell'archidiocesi di
Manfredonia, di aprire il processo di beatificazione e canonizzazione di Padre
Pio.
Il 23 successivo il Vescovo notificava al postulatore generale
dell'Ordine di aver iniziato la raccolta delle informazioni per la fase
preliminare del processo stesso. E la documentazione, raccolta in diocesi
secondo le norme vigenti, fu consegnata alla Congregazione per le Cause dei
Santi da monsignor Valentino Vailati, arcivescovo di Manfredonia, il 16 gennaio
1973.
Lieta notizia e fondata speranza.
Fra le lettere postulatorie
inviate al Sommo Pontefice, riportiamo qualche brano di quella della Conferenza
Episcopale della Polonia, firmata da due eminentissimi Cardinali e da
quarantatre Arcivescovi e Vescovi, il 3 maggio 1972:
«Beatissimo Padre,
Padre Pio da Pietrelcina, sacerdote professo dell'Ordine dei Frati Minori
Cappuccini, può essere annoverato tra gli uomini consacrati a Dio, che,
insigni per preclare virtù, sono morti in fama di santità. Alcuni
di noi hanno visto con i propri occhi Padre Pio e il suo apostolato; altri hanno
attinte notizie da coloro che lo vedevano, lo ascoltavano e scrivevano di lui,
tutti noi siamo persuasi della santità di vita e della speciale missione
di quest'uomo di Chiesa. Questo è provato dalla sua lunga vita
esemplare, adorna di virtù, principalmente di continua preghiera con
speciale devozione verso la Passione di Nostro Signore Gesù Cristo e
verso la beatissima Vergine Maria, di diversi eroici sacrifici e di penitenza,
di ammirevole apostolato, sgorgante dall'amore di Dio e del prossimo.
Questa lunga vita esemplare è ben nota in tutto il mondo cristiano, ed
anche nella nostra patria».
La conferma e la comprova della sua
fama di santità sono le sue opere:
«Casa Sollievo della
Sofferenza» e i
«Gruppi di preghiera», che sono in
continua espansione ed apportano benefici frutti sotto l'aspetto religioso
e sotto l'aspetto sociale; e le diverse e molteplici grazie, che i fedeli
attribuiscono alla sua intercessione.
«In un'epoca nella
quale, spesso, tante cose non vere e non rette si proclamano della vita
religiosa, dell'apostolato dei religiosi, della dignità e dei
doveri dei sacerdoti, la persona di Padre Pio, religioso e sacerdote a noi
contemporaneo, col suo modo di vivere e con la sua attività, offre al
mondo inquieto un ottimo e desiderato esemplare di un uomo ripieno di Dio su
questa terra».
Il Concilio Vaticano II richiede dai religiosi un
apostolato, che
«essi sono tenuti a promuovere soprattutto con la
preghiera e con la penitenza della loro vita» (Christus Dominus, n.
33); e lo stesso Concilio richiede che
«i Religiosi sacerdoti
[...]
siano provvidenziali collaboratori dell'Ordine Episcopale
[...]
, date le aumentate necessità delle anime» (ivi, n.
34).
«Tutte queste cose sono palesemente manifestate in Padre Pio,
uomo "divenuto preghiera" e uomo di inenarrabili sacrifici per i
peccatori; sacrifici che provenivano dalla retta cognizione dell'ufficio
sacerdotale di cooperare con Cristo all'opera della redenzione,
completando nella propria carne ciò che manca alle tribolazioni di
Cristo, in vantaggio del Corpo di lui, che è la Chiesa (Col. 1,
24).
Tenendo presente tutto questo e considerando la fama di
santità, che anche in Polonia esiste e continua e che si manifesta
specialmente nelle preghiere, che i fedeli rivolgono a Dio per ottenere le
grazie più diverse per intercessione di Padre Pio, abbiamo ritenuto
opportuno pregare la Santità Vostra, perché si degni
d'introdurre la Causa di Beatificazione e Canonizzazione di questo servo
di Dio, per la maggior gloria di Dio e per utilità della santa
Chiesa» (45).
Nel ricordo vivo del loro confratello,
«ottimo e desiderato esemplare di un uomo ripieno di Dio su questa
terra», religioso e sacerdote a loro contemporaneo, i capitolari della
provincia cappuccina di Foggia, impegnati nell'ansiosa ricerca di nuovi
metodi di lavoro, come testimonianza e presenza di Dio tra gli uomini, vedono
«un segno dei tempi in un fatto storico emergente quale la vita di
lavoro e di passione del Padre Pio da Pietrelcina. Questi, pur presentandosi al
mondo contemporaneo nella forma classica del Cappuccino, ha seminato con mezzi
tradizionali e nuovi, fermenti di redenzione umana e cristiana, in tutti gli
strati sociali, perché la novità non era in lui forma esteriore,
ma rinnovamento interiore nello sforzo quotidiano di andare verso Dio
nell'incontro con tutti gli uomini.
In lui
l'Incarnazione ha riassunto il suo significato storico di impoverimento
nella forma di servo per arricchire il mondo della forma di Dio; come
Gesù nel perimetro del Lago di Genezareth aveva incluso nel vincolo
dell'amore di Dio e degli uomini l'universo intero, così
Padre Pio dalle anguste dimensioni di un chiostro ha attirato alla Croce vivente
nella sua carne soprattutto l'umanità sofferente ed ha ridato alla
stessa il senso di Dio. Il suo passo cadenzato e stanco risuonava e risuona
ancora come l'avanzarsi del Cristo povero, umile, carico di
Croce».
E la dichiarazione capitolare (4 luglio 1972) termina con
un augurio, a nome di tutti i frati della provincia cappuccina di Foggia,
auspicando che
«al più presto la dignità e la
attualità dell'esempio di Padre Pio da Pietrelcina vengano
riconosciute e presentate in modo solenne alla Cristianità dalle
competenti Autorità ecclesiastiche» (46).
Il 23
ottobre 1982, la Sacra Congregazione per le Cause dei Santi tenne una riunione,
nella quale discusse l'opportunità o meno di concedere
all'Arcivescovo di Manfredonia la facoltà di aprire il processo
cognizionale sulla vita e le virtù del Servo di Dio Padre Pio da
Pietrelcina.
Il parere dei membri di quel Sacro Dicastero fu favorevole e
Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Pietro Palazzini, Prefetto dello stesso
Dicastero, in data 29 novembre 1982, presentò in merito una relazione al
Santo Padre Giovanni Paolo II, il quale, nello stesso giorno, approvò e
confermò il responso della Sacra Congregazione per le Cause dei
Santi.
In tal modo veniva aperta la via alla costituzione del Tribunale
ecclesiastico, che, nell'Archidiocesi di Manfredonia, deve celebrare
l'atteso processo cognizionale.
Il Tribunale si è costituito a
San Giovanni Rotondo, nel Santuario «Santa Maria delle Grazie»,
domenica 20 marzo 1983, e si è concluso in sessione pubblica, nello
stesso Santuario, domenica 21 gennaio 1991. In sette anni di lavori ha
interrogato 73 testimoni ed ha raccolto una imponente documentazione (104
volumi), che è stata consegnata alla Congregazione delle cause dei
santi.
Questa, dopo circa dieci mesi di attento esame, il 7 dicembre
1991, ha emesso il decreto «de validitate» sul processo diocesano ed
ha nominato il padre Cristoforo Bove dell'Ordine dei frati minori
conventuali relatore ufficiale per la preparazione della «positio super
virtutibus».
Intanto dobbiamo ricordare che, il 23 maggio 1987,
il Santo Padre Giovanni Paolo II è andato in visita pastorale a San
Giovanni Rotondo e si è fermato in preghiera sulla tomba di Padre
Pio.
Nel corso di quella visita ha pronunziato tre discorsi, che qui di
seguito pubblichiamo per intero (cf. Appendice).
(1) Cf. LAVELLE L.,
Quattro Santi, Brescia 1953, pp. 30-40.
(2) MONDRONE D.,
La vera
grandezza di Padre Pio, S. Giovanni Rotondo 1969, p. 23s.
(3) URSI
card. C.,
Il messaggio di Padre Pio, in
Voce di Padre Pio 2
(luglio-agosto 1971) 4.
(4) ROSSI C., vescovo di Biella:
Egli continua a
fare del bene col suo ricordo, in
La Casa Sollievo della Sofferenza
20 (16-31 genn. 1969) 5.
(5) LENOTTI G., vescovo di Foggia,
Il messaggio
di Padre Pio e il messaggio di Cristo, in
La Casa Sollievo della
Sofferenza 21 (16 febbr.-31 marzo 1970) 11.
(6) Sono parole di NICODEMO
E., arciv. di Bari, cf.
La Casa Sollievo della Sofferenza 20 (16-21 marzo
1969) 11.
(7) Cf. LLAMAS E.,
Chiesa, in
Dizionario enciclopedico
di spiritualità, diretto da ANCILLI E., Roma 1975, col.
374a.
(8) Perché la nostra affermazione non sembri stravagante,
basta confrontare la dottrina del Magistero (
Enchiridion Vaticanum, ed.
Dehoniana in tre voll.;
Insegnamenti di Paolo VI della ed. Vaticana,
finora, 1976, voll. 14; e gli studiosi, quali LLAMAS E.,
Chiesa art.
cit., coll. 369-375 (con bibliografia); VODOPIVEC G.,
Chiesa (con
bibliografia), in
Dizionario del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo,
Roma 1969, pp. 710-769; AA.VV.,
La Chiesa nel mondo contemporaneo,
3ª ed. Torino 1967; AA.VV.,
La costituzione pastorale sulla Chiesa,
2ª ed. Torino - Leumann 1966; AA.VV.,
La costituzione dommatica sulla
Chiesa, 3ª ed. - Leumann 1966; AA.VV.,
La Madonna nella Costituzione
«Lumen Gentium», Milano 1967; DE FIORES S.,
Maria nella
teologia contemporanea, 2ª ed. Roma 1987; e la vita, l'apostolato
e gli scritti di Padre Pio.
(9) Cf. VOZZI A., vescovo di Cava dei Tirreni,
I tre amori dei santi: gli amori di Padre Pio, in
La Casa Sollievo
della Sofferenza 21 (16-30 giugno 1970) 6.; Cfr. anche BERNARDINO DA SIENA,
Padre Pio, la Chiesa, la Madonna, in
Atti del primo convegno sulla
spiritualità di Padre Pio (S. Giovanni Rotondo, 1-6 maggio 1972), S.
Giovanni Rotondo 1973, 131-153.
(10) PELLECCHIA R., vescovo di Castellamare
di Stabia, cf.
La Casa Sollievo della Sorrerenza 21 (16-30 aprile 1970)
10.
(11) LERCARO card. G.,
Padre Pio da Pietrelcina. Commemorazione
[8 dic. 1969], Roma 1969, p. 30 s.
(12) Cf.
La Casa Sollievo della
Sofferenza 21 (1-30 sett. 1970) 13; 20 (1-30 sett. 1969) 12.
(13) URSI
card. C.,
Il messaggio di Padre Pio, in
Voce di Padre Pio 2
(luglio - agosto 1971) 4.
(14) LERCARO card. G.,
Commemorazione di Padre
Pio da Pietrelcina (Trapani 25 maggio), Trapani 1969, p. 19.
(15)
Ivi, p. 19.
(16) Cf.
La Casa Sollievo della Sofferenza 20
(1-15 maggio 1969) 9.
(17) MEDI E., cf.
La Casa Sollievo della
Sofferenza 20 (1-15 novembre 1969) 10.
(18) CIAPPI L.,
Padre Pio
alla luce del suo epistolario, in
Oss. Rom. 26.3.1971.
(19)
Parole di PAOLO VI, cf.
Oss. Rom. 2.3.1972.
(20) Cf.
La Casa
Sollievo della Sofferenza 20 (1-15 maggio 1969) 9.
(21) Cf. PADRE PIO
DA PIETRELCINA,
Pensieri, esperienze, suggerimenti. Florilegio
dall'Epistolario a cura di Melchiorre da Pobladura, S. Giovanni Rotondo
1972, 177-189; BERNARDINO DA SIENA,
Padre Pio, la Chiesa, la Madonna, in
Atti del 1°; convegno sulla spiritualità di Padre Pio (S.
Giovanni Rotondo, 1-6 maggio 1972), S. Giovanni Rotondo 1973, pp.
131-153.
(22) PALAZZINI card. P.,
La «Marialis cultus» e il
rosario, in
Oss. Rom. 18.5.1974.
(23)
Ivi.
(24) Cf.
LOTTI F.,
Il rosario e Padre Pio, in
La Casa Sollievo della
Sofferenza 21 (1-15 luglio 1970) 11.
(25) MONDRONE D.,
La vera
grandezza di Padre Pio, S. Giovanni Rotondo 1969, p. 21.
(26) Cf. PADRE
PIO DA PIETRELCINA,
Pensieri, esperienze, suggerimenti. Florilegio
dall'Epistolario a cura di Melchiorre da Pobladura, S. Giovanni Rotondo
1972, pp. 11-28.
(27) LERCARO card. G.,
Padre Pio da Pietrelcina,
Commemorazione (8 dic. 1968), Roma 1969, pp. 14-17.
(28) LERCARO card. G.,
Commemorazione di Padre Pio da Pietrelcina (25 maggio 1969), p.
16ss.
(29) CARTA P., arciv. di Sassari, cf.
La Casa Sollievo della
Sofferenza 20 (1-30 aprile 1969) 6.
(30) LERCARO card. G.,
Commemorazione di Padre Pio da Pietrelcina (25 maggio 1969), Trapani
1969, pp. 16ss.
(31)
Ivi, p. 18.
(32)
Ivi.
(33)
CRISPINO DI FLUMERI.
Irradiazione benefica della carità di Padre Pio.
Itinerarium mentis in Deum et homines, in
Atti del 1°; convegno di
studio sulla spiritualità di Padre Pio (S. Giovanni Rotondo 1-6
maggio 1972), S. Giovanni Rotondo 1972, pp. 285-300.
(34) LERCARO card. G.,
Commemorazione di Padre Pio da Pietrelcina (25 maggio 1969), Trapani
1969, pp. 11-23.
(35) Cf. CARMELO DA SESSANO DEL MOLISE,
Brevi cenni
sulle opere sociali di Padre Pio, dattiloscritto, pp. 1-13.
(36) Cf.
URSI card. C.,
I due cortei, in
Voce di Padre Pio 2 (settembre
1971) 15.
(37) Cf. MICHELE DA S. GIOVANNI ROTONDO,
Come è sorta
la Via Crucis, in
Voce di Padre Pio 2 (luglio-agosto 1971)
45.
(38) URSI card. C.,
art. cit., p. 5.
(39) Cf.
Voce di
Padre Pio 2 (giugno 1971) 6.
(40) Cf. La esortazione apostolica di
PAOLO VI,
Evangelii nuntiandi (8 dic. 1975).
(41) Cf. SIRI card. G.,
Commemorazione nel quarto anniversario del transito di Padre Pio, in
Liguria Francescana 6 (ottobre 1972) 2s.
(42)
Ivi.
(43)
Cf.
La Casa Sollievo della Sofferenza 20 (16-30 giugno 1969)
15.
(44) Cf. LAMBRUSCHINI F.,
Padre Pio e la vocazione universale alla
santità, in
Oss. Pom. Dom. 6. 1968.
