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VITA DEGLI ANIMALI - UCCELLI - CANTATORI

INTRODUZIONE

Nella classificazione degli uccelli si è data una importanza sempre maggiore ai dati derivanti dall'esame della struttura interna, che, per lungo tempo non sufficientemente studiata, era stata, per il passato, trascurata come fonte essenziale di elementi differenzianti tra ordine ed ordine, tra famiglia e famiglia e tra specie e specie.

Certo, sulla base della struttura interna, si possono avere differenze ed affinità che sono assai importanti per avvicinare od allontanare tra loro certi uccelli, magari mutando completamente i termini di una classificazione precedente, ancora fondata su criteri eminentemente empirici;

occorre però guardarsi da un pericolo, quello di assegnare alla conformazione interna un valore esclusivo e assoluto ai fini della classificazione.

Per esempio, non sarebbe esatto considerare indiscriminatamente come cantatori tutti quegli uccelli che abbiano completamente sviluppato l'apparato vocale del canto:

occorre considerare le abitudini di vita, l'alimentazione, i metodi di riproduzione, insomma tutta la essenza e l'esistenza delle singole specie.

Sulla base di una osservazione di questo genere, la sola veramente compiuta e non empirica, né facilmente tecnicista, è possibile procedere alle classificazioni.

Pertanto, per stabilire affinità e discordanze, è necessario approfondire la conoscenza del complesso dei tratti caratteristici delle diverse specie, considerando come fondamentale non già la somiglianza, che potrebbe essere accidentale, di singoli caratteri, bensì la somma di tutti i caratteri che ci sembrano eguali.

In altre parole, la perfetta somiglianza di un singolo carattere - nel nostro caso l'apparato vocale - non consente di accostare tra di loro individui che per altri versi mostrerebbero delle divergenze inconciliabili:

l'accostamento sarà possibile solo tra quelle specie che, oltre a presentare la somiglianza citata, ne posseggano molte altre, cosicché la somma dei caratteri affini superi largamente quella dei discordanti.

Le specie che, secondo un criterio classificatorio di questo genere, fanno parte dell'ordine dei Cantatori, sono quasi tutte piccole, di forme eleganti, aspetto gradevole e costumi piacevoli.

Dotate di capo slanciato, collo breve e becco piccolo, cioè debole e corto, foggiato a punteruolo più che a cono, rettilinee o tondeggianti, hanno poi il piede ricoperto di squame larghe, strutturalmente forte e di media lunghezza, le ali e la coda di medie proporzioni.

Riguardo al becco va ancora aggiunto che esso alcune volte può assumere un andamento leggermente incurvato e la mascella superiore può apparire fornita di dentellature più o meno distinte.

La consistenza delle piume, e quindi dell'abito, è sempre abbondante e morbida, e il colorito prevalentemente uniforme, benché anche in quest'ordine non manchino affatto le specie che fanno sfoggio di colori molto belli;

di solito non ci sono differenze di rilievo tra i due sessi, mentre l'abito dei giovani è quasi sempre diverso da quello degli adulti.

La struttura interna non è diversa - salvo i casi particolari che descriveremo occupandoci delle singole famiglie - da quella dei passeracei;

l'apparato muscolare del canto non presenta differenze di rilievo tra specie e specie, ed è naturalmente sempre sviluppato;

le specie che mostrano in questo senso delle caratteristiche particolari sono quelle che hanno voce più piena e sonora.

I Cantatori sono distribuiti su tutta la terra, e formano una parte importante della classe degli uccelli di tutte le latitudini e di tutte le altitudini, dagli scogli isolati del Mar Glaciale alle siepi dei nostri giardini, dai contrafforti montuosi più elevati alle pianure, dai luoghi fertili ai deserti.

Verso i Poli il loro numero diminuisce, ma non mancano neppure nel più rigido settentrione;

e le loro abitudini, che li classificano come uccelli arboricoli, consentono loro di vivere anche dove l'unica dimora è offerta dagli arbusti e dai bassi cespugli, dai canneti e dalle erbe.

