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Provincia.

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Provìncia.

Nell'organizzazione dello Stato romano (sia nella fase repubblicana sia in quella imperiale), territorio non direttamente dipendente dalle magistrature della capitale, ma soggetto alla giurisdizione di un propretore o di un proconsole inviato da Roma. ║ Ente territoriale amministrativo autonomo, intermedio tra regione e comune, costituito da un complesso di comuni tra loro limitrofi, il più importante e popoloso dei quali svolge la funzione di capoluogo. ║ Per estens. - L'insieme dei piccoli centri e del loro territorio in quanto contrapposto, nell'accezione, al capoluogo. La differenziazione lessicale tra città e p. può essere intesa in senso geografico o con valore di traslato, intendendo sottolineare, in questo caso, la diversità di mentalità, tradizioni e costumi tra i due: più evoluti e moderni nella prima, più semplici e genuini nella seconda. ║ Per traslato metonimico, il complesso degli edifici, uffici e servizi che costituiscono la sede fisica dell'amministrazione provinciale. ║ Per traslato, in ambito giornalistico, la redazione in cui vengono realizzate le pagine speciali relative alle notizie di una zona specifica e che costituiscono l'edizione detta provinciale.

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Stato.

- Repubblica romana: in origine, il termine indicava la sfera di azione o l'ambito territoriale di competenza entro cui un magistrato poteva esercitare il proprio imperium. Con le prime acquisizioni da parte di Roma di regioni esterne alla penisola, il vocabolo subì un'evoluzione semantica e fu inteso non più nel senso di una competenza tecnico-politica, ma in quello concreto di distretto territoriale permanente, sottoposto all'autorità di un magistrato romano. Tale slittamento di significato si attuò per il fatto che le nuove terre, oggetto di conquista delle legioni, venivano assegnate da governare ai consoli che guidavano le truppe vittoriose, cui si ampliava, dunque, l'imperium militare originario in senso amministrativo e giudiziario. I primi territori sottomessi, Sicilia, Sardegna, Corsica, ecc., si differenziavano nettamente da quelli italici per il loro status di tributari (pur esistendo casi di cittadini o comunità immunes). Roma accolse infatti, per quanto riguardava le p., la concezione ellenistica per cui la terra era proprietà del monarca, fatto che giustificava l'imposizione di tributi fondiari e lo sfruttamento del territorio. Quando si verificava l'annessione di una p., il generale vittorioso emanava, con l'assistenza di una commissione di dieci legati nominati dal Senato, una lex provinciae (quali, ad esempio, la lex Rupilia per la Sicilia, la lex Aemilia per la Macedonia o la lex Pompeia per la Bitinia), che stabiliva le norme e i criteri generali per la sua amministrazione. Essa divideva il territorio in distretti amministrativi, stabiliva le tassazioni e gli oneri tributari per le singole città, i privilegi e gli esoneri dalle imposte, le procedure per l'erogazione della giustizia e per il mantenimento di istituzioni locali. Ogni nuovo governatore, poi, aveva diritto a integrare la lex con un proprio editto, generalmente relativo a questioni finanziarie e giudiziarie, e godeva di ampia discrezionalità amministrativa. Il governatore deteneva dunque nello stesso tempo poteri civili, militari, e giudiziari, per i quali era coadiuvato da un certo numero di propri legati di rango senatorio, mentre per l'amministrazione finanziaria era assistito da un questore alle sue dipendenze. Inizialmente il Governo provinciale era affidato a un magistrato romano in carica (console o pretore), essendo eletto a tal fine un numero superiore di pretori (il collegio passò da due a quattro, dopo la conquista di Sicilia e Sardegna, da quattro a sei dopo la costituzione delle p. spagnole); ma l'incremento del numero di p. rese inopportuno questo sistema, che comportava la creazione di troppi magistrati in carica contemporaneamente, e così si ricorse all'espediente della prorogatio  imperii. Con questo istituto, il Senato prorogava il mandato di alcuni magistrati (per uno o più anni), in numero pari al fabbisogno di amministratori provinciali, che esercitavano una sorta di potere suppletivo (da qui la dizione pro consule, pro praetore: in luogo del console, in luogo del pretore; solo in un secondo tempo queste locuzioni furono sostantivate). Il Senato stabiliva anche quali p. sarebbero state ad amministrazione proconsolare e quali propretorili e solo in seguito procedeva per sorteggio all'abbinamento dei singoli magistrati ai territori. A causa dei favoritismi che inquinavano la distribuzione, Caio Gracco propose una legge secondo cui la definizione delle p. in consolari e pretorili sarebbe dovuta avvenire prima dell'elezione dei magistrati interessati. Con il medesimo intento, più tardi, Pompeo propose che tra l'elezione a una magistratura e l'eventuale assegnazione di una p. dovessero trascorrere cinque anni. Alla fine dell'età repubblicana le p. erano 15: Sicilia, sottratta ai Cartaginesi durante la prima guerra punica (241 a.C.); Sardegna e Corsica create nel 227 a.C.; Spagna Ulteriore e Citeriore acquisite nel 197 a.C.; Macedonia, ridotta a p. nel 148 a.C. e unita amministrativamente all'Acaia; Africa, conquistata nel 146 a.C. dopo la sconfitta di Cartagine; Asia, costituitasi nel 133 a.C. per donazione allo Stato romano del Regno di Pergamo da parte di re Attalo III; Gallia Narbonese, annessa nel 118 a.C. e successivamente ingrandita da Cesare; Cirenaica e Bitinia, cedute dai rispettivi re nel 75 e nel 74 a.C.; infine, sempre durante il I sec. a.C., furono acquisite la Siria da parte di Pompeo, la Cilicia e l'Illirico. ║ Età