(45) Cf.
Voce di
Padre Pio 4 (gennaio 1973) 11.
(46) Cf.
Voce di Padre Pio 3
(settembre 1972) 7.
APPENDICE
Omelia del Papa
23 maggio 1987, ore
18.35
"Non vi lascerò orfani, ritornerò da
voi" (
Gv. 14,18).
Il tempo pasquale, cari Fratelli e
Sorelle di San Giovanni Rotondo è tempo del Cenacolo. Cristo disse queste
parole agli Apostoli nel Cenacolo, mentre si stava avvicinando
il momento
della dolorosa separazione. In quella stessa sera sarebbe stato catturato
nel Getsemani e consegnato al Sinedrio per essere giudicato. Il giorno seguente
sarà condannato e si separerà dagli Apostoli morendo sulla
croce.
Nel pronunziare le parole che leggiamo nell'odierno Vangelo,
Gesù era consapevole della sofferenza che essi avrebbero dovuto
incontrare insieme con Lui. Era consapevole di
"lasciarli
orfani" e che ciò li avrebbe rattristati profondamente.
Al
fatto di rimanere orfani si aggiunse il sapore amaro della delusione. Nonostante
che Cristo avesse preannunziato spesso la sua passione e la sua croce, i
discepoli non erano interiormente preparati a tale prova. Quando essa
è giunta,
hanno provato una forte delusione. Non hanno
perserverato con il loro Maestro.
"Non vi lascerò
orfani"
Oggi, ascoltiamo queste parole, mentre esse sono soltanto
un'eco di quei difficili giorni.
Gesù è tornato presso i
discepoli. Non li ha lasciati orfani. È venuto a loro da Risorto.
Così come è stato tra di loro assunto in cielo (cfr. At. 1,11),
come se ne è andato morendo sulla croce.
Il tempo del Cenacolo si
collega costantemente con il ricordo di quella dipartita e con
l'esperienza della nuova venuta. In questa venuta è confermato
ciò che Cristo aveva predetto:
"Voi saprete che io sono nel
Padre e voi in me e io in voi" (
Gv 14,20).
Sì.
Veramente. Cristo è nel Padre come Figlio prediletto e della stessa sua
sostanza. Quel giorno doloroso, che sembrava offuscare questa verità con
il buio della morte, è ormai passato. Adesso, con la risurrezione, questa
verità risplende con una nuova luce. Con una luce piena. Il Figlio
è nel Padre.
"Questo è il giorno fatto dal
Signore" (
Sal. 117/11/,24).
Cari Fratelli e Sorelle,
anche noi oggi ripetiamo con gioia col Salmista: "Questo è il
giorno fatto dal Signore"!
Gioia, perché la luce della Pasqua
illumina tutto il percorso della storia umana. Gioia, anche per questo nostro
incontro, che avviene in questa luce di fede, in questo periodo di interiore
esultanza che segue alla festività pasquale.
Con questi sentimenti
saluto cordialmente tutti i presenti: gli Arcivescovi di Manfredonia-Vieste, e
di Foggia-Bovino, insieme con gli altri Presuli delle diocesi della Capitanata.
Saluto con deferenza le Autorità civili. Un saluto particolare ai
numerosi malati: al gruppo accompagnato dall'UNITALSI e a quello dei
fanciulli spastici della provincia di Foggia. Saluto poi cordialmente tutti voi,
fedeli qui presenti, i giovani, gli anziani, le famiglie, tutti.
La vostra
Città, San Giovanni Rotondo, sta vedendo da un po' di tempo -
possiamo dirlo - un giorno "fatto dal Signore": penso in modo
speciale allo sviluppo che ha conosciuto in seguito alla presenza e
all'opera di Padre Pio da Pietrelcina, per le quali essa ha acquistato una
fama internazionale. Tuttora, grazie all'attività dei Frati
Cappuccini che degnamente continuano l'opera del Servo di Dio, la vostra
Città attira numerosi pellegrini.
Cari fratelli e sorelle di San
Giovanni Rotondo, siate sempre degni della testimonianza qui data da Padre
Pio.
Nella luce del giorno "fatto dal Signore" i
discepoli di Gesù vedono tutto rinnovato. L'intera creazione appare
più che mai ai loro occhi come l'opera di Dio, l'opera piena
di gloria.
Quindi dicono a Dio:
"Stupende sono le tue
opere".
"Venite e vedete le opere di Dio, mirabile nel suo
agire sugli uomini". (
Sal. 65/66/,3.5)
E soprattutto
ricordano quell'avvenimento del lontano passato, che tutti i figli e le
figlie di Israele commemoravano con entusiasmo riconoscente: la liberazione
dalla schiavitù d'Egitto.
"Egli cambiò il mare in
terra ferma, passarono a piedi il fiume;
per questo in lui esultiamo di
gioia.
Con la sua forza domina in eterno" (
Sal.
65/66/,6-7)
Gli Apostoli, i discepoli di Cristo hanno sempre
custodito nel cuore il ricordo dell'Esodo.
Il ricordo di quella
liberazione.
Ed ecco, nel mezzo della stessa Pasqua, che era un
grande preannunzio, si è adempiuto ai loro occhi ciò che
era stato predetto dai Profeti: Gesù con la sua croce ha iniziato e ha
portato a tutti
la liberazione definitiva. "È morto una
volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio;
messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito". Così dice
San Pietro (1
Pt 3,18).
Questa vita,
la vita nuova,
è dallo Spirito Santo. Egli è quello Spirito di verità
che era stato annunziato da Gesù prima della passione: "Io
pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore... lo
Spirito di verità" (
Gv 14,16-17).
Ecco, Gesù
vive nella potenza di questo Spirito. Nella sua potenza Egli compie la
promessa data ai discepoli: "Non vi lascerò orfani,
ritornerò da voi".
Nella risurrezione di Cristo è
rivelata la potenza dello Spirito Santo.
E' riconfermata la
potenza dello Spirito di Verità. Subito la prima sera dopo la
risurrezione, Gesù viene nel Cenacolo, alita sugli Apostoli riuniti e
dice: "Ricevete lo Spirito Santo" (
Gv 20,22).
Per questo
essi non sono più orfani. Non sono abbandonati. E non saranno abbandonati
mai, nemmeno quando saranno passati i giorni successivi alla risurrezione e
Gesù sarà assunto nel cielo.
Gli Apostoli non saranno orfani.
Non saranno, non sono orfane le generazioni sempre nuove dei cristiani, dei
seguaci di Cristo. Gesù è con loro costantemente. Viene
costantemente a loro nella potenza dello Spirito Santo. Per primi, gli Apostoli
dovevano convincersene
nel giorno della Pentecoste.
"Lo
Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non
lo vede e non lo conosce, voi lo conoscete" (
Gv 14,17).
Non
dal mondo, ma da Dio.
Tale è la verità più
profonda sulla Chiesa, e - nella Chiesa - su ciascuno di noi.
Su ciascuno
che è rinato mediante la morte e la risurrezione di Cristo: mediante il
Battesimo e la fede.
Tale è la realtà: Il tempo del
cenacolo dura sempre nella Chiesa. Dura in noi. Esso sempre
è aperto
agli uomini di tutti i tempi.
Se dall'esterno giunge
un'afflizione, se il mondo è pieno di pericoli e di tentazioni,
Cristo continua a ritornare a noi nello Spirito Santo.
Egli vive
e noi viviamo in Lui (cfr.
Gv 14,19).
E riconosciamo
continuamente che Egli, il Figlio, è nel Padre.
E nello stesso tempo
riconosciamo che Egli è in noi - e noi siamo in
Lui.
L'Eucarestia ne è una particolare attuazione.
È sacramento della presenza di Cristo in noi e della nostra presenza in
Lui.
Ecco, noi stiamo celebrando questo mirabile, santissimo
Sacramento, l'Eucarestia.
Si realizza ancora una volta la preghiera
del Redentore nel cenacolo.
Riceviamo il Consolatore, lo Spirito di
verità che soltanto Lui può darci. Il mondo non può
darLo, "perché non lo vede e non lo conosce" (cfr.
Gv
14,17).
Ma neppure può riceverLo?
Il mondo non può
ricevere lo Spirito di verità?
Proprio per questo
Lo
riceviamo in mezzo al mondo, per portarLo in noi ovunque, in ogni luogo dove
non c'è. E dove soltanto Lui può diventare sorgente della
vita nuova: sorgente della Verità e dell'Amore.
Discendi
Santo Spirito!
Così, mediante ciascuno di noi, risuona
costantemente in mezzo al mondo la preghiera del cenacolo.
Giovanni
Paolo II
Discorso del Papa nel Santuario
23 maggio 1987, ore 20.00
Cari
Padri Francescani, cari Fratelli e Sorelle!
Ringrazio innanzitutto il
p. Flavio Roberto Carraro, Ministro Generale dei Frati Minori Cappuccini, per
l'affettuoso saluto che mi ha rivolto anche a nome dell'intera
Famiglia Francescana, qui rappresentata nei suoi quattro rami.
Grande
è la mia gioia per questo incontro e ciò per vari motivi. Come
sapete, questi luoghi sono legati a ricordi personali, cioè alle visite
da me fatte a Padre Pio sia durante la sua vita terrena, sia, spiritualmente,
dopo la morte, presso la sua tomba.
È, inoltre, sempre una lieta
occasione per me incontrare i Figli di San Francesco, che oggi vedo qui
numerosi. Amo molto la spiritualità francescana. Uno dei miei primi
viaggi apostolici in Italia fu presso la tomba del p. Serafico ad Assisi, e
tutti certamente ricordate la Giornata ecumenica ivi celebrata
nell'ottobre dell'anno scorso. Mi rallegro, infine, di trovarmi in
questo Tempio, dedicato a Santa Maria delle Grazie. Certamente, questo luogo
sacro ha conosciuto, in epoca recente, un grande irradiamento spirituale grazie
all'opera di Padre Pio: ma come è avvenuta quest'opera, se
non per una continua effusione di grazia che è discesa, attraverso Maria,
sulle folle che qui giungono alla ricerca della pace e del perdono?
Padre
Pio fu devoto della Madonna, madre dei Sacerdoti che svolge, nei loro confronti
una funzione speciale per renderli conformi al modello supremo del suo
Figlio.
Il desiderio di
imitare Cristo, fu in Padre Pio
particolarmente vivo.
Docile fin da fanciullo alla grazia, già a
dodici anni ebbe da Dio il dono di veder chiaro nella sua vita. Ricordando quel
periodo, egli ci narra: «Il posto sicuro, l'asilo di pace era la
schiera della milizia ecclesiastica. E dove meglio potrò servirti, o
Signore, se non nel chiostro e sotto la bandiera del poverello
d'Assisi?... Che Gesù mi faccia la grazia di essere un figlio meno
indegno di San Francesco, che possa essere di esempio ai miei
confratelli».
E il Signore lo esaudì, possiamo dire, oltre le
sue stesse aspettative. Difatti, come Religioso visse generosamente
l'ideale del Frate Cappuccino,
come visse l'ideale del
Sacerdote. Per questo, egli offre anche oggi un punto di riferimento,
poiché in lui si trovano sviluppati i due elementi o poteri, che
caratterizzano il Sacerdozio cattolico nella sua
specificità e
nella sua vera
essenza: la facoltà di
consacrare il Corpo e il
Sangue del Signore e quella di
rimettere i peccati. Non furono forse
l'altare e il confessionale i due poli della sua vita? Questa
testimonianza sacerdotale contiene un messaggio tanto valido quanto
attuale.
Basta ricordare, in proposito, quel che insegna il Concilio
Vaticano II sul Sacramento del Sacerdozio, soprattutto nel Decreto
"Presbyterorum Ordinis".
Esso ribadisce quei
valori
essenziali e perenni del Sacerdozio, che in Padre Pio si sono realizzati in
modo eccellente. Certo, esso propone anche nuove prospettive e nuove forme di
testimonianza, più adatte alla mentalità dei nostri tempi. Ma
sarebbe un grave errore se, per una mal orientata spinta al rinnovamento, il
Sacerdote dimenticasse quei valori fondamentali; e non ci si può certo
appellare al Concilio per motivare una simile dimenticanza.
Un aspetto
essenziale del sacro ministero, ravvisabile nella vita di Padre Pio, è
l'offerta che il sacerdote fa di se stesso, in Cristo e con Cristo, come
vittima di espiazione e di riparazione per i peccati degli uomini. Il
sacerdote deve avere sempre davanti agli occhi la definizione classica della
propria missione, contenuta nella
Lettera agli Ebrei: "Ogni sommo
sacerdote, scelto fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini
nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati"
(
Eb. 5, 1). A questa definizione fa eco il Concilio, quando insegna che
"nella loro qualità di ministri delle cose sacre, e soprattutto nel
Sacrificio della Messa, i presbiteri agiscono in modo speciale a nome di Cristo,
il quale si è offerto come vittima per santificare gli uomini"
(Decr.
Presbyterorum Ordinis, 13). Questa offerta deve raggiungere la sua
massima espressione nella celebrazione del Sacrificio eucaristico. E chi non
ricorda il fervore col quale Padre Pio riviveva, nella Messa, la Passione di
Cristo? Da qui la stima che egli aveva della Messa - da lui chiamata "un
mistero tremendo" - come momento decisivo della salvezza e della
santificazione dell'uomo mediante la partecipazione alle sofferenze stesse
del Crocifisso. «C'è nella Messa - diceva tutto il
Calvario». La Messa fu per lui la "fonte ed il culmine" il
perno ed il centro di tutta la sua vita e di tutta la sua
opera.
Questa intima ed amorosa partecipazione al Sacrificio di
Cristo fu per Padre Pio l'origine della dedizione e disponibilità
nei confronti delle anime, di quelle soprattutto impigliate nei lacci del
peccato e nelle angustie della miseria umana. È cosa tanto nota, che non
intendo soffermarmi su di essa; ma vorrei solo sottolineare alcuni punti che mi
sembrano importanti, perché anche qui troviamo aderenza tra il
comportamento di Padre Pio e l'insegnamento conciliare.
L'umile
Religioso accolse con docilità l'infusione di quello
"spirito di grazia e di consiglio", del quale parla il
Concilio stesso, quello spirito cioè che deve consentire al Pastore di
anime di "aiutare e governare il popolo con cuore puro" (cfr. Decr.
Presbyterorum Ordinis, 7).
Egli si impegnò in particolare -
secondo un altro insegnamento conciliare (cfr.
ibid. 9) - nella
direzione spirituale, prodigandosi nell'aiutare le anime a scoprire
ed a valorizzare i doni e i carismi, che Dio concede come e quando vuole nella
sua misteriosa liberalità.
Anche questo può essere un esempio
per molti Sacerdoti a riprendere o a migliorare un "servizio ai
fratelli" così legato alla loro missione specifica, che è
sempre stato ed ancor oggi dev'essere ricco di frutti spirituali per
l'intero popolo di Dio, soprattutto in ordine alla promozione della
santità e delle sacre vocazioni.
