(dal greco
psyché: anima e
loghía: scienza). Scienza
che studia le attività e i processi psichici consci e inconsci e i
meccanismi cognitivi e dinamici. ║ Conoscenza e spiegazione dei
sentimenti, degli stati d'animo, delle reazioni e dei comportamenti degli altri.
║ Modo di pensare e di comportarsi di una categoria di persone, osservate
attraverso determinate reazioni:
p. del compratore, p. infantile. ║
L'insieme dei fenomeni affettivi e intellettivi, delle disposizioni psichiche
dell'individuo o della collettività, studiati in se stessi o in relazione
a particolari eventi. ║ Per estens. - La capacità di cogliere e
comprendere empaticamente gli stati d'animo e i comportamenti altrui. •
Encicl. - Il termine
p. entrò nell'uso nella prima metà del
Cinquecento, ad opera dall'umanista dalmata M. Marulo, autore di una
Psycologia de ratione animae humanae (1511-18 circa). Ampiamente
utilizzata da F. Melantone, la parola deve però la sua effettiva
diffusione a R. Goclenio e al suo fortunato trattato
Psychologhia, hoc
est de hominis perfectione (1590). A partire da Leibniz e Wolff, il
termine indicò qualsiasi dottrina sull'anima che fosse stata proposta sin
dall'antichità. La
p., intesa in passato come dottrina o studio
dell'anima, viene oggi considerata la scienza della personalità e del
comportamento. I moderni orientamenti anziché procedere, come avveniva in
passato, da una considerazione astratta della vita psichica, tendono a svolgere
un'indagine scientifica, avendo come punto di riferimento l'individuo. La
nascita della
p., così come viene oggi concepita, risale alla fine
dell'Ottocento, ossia alla fondazione, a Lipsia nel 1879, del laboratorio di W.
Wundt, nel quale furono gettate le basi di tutti gli indirizzi psicologici
più recenti. Il rinnovamento dottrinario della
p. come scienza
della personalità portò allo sviluppo di una nuova metodologia di
ricerca. Mentre per vari secoli si era considerata l'osservazione introspettiva
(autoanalisi) come unico mezzo di esplorazione della vita psichica,
successivamente si affermò la tendenza a utilizzare sistematicamente
l'osservazione esterna. Si ebbe così un passaggio dal metodo soggettivo a
quello oggettivo. Tuttavia, pur essendo oggettivisti, la maggior parte degli
psicologi contemporanei tendono a utilizzare l'introspezione come strumento per
l'impostazione dei problemi e considerano l'osservazione esterna come
procedimento per un'indagine più approfondita. Attualmente vengono
distinti vari campi di indagine e varie specializzazioni della scienza
psicologica:
p. individuale,
sociale,
femminile,
maschile,
etnica,
del lavoro,
dell'infanzia,
dell'età evolutiva,
matura, ecc. Fanno parte integrante del
rinnovamento metodologico le tecniche di indagine profonda (
p. del
profondo) su basi psicoanalitiche. Si possono inoltre distinguere numerose
applicazioni della
p., tuttavia le più importanti riguardano il
campo dell'educazione, del lavoro, della medicina, della criminologia. Per
quanto riguarda le applicazioni nel settore dell'educazione, bisogna rilevare
che le conoscenze delle leggi dello sviluppo, quelle dell'apprendimento e della
fatica vengono utilizzate nell'elaborazione e nell'attuazione di programmi
didattici. Nell'ambito del lavoro, vengono studiate le attitudini lavorative in
funzione dell'orientamento professionale. Quanto alla medicina, l'ambito di
applicazione è molto vasto e va oltre quello propriamente
psicoterapeutico, per allargarsi alla medicina psicosomatica, che ha avuto negli
ultimi anni un considerevole sviluppo. ║
P. ambientale: branca
della
p. sorta negli anni Settanta, sotto l'influsso del crescente
interesse verso tematiche ecologiche ed etologiche. Oggetto di studio della
p. ambientale è il rapporto dell'individuo con l'ambiente che lo
circonda. Al suo interno è possibile distinguere una
p. ambientale
dell'ambiente costruito, che risulta in stretto rapporto con le scienze della
progettazione, e una
p. ambientale dell'ambiente naturale, che presenta
numerosi punti di contatto con gli studi geografici ed ecologici. ║
P.
analitica:
indirizzo psicologico fondato da C.G. Jung, dopo il suo
distacco dalla psicoanalisi freudiana. Sul piano teorico, le differenze tra la
scuola junghiana e quella freudiana sono numerose, a cominciare dalla stessa
nozione di
libido, che Jung
desessualizza, considerandola
manifestazione di un'energia psichica generale, fonte di ogni tipo di
comportamento. Si tratta cioè della traduzione psicologica del concetto
biologico di slancio vitale (
élan vital) di Bergson. Uno dei
fattori che maggiormente contribuì a caratterizzare la teoria di Jung fu
il suo interesse per la mitologia che, tra l'altro, lo portò a
soffermarsi sulla
p. dei fenomeni occulti. L'individuazione dei
cosiddetti
archetipi (immagini primordiali) lo portò a parlare, al
di là dell'inconscio personale, anche di un inconscio collettivo,
contenente ciò che non si riferisce a particolari esperienze
dell'individuo, ma a quelle delle generazioni precedenti. La personalità
è composta, secondo Jung, da diversi strati o livelli: i più
superficiali, quelli cioè che rappresentano tratti coscienti ed
esteriori, sono la
maschera e la
persona, mentre gli elementi
rimossi costituiscono l'
ombra.
Anima e
animus sono i
termini con i quali Jung designa le rappresentazioni psicodinamiche del sesso
opposto, nell'uomo e nella donna. L'attività della psiche viene
interpretata come una continua dialettica di opposti, che normalmente si
bilanciano a vicenda; quando ciò non avviene si instaura la nevrosi.
Quanto alla tecnica psicoterapeutica, Jung non considerò mai la propria
in antitesi a quella psicoanalitica, anche se si servì delle tecniche
della psicoanalisi freudiana con una notevole flessibilità, variando i
propri metodi per adattarli alle condizioni particolari dei singoli pazienti. La
p. analitica junghiana costituì un felice terreno per coloro che
rifiutarono l'approccio biologico, deterministico e ateo di Freud. Inoltre, la
concezione freudiana è sostanzialmente
egualitaria, in quanto
considera gli individui, al momento della nascita, non molto diversi gli uni
dagli altri, perché dotati semplicemente di un gruppo di istinti e
pulsioni (secondo Freud, ogni nevrosi e comportamento deviato va attribuito
soprattutto a ciò che avviene dopo la nascita: educazione, ambiente,
ecc.); la concezione junghiana attribuisce invece grande importanza a ciò
che l'individuo porta con sé nel momento in cui nasce, ossia alle sue
disposizioni naturali (introversione-estroversione), di tipo sensitivo,
intuitivo, affettivo, intellettuale. Secondo Jung, hanno importanza soprattutto
i legami con determinati modi di pensare, sentire e comportarsi che l'individuo
ha ereditato da lontani antenati. ║
P. animale: studio del
comportamento animale, condotto spesso in modo comparativo fra le diverse
specie. La
p. animale, sorta in piena epoca darwiniana, si è
occupata, nell'Ottocento, della costruzione di una scala filogenetica del
comportamento, il cui vertice è occupato dai comportamenti evoluti dei
primati e della specie umana. Nel Novecento, sotto l'influsso del
Comportamentismo, anche il comportamento animale è divenuto oggetto di
sperimentazione, per determinare leggi generali, valide per tutte le specie.
Oggigiorno la
p. animale studia i fondamenti genetici del comportamento
(
psicobiologia) o il comportamento delle varie specie nel loro habitat
naturale (
etologia). ║
P. applicata: branca della
p.
che si occupa dell'applicazione dei concetti della
p. scientifica, per la
soluzione dei problemi della vita pratica. A differenza della
p.
generale, il cui fine è quello di descrivere e comprendere il
comportamento umano, la
p. applicata mette in pratica le acquisizioni
teoriche della prima per modificare la condotta degli individui o dei gruppi. La
nascita della
p. applicata risale alla fine dell'Ottocento, con le
ricerche sperimentali sull'affaticamento negli scolari, condotte da H.
