Itinerari Parole e Immagini Le Arti Figurative l'Ottocento.

Jean-Lèon Gérôme: "L'eminenza grigia" (1873)

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ITINERARI - PAROLE E IMMAGINI - LE ARTI FIGURATIVE - L'OTTOCENTO

IL SOGGETTIVISMO ROMANTICO

GOYA

Quando nel 1789 Francisco Goya (1746-1828) diviene «Pittore di caera del re» aveva già avuto l'importante incarico di eseguire dieci cartoni per l'arazzeria reale di Santa Barbara. Era così entrato in contatto con gli ambienti della pittura ufficiale di corte e, soprattutto, aveva potuto conoscere i dipinti di Velázquez. Nei ritratti della famiglia reale si pone in continuità con quelli del grande maestro nella trascrizione del dato reale. Tuttavia la sua stesura pittorica si fa più libera e audace attraverso l'uso di un colore intenso e dissonante, mentre diviene spietato nella denuncia della grettezza, vanità, abulìa e follia dei personaggi di corte. Il pittore in qualche caso si ritrae, quale testimone e cronista della miseria morale dei personaggi, con esplicito riferimento alle Meninas di Velázquez. Negli anni che seguirono l'invasione delle truppe napoleoniche nel 1808, nonostante le sue iniziali simpatie per i circoli liberali favorevoli ai francesi, fissa la violenza e la brutalità della guerra, delle sanguinose repressioni e del martirio del popolo spagnolo nella lotta per l'indipendenza nazionale, in una serie di incisioni sui Disastri della guerra (1810) in cui crea immagini di una forza allucinata ed in cui, ispirandosi alle incisioni di Rembrandt, usa il bianco e il nero della stampa per esprimere una emozione violenta e drammatica. Nei suoi due quadri 2 maggio 1808: lotta contro i Mamelucchi e 3 maggio 1808: fucilazione alla montagna del principe Pio riprende i contrasti di luce delle incisioni esaltandone la drammaticità con la violenza cromatica. Quando, dopo la Restaurazione, stanco e malato si ritirerà nella sua casa nei dintorni di Madrid dipingerà un mondo di esseri deformi e mostruosi: le Pitture nere. Apparizioni tragiche ed ossessive, riflesso della sua mente angosciata sembrano materializzarsi nelle pennellate dense di colore sui fondi scuri ed opachi alla luce. L'allusione ai temi della vita e della morte, alle incongruenze e irrazionalità dell'uomo, la perdita della fiducia nell'età dei lumi sono espresse da Goya attraverso il riferimento all'immaginario, alla mitologia del Tempo distruttore dei propri figli, al Destino e alla tradizione della superstizione popolare delle streghe.

Francisco Goya: "Le fucilazioni del 3 maggio 1808"

Francisco Goya: "Le fucilazioni del 3 maggio 1808"

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FRIEDRICH

Il dubbio sulla validità delle percezioni oggettive illuministe e del credo secondo il quale la ragione umana può governare tutte le azioni e risolvere tutti i problemi, induce a guardare l'oggettività della natura attraverso la propria soggettività e a esprimere l'interiorità attraverso i simboli che sono nella natura. L'esperienza spirituale individuale e la partecipazione emozionale trova concreta realizzazione nelle opere di Caspar David Friedrich (1774-1840) in cui la visione del paesaggio viene caricata di contenuti simbolici o religiosi. Il senso panico della natura, ripresa attraverso fenomeni particolari ed in particolari momenti della giornata (il crepuscolo, il tramonto, la nebbia...) e da punti di vista che consentono allo spazio di aprirsi verso orizzonti lontani e indeterminati diventano elementi di suggestione dell'immaginario e di simboliche corrispondenze psicologiche. Nel dipinto intitolato Monaco in riva al mare la rarefazione estrema degli elementi del paesaggio allontana da una semplice descrittività di motivo naturalistico per stabilire un rapporto tra la illimitata spiritualità interna dell'uomo e l'infinito della natura.

