Complesso di credenze, dogmi, precetti e riti elaborato da un gruppo sociale o
da un individuo per manifestare la propria concezione del sacro e, in
particolare, della divinità. ║ Il rispetto e il timore delle
divinità e dei principi religiosi; anche scherzosamente, in riferimento a
fatti che scandalizzano o suscitano biasimo:
non c'è più
r.! • Encicl. - Il concetto romano di
religio, che veniva
distinto da quello di
sacrum e che designava un atteggiamento di rispetto
verso persone e cose (per esempio tombe, genitori, ecc.), di dedizione al dovere
e di osservanza di obblighi e divieti, con il Cristianesimo si è esteso a
tutto quanto riguardava il rapporto dell'uomo con Dio. Questo significato
particolare ha lungamente ostacolato l'accettazione di un concetto di
r. definibile solo in rapporto alle diverse culture e ai condizionamenti
storici. Infatti, si può definire
r. ogni formazione culturale che
riguardi il rapporto di un gruppo umano con ciò che esso ritiene sacro,
senza comportare necessariamente un'idea di Dio, articoli di fede, una
liturgia, norme morali. ║
R. naturale: concezione sviluppatasi in
Europa dalla fine del XVII sec. in reazione alle polemiche teologiche e alle
lotte di
r. tra cattolici e riformati, articolata in pochi, universali
punti (essenzialmente l'esistenza di Dio e l'immortalità
dell'anima) e in un complesso elementare di leggi morali. Tali presupposti
erano considerati pienamente conformi alla ragione umana, quindi indipendenti da
qualsiasi rivelazione, e comuni alle diverse
r. positive, anche se il
Cristianesimo era generalmente riconosciuto il più rispondente ai
principi della
r. naturale (J. Locke trattò il tema ne
La
ragionevolezza del cristianesimo). Per quanto le origini della riflessione
sul carattere naturale della
r. si ritrovino nella tradizione
neoplatonica rinascimentale (M. Ficino, G. Bruno, Erasmo da Rotterdam) il
concetto di
r. naturale viene ripreso compiutamente soprattutto da
pensatori inglesi (J. Locke, J. Toland, A. Collins, M. Tindal) e successivamente
sviluppato nell'ambito dell'Illuminismo francese. Un apporto
notevole alla questione della
r. naturale è costituito dal
pensiero di Spinoza, che pone la ragione quale condizione necessaria e
sufficiente a riconoscere il principio divino e risolve l'etica nel
semplice riconoscimento dell'ordine razionale della realtà. Di
natura opposta il contributo di D. Hume, per il quale la
r. non proviene
dalla ragione, ma dalla paura e dalla speranza che hanno portato l'uomo,
fin dalle sue origini, a concepire un presupposto essere trascendente. La
tradizione teologica distingue fra
r. naturale, alla portata della
ragione umana, e
r. rivelata, fondata invece sulla rivelazione divina che
trasmette verità che vanno accettate per fede, essendo inconoscibili
dalla ragione. • Dir. - Il Codice Penale punisce sia il pubblico
vilipendio della
r. dello Stato, sia l'offesa alla
r. dello
Stato mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del culto, ovvero
di cose o oggetti di culto o destinati necessariamente all'esercizio di
esso. Perseguito penalmente è anche il turbamento di funzioni religiose
del culto cattolico. È invece prevista una pena diminuita per gli stessi
delitti se i fatti siano commessi contro un culto ammesso nello Stato. La
bestemmia, pur se inclusa nell'ambito delle contravvenzioni concernenti il
buon costume, ha come oggetto di tutela penale anche la
r. L'art. 8 della
Costituzione afferma: «tutte le confessioni religiose sono egualmente
libere davanti alla legge». Secondo tale dettame, il principio della
r. cattolica come
r. dello Stato appare definitivamente superato;
tuttavia la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto di riconoscere la
legittimità costituzionale del regime di speciale tutela riconosciuto
alla
r. cattolica rispetto agli altri culti, giustificandola in base alla
tradizionale adesione al culto cattolico del popolo italiano. Tale orientamento
appare peraltro superato dalla sentenza della Corte Costituzionale del
18-10-1995, n. 440, con la quale la norma che punisce la bestemmia è
stata dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte che considerava la
bestemmia con riferimento esclusivo alla
r. cattolica, in quanto ritenuta
in contrasto con i principi dell'uguaglianza di fronte alla legge e della
uguale libertà di tutti i culti. • Dir. can. - Nel diritto canonico
vigente prima del Concilio Vaticano II, era chiamata
r. una
società riconosciuta dall'autorità ecclesiastica, i cui
membri (detti
religiosi) avessero fatto pubblico voto di povertà,
umiltà e obbedienza e si dedicassero alla ricerca della perfezione
cristiana o all'opera di apostolato, secondo le regole della
società stessa. • Filos. - La
r. è stata oggetto di
riflessione sin dalla filosofia antica, ma tale riflessione si è
sviluppata soprattutto nel pensiero moderno e contemporaneo a partire dal
momento storico in cui il riformismo e, successivamente, forme di
r.