Ebbinghaus e le applicazioni pratiche di metodi e concetti sviluppati dalla
scuola di W. Wundt, ad opera di J.Mckeen Cattell. Quest'ultimo, cui si deve, fra
l'altro, l'invenzione del termine
test, nel 1890 fondò la prima
associazione psicologica (Psychological Corporation) la cui esplicita
finalità era quella di servire gli interessi della scuola e
dell'industria. Durante e dopo la prima guerra mondiale le ricerche di
p.
applicata subirono un notevole sviluppo in vari settori e, in particolare, in
ambito militare. Oggigiorno, le ricerche di
p. applicata si estendono su
un'ampia gamma di settori, suddividendosi in vari rami che hanno in comune
l'utilizzo di metodi psicometrici (reattivi psicologici e test). ║
P.
dell'arte: ramo della
p. che studia le funzioni e le attitudini
dell'artista, le reazioni di colui che fruisce dell'opera d'arte, i fattori che
si associano all'esperienza estetica e alle differenze individuali e culturali.
La
p. dell'arte indaga, inoltre, le interpretazioni psicologiche degli
stili artistici, i fenomeni della creatività e della genialità. La
nascita di questa disciplina può essere fatta risalire al 1876, anno di
pubblicazione di un saggio di G.T. Fechner, in cui veniva proposta un'estetica
sperimentale e induttiva, basata sull'osservazione empirica. L'affinamento degli
strumenti di osservazione operato da studiosi quali C. Lalo e O. Külpe,
permise di raggiungere significativi risultati nello studio della preferenza di
forme geometriche e combinazioni di colori (G.J. von Allesch), mentre A.D.
Brikhoff mise a punto delle formule per la misurazione del piacere estetico. Un
notevole contributo allo sviluppo della
p. dell'arte (soprattutto per
quanto attiene alle arti visive e alla musica) fu dato dalla
p. della
Forma e dalla psicoanalisi (studio del simbolismo dell'arte, rapporto tra
inconscio e attività fantastica, ecc.). In tempi più recenti
l'estetica sperimentale si è servita di concetti tratti dalla cibernetica
e dalla teoria dell'informazione. ║
P. clinica: branca della
p. che si occupa dello studio dei processi psichici dinamici e delle loro
patologie, privilegiando l'indagine sul singolo caso, senza essere legata
all'impostazione di una particolare scuola psicopatologica o psicoterapeutica.
║
P. cognitiva: settore della
p. che si occupa dei processi
cognitivi. ║
P. comparata: in generale, ogni settore della
p. che ricorra all'uso del metodo comparativo. In senso stretto la
p. animale; in un'accezione più ampia il termine si riferisce
anche alla
p. evolutiva o
genetica (studio comparato delle
funzioni psichiche nelle diverse età), alla
p. differenziale e
alla
p. etnografica. ║
P. di comunità:
ramo della
p. che si occupa dell'intervento psicologico nel territorio e
nelle strutture sociali (famiglia, scuola, comunità terapeutiche, ecc.)
per migliorare la salute psichica e la qualità della vita. ║
P.
del comportamento: indirizzo psicologico che prende anche il nome di
Comportamentismo o Behaviorismo (V.). ║
P. differenziale: branca della
p. che si occupa dello
studio comparativo delle differenze psicologiche fra individui in seno a gruppi
omogenei o a gruppi eterogenei per età, sesso, cultura, ecc. L'indagine
sperimentale ha dimostrato una grande varietà di caratteristiche
psicologiche negli individui di una stessa specie, sia per quanto riguarda le
caratteristiche cognitive, sia per quelle emotive. Un primo obiettivo nel campo
della
p. differenziale si può individuare nello studio comparativo
delle caratteristiche psicologiche fra individui tipici appartenenti a diverse
specie biologiche; frequente è il confronto fra caratteristiche e
funzioni psicologiche nell'uomo e nelle altre specie animali. All'interno di una
stessa specie le differenze individuali possono essere fatte risalire a tre tipi
di motivazioni: corredo genetico, ambiente di vita, età. Uno solo di
questi tre fattori è in grado di determinare numerose e significative
variazioni individuali. Lo studio di queste cause di differenziazione può
avvenire attraverso un'indagine sul campo o tramite la ricerca sperimentale. Nel
primo caso vengono studiati fenomeni che si realizzano spontaneamente e che
influiscono sui soggetti analizzati; nel secondo caso, invece, si agisce
artificiosamente su una delle condizioni che influiscono sui soggetti
sperimentali, oppure si scelgono, all'interno di un grande gruppo, casi in cui
tale condizione sia fortemente operante. Solitamente, per semplificare
l'elaborazione statistica, sia le ricerche sul campo che quelle sperimentali
prendono in esame una sola causa di variazione alla volta. La
p.
differenziale può seguire due linee diverse: si può partire da
categorie di individui costituite in base a qualche criterio teorico, per poi
ricercare le caratteristiche comuni o diverse; oppure si possono costituire
categorie di individui da contrapporre fra loro proprio sulla base di
caratteristiche psicologiche diverse. L'aspetto più interessante è
quello dello studio comparativo di qualità psicologiche di categorie
omogenee individuate a priori (per esempio: sesso, età, classe
socioeconomica, ecc.). ║
P. dinamica o
psicodinamica:
espressione con cui si designano tutti gli indirizzi di ricerca psicologica che,
rifacendosi a un approccio di tipo psicogenetico e al concetto di conflitto
psichico, prediligono l'indagine sui fattori motivazionali del comportamento
umano e sui problemi evolutivi della personalità. In questo contesto di
ricerca, il contributo delle teorie psicoanalitiche è stato fondamentale,
anche se, nell'ambito della psicodinamica, sono presenti posizioni del tutto
estranee alla psicoanalisi, come ad esempio quelle di G.W. Allport e K. Lewin.
║
P. esistenziale: indirizzo psicologico che si rifà nei
suoi presupposti fondamentali alla dottrina filosofica dell'Esistenzialismo
(Kierkegaard, Heidegger, Sartre, Camus, Marcel, Buber). Significativo è
stato anche l'influsso della filosofia di E. Husserl il quale, riprendendo il
concetto elaborato da F. Brentano, di intenzionalità della coscienza,
definì un nuovo metodo descrittivo per i fenomeni psichici e una nuova
impostazione del problema del rapporto io-mondo. La.
p. esistenziale
definisce il proprio ambito d'indagine in termini di analisi esistenziale, di
cui i concetti chiave sono mistero, insicurezza, angoscia, situazione limite,
morte, presenza, solitudine, tempo, salvazione. Scopo dell'analisi esistenziale
è quello di giungere a una fondazione della psicopatologia basata
sull'
umano, dove per umano si intende l'
esistenza in senso
heideggeriano, l'individuo nella sua solitudine e unicità. La
p.
esistenziale prescinde da giudizi di tipo clinico o prognostico, nonché
da finalità di tipo operativo. Dal momento che l'individuo è
inseparabile dal suo
mondo-di-vita, i fenomeni psichici non sono altro
che la genuina espressione del mondo-di-vita, dell'
essere in situazione
del singolo. Scopo della
p. esistenziale è quello di indagare le
modificazioni nella struttura dell'esistenza, dell'essere in situazione, che
portano a un restringimento, una costruzione o un appiattimento del mondo.
Grande rilevo viene dato dalla
p. esistenziale alle espressioni
linguistiche, considerate estremamente significative per comprendere il modo di
rapportarsi al mondo del soggetto. In particolare il pensiero di Heidegger ha
esercitato un influsso considerevole sulla psicopatologia; partendo
dall'analitica heideggeriana L. Binswanger ne ha trovato vasta applicazione in
sede psichiatrica. L'applicazione di concetti filosofici quali quelli di
singolo,
situazione,
intersoggettività,
angoscia in campo psichiatrico ha rotto la tradizionale concezione della
psichiatria come scienza puramente medico-naturalistica, allargandone gli
orizzonti e facendo emergere la rilevanza delle tematiche dell'isolamento e
della coesistenza, dell'amore e della morte, della fede e della disperazione,
della paura, del coraggio, dell'autenticità e ha cercato di superare lo
iato fra corpo e psiche attraverso il concetto di
corporeità.