Nei confronti dell'uomo sono generalmente assai confidenti, e non solo non lo sfuggono, ma cercano la vicinanza delle sue case, dei suoi orti e dei suoi giardini.

Le caratteristiche dell'indole li classificano come animali estremamente amabili.

Nel volo non hanno l'agilità e la speditezza dei rapaci o dei fissirostri, ma si muovono comunque in maniera egregia, soprattutto sulle distanze non troppo lunghe;

scivolano tra gli arbusti più folti, si arrampicano con arte da giocolieri tra i rami, e sul terreno saltellano agilmente;

in certi casi mostrano pure un alto grado di dimestichezza con l'acqua, sfiorandola, immergendovisi, o attraversandone coraggiosamente le fragorose e spumeggianti cascate.

I loro sensi raggiungono un livello di sviluppo uniformemente elevato:

primeggiano la vista e l'udito, ma anche il gusto ed il tatto sono tutt'altro che rudimentali.

Alla considerevole mole del cervello corrisponde una intelligenza sviluppata e una grande amabilità e vivacità di carattere.

Nessuno che li conosca potrebbe certo definire i Cantatori come uccelli poco svegli:

durante il giorno danno continue prove di mobilità e di prudenza, sanno distinguere assai bene le persone e le situazioni pericolose da quelle che non possono in alcun modo danneggiarli.

La loro caratteristica principale è data dalla perenne frenesia di attività:

nemici dell'inerte sonnecchiare, sono in continuo movimento dal primo mattino fino a notte inoltrata, dedicando al riposo solo il tempo indispensabile a ritemprare le forze perpetuamente sottoposte alle prove più intense nella accanita ricerca del cibo e nei giochi aerei e terrestri, inframmezzati da canti entusiastici e costanti.

Proprio quest'ultima caratteristica è quella che forse colpisce più da vicino le umane facoltà d'immaginazione, e ci spinge ad ammirare quest'ordine di uccelli:

il canto non è per essi solo un mezzo per divertire gli altri, ma serve loro ad esprimersi, a rallegrarsi, e ne usano come di uno strumento, a volte persino come un'arma destinata a combattere, e con la quale vincono o soggiacciono.

Chiunque abbia udito cantare un usignolo od un lordo non può non essersi reso conto della loro pienezza di vita, dell'eccitabilità della loro natura, e non aver compreso che senza forti passioni nessuno potrebbe esprimersi allo stesso modo.

Perciò non è da considerare azzardato o ridicolo il paragone tra i Cantatori ed i poeti;

in realtà, nella sua natura poetica, questo paragone rende giustizia ai nostri animali, che sono tra gli uccelli ciò che i poeti sono tra gli uomini.

L'alimentazione si compone prevalentemente di insetti e di frutta, e solo poche specie si nutrono di animali o di sementi:

in generale sono tutti predoni, e predoni crudeli e dannosi.

Naturalmente, il tipo del cibo di cui abbisognano spiega la necessità delle migrazioni invernali da parte di quelli che abitano nelle regioni più settentrionali e sono costretti a cambiare dimora quando il clima sia tale da rendere praticamente impossibile la soddisfazione delle esigenze vitali.

Durante i viaggi di spostamento da una regione all'altra, o dall'uno all'altro Continente, i Cantatori si riuniscono in gruppi numerosi ai quali partecipano i rappresentanti di specie diverse, e vivono in buona armonia;

ma si tratta di una condizione eccezionale, poiché la regola generale, che soffre di rarissime smentite, li vuole solitari ed esclusivi, soprattutto durante il periodo degli amori che induce le singole coppie ad affermare una precisa supremazia su determinate zone e da scacciare irrimediabilmente gli intrusi.

Nella costruzione del nido i Cantatori sfoggiano gradi diversissimi di abilità e di impegno: alcuni sono eccellenti tessitori e sarti, capaci di usare il becco come l'uomo riesce a maneggiare un ago, altri, indolenti, si limitano ad ammucchiare alla rinfusa una certa quantità di materiali, oppure a rivestire sommariamente le cavità degli alberi.