laica, spezzando il monopolio del Cattolicesimo, hanno stimolato con sempre
maggiore forza l'indagine su ciò che costituisce il fatto
religioso. Già i sofisti greci interpretarono il fatto religioso come
costruzione storica, negandone il fondamento trascendente: Protagora (V sec.
a.C.) spiega il fenomeno religioso come specchio dell'etica individuale; Crizia
(V sec. a.C.) definisce la
r. come opera di un astuto legislatore che
crea un ordinamento «come se» Dio esistesse. Un atteggiamento
decisamente antireligioso accomunò vari filosofi presocratici, tra cui
Teodoro di Cirene, detto «l'Ateo». Secondo Platone, che tratta
la tematica dei rapporti tra
r. e Stato nelle
Leggi, la
r.
guida gli uomini a un comportamento morale, ma deve essere assoggettata alla
direzione e supervisione statale, in quanto forme di
r. non collettive e
istituzionalizzate devierebbero i cittadini dalla loro obbedienza allo Stato. Di
conseguenza egli ritiene necessario proibire l'ateismo e punire chi lo professi.
La critica al concetto di
r., così come si era sviluppata nella
filosofia greca classica, ritorna solo nell'Umanesimo e nel Rinascimento;
N. Machiavelli riprende la concezione sofistica della
r. come strumento
del potere, il quale se ne serve per perpetuare se stesso attraverso il
controllo delle paure soprannaturali dei sudditi. Da parte sua, T. Hobbes si
rifà alle tesi epicuree che considerano la
r. derivata
dall'ignoranza delle cause naturali degli eventi. Egli considera la Chiesa al
pari di qualsiasi istituzione umana, anch'essa perciò soggetta alla
supremazia della legge e del governo. Considerato l'iniziatore del Deismo
per la sua concezione di
r. naturale, J. Locke pone l'accento sulle
ragioni utilitaristiche che motivano il comportamento umano: sarebbe il timore
delle sanzioni, siano esse la prigione o l'inferno, a condurre l'uomo a
conformarsi a una norma sociale, a una legge civile imposta dallo Stato, come a
un precetto religioso. Nel XVIII sec. D. Hume individua i fondamenti della
r. nel bisogno dell'uomo di controllare i suoi timori e le sue
speranze. A I. Kant si deve una precisa puntualizzazione dell'esperienza
religiosa in rapporto all'esperienza morale. Egli fonda il principio della
moralità sull'autonomia della volontà: l'azione
è morale se compiuta per dovere (imperativo categorico) e le istanze
religiose sono accettabili per il compiuto svolgimento della vita morale. Se
finora la filosofia aveva rapportato la
r. ad altri elementi da cui
sarebbe determinata (fattori psicologici, storici e sociali, ecc.), nel pensiero
di F.D.E. Schleiermacher essa diventa irriducibile alla conoscenza e alla morale
e ad ogni altra forma di vita spirituale; l'esperienza religiosa si
identifica con il «sentimento di dipendenza pura e semplice
dall'infinito» e si qualifica come intuizione fantastica di esso. Ne
consegue che tutte le
r. si giustificano, in quanto ogni intuizione
religiosa è un elemento dell'infinita religiosità universale. In
netta contrapposizione alla concezione di Schleiermacher, Hegel configura la
r. come la seconda delle tre forme dello spirito assoluto (arte,
r. e filosofia) all'interno di un processo dialettico. Se nell'arte
l'assoluto si manifesta in forma sensibile e nella filosofia, superando le
manifestazioni soggettiva e oggettiva, esso giunge a essere compreso in modo
concettuale come scienza, nella
r., a differenza dell'arte,
l'assoluto viene trasferito dall'esteriorità
dell'oggetto sensibile nell'interiorità del soggetto. Hegel
disegna lo sviluppo storico-dialettico della
r.: da una fase naturale o
immediata, propria soprattutto del mondo orientale, a una fase artistica propria