Questa rivoluzione concettuale si è tradotta anche in una nuova
consapevolezza epistemologica e in una profonda modificazione del linguaggio
psichiatrico. ║
P. dell'età evolutiva o
dello
sviluppo:
branca della
p. che si occupa dello studio
dell'evoluzione psicologica dell'individuo, dall'infanzia all'età adulta.
Benché il problema dell'educazione infantile sia stato affrontato fin
dall'antichità (Platone, Aristotele), è in realtà alla fine
del XVIII sec., con l'
Emilio di Rousseau, che si pongono le basi della
moderna concezione del bambino, come portatore di un'individualità
psicologica del tutto peculiare, che deve esprimersi liberamente, e il cui
sviluppo è diviso in fasi, a ciascuna delle quali deve corrispondere
un'educazione adeguata. Sebbene sia ormai una pratica consolidata quella di
distinguere nello sviluppo psichico alcune fasi distinte, attualmente gli
studiosi considerano questa suddivisione del tutto artificiale, anche se non
priva di funzionalità. Oggi infatti si considera l'evoluzione psichica,
intesa come sviluppo del rapporto tra ambiente e psiche, come un processo
continuo che va dalla nascita alla morte. Tenendo presente queste
puntualizzazioni, con età evolutiva si intende generalmente il periodo
compreso fra il concepimento e la fine della giovinezza. In realtà la
fissazione del termine ultimo dell'età evolutiva è questione
quanto mai complessa e oggetto di discussione. Infatti, se la fine della
giovinezza coincide con il raggiungimento della maturità, è molto
difficile stabilire quando un individuo possa dirsi maturo. Inoltre,
considerando la differenza fra la nostra società attuale e quella del
secolo scorso o altri tipi di culture, appare chiaro che il raggiungimento della
maturità è qualcosa di strettamente legato ai caratteri propri di
ciascuna civiltà. Utilizzando un criterio forse un po' artificioso, e
comunque limitato alla civiltà occidentale, si suole far iniziare
l'età adulta tra il ventesimo e il venticinquesimo anno di età. A
sua volta l'età evolutiva è suddivisa in numerose fasi, il cui
numero e carattere varia a seconda degli autori: alla tradizionale, e un po'
generica suddivisione in quattro fasi - dalla nascita ai sei anni (prima
infanzia), dai sette agli undici anni (età scolare), dagli undici ai
quattordici anni (pubertà), dai quattordici all'età adulta
(adolescenza o giovinezza) - si preferisce oggigiorno una classificazione
più dettagliata. L'età evolutiva viene suddivisa in otto distinte
fasi con una particolare attenzione ai primi anni di vita: periodo prenatale,
periodo neonatale, primo anno di vita, dal secondo al quarto anno, dal quarto al
sesto anno, dal sesto all'undicesimo, dall'undicesimo al quattordicesimo, dal
quattordicesimo al sopraggiungere della maturità. È tuttavia bene
ricordare che il numero di fasi e il loro significato varia da scuola a scuola
e, all'interno di queste, da autore ad autore. Ad esempio A.L. Gesell, uno dei
padri della
p. evolutiva, rifacendosi al Comportamentismo sottopone il
bambino a un'osservazione sistematica, resa possibile da tecniche particolari
quali lo schermo unidirezionale e la
nursey-guide, derivando da essa le
sue considerazioni sul comportamento del bambino nelle varie fasi di crescita.
H. Wallon, muovendosi in un orizzonte rigidamente sperimentale di tipo
psicobiologico e riflessologico, ha incentrato le sue ricerche sia sugli
elementi genetici, sia su quelli comportamentali dello sviluppo del bambino. Al
centro degli studi di E. Claparède c'è il problema della
meccanica degli interessi, dove con
interesse si intende un
rapporto di reciproca convenienza fra soggetto e oggetto; il metodo da lui
utilizzato si basa sull'osservazione del comportamento del bambino, delle sue
produzioni (disegni, racconti, ecc.), nonché sul metodo introspettivo. J.
Piaget ha basato i suoi, fondamentali studi sullo sviluppo dei processi
intellettivi nell'età evolutiva sul metodo clinico, ovvero
sull'osservazione del caso concreto, condotta sistematicamente e con l'ausilio
di situazioni sperimentali. Un grande contributo allo sviluppo della
p.
dell'età evolutiva è stato dato anche dalla scuola sovietica
fondata da L.S. Vygotskij che, superando la prospettiva di Piaget, ha
sottolineato il ruolo prioritario nello sviluppo infantile dei fattori
storico-culturali rispetto a quelli genetici. Un grande impulso allo studio del
comportamento e della
p. infantile si deve anche alla psicoanalisi; su
questo versante ricordiamo in particolare A. Freud e M. Klein, le cui
elaborazioni, basate sulla convinzione che gli eventi dell'età evolutiva
siano derivati da uno sviluppo dinamico su base istintiva, hanno saputo
esercitare un grande influsso su tutta la
p. dell'età evolutiva.
Negli ultimi decenni il settore della
p. dell'età evolutiva ha
registrato notevoli cambiamenti. Per quanto riguarda gli obiettivi della
ricerca, l'attenzione si è sempre più concentrata sullo studio dei
processi di sviluppo e sui fattori che in esso agiscono. Ciò si è
tradotto, dal punto di vista metodologico, nel ricorso sempre più
frequente all'esperimento, in cui è possibile individuare con precisione
gli elementi causali dello sviluppo psicologico. Molti studiosi hanno inoltre
sottolineato l'importanza di ricerche
longitudinali, ricerche cioè
in cui sia possibile esaminare ripetutamente nel corso del tempo gli stessi
soggetti: in questo modo è possibile determinare la successione e il
ritmo delle varie fasi di sviluppo. Dal punto di vista dei riferimenti teorici,
si è attenuata la rigida contrapposizione fra le diverse scuole, le cui
grandi sistematizzazioni teoriche si sono andate frantumando in una
molteplicità di modelli esplicativi di portata limitata, che vengono
utilizzati dagli studiosi con una buona dose di eclettismo. I contributi
più rilevanti delle ricerche sono state le scoperte riguardanti il
periodo neonatale. Attraverso l'utilizzo di tecniche molto avanzate, che hanno
permesso di registrare comportamenti non osservabili a occhio nudo (per esempio
frequenza dei movimenti di suzione, movimenti oculari, ecc.), e dati fisiologici
(battito cardiaco, respirazione, ecc.) si sono potute individuare alcune
caratteristiche adattive di cui il neonato dispone fin dalla nascita. Per
esempio, l'analisi spettrografica ha permesso di distinguere diverse
modalità di pianto (per fame, dolore, collera, ecc.) che vengono
utilizzate dal bambino come segnale, e che generalmente vengono comprese nel
loro esatto significato dalle persone che si occupano del neonato. Importanti
risultati sono stati ottenuti anche nel campo delle facoltà cognitive
nell'età prescolare. Si è infatti dimostrato che i bambini dai due
ai sei anni sono in grado di formarsi idee organizzate e coerenti sul mondo che
li circonda, anche se diverse da quelle degli adulti; a essi è inoltre
riconosciuta la capacità di acquisire conoscenze specifiche su argomenti
di particolare interesse, superiori a quelle degli stessi adulti, di comunicare
con gli altri scegliendo le modalità di espressione, a seconda del tipo
di interlocutore. Anche nel settore dello sviluppo affettivo e sociale i
risultati sono stati di grande interesse. I legami bambino-adulto non vengono
più visti solo come espressione del legame di dipendenza del primo verso
il secondo. Oggi si tende a considerare i primi legami affettivi come
conseguenza del tipo di risposta che l'adulto dà a una serie di segnali e
comportamenti del neonato (pianto, sorriso, ricerca del contatto fisico, ecc.).
