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PRESENTAZIONE - IL TERRITORIO - PARCHI NAZIONALI E REGIONALI - Parco Nazionale del Pollino - Parco regionale archeologico, storico, naturale delle Chiese rupestri del Materano - Edifici rupestri - Villaggio di Murgia Timone - Chiesa della Madonna delle Tre Porte - Chiesa della Madonna delle Virtù - Chiesa di San Nicola dei Greci - Chiesa della Madonna dell'Idris - Chiesa di San Pietro Caveoso - Parco naturale regionale di Gallipoli-Cognato-Piccole Dolomiti lucane - Riserva naturale regionale Lago Pantano di Pignola - L'ECONOMIA - CENNI STORICI - Dalle origini al dominio romano - I Goti e i Bizantini - Dal Medioevo ai Longobardi

CENNI STORICI - I Normanni - Il lungo regno di Federico II - Le "Costitutiones Regni Siciliae" - Le lotte per la successione - Angioini e Aragonesi - L'età moderna - Il Risorgimento - Il brigantaggio

IL PERCORSO ARTISTICO E CULTURALE - I primi insediamenti umani - La colonizzazione greca e le prime architetture - L'età romana: il nuovo assetto della Lucania - Il Medioevo e i nuovi popoli - Il monachesimo e l'abitare in rupe - Il regno dei Normanni: stabilità e respiro europeo - Federico II e gli Svevi: il potere è nei castelli - Angioini, Spagnoli e il Rinascimento mancato - Dal sobrio barocco lucano all'età moderna - LE CITTÀ - Potenza - Matera - Luoghi d'interesse - Palazzo Lanfranchi - Chiesa di San Francesco d'Assisi - Duomo - Chiesa del Purgatorio

Matera - Luoghi d'interesse - Chiesa e convento di San Domenico - I Sassi di Matera - LA LUCANIA E I LUCANI - PICCOLO LESSICO - Cuccù - Festa della Madonna della Bruna - Gnummarielli - Pettola - Pignata - Pannaredde - PERSONAGGI CELEBRI - Quinto Orazio Flacco - Pasquale Festa Campanile - Francesco Saverio Nitti - CENTRI MINORI - Maratea - Melfi - Metaponto - Pisticci - Policoro - Tricàrico - Venosa

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GEOGRAFIA - ITALIA - LA BASILICATA

PRESENTAZIONE

La Basilicata è una delle poche regioni italiane che si affaccia su due mari: con il golfo di Taranto sullo Ionio e con quello di Policastro sul Tirreno. Il suo territorio occupa una piccola parte del versante occidentale e la maggior parte di quello orientale dell'Appennino Lucano, la profonda area collinare che si estende tra il rilievo appenninico e Le Murge, nonché la pianura costiera ionica e la relativa costa delimitata dalla foce del Bradano e da quella del Sinni. Si estende per 9.992 kmq di superficie. La sua popolazione è di 596.821 abitanti. La densità media per kmq è di 61 abitanti, valore demografico molto basso rispetto alla media nazionale. La regione si diparte nelle due provincie di Potenza e Matera. La prima è anche capoluogo di regione. Confina a Nord e a Est con la Puglia, ad Ovest con la Campania e il Mar Tirreno, a Sud con la Calabria e a Sud-Est con il Mar Ionio.

Cartina della Basilicata

 

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IL TERRITORIO

Il paesaggio della Basilicata mostra in una superficie poco estesa aspetti morfologici molto vari. A Occidente si stende un'ampia zona montuosa formata dalle propaggini meridionali dell'Appennino, che qui si presenta non più compatto in un'unica dorsale, ma sfrangiato in diverse dorsali con scarsa continuità tra i rilievi. Queste dorsali sono costituite da una successione di coltri di ricoprimento formate da rocce sedimentarie che hanno subito fenomeni di trasporto e sollevamento tettonico durante l'orogenesi terziaria. Il sistema montuoso della regione è costituito a Nord-Ovest dal gruppo di rilievi del Monte Paratiello (m 1.445) ricoperto da estese faggete, dal Monte Li Foi di Picerno (m 1.350) e, a Sud di Potenza, dalla dorsale formata dal Monte Arioso (m 1.722), dal Monte Maruggio (m 1.577), dal Monte Volturino (m 1.836) e dal Monte della Madonna di Viggiano (m 1.725). Dopo il solco della valle dell'Agri la dorsale prosegue con il Monte Raparo (m 1.761), il Monte Alpi (m 1.893), il Mo nte Sirino (m 2.005) e il Monte Serra la Spina (m 1.652). Poste trasversalmente a cavallo tra i due mari si stendono a formare le vette più imponenti della regione le cime del massiccio del Pollino. A Nord emerge isolato il cono vulcanico del Monte Vùlture (m 1.326), che rappresenta l'unico episodio di vulcanismo dell'intero versante adriatico della Penisola italiana. L'area orientale è nettamente definita dalla Fossa Bradànica, costituita dai depositi clastici plioquaternari: osservata dalla collina di Acerenza si presenta come un ampio canale dalle sponde appena modellate. Al margine orientale, appartenenti all'Avanpaese àpulo, affiorano le calcareniti della Murgia materana; a Sud-Est si stende la Pianura metapontina, originata dai depositi alluvionali dei fiumi che sfociano nello Jonio. Il sistema idrografico della Basilicata fa riferimento a tre versanti, delimitati dallo spartiacque individuato sul Monte Caruso (m 1.236), nel territorio di Avigliano. Il versante tirrenico, il meno sviluppato per la presenza della catena appenninica a ridosso della costa, è attraversato dal breve corso del fiume Noce - nei pressi di Maratea - e, più a Sud, dal Mèrcure che dal Pollino versa le sue acque nel fiume Lao in Calabria. Una piccola parte di territorio della Basilicata occidentale manda le sue acque nel fiume Tànagro, affluente del Sele, attraverso i torrenti Plàtano e Melandro che incidono profonde e selvagge gole. Il versante adriatico raccoglie le acque dell'area del Vùlture melfese, lambito al confine con la Puglia dal fiume Ofanto, l'antico "Aufidus" di Orazio. Il versante più esteso è quello jonico, attraversato dai fiumi Bràdano, Basento, Cavone, Agri e Sinni che scorrono interamente in territorio lucano, percorrendolo in direzione Nord-Ovest Sud-Est. Questi fiumi, alimentati da un fitto reticolo di torrentelli che scorrono su terreni facilmente erodibili, depositano a valle notevoli quantità di materiale alluvionale, dando origine ad alvei molto larghi e con modeste pendenze. Gran parte dei fiumi lucani è stata sbarrata da dighe per l'accumulo di acque per usi potabili e irrigui; tra gli invasi maggiori si segnalano quello di Monte Cotugno sul Sinni, Pietra del Pertusillo sull'Agri, San Giuliano sul Bràdano, Camastra sull'omonimo torrente affluente del Basento e quello di Serra del Corvo sul Basentello, affluente del Bràdano. Sono pochi i laghi di origine naturale, ma tutti di grande interesse paesaggistico. I due laghi di Monticchio, immersi in una rigogliosa vegetazione dalla quale emerge la sagoma bianca dell'ab bazia di San Michele, riempiono il cratere del vulcano spento del Vùlture. Sul Monte Sirino ai piedi di un antico ghiacciaio c'è il piccolo Lago Laudemio, il lago di origine glaciale più meridionale d'Europa; a quota inferiore, nel territorio del comune di Nèmoli, in una piccola conca sovrastata dall'autostrada Salerno-Reggio di Calabria c'è il Lago Sirino. La predominanza di rocce permeabili in tutta la fascia occidentale della regione, unita alla notevole quantità di precipitazioni, origina numerose sorgenti, a volte di notevole portata come nell'area del Sirino e del Pollino. L'area collinare orientale, caratterizzata da terreni impermeabili, si presenta invece povera di acque sorgive. Alle falde del Vùlture, dove le acque filtrano attraverso le formazioni vulcaniche sciogliendone parte dei minerali, sgorgano numerose sorgenti utilizzate dagli stabilimenti per l'imbottigliamento di acque minerali. Nella stessa area, a Rapolla, e a Sud della regione, a Latrònico alle falde del Monte Alpi, le acque sulfuree presenti alimentano due impianti termali. Il regime climatico della Basilicata è tipicamente mediterraneo con la massima piovosità concentrata nella stagione fredda e con un minimo estivo; le condizioni meteoriche locali sono però molto varie essendo il risultato di una combinazione di fattori legati alla posizione geografica della regione, che risente dell'influenza di tre mari - Adriatico, Tirreno e Jonio - e alla complessa orografia. Le differenze maggiori si registrano tra il versante occidentale e quello orientale e sono relative soprattutto alla piovosità. Il Lagonegrese, ad esempio, con piovosità medie annue superiori a 2.000 mm, si colloca tra le aree più piovose d'Italia, mentre in alcune aree interne del Materano la piovosità scende a livelli di clima desertico.

