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Trascendenza.

Filos. - Realtà posta al di fuori del mondo fenomenico, che è inattingibile mediante l'esperienza e che perciò sfugge a ogni tentativo di ricondurla entro il mondo dei fenomeni o entro il processo della storia e del tempo. Il concetto di t. è connesso a una concezione filosofica dualistica della realtà, cioè alla contrapposizione di due realtà diverse: assoluto e fenomeno; eterno e tempo; essere ed esistenza, unità e molteplicità, ecc. Lungo tutta la storia del pensiero, ai sostenitori del concetto di t. si è posta l'esigenza di interpretare la realtà fenomenica e sensibile come mezzo e tramite per la realizzazione dell'Assoluto. Platone cercò di dimostrare che nello stesso mondo fenomenico è presente l'esigenza di una realtà superiore, per cui le stesse forme “inferiori” della conoscenza si configurarono come gradi dell'ascesa alla verità. Assai più legato al mondo fenomenico, Aristotele respinse il dualismo di Platone che aveva concepito le idee come oggetti eterni non raggiungibili con la conoscenza. Nel linguaggio filosofico moderno, è trascendente ciò che si trova oltre un certo ambito, mentre immanente è ciò che si risolve o permane dentro un determinato ambito. Se questo ambito è l'esperienza sensibile, si indicherà con t., come afferma Kant, una realtà irriducibile alla conoscenza e alle sue forme. Nella teologia cristiana il concetto di t. viene per lo più a coincidere con quello di Dio inteso come persona e creatore libero del mondo, in contrapposizione alle concezioni immanentistiche volte a identificarlo con la natura. Nell'Idealismo postkantiano vengono definite immanentistiche tutte le filosofie che, contro la metafisica della t. e lo Spiritualismo in generale, si oppongono a una concezione dualistica della realtà. Nell'Idealismo hegeliano Dio non si pone fuori del mondo e l'Assoluto non trascende i fenomeni. Altre forme di Neoidealismo, invece (per esempio quello dell'inglese F.H. Brandley), si sono servite del pensiero hegeliano come mezzo per rivendicare esigenze religiose di t. Una forte riaffermazione del concetto di t. è contenuta anche nella filosofia dell'esistenza di S. Kierkegaard, secondo cui l'uomo compie il salto nella t. con l'aiuto della grazia, dopo aver perso la continuità con se stesso ed essersi misticamente trasformato. Si entra così in una regione di cui è possibile solo descrivere le condizioni che ci vengono richieste per entrarvi. Si tratta di condizioni negative, di rinunce: perdere l'intelletto, abbandonare l'obbedienza che dobbiamo al mondo finito per essere pronti al salto nella fede. La vita religiosa è perciò resa possibile solo dalla constatazione del fallimento e della nullità dell'uomo. Nella Fenomenologia e nell'Esistenzialismo la t. non è più considerata la qualità di una realtà in sé, quanto piuttosto la funzione costitutiva della finitezza umana; l'essere umano riconosce l'impossibilità di una qualsiasi oggettivazione razionale della t., pur essendo al tempo stesso sempre ineluttabilmente teso verso di essa. • Mat. - La non algebricità di un ente.