Se l'elemento
caratterizzante del Sacerdozio è l'amministrazione dei Sacramenti,
questo stesso ministero non potrà essere credibile agli occhi degli
uomini, se il Sacerdote non soddisfa al tempo stesso le esigenze della
carità fraterna. E anche su questo punto sappiamo bene quel che ha
fatto Padre Pio: quanto vivo fosse il suo senso di giustizia e di misericordia,
la sua
compassione verso i sofferenti, e quanto fattivamente si
impegnasse per loro, con l'aiuto dei validi e generosi collaboratori.
«Nel fondo di quest'anima - dice Padre Pio di se stesso - parmi che
Iddio vi ha versato molte grazie rispetto alla compassione delle altrui miserie,
singolarmente in rispetto dei poveri bisognosi... Se so poi che una persona
è afflitta, sia nell'anima che nel corpo, che non farei presso il
Signore per vederla libera dai suoi mali? Volentieri mi addosserei, pur di
vederla salva, tutte le sue afflizioni, cedendo in suo favore i frutti di tali
sofferenze, se il Signore me lo permettesse».
Voglio ringraziare con
voi il Signore per averci donato il caro Padre, per averlo donato, in questo
secolo così tormentato, a questa nostra generazione. Nel suo amore a Dio
e ai fratelli, egli è un segno di grande esperienza e tutti invita,
soprattutto noi Sacerdoti, a non lasciarlo solo in questa missione di
carità.
La Vergine del Santo Rosario, alla quale fu tanto devoto, e
che veneriamo in modo speciale in questo mese a lei dedicato, ci aiuti ad essere
perfetti imitatori dell'unico Maestro: il suo Figlio Gesù. Con la
mia affettuosa Benedizione.
Giovanni Paolo II
Saluto del Papa al personale medico e agli ammalati della "Casa Sollievo
della Sofferenza"
23 maggio 1987, ore 20.45
Cari
Fratelli e Sorelle, cari malati,
Ringrazio vivamente Mons. Riccardo
Ruotolo, Presidente di quest'Opera, per l'indirizzo di saluto
rivoltomi.
A tutti voi il mio cordiale saluto: al personale medico e
paramedico, ai sacerdoti, ai malati, ai fedeli.
Grande è la mia
emozione nel trovarmi ancora in questo luogo, che visitai la prima volta nel
lontano 1947, quando era da poco iniziata l'erezione di questo
Ospedale.
Sono lieto di vedere nella sua moderna realizzazione quanto Padre
Pio ideò e
predisse: "Una città ospedaliera
tecnicamente adeguata alle più ardite esigenze cliniche e insieme
'ordine ascetico' di francescanesimo militante. Luogo di preghiera e
di scienza dove il genere umano si ritrovi in Cristo Crocifisso come un solo
gregge con un sol pastore". E questa città sta crescendo ancora.
Una "Cittadella della carità" accanto al Santuario di Maria,
che - per volere di Padre Pio - ha il significativo nome di
"Casa
Sollievo della Sofferenza".
Il sollievo della
sofferenza! In questa dolce espressione si riassume una delle prospettive
essenziali della
carità cristiana, di quella carità
fraterna, che Cristo ci ha insegnato e che, per suo espresso avvertimento,
è e dev'essere il
segno distintivo dei suoi discepoli: di
quella carità, il cui fattivo esercizio, soprattutto verso i più
bisognosi, è un imprescindibile
motivo di credibilità di
quel messaggio di Verità, di Amore e di Salvezza che il cristiano
è tenuto ad annunciare al mondo. Quest'Opera per la quale Padre Pio
tanto pregò e tanto si prodigò è una stupenda testimonianza
dell'amore cristiano.
La grande intuizione di Padre Pio è
stata quella di unire la scienza a servizio degli ammalati insieme con la fede e
la preghiera: la scienza medica, nella
lotta sempre più progredita
contro la malattia; la fede e la preghiera, nel
trasfigurare e sublimare
quella sofferenza che, nonostante tutti i progressi della medicina,
resterà sempre, in certa misura, un retaggio della vita di
quaggiù.
Per questo, un aspetto essenziale del grande disegno
di Padre Pio, era ed è che la degenza in questa Casa deve poter
costituire sì una cura del corpo, ma anche una vera e propria
educazione all'amore inteso come
accettazione cristiana del
dolore. E ciò deve poter avvenire grazie alla testimonianza di
carità offerta dal personale medico, paramedico e sacerdotale che assiste
e cura i malati. In tal modo, si deve formare una
vera e propria
comunità fondata sull'amore di Cristo: una comunità che
affratella coloro che curano e coloro che sono curati: "Qui - diceva Padre
Pio nel 1957 - ricoverati, medici, sacerdoti, saranno riserve di amore, che
tanto più sarà abbondante in uno, tanto più si
comunicherà agli altri". Questo era l'intento di Padre Pio, e
questo sia sempre l'intento fondamentale di questa bella
Istituzione!
Nell'assicurare la mia affettuosa vicinanza a tutti gli
ammalati degenti in questa Casa, auspico che siano sempre più beneficiari
di un clima di amore e di solidarietà, fondato sulla fede e sulla
preghiera. "In ogni ammalato - diceva Padre Pio - vi è Gesù
che soffre. In ogni povero vi è Gesù che langue. In ogni ammalato
povero vi è due volte Gesù che soffre e
langue".
Chiedo a Dio che lo spirito di amore fraterno che
anima questa "Casa Sollievo della Sofferenza" continui a fiorire e a
progredire. La vostra testimonianza, cari medici, cari infermieri, cari
sacerdoti, è estremamente preziosa non solo per coloro che qui vengono
ricoverati, ma è un segno importante anche per tutta la Chiesa e per la
società.
E a voi, cari malati, la Vergine Santissima conceda dal suo
Figlio la luce e la forza per comprendere, nella fede, il valore della croce che
state portando!
A voi tutti e ai vostri cari la mia affettuosa
benedizione.
Giovanni Paolo II
Coroncina al Sacro Cuore di Gesù
O mio Gesù, che avete detto:
«In verità vi dico, chiedete ed otterrete, cercate e troverete,
picchiate e vi sarà aperto» - ecco che io picchio, io cerco, io
chiedo la grazia...
Pater, Ave, Gloria.
S. Cuore di Gesù,
confido e spero in voi.
O mio Gesù, che avete detto:
«In verità vi dico, qualunque cosa chiederete al Padre mio nel
mio nome, egli ve la concederà» - ecco che al Padre vostro, nel
vostro nome, io chiedo la grazia...
Pater, Ave, Gloria.
S. Cuore di
Gesù, confido e spero in voi.
O mio Gesù, che avete
detto:
«In verità vi dico, passeranno il cielo e la terra, ma le
mie parole mai» - ecco che appoggiato all'infallibilità
delle vostre sante parole, io chiedo la grazia...
Pater, Ave,
Gloria.
S. Cuore di Gesù, confido e spero in
voi.
O Sacro Cuore di Gesù, cui è impossibile
non aver compassione degl'infelici, abbiate pietà di noi miseri
peccatori, ed accordateci le grazie che vi domandiamo per mezzo
dell'Immacolato Cuore di Maria, vostra e nostra tenera
Madre.
S. Giuseppe, padre putativo del S. Cuore di Gesù,
pregate per noi.
Salve, Regina, madre di misericordia,
vita,
dolcezza e speranza nostra, salve.
A te ricorriamo, esuli figli di
Eva;
a te sospiriamo, gementi e piangenti
in questa valle di
lacrime.
Orsù dunque, avvocata nostra,
rivolgi a noi gli occhi
tuoi misericordiosi.
E mostraci, dopo questo esilio, Gesù,
il
frutto benedetto del tuo seno.
O clemente, o pia, o dolce vergine Maria
(1).
(1) La presente coroncina era recitata, ogni giorno, daPadre Pio
per tutti quelli che si raccomandavano alle sue preghire.
Preghiera per ottenere la glorificazione di Padre Pio
O Gesù, pieno di grazia e di
carità e vittima per i peccatori, che, spinto dall'amore per le
anime nostre, volesti morire sulla croce, io ti prego umilmente di glorificare,
anche su questa terra, il servo di Dio, Padre Pio da Pietrelcina, che, nella
partecipazione generosa ai tuoi patimenti, tanto ti amò e tanto si
prodigò per la gloria del Padre tuo e per il bene delle
anime.
Ti supplico, perciò, di volermi concedere, per la sua
intercessione, la grazia..., che ardentemente desidero.
Gloria al
Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Come era nel principio e ora e sempre,
nei secoli dei secoli. Amen (Tre volte)
Profilo delle stigmate di Padre Pio
I due periodi della stigmatizzazione
Sebbene il nostro
scopo non sia quello di presentare uno studio sulle stigmate del venerato Padre,
tuttavia non possiamo esimerci dal dovere di tracciarne almeno un profilo, sulla
base della documentazione qui pubblicata.
Nella lunga storia della
stigmatizzazione di Padre Pio, bisogna distinguere due periodi: uno di
preparazione al grande fenomeno, che durò otto anni (sett. 1910 - sett.
1918); l'altro della stigmatizzazione permanente, che si protrasse per ben
cinquanta anni (sett. 1918 - sett. 1968).
Durante il primo, che potremmo
definire il periodo delle stigmate «invisibili», i segni della
passione del Signore apparvero ad intermittenza sul corpo del venerato Padre. I
primi sintomi risalgono all'estate (agosto-settembre) del 1910, soltanto
qualche mese dopo la sua ordinazione sacerdotale (1).
Esterrefatto,
com'egli stesso confessa, per la presenza di quei segni, il giovane
sacerdote cappuccino «pregò il Signore che avesse ritirato un tal
fenomeno visibile». E il Signore lo ascoltò. Però, anche
quando non erano visibili i segni delle ferite, era sempre presente il dolore,
che si faceva sentire «specie in qualche circostanza e in determinati
giorni» (
Epist. I, 669), in modo particolare il martedì, e
dal giovedì a sera fino al sabato (
Epist. I, 266).
Questa
presenza del dolore, nonostante la scomparsa delle «trafitture», come
le chiama Padre Pio, ci sembra che giustifichi la denominazione di
«invisibili» da noi data alle stigmate del primo periodo.
Durante
il secondo periodo, le stigmate furono sempre visibili e permanenti, dalla
mattina di venerdì 20 settembre 1918 fino alla morte (23 sett.
1968).
La loro impressione avvenne ad opera di un «misterioso
personaggio», che il Padre Agostino dice «crocifisso», ma del
quale Padre Pio afferma solamente che «aveva le mani ed i piedi ed il
costato che grondava sangue».
Era lo stesso «personaggio»
apparso al venerato Padre la sera del 5 agosto precedente.
Le stigmate delle mani
Nella regione palmare della mano destra, la
stigmata si trovava al livello del 3°; metacarpo (a metà, secondo il
dottor Festa) (2). Aveva forma circolare della grandezza di cinque centesimi
(Romanelli), del diametro di poco più di due centimetri (Festa). Era una
membrana lucente pigmentata di color rosso viscoso, alquanto sollevata nel
centro, che formava un piccolissimo bottoncino, da cui partivano tante sottili
strie più oscure e tendenti quasi al centro. I suoi contorni erano
lievemente frangiati.
Nella regione dorsale della stessa mano destra, la
stigmata aveva identiche caratteristiche di quella della regione palmare. Salvo
qualche lieve differenza, i medici che la visitarono concordano sostanzialmente
nella descrizione della sua configurazione.
Essi però non sono
d'accordo sulla sua ubicazione. Mentre il Romanelli e il Bignami parlano
di «punto (regione) corrispondente al primo», il Festa afferma
esplicitamente che questa stigmata non era «in esatta corrispondenza della
palmare». Infatti, sempre secondo il Festa, la stigmata della regione
dorsale si trovava «un po' più ravvicinata
all'articolazione metacarpo-falangea del 3°; dito».
Le
stesse caratteristiche sono attribuite dai tre medici alla stigmata esistente
nella regione palmare e dorsale della mano sinistra.
C'è
però tra di essi una divergenza notevole nella valutazione della zona
sottostante alle membrane o escare, accuratamente descritte. Sotto di esse
c'era il vuoto (un foro) oppure le ossa e le parti molli erano
perfettamente normali?
Per il Romanelli non c'è dubbio:
«Quelle zone pigmentate non sono altro che membrane, che ricoprono un foro,
che si origina in una parte e termina nell'altra». E lo stesso
dottore riferisce del suo esperimento fatto applicando il pollice nella palma e
l'indice nel dorso: la percezione del vuoto esistente fra le due dita era
esatta. Il metacarpo era interrotto. Infatti, «alla palpazione,
delicatamente fatta», non si percepiva «al disotto alcuna resistenza
ossea».
Invece, per il Bignami e il Festa, tutto era perfettamente
normale.
Forse non sapremo mai la verità.
A questo punto ci
sembra utile far presente che, il 14 ottobre 1954, il dottor Alberto Caserta di
Foggia eseguì alcune radiografie sul corpo del venerato
Padre.
Ebbene l'esame eseguito in proiezione dorso-palmare, sia alle
mani che ai piedi, non rivela nessuna interruzione ossea.
A meno che non si
voglia ammettere una evoluzione delle stigmate, con gravi e radicali
modificazioni.
Le stigmate dei piedi
Per quanto riguarda le stigmate dei piedi,
esistono tra i tre medici le stesse convergenze e divergenze riscontrate nella
descrizione di quelle delle mani.
Nel maggio 1919, nelle regioni dorsali e
plantari, esse apparivano al dottor Romanelli come zone di forma circolare,
della grandezza di una moneta di cinque centesimi, ricoperte di membrane di
color rosso vivo e di aspetto lucente con contorni ben netti e precisi,
circondate da tessuti normali. Anche per esse il dottor Romanelli ripeté
lo stesso esperimento (anche se non in modo perfettamente esatto) della
compressione, e il risultato fu identico: la manifesta impressione del piede
perforato e ricoperto sui fori dalle membrane descritte.
Nel luglio
seguente, il dottor Bignami precisava che le stigmate ai piedi si trovavano
«in corrispondenza del 2°; metatarso». Egli, però, notava
soltanto «una piccola e superficialissima escara scura rotondeggiante,
intensamente colorata insieme ad un sottile alone della cute circostante, con
tintura di iodio».
Nel mese di ottobre dello stesso anno (1919), il
dottor Festa aggiungeva una ulteriore precisazione: quelle stigmate erano
localizzate «in corrispondenza della metà del 2°;
metatarso». Qui, sul dorso di ambedue i piedi (e nelle regioni plantari),
si notava «una lesione circolare, di colorito rosso bruno, ricoperta da
sottile escara nerastra», che ripeteva esattamente i caratteri di quelle
descritte sulle mani. Ma, come per le mani, così anche per i piedi:
niente vuoto o foro, giacché «il metatarso sottostante appariva
integro in tutta la sua estensione».
Forse non è inutile
ricordare anche per i piedi quanto osservato per le mani, e cioè che le
radiografie effettuate dal dottor Caserta nel 1954 non denunciano nessuna
interruzione .
A meno che anche per le stigmate dei piedi non si voglia
ammettere una evoluzione, con gravi e radicali modificazioni.
La stigmata del costato
Queste vanno certamente ammesse per la
ferita del costato.