DELACROIX

I temi romantici della libertà trattati attraverso la metafora della storia, diventano pretesto in Eugène Delacroix (1798-1863) per una elaborazione più serrata del linguaggio pittorico. I suoi soggetti spaziano dagli episodi del Medio Evo in funzione anticlassica ai soggetti esotici (Odalische) di intensa sensualità cromatica, ai quadri di impegno civile e politico (Il Massacro di Scio, 1824; La libertà che guida il popolo sulle barricate, 1830). Ogni quadro, tuttavia, preparato attraverso bozzetti impetuosi, disegni dal vero, appunti e schizzi di viaggio, sembra diretto a eliminare attraverso il dinamismo della composizione e la violenza cromatica della materia ogni residuo di linearismo della tradizione classica. Il colore stesso e il modo in cui viene steso sulla tela diviene metafora di una ricerca di libertà, fuori dagli schemi della tradizione accademica. I riferimenti di Delacroix sono soprattutto il fervore di Rubens, i coloristi veneti, forse Michelangelo nella trascrizione della tensione plastica dei corpi, ma anche maestri a lui più vicini. La contrapposizione nell'uomo tra impulsi irrazionali e razionalità è evidente in Delacroix nei numerosi dipinti con scene di caccia al leone e coinvolge sia la costruzione stessa dell'immagine attraverso un caos di toni rossi, verdi, gialli, viola (colore-luce che percorre la tela in una vibrazione continua) sia la composizione risolta attraverso la creazione di molteplici nuclei dinamici che si sviluppano su tutta la superficie della tela con pochi e scarni riferimenti ad uno spazio certo e razionale.

Eugène Delacroix: "La caccia ai leoni" (1858)

Eugène Delacroix: "La caccia ai leoni" (1858)

HAYEZ

In Italia i moti risorgimentali trovano risonanza nelle allegorie storiche dell'opera lirica che si rappresentano nei teatri italiani, soprattutto in quelle di Giuseppe Verdi: I vespri siciliani, I lombardi alla prima Crociata, Ernani, ecc. Anche la pittura svolge temi in cui il riferimento storico nasconde in realtà allusioni a fatti e motivi del Risorgimento. Francesco Hayez (1791-1882) nei suoi Vespri siciliani (rielaborati in successive versioni dal 1822 al 1846) ricostruisce il clima dell'epoca attraverso una ricerca iconografica e storica spesso in collaborazione con letterati e studiosi: i costumi, gli ambienti, le architetture, l'esattezza delle scenografie diventano necessari all'opera quanto il talento dell'artista. L'impianto della composizione è ancora neoclassico anche se mediato da una trattazione coloristica più luminosa e da una più marcata verosimiglianza nella descrizione delle scene e dei personaggi mentre nella retorica dei temi storici e della narrazione si può riconoscere una sorta di romanticismo dei soggetti, un ritorno alle scene di genere con venature patetico-religiose.

Francesco Hayez: "I vespri siciliani" (1846)

Francesco Hayez: "I vespri siciliani" (1846)

LA NUOVA VISIONE DELLA REALTÀ

COURBET

Nel 1861 Gustave Courbet (1819-1877) affermava che «la pittura è un'arte essenzialmente concreta e può consistere solo nella rappresentazione delle cose reali ed esistenti. è un linguaggio interamente fisico, che ha per vocaboli tutti gli oggetti visibili; un oggetto astratto, invisibile, che non esista, è estraneo all'ambito della pittura». Courbet insisteva sulla contemporaneità come condizione necessaria alla concretezza in contrapposizione alla pittura storica, divenuta a dire il vero, pittura di aneddoti storici in cui prevaleva la scenografia e la ricostruzione suggestiva dei costumi greci, romani, medievali o rinascimentali; nei suoi quadri i borghesi, i contadini, le donne di villaggio divengono i soggetti principali. Egli li riprende non in posa ma nei loro modi rudi, disadorni nel tentativo di restituirne la verità. Ed infatti non era il soggetto a scandalizzare i benpensanti ma il modo in cui era rappresentato. Così ne Lo Spaccapietre si criticava la scelta di Courbet di rendere il soggetto «insignificante quanto le pietre che sta rompendo». Tuttavia è proprio questa aderenza totale alla verità il discrimine tra i pittori realisti come Courbet e i pittori di genere in cui spesso i soggetti conservano un tono patetico o pietistico: Courbet capovolge quella che era considerata pittura di genere in pittura di storia. è nello studio diretto della natura che egli si scrolla di dosso tutto il bagaglio tradizionalista e accademico, reinventando il proprio linguaggio in funzione del fine ultimo; la ricerca della verità, fondata sull'osservazione della realtà, trova un suo corrispondente nel parallelo ripudio del pregiudizio metafisico e della ricerca delle cause prime dei fenomeni scientifici. Lo Spaccapietre non mostra nulla al di là di se stesso, nessuna implicazione simbolica o allegorica, nessun tentativo di idealizzarne le fattezze: è un sottoproletario che compie un lavoro alienante costruito attraverso una materia greve e opaca, un denso strato di colore che diventa il corrispondente formale delle caratteristiche del soggetto, schiacciato in uno spazio tra la terra e il muro senza nessun rassicurante contorno di suggestive prospettive aeree.