del mondo greco, fino al Cristianesimo come
r. assoluta, dove lo spirito
si manifesta come divino e viene intuita l'unità di natura umana e
divina. In polemica con la dialettica hegeliana, Kierkegaard nega che il
rapporto tra l'uomo e Dio sia riducibile al pensiero logico e rivendica la
singolarità dell'individuo nel suo rapporto con Dio, inteso come
assoluta trascendenza, un rapporto segnato dal senso dell'angoscia,
cioè dall'incertezza che nasce dal senso del peccato. Per
Kierkegaard la
r. non è quindi una prosecuzione o un potenziamento
dell'etica e delle possibilità umane, bensì una loro
radicale e paradossale sconfessione. Sul terreno della critica alla
r. si
è determinata anche la formazione della sinistra hegeliana, il cui
maggiore esponente è stato D.F. Strauss. Egli, accentuando il concetto
hegeliano di
r. come rappresentazione, giunge a interpretare la
narrazione evangelica e, più in generale, il contenuto tutto della
r., come un mito, un racconto fantastico, originato dalla credenza
popolare dell'attesa del Messia e alimentato dalla forte
personalità di Gesù. Ancora più radicale la posizione di L.
Feuerbach; partendo dalla considerazione della
r. come intuizione
dell'unità dialettica di umano e divino, egli giunge a spiegarla
come una forma di alienazione nella quale l'uomo, per soddisfare i propri
bisogni, proietta fuori di sé le qualità che egli non ha e
vorrebbe avere. Pertanto è l'uomo che crea Dio come proiezione
idealizzata della propria essenza, e non già Dio che crea l'uomo. Anche
il Positivismo ottocentesco ha contribuito ad accentuare il carattere
antropologico e storico della
r., in parte svolgendo una critica della
r. in nome delle scienze, ma, soprattutto con A. Comte, prospettando una
forma di
r., appunto la «
r. dell'Umanità»,
congrua allo sviluppo storico e sociale della civiltà liberatasi dagli
schemi teologici e metafisici delle età precedenti. A Feuerbach si
riallaccia Marx nell'indagine delle ragioni che spingerebbero l'uomo a
crearsi rappresentazioni di Dio. Secondo Marx, per sopportare le pene di questa
terra, l'umanità è costretta a cercare consolazione nel
mondo immaginario della
r. La
r. è «l'oppio del
popolo», il narcotico che attutisce la frustrazione provocata
dall'impossibilità di sviluppare la propria umanità in una
società divisa in classi. Per superare la
r. è necessario
cambiare le condizioni sociali che consentono alle rappresentazioni religiose di
sorgere: «la critica del cielo si trasforma quindi in critica della terra,
la critica della
r. in critica del diritto, la critica della teologia in
critica della politica». Tipica dell'Antipositivismo di fine
Ottocento è la posizione di E.E.M. Boutroux, in cui torna a essere
rivendicato il carattere della
r. come principio antitetico alla scienza
e la sua specificità rispetto alla stessa vita morale. Rappresentante
della tendenza antiintellettualistica, H.L. Bergson opera una distinzione tra
r. statica, semplice insieme di credenze volte a difendere l'uomo
dal timore della morte, e
r. dinamica, capace di superare le
cristallizzazioni delle
r. positive e di rivitalizzare la
spiritualità umana. Continuatore del Pragmatismo di Peirce, W. James
fonda il significato della fede e del sentimento religioso sulla concezione
pragmatistica, secondo cui è vero ciò che produce effetti pratici
soddisfacenti. Nei primi decenni del Novecento la rivendicazione
dell'autonomia della
r. domina il pensiero sostanzialmente
neokantiano di R. Otto, per il quale il sacro è una vera e propria
categoria dello spirito, non riconducibile ad alcun dato storico o sperimentale.