Nel maggio 1919, il dottor Romanelli vide soltanto
«una sola branca trasversale e profonda», che così descrive:
«Nell'emitorace sinistro e propriamente tra la linea mammillare e
l'ascellare anteriore quasi in corrispondenza del 6°; spazio
intercostale sinistro notasi una ferita lacera, lineare, secondo la direzione
delle costole, lunga circa sette centimetri a margini netti e leggermente
accartocciati, interessante i tessuti molli».
La ferita, sempre
secondo il dottor Romanelli, giaceva «diretta dal basso in alto ed alquanto
da fuori in dentro con fuoriuscita di sangue arterioso». Sempre secondo lo
stesso dottore, «riesce difficile giudicare fin dove penetra e quale
direzione assuma nella cavità». Tuttavia il 9 agosto 1920, scrivendo
al Padre Agostino, il Romanelli la definisce «profonda».
Circa
due mesi più tardi, nel mese di luglio dello stesso anno (1919), la
stigmata del costato subiva due importanti modificazioni: assumeva la forma di
croce e si spostava verso l'esterno. Scrive, infatti, il dottor Bignami:
«Nel torace a sinistra, tra la linea ascellare anteriore e la ascellare
media, si osserva una figura di croce, la cui branca più lunga disposta
obliquamente va dalla 5ª alla 9ª costola raggiungendo il bordo
costale, mentre la branca trasversale è della metà circa
più breve... In nessun punto la lesione si approfonda». Il dottor
Bignami non precisa se la forma della croce fosse diritta o capovolta.
La
forma di croce è confermata dal Padre Paolino, il quale, però,
parla di «forma quasi di una X» e si discosta dal Bignami, ritenendo
la ferita profonda e non superficiale. Ma c'è da tener presente che
il Padre Paolino non era medico.
Nella relazione della sua prima visita,
effettuata nel seguente mese di ottobre, il dottor Festa ci ha lasciato una
descrizione, che concorda con quella del Bignami. Anche per lui, infatti, la
stigmata del costato aveva una forma di croce, ma capovolta, ed era
superficialissima.
Ecco la descrizione esatta che ne fa: «Nella
regione anteriore del torace sinistro, circa a due dita trasverse al di sotto
della papilla mammaria, presenta un'ultima e più interessante
lesione, in forma di croce capovolta. L'asta longitudinale di questa
misura all'incirca 7 cm di lunghezza: parte dalla linea ascellare
anteriore a livello del 5°; spazio intercostale, e discende obliquamente fin
presso al bordo cartilagineo delle costole, solcando la cute in un punto che,
come ho già rilevato, è a circa due dita trasverse al di sotto
della papilla mammaria. L'asta trasversale della croce è lunga
circa 4 cm, interseca non ad angolo retto, ma in modo un po' obliquo e
pressapoco a 5 cm dal suo punto di partenza, l'asta longitudinale, e si
presenta più espansa e rotondeggiante alla sua estremità
inferiore. Questa figura di croce è superficialissima».
Gli
stessi caratteri furono osservati, sempre dal dottor Festa, il 16 luglio 1920,
nel corso della seconda visita, fatta insieme al dottor Romanelli, il quale,
nella sua lettera al Padre Agostino del 9 agosto 1920, sottolinea un'altra
modificazione della stigmata del costato: «Insieme ora abbiamo visto una
croce con una branca più larga e l'altra più
stretta».
Però il dottor Romanelli non specifica quale sia la
branca più larga e quale quella più stretta, né se le
branche fossero eguali o disuguali (3).
Su un bigliettino da visita del
Cardinale Silj, che, molto probabilmente, deve essere posteriore al 1921, lo
stesso venerato Padre Pio disegnò la stigmata che aveva sul costato. Da
quel disegno resta confermata la forma di croce, ma rimane problematica la sua
esatta posizione, dal momento che non sappiamo da qual verso il venerato Padre
l'abbia disegnata. Le soluzioni possibili, com'è ovvio, sono
quattro.
La stigmata del costato rimase praticamente immutata fino al 5
luglio 1964, quando fu vista dal Padre Eusebio Notte, che così la
descrive: «Era una piaga a forma di croce, grosso modo così: la
branca verticale era lunga un sei-sette centimetri, leggermente obliqua, con la
parte inferiore spostata verso il lato sinistro. La branca trasversale era molto
più corta».
Riconoscendo un carattere d'indeterminatezza
alla versione del Bignami, ci sembra che l'indicazione più esatta
sia quella del Festa, verificata in seguito anche dal Romanelli. Quindi, molto
probabilmente, la stigmata, che il venerato Padre Pio aveva sul costato, almeno
a partire dal mese di ottobre 1919, doveva avere questa forma: con l'asta
longitudinale di circa cm 7 di lunghezza e l'asta trasversale di circa
cm. 4 di lunghezza.
Per quanto riguarda l'ubicazione, riteniamo che
l'indicazione più esatta sia quella del Romanelli, confermata
sostanzialmente dal Festa: la stigmata doveva trovarsi tra la linea mammillare e
l'ascellare anteriore, partendo da questa e solcando la cute a circa due
dita trasverse al di sotto della papilla mammaria (4).
In merito
all'affermazione del Padre Paolino, c'è da osservare che egli
scrive testualmente: «Ha la forma quasi di una X». Quel
«quasi» sta ad indicare che la X non era perfetta. Il che ci porta di
conseguenza alla figura di una croce (capovolta?).
Una osservazione anche
sul disegno di Padre Pio. Ci sembra che la lettura migliore sia la prima, quella
cioè che segue la direzione dello scritto del bigliettino e che non si
discosta molto dalla descrizione del dottor Festa.
Infine, per quanto
concerne il Padre Eusebio, dobbiamo far presente che egli, da noi interrogato,
ha ribadito la sua versione. Cosa, questa, che c'induce ad ammettere una
importante modificazione, prima della definitiva scomparsa (5).
Le cause di
queste modificazioni non devono essere ricercate necessariamente nella sfera del
soprannaturale, bastando per la loro spiegazione anche delle cause di ordine
puramente naturale (6).
Ma la stigmata del costato pone ancora un altro
problema, quello relativo al tempo della sua comparsa.
Il Padre Paolino da
Casacalenda, che la vide a forma di una X, scrive: «Dal che si deduce che
sono due le ferite e ciò si riconnette col fatto che ho sentito dire, ma
che io non posso provare per mancanza di documenti sicuri, che molto prima delle
stigmate Padre Pio fu ferito con una spada da un Angelo dalla parte del
cuore».
In questo caso, il venerato Padre avrebbe ricevuto una prima
ferita al costato al momento della transverberazione (5-7 agosto 1918), e una
seconda, sempre al costato, all'atto della stigmatizzazione (20 settembre
1918). Questa seconda ferita, sovrapponendosi alla prima, avrebbe dato origine
alla forma di croce o di X.
Questa supposizione, però, cade se, col
Romanelli, riteniamo che nel mese di maggio 1919 la stigmata del costato non
aveva affatto la forma di croce. Essa, inoltre, non sembra trovare
giustificazione nel resoconto della transverberazione fatto il 21 agosto 1918
dallo stesso Padre Pio. In esso il venerato Padre parla di arnese scagliato
«nell'anima», che provocò anche delle conseguenze
nell'ordine fisico: «Persino le viscere vedevo che venivano strappate
e stiracchiate». Tuttavia la «ferita» era di ordine puramente
spirituale: «Sento nel più intimo dell'anima una ferita che
è sempre aperta». (
Epist. I, 1065). Sembra, quindi, che sia
da escludere una ferita fisica al cuore o al costato.
Tuttavia, stando alla
testimonianza del Padre Agostino, il personaggio celeste del 5-7 agosto
«trapassò il cuore» del venerato Padre, il quale
«fisicamente sentì il cuore squarciarsi e fece sangue, che si
versò per il corpo, uscendo parte per la bocca, parte di
sotto».
La mancanza di ulteriori informazioni non ci consente di dire
se questa sia un'interpretazione del Padre Agostino oppure il resoconto
accurato di una confidenza a lui fatta dallo stesso Padre Pio. Comunque, secondo
le affermazioni del Padre Agostino, Padre Pio avrebbe riportato una ferita
fisica
al cuore, durante il fenomeno della transverberazione del 5-7
agosto (7).
Però, in base all'interrogatorio del Padre
Raffaele, fatto negli anni 1966-1967, dovremmo ritenere che, durante quel
fenomeno abbia riportato una ferita fisica
al costato.
Ci
permettiamo di rimandare ad un nostro studio sull'argomento (8), del quale
riassumiamo qui le conclusioni. A nostro giudizio, Padre Pio riportò una
ferita fisica
al costato il 5-7 agosto (interrogatorio del Padre
Raffaele) e una ferita fisica
al cuore nel mese di dicembre 1918 (cfr.
Epist. I, 1106).
Ma qui sorge una difficoltà. Se la ferita
al costato era già in atto fin dal mese di agosto, perché
mai Padre Pio, facendo la relazione della stigmatizzazione, avvenuta il 20
settembre, afferma che, dopo l'apparizione del misterioso personaggio,
egli si avvide che «mani, piedi e costato erano trapassati e grondavano
sangue» (
Epist. I, 1094)?
Dobbiamo confessare che a questa
domanda non siamo in grado di dare una risposta adeguata. La soluzione migliore
sarebbe quella proposta dal Padre Paolino, se non vi si opponesse la
constatazione del Romanelli. A meno che non si voglia ammettere anche per il
periodo di settembre 1918 - maggio 1919 una modificazione della stigmata del
costato. In questo caso, detta stigmata, sarebbe passata attraverso le seguenti
fasi: agosto 1918, una sola ferita; settembre 1918, due ferite (= una ferita a
forma di croce o di X); maggio 1919, una sola ferita; luglio 1919, due ferite (=
una ferita a forma di croce o di X).
Infine, per concludere queste brevi
annotazioni sulla stigmata del costato di Padre Pio, dobbiamo accennare al suo
significato teologico o alla finalità intesa dal «misterioso
personaggio» che la causò.
La transverberazione del 5-7 agosto
trasfigurò il venerato Padre nell'anima, rendendolo pronto ed
idoneo ad essere trasfigurato anche nel corpo (piaga al costato) con la prossima
stigmatizzazione, definitiva e permanente, del 20 settembre seguente. La
transverberazione del mese di dicembre fu un «suggello di amore»
(ferita al cuore), che, in modo completo e irreversibile, affidò il
venerato Padre alle braccia dell'Amore (
Epist. I, 1112)
(9).
Le qualità delle stigmate
Le stigmate di Padre Pio ebbero due
qualità: il profumo e la luminosità.
Le testimonianze in
merito al profumo (10), in vita e post mortem, sono innumerevoli: da sole
basterebbero a riempire un grosso volume. Il fatto, quindi, è fuori
dubbio. Ma qual è la sua origine?
Il dottor Festa, che ne parla
nella seconda relazione, scrive testualmente: «Sembra che tale profumo,
più che dalla persona del Padre Pio in genere, emani dal sangue che
stilla dalle sue piaghe» (26). Lo stesso dottore parla a lungo
dell'esperienza da lui fattane, proprio da lui che era «affatto privo
del senso dell'odorato».
Per quanto ne sappiamo, la seconda
qualità è attestata soltanto dallo stesso dottor Festa e
limitatamente alla piaga del costato. Essa fu constatata nel corso della visita
da lui fatta nel 1925, subito dopo l'intervento chirurgico: «Per
amore di verità e di esattezza debbo soltanto aggiungere che la sottile
escara, da cui nel precedente esame avevo trovato ricoperta la ferita che ha
sull'emitorace sinistro, è ora caduta; di modo che questa appare
fresca e vermiglia, in forma di croce, e con brevi, ma evidenti
radiazioni
luminose che si sprigionano da suoi contorni» (27).
La scomparsa delle stigmate
Sul corpo del venerato Padre Pio le
stigmate rimasero aperte, fresche e sanguinanti per mezzo secolo (1918- 1968).
Ma, verso la fine della sua vita, cominciarono a chiudersi.
Le prime a
rimarginarsi furono quelle dei piedi e del costato, probabilmente circa due anni
prima della morte.
Nell'estate (luglio-agosto) del 1968, non si
vedevano le piaghe alle mani, almeno sui dorsi. Noi stessi lo
constatammo.
Durante la celebrazione dell'ultima Messa (22 sett.
1968), era ancora visibile la stigmata nel palmo della mano sinistra. In meno di
24 ore, anche questa scomparve completamente. L'ultima rilevanza crostosa
dalla faccia palmare sinistra cadde al momento della morte.
Così la
mano sinistra, che era stata la prima ad essere interessata in modo più
sensibile ad una delle prime apparizioni delle stigmate (cfr.
Epist. I,
234), fu anche l'ultima a perdere ogni segno di ferita.
La teologia delle stigmate
Il mistero della croce è
essenzialmente il mistero pasquale: cioè, il mistero della morte e della
risurrezione di Cristo.
Secondo la dottrina di San Paolo, ogni cristiano,
per mezzo del Battesimo, diviene partecipe di questo mistero (Rom. 6,3-5). Nel
corso dei secoli, però, Dio sceglie delle anime, nelle quali, in modo
particolare, rinnova il mistero pasquale del Figlio suo. Nel sec. XX ha scelto
Padre Pio da Pietrelcina, l'umile cappuccino del Gargano, passato alla
storia della Chiesa come il primo sacerdote stigmatizzato.
Gli elementi,
con i quali Dio ha rinnovato in lui il mistero della morte di Cristo, sono due:
la volontà di coimmolazione e i dolori, morali e fisici, tra i quali
occupano il primo posto le stigmate. Il cumulo di sofferenze, che la Provvidenza
divina si degnò di caricare sulle sue spalle, costituirono il suo
«calvario» e lo posero in uno stato di continua agonia, per tutta la
vita.
Ma Dio ha rinnovato in Padre Pio da Pietrelcina anche il mistero
della risurrezione di Cristo.
Per illustrare questo punto è
necessario ricordare che, in Padre Pio, la scomparsa delle stigmate fu
accompagnata dall'assenza completa di ogni segno di cicatrizzazione. Al
posto delle stigmate, c'era nuova carne, rigenerata
(ri-creata?).
Questo fenomeno, che giustamente viene considerato
«fuori di ogni tipologia di comportamento clinico e di carattere extra
naturale» (dottor Sala), non trova alcuna spiegazione scientifica.
Ci
chiediamo, pertanto: che cosa rappresenta il fenomeno della scomparsa delle
stigmate e della rigenerazione di nuova carne al posto delle ferite?
La
risposta è duplice.
In relazione a Padre Pio, esso ci appare come il
segno manifesto che Dio ha gradito ed accettato il suo lungo e cruento
sacrificio, ed ha dato a lui, primo sacerdote stigmatizzato, glorificata
ricompensa attraverso quel germe di risurrezione della carne.
In relazione
agli uomini, ci sembra che quel germe di glorificazione sia un segno
dell'entrata di Padre Pio nella gloria del cielo, per continuare, presso
Dio, il ruolo di intercessione in loro favore.
Conclusione
Volendo indicare brevemente il significato
teologico globale delle stigmate di Padre Pio da Pietrelcina, viste nel contesto
della sua vita santa, tutta dedicata alla gloria di Dio ed al bene delle anime,
ci sembra di poter citare con ragione le parole dell'Apostolo San Paolo ai
Colossesi: «Io godo delle sofferenze in cui mi trovo per voi, e completo
nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo,
che è la Chiesa» (Col. 1,24).