Il massiccio del monte Sirino con il Lago Laudemio

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PARCHI NAZIONALI E REGIONALI

Parco Nazionale del Pollino

Vedi Calabria, Parchi Nazionali e Regionali.

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Parco regionale archeologico, storico, naturale delle Chiese rupestri del Materano

Il Parco regionale archeologico, storico, naturale delle Chiese rupestri del Materano, più semplicemente Parco della Murgia Materana, è stato istituito con la Legge regionale n. 11 del 1990 ed è caratterizzato da una roccia tenera costituita da profondi solchi che disegnano rupi, forre, grotte, gravine utilizzate dall'uomo che vi si è insediato sin dalla preistoria. Esso è compreso tra le contrade poste tra la S.S. 7, la S.P. Matera-Ginosa-Montescaglioso e la S.S. 175. Ad Ovest di Matera, poi il perimetro del Parco corre su di una ristretta fascia lungo il corso della Gravina di Picciano che partendo, dall'omonimo colle giunge alla confluenza del fiume Bradano. Spettacolare è la Gravina di Matera, enorme solco calcareo che attraversa il territorio con i suoi venti chilometri di lunghezza giungendo fin sotto l'abitato di Montescaglioso. Sul fondo di questo canyon, scorre l'omonimo torrente il cui lento cammino delle acque prosegue verso Sud costeggiando i Sassi di Mat era, sfiorando l'abitato di Montescaglioso oltre il quale sfocia nel fiume Bradano. Un territorio suggestivo, apparentemente desolato, ma che nasconde ricchezze naturalistiche e testimonianze storiche di eccezionale valore. I fianchi, orientale e occidentale della Gravina, sono sostanzialmente diversi: il primo, ha una struttura morfologica più complessa a causa della presenza dell'abitato di Matera e sempre sullo stesso versante, più a Sud, posto su un colle argilloso dell'abitato di Montescaglioso. Il secondo fianco, disabitato, è un blocco calcareo privo di vegetazione arborea nella parte più vicina alla città di Matera, ma ricoperto dalla caratteristica vegetazione mediterranea nel quale sono rivenibili le tracce dell'uomo tra cui chiese rupestri, villaggi preistorici di epoca neolitica, jazzi, cave da cui si ricavava il materiale costruttivo delle abitazioni dei Sassi, e masserie. Oggi questo versante, circa 8.000 ettari, che nascondono gli ultimi lembi di un bosco medi terraneo, rientra nei confini del Parco. è proprio il rapporto antico tra natura e uomo che rende unico questo Parco che attraverso l'Ente di gestione, tutela contemporaneamente una natura spettacolare e le opere realizzate dalle mani dell'uomo nel corso di migliaia di anni con il paziente lavoro dell'incisione. La flora del Parco comprende 923 specie, cioè circa un sesto dell'intera flora nazionale e un terzo di quella regionale: un numero ragguardevole per un'area di circa 8.000 ettari di superficie. Nel territorio del Parco, la millenaria azione dell'uomo se da un lato ha portato alla estrema rarefazione dei boschi, dall'altro ha costituito la ragione principale della diffusione delle specie erbacee dando luogo a quelle tipologie degradate di vegetazione a gariga e pseudosteppa. Esistono diversi tipi di garighe che sfumano le une nelle altre, a seconda del substrato geologico e del grado di evoluzione, e si confondono in modo pressoché continuo con gli stadi di vegetazione, come le for mazioni rupestri o la macchia bassa. Tra le specie più diffuse spiccano: il timo arbustivo, il timo spinosetto, l'eliantemo jonico, la salvia argentea, la santoreggia montana, il lino di Tommasini, l'euforbia spinosa. Abbastanza frequenti in questi ambienti sono pure le neofite. Fra le più comuni troviamo lo zafferano di Thomas, il cipollaccio della Basilicata, l'aglio moscato, il giaggiolo siciliano. Nelle cenosi pseudosteppiche, dove abbondante in passato è stato il pascolo e dove il substrato si presenta compatto e asfittico, si rinvengono copiose specie come l'asfodelo mediterraneo, la ferula, l'asfodelo giallo, la scilla marittima. Diffusissimi e spesso di notevole estensione sono gli xerogramineti che costituiscono delle vere e proprie praterie steppiche nelle quali le specie dominanti sono le graminacee appartenenti per lo più al genere Stipa. L'intera Murgia Materana è interessata dalla singolare presenza di imponenti solchi erosivi simili a canyon che ne intaccano l o spesso basamento di calcare cretacico. Questi burroni sono comunemente noti come "gravine" e i tratti più imponenti hanno pareti ripide strapiombanti, incredibilmente modellate dalla millenaria erosione, con guglie, pinnacoli, grotte e caverne, scenario singolare in cui fiorì la civiltà rupestre. In esse trovano il loro habitat ideale numerose specie vegetali dette "rupicole", cioè adatte a viver sulla nuda roccia e numerose altre che trovano nelle gravine condizioni microclimatiche particolarissime. Queste forre costituiscono per molte rare specie un ambiente altamente conservativo, scomparse altrove per mutate condizioni, vi sopravvivono quali veri e propri fossili viventi, relitti di flore arcaiche. Fanno parte di questo contingente flogistico specie come il Kummel di Grecia, la campanula pugliese, la scrofularia pugliese, l'alisso sassicolo, l'atamanta siciliana, il raponzolo meridionale. Nella flora rupestre sono presenti anche prestigiosi e rari endemismi come il fiordaliso garganico, specie esclusiva del Gargano e delle Murge fra Laterza e Matera, Otranto e la Sila; la vedovino di Basilicata, appariscente e raro endemita dei substrati argillosi pure presente nell'area del Parco. Fra la gariga e la macchia mediterranea, nei boschetti residui di roverella e di fragno, si nasconde, oltre all'interessante flora rupestre, una fauna ricca e pittoresca. Avvicinandosi al torrente Gravina, che attraversa l'omonimo territorio, è facile ascoltare il canto dell'usignolo di fiume o dello scricciolo, che vivono nascosti tra la vegetazione di salici e cannucce di palude che contornano il corso d'acqua. Nella rigogliosa macchia mediterranea, invece, è molto facile trovare per terra aculei di istrice. Se si è fortunati può capitare di veder far capolino, magari dietro qualche lentisco, un meraviglioso colubro leopardiano; altri rettili che è possibile incontrare sono il biacco, il cervone, la natrice dal collare e la vipera comune. Ma la fauna terrestre non si esaurisce qui: faine, volpi, tassi e ricci percorrono abitualmente i sentieri del Parco. Tra la ricca fauna ornitologica che movimenta i cieli del Parco vale la pena ricordare la presenza del capovaccaio, il più piccolo avvoltoio europeo; delle poiane, dei nibbi reali, dei bianconi e dei falchi lanari. Un discorso a parte merita il falco grillaio, che adora svernare in questi luoghi e che, non a caso, è stato scelto quale simbolo del Parco.

