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Psicologìa.

(dal greco psyché: anima e loghía: scienza). Scienza che studia le attività e i processi psichici consci e inconsci e i meccanismi cognitivi e dinamici. ║ Conoscenza e spiegazione dei sentimenti, degli stati d'animo, delle reazioni e dei comportamenti degli altri. ║ Modo di pensare e di comportarsi di una categoria di persone, osservate attraverso determinate reazioni: p. del compratore, p. infantile. ║ L'insieme dei fenomeni affettivi e intellettivi, delle disposizioni psichiche dell'individuo o della collettività, studiati in se stessi o in relazione a particolari eventi. ║ Per estens. - La capacità di cogliere e comprendere empaticamente gli stati d'animo e i comportamenti altrui. • Encicl. - Il termine p. entrò nell'uso nella prima metà del Cinquecento, ad opera dall'umanista dalmata M. Marulo, autore di una Psycologia de ratione animae humanae (1511-18 circa). Ampiamente utilizzata da F. Melantone, la parola deve però la sua effettiva diffusione a R. Goclenio e al suo fortunato trattato Psychologhia, hoc est de hominis perfectione (1590). A partire da Leibniz e Wolff, il termine indicò qualsiasi dottrina sull'anima che fosse stata proposta sin dall'antichità. La p., intesa in passato come dottrina o studio dell'anima, viene oggi considerata la scienza della personalità e del comportamento. I moderni orientamenti anziché procedere, come avveniva in passato, da una considerazione astratta della vita psichica, tendono a svolgere un'indagine scientifica, avendo come punto di riferimento l'individuo. La nascita della p., così come viene oggi concepita, risale alla fine dell'Ottocento, ossia alla fondazione, a Lipsia nel 1879, del laboratorio di W. Wundt, nel quale furono gettate le basi di tutti gli indirizzi psicologici più recenti. Il rinnovamento dottrinario della p. come scienza della personalità portò allo sviluppo di una nuova metodologia di ricerca. Mentre per vari secoli si era considerata l'osservazione introspettiva (autoanalisi) come unico mezzo di esplorazione della vita psichica, successivamente si affermò la tendenza a utilizzare sistematicamente l'osservazione esterna. Si ebbe così un passaggio dal metodo soggettivo a quello oggettivo. Tuttavia, pur essendo oggettivisti, la maggior parte degli psicologi contemporanei tendono a utilizzare l'introspezione come strumento per l'impostazione dei problemi e considerano l'osservazione esterna come procedimento per un'indagine più approfondita. Attualmente vengono distinti vari campi di indagine e varie specializzazioni della scienza psicologica: p. individuale, sociale, femminile, maschile, etnica, del lavoro, dell'infanzia, dell'età evolutiva, matura, ecc. Fanno parte integrante del rinnovamento metodologico le tecniche di indagine profonda (p. del profondo) su basi psicoanalitiche. Si possono inoltre distinguere numerose applicazioni della p., tuttavia le più importanti riguardano il campo dell'educazione, del lavoro, della medicina, della criminologia. Per quanto riguarda le applicazioni nel settore dell'educazione, bisogna rilevare che le conoscenze delle leggi dello sviluppo, quelle dell'apprendimento e della fatica vengono utilizzate nell'elaborazione e nell'attuazione di programmi didattici. Nell'ambito del lavoro, vengono studiate le attitudini lavorative in funzione dell'orientamento professionale. Quanto alla medicina, l'ambito di applicazione è molto vasto e va oltre quello propriamente psicoterapeutico, per allargarsi alla medicina psicosomatica, che ha avuto negli ultimi anni un considerevole sviluppo. ║ P. ambientale: branca della p. sorta negli anni Settanta, sotto l'influsso del crescente interesse verso tematiche ecologiche ed etologiche. Oggetto di studio della p. ambientale è il rapporto dell'individuo con l'ambiente che lo circonda. Al suo interno è possibile distinguere una p. ambientale dell'ambiente costruito, che risulta in stretto rapporto con le scienze della progettazione, e una p. ambientale dell'ambiente naturale, che presenta numerosi punti di contatto con gli studi geografici ed ecologici. ║ P. analitica: indirizzo psicologico fondato da C.G. Jung, dopo il suo distacco dalla psicoanalisi freudiana. Sul piano teorico, le differenze tra la scuola junghiana e quella freudiana sono numerose, a cominciare dalla stessa nozione di libido, che Jung desessualizza, considerandola manifestazione di un'energia psichica generale, fonte di ogni tipo di comportamento. Si tratta cioè della traduzione psicologica del concetto biologico di slancio vitale (élan vital) di Bergson. Uno dei fattori che maggiormente contribuì a caratterizzare la teoria di Jung fu il suo interesse per la mitologia che, tra l'altro, lo portò a soffermarsi sulla p. dei fenomeni occulti. L'individuazione dei cosiddetti archetipi (immagini primordiali) lo portò a parlare, al di là dell'inconscio personale, anche di un inconscio collettivo, contenente ciò che non si riferisce a particolari esperienze dell'individuo, ma a quelle delle generazioni precedenti. La personalità è composta, secondo Jung, da diversi strati o livelli: i più superficiali, quelli cioè che rappresentano tratti coscienti ed esteriori, sono la maschera e la persona, mentre gli elementi rimossi costituiscono l'ombra. Anima e animus sono i termini con i quali Jung designa le rappresentazioni psicodinamiche del sesso opposto, nell'uomo e nella donna. L'attività della psiche viene interpretata come una continua dialettica di opposti, che normalmente si bilanciano a vicenda; quando ciò non avviene si instaura la nevrosi. Quanto alla tecnica psicoterapeutica, Jung non considerò mai la propria in antitesi a quella psicoanalitica, anche se si servì delle tecniche della psicoanalisi freudiana con una notevole flessibilità, variando i propri metodi per adattarli alle condizioni particolari dei singoli pazienti. La p. analitica junghiana costituì un felice terreno per coloro che rifiutarono l'approccio biologico, deterministico e ateo di Freud. Inoltre, la concezione freudiana è sostanzialmente egualitaria, in quanto considera gli individui, al momento della nascita, non molto diversi gli uni dagli altri, perché dotati semplicemente di un gruppo di istinti e pulsioni (secondo Freud, ogni nevrosi e comportamento deviato va attribuito soprattutto a ciò che avviene dopo la nascita: educazione, ambiente, ecc.); la concezione junghiana attribuisce invece grande importanza a ciò che l'individuo porta con sé nel momento in cui nasce, ossia alle sue disposizioni naturali (introversione-estroversione), di tipo sensitivo, intuitivo, affettivo, intellettuale. Secondo Jung, hanno importanza soprattutto i legami con determinati modi di pensare, sentire e comportarsi che l'individuo ha ereditato da lontani antenati. ║ P. animale: studio del comportamento animale, condotto spesso in modo comparativo fra le diverse specie. La p. animale, sorta in piena epoca darwiniana, si è occupata, nell'Ottocento, della costruzione di una scala filogenetica del comportamento, il cui vertice è occupato dai comportamenti evoluti dei primati e della specie umana. Nel Novecento, sotto l'influsso del Comportamentismo, anche il comportamento animale è divenuto oggetto di sperimentazione, per determinare leggi generali, valide per tutte le specie. Oggigiorno la p. animale studia i fondamenti genetici del comportamento (psicobiologia) o il comportamento delle varie specie nel loro habitat naturale (etologia). ║ P. applicata: branca della p. che si occupa dell'applicazione dei concetti della p. scientifica, per la soluzione dei problemi della vita pratica. A differenza della p. generale, il cui fine è quello di descrivere e comprendere il comportamento umano, la p. applicata mette in pratica le acquisizioni teoriche della prima per modificare la condotta degli individui o dei gruppi. La nascita della p. applicata risale alla fine