Mentre in una prima fase i comportamenti di attaccamento sono rivolti a
qualunque adulto si prenda cura del bambino, in una seconda fase (due-otto mesi)
vengono indirizzati selettivamente verso la madre e, successivamente, il bambino
comincia a reagire negativamente alla separazione dalla madre e alla presenza di
persone estranee. Solo nel secondo anno di vita, quando ormai è in grado
di rappresentarsi mentalmente la figura materna e di comprendere la
provvisorietà della separazione, il bambino è capace di separarsi
spontaneamente dalla madre per esplorare il suo ambiente. Sono state riviste
anche le concezioni riguardanti la socialità del bambino in rapporto ai
suoi coetanei. Se, infatti, è vero che il bambino riscontra una maggiore
difficoltà a instaurare un rapporto con un coetaneo, rispetto a un
adulto, in quanto il primo non è in grado di coordinare l'interazione,
è stato tuttavia dimostrato che una frequentazione costante fra bambini
di età inferiore a un anno permette a essi di creare semplici situazioni
di gioco a due; inoltre già durante il secondo anno di vita, qualora il
bambino sia messo in contatto con più coetanei, si delinea una netta
preferenza per un compagno. La classificazione delle espressioni facciali
tramite cui si esprimono le emozioni, unitamente alla considerazione di indici
fisiologici, ha permesso di fare grandi passi in avanti anche nel settore
dell'esplorazione della vita emotiva del bambino. La ricerca contemporanea pone
grande considerazione al
contesto in cui il processo evolutivo si svolge,
dove per contesto si intende sia l'ambiente fisico in cui il soggetto vive, sia
l'ambiente socio-culturale, come pure il periodo storico. La tendenza degli
studiosi è di considerare sempre di più l'interrelazione fra
fattori interni (biologici e psicologici) ed esterni (contestuali) per studiare
lo sviluppo. ║
P. fisiologica: denominazione utilizzata nella
seconda metà dell'Ottocento come sinonimo di
p. scientifica.
Infatti, lo studio del substrato fisiologico dei fenomeni psicologici elementari
veniva considerato come carattere fondamentale di una
p. che volesse
sfuggire ai pericoli del soggettivismo e della pura metafisica. In questa
accezione il termine fu introdotto nel 1874 da W. Wundt. Tuttavia, in altri
autori (I.M. Secenov, S. Exner, ecc.), tale concezione si tramutò in
un'impostazione fortemente riduzionistica, per cui si cercò di descrivere
in termini puramente fisiologici tutti i processi psichici. Fu proprio questa
seconda accezione ad avere la meglio, tanto che, già ai primi del
Novecento, la
p. fisiologica si costituì come settore specifico
della
p. avente come oggetto di studio la relazione fra i processi
fisiologici (in particolare del sistema nervoso) e i processi psichici.
Fondamentale per lo sviluppo della
p. fisiologica fu la localizzazione
cerebrale delle funzioni psichiche e lo studio dell'arco riflesso, unitamente
alla teoria di I.P. Pavlov sui riflessi condizionati. Tuttavia, la
neurofisiologia di Pavlov, basata su osservazioni di tipo comportamentale, fu
ben presto messa in discussione, proprio per il suo carattere teorico-astratto,
da studiosi quali B.F. Skinner, K.S. Lashley, J. Konorski e D.O. Hebb, che
affermarono l'importanza di rifarsi a una più precisa analisi
neurofisiologica. Ciò fu possibile in maniera effettiva a partire dagli
anni Cinquanta, grazie all'utilizzo di strumenti elettronici per la
registrazione dell'attività del sistema nervoso. Fra le ricerche
più interessanti condotte in questo ambito ricordiamo quelle sulla veglia
e il sonno, sul ruolo delle strutture sottocorticali nei processi motivazionali,
sui processi sensoriali e percettivi, sulle basi corticali dell'apprendimento.
Grande influsso hanno anche esercitato le teorie dell'informazione e della
cibernetica, richiamando l'attenzione sui processi di retroazione che regolano
il comportamento. In campo teorico il maggiore contributo è stato dato
dalla teoria di A.R. Lurija sui rapporti fra processi cerebrali e processi
psichici. L'elaborazione da parte di Lurija del concetto di
sistema
funzionale cerebrale, inteso come insieme dinamico delle varie
strutture cerebrali che intervengono in un processo psichico, ha permesso il
superamento delle teorie ottocentesche
localizzazionistiche (in cui si
faceva corrispondere all'attività di una particolare struttura cerebrale
un determinato processo psichico), sia di quelle
globalistiche (in cui
ogni processo psichico veniva visto come il risultato dell'attività
globale del cervello). Principali tecniche utilizzate dalla
p.
fisiologica sono la registrazione dell'attività elettrica del sistema
nervoso e del sistema muscolare, la stimolazione elettrica delle strutture
cerebrali e lo studio di lesioni e sezioni del cervello. Sotto il termine di
neuropsicologia vengono propriamente indicate le ricerche di
p.
fisiologica che analizzano le conseguenze provocate dalle lesioni del cervello
sui processi psichici e comportamentali, mentre lo studio delle variazioni
elettrofisiologiche correlate ai processi psichici e comportamentali rientrano
nella
psicofisiologia. Le ricerche più importanti della
neuropsicologia hanno riguardato, negli ultimi anni, il ruolo dei lobi
frontali nei processi psichici e le funzioni dell'emisfero cerebrale dominante
nella funzione del linguaggio; in campo psicofisiologico si è
approfondito il tema delle risposte del sistema nervoso vegetativo e quello
delle risposte elettriche del cervello nei fenomeni emozionali, nella percezione
e nell'apprendimento. ║
P. della Forma o
Gestaltpsychologie
o
Gestalttheorie: particolare indirizzo psicologico elaborato dalla
Scuola di Berlino (M. Wertheimer, K. Koffka, K. Lewin, W. Köhler, W.
Metzger, K. Gottschaldt), che viene spesso associato alla
p. della
Totalità della Scuola di Lipsia (K. Krueger, O. Klemm, H. Volkelt, J.
Rudert, E. Wartegg). Alla base di queste teorie psicologiche sta la tesi, che si
ritrova già nel pensiero classico greco (Platone e Aristotele), che
l'insieme è qualcosa di più della somma dei singoli elementi
costitutivi, così che le qualità della forma appaiono dotate di
una certa indipendenza rispetto agli elementi che la compongono. Gli psicologi
della Forma e della Totalità contrappongono le loro posizioni a quelle
della
p. elementaristica della scuola associazionistica e della
p.
fisiologica, interessata a individuare e analizzare i singoli elementi della
vita psichica cosciente. In polemica con la
p. classica, gli psicologi
della Forma affermano che ogni percezione si presenta all'esperienza come un
tutto unico. La corrente berlinese si formò verso il 1910 in seguito
all'incontro di M. Wertheimer, W. Köhler, K. Koffka. Secondo questo
indirizzo psicologico, i singoli contenuti percettivi non sono mai singolarmente
indipendenti, ma continuamente soggetti a influenza reciproca. Gli psicologi
della Forma considerano l'analisi praticata dalla
p. associazionistica
astratta e deformante, mentre l'organizzazione formale immediata viene posta
come principio valido anche a spiegare tutti gli altri processi mentali:
struttura personale, comportamento, ecc. Ai principi formali riferiti alla
percezione ottica si sono aggiunti i principi aventi per oggetto i sentimenti.