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Edifici rupestri

Le viscere di questa terra nascondono un patrimonio storico e archeologico di eccezionale valore: le chiese rupestri (l'ultimo censimento sistematico ne ha contate 160 fra luoghi di culto veri e propri asceteri e santuari, e gli affreschi medioevali che spesso ancora le ornano documentano l'alto livello artistico e culturale raggiunto nel Medioevo in zona), i tre villaggi trincerati neolitici, un numero imprecisato di tombe preistoriche, cisterne scavate nella roccia con i relativi sistemi di approvvigionamento, oltre ai tradizionali casali, masserie e "iazzi". Innumerevoli le chiese scavate in prossimità di piccoli insediamenti rurali o lungo gli antichi percorsi che legano la città alla campagna. In queste si riconoscono elementi architettonici desunti dall'architettura "fuori terra" ma soprattutto uno scavo finalizzato a creare nel sito, con un dispendio minimo di risorse, gli elementi più indispensabili all'officitura del luogo di culto. Lo scavo dell'aula qualche volta è accompagnato dalla costruzione in muratura della facciata o di altre strutture interne. Negli impianti si ritrovano gli elementi costituenti gli edifici in muratura, contestualizzati, però, nel difficile ambiente rupestre. Le chiese sono ad aula unica oppure a tre o due navate. Spesso sono concluse da absidi qualche volta preceduti da transetti di ridotte dimensioni. In molte cripte si nota l'accenno di una cupola realizzata con uno scavo lenticolare, mentre il ricordo delle coperture a tetto delle chiese in muratura compare nell'uso dei soffitti a schiena d'asino rilevabili negli ipogei più complessi.

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Villaggio di Murgia Timone
è il più facile da visitare tra gli insediamenti trincerati neolitici dell'agro di Matera, dove Domenico Ridola lo scoprì nel 1898. Presenta una forma ellissoidale ed è composto da due cerchi a forma di otto: lo scompartimento orientale ha una superficie di mq 7.000 e la forma di un circolo irregolare; quello occidentale (mq 19.600) ricorda una figura ellissoidale. Questa trincea fu scavata con arnesi di pietra, come si deduce dalle impronte lasciate sulle pareti.

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Chiesa della Madonna delle Tre Porte
L'elemento significativo di questa chiesa oltre che dal residuo corredo di affreschi è costituito dalla pianta a tre navate con absidi contrapposte. Le cripte di Cristo, la Selva e San Martino, si presentano al centro di un vasto insediamento abitato da pastori. La chiesa ha subito danni e conserva solo due ambienti, un tempo interamente affrescati: del palinsesto di dipinti si riconoscono ancora una Deesis del XV secolo e una Madonna con Bambino realizzata nel tardo XIII secolo.

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Chiesa della Madonna delle Virtù
Interamente scavata nella calcarenite presenta pianta basilicale con tre navate culminate in absidi semicircolari con l'abside centrale di misura maggiore. L'entrata è posta nella navata di sinistra e sulla destra si notano i gradini per accedere ad altri ambienti ed alla chiesa di San Nicola dei Greci. Lungo la parete della navata di destra è stato ricavato in seguito un ambiente quadrangolare, nel quale è ben visibile la tecnica di escavazione usata nei Sassi di Matera. La navata centrale ha una volta a schiena d'asino con due ordini di archetti in rilievo. Altri elementi plastici caratterizzano la volta: una colonna tortile collega la volta alla struttura verticale e la zona degli absidi è coperta da cupole, con una croce greca inscritta a rilievo. Sono presenti due affreschi, in cattivo stato di conservazione, entrambi rappresentanti la Crocifissione. Il primo, cinquecentesco è nell'abside centrale, e risulta di buona fattura, come denotano la ricchezza delle vesti e l'atteggiamento dei personaggi. Il secondo, trecentesco, è posto nella navata destra, opposto all'abside, di stampo tardo-gotico.

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Chiesa di San Nicola dei Greci
è situata sopra la chiesa di Madonna delle Virtù, ricavata come questa nella roccia, ha come copertura il piano di campagna. è composta a due navate terminanti con un abside ed oggi comunica con locali adiacenti attraverso alcune aperture. In origine le navate erano precedute da un unico grande ambiente, la cui copertura è crollata e possiamo notare sulla parete, oggi esterna, un nicchiane con un altare a blocco. Pregevoli risultano i numerosi affreschi presenti. Oltre ad alcuni affreschi di Santi, parzialmente leggibili e di chiara matrice bizantina, è presente in buono stato di conservazione sulla navata sinistra un trittico raffigurante San Nicola affiancato da Santa Barbara, San Pantaleone con iscrizioni in latino e rappresentati in modo frontale. San Nicola con apparato liturgico bizantino, benedice alla greca, Santa Barbara indossa abiti imperiali riccamente rifiniti e San Pantaleone in ricche vesti regge un cofanetto con ampolle di unguenti, simbolo della sua professi one di medico. Il trittico, di difficile datazione, dovrebbe risalire alla seconda metà del Duecento. Nella conca absidale della navata destra, si trova una bella Crocifissione trecentesca con chiare influenze cimabuesche ed in discreto stato di conservazione. Sulla parete destra osserviamo due affreschi quattro-cinquecenteschi, che raffigurano Sant'Antonio Abate e San Pietro Martire, trafitto dal pugnale e con la mannaia nel cranio. La chiesa risulta sconsacrata già nel '600 ed in epoca medioevale è stata usata come area cimiteriale.

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Chiesa della Madonna dell'Idris
La chiesa è per metà scavata nel masso, per metà costruita dopo il crollo della volta a botte avvenuta prima del 1500; sull'altare, Madonna col Bambino dipinta a tempera del XVII sec.; nello sguincio, Madonna annunciata e, di fronte, il Presepe e Sant'Antonio del XVII sec.