imperiale: durante l'Impero le p. aumentarono di numero e la loro conquista appare guidata da una politica prestabilita, assai più di quanto non fosse per quelle di età repubblicana. Esse venivano distinte in p. imperiali e p. senatorie, in ragione, rispettivamente, della necessità o meno di guarnigioni militari per il mantenimento del presidio. Di conseguenza, le prime erano per lo più p. di nuova acquisizione, mentre le seconde coincidevano con le più antiche. Il Senato amministrava le p. di sua competenza mediante ex magistrati (che avevano il titolo di proconsules anche se non avevano rivestito il consolato) designati in quella carica per un anno; in dipendenza dal proconsole agiva, per le questioni finanziarie, un questore, mentre gli interessi del fisco e del patrimonium (PATRIMONIUM PRINCIPIS) erano curati da procuratori, di rango pretorio, che rispondevano direttamente all'amministrazione imperiale. Le p. imperiali erano invece governate da legati Augusti pro praetore di rango senatorio (consolare o pretorio in ragione del numero di legioni presenti sul territorio) designati direttamente dall'imperatore, che duravano in carica per un tempo indeterminato, talvolta molto lungo. Senza vincoli di dipendenza dal legato, operavano un procuratore di ceto equestre, per l'amministrazione finanziaria e un legatus legionis, per il controllo delle truppe. In tal modo l'autorità nelle p. veniva scissa in più referenti e richiedeva un alto grado di cooperazione fra i magistrati e fra essi e le istituzioni locali. Queste ultime vennero inizialmente preservate in molte loro funzioni (soprattutto nei territori di cultura greco-ellenistica) e furono ridimensionate solo progressivamente e in concomitanza con lo sviluppo della burocrazia. Nelle regioni occidentali, il processo di romanizzazione fu particolarmente efficace, contestualmente alla diffusione di strutture cittadine, all'estensione della cittadinanza romana ai provinciali (che culminò con l'editto di Caracalla del 212 d.C.) e alla riorganizzazione del sistema tributario. Durante il principato, il numero delle p. arrivò a 46, sia per le scissioni in più distretti amministrativi delle p. già esistenti, sia per le nuove acquisizioni territoriali (sotto Augusto furono annesse le quattro regioni danubiane, che costituirono la linea settentrionale di confine dell'Impero; con la battaglia di Azio del 31 a.C., fu eretto a p. l'Egitto, pur se con lo status particolare di diretta dipendenza dall'imperatore; Claudio creò le p. di Britannia e di Licia-Panfilia; Traiano la Dacia; Cappadocia, Mauritania e Tracia furono trasformate, durante il I sec. d.C., da Regni clienti in p.). A partire da Domiziano e Traiano, si susseguirono numerosi provvedimenti relativi all'assetto territoriale dell'Impero, fino alla radicale riforma di Diocleziano che, frazionando le antiche p. in due o tre distretti di minor dimensione (per un numero complessivo di 87), le riorganizzò in diocesi, circoscrizioni amministrative che coprivano tutto l'Impero. Anche l'Italia, con l'esclusione della città di Roma, fu trasformata in p. e dotata, come tutte le altre, di un governatore civile e di uno militare indipendenti l'uno dall'altro. Alla loro autorità si affiancava la presenza di una burocrazia capillare che, da ogni p., afferiva in primo luogo alle amministrazioni centrali della diocesi di appartenenza e, poi, a quella imperiale. ║ Medioevo ed età moderna: le invasioni barbariche comportarono varie modifiche alle circoscrizioni provinciali dell'età tardo-antica, quando già, comunque, le realtà cittadine avevano cominciato ad acquisire maggior importanza strategica nell'amministrazione rispetto alle p. Mentre le popolazioni germaniche trovarono confacente alle proprie tradizioni le civitates, i Goti che occuparono l'Italia stabilirono una dominazione fortemente centralizzata, che annullò le autonomie provinciali. I Longobardi adottarono delle circoscrizioni territoriali molto ampie, i ducati, che per estensione e ampiezza di poteri di amministrazione e di governo, sia civile sia militare, si configuravano come piccoli Regni non immuni da istanze autonomiste. I Franchi sostituirono ai ducati i comitati o contee, cui furono nettamente ridotte le attribuzioni amministrative, governate da pubblici ufficiali (conti e marchesi) soggetti al potere regio e coadiuvati da ufficiali minori. Un'assemblea dei residenti manteneva poteri deliberativi in relazione a importanti questioni locali. Durante il Feudalesimo, essendo i feudi signorie autonome e non parti di un'unica compagine statale, pur se legati a un sovrano comune, le p. scomparvero di fatto per ricomparire, con varie denominazioni e peculiarità, solo con la rinascita di autorità statali a carattere unitario: signorie, principati e monarchie. Nello Stato pontificio, durante i secc. XIII-XIV, la riforma egidiana riorganizzò le p. ed istituì anche un loro Parlamento; nel feudo sabaudo le p. furono restaurate durante il XVI sec. e dotate di un sovrintendente amministrativo e di un prefetto con potere giurisdizionale, strettamente legati al Governo centrale. L'età moderna, in genere, coincise con l'abolizione di ogni autonomia e diversità locale (quali, per esempio, i privilegi di eredità feudale), in funzione dell'uniformità dell'ordinamento amministrativo in tutte le parti del territorio statale. In particolare, le p. di istituzione austriaca nel Lombardo-Veneto, volute da Maria Teresa, e l'eredità amministrativa della pur breve occupazione francese, ispirarono il concetto di p. come circoscrizione intermedia tra comuni e potere centrale, sottoposta a controllo mediante funzionari governativi (intendenti, prefetti, ecc.) insediati nei capoluoghi, pur in presenza di organi deliberativi locali (consigli provinciali) di tipo elettivo.