dell'Ottocento, con le ricerche sperimentali sull'affaticamento negli scolari, condotte da H. Ebbinghaus e le applicazioni pratiche di metodi e concetti sviluppati dalla scuola di W. Wundt, ad opera di J.Mckeen Cattell. Quest'ultimo, cui si deve, fra l'altro, l'invenzione del termine test, nel 1890 fondò la prima associazione psicologica (Psychological Corporation) la cui esplicita finalità era quella di servire gli interessi della scuola e dell'industria. Durante e dopo la prima guerra mondiale le ricerche di p. applicata subirono un notevole sviluppo in vari settori e, in particolare, in ambito militare. Oggigiorno, le ricerche di p. applicata si estendono su un'ampia gamma di settori, suddividendosi in vari rami che hanno in comune l'utilizzo di metodi psicometrici (reattivi psicologici e test). ║ P. dell'arte: ramo della p. che studia le funzioni e le attitudini dell'artista, le reazioni di colui che fruisce dell'opera d'arte, i fattori che si associano all'esperienza estetica e alle differenze individuali e culturali. La p. dell'arte indaga, inoltre, le interpretazioni psicologiche degli stili artistici, i fenomeni della creatività e della genialità. La nascita di questa disciplina può essere fatta risalire al 1876, anno di pubblicazione di un saggio di G.T. Fechner, in cui veniva proposta un'estetica sperimentale e induttiva, basata sull'osservazione empirica. L'affinamento degli strumenti di osservazione operato da studiosi quali C. Lalo e O. Külpe, permise di raggiungere significativi risultati nello studio della preferenza di forme geometriche e combinazioni di colori (G.J. von Allesch), mentre A.D. Brikhoff mise a punto delle formule per la misurazione del piacere estetico. Un notevole contributo allo sviluppo della p. dell'arte (soprattutto per quanto attiene alle arti visive e alla musica) fu dato dalla p. della Forma e dalla psicoanalisi (studio del simbolismo dell'arte, rapporto tra inconscio e attività fantastica, ecc.). In tempi più recenti l'estetica sperimentale si è servita di concetti tratti dalla cibernetica e dalla teoria dell'informazione. ║ P. clinica: branca della p. che si occupa dello studio dei processi psichici dinamici e delle loro patologie, privilegiando l'indagine sul singolo caso, senza essere legata all'impostazione di una particolare scuola psicopatologica o psicoterapeutica. ║ P. cognitiva: settore della p. che si occupa dei processi cognitivi. ║ P. comparata: in generale, ogni settore della p. che ricorra all'uso del metodo comparativo. In senso stretto la p. animale; in un'accezione più ampia il termine si riferisce anche alla p. evolutiva o genetica (studio comparato delle funzioni psichiche nelle diverse età), alla p. differenziale e alla p. etnografica. ║ P. di comunità: ramo della p. che si occupa dell'intervento psicologico nel territorio e nelle strutture sociali (famiglia, scuola, comunità terapeutiche, ecc.) per migliorare la salute psichica e la qualità della vita. ║ P. del comportamento: indirizzo psicologico che prende anche il nome di Comportamentismo o Behaviorismo (V.). ║ P. differenziale: branca della p. che si occupa dello studio comparativo delle differenze psicologiche fra individui in seno a gruppi omogenei o a gruppi eterogenei per età, sesso, cultura, ecc. L'indagine sperimentale ha dimostrato una grande varietà di caratteristiche psicologiche negli individui di una stessa specie, sia per quanto riguarda le caratteristiche cognitive, sia per quelle emotive. Un primo obiettivo nel campo della p. differenziale si può individuare nello studio comparativo delle caratteristiche psicologiche fra individui tipici appartenenti a diverse specie biologiche; frequente è il confronto fra caratteristiche e funzioni psicologiche nell'uomo e nelle altre specie animali. All'interno di una stessa specie le differenze individuali possono essere fatte risalire a tre tipi di motivazioni: corredo genetico, ambiente di vita, età. Uno solo di questi tre fattori è in grado di determinare numerose e significative variazioni individuali. Lo studio di queste cause di differenziazione può avvenire attraverso un'indagine sul campo o tramite la ricerca sperimentale. Nel primo caso vengono studiati fenomeni che si realizzano spontaneamente e che influiscono sui soggetti analizzati; nel secondo caso, invece, si agisce artificiosamente su una delle condizioni che influiscono sui soggetti sperimentali, oppure si scelgono, all'interno di un grande gruppo, casi in cui tale condizione sia fortemente operante. Solitamente, per semplificare l'elaborazione statistica, sia le ricerche sul campo che quelle sperimentali prendono in esame una sola causa di variazione alla volta. La p. differenziale può seguire due linee diverse: si può partire da categorie di individui costituite in base a qualche criterio teorico, per poi ricercare le caratteristiche comuni o diverse; oppure si possono costituire categorie di individui da contrapporre fra loro proprio sulla base di caratteristiche psicologiche diverse. L'aspetto più interessante è quello dello studio comparativo di qualità psicologiche di categorie omogenee individuate a priori (per esempio: sesso, età, classe socioeconomica, ecc.). ║ P. dinamica o psicodinamica: espressione con cui si designano tutti gli indirizzi di ricerca psicologica che, rifacendosi a un approccio di tipo psicogenetico e al concetto di conflitto psichico, prediligono l'indagine sui fattori motivazionali del comportamento umano e sui problemi evolutivi della personalità. In questo contesto di ricerca, il contributo delle teorie psicoanalitiche è stato fondamentale, anche se, nell'ambito della psicodinamica, sono presenti posizioni del tutto estranee alla psicoanalisi, come ad esempio quelle di G.W. Allport e K. Lewin. ║ P. esistenziale: indirizzo psicologico che si rifà nei suoi presupposti fondamentali alla dottrina filosofica dell'Esistenzialismo (Kierkegaard, Heidegger, Sartre, Camus, Marcel, Buber). Significativo è stato anche l'influsso della filosofia di E. Husserl il quale, riprendendo il concetto elaborato da F. Brentano, di intenzionalità della coscienza, definì un nuovo metodo descrittivo per i fenomeni psichici e una nuova impostazione del problema del rapporto io-mondo. La. p. esistenziale definisce il proprio ambito d'indagine in termini di analisi esistenziale, di cui i concetti chiave sono mistero, insicurezza, angoscia, situazione limite, morte, presenza, solitudine, tempo, salvazione. Scopo dell'analisi esistenziale è quello di giungere a una fondazione della psicopatologia basata sull'umano, dove per umano si intende l'esistenza in senso heideggeriano, l'individuo nella sua solitudine e unicità. La p. esistenziale prescinde da giudizi di tipo clinico o prognostico, nonché da finalità di tipo operativo. Dal momento che l'individuo è inseparabile dal suo mondo-di-vita, i fenomeni psichici non sono altro che la genuina espressione del mondo-di-vita, dell'essere in situazione del singolo. Scopo della p. esistenziale è quello di indagare le modificazioni nella struttura dell'esistenza, dell'essere in situazione, che portano a un restringimento, una costruzione o un appiattimento del mondo. Grande rilevo viene dato dalla p. esistenziale alle espressioni linguistiche, considerate estremamente significative per comprendere il modo di rapportarsi al mondo del soggetto. In particolare il pensiero di Heidegger ha esercitato un influsso considerevole sulla psicopatologia; partendo dall'analitica heideggeriana L. Binswanger ne ha trovato vasta applicazione in sede psichiatrica. L'applicazione di concetti filosofici quali quelli di singolo, situazione, intersoggettività, angoscia in campo psichiatrico ha rotto la tradizionale concezione della psichiatria come scienza puramente medico-naturalistica, allargandone gli orizzonti e facendo emergere la rilevanza delle tematiche dell'isolamento e della coesistenza, dell'amore