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Religione.

Complesso di credenze, dogmi, precetti e riti elaborato da un gruppo sociale o da un individuo per manifestare la propria concezione del sacro e, in particolare, della divinità. ║ Il rispetto e il timore delle divinità e dei principi religiosi; anche scherzosamente, in riferimento a fatti che scandalizzano o suscitano biasimo: non c'è più r.! • Encicl. - Il concetto romano di religio, che veniva distinto da quello di sacrum e che designava un atteggiamento di rispetto verso persone e cose (per esempio tombe, genitori, ecc.), di dedizione al dovere e di osservanza di obblighi e divieti, con il Cristianesimo si è esteso a tutto quanto riguardava il rapporto dell'uomo con Dio. Questo significato particolare ha lungamente ostacolato l'accettazione di un concetto di r. definibile solo in rapporto alle diverse culture e ai condizionamenti storici. Infatti, si può definire r. ogni formazione culturale che riguardi il rapporto di un gruppo umano con ciò che esso ritiene sacro, senza comportare necessariamente un'idea di Dio, articoli di fede, una liturgia, norme morali. ║ R. naturale: concezione sviluppatasi in Europa dalla fine del XVII sec. in reazione alle polemiche teologiche e alle lotte di r. tra cattolici e riformati, articolata in pochi, universali punti (essenzialmente l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima) e in un complesso elementare di leggi morali. Tali presupposti erano considerati pienamente conformi alla ragione umana, quindi indipendenti da qualsiasi rivelazione, e comuni alle diverse r. positive, anche se il Cristianesimo era generalmente riconosciuto il più rispondente ai principi della r. naturale (J. Locke trattò il tema ne La ragionevolezza del cristianesimo). Per quanto le origini della riflessione sul carattere naturale della r. si ritrovino nella tradizione neoplatonica rinascimentale (M. Ficino, G. Bruno, Erasmo da Rotterdam) il concetto di r. naturale viene ripreso compiutamente soprattutto da pensatori inglesi (J. Locke, J. Toland, A. Collins, M. Tindal) e successivamente sviluppato nell'ambito dell'Illuminismo francese. Un apporto notevole alla questione della r. naturale è costituito dal pensiero di Spinoza, che pone la ragione quale condizione necessaria e sufficiente a riconoscere il principio divino e risolve l'etica nel semplice riconoscimento dell'ordine razionale della realtà. Di natura opposta il contributo di D. Hume, per il quale la r. non proviene dalla ragione, ma dalla paura e dalla speranza che hanno portato l'uomo, fin dalle sue origini, a concepire un presupposto essere trascendente. La tradizione teologica distingue fra r. naturale, alla portata della ragione umana, e r. rivelata, fondata invece sulla rivelazione divina che trasmette verità che vanno accettate per fede, essendo inconoscibili dalla ragione. • Dir. - Il Codice Penale punisce sia il pubblico vilipendio della r. dello Stato, sia l'offesa alla r. dello Stato mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del culto, ovvero di cose o oggetti di culto o destinati necessariamente all'esercizio di esso. Perseguito penalmente è anche il turbamento di funzioni religiose del culto cattolico. È invece prevista una pena diminuita per gli stessi delitti se i fatti siano commessi contro un culto ammesso nello Stato. La bestemmia, pur se inclusa nell'ambito delle contravvenzioni concernenti il buon costume, ha come oggetto di tutela penale anche la r. L'art. 8 della Costituzione afferma: «tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge». Secondo tale dettame, il principio della r. cattolica come r. dello Stato appare definitivamente superato; tuttavia la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto di riconoscere la legittimità costituzionale del regime di speciale tutela riconosciuto alla r. cattolica rispetto agli altri culti, giustificandola in base alla tradizionale adesione al culto cattolico del popolo italiano. Tale orientamento appare peraltro superato dalla sentenza della Corte Costituzionale del 18-10-1995, n. 440, con la quale la norma che punisce la bestemmia è stata dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte che considerava la bestemmia con riferimento esclusivo alla