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Chiesa di San Pietro Caveoso
Eretta nel XVII sec. su un preesistente edificio religioso, si articola su tre navate, di cui quella sinistra con cappellette. Nella navata destra è, entro una nicchia, la scultura in tufo della Madonna con Bambino (XVI sec.). Sull'altare maggiore campeggia il polittico in legno (circa 1540) raffigurante la Madonna con Bambino tra i SS. Pietro e Paolo; in predella è l'Ultima cena, in cimasa l'Eterno. Nella prima cappella sinistra sono stati recuperati, sotto gli stucchi settecenteschi, affreschi quattrocenteschi frammentari narranti episodi di vita dei santi. La cappella successiva, dedicata a Sant'Antonio, conserva un altare decorato da sei pannelli a bassorilievo in tufo dipinti con storie della vita del santo, ascrivibili alla prima metà del XV sec.; questi pannelli sono venuti alla luce staccando dall'altare i dipinti seicenteschi ora posti a destra e asinistra dello stesso.

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Parco naturale regionale di Gallipoli-Cognato-Piccole Dolomiti lucane

Il Parco ha un'estensione di 27.027 ettari. Compresi entro i confini dei comuni di Accettura, Calciano ed Oliveto Lucano in provincia di Matera, e Castelmezzo e Pietrapertosa in provincia di Potenza. Il Parco protegge un'ampia area posta al centro del territorio regionale che presenta importanti valori naturalistici, storici ed etno-antropologici: la foresta di Gallipoli Cognato estesa per oltre 4.200 ettari; il bosco di Montepiano formato da imponenti esemplari di cerro, macchia mediterranea con residui nuclei di leccio, rocce di arenaria, che formano i bizzarri profili delle Dolomiti Lucane di Castelmezzano e Pietrapertosa, resti della fortificazione della città lucana edificata nel IV sec. a.C. sulla sommità del Monte Croccia. Tra gli elementi naturali più significativi le due dorsali di roccia arenacea, delineate diversamente: la più armonica è la montagna del Caperrino (1.400 m), suggestive sono le vette delle dolomiti murgiche di Castelmezzano e Pietrapertosa, la cui v etta massima raggiunge i 1.319 m del Monte Impiso. Cospicua è la presenza di corsi d'acqua sotto forma di torrenti e sorgenti, di carattere stagionale. Altro elemento naturale caratterizzante è la Foresta di Gallipoli Cognato, che si mostra come un'ampia macchia verde, costituita da variegate specie arboree e arbustive. Simile è il bosco di Montepiano, formato da alberi secolari di cerro e da un sottobosco di agrifoglio. Nella Foresta di Gallipoli Cognato vi sono cerri ad alto fusto, che in zone più elevate raggiungono dimensioni enormi. Altre specie secondarie sono il carpino bianco, gli aceri e le carpinelle; presso i torrenti è presente il frassino mentre il leccio si trova sulle rocce di Campomaggiore. Il bosco di Montepiano è prospero di cerri maestosi, aceri, carpini bianchi e agrifogli utilizzati durante la festa del Maggio. Similmente florida è la zona delle Dolomiti di Pietrapertosa e Castelmezzano, soprattutto di castano, tiglio, olmo ed acero, e nell e zone più alte compaiono la carpinella, il carpino, l'ornello e cespugli di leccio. La montagna di Caperrino è ricoperta da cerretta, ginestra, e soprattutto, da parterie. La stessa importanza ha la fauna, rappresentata dal cinghiale, il lupo, la volpe, il tasso, l'istrice e, raramente, il gatto selvatico. Fra le presenze rare segnaliamo il tritone italico e la salamandra dagli occhiali.

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Riserva naturale regionale Lago Pantano di Pignola

Accessibile solo dal 16 settembre al 19 marzo per non disturbare la riproduzione degli uccelli, è stata creata per tutelare un lago, anticamente una palude poi bonificata durante il Fascismo per debellare la malaria, posto a m 770 di altitudine. Tutta la zona fu studiata a inizio '800 da Emilio Fittipaldi, che segnalò tra l'altro la presenza della lontra, e ancora, nel 1934, da Orazio Gavioli, che analizzò scientificamente il lago e le sue sponde descrivendo una grande quantità di erbe rare e tipiche della zona umida. La vegetazione è caratterizzata da salici, ontani, pioppi e altre specie. I prati allagati e le rive fangose dei 155 ettari dell'invaso, che in inverno gelano, sono un'importante stazione di sosta e di nidificazione: 158 le specie di uccelli che vi passano, 37 quelle stanziali. Gli amanti del birdwatching osservano, dai capanni in legno disseminati lungo il sentiero-natura, il comportamento di rapaci, poiane, folaghe, nibbi, greppi, falchi, aironi cenerini, gazzette e cormorani; soprattutto in primavera e in estate si può riconoscere il tuffetto, simbolo della riserva.

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L'ECONOMIA

La morfologia del territorio, la povertà delle risorse naturali, l'eredità del latifondismo, la scarsa iniziativa in campo industriale e l'organizzazione del territorio basata su centri piccoli e isolati sono fattori che spiegano la condizione di svantaggio della Basilicata, una delle regioni più povere del Paese. Il reddito pro capite è fra i minori in Italia e il tasso di disoccupazione resta elevato, ben al di sopra della media nazionale. Negli ultimi decenni, tuttavia, la regione sembra avere faticosamente imboccato la strada di uno sviluppo lento ma equilibrato. Il settore agricolo impiega il 10,3% dei lavoratori lucani, la percentuale più alta d'Italia dopo quella calabrese. Molto sviluppato è il settore della cerealicoltura (soprattutto avena e frumento). Si producono inoltre tabacco e barbabietole da zucchero. Tra gli ortaggi prevalgono i cavoli e i pomodori. La viticoltura è diffusa specialmente sui rilievi collinari prospicienti il mare. Dalle uve lucane si ottengono vini di un certo pregio, come quelli di Vulture e di Aglianico. Assai diffusa è l'olivicoltura. Nel settore frutticolo predominano noci e mandorle. Sviluppata è inoltre la coltivazione degli agrumi (arance, mandarini, limoni). L'allevamento riveste una certa importanza, soprattutto nel settore ovino, mentre per quanto riguarda i bovini, il settore risente dell'insufficiente produzione di foraggio. Il settore industriale ha avuto negli ultimi anni un notevole sviluppo grazie all'utilizzazione, da parte delle imprese della valle del Basento, del metano estratto dai giacimenti di Pisticci, Grottole, San Cataldo e Ferrandina. Sono state installate alcune industrie meccaniche, una fabbrica di manufatti in cemento e alcune industrie tessili. Particolare importanza rivestono le industrie petrolchimiche di Pisticci e Ferrandina, che producono fibre sintetiche e soda caustica. Presso Maratea si trova un notevole lanificio, di antica tradizione. Un rilevante impulso allo sviluppo industriale della regione è stato dato dal miglioramento delle vie di comunicazione, grazie alla costruzione di due autostrade: la prima unisce Bari a Sibari, correndo lungo la costa ionica, e la seconda da Metaponto arriva a Salerno, passando per Potenza. Dalla storica dipendenza dell'economia lucana dai finanziamenti pubblici è derivato, come in tutte le regioni del Mezzogiorno, un ampio sviluppo dei servizi nei settori a minore contenuto tecnologico, come la pubblica amministrazione e il piccolo commercio. Il patrimonio ambientale, naturalistico e storico-culturale è in via di valorizzazione; il movimento turistico, che subisce l'inconveniente della distanza dalle principali aree metropolitane, è ancora assai debole e legato, in massima parte, alle località balnearei con permanenze brevi. Ancora piuttosto carenti sono le dotazioni sociali: i sistemi sanitari e scolastici presentano squilibri nella distribuzione territoriale.