Per quanto tutte le scuole psicologiche della Forma concordino sul fatto che
l'esperienza psichica sia dotata di una struttura unitaria, esistono divergenze
quando si tratta di darne una spiegazione. La discussione sui problemi della
Forma è infatti tuttora in atto e continui sono gli sviluppi di questa
dottrina. ║
P. individuale:
denominazione data da A. Adler
alla dottrina e alla tecnica di analisi psichica da lui elaborate dopo il suo
distacco dalla psicoanalisi freudiana. La teoria adleriana si basa
fondamentalmente sul sentimento di inferiorità-superiorità. Adler
sostenne infatti che lo scopo finale di ogni nevrosi consiste in un'esaltazione
del sentimento della personalità, la cui forma più semplice
è l'affermazione esagerata della virilità. Centrali nella teoria
adleriana sono i meccanismi di compensazione e ipercompensazione, che vengono
esemplificati dallo stesso autore con il processo per cui alcuni bambini che non
riescono a raggiungere la superiorità nella competizione diretta con i
coetanei si accorgono che, se sono ammalati, ricevono maggiori attenzioni,
acquistando attraverso la malattia una posizione privilegiata e, quindi, un
particolare tipo di superiorità. Questa scoperta può indurli a
ritirarsi dalla competizione e a rifugiarsi nella malattia fisica o mentale, che
può manifestarsi nelle forme più varie. In ogni caso, ciò
che fornisce il punto di partenza all'evoluzione di una nevrosi è secondo
Adler, il minaccioso sentimento di insicurezza e di inferiorità,
sentimento che genera il desiderio irresistibile di trovare uno scopo atto a
rendere sopportabile la vita, assicurandole una direzione. Il nevrotico
cioè reagisce innanzitutto a un sentimento di inferiorità, le cui
radici prime vanno ricercate di solito nell'infanzia. Ogni bambino, in genere,
è un minorato e l'infanzia trascorre tutta in un'atmosfera di
inferiorità, per la debolezza fisica del bambino, per l'incompleto
sviluppo dei suoi organi, per la sua dipendenza dagli adulti, per le
difficoltà che continuamente incontra e che non può superare. Le
tendenze aggressive, lo spirito di contraddizione, gli atti violenti e
distruttivi sono delle naturali reazioni del bambino al sentimento di
inferiorità e al bisogno di affermare la propria volontà di
potenza. Questo sentimento può essere rafforzato da una cattiva
educazione, di tipo autoritario, tale da indurre l'individuo a perdere ogni
fiducia in se stesso. Con la teoria della
compensazione psichica, Adler
ha cercato di spiegare vari fenomeni nella
p. dell'infanzia e nella
psicopatologia della nevrosi. Quanto alla terapia della nevrosi, quella
adleriana, pur differenziandosi da quella freudiana, è come questa
strettamente psicologica, si base cioè sulla fiducia nella
possibilità di "rieducare" i nevrotici. Il compito del medico
consiste nel dimostrare al malato l'errore della sua posizione, nello spiegargli
come sia sbagliato il suo orientamento e soprattutto nel vincere il sentimento
di inferiorità, facendogli ritrovare la fiducia in se stesso. Pertanto, a
differenza del trattamento psicoanalitico freudiano, in cui è il paziente
che parla, rievocando le proprie esperienze infantili (
anamnesi) e
interpretando i propri sogni, nel trattamento psicologico individuale adleriano
chi parla è soprattutto il medico, che cerca di persuadere, consigliare,
insegnare, cercando di guadagnare la simpatia e la fiducia del paziente, in modo
da fargli trovare un compromesso sufficiente a rendere sopportabile e sicura
l'esistenza. L'influsso della
p. adleriana si è fatto soprattutto
sentire sulla teoria e sulla pratica dell'educazione. Una pedagogia informata ai
principi adleriani favorisce il sano sviluppo dell'individuo che viene posto
nella condizione di maturare una giusta fiducia in se stesso. Particolarmente
importante è l'applicazione che i principi adleriani hanno trovato
nell'educazione dei giovani aggressivi, nervosi, turbolenti o morbosamente
timidi e passivi. ║
P. dell'Io: denominazione con cui viene
indicata una delle principali scuole della psicoanalisi freudiana, sviluppatasi
negli Stati Uniti d'America fra gli anni Quaranta e Cinquanta. Alla base di
questo indirizzo psicoanalitico vi è lo studio psicologico degli apparati
e delle funzioni dell'Io, sia in rapporto alle altre istanze psichiche, sia in
rapporto al mondo esterno. I fondamenti della
p. dell'Io, già
presenti
in nuce negli scritti freudiani, furono posti da H. Hartmann nel
suo saggio intitolato
Psicologia dell'Io e il problema dell'adattamento
(1939), in una prospettiva dove la pura psicoanalisi si riconnetteva alla
biologia, alla sociologia e alla neurofisiologia. Oltre ad aspetti meramente
clinici, la
p. dell'Io ha approfondito problemi metodologici, derivanti
sia dall'ipotesi dell'autonomia dell'Io sia dal concetto di adattamento. Secondo
gli esponenti di questa scuola (E. Kris, R. Loewenstein, D. Rapaport, G.S.
Klein) l'individuo è dotato fin dalla nascita di una serie di apparati
che gli permettono di adattarsi all'ambiente; tali apparati funzionano in
maniera autonoma, cioè indipendentemente dalla sfera pulsionale ed
emozionale. Su tale modalità adattativa si basa il concetto di autonomia
primaria dell'Io: l'Io non sarebbe, come vuole la teoria freudiana, una sorta di
derivazione dall'Es, ma la genesi sia dell'Io quanto dell'Es, sarebbe da
ricondurre a una comune matrice indifferenziata e preesistente. ║
P.
della musica: settore della
p. che si occupa dello studio della
percezione della musica, della creazione musicale, e delle reazioni da essa
suscitate. Campi particolari di indagine sono le dimensioni tonali, le
problematiche psicofisiologiche correlate alla capacità di riconoscere
infallibilmente i toni ordinati in una successione casuale (orecchio assoluto),
unione dei toni, consonanza e dissonanza delle melodie, memoria musicale e
reazioni affettive alla musica. ║
P. medica: branca della
p.
che si occupa delle diverse funzioni psichiche, in rapporto con il funzionamento
dell'organismo e, più in particolare, del sistema nervoso in condizioni,
sia normali, sia patologiche. ║
P. patologica: studio delle
anomalie e delle malattie psichiche (V. PSICOPATOLOGIA). ║
P. sperimentale: il complesso delle
ricerche psicologiche condotte con metodo sperimentale. La denominazione di
sperimentale equivalse a quella di
p. scientifica, quando questa mosse i
primi passi, a significarne la differenza di metodo rispetto a quella
tradizionale filosofica, condotta con metodo metafisico-razionale. ║
P.
trasculturale: branca della
p. che, privilegiando l'attenzione sui
fattori storico-culturali rispetto a quelli biologici, studia i processi
psichici di soggetti appartenenti a culture diverse. ║
P. pedagogica
o
psicopedagogia: V. PSOCOPEDAGOGIA.
║
P. della pubblicità: settore della
p.
applicata che si occupa delle tecniche di condizionamento e delle esperienze di
percezione relative al lancio di determinati prodotti commerciali o alla
propaganda di idee politiche. L'influsso del messaggio pubblicitario si presenta
in quelle situazioni di scelta, in cui le due alternative non sono di per
sé tali da indurre a un'immediata e precisa decisione, per cui spetta al
messaggio pubblicitario presentarne una in una luce così attraente da
indurre a una scelta preferenziale. Pertanto, la funzione di ogni tipo di
propaganda, sia commerciale, sia ideologica, è quella di presentare uno
stereotipo del prodotto che essa sostiene in modo da farlo apparire sotto la
luce più favorevole. In campo pubblicitario, l'intervento dello psicologo
è richiesto sia per elaborare sondaggi d'opinione, sia per lo studio
delle motivazioni. Varie indagini condotte con l'intento di studiare la
struttura della personalità dei sostenitori (o dei detrattori) di un
determinato prodotto o idea hanno rivelato che gli acquirenti o coloro che
sostengono certe idee o partiti politici, hanno per lo più una conoscenza
piuttosto imprecisa delle ragioni che li hanno indotti alla scelta, dato che si
tratta, in massima parte di motivi inconsci. Compito della
p. applicata
alla pubblicità è di identificare quali sono le caratteristiche di
un prodotto capaci di attirare il maggior numero di acquirenti. Nell'ambito
aziendale vengono perciò elaborate delle strategie attraverso cui
controllare la domanda: ciò può avvenire sia con la messa a punto
di strategie di vendita per i singoli prodotti, sia con la progettazione di
nuovi prodotti o caratteristiche di prodotto, intorno alle quali si possa
impostare una strategia di vendita. Le tecniche psicologiche di tipo
pubblicitario hanno avuto la maggiore diffusione negli Stati Uniti dove sono
state largamente utilizzate anche per la propaganda elettorale. ║
P. del lavoro o
industriale: settore della
p.