r. cattolica, in quanto ritenuta in contrasto con i principi dell'uguaglianza di fronte alla legge e della uguale libertà di tutti i culti. • Dir. can. - Nel diritto canonico vigente prima del Concilio Vaticano II, era chiamata r. una società riconosciuta dall'autorità ecclesiastica, i cui membri (detti religiosi) avessero fatto pubblico voto di povertà, umiltà e obbedienza e si dedicassero alla ricerca della perfezione cristiana o all'opera di apostolato, secondo le regole della società stessa. • Filos. - La r. è stata oggetto di riflessione sin dalla filosofia antica, ma tale riflessione si è sviluppata soprattutto nel pensiero moderno e contemporaneo a partire dal momento storico in cui il riformismo e, successivamente, forme di r. laica, spezzando il monopolio del Cattolicesimo, hanno stimolato con sempre maggiore forza l'indagine su ciò che costituisce il fatto religioso. Già i sofisti greci interpretarono il fatto religioso come costruzione storica, negandone il fondamento trascendente: Protagora (V sec. a.C.) spiega il fenomeno religioso come specchio dell'etica individuale; Crizia (V sec. a.C.) definisce la r. come opera di un astuto legislatore che crea un ordinamento «come se» Dio esistesse. Un atteggiamento decisamente antireligioso accomunò vari filosofi presocratici, tra cui Teodoro di Cirene, detto «l'Ateo». Secondo Platone, che tratta la tematica dei rapporti tra r. e Stato nelle Leggi, la r. guida gli uomini a un comportamento morale, ma deve essere assoggettata alla direzione e supervisione statale, in quanto forme di r. non collettive e istituzionalizzate devierebbero i cittadini dalla loro obbedienza allo Stato. Di conseguenza egli ritiene necessario proibire l'ateismo e punire chi lo professi. La critica al concetto di r., così come si era sviluppata nella filosofia greca classica, ritorna solo nell'Umanesimo e nel Rinascimento; N. Machiavelli riprende la concezione sofistica della r. come strumento del potere, il quale se ne serve per perpetuare se stesso attraverso il controllo delle paure soprannaturali dei sudditi. Da parte sua, T. Hobbes si rifà alle tesi epicuree che considerano la r. derivata dall'ignoranza delle cause naturali degli eventi. Egli considera la Chiesa al pari di qualsiasi istituzione umana, anch'essa perciò soggetta alla supremazia della legge e del governo. Considerato l'iniziatore del Deismo per la sua concezione di r. naturale, J. Locke pone l'accento sulle ragioni utilitaristiche che motivano il comportamento umano: sarebbe il timore delle sanzioni, siano esse la prigione o l'inferno, a condurre l'uomo a conformarsi a una norma sociale, a una legge civile imposta dallo Stato, come a un precetto religioso. Nel XVIII sec. D. Hume individua i fondamenti della r. nel bisogno dell'uomo di controllare i suoi timori e le sue speranze. A I. Kant si deve una precisa puntualizzazione dell'esperienza religiosa in rapporto all'esperienza morale. Egli fonda il principio della moralità sull'autonomia della volontà: l'azione è morale se compiuta per dovere (imperativo categorico) e le istanze religiose sono accettabili per il compiuto svolgimento della vita morale. Se finora la filosofia aveva rapportato la r. ad altri elementi da cui sarebbe determinata (fattori psicologici, storici e sociali, ecc.), nel pensiero di F.D.E. Schleiermacher essa diventa irriducibile alla conoscenza e alla morale e ad ogni altra forma di vita spirituale; l'esperienza religiosa si identifica con il «sentimento di dipendenza pura e semplice dall'infinito» e si qualifica come intuizione fantastica di esso. Ne consegue che tutte le r. si giustificano, in quanto ogni intuizione religiosa è un elemento dell'infinita religiosità universale. In netta contrapposizione alla concezione di Schleiermacher, Hegel configura la r. come la seconda delle tre forme dello spirito assoluto (arte, r. e filosofia) all'interno di un processo dialettico. Se nell'arte l'assoluto si manifesta in forma sensibile e nella filosofia, superando le manifestazioni soggettiva e oggettiva, esso giunge a essere compreso in modo concettuale come scienza, nella r., a differenza dell'arte, l'assoluto viene trasferito dall'esteriorità dell'oggetto sensibile nell'interiorità del soggetto. Hegel disegna lo sviluppo storico-dialettico