e della morte, della fede e della disperazione, della paura, del coraggio, dell'autenticità e ha cercato di superare lo iato fra corpo e psiche attraverso il concetto di corporeità. Questa rivoluzione concettuale si è tradotta anche in una nuova consapevolezza epistemologica e in una profonda modificazione del linguaggio psichiatrico. ║ P. dell'età evolutiva o dello sviluppo: branca della p. che si occupa dello studio dell'evoluzione psicologica dell'individuo, dall'infanzia all'età adulta. Benché il problema dell'educazione infantile sia stato affrontato fin dall'antichità (Platone, Aristotele), è in realtà alla fine del XVIII sec., con l'Emilio di Rousseau, che si pongono le basi della moderna concezione del bambino, come portatore di un'individualità psicologica del tutto peculiare, che deve esprimersi liberamente, e il cui sviluppo è diviso in fasi, a ciascuna delle quali deve corrispondere un'educazione adeguata. Sebbene sia ormai una pratica consolidata quella di distinguere nello sviluppo psichico alcune fasi distinte, attualmente gli studiosi considerano questa suddivisione del tutto artificiale, anche se non priva di funzionalità. Oggi infatti si considera l'evoluzione psichica, intesa come sviluppo del rapporto tra ambiente e psiche, come un processo continuo che va dalla nascita alla morte. Tenendo presente queste puntualizzazioni, con età evolutiva si intende generalmente il periodo compreso fra il concepimento e la fine della giovinezza. In realtà la fissazione del termine ultimo dell'età evolutiva è questione quanto mai complessa e oggetto di discussione. Infatti, se la fine della giovinezza coincide con il raggiungimento della maturità, è molto difficile stabilire quando un individuo possa dirsi maturo. Inoltre, considerando la differenza fra la nostra società attuale e quella del secolo scorso o altri tipi di culture, appare chiaro che il raggiungimento della maturità è qualcosa di strettamente legato ai caratteri propri di ciascuna civiltà. Utilizzando un criterio forse un po' artificioso, e comunque limitato alla civiltà occidentale, si suole far iniziare l'età adulta tra il ventesimo e il venticinquesimo anno di età. A sua volta l'età evolutiva è suddivisa in numerose fasi, il cui numero e carattere varia a seconda degli autori: alla tradizionale, e un po' generica suddivisione in quattro fasi - dalla nascita ai sei anni (prima infanzia), dai sette agli undici anni (età scolare), dagli undici ai quattordici anni (pubertà), dai quattordici all'età adulta (adolescenza o giovinezza) - si preferisce oggigiorno una classificazione più dettagliata. L'età evolutiva viene suddivisa in otto distinte fasi con una particolare attenzione ai primi anni di vita: periodo prenatale, periodo neonatale, primo anno di vita, dal secondo al quarto anno, dal quarto al sesto anno, dal sesto all'undicesimo, dall'undicesimo al quattordicesimo, dal quattordicesimo al sopraggiungere della maturità. È tuttavia bene ricordare che il numero di fasi e il loro significato varia da scuola a scuola e, all'interno di queste, da autore ad autore. Ad esempio A.L. Gesell, uno dei padri della p. evolutiva, rifacendosi al Comportamentismo sottopone il bambino a un'osservazione sistematica, resa possibile da tecniche particolari quali lo schermo unidirezionale e la nursey-guide, derivando da essa le sue considerazioni sul comportamento del bambino nelle varie fasi di crescita. H. Wallon, muovendosi in un orizzonte rigidamente sperimentale di tipo psicobiologico e riflessologico, ha incentrato le sue ricerche sia sugli elementi genetici, sia su quelli comportamentali dello sviluppo del bambino. Al centro degli studi di E. Claparède c'è il problema della meccanica degli interessi, dove con interesse si intende un rapporto di reciproca convenienza fra soggetto e oggetto; il metodo da lui utilizzato si basa sull'osservazione del comportamento del bambino, delle sue produzioni (disegni, racconti, ecc.), nonché sul metodo introspettivo. J. Piaget ha basato i suoi, fondamentali studi sullo sviluppo dei processi intellettivi nell'età evolutiva sul metodo clinico, ovvero sull'osservazione del caso concreto, condotta sistematicamente e con l'ausilio di situazioni sperimentali. Un grande contributo allo sviluppo della p. dell'età evolutiva è stato dato anche dalla scuola sovietica fondata da L.S. Vygotskij che, superando la prospettiva di Piaget, ha sottolineato il ruolo prioritario nello sviluppo infantile dei fattori storico-culturali rispetto a quelli genetici. Un grande impulso allo studio del comportamento e della p. infantile si deve anche alla psicoanalisi; su questo versante ricordiamo in particolare A. Freud e M. Klein, le cui elaborazioni, basate sulla convinzione che gli eventi dell'età evolutiva siano derivati da uno sviluppo dinamico su base istintiva, hanno saputo esercitare un grande influsso su tutta la p. dell'età evolutiva. Negli ultimi decenni il settore della p. dell'età evolutiva ha registrato notevoli cambiamenti. Per quanto riguarda gli obiettivi della ricerca, l'attenzione si è sempre più concentrata sullo studio dei processi di sviluppo e sui fattori che in esso agiscono. Ciò si è tradotto, dal punto di vista metodologico, nel ricorso sempre più frequente all'esperimento, in cui è possibile individuare con precisione gli elementi causali dello sviluppo psicologico. Molti studiosi hanno inoltre sottolineato l'importanza di ricerche longitudinali, ricerche cioè in cui sia possibile esaminare ripetutamente nel corso del tempo gli stessi soggetti: in questo modo è possibile determinare la successione e il ritmo delle varie fasi di sviluppo. Dal punto di vista dei riferimenti teorici, si è attenuata la rigida contrapposizione fra le diverse scuole, le cui grandi sistematizzazioni teoriche si sono andate frantumando in una molteplicità di modelli esplicativi di portata limitata, che vengono utilizzati dagli studiosi con una buona dose di eclettismo. I contributi più rilevanti delle ricerche sono state le scoperte riguardanti il periodo neonatale. Attraverso l'utilizzo di tecniche molto avanzate, che hanno permesso di registrare comportamenti non osservabili a occhio nudo (per esempio frequenza dei movimenti di suzione, movimenti oculari, ecc.), e dati fisiologici (battito cardiaco, respirazione, ecc.) si sono potute individuare alcune caratteristiche adattive di cui il neonato dispone fin dalla nascita. Per esempio, l'analisi spettrografica ha permesso di distinguere diverse modalità di pianto (per fame, dolore, collera, ecc.) che vengono utilizzate dal bambino come segnale, e che generalmente vengono comprese nel loro esatto significato dalle persone che si occupano del neonato. Importanti risultati sono stati ottenuti anche nel campo delle facoltà cognitive nell'età prescolare. Si è infatti dimostrato che i bambini dai due ai sei anni sono in grado di formarsi idee organizzate e coerenti sul mondo che li circonda, anche se diverse da quelle degli adulti; a essi è inoltre riconosciuta la capacità di acquisire conoscenze specifiche su argomenti di particolare interesse, superiori a quelle degli stessi adulti, di comunicare con gli altri scegliendo le modalità di espressione, a seconda del tipo di interlocutore. Anche nel settore dello sviluppo affettivo e sociale i risultati sono stati di grande interesse. I legami bambino-adulto non vengono più visti solo come espressione del legame di dipendenza del primo verso il secondo. Oggi si tende a considerare i primi legami affettivi come conseguenza del tipo di risposta che l'adulto dà a una serie di segnali e comportamenti del neonato (pianto, sorriso, ricerca del contatto fisico, ecc.). Mentre in una prima fase i comportamenti di attaccamento sono rivolti a qualunque adulto si prenda cura del bambino, in una seconda fase (due-otto mesi) vengono indirizzati selettivamente verso la madre e, successivamente, il bambino comincia a