(dal latino
tribunus, der. di
tribus:
tribù). Nell'antica Roma, denominazione di magistrati, funzionari e
ufficiali che ricoprivano cariche aventi in origine una qualche connessione con
le tribù (V. OLTRE). ║ In età
medioevale e moderna, titolo talora conferito ai membri di particolari
magistrature o assemblee. ║ Fig. - Con tono polemico, persona di idee
rivoluzionarie e dotata di grandi capacità oratorie. ║ Fig. - In
senso spregiativo, politico che parla in maniera demagogica. • St. -
T.
della plebe: denominazione dei capi annui della plebe,
introdotti, secondo la tradizione, nel 494 a.C. Originariamente in numero di due
(o quattro o cinque), già prima del 449 a.C. erano divenuti dieci. La
loro autorità era non
legitima, ma
sacrosancta: essa si
fondava, cioè, non su leggi dello Stato, ma su un giuramento di
fedeltà compiuto dalla plebe. Il potere dei
t. della plebe fu,
perciò, un potere nella sostanza rivoluzionario, che si concretizzava in
linea di massima nell'
intercessio, vale a dire in un intervento a favore
di un plebeo che si sentiva leso in un suo diritto o interesse per opera di un
magistrato. L'
intercessio, in origine limitata ai decreti dei magistrati,
col tempo venne a essere applicata alle deliberazioni popolari, a quelle dei
comizi centuriati e, infine, anche ai senatoconsulti, ma mantenne a lungo un
carattere esclusivamente negativo; poteva, cioè, essere indirizzata
contro le proposte o le candidature avanzate, ma non prevedeva la
possibilità di produrre proposte o candidature alternative. Perché
l'autorità dei
t. della plebe assumesse degli aspetti positivi, si
dovette attendere la
Lex Hortensia (287 a.C.), allorché i concili
della plebe divennero veri e propri organi normativi dello Stato e le
deliberazioni della plebe (
plebisciti) assursero al rango di
leges. Non solo: mantenendo, comunque, l'autorità tribunizia il
carattere sacrosanto delle origini, i
t. della plebe si trovarono presto
ad avere una posizione di preminenza nei confronti degli altri magistrati.
D'altra parte, le trasformazioni economiche e sociali tendevano sempre
più a normalizzare i rapporti tra Stato e plebe e a stemperare la carica
rivoluzionaria di quest'ultima, cosicché, alla fine, lo stesso tribunato
finì per divenire espressione della nobiltà plebea e per rendersi
organico al sistema. In linea di principio, però, rimaneva intatta la
carica rivoluzionaria dell'ufficio: di ciò si ebbe chiara percezione
verso la fine del II sec. a.C., quando i Gracchi tentarono di usare il tribunato
come strumento per scardinare il vetusto impianto politico e sociale romano. Fu
così che Silla, nella sua opera di restaurazione di un saldo regime
senatorio, ridusse drasticamente il potere dei
t., subordinando, tra le
altre cose, la validità dei plebisciti all'approvazione del Senato. Da
allora l'istituzione iniziò una lenta ma inesorabile decadenza e i
t. vennero man mano esautorati delle loro prerogative. ║
T.
militari: in epoca repubblicana, ufficiali della legione sottoposti al
comandante supremo. Originariamente scelti dai magistrati, successivamente
eletti dal popolo, i
t. militari costituivano i capi dei contingenti di
fanteria delle tre tribù gentilizie; col raddoppio dell'esercito il loro
numero passò da tre a sei, senza più modificarsi nemmeno col
progressivo aumento del numero delle legioni. La riforma augustea dell'esercito
attribuì il titolo di
t. militari a una serie di ufficiali
superiori comandanti di reparto quali: il
t. di coorte pretoria, il
t. di coorte urbana, il
t. dei vigili e degli
equites
singulari, il
t. di coorte ausiliaria milliaria, il
t. di
coorte
ingenuorum sive voluntariorum. ║
T.
aerarii
(
t. pagatori): capi elettivi delle tribù aventi funzioni
amministrative e preposti alla distribuzione del soldo alle reclute.