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CENNI STORICI

Dalle origini al dominio romano

I primi segni di frequentazione umana rinvenuti in Basilicata si fanno risalire al Paleolitico inferiore, periodo in cui i territori in prossimità dei fiumi e dei bacini lacustri costituivano l'habitat ideale per l'Homo erectus e le sue attività vitali di caccia e raccolta. Le testimonianze migliori di questa prima fase di civiltà sono emerse a Venosa dove nei pressi di antichi specchi d'acqua sono stati ritrovati anche i resti di specie faunistiche oggi estinte. Nel V millennio a.C. la cultura neolitica cominciò ad irradiarsi lungo i corsi dei fiumi raggiungendo anche le aree interne; dopo una fase climatica di tipo arido, che aveva impoverito i suoli e le coltivazioni, provocando un diradamento dei centri abitati, segue a partire dal 1700 a.C., un rifiorire di insediamenti stanziali in aree in precedenza spopolate. Dediti all'agricoltura e alla pastorizia, gli uomini dell'Età del Bronzo lavoravano la ceramica ed i metalli, fabbricavano utensili ed armi, intrattenevano rapp orti via terra e via mare. Non distante dalle spiagge dello Ionio, a Pane e Vino, fra Tursi e Policoro, è stato scoperto uno dei primissimi documenti delle relazioni commerciali fra la Basilicata ed il mondo del Mediterraneo orientale: la tomba di un capo tribù coperta da lastroni di pietra e contenente uno scettro di comando, vasi con incisioni geometriche e una collanina in pasta vitrea, esemplare noto della produzione assiro-fenicia collegata al mondo miceneo. La colonizzazione di Siris, situata presso la riva del fiume omonimo detto Sinni, avvenne sul finire dell'VIII sec. a.C. ad opera dei Colofoni, una colonia greca fuggita in Occidente per scampare alla dominazione Lidia. La fondazione di Metaponto, avvenuta nel 630 a.C. circa da parte degli Achei, porterà ad un primo frazionamento nell'area della costa ionica; e saranno due modelli coloniali sostanzialmente diversi a fronteggiarsi, quello acheo (Sibari, Metaponto) basato sulla centralità della terra e dello spazio agrario, delle cui conseguenze tratteremo più avanti, e quello sirima meno accentratore e maggiormente permeato dalle preesistenze indigene, anche nella metodologia di sfruttamento della terra. Nel corso del IV sec. a.C. ognuna delle due città era ormai padrona di un territorio molto vasto (chorà) al punto che l'influenza di Metaponto era ormai estesa fino a Pisticci e Montescaglioso e, quella di Siris, fino a Santa Maria d'Anglona e Montalbano, la cosiddetta Sirtide. L'arrivo dei coloni greci, che fu dapprima sporadico e poi massiccio, comportò numerose conseguenze e alterazioni dell'ambiente fisico dell'area costiera ionica e delle aree interne, raggiunte mediante le valli fluviali. Ed è proprio all'insistente ricerca di nuovi terreni da coltivare che si attribuisce il forte disboscamento e la conseguente erosione dei versanti argillosi perduta fino agli inizi del III sec. a.C. ed alla quale si possono far risalire quelle forme calanchive che tutt'oggi caratterizzano il paesaggio d ell'area orientale della Basilicata. Con gli scavi condotti ad Alianello, Armento, Roccanova, Incoronata, Cozzo Presepe, Pisticci e Serra di Vaglio, emerge come proprio la Lucania interna, in questa fase, si caratterizzi quale importante crocevia di etnos diversi, così come evidenzia la diffusione di oggetti di lusso, di chiara matrice etrusca e, l'affermazione dei costumi e dell'organizzazione sociale ellenica. Questa convergenza di culture si imprimerà nel sostrato indigeno "enotrio", creando condizioni di civiltà ed impulsi di progresso inusitati, come ampiamente dimostrano i ritrovamenti dell'area del Melfese e quelli di Serra di Vaglio. Fra il VI ed il V sec. a.C. però, questo ipotizzabile equilibrio tra coloni greci ed "entri" viene intaccato, provocando una trasformazione improvvisa nel quadro territoriale della Basilicata, dove alcuni degli insediamenti più fiorenti, ricaduti nel raggio delle chorai greche, scompaiono (l'Incoronata e Santa Maria di Anglona), mentre a ltri, soprattutto nelle zone più interne della regione, si fortificano presentando una loro evoluta strutturazione interna. Questa trasformazione interna si colloca in un quadro storico estremamente movimentato che sul finire dell'età arcaica, vede gran parte dell'Italia e dei suoi gruppi etnici coinvolti in una moltitudine di conflitti ed avvicendamenti, che avrebbero azzerato e riformulato gli equlibri territoriali costituitisi fino a quel momento. Sul finire del V sec. a.C. arriva qualcos'altro a turbare o a mutare i delicati equilibri delle popolazioni "enotrie" della regione: i Lucani.