Chiuso nel suo mistero, in
profondo raccoglimento e in costante colloquio con Dio, il venerato Padre poteva
esclamare con lo stesso grande Apostolo: «Quanto a me non ci sia altro
vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della
quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo...
D'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di
Gesù nel mio corpo» (Gal. 6,14.17).
San Giovanni Rotondo,
23 settembre 1984,
16°; anniversario della morte di Padre Pio da
Pietrelcina.
Padre Gerardo Di Flumeri
Vice
Postulatore
(1) L'ultimo accenno è del 10 ottobre 1915:
cfr.
Epist. I, 669.
(2) Il dottor Festa descrive direttamente la
stigmata della mano sinistra, ma, com'egli stesso afferma, la descrizione
è valida anche per le «lesioni esistenti sul dorso e nella palma
della mano destra»: cfr.
doc. n. 52, p. 179.
(13) Nella stessa
lettera, il dottor Romanelli afferma che il dottor Festa, nella prima visita,
«vide una croce a branche eguali». L'affermazione non
corrisponde a verità. Per il dottor Festa la branca più larga
doveva essere quella trasversale. Scrive, infatti, nella seconda relazione:
«Mentre l'asta trasversale, forse alquanto più larga e
più lunga»
(4) E' possibile che la divergenza del dottor
Bignami sia dovuta al diverso punto dal quale fu fatta l'osservazione e
anche alla posizione assunta da Padre Pio.
(5) Nella nostra esposizione,
non abbiamo preso in considerazione l'attestato del dottor Sala. Questo,
infatti, non ha nessun valore, perché il dottor Sala, com'egli
stesso confessa, non ha mai eseguito nessun controllo diretto delle ferite.
Quindi, è frutto di fantasia «la ferita del costato... a forma di
losanga». Inoltre c'è da dire che, a causa
dell'ignoranza del problema della ubicazione della stigmata del costato,
il dottor Sala è incorso in un altro grave errore. Quando, dopo la morte
del venerato Padre Pio, Padre Giacomo Piccirillo fece il servizio fotografico
per documentare la scomparsa delle stigmate, il dottor Sala, che era presente,
non indicò il punto esatto del lato del costato sinistro da fotografare.
Scoprì, infatti, il costato fino a poco sotto la mammella sinistra,
ignorando che la stigmata del costato, partendo dalla linea ascellare anteriore,
solcava la cute a circa due dita trasverse al disotto della papilla
mammaria).
(6) Il dottor Michele Capuano ne dà una spiegazione
«naturalistica»: «Divergenze? Contrasti? Io penserei a due
aspetti dello stesso fenomeno. A manifestazioni "successive" nello
stesso organismo, dove modifiche "biologiche", cioè
spontanee, sono sempre possibili in ogni tempo - anche a distanza ravvicinata -
sotto le oscillazioni del ricambio, degli equilibri biochimici e delle
secrezioni interne, in vista delle trasformazioni che caratterizzano le
attività vitali».
(7) Nella lettera del 5 sett. 1918, scritta
esattamente un mese dopo il fenomeno della transverberazione, Padre Pio parla di
«ferita riaperta che sanguina e sanguina sempre», «ferita che
sempre è aperta» (
Epist. I, 1072 s.). Queste espressioni
suggeriscono indubbiamente l'idea di una ferita
fisica; però
lette nel contesto («sommerso in un oceano di fuoco», «anima che
impiagasti»), perdono la loro forte carica di significato fisico e possono
rivestirsi di un significato simbolico, metaforico, spirituale.
(8) PADRE
GERARDO DI FLUMERI,
La transverberazione di Padre Pio da Pietrelcina, San
Giovanni Rotondo 1985.
(9) Per questo punto cfr. il nostro studio citato
nella nota precedente.
(10) Esula dal nostro intento la trattazione del
profumo di Padre Pio. Per esso rimandiamo a quanto ne hanno scritto i biografi.
Cfr. in modo particolare: PADRE FERNANDO DA RIESE PIO X,
Padre Pio da
Pietrelcina, crocifisso senza croce, 2ª ed., San Giovanni Rotondo 1984,
pp. 186-19
LA BEATIFICAZIONEDI PADRE PIO DA PIETRELCINA
Padre Pio proclamato Beato
Avevo appena
terminato d'indossare i paramenti sacri ed ero pronto a partecipare alla
concelebrazione presieduta dal santo padre Giovanni Paolo II, quando fui invaso
da un forte desiderio. Dare uno sguardo alla folla accorsa alla cerimonia della
beatificazione del venerabile Padre Pio da Pietrelcina.
Il cortese lettore
avrà certamente capito che era la mattina del 2 maggio ed io mi trovavo,
con altri sacerdoti, vescovi e cardinali, nel braccio destro della basilica di
San Pietro, esattamente davanti alla cappella dove troneggia la ieratica statua
del papa Pio XII. Per raggiungere il portone d'ingresso, dovevo percorrere
varie decine di metri, che, per il mio povero cuore visitato da fratello
infarto, rappresentavano un notevole sforzo. Inoltre temevo che le intransigenti
guardie, messe a custodia della via di accesso, come i biblici cherubini del
giardino dell'Eden, mi avrebbero impedito di avvicinarmi a quel
portone.
Mi feci coraggio e mi rivolsi alle guardie. Espressi timidamente
il mio desiderio e rimasi in silenziosa attesa per qualche minuto. Quale non fu
la mia piacevole sorpresa, quando una di essa, col più amabile dei
sorrisi, mi disse: «Ma certamente, padre!» e mi spalancò il
portone. Mi precipitai fuori dalla basilica e mi fermai sul sagrato, che
consentiva di avere uno sguardo panoramico su tutti i convenuti.
Ebbi un
tuffo al cuore e rimasi senza parola! Dall'ingresso della basilica fino al
Tevere una folla immensa riempiva tutti i settori predisposti ad accogliere i
fedeli in arrivo: il settore di destra e quello di sinistra, l'area di San
Pietro e quella di San Paolo, i settori 1, 2, 3, 4, 5, 6, dove si poteva
rimanere comodamente seduti, e i restanti settori, che consentivano soltanto una
presenza in piedi.
L'ordine era mantenuto nel modo più
assoluto. Sembrava che quel fiume di gente stesse immobile.
Il mio pensiero
volò al libro dei Numeri e mi ricordai della benedizione pronunziata da
Balaam su Israele: «Come sono belle le tue tende, o Giacobbe, le tue
dimore, Israele! Sono come torrenti che si diramano, come giardini lungo un
fiume, come aloé, che il Signore ha piantati, come cedri lungo le acque.
Fluirà l'acqua dalle sue secchia e il suo seme come acqua
copiosa» (Num. 24, 5-7).
Mentre mi estasiavo alla vista di quel
superbo spettacolo, fui favorevolmente colpito da un altro elemento, che
dominava sovrano su quel popolo eterogeneo, convenuto da tutte le parti
d'Italia e del mondo: il silenzio. Quel popolo viveva nel silenzio,
ovattato di silenzio, cinto di silenzio come di una fascia ai lombi. Però
quel silenzio non era soltanto qualcosa d'insolito nella presenza di una
moltitudine così vasta, ma era anche l'habitat naturale, senza del
quale quella cerimonia sacra non avrebbe potuto aver luogo né si sarebbe
potuta svolgere decorosamente. Non era un silenzio imposto, ma un silenzio
richiesto, come esigenza dello spirito di fronte al sacro.
In quel silenzio
non si avvertivano neanche dolci bisbigli e lievi mormorii, a volte inevitabili
in un così vasto assembramento di persone.
Da quel profondo silenzio
sgorgavano, di tanto in tanto, le consolanti note delle lacrime. Non si trattava
di lacrime di dolore, ma di amore: amore per Dio, per il papa, per il venerabile
Padre Pio, per i sofferenti del Kosovo, per i miseri di tutto il mondo.
E,
infine, la commozione: una commozione profonda ed estesa, che, come una coltre,
copriva tutta quella moltitudine di gente. Ma anche una commozione
dignitosamente contenuta, che non dava luogo a manifestazioni incomposte e fuori
luogo.
Dopo aver ammirato per lungo e per largo lo straordinario scenario
di piazza San Pietro e di via della Conciliazione, feci ritorno in basilica per
unirmi al corteo di sacerdoti, vescovi e cardinali, che si stavano muovendo
verso l'altare per la concelebrazione.
Non starò qui a
descrivere i vari momenti di questa sacra cerimonia tanto attesa, che saranno
ampiamente illustrati nel corso di questo giornale. Qui mi limiterò a
dire che gli elementi da me notati precedentemente restarono intatti, ed anzi
potenziati, nel corso della celebrazione della santa messa: ordine, silenzio,
lacrime, commozione.
Lo zenit evidentemente fu raggiunto quando il santo
padre Giovanni Paolo II dichiarò Padre Pio beato con le parole prescritte
dal cerimoniale pontificio: «Con la nostra autorità apostolica
concediamo che il Venerabile Servo di Dio Pio da Pietrelcina d'ora in poi
sia chiamato Beato e che si possa celebrare la sua festa nei luoghi e secondo le
regole stabilite dal diritto, ogni anno, nel giorno della sua nascita al cielo,
il 23 settembre».
A quel punto le regole del comportamento di quella
moltitudine subirono una eccezione, ma sempre nella regola d'oro del
rispetto e della moderazione.
Molti cominciarono ad agitarsi, gridando
«Viva il Papa», «Viva Padre Pio». Alcuni facevano sventolare
il foulard o il cappellino. Altri piangevano dirottamente. Altri infine,
profondamente commossi, singultivano per la gioia.
La situazione
tornò normale e il papa poté continuare a celebrare la santa
messa, nell'ordine più assoluto, nel silenzio più profondo,
tra lacrime segrete e nascoste, nella commozione generale, che tutti avvolgeva e
copriva col suo manto leggermente ondulato e profumato.
Mi è stato
riferito che la stessa scena si è verificata oltre che in piazza San
Pietro, anche in piazza San Giovanni in Laterano, a San Giovanni Rotondo e a
Pietrelcina.
Molti mi hanno chiesto: Qual è per lei, padre, il
miracolo più grande di Padre Pio?
Non ho esitato a rispondere: la
splendida giornata del 2 maggio.
di padre Gerardo Di Flumeri, vice
postulatore
Lettera circolare del ministro provinciale
Fratelli carissimi,
il 2 maggio
è il giorno fatto dal Signore, il giorno atteso e finalmente maturo della
glorificazione su questa terra del venerabile servo di Dio Padre Pio da
Pietrelcina, nostro confratello, figlio prediletto e gemma fulgida di questa
Provincia di S. Angelo - Foggia, innalzato agli onori degli altari tra cori
festosi ed inni di ringraziamento a Colui che ha operato questa
«meraviglia» ai nostri occhi.
È questo un giorno di
portata storica, perché rende concreta e vera una notizia bella e dai
significati profondi ed inenarrabili, diffusa da un araldo quale messaggero di
lieti annunci: «Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in
Sion» (Is. 49, 9) e grida: «gioisci figlia di Sion, esulta Israele e
rallegrati con tutto il cuore figlia di Gerusalemme» (Sof. 3, 14). Nello
stesso tempo sperimentiamo in modo singolare la gratuità di un amore e di
una condiscendenza infinita e traboccante che ha fecondato l'intera
umanità, tutto l'Ordine e la nostra fraternità provinciale,
visitati dalla «grazia» dello Spirito che ha suscitato Padre Pio da
Pietrelcina, mirabile per la santità di vita ed oggi proclamato
ufficialmente beato dal papa Giovanni Paolo II.
A fronte di tanta
benevolenza e di una ricchezza di doni e di «segni» soprannaturali
caduti nelle nostre mani e in questa porzione di terra, benedetta da gocce di
sangue di un crocifisso vivente, un senso di stupore e di confusione ci avvolge
e ci sovrasta e non si danno parole che possano esprimere la gratitudine e
l'esultanza del cuore ricolmo di «gioia indicibile»; non si
dà voce che possa esprimere il canto della lode e della benedizione alla
Trinità santa, cui è onore, gloria e potenza nei
secoli.
Fratelli carissimi, in questo giorno davvero santo il nostro cuore
esplode in liete parole: cosa renderemo al Signore per quanto ci ha dato?
Vogliamo alzare il calice della salvezza e rendere gloria al suo nome. In eterno
vogliamo lodare e cantare la sua bontà e misericordia.
In questo
evento di gioia e di gloria la nostra Provincia di S. Angelo - Foggia è
coinvolta in prima persona, quale «carissima madre» che lo ha generato
alla vita religiosa, accogliendolo e formandolo nel radicamento e
nell'interiorizzazione dei valori della tradizione francescano-cappuccina;
che è stata testimone dei carismi e dei fenomeni mistici legati alla sua
persona ed ha condiviso con lui l'esperienza fraterna e pastorale, segnata
da eventi belli e tristi, esaltanti e drammatici nello stesso tempo.
In
questa circostanza, in un unico abbraccio, vogliamo unire il passato con il
presente e fare «memoria» di tutti quei confratelli, che, a diverso
titolo e ai diversi livelli, hanno condiviso nel tempo le situazioni, le
esperienze, i momenti belli e straordinari come quelli difficili e sofferti di
tutti questi anni, offrendo una testimonianza di legame profondo e di affetto
alla persona di Padre Pio: figure di confratelli dal volto ordinario, semplici
ed austeri, ma anche dotti e dalla forte personalità posti sullo stesso
cammino, segnando indirettamente la stessa esperienza di Padre Pio e restandone
segnati. Qualcuno di questi ha suscitato la sua vocazione ed il fascino per
l'abito cappuccino, altri lo hanno avviato alla vita fraterna e formato
nelle discipline filosofiche e teologiche, altri ancora sono stati i direttori
spirituali che lo hanno illuminato, consigliato ed aiutato a discernere il
disegno di Dio sulla sua persona, tantissimi nel silenzio e nel nascondimento
hanno vissuto accanto a lui pregando, lavorando, gioendo e soffrendo insieme.
Ultimamente alcuni con sacrificio e dedizione, attraverso ricerche, scritti,
testimonianze, predicazione... si sono prodigati per introdurci nel
«mistero e nel segreto» di questo nostro confratello, diffondere il
suo messaggio e la sua esperienza e farci giungere all'appuntamento della
sua beaficazione.
Il Padre Generale, in una lettera inviata alla nostra
Provincia nella persona del Ministro Provinciale, dopo la promulgazione del
decreto «super miraculo» ha scritto: «La vostra Provincia ha
cesellato la sua statura umana e spirituale agendo e soffrendo con lui nella
certezza che le opere di Dio alla fine brilleranno». In verità
nessuno più dei suoi confratelli, alcuni in particolare, hanno potuto
«vedere», «toccare» con mano e sperimentare le
«meraviglie» che il Signore ha operato ed opera attraverso il suo
servo. La nostra Provincia ed i nostri confratelli, pertanto, più di
altri sono stati e sono tuttora i custodi e i testimoni oculari di questa figura
carismatica e di questa esperienza unica e straordinaria.
Chi eravamo o
cosa rappresentavamo noi per meritare questo privilegio?