applicata che ha per oggetto lo studio del singolo, o del gruppo, nella
situazione lavorativa. Il suo obiettivo fondamentale è quello di
stabilire le condizioni ottimali per l'adattamento dell'uomo all'ambiente di
lavoro (e in modo particolare a quello tecnico dell'industria) e, secondo una
tendenza più recente, quelle per l'adattamento dell'ambiente di lavoro
alle esigenze psichiche dell'uomo, al fine di garantire una migliore
produttività. Rientrano nel campo d'indagine della
p. applicata lo
studio della forma di apprendimento e di esecuzione del lavoro più
funzionale, la selezione attitudinale del personale la strutturazione
psicologico-sociale dei lavoratori. Per quanto riguarda le condizioni
lavorative, è sorta una branca specializzata, quella dell'
human
engineering che, oltre a interessarsi dell'ambiente di lavoro
(illuminazione, acustica, disposizione del corpo, ecc.), si occupa anche della
durata del lavoro e delle pause lavorative, tenendo conto del periodo iniziale
di adattamento, dell'affaticamento, ecc. Fra gli iniziatori di
quest'applicazione psicologica meritano di essere ricordati J.M. Lahy, che per
primo fece uso di test nell'esame di alcuni operai, e H. Münsterberger,
autore di un fondamentale saggio intitolato
La psicologia e l'efficienza
industriale (1913). Con l'accelerarsi dello sviluppo industriale
capitalistico e la diffusione del taylorismo, nel primo dopoguerra la
p.
del lavoro conobbe una notevole evoluzione soprattutto negli Stati Uniti
d'America. Nel 1920 E. Mayo condusse le prime ricerche sistematiche sul tema
della monotonia del lavorio industriale, inaugurando una feconda linea di
ricerca, rappresentata in Italia da A. Gemelli, che si occupò fra le
altre cose del tema dell'affaticamento. A. Kornhauser, all'università di
Chicago (1930), condusse degli studi sugli atteggiamenti dei lavoratori rispetto
al loro luogo di lavoro; negli stessi anni, studiosi dell'università di
Harvard condussero una ricerca, rimasta basilare, all'interno degli stabilimenti
di Hawthorne, che fece emergere tutta l'importanza degli aspetti relazionali fra
i lavoratori. ║
P. del profondo o
dell'inconscio: indirizzo psicologico che si occupa degli strati profondi, inconsci, della
psiche. Si tratta di un equivalente di psicoanalisi, ma in questo senso il
termine è piuttosto in disuso. Attualmente si tende a usare l'espressione
p. del profondo
non quale sinonimo di psicoanalisi freudiana, ma
con riferimento alle scuole psicoanalitiche e psicoterapeutiche da essa
derivate. Al di là delle differenze tra le varie scuole, le correnti che
si rifanno alla psicoanalisi freudiana hanno in comune la ricerca nell'inconscio
delle cause del comportamento umano, sano e patologico. Comune è anche
l'adozione di metodi terapeutici volti a rimuovere le cause della nevrosi,
risalendo alle situazioni conflittuali che stanno alla base di un comportamento
di tipo nevrotico. I principi postulati da Freud e accettati praticamente da
tutte le scuole di
p. del profondo,
sono i seguenti: la vita
psichica è regolata da processi paragonabili a quelli del mondo fisico;
niente avviene a caso, anche se spesso le cause reali di un determinato
comportamento sfuggono all'osservazione e allo studio; gli impulsi che muovono
l'individuo sono in gran parte di natura inconscia; la maggior parte dei
conflitti che nell'adulto si manifestano sotto forma di nevrosi risalgono alle
prime fasi dello sviluppo infantile; le situazioni conflittuali che stanno alla
base della tensione psichica del nevrotico possono essere risolte risalendo alle
cause che l'hanno determinata e che agiscono a livello inconscio; le
resistenze che si oppongono al riaffiorare a livello di coscienza dei
contenuti rimossi hanno un compito di
difesa, ossia cercano di
risparmiare all'individuo la spiacevole presa di coscienza di situazioni
conflittuali; nello stato di rilassamento, durante l'analisi e durante il sonno,
l'allentamento delle resistenze consente di portare alla luce della coscienza le
istanze rimosse, per cui è possibile tentare una interpretazione dei
contenuti inconsci che spesso si presentano in forma simbolica. ║
P. di
massa: branca della
p. che studia il comportamento delle masse umane
o animali. I primi autori a occuparsi di
p. di massa, nella seconda
metà dell'Ottocento, furono G. Tarde e G. Le Bon. Lo studio della
p.
di massa si rivolge per esempio alle reazioni delle folle in preda al panico
o all'esaltazione fanatica. La situazione di massa (a differenza di quella di
gruppo) si caratterizza per il venire meno delle relazioni di reciprocità
(rapporti interpersonali) tra i singoli individui, che adottano un comportamento
collettivo uniforme. Gli studiosi del comportamento di massa contrappongono
all'individuo razionale e padrone di sé, la massa amorfa, guidata da
forze estranee, e interpretano come fenomeni di massa tutte quelle azioni
collettive caratterizzate da anonimità, perdita della
responsabilità personale, irrazionalità, abbandono agli istinti e
ai sentimenti, facilità ad essere vittime di capi carismatici.
Fondamentale per gli sviluppi contemporanei della
p. di massa fu l'opera
dello studioso spagnolo J. Ortega y Gasset intitolata
Ribellione delle masse
(1930) in cui, prendendo avvio dall'esplosione demografica industriale e
dalla concentrazione urbanistica, l'autore esaminava i fenomeni di
massificazione, spersonalizzazione, livellamento. ║
P. sociale:
settore della
p. che ha per oggetto lo studio degli aspetti sociali del
comportamento umano. Rientrano nel suo ambito d'indagine i fattori
socioculturali che influiscono sulla costituzione della personalità, le
componenti sociali delle varie funzioni psichiche, i rapporti interpersonali, la
dinamica dei piccoli gruppi, la
p. dei grandi aggregati umani e dei mass
media. Le radici più remote di questa disciplina possono essere
rintracciate nella riflessione filosofica sulla dimensione sociale dell'uomo, in
cui è possibile riscontrare due diverse soluzioni: l'indirizzo
psicologistico, rappresentato da Platone, Aristotele, Hobbes, secondo cui le
istituzioni sociali sono l'espressione delle caratteristiche e delle esigenze
psichiche individuali; e quello sociologistico, presente ad esempio in Ippocrate
e Rousseau, per cui il comportamento del singolo è determinato dalle
condizioni sociali. Anche nella storia della moderna
p. sociale è
possibile individuare questi due indirizzi. La
p. sociale si costituisce
disciplina autonoma a fine Ottocento come
p. collettiva a indirizzo
nettamente psicologistico. Nel 1900 W. Wundt pubblicò la
Psicologia
dei popoli, opera che ebbe un importante influsso sulla nascente disciplina,
benché fosse presto superata a causa della tesi in essa sostenuta
dell'inapplicabilità del metodo sperimentale alla
p. sociale. Al
1908 risale la
Sociologia di G. Simmel, le cui tesi ebbero larga
diffusione soprattutto fra gli studiosi tedeschi; nello stesso anno apparvero
quelle che vengono considerate le prime esposizioni sistematiche della nuova
disciplina: la
Psicologia sociale a opera del sociologo americano E.A.
Ross e l'
Introduzione alla psicologia sociale dello psicologo inglese W.
McDougall. Spesso l'indirizzo psicologistico di queste prime ricerche venne
utilizzato in modo strumentale dalla classe dominante per spiegare gli atti di
terrorismo o le insurrezioni polari frequenti all'epoca; rappresentative di
questo filone possono essere considerate le teorie di P. Rossi e S. Sighele, in
Italia, e quelle di G. Le Bon, in Francia. Verso la fine degli anni Venti la
p. sociale cominciò ad assumere tratti nettamente scientifici. Le
tesi ambientalistiche, sostenute sia dal Comportamentismo di Watson, sia dalla
nascente antropologia culturale, misero in crisi le precedenti dottrine
istintualistiche. La scoperta da parte di Z.Y. Kuo che l'aggressività non
costituisce una tendenza innata della natura umana, ma un comportamento
acquisito tramite l'apprendimento, aprì un nuovo corso d'indagini,
caratterizzate dalla relativizzazione dell'oggetto della
p. sociale.