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I Lucani dovevano discendere dai Sanniti (genti italiche provenienti dal Molise e dalla Campania) a loro volta discendenti da una più antica unità etnica originatasi in un'area compresa fra le Marche e gli Abruzzi, ovvero i Sabini. Ciò che resta ancora oscuro sono le modalità e le cause di questa massiccia immigrazione che, iniziata sul finire del VI sec. a.C., determinò una trasformazione profonda dell'identità della Basilicata. Gli effetti dirompenti dell'azione espansiva di questo popolo si colgono nella conquista delle colonie greche di Poseidonia (Paestum) e Laos, città forti e ben difese ai tempi dell'occupazione lucana avvenuta tra il 421 ed il 389 a.C. Confidando in una indiscussa forza militare i Lucani si spinsero ripetutamente anche sull'altra costa, iniziando una serie di combattimenti contro le colonie greche dello Ionio: Thourioi, Heraclea, Metaponto e Taranto. A questa fase di espansione, compresa fra il V ed il IV sec. a.C., si fa risalire l'edificazione di alcuni importanti centri fortificati, situati sui rilievi e a guardia dei fondovalle (Serra di Vaglio, Torretta di Pietragalla, Civita di Tricarico, Monte La Croccia, Torre di Satriano). Il modello delle città-Stato che in un certo senso aveva determinato e governato gli equilibri politici dell'età arcaica, a causa delle spinte egemoniche provenienti da più parti, sul finire d el IV sec. a.C. decadde, inaugurando una stagione di conflitti lunga e, sul piano delle alleanze, molto confusa. La Basilicata, in questa fase, sarà in un certo senso vittima del fervore espansionistico dei Lucani, contemporaneamente costretti a difendersi dalle incursioni sannite a Nord, dalle offensive dei Locresi e di Dionigio II - che dalla Sicilia tentava di espandere la sua egemonia nel Sud della penisola - e dall'avanzata di Archidamo di Sparta prima e di Alessandro il Molosso poi, venuti dalla madrepatria in difesa di Taranto e delle città della Magna Grecia. Nel corso del III sec. a.C., gli effetti d questa prolungata fase di conflitti saranno devastanti spalancando le porte ad un lungo ed inesorabile processo di pauperizzazione della società, ben evidenziato dall'abbandono di gran parte degli insediamenti preesistenti. Da questo periodo convulso in cui si verifica l'ascesa dei Galli, il conflitto fra Romani e Sanniti per il controllo del centro della penisola e la spedizione di Pirro re dell'Epiro, tesa a ristabilire l'unità dei territori della Magna Grecia, emergerà improvvisamente l'egemonia di Roma che, ficcate le resistenze di Etruschi, Galli e Sanniti, e respinto Pirro, si presentava di prepotenza come la forza dominatrice del panorama politico italico. I Lucani avevano conosciuto i Romani intorno al 330 a.C. quando con questi costituirono un'alleanza "strumentale" utile a fronteggiare la pressione sannita a Nord e quella italiota a Sud. Ma la durata del consenso fu davvero breve perché i Romani, già nel 325 a.C., stabilivano un presidio strategico a Luceria, evidenziando forti mire espansionistiche verso Sud. Con il sostegno offerto ai Thurini nel 282 a.C., ancora una volta minacciati dalla potenza militare lucana, i Romani facevano il loro ingresso ufficiale nello scacchiere della Magna Grecia: quando contravvenendo ai patti alcune navi romane oltrepassarono il capo Lacinio, presentandosi a mo' di sfida innanzi al porto di Taranto, la reazione della città fu immediata e violenta; le navi furono distrutte e si apriva la guerra tarentina. In difesa della città ionica sbarcò a Taranto Pirro, re dell'Epiro che, appoggiato dai Lucani, ottenne una prima vittoria nella durissima battaglia campale combattuta fra Pandosia ed Herakleia nel 280 a.C.; ma nel 276 a.C. Pirro venne duramente sconfitto a Maleventum e di lì costretto a rinunciare ai sogni di una restaurazione del dominio greco e tornare in patria con ciò che rimaneva del suo imponente esercito di uomini ed elefanti. Questa svolta determinò la resa di Taranto, avvenuta nel 272 a.C., e l'estensione immediata del predominio romano sulle colonie greche del Sud della penisola. Nel 273 a.C. intanto, insistendo sulle città che garantivano importanti accessi sul Mediterraneo, Roma aveva conquistato il primo e, fino ad allora, incontrastato presidio lucano sul Tirreno, Paestum.

 

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Se la conquista seguita alla resa di Taranto aveva imposto ai nuovi popoli soggetti lo status di socii , vale a dire alleati con l'obbligo di fornire truppe agli eserciti imperiali, con la sconfitta di Annibale avvenuta nel 206 a.C. - al fianco del quale avevano combattuto frange numerose di Lucani nella speranza di un riscatto sociale - il Governo di Roma apriva una fase ancor più restrittiva che prevedeva il sequestro di ulteriori terreni e il rafforzamento degli organi di controllo (praefecturae). In questa fase, oltre alle campagne, si verificò l'abbandono di Laos e il declino di Serra di Vaglio, al quale faceva eco la fondazione di Potentia. Avamposti romani di primaria importanza strategica, nell'interno della regione, divenivano Venusia a Nord - fondata già nel 291 a.C. - e Grumentum a Sud. L'abbandono delle terre, contro cui nulla poterono le colonizzazioni imposte dagli Scipioni e dai Gracchi negli ultimi decenni del III sec. a.C., coincise con il declino delle tradizioni indigene evidenziato, dagli scavi archeologici, nell'impoverimento dei corredi funerari di quel periodo. A determinare tale povertà diffusa e la crisi demografica che ne conseguì, nel II sec. a.C., contribuirono le continue e spietate guerre sociali. Grazie soprattutto alle antiche tradizioni mercantili ed artigianali, Herakleia e Metaponto riuscirono, fino al I sec. d.C., a conservare consistente vivacità e benessere. Con il procedere dell'età Imperiale, al tracollo di Herakleia si contrapponeva il vigore di Grumentum che diveniva uno dei centri più ricchi ed importanti della Lucania romana. Il tessuto sociale, politico ed economico della Basilicata si era radicalmente trasformato allor quando l'Imperatore Augusto attribuì ufficialmente il nome di Lucania e Bruzio alla III circoscrizione italica, nel nuovo ordinamento amministrativo della penisola teso ad agevolare un maggiore e più efficace controllo sulla popolazione. Allo splendore dell'Impero romano, che proprio tra il I ed il III sec. d.C. raggiungeva la massima influenza estendendo rapporti commerciali fino alla lontana Cina, faceva dunque ombra un graduale impoverimento di quelle antiche province italiche che pure erano state culla di grande civiltà, come la Lucania. Ma presto questa crisi si sarebbe estesa fino a ledere il cuore stesso dell'Impero, assumendo le dimensioni di un generale tramonto della società antica. Il peso della fase di conflitti unilaterali in cui Roma era impegnata fra III e il IV sec. d.C., gravava naturalmente sull'esercito romano che doveva essere costantemente rinforzato e rinnovato, decretando il conseguente aumento delle tasse, imposte perlopiù all'agricoltura. Sottomessi ad un regime fiscale insostenibile, gran parte dei contadini abbandonarono le terre ed il latifondo sbaragliò nelle antiche e ricche province italiche generando miserie, carestie ed una profonda crisi demografica. Ed è in questo scenario che si preparava l'infiltrazione dei Barbari e la caduta definitiva dell'Impero romano d'Occidente, con l'antica capitale ridotta a mera sede di un esautorato ed impotente senato, e la nuova capitale, trasferita a Costantinopoli, a rappresentare il rinnovato cuore economico, politico e commerciale dell'Impero.

 