reagire negativamente alla separazione dalla madre e alla presenza di persone estranee. Solo nel secondo anno di vita, quando ormai è in grado di rappresentarsi mentalmente la figura materna e di comprendere la provvisorietà della separazione, il bambino è capace di separarsi spontaneamente dalla madre per esplorare il suo ambiente. Sono state riviste anche le concezioni riguardanti la socialità del bambino in rapporto ai suoi coetanei. Se, infatti, è vero che il bambino riscontra una maggiore difficoltà a instaurare un rapporto con un coetaneo, rispetto a un adulto, in quanto il primo non è in grado di coordinare l'interazione, è stato tuttavia dimostrato che una frequentazione costante fra bambini di età inferiore a un anno permette a essi di creare semplici situazioni di gioco a due; inoltre già durante il secondo anno di vita, qualora il bambino sia messo in contatto con più coetanei, si delinea una netta preferenza per un compagno. La classificazione delle espressioni facciali tramite cui si esprimono le emozioni, unitamente alla considerazione di indici fisiologici, ha permesso di fare grandi passi in avanti anche nel settore dell'esplorazione della vita emotiva del bambino. La ricerca contemporanea pone grande considerazione al contesto in cui il processo evolutivo si svolge, dove per contesto si intende sia l'ambiente fisico in cui il soggetto vive, sia l'ambiente socio-culturale, come pure il periodo storico. La tendenza degli studiosi è di considerare sempre di più l'interrelazione fra fattori interni (biologici e psicologici) ed esterni (contestuali) per studiare lo sviluppo. ║ P. fisiologica: denominazione utilizzata nella seconda metà dell'Ottocento come sinonimo di p. scientifica. Infatti, lo studio del substrato fisiologico dei fenomeni psicologici elementari veniva considerato come carattere fondamentale di una p. che volesse sfuggire ai pericoli del soggettivismo e della pura metafisica. In questa accezione il termine fu introdotto nel 1874 da W. Wundt. Tuttavia, in altri autori (I.M. Secenov, S. Exner, ecc.), tale concezione si tramutò in un'impostazione fortemente riduzionistica, per cui si cercò di descrivere in termini puramente fisiologici tutti i processi psichici. Fu proprio questa seconda accezione ad avere la meglio, tanto che, già ai primi del Novecento, la p. fisiologica si costituì come settore specifico della p. avente come oggetto di studio la relazione fra i processi fisiologici (in particolare del sistema nervoso) e i processi psichici. Fondamentale per lo sviluppo della p. fisiologica fu la localizzazione cerebrale delle funzioni psichiche e lo studio dell'arco riflesso, unitamente alla teoria di I.P. Pavlov sui riflessi condizionati. Tuttavia, la neurofisiologia di Pavlov, basata su osservazioni di tipo comportamentale, fu ben presto messa in discussione, proprio per il suo carattere teorico-astratto, da studiosi quali B.F. Skinner, K.S. Lashley, J. Konorski e D.O. Hebb, che affermarono l'importanza di rifarsi a una più precisa analisi neurofisiologica. Ciò fu possibile in maniera effettiva a partire dagli anni Cinquanta, grazie all'utilizzo di strumenti elettronici per la registrazione dell'attività del sistema nervoso. Fra le ricerche più interessanti condotte in questo ambito ricordiamo quelle sulla veglia e il sonno, sul ruolo delle strutture sottocorticali nei processi motivazionali, sui processi sensoriali e percettivi, sulle basi corticali dell'apprendimento. Grande influsso hanno anche esercitato le teorie dell'informazione e della cibernetica, richiamando l'attenzione sui processi di retroazione che regolano il comportamento. In campo teorico il maggiore contributo è stato dato dalla teoria di A.R. Lurija sui rapporti fra processi cerebrali e processi psichici. L'elaborazione da parte di Lurija del concetto di sistema funzionale cerebrale, inteso come insieme dinamico delle varie strutture cerebrali che intervengono in un processo psichico, ha permesso il superamento delle teorie ottocentesche localizzazionistiche (in cui si faceva corrispondere all'attività di una particolare struttura cerebrale un determinato processo psichico), sia di quelle globalistiche (in cui ogni processo psichico veniva visto come il risultato dell'attività globale del cervello). Principali tecniche utilizzate dalla p. fisiologica sono la registrazione dell'attività elettrica del sistema nervoso e del sistema muscolare, la stimolazione elettrica delle strutture cerebrali e lo studio di lesioni e sezioni del cervello. Sotto il termine di neuropsicologia vengono propriamente indicate le ricerche di p. fisiologica che analizzano le conseguenze provocate dalle lesioni del cervello sui processi psichici e comportamentali, mentre lo studio delle variazioni elettrofisiologiche correlate ai processi psichici e comportamentali rientrano nella psicofisiologia. Le ricerche più importanti della neuropsicologia hanno riguardato, negli ultimi anni, il ruolo dei lobi frontali nei processi psichici e le funzioni dell'emisfero cerebrale dominante nella funzione del linguaggio; in campo psicofisiologico si è approfondito il tema delle risposte del sistema nervoso vegetativo e quello delle risposte elettriche del cervello nei fenomeni emozionali, nella percezione e nell'apprendimento. ║ P. della Forma o Gestaltpsychologie o Gestalttheorie: particolare indirizzo psicologico elaborato dalla Scuola di Berlino (M. Wertheimer, K. Koffka, K. Lewin, W. Köhler, W. Metzger, K. Gottschaldt), che viene spesso associato alla p. della Totalità della Scuola di Lipsia (K. Krueger, O. Klemm, H. Volkelt, J. Rudert, E. Wartegg). Alla base di queste teorie psicologiche sta la tesi, che si ritrova già nel pensiero classico greco (Platone e Aristotele), che l'insieme è qualcosa di più della somma dei singoli elementi costitutivi, così che le qualità della forma appaiono dotate di una certa indipendenza rispetto agli elementi che la compongono. Gli psicologi della Forma e della Totalità contrappongono le loro posizioni a quelle della p. elementaristica della scuola associazionistica e della p. fisiologica, interessata a individuare e analizzare i singoli elementi della vita psichica cosciente. In polemica con la p. classica, gli psicologi della Forma affermano che ogni percezione si presenta all'esperienza come un tutto unico. La corrente berlinese si formò verso il 1910 in seguito all'incontro di M. Wertheimer, W. Köhler, K. Koffka. Secondo questo indirizzo psicologico, i singoli contenuti percettivi non sono mai singolarmente indipendenti, ma continuamente soggetti a influenza reciproca. Gli psicologi della Forma considerano l'analisi praticata dalla p. associazionistica astratta e deformante, mentre l'organizzazione formale immediata viene posta come principio valido anche a spiegare tutti gli altri processi mentali: struttura personale, comportamento, ecc. Ai principi formali riferiti alla percezione ottica si sono aggiunti i principi aventi per oggetto i sentimenti. Per quanto tutte le scuole psicologiche della Forma concordino sul fatto che l'esperienza psichica sia dotata di una struttura unitaria, esistono divergenze quando si tratta di darne una spiegazione. La discussione sui problemi della Forma è infatti tuttora in atto e continui sono gli sviluppi di questa dottrina. ║ P. individuale: denominazione data da A. Adler alla dottrina e alla tecnica di analisi psichica da lui elaborate dopo il suo distacco dalla psicoanalisi freudiana. La teoria adleriana si basa fondamentalmente sul sentimento di inferiorità-superiorità. Adler sostenne infatti che lo scopo finale di ogni nevrosi consiste in un'esaltazione del sentimento della personalità, la cui forma più semplice è l'affermazione esagerata della virilità. Centrali nella teoria adleriana sono i meccanismi di compensazione e ipercompensazione, che vengono esemplificati dallo stesso autore con il processo per cui alcuni bambini