Gustave Courbet: "Lo spaccapietre" (1849)

Gustave Courbet: "Lo spaccapietre" (1849)

MANET

La tematica del realismo si amplia con Edouard Manet (1832-1883) alla rappresentazione della vita urbana in tutta la sua complessità. La moderna iconografia della città contemporanea non è più tema per scene patetiche o pittoresche ma per la restituzione di brani di vita che nell'apparente casualità dell'immagine o nell'inquadratura fanno pensare alla fotografia, conservando nella parzialità del soggetto la totalità dei significati del contesto da cui sono stati tratti (la parte per il tutto), rifiutando, nel contempo, qualsiasi significato letterario e aneddotico dell'opera d'arte. L'apprendistato pittorico dell'artista tuttavia avviene al Louvre, studiando i maestri del passato (Velázquez, Goya) ma anche nei suoi numerosissimi viaggi in Italia, Germania, Olanda, Austria. I neri, i bianchi, i rossi della tradizione classica olandese e spagnola diventano in Manet paste dense e astratte. Ne Il balcone il nero è una densa stesura monocroma da cui emergono i bianchi intensi delle figure quasi in un rapporto di perfetto equilibrio con le masse contrapposte delle campiture nere. La gamma dei toni è molto ristretta: emergono pertanto la nota rossa del ventaglio e quella gialla dei guanti. Anche lo spazio è compresso e definito tra la struttura geometrica delle persiane, la scansione della ringhiera verde e il piano nero dell'interno della stanza: una serrata successione di piani bidimensionali che ricorda per certi aspetti quella del Marat di David. Negli anni seguenti Manet proseguirà nella ricerca di astrazione della prospettiva e dei volumi e di annullamento di ogni profondità, delle mezze tinte e del chiaroscuro attraverso la definizione di superfici di colore piatto. Anche quando verrà posto a capo della scuola degli Impressionisti, da cui peraltro si distaccherà presto, Manet userà in maniera libera colori (come il nero) che non seguono le regole della complementarità della pittura en plein air.

Edouard Manet: "Il balcone" (1868)

Edouard Manet: "Il balcone" (1868)

MONET

L'approccio diretto alla realtà senza fardelli ideologici, attraverso l'esperienza della luce che si materializza nelle cose, sta alla base della poetica impressionista trovando la sua realizzazione nella pittura en plein air, cioè eseguita all'aperto a diretto contatto con la natura senza le finzioni e mediazioni del lungo lavoro nell'atelier. Una predominanza quindi della sensazione visiva che trova nelle ricerche ottiche contemporanee una giustificazione anche scientifica. Claude Monet (1840-1926), ed in generale gli Impressionisti, cercarono, infatti di ricreare sulla tela la sensazione ottica della vibrazione luminosa applicando la divisione della luce nello spettro solare, la teoria dei colori complementari ed eliminando programmaticamente il nero, colore che nella percezione visiva non è mai presente in assoluto in natura. Il suo quadro intitolato Impressione, levar del sole (1872), (esposto nel 1874 nello studio del fotografo Nadar nella prima mostra del gruppo impressionista e a cui si deve il nome del movimento) è il risultato degli studi del pittore dal vero e della sua acquisita sensibilità agli effetti della luce. Accanto all'applicazione delle ricerche sull'ottica e la luce trovava anche modo di inserire la stilizzazione della linea e del colore derivante dalle stampe giapponesi che si andavano diffondendo allora. Monet affrontava ciclicamente lo stesso soggetto in differenti ore del giorno e periodi dell'anno, riportando quella che doveva essere la trascrizione di una realtà assoluta alla relatività della luce che sembrava mutare oltre che la sensazione visiva anche la sostanza stessa del soggetto. Nelle venti tele eseguite sulla Cattedrale di Rouen (1892-1894) non è solo il colore ma tutta la superficie del quadro che muta al mutare della luce dimostrando anche che non è determinante il soggetto per la costruzione di un quadro, ma innanzi tutto la materia pittorica di cui è composto.