della r.: da una fase naturale o immediata, propria soprattutto del mondo orientale, a una fase artistica propria del mondo greco, fino al Cristianesimo come r. assoluta, dove lo spirito si manifesta come divino e viene intuita l'unità di natura umana e divina. In polemica con la dialettica hegeliana, Kierkegaard nega che il rapporto tra l'uomo e Dio sia riducibile al pensiero logico e rivendica la singolarità dell'individuo nel suo rapporto con Dio, inteso come assoluta trascendenza, un rapporto segnato dal senso dell'angoscia, cioè dall'incertezza che nasce dal senso del peccato. Per Kierkegaard la r. non è quindi una prosecuzione o un potenziamento dell'etica e delle possibilità umane, bensì una loro radicale e paradossale sconfessione. Sul terreno della critica alla r. si è determinata anche la formazione della sinistra hegeliana, il cui maggiore esponente è stato D.F. Strauss. Egli, accentuando il concetto hegeliano di r. come rappresentazione, giunge a interpretare la narrazione evangelica e, più in generale, il contenuto tutto della r., come un mito, un racconto fantastico, originato dalla credenza popolare dell'attesa del Messia e alimentato dalla forte personalità di Gesù. Ancora più radicale la posizione di L. Feuerbach; partendo dalla considerazione della r. come intuizione dell'unità dialettica di umano e divino, egli giunge a spiegarla come una forma di alienazione nella quale l'uomo, per soddisfare i propri bisogni, proietta fuori di sé le qualità che egli non ha e vorrebbe avere. Pertanto è l'uomo che crea Dio come proiezione idealizzata della propria essenza, e non già Dio che crea l'uomo. Anche il Positivismo ottocentesco ha contribuito ad accentuare il carattere antropologico e storico della r., in parte svolgendo una critica della r. in nome delle scienze, ma, soprattutto con A. Comte, prospettando una forma di r., appunto la «r. dell'Umanità», congrua allo sviluppo storico e sociale della civiltà liberatasi dagli schemi teologici e metafisici delle età precedenti. A Feuerbach si riallaccia Marx nell'indagine delle ragioni che spingerebbero l'uomo a crearsi rappresentazioni di Dio. Secondo Marx, per sopportare le pene di questa terra, l'umanità è costretta a cercare consolazione nel mondo immaginario della r. La r. è «l'oppio del popolo», il narcotico che attutisce la frustrazione provocata dall'impossibilità di sviluppare la propria umanità in una società divisa in classi. Per superare la r. è necessario cambiare le condizioni sociali che consentono alle rappresentazioni religiose di sorgere: «la critica del cielo si trasforma quindi in critica della terra, la critica della r. in critica del diritto, la critica della teologia in critica della politica». Tipica dell'Antipositivismo di fine Ottocento è la posizione di E.E.M. Boutroux, in cui torna a essere rivendicato il carattere della r. come principio antitetico alla scienza e la sua specificità rispetto alla stessa vita morale. Rappresentante della tendenza antiintellettualistica, H.L. Bergson opera una distinzione tra r. statica, semplice insieme di credenze volte a difendere l'uomo dal timore della morte, e r. dinamica, capace di superare le cristallizzazioni delle r. positive e di rivitalizzare la spiritualità umana. Continuatore del Pragmatismo di Peirce, W. James fonda il significato della fede e del sentimento religioso sulla concezione pragmatistica, secondo cui è vero ciò che produce effetti pratici soddisfacenti. Nei primi decenni del Novecento la rivendicazione dell'autonomia della r. domina il pensiero sostanzialmente neokantiano di R. Otto, per il quale il sacro è una vera e propria categoria dello spirito, non riconducibile ad alcun dato storico o sperimentale. Debitore al pensiero di Kierkegaard per l'elaborazione del suo esistenzialismo teologico, K. Barth insiste sulla differenza qualitativa tra uomo e Dio e sull'impossibilità di un loro rapporto che non sia di «crisi», data la negatività dell'uomo rispetto a Dio. Ulteriori contributi alla descrizione del fenomeno religioso in quanto tale sono stati apportati dalla fenomenologia della r. (G. van der Leeuw) rivolta a studiare non la verità o la genesi del fenomeno religioso, ma la sua struttura quale si manifesta appunto qualora si sappiano evidenziare (secondo la