La nostra
Provincia ad inizio di secolo si presentava piccola e nascosta, in via di
riorganizzazione e di ripresa dopo gli eventi della soppressione, senza grandi
nomi e tradizioni all'interno dell'Ordine; eppure è stata
scelta da Dio come «nuova Betlemme», come luogo in cui doveva brillare
una «stella» ed un nostro convento, aggrappato ad un monte,
sconosciuto e cadente come quello di San Giovanni Rotondo, prescelto come
«nuova Assisi», come luogo in cui doveva splendere un «faro»
di luce attraverso i segni della passione di Cristo, definito per questo come
San Francesco «rappresentante stampato delle stigmate di nostro
Signore».
Come Provincia e confratelli di Padre Pio dal profondo del
cuore vogliamo dirgli grazie con semplicità e grande riconoscenza, oltre
ogni formalismo e trionfalismo di facciata, per la sua «bella e splendida
testimonianza» di frate minore cappuccino, scritta e vissuta
all'interno della fraternità con una fedeltà ed
eroicità a dir poco meravigliose nell'intreccio quotidiano di
realtà ordinarie e straordinarie, forti ed intense da renderlo uno di noi
eppure così singolare ed originale, tanto da proporsi come modello
esemplare di vita religiosa.
Siamo qui anche per chiedere umilmente perdono
al Signore ed a lui se in tanti frangenti non abbiamo apprezzato abbastanza il
dono della sua presenza e compreso i carismi ed i fenomeni di natura mistica di
cui era arricchito, divenendo inconsapevolmente causa di sofferenze morali per
la sua persona.
Di un dato possiamo esser certi, ieri come oggi: Padre Pio,
che chiamava teneramente «carissima madre» la Provincia, l'ha
amata profondamente, ha pregato incessantemente per i suoi bisogni ed ha
sofferto per lei offrendosi vittima «usque ad effusionem
sanguinis».
L'esperienza di Padre Pio è racchiusa in
questa espressione tratta dal suo epistolario, che sintetizza e fotografa la sua
vocazione e missione di frate cappuccino e di sacerdote: «Il tutto si
compendia in questo: sono divorato dall'amore di Dio e dall'amore
del prossimo. Dio per me è sempre fisso nella mente e stampato nel cuore.
Mai lo perdo di vista» (Epist. I, 1247).
Dio è stato il centro
di gravitazione del suo essere e del suo agire, il punto di riferimento assoluto
della sua vocazione e missione. Da questo centro, origine e punto focale di ogni
energia e dinamismo interiore, si sprigionava quell'amore, che come
calamita lo attraeva verso il peso suo: Dio ed i fratelli.
Padre Pio ha
sperimentato sin dalla più tenera età i «segni di
predilezione» da parte di Dio ed una volta consacratosi con i voti di
obbedienza, povertà e castità tra i cappuccini ha vissuto la sua
consacrazione in modo pieno ed indiviso, senza riserve e cedimenti, divenendo un
«degnissimo figlio di San Francesco» ed offrendo una testimonianza
eccezionale e trasparente dei valori caratteristici della «forma di
vita» e della tradizione francescano-cappuccina.
L'eucarestia ha
rappresentato sempre il momento centrale e culminante della sua giornata e della
sua attività apostolica. Egli è stato il sacerdote che si è
offerto vittima con Cristo sull'altare, consacrando il pane e il vino come
offerta ed azione di grazie per la salvezza del mondo. È stato il
confessore assiduo ed instancabile donando il perdono e la riconciliazione ed
irradiando luce e conforto. È stato il frate ed il sacerdote orante e
contemplativo, dell'accettazione della croce e dell'adesione alla
volontà di Dio. È stato il frate e il sacerdote della fede
profonda, della carità perfetta, della speranza certa, virtù
professate e vissute in modo tanto semplice quanto eroico. Giorno dopo giorno
nel silenzio interiore, tra sofferenze ed umiliazioni di ogni sorta, ha dato
concretezza a quella voce e a «quella missione grandissima»:
«santificati e santifica» nella tensione costante di volersi
identificare-conformare sempre più a Cristo, povero e
crocifisso.
Dio e l'uomo - il polo verticale e quello orizzontale -
hanno rappresentato la grande passione di Padre Pio come unico respiro, come
unico amore. Dal suo cuore, innamorato di Dio e dei fratelli, sono nate con
finalità specifiche le due realtà: i «Gruppi di
preghiera» come tensione verso l'alto e «Casa sollievo della
sofferenza», pupilla dei suoi occhi, come finestra aperta sulle sofferenze
dell'umanità.
Questa esperienza così intensa, cosa
richiama e provoca in tutti noi in rapporto al dono della vocazione religiosa e
sacerdotale? Cosa rappresenta in rapporto alla nostra identità e al
nostro servizio pastorale?
Se è vero che «ognuno può
dire: Padre Pio è mio», a maggior ragione lo possiamo dire noi suoi
confratelli, chiamati a custodire e a rendere presente la sua esperienza, la sua
spiritualità e la sua testimonianza. Al di là dei monumenti di
pietra e di bronzo, dei devozionismi e dei fanatismi a volte striscianti, della
spettacolarità e del «chiasso» dei mezzi di comunicazione
sociale, siamo chiamati a riproporre e ripresentare la «memoria» viva
e vera di Padre Pio, come frate e sacerdote, che rinnova la sua presenza in
mezzo a noi additandoci la centralità di Dio nella vita e nella storia
umana.
I santi sono inviati nel mondo come «profezia» e
«segno» forte di Dio, rappresentano una «lettera aperta»
scritta con la vita, costituiscono una continua provocazione per la nostra vita
dentro la storia umana. Padre Pio costituisce tutto questo: è un profeta,
un segno forte del trascendente, è davvero una «lettera aperta»
inviataci dall'amore di Dio, scritta non con l'inchiostro, ma con il
sangue per ricordare a noi che il mondo si salva unicamente con l'amore
fatto passione.
In cammino verso il terzo millennio e con la sfida della
nuova evangelizzazione resa urgente da un contesto storico-culturale impregnato
di paganesimo e di ateismo pratico, cosa rappresenta e come interpretare
l'esperienza e la testimonianza di Padre Pio? Come mediarla e trasmetterla
sul piano dei contenuti teologici, spirituali e pastorali? Come gli uomini - in
particolare il mondo dei giovani - possono attingere alla sua esperienza e
spiritualità per incontrare Dio o tornare a Lui?
Credo che, come
Provincia di Padre Pio e suoi confratelli, abbiamo sì un grande onore, ma
anche una grande responsabilità morale, spirituale e pastorale, in
particolare dai punti focali rappresentati da San Giovanni Rotondo e
Pietrelcina. Abbiamo la responsabilità di non tradire
l'eredità spirituale che ci ha lasciato, ma di farla fruttificare.
Risultano illuminanti - per l'approccio e per l'orizzonte che
assumono - queste parole del Ministro Generale a noi indirizzate: «La
Chiesa vuole additare Padre Pio ai fedeli di tutto il mondo proprio alla fine di
questo secondo millennio consegnando un fratello dall'amore della vostra
diletta Provincia per lui all'amore della Chiesa». Lo Spirito conceda
a noi una fedeltà creativa, attenta ai «segni» dei tempi ed in
sintonia con il respiro di questo mondo, sensibile a lasciarsi rinnovare da Dio
alla luce dell'esperienza evangelica del nostro confratello, il Beato
Padre Pio da Pietrelcina, ed a fare la nostra parte nel processo della nuova
evangelizzazione.
Fratelli carissimi, mentre il nostro cuore si rallegra
per la sua beatificazione, interpretando i sentimenti dei confratelli cappuccini
ed in particolare della nostra Provincia, chiedo al Signore per intercessione
del Beato Padre Pio di voler spandere le sue grazie e benedizioni in modo
abbondante sull'umanità intera, sulla Chiesa, sull'Ordine e
su tutti noi e di donarci i frutti dello Spirito. Domando, inoltre, il dono
delle vocazioni, l'unità e la pace per la nostra Provincia e che
essa sia guardata con «occhio specialissimo».
Voglio chiudere
questa lettera circolare riprendendo una confessione-confidenza di Padre Pio,
che rivela il suo grande amore per la Provincia e procura a noi commozione
profonda e speranza certa per il futuro: «È inutile che mi
raccomandiate di pregare per i bisogni della nostra madre Provincia, lo sa Iddio
quante volte al giorno faccio memoria di lei davanti a Lui... Mi sono offerto
qual vittima al buon Dio per i bisogni spirituali di questa carissima madre, a
cui mi sento stretto da vincoli indissolubili. Una tale offerta più volte
la vado rinnovando davanti al Signore... » (Epist. I, 532).
Nel
salutare tutti ed ognuno, auguro ogni bene e serenità del cuore.
Il
Signore vi dia pace!
2 maggio 1999 di padre Paolo M. Cuvino, Ministro
Provinciale OFM Cap.
La gioia per la beatificazione di Padre Pio
Domenica 2 maggio 1999, ho avuto la grazia
e la fortuna di partecipare alla beatificazione di Padre Pio. Inoltre ho avuto
anche la grazia e la fortuna di ricevere la santa comunione direttamente dalle
mani del Papa, durante la solenne concelebrazione.
Il mio cuore è
pieno di gioia; e vorrei manifestare questa mia gioia cantando l'inno di
ringraziamento al Signore.
Prima, però, vorrei far notare due
coincidenze, che non sono certamente casuali, ma indubbiamente previste e
combinate dalla Provvidenza divina.
Padre Pio è stato dichiarato
Beato nel mese consacrato a Maria. Sembra una ricompensa che la Madre di
Gesù abbia voluto dare all'umile fraticello per il grande amore che
le ha portato in tutta la vita. Ricordate la breve letterina del 1°; maggio
1912, nella quale il povero Fra Pio chiama la Madonna per ben sei volte con i
bei nomi di madre, mammina, mammina celeste? E ricordate con quale cura la
Madonna lo accompagnava all'altare?
Mi è sommamente caro
immaginare che, anche la mattina della beatificazione, Maria ha accompagnato
Padre Pio all'altare vicino al sommo pontefice Giovanni Paolo II, fra
migliaia di sacerdoti e fedeli, di fronte alla basilica del Principe degli
Apostoli.
La seconda coincidenza è ugualmente legata al mese di
maggio. In questo mese Padre Pio celebrava il suo onomastico (5 maggio), in
questo mese vide la luce a Pietrelcina (25 maggio), in questo mese nacque col
battesimo alla vita della grazia (26 maggio). «Povera mammina, quanto bene
mi vuole», geme il venerabile Padre dichiarato Beato il giorno 2 del mese
consacrato a Maria. E continua: «Vorrei avere una voce sì forte per
invitare i peccatori di tutto il mondo ad amare la Madonna».
Ed ecco
soltanto alcune espressioni dell'amore di Padre Pio per la Madre di
Gesù.
Affermava: «Quando si passa dinanzi ad una immagine della
Madonna, bisogna dire: Ti saluto, o Maria. Saluta Gesù da parte
mia».
Quando poi sfogava il suo affetto, le diceva: «Senti,
mammina, io ti voglio bene più di tutte le creature della terra e del
cielo... dopo Gesù, s'intende... ma ti voglio bene!»
E a
noi tutti suoi figli, il neo - Beato ha lasciato la seguente raccomandazione:
«Figliuolo, tu non sai cosa produce l'obbedienza. Ecco: per un
sì, per un solo sì, fiat secundum verbum tuum, per fare la
volontà di Dio, Maria divenne Madre dell'Altissimo, professandosi
sua ancella, ma conservando la verginità che tanto a Dio e a Lei era
cara. Per quel sì, pronunziato da Maria santissima, il mondo ottenne la
salvezza, l'umanità fu redenta. Facciamo anche noi sempre la
volontà di Dio e diciamo anche al Signore sempre sì».
Ed
ora lasciate che il mio cuore manifesti tutta la sua gioia e tutta la sua
gratitudine a Dio col cantico della stessa Vergine
Maria:
«L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta
in Dio, mio Salvatore». Il Signore è grande in tutte le sue opere,
ma lo è principalmente in quelle che riguardano la nostra salvezza. Egli
ha mandato il suo Figlio come Salvatore del mondo e, attraverso i secoli, ha
fatto fiorire una miriade di Santi per la gloria del suo nome e per il bene
delle anime. Nel nostro tempo ha fatto sorgere il Beato Padre Pio da
Pietrelcina, rappresentante stampato delle stimmate del nostro Signore,
corredentore dell'umanità con l'amore e il dolore, buon
samaritano venuto in soccorso dei fratelli, alleviando le loro sofferenze
nell'anima e nel corpo.
«Ha guardato l'umiltà della
sua serva». Chi non ricorda la profonda umiltà di Padre Pio, che si
considerava il più grande peccatore del mondo? Egli tutto attribuiva alla
grazia divina e ha operato la sua salvezza con timore e tremore, come dice
l'Apostolo.
«D'ora in poi tutte le generazioni mi
chiameranno beata».
Sono duemila anni che questa profezia ha trovato
una puntuale attuazione. Tutte le generazioni hanno chiamato e chiameranno
Maria: Beata! Beata, perché Madre di Dio; Beata, perché
Immacolata; Beata, perché vergine e madre; Beata, perché assunta
in cielo in anima e corpo.
Anche il venerabile Padre Pio, da oltre mezzo
secolo, è stato considerato Beato. Ma ora, dopo la solenne dichiarazione
pontificia, sarà ufficialmente e pubblicamente proclamato Beato. E questa
proclamazione si perpetuerà nei secoli.
«Grandi cose ha fatto
in me l'Onnipotente e santo è il suo nome».
Anche il
Beato Padre Pio può fare la stessa affermazione. L'Onnipotente Dio
gli ha dato la forza di esercitare eroicamente il ministero della
riconciliazione; di celebrare umilmente e santamente il sacrificio
dell'altare; di essere il rappresentante stampato dalle stimmate di nostro
Signore Gesù Cristo; di rimanere sempre uomo di preghiera e di
sofferenza; di istituire i Gruppi di preghiera, di fondare un ospedale, la Casa
sollievo della sofferenza, a favore dei poveri malati.
Sia lode a Dio, il
cui nome è santo e sublime! Amen! Alleluia!
Prima di chiudere questo
breve inno di lode e di gratitudine al Signore, vorrei ricordare l'impegno
del Beato Padre Pio per mettere in pratica quella voce misteriosa, che sentiva
nell'intimo del suo cuore: «Santìficati e santifica». La
storia può testimoniare come egli abbia, con la grazia di Dio, attuato
questo programma. E il supremo magistero della Chiesa lo ha solennemente
confermato.
Grazie, Santissima Trinità!
Grazie, Sacra
Famiglia!
Grazie, babbo Grazio!
Grazie, mamma Giuseppa!
Grazie,
Angelo Custode di Padre Pio!
Grazie, Serafico Padre San
Francesco!
Grazie a voi tutti, Angeli e Santi del cielo!
di
Nunziatina Placentino
Lunedì, 3 maggio 1999: Messa di ringraziamento per la beatificazione di
Padre Pio
Il giorno seguente alla beatificazione di
Padre Pio, sua eminenza reverendissima il cardinale Angelo Sodano, Segretario di
Stato, ha presieduto una solenne concelebrazione in piazza San Pietro durante la
quale ha tenuto la seguente omelia:
Carissimi Fratelli e Sorelle nel
Signore!