Inoltre, a partire dagli anni Trenta, l'impostazione psicologista venne
ulteriormente messa in crisi dai risultati della nascente sociologia. Lo
sviluppo della sociologia portò con sé anche il problema della
definizione dell'ambito delle due scienze. In una prima fase si convenne che,
compito della sociologia fosse quello di indagare esclusivamente il significato
sociale e le determinazioni sociali di quei comportamenti, che la
p.
sociale studiava in quanto manifestazioni dei singoli individui. Tale
distinzione andò tuttavia perdendo significato a causa, sia
dell'allargamento del campo di indagine della
p. sociale a nuovi ambiti
(quali i mass media), sia dello sviluppo della
microsociologia, che si
occupa di problemi relativi ai rapporti interpersonali. A ciò va aggiunto
che verso la fine degli anni Trenta la
p. sociale si staccò
definitivamente dall'originaria impostazione evoluzionistica, dandosi un
carattere di scienza empirica sia dal punto di vista metodologico, sia da quello
concettuale. Fondamentali per questo processo furono le ricerche condotte in
laboratorio in situazioni strettamente controllate da M. Sherif e proseguite da
S.E. Asch, E.W. Boward. Un secondo, importante, fattore fu l'influsso esercitato
dalla
p. della Forma della scuola del Massachusetts, il maggiore
esponente della quale, K. Lewin, sostenne l'irriducibilità del gruppo
alle caratteristiche dei suoi membri. Le ricerche di Lewin aprirono la strada a
quelle della
p. sociale applicata, volte all'ottimizzazione dei rapporti
interpersonali all'interno di particolari gruppi (colleghi di lavoro,
unità militari, ecc.). Gli studi di Lewin successivi al 1939 sui diversi
effetti di situazioni sociali democratiche, autoritarie o anarchiche, diedero
una svolta socio-politica alla
p. sociale. A partire dagli anni Cinquanta
la
p. sociale statunitense si concentrò sempre più sullo
studio di problemi circoscritti, facendo uso di modelli interpretativi di marca
cognitivistica, volti a mettere in luce i significati dei comportamenti sociali.
Grande influsso sulla
p. sociale contemporanea esercitò anche la
psicoanalisi, soprattutto in autori quali E.H. Erikson e E. Fromm. • St. -
La dottrina dell'anima nell'antichità e nel Medioevo:
i
processi psichici furono oggetto di analisi sin dai tempi più antichi e
così pure la
p., intesa come studio dell'anima. La concezione
dell'anima nel pensiero greco più antico richiama, per molti aspetti,
quella di molte popolazioni primitive e quella propria dell'animismo: in questo
complesso di riflessioni l'anima viene considerata come principio di vita
piuttosto che principio di consapevolezza, soffio vitale e vivificante, spesso
coincidente con il respiro. Tali convinzioni si riflettono anche nelle prime
elaborazioni filosofiche, ad esempio nel parallelo istituito da Anassimene fra
aria e anima, essendo la prima principio della vita cosmica e la seconda
principio della vita individuale. Una netta rottura con tale dottrina dell'anima
si ebbe solo nel V sec. a.C., ad opera di Socrate. La filosofia socratica si
rivela radicalmente innovativa, facendo dell'anima la sede della coscienza, dei
valori morali, della responsabilità individuale. Platone continuò
l'indirizzo socratico, imprimendo ad esso una svolta di carattere
etico-metafisico. Nel pensiero di Platone è infatti possibile
riscontrare, per la prima volta, una vera e propria
p., intesa come
dottrina speculativa sulla natura e sul destino dell'anima. Riprendendo
tematiche orfico-pitagoriche, il filosofo greco dimostrò il carattere
eterno e divino dell'anima e la sua eterogeneità rispetto al corpo, da
cui derivava una morale ascetica che, attraverso la progressiva purificazione
dell'anima dalle passioni, avrebbe ricondotto l'anima alla sua sede divina. Nel
pensiero platonico è tuttavia presente anche una
p. meno
marcatamente ascetica, che considera la sfera delle passioni e dell'errore
intrinseca all'anima stessa, pur come sua componente inferiore. Tale
p.,
contenuta nella
Repubblica e nel
Fedro, presenta un'anima
suddivisa in due parti, quella razionale e quella irrazionale, quest'ultima a
sua volta distinta in quella degli impeti e in quella dei desideri. Aristotele,
pur influenzato in una prima fase del suo pensiero (rappresentata dal dialogo
Eutidemo) dalla
p. platonica, nella fase matura se ne
distaccò decisamente, rifiutando, insieme alla dottrina delle Idee, la
tesi dell'immortalità dell'anima. La dottrina psicologica elaborata da
Aristotele nella fase più matura del suo pensiero è illustrata nel
trattato
Perí psychés, in cui l'anima è posta come
principio di movimento e di sviluppo, forma vitale del corpo dal quale è
inseparabile. Ad essa vengono riconosciute tre funzioni: vegetale (pianta),
sensitivo-motrice (animale), intellettiva (uomo). La funzione più
elevata, ossia l'anima dell'uomo, assomma in sé le funzioni più
basse. L'anima intellettiva riceve le "immagini" delle cose e ha il
compito di giudicare se siano vere o false, buone o cattive. La suprema
espressione di quest'attività pensante, l'intelletto, si configura come
parte dell'anima (come volontà di intendere nella sua pura
potenzialità), ma nello stesso tempo trascendente ad essa (come effettivo
principio dell'intendere). Le riflessioni platoniche e aristoteliche sull'anima
rimasero un punto di riferimento obbligato per tutta la
p. classica, come
bersaglio critico o come fonte di ispirazione. Il primo caso è quello
dell'Epicureismo che, rifacendosi alla dottrina di Democrito, considerò
l'anima stessa composta di atomi e mortale insieme al corpo; ciò
equivaleva a dissolvere il concetto di anima, insieme alla sua stessa scienza.
Sul versante opposto troviamo la
p. stoica e quella neoplatonica. Il
concetto etico-razionale di anima, proprio della tradizione platonica, e l'idea
aristotelica dell'anima come principio della vita organica, vennero rielaborati
e conciliati nella riflessione stoica. Aspetto principale della
p.
neoplatonica è invece il carattere intermedio dell'anima, posta, come
già in Platone, fra ideale e reale. L'anima universale è
così vista come ultima ipostasi di una gerarchia che discende dalla
suprema unità verso il mondo della materia, mentre l'anima individuale,
frammento della prima, ha come suo scopo quello di risalire tale gerarchia.
Analogamente a quanto fatto dal Neoplatonismo, anche il pensiero cristiano delle
origini cercò di operare una sintesi della
p. classica e non
esitò a modellare su di essa anche il dogma trinitario. Parallelamente,
la
p. di sant'Agostino incorporò nell'anima umana stessa la
Trinità, di cui è fatta a immagine e somiglianza. Con la
riscoperta dei testi aristotelici la
p. platonico-agostiniana
entrò in crisi. Lo sforzo di san Tommaso fu quello di conciliare alcuni
aspetti del pensiero aristotelico, mantenendo la tesi dell'immortalità
dell'anima. A cominciare dai secc. XV-XVI, furono compiuti tentativi per
rinnovare criticamente la
p. aristotelico-tomistica, ponendo il problema
dell'anima su una base puramente naturalistica. In questo ambito,
particolarmente interessante è la posizione assunta da P. Pomponazzi,
secondo il quale, se l'anima è veramente forma del corpo, non può
per nessuna ragione essere pensata separatamente da esso e non vi è
quindi alcun argomento in favore della sua immortalità. Tra i primi
studiosi dei fatti di coscienza, considerati allo stesso modo dei fatti naturali
e quindi soggetti all'indagine sperimentale, indipendentemente da qualsiasi
concezione metafisico-religiosa, figura l'umanista spagnolo J.L. Vives, che
costruì la sua pedagogia su basi psicologiche. ║
L'età
moderna:
l'inizio della
p. moderna si fa coincidere
generalmente con il rinnovamento filosofico operato da Cartesio. Nel quadro
della completa rifondazione del sapere proposta dal filosofo l'accertamento
stesso dell'esistenza dell'anima deriva dalla tematica, in ultima analisi
agostiniana, della certezza di sé. Questa si configura innanzitutto come
certezza di essere sostanza pensante, prima ancora di essere corpo; infatti
quella della corporeità è una verità che si guadagna solo
dopo la dimostrazione dell'esistenza di Dio, da cui deriva la veridicità
dei sensi. L'impostazione cartesiana, con la netta contrapposizione fra anima
(
res cogitans) e corpo (
res extensa), comporta la perdita da parte
della prima di ogni carattere di corporeità (anima vegetativa, sensitiva)
e la sua coincidenza con la pura funzione pensante. Da ciò deriva la
concezione occasionalistica dei suoi rapporti con il corpo, il cui determinismo
appare in tutta la sua portata nel pensiero di Spinoza, per il quale l'anima,
modo singolo dell'unica e infinita sostanza secondo l'attributo del pensiero,
procede in maniera perfettamente parallela al suo corpo, modo singolo di quella
stessa sostanza secondo l'attributo dell'estensione. Un ulteriore passo nella
concezione dell'illimitatezza dell'anima, in quanto centro di consapevolezza e
di conoscenza, è compiuto da Leibniz, che riduce l'universo al contenuto
psichico delle monadi. Tuttavia, questo tipo d'impostazione, portato alle
conclusioni estreme, poteva far perdere all'anima il suo carattere di
oggettività sostanziale, come appare chiaramente nella gnoseologia
empiristica. Hobbes, Locke, Hume e gli altri esponenti dell'Empirismo inglese,
combattendo la dottrina dell'innatismo, se da un lato anticiparono la
p.