prassi del metodo fenomenologico) i suoi elementi essenziali e costitutivi. Molto più complesso e vario il quadro del pensiero contemporaneo, in quanto la filosofia si avvale in misura crescente degli importantissimi apporti di scienze quali l'antropologia, la sociologia, la psicoanalisi, l'ermeneutica, con le quali istituisce fecondi rapporti interdisciplinari. • St. delle rel. - Lo studio delle r. come prodotti storici rientra nel campo d'indagine della storia delle r.; in effetti, la comprensione della r. non può prescindere dalla conoscenza di ogni aspetto della vita umana (istituzioni politiche e sociali, organizzazione economica, arte, costumi, ecc.) e addirittura, presso i diversi popoli storicamente definiti, la visione stessa della natura, della società, della storia appare quasi sempre condizionata dalle credenze religiose e solo in tempi recenti e presso civiltà particolarmente evolute la r. si costituisce come elemento indipendente, più o meno separato dagli altri aspetti della cultura. L'articolazione degli studi di storia delle r. è determinata dai vari campi di specializzazione legati alla conoscenza dei singoli popoli e civiltà (per esempio, r. dell'India, dell'antico Egitto, ecc.) e alla natura del materiale studiato, ciascuno con esigenze metodologiche particolari. D'altra parte, se ogni singola r. rivela la propria struttura solo nel suo inserimento organico nella civiltà di cui fa parte, non può essere compresa appieno se non attraverso la comparazione con le altre r. Così, oltre a precise conoscenze filologiche, archeologiche, storiche e sociali delle differenti civiltà, lo studio delle r. comporta l'adozione di metodologie comparative. Gli inizi degli studi storici e storico-comparativi sulla r. risalgono alla cultura greca antica; a quel tempo data, infatti, la prima intuizione della relatività e del condizionamento storico delle forme religiose: il pensatore Senofane afferma l'origine soggettivamente umana dell'antropomorfismo, mentre lo storico Erodoto scorge nella r. greca tali analogie con quella egiziana da postulare la totale derivazione della prima dalla seconda. Con l'Ellenismo l'interesse intellettuale per la r. si rivela nelle opere scritte da orientali ellenizzati sulle tradizioni religiose dei propri popoli (per esempio, Manetone su quella egiziana, Filone di Biblo su quella fenicia). Altrettanto precocemente viene posto il problema dell'origine delle r., con l'elaborazione di due teorie destinate a dominare per tutto il Medioevo e nel Rinascimento: la teoria dell'allegorismo (formulata già nel sec. VI a.C., ma sviluppata soprattutto dai filosofi stoici), secondo la quale i miti e le divinità sono semplicemente allegorie di fenomeni fisici e morali, e la teoria dell'evemerismo (da Evemero, che tra i secc. IV e III a.C. la formulò per primo in modo sistematico), per la quale le divinità sono la rappresentazione di antichi personaggi distintisi per i loro meriti. Essendo il confronto delle diverse r. ormai entrato nella cultura generale, anche gli apologeti cristiani individuarono alcuni elementi comuni tra Cristianesimo e r. pagane (soprattutto i misteri), giustificando queste analogie con la teoria del plagio (secondo cui i pagani antichi avevano avuto sentore della dottrina rivelata a Mosè e l'avevano malamente copiata) o con quella della condiscendenza divina (Dio stesso, in considerazione dell'ignoranza umana, avrebbe permesso certe forme pagane del culto che sarebbero poi state superate dalla vera r.). Nuovi elementi allo studio delle r. provengono dalla scoperta, soprattutto attraverso le missioni, delle formazioni religiose dei popoli del Nuovo Mondo, mentre la progressiva specializzazione porta alle prime monografie documentate su singole r. (J. Spencer sulle leggi rituali degli Ebrei, T. Hyde sulla r. degli antichi Persiani). La prospettiva storico-comparativa produce studi come quelli del missionario J.F. Lafitau, in cui si mettono a confronto le r. dei nativi americani e quelle dell'antichità classica, e di C. de Brosses, tra le r. primitive dell'Africa e l'antica r. egiziana. Solo a partire dal XVIII sec. si sviluppa anche qualche nuova posizione teorica: il pensiero illuministico interpreta le r. rivelate come deformazioni storicamente determinate