Abbiamo acclamato la Parola di Dio: «Lode a te o
Cristo!». Questa lode, che ieri è salita al Signore con la voce del
Santo Padre e dei tantissimi Pastori e fedeli convenuti in questa stessa piazza,
riecheggia ancora questa mattina, quasi ad esprimere la sovrabbondanza della
nostra gioia per il dono che Cristo ha fatto alla sua Chiesa con la
straordinaria vita di santità ed ora anche con la beatificazione del
Padre Pio da Pietrelcina.
«Amo la
Croce»
I Santi sono riflessi del mistero di Cristo, e di
questo mistero ciascuno di essi interpreta con maggiore intensità qualche
tratto. Padre Pio da Pietrelcina è stato chiamato a raffigurare con dono
specialissimo il volto di Cristo crocifisso.
L'immagine del
Crocifisso è centrale nella vita e nella spiritualità cristiana.
Posta nelle nostre chiese, nelle nostre case, tra le nostre mani, rischia
talvolta di essere un'icona tra le tante. Il Beato Pio da Pietrelcina la
ebbe stampata nel suo corpo stesso. Quasi icona vivente di Cristo crocifisso,
poteva ripetere a titolo singolarissimo le parole di Paolo: «Io porto le
stigmate di Gesù nel mio corpo» (Gal 6, 17). Quello che per
l'Apostolo rappresentava, in senso spirituale, la piena conformazione a
Cristo, espressa in una vita dedicata all'annuncio del Vangelo fra mille
asprezze e traversie, in Padre Pio, sulla scia di S. Francesco, fu anche un dono
inciso nelle sue membra. Ma certo più importante degli stessi segni
fisici fu l'esperienza costante e profonda che egli ebbe della passione di
Cristo. Si può dire che in lui il Golgotha assumesse quotidianamente,
specie durante la Messa, tutto il calore del vissuto. Scriveva in proposito al
suo padre spirituale nel 1913: «Gesù, uomo dei dolori, vorrebbe che
tutti i cristiani l'imitassero. Ora Gesù questo calice
l'offrì ancora a me; io l'accettai, ed ecco perché non
me ne risparmia» (Lettera del 1.2.1913, in Espist. I, p. 336). E quasi in
tono programmatico confidava: «Sì, io amo la croce, la croce sola;
l'amo perché la vedo sempre alle spalle di Gesù. Ormai
Gesù vede benissimo che tutta la mia vita, tutto il mio cuore è
votato tutto a lui ed alle sue spalle» (ivi, p. 335).
Ai
piedi della Croce
O crux, ave, spes unica! ci fa esclamare la
Liturgia delle ore nella Settimana Santa. Da sempre la Chiesa ha avuto coscienza
che il venerdì santo è il giorno in cui l'amore di Dio si
rivela pienamente. Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci riconduce appunto al
giorno della morte di Cristo, quasi a dirci che se vogliamo comprendere fino in
fondo il nuovo Beato, lo dobbiamo contemplare nello scenario del Golgotha,
inquadrandolo, con Maria e il discepolo prediletto, ai piedi della
Croce.
Il venerdì santo è il giorno dell'amore
crocifisso. A questo giorno approda quella linea discendente dell'amore -
la linea della «kenosi» - con cui Dio si abbassa verso la sua creatura
fino a sottomettersi, nel Figlio incarnato, alla nostra morte. In questo stesso
giorno, il giorno della Redenzione, prende avvio quello che si potrebbe dire il
movimento ascendente dell'amore: dall'alto della croce Cristo
strappa l'uomo alla schiavitù del peccato e l'attrae verso di
sé, per coinvolgerlo nella gloria della Risurrezione, fino al vertice
della salvezza escatologica. Gesù stesso descrive questo movimento.
«Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me»
(Gv 12, 32). Il venerdì santo è dunque il giorno decisivo della
storia umana, un giorno che corre lungo tutti gli altri giorni dell'uomo,
in un certo senso continuerà a segnare anche i giorni della gloria,
perché è per eccellenza il giorno dell'amore. Per questo
Gesù Risorto, apparendo agli apostoli, mostra loro le sue piaghe (cf Gv
20, 20. 27) e l'Apocalisse ci dice che nella Gerusalemme celeste Cristo
è glorificato come Agnello «immolato» (Ap 5, 9.
11).
Testimone del Dio-Amore
La teologia
contemporanea ha riscoperto questo ruolo centrale della passione di Cristo non
solo come sorgente di redenzione, ma anche come rivelazione del mistero
trinitario: il grido di Cristo, che sulla croce si sperimenta
«abbandonato» dal Padre (Mc 15, 33) e nonostante tutto si
«consegna» a Lui con piena fiducia (Lc 23, 45), da una parte esprime
l'indicibile dolore della sua umanità, dall'altra in qualche
modo riflette nel tempo, fatta salva l'infinita trascendenza divina, quel
processo eterno di «generazione» e «spirazione» col quale il
Padre e il Figlio si distinguono e insieme si donano l'uno all'altro
nella Persona-Amore che è lo Spirito Santo (cf H.U. von Balthasar,
Teologia dei tre giorni, Queriniana, 19952, pp. 35ss).
Il venerdì
santo è dunque il giorno della grande rivelazione di Dio-Amore. E come
tale resta vivo in ogni giorno della Chiesa, palpita in ogni celebrazione
eucaristica, si pone in un certo senso come un «appuntamento» a cui
è chiamata ogni esistenza cristiana, dato che, secondo le parole di
Gesù, nessuno può essere suo discepolo se non prende «ogni
giorno» la croce (cf. Lc 29, 23).
Il Beato Pio da Pietrelcina questa
vocazione l'ha vissuta in modo esemplare, realizzando fino in fondo la
parola di Paolo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del
Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me
è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6, 14). Chi lo
incontrava, soprattutto chi partecipava alla sua messa, aveva
l'impressione che dal suo animo e quasi dalle sue membra affiorasse il
mistero del Dio-Amore. E come poteva essere diversamente, dal momento che egli
si era votato a Cristo come «vittima di amore»? «Oh che bella
cosa divenir vittima d'amore», scriveva il 26 agosto 1912, dopo aver
fatto l'esperienza mistica del dardo di fuoco (Cf Epist. I, p.
300).
Figlio della Chiesa e «generatore» di
Chiesa
Si comprende dunque perché in questa messa di
ringraziamento per la sua beatificazione, la liturgia, pur in pieno clima
pasquale, ci abbia fatto ascoltare il vangelo della morte di Cristo.
Opportunamente poi, trattandosi di uno «stimmatizzato», è stata
scelta la redazione che ne fa Giovanni, l'evangelista che si sofferma a
contemplare il corpo del Redentore ormai privo di vita, osservando che a lui non
vennero spezzate, come agli altri crocifissi, le gambe, ma «un soldato gli
colpì il costato con la lancia e subito ne uscì sangue e
acqua» (19, 34). Proprio pensando a questa scena, i Padri amavano dire che
la Chiesa è nata dal costato di Cristo crocifisso, come la nuova Eva dal
nuovo Adamo (cf. ad esempio S. Ambrogio, In Lucam, II, 86-87). D'altra
parte Giovanni addita la mistica nascita della Chiesa al Golgotha anche
ricordando le parole con cui Gesù affida sua Madre al discepolo:
«Donna, ecco tuo figlio!», e il discepolo a sua Madre: «Ecco tua
madre!».
La Chiesa nasce dalla morte di Cristo. Da questo dato
originario scaturisce anche un principio di vita ecclesiale, che proprio i suoi
evidenziano: nella misura in cui un cristiano rivive in sé il mistero del
Golgotha, tanto più si fa strumento di Cristo, perché la Chiesa,
in lui e intorno a lui, possa continuamente «rinascere» nella fede,
nella santità, nella comunione. Il discepolo che si fa «uno»
con Cristo crocifisso è così non solo figlio della Chiesa, ma
anche «generatore» di Chiesa, come l'apostolo Paolo diceva di
sé scrivendo ai Galati: «Figlioli miei, che io di nuovo partorisco
nel dolore, finché non sia formato Cristo in voi!» (Gal 4,
19).
Questo mistero di spirituale generazione era evidente nel Beato Pio da
Pietrelcina. La gente che accorreva al suo confessionale cercava un ministero di
misericordia che, in quanto tale, si sarebbe potuto trovare in mille altre
chiese del mondo, giacché i sacramenti agiscono «ex opere
operato», ossia per l'intrinseca efficacia ad essi assicurata dalla
presenza di Cristo e del suo Spirito. Ma l'esperienza mostra quanto sia
importante, per chi riceve i Sacramenti, essere aiutato dalla santità del
ministro. E quando questa santità è grande, essa avvolge il
penitente come una sorta di grembo materno, in cui è più facile
percepire la presenza di Dio. Ben se ne accorgeva chi si avvicinava a
quell'umile frate di San Giovanni Rotondo, che viveva (- come ha detto
ieri il Papa -) «piantato» ai piedi della Croce, e perciò era
capace, per così dire, di «scavarti l'animo» con gli
occhi di Cristo.
Amò la Chiesa allo
spasismo
Il Santo Padre ha sottolineato la dimensione ecclesiale
della santità di Padre Pio, ricordando la sua obbedienza e il suo
ministero di carità, espresso nell'aiuto spirituale e materiale
recato a tante persone in difficoltà, con la preghiera e con la
«Casa sollievo della sofferenza».
Vorrei ancora tornare su questo
tratto ecclesiale della spiritualià di Padre Pio, mettendo a fuoco
l'amore vivissimo che egli nutrì per la Chiesa, anche quando ebbe a
soffrire da parte di uomini di Chiesa. In lui l'amore per Cristo e
l'amore per la Chiesa erano veramente inseparabili. Basti citare a tal
proposito le accorate espressioni che egli scrisse nel 1933 a un suo figlio
spirituale, intenzionato a difenderlo in un modo che al santo frate risultava
del tutto inaccettabile, perché avrebbe umiliato la Chiesa. «Se ti
avessi vicino - gli scriveva - ti stringerei il cuore, mi butterei ai tuoi piedi
per scongiurarti e ti direi: Lascia che giudichi il Signore sulle miserie umane
e ritorna nel tuo nulla. Lascia che io faccia la volontà del Signore,
alla quale mi sono pienamente affidato. Rassegna ai piedi della santa madre
Chiesa tutto quanto possa arrecarle nocumento e tristezza» (Lettera del 12
aprile 1933, in Epist. IV, p. 743).
Per lui la Chiesa era veramente la
madre, la madre da amare, fino allo spasimo, nonostante le debolezze dei suoi
figli. E quanto poi il suo cuore vibrasse di amore per il Vicario di Cristo,
può essere sintetizzato dalle espressioni di una lettera da lui inviata
il 12 settembre 1968, pochi giorni prima della morte, a Paolo VI, in occasione
dell'Udienza che questi stava per concedere ai Padri Capitolari
dell'ordine cappuccino. Scriveva: «So che il vostro cuore soffre
molto in questi giorni per le sorti della Chiesa, per la pace del mondo, per le
tante necessità del popolo, ma soprattutto per la mancanza di obbedienza
di alcuni, perfino cattolici, all'alto insegnamento che voi assistito
dallo Spirito Santo e nel nome di Dio ci date. Vi offro la mia preghiera e
sofferenza quotidiana, quale piccolo sincero pensiero dell'ultimo dei
vostri figli, affinché il Signore vi conforti con la sua Grazia per
continuare il diritto e faticoso cammino, nella difesa dell'eterna
verità, che mai si cambia col mutare dei tempi»
(dall'Osservatore Romano del 29 settembre 1968).
A distanza di oltre
trent'anni da questa calda professione di amore al Successore di Pietro,
un altro Papa, Giovanni Paolo II, ha potuto riconoscere ufficialmente la
santità di Padre Pio e ne ha legittimato il culto col titolo di
Beato.
È gioia speciale per voi, cari pellegrini, che al Padre Pio
da Pietrelcina siete particolarmente legati. È gioia di tanti devoti
sparsi nel mondo e dell'intera comunità cristiana.
Voglia il
Signore che questo Beato dei nostri tempi, straordinariamente
«popolare» ed insieme così profondo ed esigente nel suo
messaggio, ci aiuti a riscoprire l'amore di Cristo crocifisso e faccia
crescere in ciascuno di noi l'amore per la Chiesa.
Una
preziosa eredità
Sì, cari devoti di Padre Pio!
Questo è il messaggio che il nuovo Beato ci lascia, in preziosa
eredità. Voi siete qui venuti da varie parti d'Italia e del mondo
ed ora ripartite per le vostre case, portando con voi il ricordo di un giorno
luminoso. Andate e, sulle orme del Padre Pio, portate nel mondo l'amore a
Cristo ed alla sua Santa Chiesa. Amen.
del cardinal Angelo
Sodano
Hanno concelebrato con il Sommo Pontefice
Card.
SALVATORE DE GIORGI
arcivescovo di Palermo
Mons. EDWARD
NOWAK
segretario Congr. Cause dei Santi
Mons. GIANNI
DANZI
segretario Pontificia Comm. per lo Stato C.V.
Mons.
FRANCESCO GIOIA
segretario Pont. Cons. Migranti e Itin.
Mons.
GIUSEPPE G. BERNARDINI
arcivescovo di Smirne
Mons. CRESCENZO
SEPE
segretario gen. Comitato per il Grande Giubileo del
2000
Mons. VINCENZO D'ADDARIO
arcivescovo di
Manfredonia-Vieste
Mons. SERAFINO SPROVIERI
arcivescovo di
Benevento
Mons. GERARDO PIRRO
arcivescovo di
Salerno-Campagna
Mons. JOHN ALOYSIUS WARD
arcivescovo di Cardiff
(GB)
Mons. FRANCESCO CUCCARESE
arcivescovo di Pescara
Mons.
BENIGNO LUIGI PAPA
arcivescovo di Taranto
Mons. RUGGERO
FRANCESCHINI
vicario apostolico di Anatolia
Mons. ANDREA M.
ERBA
vescovo di Velletri-Segni
Mons. FLAVIO ROBERTO
CARRARO
vescovo di Verona
Mons. DOMENICO
D'AMBROSIO
vescovo di Termoli-Larino
Mons. RICCARDO
RUOTOLO
vescovo ausiliare di Manfredonia
Mons. LINO
GARAVAGLIA
vescovo di Cesena-Sarsina
Mons. PELLEGRINO
RONCHI
vescovo di Città di Castello
Mons. SERAFINO
SPREAFICO
vescovo emerito di Grajaù
Mont. ANTONIO
PACIFICO DYDYCZ
vescovo di Drohiczyn (Polonia)
Mons. LINO
PANIZZA
vescovo di Carabayllo (Perù)
Mons. ROSARIO PIO
RAMOLO
vescovo di Goré (Tchad)
Mons. MICHELE DI
RUBERTO
sottosegretario Congr. Cause dei Santi
Fra JOHN
CORRIVEAU
ministro generale OFM Cap.
Fra ERMANNO
PONZALLI
vicario generale OFM Cap.
Fra PAUL
HINDER
definitore generale OFM Cap.
Fra TADEUSZ
BARGIEL
definitore generale OFM Cap.
Fra
WIETHORN
definitore generale OFM Cap.