che non riescono a raggiungere la superiorità nella competizione diretta con i coetanei si accorgono che, se sono ammalati, ricevono maggiori attenzioni, acquistando attraverso la malattia una posizione privilegiata e, quindi, un particolare tipo di superiorità. Questa scoperta può indurli a ritirarsi dalla competizione e a rifugiarsi nella malattia fisica o mentale, che può manifestarsi nelle forme più varie. In ogni caso, ciò che fornisce il punto di partenza all'evoluzione di una nevrosi è secondo Adler, il minaccioso sentimento di insicurezza e di inferiorità, sentimento che genera il desiderio irresistibile di trovare uno scopo atto a rendere sopportabile la vita, assicurandole una direzione. Il nevrotico cioè reagisce innanzitutto a un sentimento di inferiorità, le cui radici prime vanno ricercate di solito nell'infanzia. Ogni bambino, in genere, è un minorato e l'infanzia trascorre tutta in un'atmosfera di inferiorità, per la debolezza fisica del bambino, per l'incompleto sviluppo dei suoi organi, per la sua dipendenza dagli adulti, per le difficoltà che continuamente incontra e che non può superare. Le tendenze aggressive, lo spirito di contraddizione, gli atti violenti e distruttivi sono delle naturali reazioni del bambino al sentimento di inferiorità e al bisogno di affermare la propria volontà di potenza. Questo sentimento può essere rafforzato da una cattiva educazione, di tipo autoritario, tale da indurre l'individuo a perdere ogni fiducia in se stesso. Con la teoria della compensazione psichica, Adler ha cercato di spiegare vari fenomeni nella p. dell'infanzia e nella psicopatologia della nevrosi. Quanto alla terapia della nevrosi, quella adleriana, pur differenziandosi da quella freudiana, è come questa strettamente psicologica, si base cioè sulla fiducia nella possibilità di "rieducare" i nevrotici. Il compito del medico consiste nel dimostrare al malato l'errore della sua posizione, nello spiegargli come sia sbagliato il suo orientamento e soprattutto nel vincere il sentimento di inferiorità, facendogli ritrovare la fiducia in se stesso. Pertanto, a differenza del trattamento psicoanalitico freudiano, in cui è il paziente che parla, rievocando le proprie esperienze infantili (anamnesi) e interpretando i propri sogni, nel trattamento psicologico individuale adleriano chi parla è soprattutto il medico, che cerca di persuadere, consigliare, insegnare, cercando di guadagnare la simpatia e la fiducia del paziente, in modo da fargli trovare un compromesso sufficiente a rendere sopportabile e sicura l'esistenza. L'influsso della p. adleriana si è fatto soprattutto sentire sulla teoria e sulla pratica dell'educazione. Una pedagogia informata ai principi adleriani favorisce il sano sviluppo dell'individuo che viene posto nella condizione di maturare una giusta fiducia in se stesso. Particolarmente importante è l'applicazione che i principi adleriani hanno trovato nell'educazione dei giovani aggressivi, nervosi, turbolenti o morbosamente timidi e passivi. ║ P. dell'Io: denominazione con cui viene indicata una delle principali scuole della psicoanalisi freudiana, sviluppatasi negli Stati Uniti d'America fra gli anni Quaranta e Cinquanta. Alla base di questo indirizzo psicoanalitico vi è lo studio psicologico degli apparati e delle funzioni dell'Io, sia in rapporto alle altre istanze psichiche, sia in rapporto al mondo esterno. I fondamenti della p. dell'Io, già presenti in nuce negli scritti freudiani, furono posti da H. Hartmann nel suo saggio intitolato Psicologia dell'Io e il problema dell'adattamento (1939), in una prospettiva dove la pura psicoanalisi si riconnetteva alla biologia, alla sociologia e alla neurofisiologia. Oltre ad aspetti meramente clinici, la p. dell'Io ha approfondito problemi metodologici, derivanti sia dall'ipotesi dell'autonomia dell'Io sia dal concetto di adattamento. Secondo gli esponenti di questa scuola (E. Kris, R. Loewenstein, D. Rapaport, G.S. Klein) l'individuo è dotato fin dalla nascita di una serie di apparati che gli permettono di adattarsi all'ambiente; tali apparati funzionano in maniera autonoma, cioè indipendentemente dalla sfera pulsionale ed emozionale. Su tale modalità adattativa si basa il concetto di autonomia primaria dell'Io: l'Io non sarebbe, come vuole la teoria freudiana, una sorta di derivazione dall'Es, ma la genesi sia dell'Io quanto dell'Es, sarebbe da ricondurre a una comune matrice indifferenziata e preesistente. ║ P. della musica: settore della p. che si occupa dello studio della percezione della musica, della creazione musicale, e delle reazioni da essa suscitate. Campi particolari di indagine sono le dimensioni tonali, le problematiche psicofisiologiche correlate alla capacità di riconoscere infallibilmente i toni ordinati in una successione casuale (orecchio assoluto), unione dei toni, consonanza e dissonanza delle melodie, memoria musicale e reazioni affettive alla musica. ║ P. medica: branca della p. che si occupa delle diverse funzioni psichiche, in rapporto con il funzionamento dell'organismo e, più in particolare, del sistema nervoso in condizioni, sia normali, sia patologiche. ║ P. patologica: studio delle anomalie e delle malattie psichiche (V. PSICOPATOLOGIA). ║ P. sperimentale: il complesso delle ricerche psicologiche condotte con metodo sperimentale. La denominazione di sperimentale equivalse a quella di p. scientifica, quando questa mosse i primi passi, a significarne la differenza di metodo rispetto a quella tradizionale filosofica, condotta con metodo metafisico-razionale. ║ P. trasculturale: branca della p. che, privilegiando l'attenzione sui fattori storico-culturali rispetto a quelli biologici, studia i processi psichici di soggetti appartenenti a culture diverse. ║ P. pedagogica o psicopedagogia: V. PSOCOPEDAGOGIA. ║ P. della pubblicità: settore della p. applicata che si occupa delle tecniche di condizionamento e delle esperienze di percezione relative al lancio di determinati prodotti commerciali o alla propaganda di idee politiche. L'influsso del messaggio pubblicitario si presenta in quelle situazioni di scelta, in cui le due alternative non sono di per sé tali da indurre a un'immediata e precisa decisione, per cui spetta al messaggio pubblicitario presentarne una in una luce così attraente da indurre a una scelta preferenziale. Pertanto, la funzione di ogni tipo di propaganda, sia commerciale, sia ideologica, è quella di presentare uno stereotipo del prodotto che essa sostiene in modo da farlo apparire sotto la luce più favorevole. In campo pubblicitario, l'intervento dello psicologo è richiesto sia per elaborare sondaggi d'opinione, sia per lo studio delle motivazioni. Varie indagini condotte con l'intento di studiare la struttura della personalità dei sostenitori (o dei detrattori) di un determinato prodotto o idea hanno rivelato che gli acquirenti o coloro che sostengono certe idee o partiti politici, hanno per lo più una conoscenza piuttosto imprecisa delle ragioni che li hanno indotti alla scelta, dato che si tratta, in massima parte di motivi inconsci. Compito della p. applicata alla pubblicità è di identificare quali sono le caratteristiche di un prodotto capaci di attirare il maggior numero di acquirenti. Nell'ambito aziendale vengono perciò elaborate delle strategie attraverso cui controllare la domanda: ciò può avvenire sia con la messa a punto di strategie di vendita per i singoli prodotti, sia con la progettazione di nuovi prodotti o caratteristiche di prodotto, intorno alle quali si possa impostare una strategia di vendita. Le tecniche psicologiche di tipo pubblicitario hanno avuto la maggiore diffusione negli Stati Uniti dove sono state largamente utilizzate anche per la propaganda elettorale. ║ P. del lavoro o industriale: settore della p. applicata che ha per oggetto lo studio del singolo, o del gruppo, nella situazione lavorativa. Il suo obiettivo fondamentale