Le uova, il cui numero è sempre elevato e si mantiene di solito sulle cinque o sei, sono prevalentemente di guscio sottile, variamente colorato e segnato;

alla loro cova si dedicano entrambi i genitori, che naturalmente proseguono la loro collaborazione anche quando si tratti di provvedere all'alimentazione della prole.

La covata si ripete normalmente due volte nel corso dell'estate, e soltanto per alcune specie essa è unica, ed i piccoli sono di solito molto precoci.

Essi imparano velocemente a volare, ad alimentarsi e ad essere autosufficienti in ogni circostanza.

Dall'uomo i Cantatori meritano rispetto e protezione per i molteplici servigi che rendono alle sue attività agricole:

sono ben pochi quelli cui si potrebbe attribuire la qualifica di dannosi per essere dediti alla distruzione degli uccelli utili, e nella maggior parte essi liberano i nostri giardini dagli insetti nocivi e vegliano sulle nostre piante meglio di quanto potremmo fare noi stessi.

Se a questo aggiungiamo l'abilità nel canto, destinata a rallegrare i luoghi abitati ed a recarci l'annunzio della primavera, ci apparirà chiaro quanto sia deprecabile l'assidua opera di distruzione che l'uomo compie nelle file di questi volatili per servirsi delle loro carni generalmente saporite;

specialmente l'uccisione dei piccoli esemplari è una colpa che meriterebbe di essere severamente punita.

L'uso di tenere questi uccelli in gabbia è molto diffuso, e trova la sua spiegazione, com'è logico, nella loro attitudine al canto e nel desiderio che ha l'uomo di tenersi vicino degli animaletti destinati a rallegrarlo.

Tuttavia, per consentir loro di vivere bene, è necessario avere nozioni molto precise sui loro modi di vita e sulle regole che occorre osservare per mantenerli e per allevarli.

In caso contrario, non si fa che insistere nel danneggiarli, e sappiamo bene quanto essi non lo meritino.

AVERLE

Sotto il nome di Averle si pone un numeroso gruppo di uccelli diffusi in tutto il mondo, e caratterizzati per il corpo robusto, il petto arcuato, il collo lungo e forte su cui si innesta la testa grande e rotonda;

le loro ali sono brevi, larghe ed arrotondate, la coda è di lunghezza variabile, il becco robusto, compresso ai lati, fortemente uncinato e provvisto di un dente ben definito, ed i piedi sono di media lunghezza, ma robusti e muniti di unghie forti ed affilate.

La loro ordinaria dimora è costituita dai piccoli boschetti circondati da prati e da campi, ed inoltre dalle siepi, dai cespugli e dagli alberi isolati.

Di solito si posano sui rami più alti e sulle cime degli alberi, e le specie settentrionali hanno la regolare abitudine di migrare spingendo i loro viaggi fino all'Africa centrale.

Per i costumi e per l'aspetto le Averle meritano bene l'appellativo di uccelli strozzatori, perché, nonostante la loro mole ridotta, sono fra i volatili più ladri e sanguinari.

Esse si cibano innanzi tutto di insetti, ma poiché la loro smania di sangue non si accontenta di questa preda, assalgono anche gli uccelli più piccoli, ai quali riescono tanto più dannose quanto meglio ispirano una fiducia della quale sono astutamente pronte ad approfittare nel modo più vergognoso.

Se ne stanno posate fra gli altri uccelletti, accrescendone l'impudente confidenza con l'unirsi al loro canto ed ai loro giuochi, ma ad un tratto si scuotono, afferrano uno dei più vicini e lo strozzano ferocemente.

Singolare e crudele è il loro uso di infilzare le vittime sulle acute spine:

dove una coppia di averle abbia posto la sua dimora è cosa abituale trovare insetti, o anche rettili e piccoli uccelli, infilzati in tal modo, come se la visione delle vittime agonizzanti procurasse loro un malvagio piacere.

Le facoltà di questi uccelli, senza essere veramente eccellenti, sono comunque tali da consentir loro di fare un po' di tutto.