Fra AURELIO
LAITA
definitore generale OFM Cap.
Fra ANTONIO
ASCENZI
ministro provinciale cappuccini di Roma
Fra PAOLO M.
CUVINO
ministro provinciale OFM Cap. Foggia
Fra ALDO
BROCCATO
vicario provinciale OFM Cap. Foggia
Fra CARLOS
LABORDE
definitore provinciale OFM Cap. Foggia
Fra IRENEO
GUERRIERI
definitore provinciale OFM Cap. Foggia
Fra GERARDO DI
FLUMERI
vice postulatore causa di Padre Pio
Fra GIAMMARIA
COCOMAZZI
guardiano convento S. Giov. Rotondo
Fra NAZARIO
VASCIARELLI
guardiano convento di Pietrelcina
Fra MARIANO DI
VITO
vice rettore Collegio Inter. S. Lorenzo
Fra MARCIANO
MORRA
segretario gen. Gruppi di preghiera P. Pio
Mons. GIANCARLO
SETTI
Don PIERINO GALEONE
Don PEPPINO
RUOTOLO
La Beatificazione come evento mediatico
Una maratona televisiva di oltre venti
giorni.
È molto strano e forse anche banale, vedere accostare Padre
Pio ad una kermesse di tipo sanremese. In realtà però gli elementi
ci sono tutti: indici di ascolto da record, forti investimenti economici, il
sagrato della chiesa trasformato in un set e perfino la ricerca del pettegolezzo
sulle gelosie degli esclusi. Non si può puntare il dito contro nessuno,
perché i media hanno fatto la loro parte fino in fondo, così come
gli viene richiesta da quel copione scritto per una società sempre
più avida di notizie fresche, incapace ormai di digerire e far
sedimentare qualsiasi cosa. Ne è testimone il fatto che dal 4 maggio
è calato il sipario. Padre Pio sembra non interessare più i
giornalisti.
Innocenti i media, ma innocente anche la gente, quelle
migliaia di pellegrini, ripresi più o meno consapevolmente, mentre con le
loro preghiere, con la loro fede semplice o in qualche intervista, cercano di
spiegare al giornalista di turno o al sociologo ingaggiato per
l'occasione, la storia di una fede che tutto si può fare,
fuorché spiegare. Alla fine sono innocenti anche i critici, quelli che
vedono fanatismi e superstizioni in ogni cosa, quelli che seguono ancora la dea
ragione e - pur di non cedere a un Dio trascendente - preferiscono offrirsi a
chi li paga meglio, per dire tutto e il contrario di tutto.
E alla fine,
diciamolo pure: è innocente anche Padre Pio, lui che di questo trambusto
è la causa involontaria, il protagonista ed anche la persona che nessuno
è riuscito ad intervistare. Qualcuno mi ha detto che Padre Pio avrebbe
preferito che passassimo il tempo davanti a Gesù Sacramentato,
anziché stare davanti alle telecamere. Se l'idea non è
condivisibile in assoluto, lo è almeno in parte. Personalmente,
però, ritengo che Padre Pio non abbia fatto nulla per impedirlo: da vivo
almeno alzava il suo cordone in senso di minaccia o dava delle brutte occhiate
ai fotografi, ora ha visto tutto ed ha atteso in silenzio. Un silenzio strano,
come era strano quel silenzio che Gesù voleva nel Vangelo. In
realtà aveva cominciato lui con un'indagine di opinione: «Chi
dice la gente che io sia?». Tante risposte imprecise e poi S. Pietro:
«Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Una verità
straordinaria, detta dietro l'illuminazione dello Spirito Santo, e intanto
Gesù chiede il silenzio. Un silenzio strano però, infatti proibiva
di far conoscere chi era, e intanto mandava gli apostoli a due a due ad
annunciare il Vangelo.
Incomprensibile il silenzio di Gesù? Forse
non tanto. Qualcuno lo prendeva per un mago, qualcuno voleva che prendesse
posizione contro i Romani, lui voleva solo la fede. Chiedeva quel silenzio che
fa sentire l'uomo solo e gli fa cercare Dio; ma voleva anche
quell'annuncio, che nel momento di smarrimento potesse dire una parola di
speranza. Per Padre Pio le cose stanno più o meno così.
Senz'altro c'è stata una eccessiva amplificazione dei
fenomeni straordinari legati alla sua persona. Negare il soprannaturale nella
vita di Padre Pio è assurdo, perché significa negare
l'evidenza, ma a volte si può ridurre la sua vita soltanto a
questo. In tal senso è giusto invocare il silenzio, la preghiera,
l'attesa davanti a Gesù Sacramento. Occorre però considerare
che c'è un altro uomo che attende, quello che non sa di aspettare
qualcuno, che cerca di lottare in modo titanico contro un'esistenza piena
di assurdità, di ingiustizie e di sofferenze. Quell'uomo non sa che
esiste una speranza.
È a lui che i mass media, invece del Padre Pio
dei miracoli, devono portare l'uomo che fa camminare Dio accanto
all'uomo. In questo caso, i giornali, le radio e le TV diventano - come
dice il Papa - il nuovo agorà; diventano veramente un pulpito, ed
è nostro dovere usarli e usarli bene. E a chi mi dice che la televisione
è scoop, è notizia, rispondo che il Vangelo è buona
notizia. Sta a noi renderlo buona notizia, non edulcorandolo, rendendolo
appetibile con tutti i compromessi possibili, ma facendolo diventare accessibile
a tutti, e Padre Pio ci ha insegnato che attraverso i media questo è
possibile.
di padre Luciano Lotti
Padre Pio meno star e più uomo
Ho scoperto i due volti del giornalismo:
quello degli affamati di notizie e quello della gente seria, che sa lavorare
sodo. Ho scoperto una realtà umana, quasi nascosta che rende pieno di
vita questo mondo fatto solo di inchiostro e di immagini. Dietro ogni servizio
c'erano uomini e donne con le loro storie e i loro problemi. Alcuni si
segnavano quando scendevano sulla Tomba di Padre Pio per le riprese, altri
chiedevano perfino di confessarsi. Anche chi ostentatamente non credeva, alla
fine accettava una coroncina ricordo.
Solo il critico che ha scritto il suo
articolo da una scrivania della riviera ligure o l'addetto ai lavori che
predica in televisione senza essersi mai recato a San Giovanni Rotondo,
può pensare che questo flusso continuo di gente sia il risultato
dell'impatto mediatico sull'immaginario collettivo. Chi ha parlato
di una figura arcaica di Padre Pio, contrapponendolo alla freschezza di San
Francesco, doveva avere gli occhi tanto rivolti verso il basso, da non riuscire
a vedere la Casa sollievo della sofferenza, frutto di carità operosa, ma
anche di una mente che ha saputo volare alto, oltre le nostre meschinità.
Onestamente dobbiamo dire che in questi giorni sono stati tanti a far risaltare
queste cose: ho visto giornalisti e registi cambiare umilmente le loro idee di
fronte ad una fede che non può essere semplicemente racchiusa
all'interno degli schemi di un fanatismo di massa.
L'ironia ed
i giudizi hanno spesso ceduto il posto allo stupore e poi al silenzio.
Soprattutto ho notato la difficoltà per chi doveva scrivere e raccontare
perché in quello che si vedeva non c'era nulla di straordinario, ma
una fede normale, da tutti i giorni, disegnata sui volti delle persone del
ventesimo secolo, o di quei giovani che vengono chiamati senza Dio e senza
valori. E poi il numero, tutta quella gente in fila per ore: non si tratta di un
centinaio di fanatici, che fanno chissà quali riti esoterici, ma di
migliaia di persone, che pregano in silenzio.
Alla fine di questo secolo,
cominciato con l'annuncio sprezzante della morte di un Dio, dopo la caduta
dei miti del progresso e del benessere, un uomo d'altri tempi ci
accompagna al duemila; non in una contrapposizione tra il cammino
dell'uomo e quello di Dio, ma coniugando insieme progresso, scienza,
benessere e fede per metterli al servizio dell'uomo.
Un nuovo Ulisse
vagava, perseguitato non dagli dèi, ma da una modernità che voleva
togliergli ogni anelito soprannaturale. I giornalisti lo hanno visto approdare
sulle spiagge del Gargano e trovare finalmente quella pace che tanto aveva
cercato. Non è fanatismo, e nemmeno alienazione, fuga da una
realtà attraverso un sogno mediatico ben confezionato. Chi ha incontrato
Padre Pio, riparte. E la partenza non è più verso un ignoto, ma
segue un itinerario ben preciso, segnato dalle stesse gioie e dolori del giorno
prima, ma ora è accompagnato dalla promessa di Gesù: sarò
con voi fino alla fine del mondo.
Se rileggiamo la rassegna stampa di
questi giorni, proprio per mano dei giornali si percepisce questa
serenità. Le trasmissioni televisive sono gradualmente passate da una
sfrenata ricerca del miracolo ad un racconto sereno e pacato di questa
realtà.
Un domani ricco di storia
Le domande di questi giorni sono state
tantissime, riguardavano la vita di Padre Pio, i difficili rapporti con alcune
frange della Chiesa, i miracoli e la devozione della gente. La domanda in
assoluto più difficile è stata quella sul futuro, cosa
cambierà ora? Nella vita di tutti i giorni, potrà non cambiare
nulla, forse ci sarà un aumento dei pellegrini.
Il vero cambiamento
è quello che non si percepisce. I media hanno messo alla luce una
ricchezza di fede straordinaria, ma anche la fragilità dei nostri mezzi
espressivi e la difficoltà a dare contenuti veri ad una fede, che
altrimenti potrebbe restare superficiale. È sbagliato fare classifiche,
non si può parlare di una religiosità di serie A, descritta dai
teologi, e una di serie B, vissuta dalla gente. Chi crede è orientato al
trascendente e questo è già sufficiente perché si salvi,
chi guarda deve imparare a rispettare la fede di ciascuno così come la
vive.
I media però, mettono in evidenza quegli orpelli che porta con
sè una fede che non viene fatta crescere nel modo giusto, sono un
po' uno specchio di fronte al quale ci poniamo: riesce a farci notare una
ruga in più o qualche capello bianco. In pratica, potremmo dire che
senz'altro sbaglia chi vuol ridurre Padre Pio a un fenomeno di fanatismo o
porre l'accento sul miracolo economico. Ma sbaglia anche quel pellegrino
che ha ridotto il suo andare a una devozione qualsiasi o a una gita turistica. E
allora grazie TV se ci aiuti a guardarci allo specchio.
C'è
chi poi ha visto nei media il tam tam della speranza: da Padre Pio ai miracoli,
il passo è breve come è immediato quello successivo, un viaggio a
San Giovanni nella speranza di un miracolo. E anche qui grazie TV se ci parli
della speranza nel miracolo, perché la speranza, anche di un benessere
terreno, è sempre una virtù cristiana. Attenti però a non
usare il termine, illusione del miracolo, faremmo un grave torto alla
verità, e non riusciremmo più a guardare in alto, oltre la croce
quotidiana.
Sono proprio così cattivi i giornalisti? Rispondo con
una domanda: ma sono solo loro a parlare così? A volte anche tra i fedeli
di Padre Pio, l'ossessivo ricorso al soprannaturale, la voglia di spiegare
tutto con i prodigi, la ricerca quasi spasmodica di un aiuto dal cielo,
può portare a non dare sufficiente importanza al quotidiano, al nostro
abbracciare la croce, a sottovalutare quei talenti che Dio ci ha dato per
affrontare la vita di ogni giorno.
E allora lasciatemi sognare, un eden dei
mass media, un mondo privilegiato in cui lo scoop sia il frutto proibito, tanto
desiderato solo perché ci dà l'illusione di diventare
dèi dell'informazione, e resti così solo una tentazione.
Lasciatemi però sognare anche che i mass media siano veramente quel
paradiso terrestre in cui l'uomo cammina con Dio, in modo che la fede sia
la buona notizia che cavalca l'etere ed entra nelle nostre case. Forse
questo è anche il sogno di Padre Pio, un uomo schivo - suo malgrado - che
è diventato notizia, perché l'uomo e Dio hanno camminato con
lui.
di Padre Alberto d'Apolito, Alessandro da Ripabottoni, Padre Gerardo di Flumeri
LA CANONIZZAZIONE DI PADRE PIO
Il percorso verso la canonizzazione del frate di Pietrelcina si è concluso
il 16 giugno 2002, quando in piazza San Pietro, di fronte a migliaia di pellegrini
giunti da ogni parte d'Italia e del mondo, Giovanni Paolo II ha letto la formula "Beatum
Pium a Pietrelcina Sanctum esse decernimus et definimus", ("dichiariamo e definiamo santo il
beato Pio da Pietrelcina").
Al nuovo santo il Papa, che già durante l'omelia aveva recitato una preghiera personalmente
composta per il frate, ha affidato "il cammino di santità di tutta la Chiesa, all'inizio del
nuovo millennio".
Il Papa ha stabilito la festa liturgica di San Pio da Pietrelcina per il 23 settembre,
il giorno della morte del frate, avvenuta il 23 settembre 1968.
Dell'efficacia apostolica di padre Pio, Giovanni Paolo II ha evidenziato la radice profonda di
tanta fecondità spirituale nell'intima e costante unione con Dio di cui erano eloquenti testimonianze
le lunghe ore trascorse in preghiera.
Il cammino della canonizzazione era iniziato nel 1982, quando il pontefice Giovanni Paolo II
firmava il decreto per l'introduzione del processo cognizionale sulla vita e le virtù del
Servo di Dio Padre Pio.
L'iter era proseguito nel 1997 con la
dichiariazione dell'eroicità delle virtù cardinali, teologali e religiose di Padre Pio
e culminato nel 1998 nel riconoscimento da parte della Consulta Medica del
Dicastero della Congregazione dei Santi della miracolosa guarigione della signora Consiglia
De Martino di Salerno, una delle
numerose grazie ottenute dai fedeli per intercessione del padre
cappuccino.
Si giungeva così alla beatificazione proclamata il 2 maggio 1999: in piazza San Pietro, di fronte a una folla di 150.000 pellegrini
convenuti da ogni parte del mondo, il Santo Padre Giovanni Paolo II proclamava solennemente
Beato il Venerabile Padre Pio da Pietrelcina.
Ma passavano solo pochi mesi e a San Giovanni Rotondo si verificava
un altro avvenimento straordinario: nel gennaio 2000, Matteo Colella, un bimbo
di otto anni colpito da meningite fulminante e ormai dichiarato senza speranza,
guariva dopo essere stato condotto ormai in fin di vita presso la cella del
beato padre Pio. A settembre tutta la documentazione veniva spedita presso la
Congregazione per le Cause dei Santi, che riconosceva ufficialmente la
guarigione come frutto di un miracolo. Alla firma del decreto, accanto a vescovi, cardinali
e postulatori, assistevano commossi
anche il piccolo miracolato con i genitori.
Il 20 dicembre 2001 nella sala Clementina del Palazzo apostolico, la Congregazione per le
Cause dei Santi, alla presenza di Giovanni Paolo II, promulgava 13 decreti; tra questi il
tanto atteso atto di canonizzazione per il beato Pio da Pietrelcina con il riconoscimento
del secondo miracolo indispensabile alla canonizzazione e al relativo inserimento del santo
frate nel calendario della Chiesa universale.