è quello di stabilire le condizioni ottimali per l'adattamento dell'uomo all'ambiente di lavoro (e in modo particolare a quello tecnico dell'industria) e, secondo una tendenza più recente, quelle per l'adattamento dell'ambiente di lavoro alle esigenze psichiche dell'uomo, al fine di garantire una migliore produttività. Rientrano nel campo d'indagine della p. applicata lo studio della forma di apprendimento e di esecuzione del lavoro più funzionale, la selezione attitudinale del personale la strutturazione psicologico-sociale dei lavoratori. Per quanto riguarda le condizioni lavorative, è sorta una branca specializzata, quella dell'human engineering che, oltre a interessarsi dell'ambiente di lavoro (illuminazione, acustica, disposizione del corpo, ecc.), si occupa anche della durata del lavoro e delle pause lavorative, tenendo conto del periodo iniziale di adattamento, dell'affaticamento, ecc. Fra gli iniziatori di quest'applicazione psicologica meritano di essere ricordati J.M. Lahy, che per primo fece uso di test nell'esame di alcuni operai, e H. Münsterberger, autore di un fondamentale saggio intitolato La psicologia e l'efficienza industriale (1913). Con l'accelerarsi dello sviluppo industriale capitalistico e la diffusione del taylorismo, nel primo dopoguerra la p. del lavoro conobbe una notevole evoluzione soprattutto negli Stati Uniti d'America. Nel 1920 E. Mayo condusse le prime ricerche sistematiche sul tema della monotonia del lavorio industriale, inaugurando una feconda linea di ricerca, rappresentata in Italia da A. Gemelli, che si occupò fra le altre cose del tema dell'affaticamento. A. Kornhauser, all'università di Chicago (1930), condusse degli studi sugli atteggiamenti dei lavoratori rispetto al loro luogo di lavoro; negli stessi anni, studiosi dell'università di Harvard condussero una ricerca, rimasta basilare, all'interno degli stabilimenti di Hawthorne, che fece emergere tutta l'importanza degli aspetti relazionali fra i lavoratori. ║ P. del profondo o dell'inconscio: indirizzo psicologico che si occupa degli strati profondi, inconsci, della psiche. Si tratta di un equivalente di psicoanalisi, ma in questo senso il termine è piuttosto in disuso. Attualmente si tende a usare l'espressione p. del profondo non quale sinonimo di psicoanalisi freudiana, ma con riferimento alle scuole psicoanalitiche e psicoterapeutiche da essa derivate. Al di là delle differenze tra le varie scuole, le correnti che si rifanno alla psicoanalisi freudiana hanno in comune la ricerca nell'inconscio delle cause del comportamento umano, sano e patologico. Comune è anche l'adozione di metodi terapeutici volti a rimuovere le cause della nevrosi, risalendo alle situazioni conflittuali che stanno alla base di un comportamento di tipo nevrotico. I principi postulati da Freud e accettati praticamente da tutte le scuole di p. del profondo, sono i seguenti: la vita psichica è regolata da processi paragonabili a quelli del mondo fisico; niente avviene a caso, anche se spesso le cause reali di un determinato comportamento sfuggono all'osservazione e allo studio; gli impulsi che muovono l'individuo sono in gran parte di natura inconscia; la maggior parte dei conflitti che nell'adulto si manifestano sotto forma di nevrosi risalgono alle prime fasi dello sviluppo infantile; le situazioni conflittuali che stanno alla base della tensione psichica del nevrotico possono essere risolte risalendo alle cause che l'hanno determinata e che agiscono a livello inconscio; le resistenze che si oppongono al riaffiorare a livello di coscienza dei contenuti rimossi hanno un compito di difesa, ossia cercano di risparmiare all'individuo la spiacevole presa di coscienza di situazioni conflittuali; nello stato di rilassamento, durante l'analisi e durante il sonno, l'allentamento delle resistenze consente di portare alla luce della coscienza le istanze rimosse, per cui è possibile tentare una interpretazione dei contenuti inconsci che spesso si presentano in forma simbolica. ║ P. di massa: branca della p. che studia il comportamento delle masse umane o animali. I primi autori a occuparsi di p. di massa, nella seconda metà dell'Ottocento, furono G. Tarde e G. Le Bon. Lo studio della p. di massa si rivolge per esempio alle reazioni delle folle in preda al panico o all'esaltazione fanatica. La situazione di massa (a differenza di quella di gruppo) si caratterizza per il venire meno delle relazioni di reciprocità (rapporti interpersonali) tra i singoli individui, che adottano un comportamento collettivo uniforme. Gli studiosi del comportamento di massa contrappongono all'individuo razionale e padrone di sé, la massa amorfa, guidata da forze estranee, e interpretano come fenomeni di massa tutte quelle azioni collettive caratterizzate da anonimità, perdita della responsabilità personale, irrazionalità, abbandono agli istinti e ai sentimenti, facilità ad essere vittime di capi carismatici. Fondamentale per gli sviluppi contemporanei della p. di massa fu l'opera dello studioso spagnolo J. Ortega y Gasset intitolata Ribellione delle masse (1930) in cui, prendendo avvio dall'esplosione demografica industriale e dalla concentrazione urbanistica, l'autore esaminava i fenomeni di massificazione, spersonalizzazione, livellamento. ║ P. sociale: settore della p. che ha per oggetto lo studio degli aspetti sociali del comportamento umano. Rientrano nel suo ambito d'indagine i fattori socioculturali che influiscono sulla costituzione della personalità, le componenti sociali delle varie funzioni psichiche, i rapporti interpersonali, la dinamica dei piccoli gruppi, la p. dei grandi aggregati umani e dei mass media. Le radici più remote di questa disciplina possono essere rintracciate nella riflessione filosofica sulla dimensione sociale dell'uomo, in cui è possibile riscontrare due diverse soluzioni: l'indirizzo psicologistico, rappresentato da Platone, Aristotele, Hobbes, secondo cui le istituzioni sociali sono l'espressione delle caratteristiche e delle esigenze psichiche individuali; e quello sociologistico, presente ad esempio in Ippocrate e Rousseau, per cui il comportamento del singolo è determinato dalle condizioni sociali. Anche nella storia della moderna p. sociale è possibile individuare questi due indirizzi. La p. sociale si costituisce disciplina autonoma a fine Ottocento come p. collettiva a indirizzo nettamente psicologistico. Nel 1900 W. Wundt pubblicò la Psicologia dei popoli, opera che ebbe un importante influsso sulla nascente disciplina, benché fosse presto superata a causa della tesi in essa sostenuta dell'inapplicabilità del metodo sperimentale alla p. sociale. Al 1908 risale la Sociologia di G. Simmel, le cui tesi ebbero larga diffusione soprattutto fra gli studiosi tedeschi; nello stesso anno apparvero quelle che vengono considerate le prime esposizioni sistematiche della nuova disciplina: la Psicologia sociale a opera del sociologo americano E.A. Ross e l'Introduzione alla psicologia sociale dello psicologo inglese W. McDougall. Spesso l'indirizzo psicologistico di queste prime ricerche venne utilizzato in modo strumentale dalla classe dominante per spiegare gli atti di terrorismo o le insurrezioni polari frequenti all'epoca; rappresentative di questo filone possono essere considerate le teorie di P. Rossi e S. Sighele, in Italia, e quelle di G. Le Bon, in Francia. Verso la fine degli anni Venti la p. sociale cominciò ad assumere tratti nettamente scientifici. Le tesi ambientalistiche, sostenute sia dal Comportamentismo di Watson, sia dalla nascente antropologia culturale, misero in crisi le precedenti dottrine istintualistiche. La scoperta da parte di Z.Y. Kuo che l'aggressività non costituisce una tendenza innata della natura umana, ma un comportamento acquisito tramite l'apprendimento, aprì un nuovo corso d'indagini, caratterizzate dalla relativizzazione dell'oggetto della p. sociale. Inoltre, a