Volano piuttosto male ed irregolarmente, sul terreno si muovono saltellando, e tuttavia sono in grado di sorprendere non solo gli insetti, ma, come abbiamo visto, anche vertebrati molto più lesti di loro, uccidendoli malgrado la mediocrità delle loro armi.

La voce di cui naturalmente dispongono è monotona e si risolve in un canto privo di valore, ma esse rimediano mirabilmente a questo difetto spiando ed imitando il verso degli altri uccelli:

grazie a questa abitudine, alcune specie sono annoverate fra i cantatori più graditi e fanno la delizia degli amatori.

Le Averle nidificano normalmente una sola volta all'anno, e costruiscono nel fitto degli arbusti o delle chiome degli alberi un nido piuttosto accurato e adorno di ramoscelli verdeggianti.

Depongono da quattro a sei uova, alla cui incubazione provvede esclusivamente la femmina, mentre il maschio va in caccia di cibo.

Entrambi i genitori nutrono e difendono dai pericoli la prole, guidandola per lungo tempo anche dopo averle insegnato a volare e non abbandonandola che in autunno inoltrato o, addirittura, in inverno.

AVERLA MAGGIORE (Lanius excubitor)

Di mole ragguardevole, questi uccelli misurano in lunghezza circa venticinque centimetri, e ne hanno trentacinque di apertura alare, dieci di ala e circa dodici di coda. Il piumaggio è cinerino nelle parti superiori e bianco nelle inferiori; larghe redini nere attraversano l'occhio, e lo stesso colore è diffuso sulle ali, interrotto dal bianco che ricopre in parte le penne remiganti; sulla coda le due penne centrali sono nere, e questo colore va gradatamente sfumando fino alle timoniere estreme di colore bianco, interrotto soltanto da una grande macchia centrale e da striature nere. Il colore dell'occhio è bruno, nero quello del becco e plumbeo quello del piede; le femmine presentano generalmente una colorazione meno scura, mentre i giovani sono segnati da leggere ondulazioni, soprattutto definite nella regione del petto. I luoghi di diffusione dell'Averla Maggiore sono molto estesi, e comprendono quasi tutti i Paesi d'Europa (in Italia la si trova di rado e solo durante la stagione invernale), l'Africa del nord, le regioni meridionali dell'Asia e quelle settentrionali del continente americano. In primavera e in autunno l'uccello percorre in ogni direzione i propri paesi d'origine, durante l'inverno si accosta volentieri ai luoghi abitati e nell'estate si tiene in coppie ai margini dei boschi o sugli alberi isolati dei campi; questi ultimi sono i suoi luoghi preferiti, e qui esso è solito nidificare. Si spinge in altezza fino ai monti non troppo elevati ed è assente dalle regioni paludose. Lo si scorge di solito sulle più alte cime degli arbusti che gli consentono di dominare ampi spazi all'intorno: immobile, ora eretto con la coda penzolante, ora con tutto il corpo in posizione orizzontale, dirige senza tregua il proprio sguardo in tutte le direzioni, e nessun particolare della vita animale circostante riesce a sfuggirgli. Non appena scorge un uccello di mole rispettabile, e soprattutto se si tratta di un rapace, l'Averla Maggiore lo saluta con alte strida e lo insegue arditamente aizzandolo e beffandolo. Il suo grido d'allarme avverte del pericolo tutti gli altri uccelli, per cui non a torto le è stato dato il nome di «guardiano». Se scorge qualche piccolo animale, lo assale e cerca di raccoglierlo, magari dedicandosi ad un lungo inseguimento reso malagevole dalla difficoltà con cui si muove sul terreno. E' durante la stagione invernale che il nostro uccello spiega in modo particolare la sua crudeltà nei riguardi dei suoi simili più piccoli e deboli: se ne sta posato e in apparenza pacifico tra i passeri che si godono il tepore del sole, e ad un tratto, scelta una preda, la afferra ai fianchi e la uccide a colpi di becco e ad unghiate; aiutandosi col rostro e con i piedi la trasporta in luogo sicuro, e, se la fame non lo spinge a divorarla immediatamente, la infilza su una spina o all'estremità di un acuto ramoscello per scarnirla e divorarla più tardi strappandone la carne a brandelli. Il suo coraggio lo spinge ad assalire anche animali più forti di esso: l'Averla Maggiore è stata vista mentre inseguiva i tordi e i merli, ed osava addirittura scagliarsi contro le pernici trattenute dai lacci dei cacciatori. Se la sua agilità fosse pari all'ardimento, i piccoli uccelli non avrebbero un nemico peggiore: fortunatamente le sue imprese vanno spesso fallite, ma ciò non toglie che sia un pericolosissimo predone e che l'uomo dovrebbe scacciarla dal recinto delle sue terre per proteggere gli uccelli più piccoli ed utili di lei. Non molto abile nel volo, si limita a spostarsi da un albero all'altro, con movimenti tenuti su linee ondulate e caratterizzati da un rapido battere d'ali e da un frequente allargarsi delle penne remiganti.