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SEURAT

Delacroix aveva adottato il sistema della mescolanza ottica dei colori (accostandoli cioè sulla tela anziché sulla tavolozza) e si era valso delle leggi dei colori complementari, pur servendosi ancora di colori impuri e terrosi mentre gli Impressionisti avevano impiegato solo colori puri, aumentando così la luminosità del quadro ma mescolando ancora i pigmenti e non osservando le leggi dell'ottica. Il Neoimpressionismo elabora invece un metodo derivato dalle osservazioni scientifiche dei fenomeni ottici, servendosi dei soli colori puri non mescolati ma accostati sulla tela in pennellate di forma e dimensione diversa e tale da ottenere la massima luminosità. Si sa infatti che i tre colori fondamentali dello spettro solare (giallo, rosso e blu) danno la luce bianca. Perciò la mescolanza ottica dei colori (accostati cioè sulla tela) raggiunge un grado di luminosità maggiore dei pigmenti mescolati sulla tavolozza: il viola, ad esempio, è ottenuto accostando pennellate rosse e blu. D'altra parte ogni colore subisce influenza, oltre che dalla luce, dai colori vicini, per cui il risultato finale è dato da tutte queste componenti che verranno riportate sulla tela per dare l'esatta idea della realtà. La realtà cui Georges Seurat (1859-1891) aspira non è, tuttavia, quella ottico-percettiva o fotografica ma un complesso rapporto di segni e simboli tra il mondo reale e quello scientifico per cui il risultato finale è la mediazione intellettuale dell'artista tra i numerosissimi studi dal vero e l'ideale (e ormai astratta) realtà del quadro. Ritorna qui la stessa sensazione di spazio immobile, raggelato, di Piero della Francesca: qui lo spazio non è però ottenuto attraverso la geometrica costruzione del disegno ma attraverso la luce e il colore. Una domenica pomeriggio all'isola della Grand-Jatte è un quadro che, portando alle estreme conseguenze le teorie positiviste e scientiste degli Impressionisti, giunge paradossalmente ad affermare una realtà, mentale e non più corrispondente alla visione reale.

Seurat:"Domenica pomeriggio all'isola della Grand-Jatte"

Seurat:"Domenica pomeriggio all'isola della Grand-Jatte"

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LA CULTURA DEL REALISMO BORGHESE

La concezione di Courbet per una pittura realista diviene equivoca quando si incontra con la pittura di soggetto storico e si pretende che questa diventi sistema per la rappresentazione di qualsiasi avvenimento, anche situato in un altro tempo, spesso a sfondo moraleggiante o didascalico. In realtà la differenziazione linguistica tra la pittura di Courbet e quest'ultima è fondamentale: alla pittura come arte concreta, che rappresenta, cioè, solo cose reali ed esistenti, viene contrapposta una pittura che esprime concretamente (cioè attraverso una verità fotografica) un evento storico del passato ed i cui limiti cronologici si allargano sempre più sino a comprendere oltre alla vita quotidiana dei Romani o dei Greci, di ascendenza neoclassica, l'età della pietra o il regno di Luigi XVI. L'unico dato comune resta la plausibilità e la precisione oggettiva dello scenario, dipinto con estrema esattezza realistica e pseudoscientifica come se l'artista vi stesse veramente partecipando. Nel dipinto di Jean-Léon Gérôme (1824-1904), L'eminenza grigia, la ricostruzione storica è ambientata nel XVII secolo di Luigi XIII e del cardinale Richelieu e ritrae il padre Giuseppe, un monaco soprannominato «Eminenza grigia» per la sua influenza sul cardinale nei rapporti tra Chiesa e Stato, mentre è riverito dalla corte. La ricostruzione storica trova un preciso parallelo nel grande successo del feuilleton, romanzo d'appendice pubblicato a puntate sui giornali. In questo caso si tratta dell'ambiente in cui si muovono i personaggi del romanzo di Alexandre Dumas I Tre Moschettieri.