partire dagli anni Trenta, l'impostazione psicologista venne ulteriormente messa in crisi dai risultati della nascente sociologia. Lo sviluppo della sociologia portò con sé anche il problema della definizione dell'ambito delle due scienze. In una prima fase si convenne che, compito della sociologia fosse quello di indagare esclusivamente il significato sociale e le determinazioni sociali di quei comportamenti, che la p. sociale studiava in quanto manifestazioni dei singoli individui. Tale distinzione andò tuttavia perdendo significato a causa, sia dell'allargamento del campo di indagine della p. sociale a nuovi ambiti (quali i mass media), sia dello sviluppo della microsociologia, che si occupa di problemi relativi ai rapporti interpersonali. A ciò va aggiunto che verso la fine degli anni Trenta la p. sociale si staccò definitivamente dall'originaria impostazione evoluzionistica, dandosi un carattere di scienza empirica sia dal punto di vista metodologico, sia da quello concettuale. Fondamentali per questo processo furono le ricerche condotte in laboratorio in situazioni strettamente controllate da M. Sherif e proseguite da S.E. Asch, E.W. Boward. Un secondo, importante, fattore fu l'influsso esercitato dalla p. della Forma della scuola del Massachusetts, il maggiore esponente della quale, K. Lewin, sostenne l'irriducibilità del gruppo alle caratteristiche dei suoi membri. Le ricerche di Lewin aprirono la strada a quelle della p. sociale applicata, volte all'ottimizzazione dei rapporti interpersonali all'interno di particolari gruppi (colleghi di lavoro, unità militari, ecc.). Gli studi di Lewin successivi al 1939 sui diversi effetti di situazioni sociali democratiche, autoritarie o anarchiche, diedero una svolta socio-politica alla p. sociale. A partire dagli anni Cinquanta la p. sociale statunitense si concentrò sempre più sullo studio di problemi circoscritti, facendo uso di modelli interpretativi di marca cognitivistica, volti a mettere in luce i significati dei comportamenti sociali. Grande influsso sulla p. sociale contemporanea esercitò anche la psicoanalisi, soprattutto in autori quali E.H. Erikson e E. Fromm. • St. - La dottrina dell'anima nell'antichità e nel Medioevo: i processi psichici furono oggetto di analisi sin dai tempi più antichi e così pure la p., intesa come studio dell'anima. La concezione dell'anima nel pensiero greco più antico richiama, per molti aspetti, quella di molte popolazioni primitive e quella propria dell'animismo: in questo complesso di riflessioni l'anima viene considerata come principio di vita piuttosto che principio di consapevolezza, soffio vitale e vivificante, spesso coincidente con il respiro. Tali convinzioni si riflettono anche nelle prime elaborazioni filosofiche, ad esempio nel parallelo istituito da Anassimene fra aria e anima, essendo la prima principio della vita cosmica e la seconda principio della vita individuale. Una netta rottura con tale dottrina dell'anima si ebbe solo nel V sec. a.C., ad opera di Socrate. La filosofia socratica si rivela radicalmente innovativa, facendo dell'anima la sede della coscienza, dei valori morali, della responsabilità individuale. Platone continuò l'indirizzo socratico, imprimendo ad esso una svolta di carattere etico-metafisico. Nel pensiero di Platone è infatti possibile riscontrare, per la prima volta, una vera e propria p., intesa come dottrina speculativa sulla natura e sul destino dell'anima. Riprendendo tematiche orfico-pitagoriche, il filosofo greco dimostrò il carattere eterno e divino dell'anima e la sua eterogeneità rispetto al corpo, da cui derivava una morale ascetica che, attraverso la progressiva purificazione dell'anima dalle passioni, avrebbe ricondotto l'anima alla sua sede divina. Nel pensiero platonico è tuttavia presente anche una p. meno marcatamente ascetica, che considera la sfera delle passioni e dell'errore intrinseca all'anima stessa, pur come sua componente inferiore. Tale p., contenuta nella Repubblica e nel Fedro, presenta un'anima suddivisa in due parti, quella razionale e quella irrazionale, quest'ultima a sua volta distinta in quella degli impeti e in quella dei desideri. Aristotele, pur influenzato in una prima fase del suo pensiero (rappresentata dal dialogo Eutidemo) dalla p. platonica, nella fase matura se ne distaccò decisamente, rifiutando, insieme alla dottrina delle Idee, la tesi dell'immortalità dell'anima. La dottrina psicologica elaborata da Aristotele nella fase più matura del suo pensiero è illustrata nel trattato Perí psychés, in cui l'anima è posta come principio di movimento e di sviluppo, forma vitale del corpo dal quale è inseparabile. Ad essa vengono riconosciute tre funzioni: vegetale (pianta), sensitivo-motrice (animale), intellettiva (uomo). La funzione più elevata, ossia l'anima dell'uomo, assomma in sé le funzioni più basse. L'anima intellettiva riceve le "immagini" delle cose e ha il compito di giudicare se siano vere o false, buone o cattive. La suprema espressione di quest'attività pensante, l'intelletto, si configura come parte dell'anima (come volontà di intendere nella sua pura potenzialità), ma nello stesso tempo trascendente ad essa (come effettivo principio dell'intendere). Le riflessioni platoniche e aristoteliche sull'anima rimasero un punto di riferimento obbligato per tutta la p. classica, come bersaglio critico o come fonte di ispirazione. Il primo caso è quello dell'Epicureismo che, rifacendosi alla dottrina di Democrito, considerò l'anima stessa composta di atomi e mortale insieme al corpo; ciò equivaleva a dissolvere il concetto di anima, insieme alla sua stessa scienza. Sul versante opposto troviamo la p. stoica e quella neoplatonica. Il concetto etico-razionale di anima, proprio della tradizione platonica, e l'idea aristotelica dell'anima come principio della vita organica, vennero rielaborati e conciliati nella riflessione stoica. Aspetto principale della p. neoplatonica è invece il carattere intermedio dell'anima, posta, come già in Platone, fra ideale e reale. L'anima universale è così vista come ultima ipostasi di una gerarchia che discende dalla suprema unità verso il mondo della materia, mentre l'anima individuale, frammento della prima, ha come suo scopo quello di risalire tale gerarchia. Analogamente a quanto fatto dal Neoplatonismo, anche il pensiero cristiano delle origini cercò di operare una sintesi della p. classica e non esitò a modellare su di essa anche il dogma trinitario. Parallelamente, la p. di sant'Agostino incorporò nell'anima umana stessa la Trinità, di cui è fatta a immagine e somiglianza. Con la riscoperta dei testi aristotelici la p. platonico-agostiniana entrò in crisi. Lo sforzo di san Tommaso fu quello di conciliare alcuni aspetti del pensiero aristotelico, mantenendo la tesi dell'immortalità dell'anima. A cominciare dai secc. XV-XVI, furono compiuti tentativi per rinnovare criticamente la p. aristotelico-tomistica, ponendo il problema dell'anima su una base puramente naturalistica. In questo ambito, particolarmente interessante è la posizione assunta da P. Pomponazzi, secondo il quale, se l'anima è veramente forma del corpo, non può per nessuna ragione essere pensata separatamente da esso e non vi è quindi alcun argomento in favore della sua immortalità. Tra i primi studiosi dei fatti di coscienza, considerati allo stesso modo dei fatti naturali e quindi soggetti all'indagine sperimentale, indipendentemente da qualsiasi concezione metafisico-religiosa, figura l'umanista spagnolo J.L. Vives, che costruì la sua pedagogia su basi psicologiche. ║ L'età moderna: l'inizio della p. moderna si fa coincidere generalmente con il rinnovamento filosofico operato da Cartesio. Nel quadro della completa rifondazione del sapere proposta dal filosofo l'accertamento stesso dell'esistenza dell'anima deriva dalla tematica, in ultima analisi agostiniana, della certezza di sé. Questa si