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I Goti e i Bizantini

Per la Lucania, come per l'intero Paese, con il V sec. d.C. si apriva un periodo veramente buio, anche sul piano delle testimonianze storiche, poiché ben poche notizie ci sono state tramandate sui primi decenni delle invasioni barbariche. Di rilevante possiamo dire che la spinta delle popolazioni gote, dal Centro verso il Sud, dovette essere il motivo che convinse i pastori a deviare il tradizionale percorso della transumanza dagli Abruzzi alla Puglia, su un asse più sicuro che dalla Valle dell'Ofanto raggiungeva il Vulture e l'Irpinia. Tale movimento incise molto sul rilancio dell'area nord-orientale della regione tanto che fra il IV ed il V sec. d.C. il centro della vita economica si spostò decisamente dalle valli dell'Agri e del Sinni verso il Vulture-Melfese, provocando l'abbandono definitivo della costa Ionica, ormai malarica ed incolta. La crisi raggiunta dalle province italiche nel IV sec. d.C. aveva ridotto la società e l'economia allo stremo. Il sistema delle coemptione s, basato sull'ammasso obbligatorio dei prodotti agricoli per il fabbisogno dell'esercito e dell'amministrazione, aveva prostrato la popolazione e ridotto a nulla le risorse. Non solo le campagne, ma anche le città erano ormai sfinite da un'economia di mercato insostenibile. Nel V sec. la Lucania dovette provvedere ad ospitare le guarnigioni gote dislocate nel Regno, hospitalitas che si risolveva prevalentemente nella confisca e nella ripartizione delle terre sottratte agli antichi possessores nella misura di un terzo, cosa che provocò non poco scontento nella categoria dei proprietari terrieri. Solo la parte nord-orientale della regione riuscì a sottrarsi al generale decadimento. Vivace e fiorente è in questo periodo l'attività commerciale di Venosa che ospita una antica e ben inserita colonia ebraica, nerbo di un'economia basata sull'agricoltura (grano e frumento), il commercio e l'artigianato. Sostenuto dall'idea di liberare l'Impero dal giogo dei Barbari e degli infedeli, Giustiniano ordinò la riconquista dell'Italia. Nel 536 un forte esercito bizantino guidato da Belisario sbarcava a Reggio ed in men che non si dica risaliva e conquistava le regioni del Sud che, secondo la testimonianza di Procopio di Cesarea, al seguito dei Bizantini, supportarono ed accolsero il generale come un liberatore, stanchi delle vessazioni dei Goti. Nel dicembre del 536 Belisario entrava vittorioso in Roma mentre Giovanni il Sanguinario sbarcava ad Otranto, inviato da Giustiniano a controllare le regioni del Sud; cominciava così quella lunga e violenta "guerra gotica" di cui il Mezzogiorno, ed in particolare la Lucania, sarebbero stati teatro per oltre vent'anni. I Goti ed i Bizantini si avvicenderanno più e più volte nel controllo della regione, soprattutto della sua parte orientale, istruendo per altro promesse diverse nel tentativo di aggregare e far combattere il popolo alle cause dell'u no o dell'altra. Quando i Goti, sconfitti da Giovanni il Sanguinario a Brindisi, ripararono ad Acerenza, l'epicentro dello scontro si spostava in Lucania, sottoposta a razzie e distruzioni d'ogni tipo. Ed è a questo punto, sempre secondo la testimonianza di Procopio di Cesarea, che nel vivo della "guerra gotica" entrò un esercito di Lucani, guidato da Tulliano, figlio di Venanzio, potentissimo correctores romano. Questi riuscì ad aggregare gran parte dei proprietari terrieri vessati dalle "ripartizioni" gote, incitandoli a contrastare le orde dei Barbari che avevano devastato le terre. Ottenuta la rassicurazione del perdono dell'Imperatore, da parte di Giovanni il Sanguinario, Tulliano e il fratello Deoferonte si posero alla guida di un folto drappello di uomini riuscendo a fermare i Goti inviati a rafforzare il presidio di Acerenza. Totila però seppe abilmente mettere gli uni contro gli altri i Lucani, promettendo di assegnare terre ai coloni sottraendoli dall'obbligo di pagare i tributi ai ricchi proprietari terrieri. Vinti naturalmente da tale generosa promessa i contadini si schierarono con i Goti, scatenando una violenta guerra civile. Uccisi Totila e Teia, sul finire del 553 i Bizantini erano ormai padroni della situazione se non per un unico fronte aperto, quello di Acerenza; ma la lotta dei Goti era senza speranza perché il Paese, stremato da carestie e pestilenze, fu costretto ad arrendersi a Narsete. Dopo venti anni di guerra sanguinaria lo spettacolo offerto dalle regioni italiche doveva essere agghiacciante poiché seppure la Lucania conosceva già da qualche secolo un progressivo declino economico e sociale, la guerra gotica le inferse un colpo mortale. La restaurazione bizantina, con la Prammatica sanzione promulgata da Giustiniano il 14 agosto del 554, stabilì le rigide leggi dell'assoggettamento dei territori conquistati, divenuti ora province dell'Impero. Il fiscalismo bizantino non risparmiò un Paese stremato dalla guerra e, sulla base dell'antico ordinamento romano, riimpose obblighi sugli scambi e le vendite, attraverso cui si garantiva il drenaggio di danaro e risorse a favore delle grandi proprietà fondiarie e delle città residenziali delle aristocrazie. Il praefectus thesariorum ed i rationales garantivano la spietata riscossione dei tributi nelle province italiche secondo un sistema che, unito alle rovine della guerra, avrebbe portato all'esaurimento delle risorse e ad una crisi senza via d'uscita. In queste condizioni l'ordinamento romano si avviava al suo tragico epilogo e l'Italia, prostrata, disgregata e privata ormai anche della difesa del forte esercito dei Goti, doveva ora piegarsi all'ennesima incursione barbara. E fu l'arrivo dei Longobardi, nel 568, a determinare una lacerazione storica e culturale profonda, con la quale ci pare si possa opportunamente far coincidere la fine dell'età antica e l'inizio del Medioevo.