Debitore al pensiero di Kierkegaard per l'elaborazione del suo
esistenzialismo teologico, K. Barth insiste sulla differenza qualitativa tra
uomo e Dio e sull'impossibilità di un loro rapporto che non sia di
«crisi», data la negatività dell'uomo rispetto a Dio.
Ulteriori contributi alla descrizione del fenomeno religioso in quanto tale sono
stati apportati dalla fenomenologia della
r. (G. van der Leeuw) rivolta a
studiare non la verità o la genesi del fenomeno religioso, ma la sua
struttura quale si manifesta appunto qualora si sappiano evidenziare (secondo la
prassi del metodo fenomenologico) i suoi elementi essenziali e costitutivi.
Molto più complesso e vario il quadro del pensiero contemporaneo, in
quanto la filosofia si avvale in misura crescente degli importantissimi apporti
di scienze quali l'antropologia, la sociologia, la psicoanalisi,
l'ermeneutica, con le quali istituisce fecondi rapporti interdisciplinari.
• St. delle rel. - Lo studio delle
r. come prodotti storici rientra
nel campo d'indagine della storia delle
r.; in effetti, la
comprensione della
r. non può prescindere dalla conoscenza di ogni
aspetto della vita umana (istituzioni politiche e sociali, organizzazione
economica, arte, costumi, ecc.) e addirittura, presso i diversi popoli
storicamente definiti, la visione stessa della natura, della società,
della storia appare quasi sempre condizionata dalle credenze religiose e solo in
tempi recenti e presso civiltà particolarmente evolute la
r. si
costituisce come elemento indipendente, più o meno separato dagli altri
aspetti della cultura. L'articolazione degli studi di storia delle
r. è determinata dai vari campi di specializzazione legati alla
conoscenza dei singoli popoli e civiltà (per esempio,
r.
dell'India, dell'antico Egitto, ecc.) e alla natura del materiale
studiato, ciascuno con esigenze metodologiche particolari. D'altra parte,
se ogni singola
r. rivela la propria struttura solo nel suo inserimento
organico nella civiltà di cui fa parte, non può essere compresa
appieno se non attraverso la comparazione con le altre
r. Così,
oltre a precise conoscenze filologiche, archeologiche, storiche e sociali delle
differenti civiltà, lo studio delle
r. comporta l'adozione
di metodologie comparative. Gli inizi degli studi storici e storico-comparativi
sulla
r. risalgono alla cultura greca antica; a quel tempo data, infatti,
la prima intuizione della relatività e del condizionamento storico delle
forme religiose: il pensatore Senofane afferma l'origine soggettivamente
umana dell'antropomorfismo, mentre lo storico Erodoto scorge nella
r. greca tali analogie con quella egiziana da postulare la totale
derivazione della prima dalla seconda. Con l'Ellenismo l'interesse
intellettuale per la
r. si rivela nelle opere scritte da orientali
ellenizzati sulle tradizioni religiose dei propri popoli (per esempio, Manetone
su quella egiziana, Filone di Biblo su quella fenicia). Altrettanto precocemente
viene posto il problema dell'origine delle
r., con
l'elaborazione di due teorie destinate a dominare per tutto il Medioevo e
nel Rinascimento: la teoria dell'allegorismo (formulata già nel
sec. VI a.C., ma sviluppata soprattutto dai filosofi stoici), secondo la quale i