configura innanzitutto come certezza di essere sostanza pensante, prima ancora di essere corpo; infatti quella della corporeità è una verità che si guadagna solo dopo la dimostrazione dell'esistenza di Dio, da cui deriva la veridicità dei sensi. L'impostazione cartesiana, con la netta contrapposizione fra anima (res cogitans) e corpo (res extensa), comporta la perdita da parte della prima di ogni carattere di corporeità (anima vegetativa, sensitiva) e la sua coincidenza con la pura funzione pensante. Da ciò deriva la concezione occasionalistica dei suoi rapporti con il corpo, il cui determinismo appare in tutta la sua portata nel pensiero di Spinoza, per il quale l'anima, modo singolo dell'unica e infinita sostanza secondo l'attributo del pensiero, procede in maniera perfettamente parallela al suo corpo, modo singolo di quella stessa sostanza secondo l'attributo dell'estensione. Un ulteriore passo nella concezione dell'illimitatezza dell'anima, in quanto centro di consapevolezza e di conoscenza, è compiuto da Leibniz, che riduce l'universo al contenuto psichico delle monadi. Tuttavia, questo tipo d'impostazione, portato alle conclusioni estreme, poteva far perdere all'anima il suo carattere di oggettività sostanziale, come appare chiaramente nella gnoseologia empiristica. Hobbes, Locke, Hume e gli altri esponenti dell'Empirismo inglese, combattendo la dottrina dell'innatismo, se da un lato anticiparono la p. dell'associazionismo, dall'altro fecero perdere all'anima il suo tradizionale carattere di sostanza, riducendola a un "fascio di sensazioni". In Kant si fa ormai chiaro il passaggio dalla p. tradizionale, come dottrina filosofica dell'anima, alla nascita della p. moderna come studio dei fenomeni psichici. I tradizionali problemi della p., primo fra tutti quello dell'immortalità dell'anima, visti come indebite trasformazioni di attributi trascendentali dell'esperienza pensante in caratteri oggettivi della sostanza psichica, furono rifiutati da Kant come inattingibili dalla ragione umana. ║ La nascita della p. scientifica: la prima chiara formulazione della distinzione tra p. filosofica (o razionale) e p. empirica (o scientifica) risale a C. Wolff, autore di due distinti trattati: Psychologia empirica (1732) e Psychologia rationalis (1734). Doveva però passare ancora oltre un secolo prima che la p. scientifica o empirica si costituisse come scienza autonoma. All'inizio dell'Ottocento la p. mantenne ancora un carattere meramente descrittivo nell'ambito della filosofia empiristica. In questo contesto vanno ricordati i contributi della scuola scozzese (Th. Reid, D. Steward, ecc.), di Th. Brown e J.S. Mill. Fondamentali per il costituirsi della p. come scienza rimasero i lavori di A. Bain che, ispirandosi ai metodi della storia naturale, fornì un'accurata descrizione del cervello e del sistema nervoso e si occupò del comportamento animale. Un secondo, determinante contributo, fu dato dalle indagini in campo fisiologico: la scoperta dell'esistenza di due tipi di nervi (sensori e motori) portò a ipotizzare quella di un'energia specifica per ciascuno di essi (J. Müller); le ricerche di P. Flourens sulle funzioni delle diverse parti del cervello alimentarono la teoria delle localizzazioni, sviluppata da P. Broca, G. Fritsch, E. Hitzig e D. Ferrier. Anche la teoria darwiniana dell'evoluzione fece sentire il suo influsso sulla nascente p. scientifica: molti studiosi (D. Spalding, G.J. Romanes, C. Lloyd Morgan, L.T. Hobhouse, ecc.) si impegnarono nell'applicazione della prospettiva evoluzionistica ai comportamenti umani, portando alla nascita della p. comparata. Un importante apporto diedero le ricerche in campo psicopatologico condotte in Francia da alcuni psichiatri (Ph. Pinel, B.A. Morel) e neurologi (J.M. Charcot, A.A. Liebeault, H. Bernheim). In Germania, gli studi di J.F. Herbart, pur non conferendo ancora alla p. il carattere di scienza naturale, introdussero tuttavia l'applicazione di strumenti matematici nel campo dell'osservazione dei fenomeni psichici, preparando così la strada alla teoria del "parallelismo psicofisico" (secondo cui a ogni fatto di coscienza corrisponde un fatto materiale), e alla nascita, a opera di Th. Fechner, di una nuova p.: la psicofisica, detta poi anche p. scientifica. Fechner pose in relazione le serie parallele dei fatti psichici e degli stimoli esterni, occupandosi delle leggi che regolano i rapporti tra le entità misurabili del mondo "fisico" e la loro riproduzione "psichica". Per i problemi derivanti dalla misurazione dei tempi di reazione, fu decisiva la scoperta, da parte di Helmholtz (1880), della velocità di trasmissione dell'impulso nervoso. Metodo sperimentale e utilizzo di strumenti statistici condussero allo sviluppo di quella p. delle differenze individuali, di cui il precursore può essere considerato l'inglese F. Galton. Insieme a Fechner viene indicato come padre della moderna p. W. Wundt, il quale fondò a Lipsia nel 1879 il primo vero e proprio laboratorio sperimentale. Wundt utilizzò il metodo introspettivo per verificare i processi psichici derivanti da uno stimolo esterno misurabile; l'isolamento delle variabili sperimentali (stimolo e risposta) condusse alla constatazione della correlazione tra variazioni delle condizioni iniziali e variazioni degli effetti finali. La p. sperimentale o fisiologica di Wundt, avente per oggetto lo studio dei processi e degli stati di coscienza, si basava su tre fondamentali presupposti: la convinzione che fra stati di coscienza e stimoli esterni esistesse una relazione costante; che tutti i dati psichici fossero riconducibili a elementi semplici; che i contenuti complessi derivassero, per associazione, da elementi semplici. L'evoluzione della p. del XX sec. portò a una progressiva dissoluzione di questi principi. Da un lato la p. della forma (W. Köhler, K. Koffka, M. Wertheimer) condusse al rifiuto dell'elementarismo proprio delle tesi associazionistiche, dall'altro la nascita della p. comparata e animale portò al rifiuto della tesi che oggetto di studio dovessero essere solo i processi e gli stati di coscienza. Dagli sviluppi di tale posizione derivò il Comportamentismo o Behaviorismo (1913), di cui l'iniziatore fu J.B. Watson. Secondo tale approccio la ricerca psicologica doveva abbandonare i contenuti di coscienza come oggetto di studio e l'introspezione come metodo d'indagine, a favore dell'analisi dei comportamenti, intesi come insieme di manifestazioni motorie, neurovegetative e linguistiche del soggetto. Il Comportamentismo si impose come scuola dominante nel periodo fra le due guerre, in particolare negli Stati Uniti d'America, e cominciò a declinare verso la fine degli anni Cinquanta con l'affermarsi del Cognitivismo. Grande importanza per l'affermarsi di una p. obiettiva furono gli studi condotti in Russia da W. Bechterev e I.P. Pavlov sui riflessi condizionati. Anche la psicoanalisi freudiana, introducendo il concetto di inconscio, operò nel senso di un superamento del soggettivismo e delle categorie fondamentali della tradizione psicologica. Essa, superando la sfera della coscienza, contribuì a dare una visione più unitaria e completa del complesso dinamismo della vita psichica. Alla psicoanalisi va il merito di aver prospettato la necessità di ricercare le ragioni delle situazioni psichiche attuali nella "storia" dell'individuo, risalendo fino alla primissima infanzia e, in molti casi, alla stessa nascita; questo processo permette di seguire lo stratificarsi degli elementi psichici, il formarsi dei complessi affettivi, lo sviluppo degli istinti, ecc. In Italia i primi passi in direzione di una p. scientifica vanno collocati fra la fine del XIX e gli inizi del XX sec.; ricordiamo i nomi di R. Ardigò, G. Sergi, G. Buccola, F. De Sarlo, S. De Sanctis e A. Gemelli.
"Psicologia dell'ipnosi" di Caterina Kolosimo

"La psicologia in Italia dal Novecento a oggi" di Giuseppe de Luca