della r. naturale, che ne costituirebbe il comune fondamento. Allo stesso periodo risale anche l'inizio della teoria evoluzionistica, che dominerà il campo degli studi storico-religiosi sino alla fine dell'Ottocento. Hume è il primo a sostenere che il monoteismo, più recente del politeismo, rappresenterebbe un progresso della mente umana. Il positivista Comte riprende e sviluppa questa posizione: considerando la r. stessa solo come una fase del progresso umano, egli distingue in essa una linea evolutiva le cui tappe sarebbero il feticismo, il politeismo e il monoteismo. L'evoluzionismo è altresì la base teorica della scuola antropologica di cui è iniziatore E.B. Tylor, il quale estende la comparazione alle r. di tutti i popoli, con prevalente considerazione dei cosiddetti popoli primitivi, che rappresenterebbero il gradino più basso della scala evolutiva. Tylor definisce la loro r. come «scienza primitiva» e introduce il termine animismo per definire la prima forma di r., consistente nella credenza in innumerevoli spiriti che agirebbero nelle cose; dalla fase successiva, il politeismo, l'umanità arriverebbe al livello più progredito, cioè al monoteismo, dove comunque continuerebbero a sopravvivere forme «inerti» caratteristiche delle fasi precedenti. Lo schema evolutivo secondo cui l'intera umanità percorrerebbe una linea unica di progresso viene superato grazie alle ricerche di A. Lang, con le quali è dimostrato che l'animismo non è l'unica forma religiosa dei popoli più primitivi, i quali venerano anche divinità personali. Nella prima metà del XIX sec. la formazione della filologia, dell'archeologia e della storiografia moderne, congiunta a un approfondimento teorico sempre più libero dagli schemi teologici, porta a una maturazione di studi monografici in settori storici indagati mediante l'accesso diretto ai testi originali (egiziani, babilonesi, indiani, ecc.). Sotto l'influsso del Romanticismo tedesco si comincia a scorgere l'elemento irrazionale e spontaneo nelle r.; i fratelli Grimm riscoprono l'idea dell'origine puramente umana e spontanea della mitologia, come prodotto di una fantasia primitiva impressionata dai fenomeni naturali. È nella seconda metà del XIX sec. che la storia delle r. diventa una vera disciplina scientifica autonoma. Con M. Müller si ha la prima comparazione, limitata alle r. dei popoli indoeuropei, condotta con criteri scientifici e indissolubilmente legata a teorie linguistiche. In seguito alla scoperta linguistica della famiglia di lingue indoeuropee, Müller ipotizza un'originaria r. protoindoeuropea che tenta di ricostruire basandosi sulle r. dei singoli popoli di lingua indoeuropea. Sin dalla fine dell'Ottocento, l'attenzione dedicata ai popoli primitivi provoca il definitivo abbandono della teoria evoluzionistica, soprattutto ad opera di etnologi, quali H. Lévy-Bruhl, più attenti all'analisi qualitativa della cultura dei popoli primitivi piuttosto che all'elaborazione di uno schema evolutivo unico. Anche le ricerche di R. Otto contribuiscono a spostare la definizione di r. da forma primitiva di scienza a formazione culturale autonoma. Importantissimo per gli studi storico-religiosi l'apporto dell'indirizzo funzionalistico dell'antropologia sociale (fondato da B. Malinowski e A. Radcliffe-Brown), consistente nello studiare la r. nel contesto degli altri aspetti fondamentali dell'esistenza e soprattutto dell'organizzazione sociale dei popoli. In parziale contrapposizione con il Funzionalismo è la fenomenologia religiosa (G. van der Leeuw) che, pur non mettendo in dubbio la storicità delle singole formazioni culturali, si spinge a ipotizzare l'esistenza di comuni basi psicologiche. Una scuola italiana di studi storico-religiosi, il cui iniziatore è R. Pettazzoni, si è fatta interprete di un indirizzo storicistico per il quale la comparazione si fonda su processi storici paralleli e perciò è, anziché comparazione di fenomeni, comparazione di processi genetici. Questa tradizione di studi ha dato anche origine a una corrente di studi di antropologia religiosa, di cui è esponente E. De Martino. Di grande portata l'applicazione, a partire dagli anni Cinquanta, delle teorie e dei metodi dello Strutturalismo linguistico allo studio delle varie manifestazioni culturali, tra cui