Non regge nell'aria per più di un quarto d'ora, ed affronta spazi così lunghi solo quando deve spostarsi da un monte all'altro e non gli si offrono dei comodi punti di riposo intermedi. Tra i suoi sensi il più sviluppato è certamente quello della vista, cui segue molto da vicino il finissimo udito; quanto ad intelligenza, l'Averla Maggiore non ne sembra molto dotata, e, se si dimostra spesso furba ed accorta, presenta pure una spiccata tendenza al litigio che la porta ad istigare ed inquietare gli altri uccelli, a respingere quelli che osano avvicinarsi al territorio che essa considera di sua proprietà ed a cimentarsi in zuffe continue anche con gli individui della sua stessa specie. Una calma relativa si manifesta soltanto nel periodo della riproduzione, quando le coppie vivono fra di loro in buona armonia; venuto l'inverno e sciolta la famiglia, ciascuno fa da sé e tratta gli altri come nemici. I suoni emessi da questi uccelli sono estremamente variabili ed è difficile darne una definizione comune. Ordinariamente, il grido è piuttosto ingrato, il richiamo alquanto più dolce; mentre, nelle belle giornate d'inverno e soprattutto all'avvicinarsi della primavera, l'Averla fa udire un canto composto di suoni molteplici e variati, frutto delle sue spiccate doti imitative. In esso, infatti, si mescolano le voci di tutti gli altri cantatori che abitano il medesimo distretto, riuniti e composti secondo il suo fantasioso capriccio. Astutamente, qualche volta, l'Averla Maggiore emette dei suoni simili al pigolìo degli uccelli appena nati, per attirare la curiosità degli altri volatili sui quali è poi pronta a lanciarsi. Il periodo della riproduzione incomincia solitamente nel mese di aprile: gli uccelli scelgono nei boschetti o nei giardini un albero adatto, e sui suoi rami costruiscono, usando steli secchi ramoscelli e muschio, un nido piuttosto grande e ben rifinito, rivestendone la conca interna con sostanze tra le più soffici. In esso la femmina depone da quattro a sette uova di fondo grigio verdiccio, cosparse di macchie brune e cenerine, covandole poi per circa quindici giorni. Entrambi i genitori si occupano dell'alimentazione e dell'allevamento della prole, e provvedono a difenderla contro le insidie esterne con grande coraggio e spesso con abilità sorprendente. Mio padre racconta a questo proposito un episodio assai indicativo: essendosi una volta recato in un boschetto con l'intenzione di uccidere qualche averla, incontrava grandi difficoltà, poiché non solo gli adulti gli sfuggivano, ma con alte strida provvedevano pure ad avvertire i piccoli del pericolo e li inducevano ad allontanarsi. Riuscito finalmente a scorgerne uno appollaiato su di un ramo, già si apprestava a spianare il fucile, quando improvvisamente la femmina, visto che le sue grida non avevano effetto, si precipitò sul figlio e, colpendolo, con l'ala gli fece perdere l'equilibrio, sottraendolo in pari tempo al bersaglio del cacciatore. I peggiori nemici di queste specie di volatili sono i grandi rapaci come l'astore e lo sparviero: le averle maggiori li riconoscono bene e, per quanto possono, sfuggono la loro vicinanza. Può tuttavia accadere che, spinte dalla loro tendenza ad aizzare e ad inseguire gli altri uccelli, non desistano neppure di fronte a così potenti avversari e restino vittime della loro forza enormemente superiore. Dare la caccia ai nostri uccelli non presenta eccessive difficoltà, se si seguono certe precise regole che tengono conto della loro idiosincrasia nei confronti dell'uomo; spesso è anche possibile impadronirsi di individui di giovane età, che alla vita di prigionia si adattano rapidamente e di buon grado. Familiarizzano coi padroni e si affezionano, ma bisogna badare a non introdurre nella gabbia altri uccelli, perché i loro sanguinari istinti sono infallibilmente pronti a risvegliarsi.