Jean-Lèon Gérôme: "L'eminenza grigia" (1873)

Jean-Lèon Gérôme: "L'eminenza grigia" (1873)

La nuova tecnologia dei materiali (ferro, vetro, ecc.) che si andava diffondendo nella seconda metà dell'Ottocento trova del tutto impreparato ad accoglierla un gusto ancora legato a schemi culturali settecenteschi ed allo storicismo ottocentesco. è così che alla struttura tecnologicamente e stilisticamente raffinata del Palazzo di Cristallo, eretto per l'Esposizione del 1851, si contrappone il barocchismo e l'eclettismo degli oggetti e dei prodotti industriali esposti. Persino nei macchinari dell'industria la struttura funzionale dell'oggetto era nascosta da una sovrastruttura puramente decorativa. D'altra parte alcuni nuovi procedimenti industriali (come la galvanoplastica) consentivano di realizzare in serie oggetti e piccole statue con materiali meno pregiati e formalmente più rozzi dei loro modelli di riferimento ma soddisfacenti per il gusto della borghesia. La costante aspirazione ad una collocazione sociale della classe borghese ottocentesca che cercava di rivivere in piccolo i fasti dell'aristocrazia che l'aveva preceduta si ritrova, paradossalmente, nei cimiteri dove la rappresentazione della vita quotidiana viene sacralizzata e monumentalizzata a eterna memoria del defunto. L'attenzione ai tratti fisiognomici, agli abiti, ai simboli della collocazione sociale, che si invera nel dettaglio descrittivo e naturalistico ricrea all'interno di una sorta di ricostruzione della città, qual è quella dei cimiteri ottocenteschi, la quotidianità del gesto, reso con precisione oggettiva. La vita familiare, il lavoro, la tranquilla conversazione si pongono come continuazione oltre la morte nella memoria dei familiari e degli amici. La figura perpetuata nella statua cimiteriale diventa esempio di virtù da tramandare ai posteri, analogamente a quanto avveniva per i monumenti pubblici dedicati ai grandi della storia.

Il monumento eretto a Torino nel 1879 ad opera degli scultori Luigi Belli e Edoardo Tabacchi celebra in termini simbolici, nell'entusiasmo positivista, l'apertura del traforo del Moncenisio: è il trionfo della scienza sulle forze della natura, identificata con i Titani. I massi che ne costituiscono la base sono tolti dal Fréjus: una trasposizione in chiave apparentemente realistica vicina allo spirito con cui Courbet aveva dipinto Lo spaccapietre. In realtà è un modo per esprimere con grande retorica il trionfo del progresso, identificato nel genio alato che si erge in cima al monumento. L'idealizzazione delle figure, tradotte secondo criteri classicisti occulta quanto vi era di negativo in termini di costo in vite umane, dietro l'impresa. Il genio, rappresentato spesso come fanciullo o fanciulla alati, diventa elemento ricorrente della rappresentazione simbolica e idealizzante delle scoperte scientifiche e tecniche dell'uomo, personificazione di concetti quali Patria, Progresso, Storia, Industria, Meccanica, ecc.: dal parafulmine (Genio di Franklin del 1871) sino al paradossale Genio del Tiro al Piattello. Nelle città industriali in cui forti erano le tensioni all'interno delle nuove classi lavoratrici, la pittura che si ispirava al verismo sociale ben esprimeva le contraddizioni di un atteggiamento in bilico tra ribellione sociale e manzoniana rassegnazione cristiana cui erano improntate le posizioni teoriche degli intellettuali e degli artisti. Nell'opera Le vittime del lavoro, scultura in bronzo realizzata da Vincenzo Vela (1820-1891) un anno dopo l'apertura del traforo del Gottardo, quale antiretorica celebrazione dei martiri del lavoro, l'artista rigetta ogni canone di bellezza accademica: le figure deformi, pesanti, esprimono bene la fatica e la quotidiana sopportazione del lavoro senza alcun atteggiamento o di rassegnazione o di ribellione irrazionale. In pittura la nuova concezione del complementarismo cromatico in funzione di una maggiore verità oggettiva trova il modo di inserirsi all'interno delle tematiche di realismo sociale. Nei dipinti di Morbelli e di Pelizza da Volpedo (e più tardi nelle prime opere di Balla e Boccioni) si affrontano i nuovi temi con gli strumenti dell'oggettività scientifica del Divisionismo caratterizzato da un desiderio di maggiore rispondenza del soggetto rappresentato alla realtà autentica, ma anche dalla necessità di allontanarsi dal più vieto verismo descrittivo e letterario che tendeva a risolvere i conflitti sociali in un complesso di pietà e di bontà.

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