Complesso di credenze filosofico-religiose nato e
sviluppatosi in Cina a partire dal V sec. a.C. Fulcro di tutto il pensiero
taoista è il
tao (V.), da cui deriva
lo stesso termine
T., concepito come principio di assoluta trascendenza,
indeterminatezza e indefinibilità, dal momento che a esso non sono
attribuibili neppure i predicati dell'"essere" e del "non
essere". La tradizione cinese ha sempre distinto tra
T. filosofico
(
Tao-chia: scuola del
tao) e
T. religioso
(
Tao-chiao: insegnamento del
tao): il primo è il più
antico e risale all'opera e alla predicazione dei più importanti maestri
(Lao-tze, Chuang-Chou, Lieh-tzu) tra il V e il IV sec. a.C.; il secondo sarebbe
invece più recente di qualche secolo e presumibilmente si diffuse
all'epoca della dinastia Han (V.), tra il II sec.
a.C. e il III sec. d.C. Il fatto che queste due forme di
T. siano
distinte non implica tuttavia che esse siano tra loro inconciliabili o in
contrapposizione. In realtà un'analisi dell'evoluzione in senso religioso
del
T. deve evidenziare anche i contributi di un sostrato panasiatico di
carattere sciamanico e una più tarda contaminazione con elementi
buddhisti, unitamente all'accentuazione di caratteri propri alle organizzazioni
religiose in genere: costituzione di un clero gerarchico, costituzione di
criteri di appartenenza alla comunità, istituzione di un calendario
religioso, ecc. Tuttavia, i fondamenti logico-metafisici del
T.
filosofico e le sue ricadute etico-pratiche non furono mai smentiti
né ripudiati, bensì inseriti in una dimensione religiosa che
sottolineava con maggior enfasi il versante magico-ascetico e occultista
(V. OLTRE). ║ Secondo la tradizione, il
fondatore del
T. fu il leggendario Lao-tze
(V.) - il Vecchio Maestro -, forse contemporaneo,
benché di una generazione più anziano, di Confucio. A lui è
attribuita l'opera fondante del
T. il
Tao-te ching
(V.), un breve scritto di soli 5.000 ideogrammi in
cui veniva esposta la dottrina del
T. Il
Chuang-chou (libro dei
secc. IV-III a.C. che porta il medesimo nome del suo autore, la cui
storicità è invece certa) è da alcuni giudicato come
l'opera filosofica cinese più profonda, ma ancora non è stato
stabilito se alcune sue parti siano anteriori o posteriori al
Tao-te
ching. Certo è che, mentre quest'ultimo è praticamente esente
dall'elemento magico, l'altro ne è assai ricco e ancora di più lo
sono i più importanti testi successivi: il
Lieh-tzu (II sec. d.C.)
e il tardo
Pao pu-tzu (Il filosofo che abbraccia la natura; IV sec.) di
Ko Hung, in cui hanno largo spazio i temi dell'immortalità del corpo,
delle dottrine alchemiche e magiche che caratterizzeranno il
T.
religioso. A partire dall'era volgare, quando il Buddhismo cominciò a
penetrare in Cina e a diffondersi tra la popolazione, i taoisti cominciarono a
organizzarsi in monasteri e in comunità religiose guardando proprio al
modello buddhista, raccogliendo anche i propri scritti sulla falsariga del
Tripitaka: ne nacque il canone taoista
Tao-tsang che, già
nell'VIII sec., raccoglieva 1.500 testi di varie epoche. Come la maggior parte
degli scritti cinesi essi non hanno organicità, ma sono piuttosto
florilegi di aneddoti, meditazioni, apologhi, episodi agiografici, consigli
inerenti alla vita pratica, ecc. ║ Il
T. può essere definito
in generale come una dottrina filosofico-religiosa a carattere individualista e
antintellettuale. Essa si fonda sul ciclo metafisico del
tao, origine di
tutte le cose. Dallo stato di assoluta indeterminatezza, il
tao muove
verso l'Uno (
ch'i); da esso derivano i due principi contrapposti
Ying e
Yang, da cui originano i tre elementi (materia, ragione,
figura) che costituiscono ogni essere individuale. Si tratta di un percorso
circolare, per cui tutto origina e ritorna al
tao attraverso una sorta di
processo inerziale, definito "agire del non-agire"
(
wei-wu-wei): esso è la norma suprema dell'universo fisico, esente
da ogni tipo di volizione o finalismo, dovuto alla sola inerzia. Il
T.
propone di applicare anche nella dimensione etico-pratica della vita umana la
norma del
wei-wu-wei, che consiste nel principio di non azione, per il
quale gli individui che desiderano conformarsi alla virtù (
te) del
tao devono rinunciare a intervenire sul contingente in cui vivono per
lasciarsi trasportare dal flusso naturale e inerte dell'assoluto, separandosi
dal mondo. Per questa ragione il
T. respinge ogni tipo di ambizione sia
culturale sia sociale o politica: qualsiasi atto teso a modificare la natura
è infatti un artificio che produce sofferenza. Il vero taoista, dunque,
deve vivere al di fuori della società organizzata, non deve prendere
iniziative né ostacolare o deviare in alcun modo il naturale fluire del
tao. Suo unico scopo è l'annullamento del sé nell'unione
con il
tao, mediante una conoscenza che è acquisita in modo
puramente intuitivo. A questo fondamento metafisico e mistico, il
T.
religioso sovrappose successivamente come fine ultimo dell'adepto il
perseguimento dell'immortalità individuale, che veniva trasposta
però su un piano fisico, mediante la trasformazione del corpo mortale e
deperibile in un corpo "di giada", incorruttibile e immortale. A
tale scopo furono elaborati speciali principi dietetici (astensione dalla carne
e dai cereali, in favore di vegetali e di alcuni aromi come cannella, ginseng,
liquirizia, ecc.), igienici (anche di ordine sessuale, come la prescrizione per
gli uomini di trattenere l'eiaculazione durante i rapporti), tecniche di
respirazione e di meditazione (assai simili a quelle proprie dello
yoga,
probabilmente derivate dal comune sostrato sciamanico), formule alchemiche
(ingestione graduale di elementi considerati incorruttibili, come mercurio, oro,
madreperla, ecc.). Una volta sviluppato all'interno del corpo originario un
corpo più leggero e purificato, l'adepto non è più soggetto
alla morte (che è solo apparente), ma può librarsi in cielo alla
ricerca del contatto diretto con il
tao. Questa unione mistica, tuttavia,
non è alla portata di tutti, ma solo di pochi santi immortali che
riescono a trasformare ulteriormente il corpo immortale in spirito e a
disperdersi nel
tao, annullando ogni distinzione tra il sé e
l'assoluto.