AVERLA MERIDIONALE (Lanius meridionalis)

Le misure delle averle di questa specie vanno dai ventiquattro centimetri della lunghezza complessiva, circa undici dei quali fanno parte della coda, ai dieci delle singole ali che, spiegate, raggiungono i trentadue centimetri. Il colorito del loro abito, complessivamente più elegante di quello delle averle maggiori, nelle parti superiori è grigio scuro e nelle inferiori bianco con una sensibile sfumatura violacea sul petto; la fronte e le redini sono nere, e così pure le ali segnate da una macchia bianca, mentre sulla coda le quattro timoniere mediane sono nere, le due seguenti bianche per metà, e quelle esterne del tutto bianche. Il colore degli occhi è bruno; il becco è nero-azzurrognolo sulla mascella superiore, mentre l'inferiore ripete questo colore all'apice ed ha la base azzurrina, mentre le estremità inferiori sono nere. L'Averla Meridionale, come si deduce dal suo nome, è specialmente diffusa nel sud del continente europeo - in Italia è tuttavia assai rara - ed è rappresentata nel Nord Africa da una specie del tutto simile; nella Spagna essa è la sola specie stazionaria tra tutte quelle della sua famiglia, nella Penisola Ellenica, viceversa, si comporta da uccello migratore, trascorrendovi l'estate e ripartendo con i primi freddi autunnali. I suoi costumi non si differenziano che per qualche particolare da quelli delle averle maggiori: ad esempio, per l'abitudine di stabilire il nido sulle cime degli alberi, e specialmente su quelle degli olivi. La costruzione è intessuta, nelle pareti esterne, di steli freschi, e la cavità interna è rivestita di lana di pecora o di peli di capra; in essa la femmina depone generalmente cinque o sei uova di fondo biancastro e cosparse di macchie e puntini grigi e rossicci.

AVERLA CINERINA (Lanius minor)

Lunghi circa diciotto centimetri, e forniti di una apertura alare che raggiunge i trentacinque, gli uccelli di questa specie hanno il piumaggio colorato generalmente di cinerino scuro sulle parti superiori e di bianco sulle inferiori, segnate sul petto da una larga e sfumata macchia rosea; e per il resto, cioè nei colori della coda e delle ali, richiamano in ogni particolare la tinteggiatura ed il disegno della specie precedente.

Gli occhi sono bruni, i piedi grigiastri ed il becco nero; tutti questi toni di colore si ritrovano puntualmente ripetuti nell'abito degli individui di sesso femminile; i piccoli, invece, hanno la fronte biancastra e l'addome gialliccio e striato trasversalmente di grigio.