miti e le divinità sono semplicemente allegorie di fenomeni fisici e
morali, e la teoria dell'evemerismo (da Evemero, che tra i secc. IV e III
a.C. la formulò per primo in modo sistematico), per la quale le
divinità sono la rappresentazione di antichi personaggi distintisi per i
loro meriti. Essendo il confronto delle diverse
r. ormai entrato nella
cultura generale, anche gli apologeti cristiani individuarono alcuni elementi
comuni tra Cristianesimo e
r. pagane (soprattutto i misteri),
giustificando queste analogie con la teoria del
plagio (secondo cui i
pagani antichi avevano avuto sentore della dottrina rivelata a Mosè e
l'avevano malamente copiata) o con quella della
condiscendenza
divina (Dio stesso, in considerazione dell'ignoranza umana, avrebbe
permesso certe forme pagane del culto che sarebbero poi state superate dalla
vera
r.). Nuovi elementi allo studio delle
r. provengono dalla
scoperta, soprattutto attraverso le missioni, delle formazioni religiose dei
popoli del Nuovo Mondo, mentre la progressiva specializzazione porta alle prime
monografie documentate su singole
r. (J. Spencer sulle leggi rituali
degli Ebrei, T. Hyde sulla
r. degli antichi Persiani). La prospettiva
storico-comparativa produce studi come quelli del missionario J.F. Lafitau, in
cui si mettono a confronto le
r. dei nativi americani e quelle
dell'antichità classica, e di C. de Brosses, tra le
r.
primitive dell'Africa e l'antica
r. egiziana. Solo a partire
dal XVIII sec. si sviluppa anche qualche nuova posizione teorica: il pensiero
illuministico interpreta le
r. rivelate come deformazioni storicamente
determinate della
r. naturale, che ne costituirebbe il comune fondamento.
Allo stesso periodo risale anche l'inizio della teoria evoluzionistica,
che dominerà il campo degli studi storico-religiosi sino alla fine
dell'Ottocento. Hume è il primo a sostenere che il monoteismo,
più recente del politeismo, rappresenterebbe un progresso della mente
umana. Il positivista Comte riprende e sviluppa questa posizione: considerando
la
r. stessa solo come una fase del progresso umano, egli distingue in
essa una linea evolutiva le cui tappe sarebbero il feticismo, il politeismo e il
monoteismo. L'evoluzionismo è altresì la base teorica della
scuola antropologica di cui è iniziatore E.B. Tylor, il quale estende la
comparazione alle
r. di tutti i popoli, con prevalente considerazione dei
cosiddetti popoli primitivi, che rappresenterebbero il gradino più basso
della scala evolutiva. Tylor definisce la loro
r. come «scienza
primitiva» e introduce il termine
animismo per definire la prima
forma di
r., consistente nella credenza in innumerevoli spiriti che
agirebbero nelle cose; dalla fase successiva, il politeismo,
l'umanità arriverebbe al livello più progredito, cioè
al monoteismo, dove comunque continuerebbero a sopravvivere forme
«inerti» caratteristiche delle fasi precedenti. Lo schema evolutivo
secondo cui l'intera umanità percorrerebbe una linea unica di
progresso viene superato grazie alle ricerche di A. Lang, con le quali è
dimostrato che l'animismo non è l'unica forma religiosa dei
popoli più primitivi, i quali venerano anche divinità personali.