dell'associazionismo, dall'altro fecero perdere all'anima il suo
tradizionale carattere di sostanza, riducendola a un "fascio di
sensazioni". In Kant si fa ormai chiaro il passaggio dalla
p.
tradizionale, come dottrina filosofica dell'anima, alla nascita della
p.
moderna come studio dei fenomeni psichici. I tradizionali problemi della
p., primo fra tutti quello dell'immortalità dell'anima, visti come
indebite trasformazioni di attributi trascendentali dell'esperienza pensante in
caratteri oggettivi della sostanza psichica, furono rifiutati da Kant come
inattingibili dalla ragione umana. ║
La nascita della p.
scientifica: la prima chiara formulazione della distinzione tra
p.
filosofica (o razionale) e
p. empirica (o scientifica) risale a C.
Wolff, autore di due distinti trattati:
Psychologia empirica (1732) e
Psychologia rationalis (1734). Doveva però passare ancora oltre un
secolo prima che la
p. scientifica o
empirica si costituisse come
scienza autonoma. All'inizio dell'Ottocento la
p. mantenne ancora un
carattere meramente descrittivo nell'ambito della filosofia empiristica. In
questo contesto vanno ricordati i contributi della scuola scozzese (Th. Reid, D.
Steward, ecc.), di Th. Brown e J.S. Mill. Fondamentali per il costituirsi della
p. come scienza rimasero i lavori di A. Bain che, ispirandosi ai metodi
della storia naturale, fornì un'accurata descrizione del cervello e del
sistema nervoso e si occupò del comportamento animale. Un secondo,
determinante contributo, fu dato dalle indagini in campo fisiologico: la
scoperta dell'esistenza di due tipi di nervi (sensori e motori) portò a
ipotizzare quella di un'energia specifica per ciascuno di essi (J. Müller);
le ricerche di P. Flourens sulle funzioni delle diverse parti del cervello
alimentarono la teoria delle localizzazioni, sviluppata da P. Broca, G. Fritsch,
E. Hitzig e D. Ferrier. Anche la teoria darwiniana dell'evoluzione fece sentire
il suo influsso sulla nascente
p. scientifica: molti studiosi (D.
Spalding, G.J. Romanes, C. Lloyd Morgan, L.T. Hobhouse, ecc.) si impegnarono
nell'applicazione della prospettiva evoluzionistica ai comportamenti umani,
portando alla nascita della
p. comparata. Un importante apporto
diedero le ricerche in campo psicopatologico condotte in Francia da alcuni
psichiatri (Ph. Pinel, B.A. Morel) e neurologi (J.M. Charcot, A.A. Liebeault, H.
Bernheim). In Germania, gli studi di J.F. Herbart, pur non conferendo ancora
alla
p. il carattere di scienza naturale, introdussero tuttavia
l'applicazione di strumenti matematici nel campo dell'osservazione dei fenomeni
psichici, preparando così la strada alla teoria del "parallelismo
psicofisico" (secondo cui a ogni fatto di coscienza corrisponde un fatto
materiale), e alla nascita, a opera di Th. Fechner, di una nuova
p.: la
psicofisica, detta poi anche
p.
scientifica. Fechner pose in relazione le serie parallele dei fatti psichici
e degli stimoli esterni, occupandosi delle leggi che regolano i rapporti tra le
entità misurabili del mondo "fisico" e la loro riproduzione
"psichica". Per i problemi derivanti dalla misurazione dei tempi di
reazione, fu decisiva la scoperta, da parte di Helmholtz (1880), della
velocità di trasmissione dell'impulso nervoso. Metodo sperimentale e
utilizzo di strumenti statistici condussero allo sviluppo di quella
p.
delle differenze individuali, di cui il precursore può essere considerato
l'inglese F. Galton. Insieme a Fechner viene indicato come padre della moderna
p. W. Wundt, il quale fondò a Lipsia nel 1879 il primo vero e
proprio laboratorio sperimentale. Wundt utilizzò il metodo introspettivo
per verificare i processi psichici derivanti da uno stimolo esterno misurabile;
l'isolamento delle variabili sperimentali (stimolo e risposta) condusse alla
constatazione della correlazione tra variazioni delle condizioni iniziali e
variazioni degli effetti finali. La
p. sperimentale o
fisiologica di Wundt, avente per oggetto lo studio dei processi e degli
stati di coscienza, si basava su tre fondamentali presupposti: la convinzione
che fra stati di coscienza e stimoli esterni esistesse una relazione costante;
che tutti i dati psichici fossero riconducibili a elementi semplici; che i
contenuti complessi derivassero, per associazione, da elementi semplici.
L'evoluzione della
p. del XX sec. portò a una progressiva
dissoluzione di questi principi. Da un lato la
p. della forma (W.
Köhler, K. Koffka, M. Wertheimer) condusse al rifiuto dell'elementarismo
proprio delle tesi associazionistiche, dall'altro la nascita della
p.
comparata e animale portò al rifiuto della tesi che oggetto di studio
dovessero essere solo i processi e gli stati di coscienza. Dagli sviluppi di
tale posizione derivò il Comportamentismo o Behaviorismo (1913), di cui
l'iniziatore fu J.B. Watson. Secondo tale approccio la ricerca psicologica
doveva abbandonare i contenuti di coscienza come oggetto di studio e
l'introspezione come metodo d'indagine, a favore dell'analisi dei comportamenti,
intesi come insieme di manifestazioni motorie, neurovegetative e linguistiche
del soggetto. Il Comportamentismo si impose come scuola dominante nel periodo
fra le due guerre, in particolare negli Stati Uniti d'America, e cominciò
a declinare verso la fine degli anni Cinquanta con l'affermarsi del
Cognitivismo. Grande importanza per l'affermarsi di una
p. obiettiva
furono gli studi condotti in Russia da W. Bechterev e I.P. Pavlov sui riflessi
condizionati. Anche la psicoanalisi freudiana, introducendo il concetto di
inconscio, operò nel senso di un superamento del soggettivismo e delle
categorie fondamentali della tradizione psicologica. Essa, superando la sfera
della coscienza, contribuì a dare una visione più unitaria e
completa del complesso dinamismo della vita psichica. Alla psicoanalisi va il
merito di aver prospettato la necessità di ricercare le ragioni delle
situazioni psichiche attuali nella "storia" dell'individuo, risalendo
fino alla primissima infanzia e, in molti casi, alla stessa nascita; questo
processo permette di seguire lo stratificarsi degli elementi psichici, il
formarsi dei complessi affettivi, lo sviluppo degli istinti, ecc. In Italia i
primi passi in direzione di una
p. scientifica vanno collocati fra la
fine del XIX e gli inizi del XX sec.; ricordiamo i nomi di R. Ardigò, G.
Sergi, G. Buccola, F. De Sarlo, S. De Sanctis e A. Gemelli.
"Psicologia dell'ipnosi" di Caterina Kolosimo
"La psicologia in Italia dal Novecento a oggi" di Giuseppe de Luca