Averla cinerina

Averla cinerina

L'Averla Cinerina abita le pianure con abbondante vegetazione dell'Europa centrale, ed è frequentissima anche in Italia; uccello migratore, arriva tra noi verso i primi di maggio, e con l'agosto già si dispone a ripartire verso il continente africano, che la ospita durante l'inverno nelle sue regioni settentrionali e centrali. Tutti i naturalisti sono concordi nel descrivere questi volatili come eleganti e graziosi, nonché di indole innocua. Sia in volo che posati, offrono alla vista uno spettacolo piacevolissimo, benché non smentiscano la familiare avversità agli spostamenti aerei troppo prolungati: si muovono nell'aria dolcemente e con leggerezza, ondeggiano a tratti come fanno i rapaci e, quando il tratto da superare è troppo esteso, lo interrompono con frequenti discese sul terreno, nel corso delle quali descrivono morbidi archi di cerchio. Non li si ritiene in genere responsabili di attacchi agli altri uccelli: il loro cibo è esclusivamente composto di insetti, farfalle, coleotteri e locuste e delle loro larve o crisalidi. Nei loro rapporti con le prede abituali non smentiscono la tradizionale crudeltà, ma limitano al quanto la tendenza a divertirsi infilzandole alle spine o alle acute estremità dei ramoscelli per assistere alla loro agonia e poi divorarle. L'Averla Cinerina non è da meno delle affini quanto a disposizioni imitative: anch'essa è pronta ad apprendere ed a ripetere il verso delle altre specie di volatili, e se si sente nei luoghi dove essa abita il canto del verdone, del passero, della rondine, della paterana o della quaglia variamente intrecciati e frammisti, si può essere certi che la musica viene dall'ugola dell'Averla Cinerina. Certo, non la si può considerare molto ordinata sotto questo aspetto: evidentemente spinta dalla sua indole turbolenta e instabile, non riesce ad isolare i suoni delle singole specie imitate, ed a ripeterli partitamente, ma tende costantemente a mescolarli in un risultato armonico complessivo che, se è curioso, può anche assumere caratteristiche abbastanza sgradevoli. Il nido viene sempre collocato tra il denso fogliame degli alberi, ad una discreta altezza; di proporzioni notevoli, e fatto di radici secche, di ramoscelli, di erbe e paglia nella parte esterna, ed è rivestito internamente di un soffice strato di lana, piume e crini. Di solito, verso la fine di maggio, vi si possono trovare sei o sette uova di colore bianco verdiccio e costellate di macchie e punti bruni e violetti, alla cui cova provvedono, alternandosi, i due genitori.

Essi si dedicano poi all'allevamento dei piccoli, alimentandoli con insetti di vario genere e difendendoli coraggiosamente da tutte le insidie esterne: se un rapace, grande o piccolo, si avvicina al nido con intenzioni bellicose, lo inseguono, lo beccano, lo tormentano fino a che non riescano ad allontanarlo, e anche se la minaccia viene dall'uomo, interessato alla cattura dei nuovi nati, lo affrontano coraggiosamente, gridando e lanciandosi a colpire con il corpo e con il becco il viso dell'intruso. Non è necessario molto tempo perché i piccoli crescano, ma i genitori li seguono a lungo anche dopo che hanno imparato a volare; ed occorre una fatica non indifferente per soddisfare la loro avidità di cibo, specialmente quando la stagione si fa grigia e piovosa e diventa particolarmente difficile rintracciare e catturare gli insetti. In questi casi, nella dieta dei piccini rientrano spesso anche brandelli di carne strappati dai genitori ai piccoli uccelli, che essi non esitano ad attaccare sotto la spinta della disperazione e della fame. Tra i nemici più molesti dell'Averla Cinerina vanno annoverati, ancora una volta, l'astore e lo sparviero, mentre corvi, gazze e cornacchie si dedicano, per quanto possono, alla distruzione dei suoi nidi, sorprendendo spesso le pur abili e coraggiose difese che padre e madre hanno predisposto. Quanto agli uomini, quelli che la conoscono e sanno di doverla considerare un uccello sostanzialmente utile si guardano dal molestarla, e cercano tutt'al più d'impadronirsene per tenerla in gabbia: qui essa spiega infatti una natura amabile, e si rende gradita per l'eleganza del suo aspetto e per la facilità con cui impara a ripetere i suoni più diversi. Occorre anche per essa osservare la precauzione di non accompagnarla con altri uccelli, pena l'insorgere dei suoi istinti sanguinari che, in libertà, vengono quasi regolarmente repressi.

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