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Pìndaro.

Poeta lirico corale greco. Di nobile famiglia tebana, secondo una tradizione ebbe come maestri in patria la poetessa Corinna e, ad Atene, Simonide, Laso di Ermione e Agatocle. Del 498 a.C. è il primo componimento sicuramente datato, la Pitica X, celebrante la vittoria nei giochi pitici del giovane Ippocle di Tessaglia. P. acquistò presto grandissima fama in tutto il mondo greco: suoi committenti furono amministrazioni statali, rappresentanti delle antiche famiglie aristocratiche, tiranni. Nel 490 a.C. venne scelto per celebrare la vittoria di Senocrate, fratello di Terone, signore di Agrigento (Pitica VI), iniziando uno stretto rapporto con le corti siciliane. Durante il periodo delle guerre persiane fu un fautore della neutralità tebana, attirandosi le accuse di parteggiare per la fazione che voleva l'alleanza con la Persia, ma dopo la guerra cantò le vittorie di Atene. Nel 476 a.C. si recò presso la corte di Ierone di Siracusa, di cui celebrò la vittoria olimpica da lui riportata con il celebre cavallo Ferenico (Olimpica I). Nel 464 a.C. compose l'Olimpica VII, in occasione del successo agonale del pugile Diagora di Rodi, una delle odi più famose, incisa secondo la tradizione in lettere d'oro nel tempio di Atena Lindia. L'ultima data a noi nota è il 446 a.C., anno della Pitica VIII per Aristomene di Egina. Le tradizioni sulla morte del poeta lo mostrano nella sua vecchiaia in relazione con Tenedo e con Argo. P. trattò tutte le forme della lirica corale: inni, peani, ditirambi, parteni, encomi, threnoi, epinici. Le sue opere furono ripartite dagli Alessandrini in 17 libri, di cui sopravvivono integri solo quattro libri di epinici (14 odi Olimpiche, 12 odi Pitiche, 8 odi Istmiche, 11 odi Nemee); della rimanente produzione non restano che frammenti restituiti per lo più da papiri. Il genere dell'epinicio, canto trionfale per l'atleta vincitore, in stretta relazione con il carattere di committenza della lirica corale, che presuppone un intento celebrativo, si costruisce in P. in una continua tensione fra l'attualità della vittoria agonale e il paradigma del passato mitico, modello per i vincitori e insieme giustificazione del presente. Sul tessuto leggendario della tradizione epica o locale viene individuata una relazione evidente con la persona da celebrare, affinché il mito possa avere un reale significato e un valore esemplare. Benché composte in momenti e per occasioni diverse, le odi trionfali presentano una visione costante del destino dell'uomo; P. si fa portavoce della concezione aristocratica, facendo rivivere l'antica etica eroica: l'uomo è creatura di un giorno, ma può ricevere la luce e lo splendore divino, cioè la gloria dell'atleta che rivela la sua innata grandezza o del poeta che la riconosce ed eterna. La lingua delle odi è quella tipica della lirica corale, costituita da dorismi, epicismi ed eolismi, con un ampio uso di metafore e apax lessicali; la struttura metrica consiste in una libera associazione di giambi, trochei, coriambi. La fama di P. nell'antichità fu grande, anche se egli rimase sostanzialmente estraneo alla cultura ateniese dei secc. V-IV a.C.; entrato come primo nel canone dei lirici, fu letto fino al VI sec., sia pure in ambienti eruditi. Ignoto al Medioevo occidentale, entrò a far parte della cultura europea a partire dal XVI sec., quando le sue odi furono imitate in italiano da G.G. Trissino, L. Alamanni e A. Minturno, e in seguito da G. Chiabrera. In epoca moderna il Pindarismo, che si risolve spesso in pura e semplice riproduzione retorica di artifici metrico-formali, è presente in Goethe, Shelley, Hugo e Hölderlin, come ricerca di un contenuto fortemente lirico ed emozionale (Cinocefale, Beozia 518 a.C. - Argo 438 a.C.).