(dal latino
pollen: fiore di farina). Bot. - Il complesso delle
microspore che si sviluppano nelle antere dei fiori delle piante angiosperme o
nelle sacche polliniche delle piante gimnosperme e che costituiscono l'elemento
fecondatore maschile. Si presenta come una polvere di colore vario (dal
più comune giallastro al violaceo), formata da minuti granuli di forma
arrotondata od ovoidale e di dimensioni variabili da 2,5 μ a 0,2 mm, liberi
o agglomerati. I granuli sono cellule protette da due membrane; una, esterna,
è detta esina ed è ricca di sporopollenina; l'altra, interna,
è chiamata endina e contiene abbondanti quantità di pectina. La
forma esterna del granulo pollinico può presentare aspetti diversi a
seconda delle specie di appartenenza e in parte risulta determinata anche dal
tipo di trasporto dei granuli stessi durante il processo di impollinazione
(V.). Se osservati al microscopio, i granuli
pollinici possono permettere il riconoscimento delle diverse specie di piante;
il loro aspetto è infatti specifico per il genere e, in alcuni casi,
anche per la specie. Essi possono risultare composti da due o tre cellule
(generalmente nelle piante angiosperme), oppure da un numero elevato di cellule
(nelle piante gimnosperme). Dopo essere venuto a contatto con l'ovulo o con lo
stimma (nel caso delle piante angiosperme), il granulo pollinico germina
producendo il budello pollinico; da esso dipende il trasporto dei nuclei
spermatici nel tessuto sottostante fino all'oosfera e quindi alla fecondazione.
A seconda delle specie, la vitalità del
p. varia da qualche ora ad
alcuni mesi. L'alta resistenza dell'esina permette al
p. di conservare
intatta la struttura esterna per tempi anche molto lunghi; ciò rende
possibile lo studio stratigrafico del terreno, finalizzato alla conoscenza degli
ambienti e delle condizioni climatiche dei periodi antichi
(V. PALINOLOGIA). Se viene a contatto con le
mucose umane, il
p. può essere responsabile di fenomeni allergici,
talvolta anche gravi (V. POLLINOSI).