Nella prima metà del XIX sec. la formazione della filologia,
dell'archeologia e della storiografia moderne, congiunta a un approfondimento
teorico sempre più libero dagli schemi teologici, porta a una maturazione
di studi monografici in settori storici indagati mediante l'accesso
diretto ai testi originali (egiziani, babilonesi, indiani, ecc.). Sotto
l'influsso del Romanticismo tedesco si comincia a scorgere
l'elemento irrazionale e spontaneo nelle
r.; i fratelli Grimm
riscoprono l'idea dell'origine puramente umana e spontanea della
mitologia, come prodotto di una fantasia primitiva impressionata dai fenomeni
naturali. È nella seconda metà del XIX sec. che la storia delle
r. diventa una vera disciplina scientifica autonoma. Con M. Müller
si ha la prima comparazione, limitata alle
r. dei popoli indoeuropei,
condotta con criteri scientifici e indissolubilmente legata a teorie
linguistiche. In seguito alla scoperta linguistica della famiglia di lingue
indoeuropee, Müller ipotizza un'originaria
r. protoindoeuropea
che tenta di ricostruire basandosi sulle
r. dei singoli popoli di lingua
indoeuropea. Sin dalla fine dell'Ottocento, l'attenzione dedicata ai
popoli primitivi provoca il definitivo abbandono della teoria evoluzionistica,
soprattutto ad opera di etnologi, quali H. Lévy-Bruhl, più attenti
all'analisi qualitativa della cultura dei popoli primitivi piuttosto che
all'elaborazione di uno schema evolutivo unico. Anche le ricerche di R.
Otto contribuiscono a spostare la definizione di
r. da forma primitiva di
scienza a formazione culturale autonoma. Importantissimo per gli studi
storico-religiosi l'apporto dell'indirizzo funzionalistico
dell'antropologia sociale (fondato da B. Malinowski e A. Radcliffe-Brown),
consistente nello studiare la
r. nel contesto degli altri aspetti
fondamentali dell'esistenza e soprattutto dell'organizzazione sociale dei
popoli. In parziale contrapposizione con il Funzionalismo è la
fenomenologia religiosa (G. van der Leeuw) che, pur non mettendo in dubbio la
storicità delle singole formazioni culturali, si spinge a ipotizzare
l'esistenza di comuni basi psicologiche. Una scuola italiana di studi
storico-religiosi, il cui iniziatore è R. Pettazzoni, si è fatta
interprete di un indirizzo storicistico per il quale la comparazione si fonda su
processi storici paralleli e perciò è, anziché comparazione
di fenomeni, comparazione di processi genetici. Questa tradizione di studi ha
dato anche origine a una corrente di studi di antropologia religiosa, di cui
è esponente E. De Martino. Di grande portata l'applicazione, a
partire dagli anni Cinquanta, delle teorie e dei metodi dello Strutturalismo
linguistico allo studio delle varie manifestazioni culturali, tra cui quelle
religiose. Secondo questa corrente, di cui massimo rappresentante è C.
Lévi-Strauss, ogni aspetto del sistema sociale trae il proprio
significato dagli altri elementi che compongono il sistema stesso. •
Sociol e Antropol
. - La specificità e la funzione della
r.
nell'ambito della collettività o della coscienza sociale,
cioè in un quadro molto diverso dal puro rapporto individuale con la
divinità e con la rivelazione, costituiscono oggetto di studio da parte
della sociologia della
r. Con il francese E. Durhkeim, massimo esponente
della scuola sociologica, si giunge al definitivo superamento degli schemi
evoluzionistici della scuola antropologica di E.B. Tylor. Secondo Durkheim, la
r. va considerata come una «forma simbolica» delle differenti
società. L'individuo religioso non si pone il problema di come
pensare, bensì di come agire, e pertanto ciò che trae dalla sua
r. è la forza necessaria per un comportamento socialmente
accettato. Durkheim definisce la
r. come «un sistema unificato di
credenze e di azioni relative a cose sacre, credenze e azioni che uniscono in
un'unica comunità morale, chiamata chiesa, tutti coloro che vi
aderiscono». Sulla base di questa definizione, egli fonda la sua
distinzione tra magia e
r.: la prima non ha una chiesa ed è
antisociale in quanto è praticata dall'individuo per raggiungere i
propri fini. La
r. è invece una «forza sociale», capace
di fare accettare agli individui le restrizioni che la società impone.