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Dal Medioevo ai Longobardi

I Longobardi, guidati da Alboino, stabilirono la loro capitale a Pavia e fondarono due importanti ducati a Spoleto e Benevento. La città campana, ribattezzata dai Romani dopo la vittoria su Pirro, rappresentava il fronte più avanzato delle conquiste italiche dei Longobardi e, sotto la guida di Zottone, si caratterizzò subito come ducato indipendente. Così, a meno di quindici anni dalla conclusione della "guerra gotica" la Lucania, ancora prostrata, si preparava a subire le mire espansionistiche di Zottone, un vero e proprio arrembaggio contro cui nulla poterono le deboli guarnigioni bizantine. Gli exercitales beneventani oltrepassarono l'Ofanto e in men che non si dica, con la loro proverbiale violenza, stabilirono presidi a Pescopagano, Ruvo, Vietri, Satriano, in val d'Agri e, convergendo verso Nord, occuparono Venosa e strinsero l'assedio ad Acerenza che, stavolta, ben poca resistenza potè opporre al nuovo nemico. In questo modo i paesi lucani entrarono a far parte del Ducato di Benevento, agli ordini del riottosissimo Zottone. Alla confisca della terra i Longobardi fecero seguire gli assalti ai beni delle chiese e delle comunità monastiche, alle quali si impose la presenza di sacerdoti ariani, decisione che provocò la fuga di gran parte dei religiosi. Cadute in disgrazia le strutture ecclesiastiche, che costituivano ormai un punto di riferimento privilegiato per le comunità locali, è facile immaginare la desolazione che avvolse in quegli anni il Paese, perseguitato da una insanabile carestia e dalla peste. I Longobardi del resto pare non avessero grandi iniziative in agricoltura in quanto privilegiavano una cerealicoltura senza mezzi né concimi, affidata esclusivamente al tradizionale riposo della terra. Si diffuse invece molto l'allevamento di equini, suini, bovini e ovini, come nel costume di un popolo avvezzo a cibarsi di molta carne e formaggi. Con i Longobardi la Lucania scompare in quanto circoscrizione territoriale, in quanto al suo posto subentrano vari gastaldati: Venosa, Acerenza (che conta fra le sue contee anche Potenza), Latiniano (che comprende Marsico ed è esteso fino al Pollino), Lucania (il territorio a Sud del Sele con al centro Paestum) e Laino (che comprende la valle del Mercure e quella del Lao). In posizione dominante verso la valle del Melandro viene eretta Satriano, sede vescovile dalla metà del IX secolo, mentre Tricarico, Montescaglioso e Montepeloso (in una posizione dominante fra le valli del Bradano e del Basento), assurgeranno al ruolo di città. I tre centri situati sulla Gravina furono unificati e cinti di mura con il nome di Mateola (Matera) e, sul Tirreno, vennero fortificate Malatei (Maratea) e l'isola di Dino. A provocare l'ennesimo scompiglio, di lì a poco, sarebbe arrivato il provvedimento con cui l'Imperatore d'Oriente ordinava di distruggere le "sacre icone", motivo che determinò la definitiva insubordinazione di Papa Gregorio III nei confronti tanto del Basileus quanto del Patriarca di Costantinopoli. In nome della Sancta Respublica Romanorum, sancita nel Concilio del 731, l'"Occidente" espresse la sua decisa condanna nei confronti degli iconoclasti e sancì, quale unica autorità ecclesiastica e politica, quella del Papa di Roma. Scampati alla furia iconoclasta, molti basiliani ripararono in Italia e, in gran numero, risalendo la costa ionica, approdarono in Lucania lungo le valli dell'Agri e del Sinni. La loro influenza sulla ripresa dell'economia di vaste zone della regione, soprattutto fra il IX e l'XI secolo, sarà estremamente rilevante. I basiliani si adoperarono molto in opere di bonifica e nel ripristino di attività agricole e di trasformazione di materie prime in prodotti alimentari, svolgendo inoltre una grande opera di divulgazione di fede tra un popolo fortemente provato da secoli di guerre, carestie e sacrilegi. Prima Pipino e poi Carlo spensero definitivamente le mire espansionistiche dei Longobardi che, a partire dall'anno 774, videro la loro egemonia sulla penisola relegata al solo Ducato di Benevento. Arechi, in cambio del controllo sul Ducato, aveva promesso al re Carlo di disarmare le proprie fortezze, fra cui rientrava la roccaforte di Acerenza. Ma questo non avvenne, poiché Arechi impiantò sì i cantieri ma in funzione di un ampliamento e rafforzamento delle sue difese, ora minacciate da vicino dalle scorrerie dei Saraceni, provenienti dalle coste meridionali e già arroccati ad Anglona, dopo aver sottratto la valle del Crati al controllo longobardo.

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Dopo la morte di Arechi i Longobardi si disputavano selvaggiamente la successione. I pretendenti erano Sichenolfo e Radelchi che, pur di raggiungere l'obbiettivo, si allearono con i generali saraceni i quali, ovviamente, ben poco preoccupati delle discendenze longobarde, ne approfittarono per estendere i propri domini. Apollafar, al servizio di Radelchi, si spinse nel Latiniano e poi nel Metapontino dove costruì un campo fortificato sul colle ove sorgerà Tursi; successivamente, edificata la roccaforte sulle montagne di Pietrapertosa, i Saraceni occuparono Tricarico ma non riuscirono ad espugnare Potenza. La disputa fra i due pretendenti, mentre l'egemonia musulmana era cresciuta a dismisura, si concludeva con la divisione dell'antico Ducato in due circoscrizioni, sotto la supervisione di Lotario, succeduto al trono del Sacro Romano Impero nell'843. Nel Principato di Salerno, riconosciuto a Sichenolfo, confluivano i gastaldati di Acerenza (per la media parte), di Latiniano, di Laos, di Lucania e di Conza, mentre solo la restante parte del gastaldato di Acerenza, la regione del Vulture, rimaneva nel Principato di Benevento. Ancora una volta divisa, nel corso del IX sec. la Lucania prestava il fianco agli assalti dei Saraceni, in un contesto di grande miseria in cui le coltivazioni erano minacciate dai bruchi e dalle lacuste, e un maggio di frumento costava otto soldi, poco meno del prezzo pagato per uno schiavo. I nuovi principi longobardi non erano in grado di fronteggiare l'avanzata musulmana, ancorchè dissidi interni ne limitavano ulteriormente la capacità offensiva. I Saraceni infatti riprendevano Taranto e poi proseguivano verso l'interno conquistando Matera e Tursi; da questo avamposto si spinsero fino a Venosa senza però riuscire ad espugnare Acerenza. I principi longobardi tentarono ancora, nel corso del X sec., di recuperare i territori perduti fino a che, dopo anni di battaglie fra Sassoni, Longobardi e Bizantini, combattute scorrazzando e depredando il solito ed incolpevole Mezzogiorno, Giovanni I Zimisce, eletto al trono imperiale di Costantinopoli, pose pace ottemperando alle richieste di matrimonio fra la principessa Teofane e l'erede al trono d'Occidente, Ottone II. In seguito a questo "accordo" il Principato di Capua e Benevento venne riconosciuto all'Imperatore d'Occidente, mentre la Lucania orientale, la Puglia, la Calabria e la sovranità sul Principato di Salerno rimanevano in saldo possesso del Basileus Giovanni I Zimisce. In tale nuova configurazione politica la Lucania non conservava più nulla dei confini e degli ordinamenti della circoscrizione augustea: i Bizantini non suddivisero il territorio in province, bensì in Temi, cosicché il gastaldato di Latiniano, la contea di Potenza, l'alta e media valle del Bradano, il Vulture e la roccaforte di Acerenza, confluirono in uno dei tre Temi del Catepanato d'Italia, che comprendeva il Tema di Langobardia, il Tema di Calabria e quello di Lucania con capitale a Tursi, sottratta ai musulmani, in posizione dominante rispetto alla rotta preferita dalle incursioni arabe. Nel 985 gli Arabi, risalendo il Bradano colpivano duramente Venosa, depredando ogni cosa e trasportando in patria, lungo i fiumi, un numero infinito di schiavi. Singolare invece la vicenda di Pietrapertosa dove un certo Luca, approfittando dell'impopolarità del taurmarca del luogo, con l'aiuto dei Saraceni e convertitosi all'islamismo, ottenne il comando del Paese. Da questo momento e fino al 1001, il presidio arabo di Pietrapertosa, per la sua ottima posizione, costituì il caposaldo delle incursioni saracene dal Basento verso Tricarico, Tolve ed Acerenza. Sul percorso "infuocato" che dalla costa ionica raggiungeva Bari, in quegli stessi anni i Bizantini fortificavano Matera, in una fase in cui l'egemonia nel Tema di Lucania era già forte e consolidata, lasciando intravedere anche i primi segni di una certa ripresa economica, in parte incentivata dall'opera dei benedettini e dei basiliani. Tra il X e l'XI sec. le aree coltivate si estesero e si diffusero la monocoltura cerealicola, la vite e l'olivo. Fra il X e l'XI secolo, sui fianchi della Gravina di Matera, di quella di Picciano e sui terrazzamenti creati dai depositi alluvionali del fiume Bradano, sorsero diversi nuclei di chiese rupestri. In questi luoghi di preghiera scavati nella roccia si ritiravano in silenzio i Padri basiliani, ispirati ad una regola religiosa pacifica e non violenta.

 

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