quelle religiose. Secondo questa corrente, di cui massimo rappresentante è C. Lévi-Strauss, ogni aspetto del sistema sociale trae il proprio significato dagli altri elementi che compongono il sistema stesso. • Sociol e Antropol. - La specificità e la funzione della r. nell'ambito della collettività o della coscienza sociale, cioè in un quadro molto diverso dal puro rapporto individuale con la divinità e con la rivelazione, costituiscono oggetto di studio da parte della sociologia della r. Con il francese E. Durhkeim, massimo esponente della scuola sociologica, si giunge al definitivo superamento degli schemi evoluzionistici della scuola antropologica di E.B. Tylor. Secondo Durkheim, la r. va considerata come una «forma simbolica» delle differenti società. L'individuo religioso non si pone il problema di come pensare, bensì di come agire, e pertanto ciò che trae dalla sua r. è la forza necessaria per un comportamento socialmente accettato. Durkheim definisce la r. come «un sistema unificato di credenze e di azioni relative a cose sacre, credenze e azioni che uniscono in un'unica comunità morale, chiamata chiesa, tutti coloro che vi aderiscono». Sulla base di questa definizione, egli fonda la sua distinzione tra magia e r.: la prima non ha una chiesa ed è antisociale in quanto è praticata dall'individuo per raggiungere i propri fini. La r. è invece una «forza sociale», capace di fare accettare agli individui le restrizioni che la società impone. Secondo l'antropologo P. Malinowski, r. e magia nascono entrambe da bisogni emozionali e offrono all'uomo il modo per fronteggiare situazioni che egli non è altrimenti in grado di controllare. Mentre però la magia è indirizzata verso mete specifiche, la r. dà all'uomo un conforto di fronte all'inconoscibile. Malinowski indica l'origine della r. nella necessità di superare la paura della distruzione che invade una società di fronte alla morte di uno dei suoi membri. Accogliendo il fondamentale contributo degli insegnamenti di Durkheim e Malinowski, l'antropologia strutturale di C. Lévi-Strauss si definisce come un settore della semiologia; sviluppandosi sul modello della linguistica, questa scienza cerca di stabilire in ogni contesto il significato dei fenomeni sociali (sistemi di credenze, forme di organizzazione, ecc.) all'interno di un inventario più generale. In Lévi-Strauss il preponderante interesse per le società primitive è infatti determinato dalla ricerca degli «elementi stabili di ogni società», un numero limitato di modelli mentali, combinati in modo illimitatamente diverso nelle varie società umane. Nella ricerca delle «costrizioni mentali» che condizionano il comportamento umano, individuale e collettivo, Lévi-Stauss si è rivolto allo studio dei miti; egli formula l'ipotesi che ogni mito appartenga a un'unica struttura, e prospetta lo studio dei miti come uno dei modi per individuare quei meccanismi inconsci che condizionano il funzionamento del pensiero umano a livello universale.

CONSISTENZA DEI GRUPPI RELIGIOSI NEI PAESI
DELL'UNIONE EUROPEA
(Dati in percentuale)
Paese
Gruppi religiosi
%
Austria
Cattolici
Non religiosi e Atei
Riformati luterani
Musulmani
Ortodossi
Ebrei
Altri
75,1
8,6
5,4
2,0
0,7
0,1
8,1
Belgio
Cattolici
Musulmani
Protestanti
Altri
87,9
2,5
1,3
8,3
Danimarca
Evangelici Luterani
Altri Cristiani
Musulmani
Altri /Non religiosi
87,0
1,7
1,5
15,8
Finlandia
Evangelici Luterani
Ortodossi
Altri e non religiosi
85,6
1,1
14,3
Francia
Cattolici
Musulmani
Altri cristiani
Altri
76,3
5,5
2,4
15,8
Germania
Luterani
Cattolici
Musulmani
Altri
40,8
33,0
2,1
20,1
Grecia
Greco-Ortodossi
Musulmani
Protestanti
Cattolici
Altri
94,0
1,3
0,6
0,5
3,4
Irlanda
Cattolici
Anglicani
Presbiteriani
Altri
91,6
2,5
0,4
5,5
Italia
Cattolici
Non religiosi
Musulmani
Altri
81,7
13,6
1,2
3,5
Lussemburgo
Cattolici
Altri
95,1
4,9
Paesi Bassi
Cattolici
Chiesa Riformata d'Olanda
Calvinisti
Musulmani
Altri e non religiosi
32,0
15,0
8,0
4,3
40,7
Portogallo
Cattolici
Altri
Protestanti
Altri Cristiani
92,2
5,1
1,5
1,5
Regno Unito
Anglicani
Cattolici
Presbiteriani
Musulmani
Metodisti
Altri e non religiosi
43,5
9,8
4,5
2,6
2,2
38,3
Spagna
Cattolici
Musulmani
Protestanti
Altri
66,7
1,2
0,8
31,3
Svezia
Chiesa di Svezia (Luterani)
Cattolici
Pentecostali
Altri
86,1
1,9
1,0
11,0