Secondo l'antropologo P. Malinowski,
r. e magia nascono entrambe da
bisogni emozionali e offrono all'uomo il modo per fronteggiare situazioni che
egli non è altrimenti in grado di controllare. Mentre però la
magia è indirizzata verso mete specifiche, la
r. dà
all'uomo un conforto di fronte all'inconoscibile. Malinowski indica
l'origine della
r. nella necessità di superare la paura della
distruzione che invade una società di fronte alla morte di uno dei suoi
membri. Accogliendo il fondamentale contributo degli insegnamenti di Durkheim e
Malinowski, l'antropologia strutturale di C. Lévi-Strauss si
definisce come un settore della semiologia; sviluppandosi sul modello della
linguistica, questa scienza cerca di stabilire in ogni contesto il significato
dei fenomeni sociali (sistemi di credenze, forme di organizzazione, ecc.)
all'interno di un inventario più generale. In Lévi-Strauss
il preponderante interesse per le società primitive è infatti
determinato dalla ricerca degli «elementi stabili di ogni
società», un numero limitato di modelli mentali, combinati in modo
illimitatamente diverso nelle varie società umane. Nella ricerca delle
«costrizioni mentali» che condizionano il comportamento umano,
individuale e collettivo, Lévi-Stauss si è rivolto allo studio dei
miti; egli formula l'ipotesi che ogni mito appartenga a un'unica
struttura, e prospetta lo studio dei miti come uno dei modi per individuare quei
meccanismi inconsci che condizionano il funzionamento del pensiero umano a
livello universale.
CONSISTENZA DEI GRUPPI RELIGIOSI NEI
PAESI DELL'UNIONE EUROPEA (Dati in
percentuale)
|
Paese
|
Gruppi religiosi
|
%
|
Austria
|
Cattolici Non religiosi e Atei Riformati
luterani Musulmani Ortodossi Ebrei Altri
|
75,1 8,6 5,4 2,0 0,7 0,1 8,1
|
Belgio
|
Cattolici Musulmani Protestanti Altri
|
87,9 2,5 1,3 8,3
|
Danimarca
|
Evangelici Luterani Altri Cristiani Musulmani Altri /Non
religiosi
|
87,0 1,7 1,5 15,8
|
Finlandia
|
Evangelici Luterani Ortodossi Altri e non religiosi
|
85,6 1,1 14,3
|
Francia
|
Cattolici Musulmani Altri cristiani Altri
|
76,3 5,5 2,4 15,8
|
Germania
|
Luterani Cattolici Musulmani Altri
|
40,8 33,0 2,1 20,1
|
Grecia
|
Greco-Ortodossi Musulmani Protestanti Cattolici Altri
|
94,0 1,3 0,6 0,5 3,4
|
Irlanda
|
Cattolici Anglicani Presbiteriani Altri
|
91,6 2,5 0,4 5,5
|
Italia
|
Cattolici Non religiosi Musulmani Altri
|
81,7 13,6 1,2 3,5
|
Lussemburgo
|
Cattolici Altri
|
95,1 4,9
|
Paesi Bassi
|
Cattolici Chiesa Riformata
d'Olanda Calvinisti Musulmani Altri e non
religiosi
|
32,0 15,0 8,0 4,3 40,7
|
Portogallo
|
Cattolici Altri Protestanti Altri Cristiani
|
92,2 5,1 1,5 1,5
|
Regno Unito
|
Anglicani Cattolici Presbiteriani Musulmani Metodisti Altri
e non religiosi
|
43,5 9,8 4,5 2,6 2,2 38,3
|
Spagna
|
Cattolici Musulmani Protestanti Altri
|
66,7 1,2 0,8 31,3
|
Svezia
|
Chiesa di Svezia
(Luterani) Cattolici Pentecostali Altri
|
86,1 1,9 1,0 11,0
|