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- Diritto amministrativo - Nell'ordinamento italiano, la p. si configura sia come circoscrizione amministrativa dello Stato (art. 128 della Costituzione) - sede di suoi organi periferici, quali la prefettura, la sovrintendenza di finanza, ecc. -, sia come ente pubblico territoriale autonomo (art. 129 della Costituzione), intermedio fra comune e regione, il cui compito risiede nella tutela degli interessi di tutto il territorio ad essa relativo. Mentre la modifica o l'istituzione di nuovi comuni è competenza della regione, interventi sulle circoscrizioni provinciali sono possibili solo mediante leggi dello Stato e, nel caso di passaggio ad altra regione, previo consenso della cittadinanza con referendum. Nel dopoguerra, tuttavia, l'ente provinciale subì un forte ridimensionamento funzionale, tanto che ne fu proposta l'abrogazione e la sostituzione con consorzi di comuni o comprensori. Ciò non avvenne, anche a causa della difficoltà nell'operare modifiche ad una legge costituzionale e, in seguito, le p. sono state rivalutate grazie all'istituto delle deleghe da parte delle regioni. Il rilancio delle circoscrizioni provinciali è stato affidato al Governo mediante la L. 8-6-1990, n. 142, che ha revisionato l'intera materia relativa alle autonomie locali, abrogando in gran parte la normativa precedente. Ispirandosi al dettato costituzionale e alla Carta sulle autonomie locali emanata dal Parlamento di Strasburgo nell'ottobre 1985, tale legge ha definito i criteri guida cui devono essere improntati i rapporti degli enti territoriali (p. e comuni, ma anche aree metropolitane e comunità montane) con il potere centrale e tra loro. Le disposizioni della nuova legge non sono tuttavia applicabili alle regioni a statuto speciale e alle p. autonome di Trento e Bolzano (TRENTINO-ALTO ADIGE). L'art. 2 sancisce l'autonomia della p., delineandone i contenuti fondamentali: autonomia statutaria, che consiste nell'indipendenza dell'ente nella definizione dei propri assetti istituzionali; autonomia finanziaria, che consiste nella certezza delle risorse, in quanto proprie o trasferite dagli organismi centrali. Le p., inoltre, possono disporre ed essere titolari di beni demaniali e patrimoniali. Per quanto riguarda il rapporto dell'istituzione con i cittadini, inoltre, gli articoli 7 e 8 della legge stabiliscono, rispettivamente, il principio della pubblicità e trasparenza degli atti amministrativi (regolamentato in autonomia dalle singole p.) e la possibilità di istituire la figura del difensore civico provinciale, già prevista a livello regionale. La p. ha inoltre potestà di regolamentare le forme di accesso, partecipazione e controllo dei cittadini sulle attività degli enti locali (forme associative, di appello, di consultazione, ecc.). La legge 142 ha anche innovato profondamente l'aspetto delle funzioni assegnate alle p., attribuendo loro competenze amministrative, di gestione - in materie relative al territorio e all'ambiente - e di programmazione. I settori di intervento si distinguono in: difesa del suolo, tutela e promozione ambientale, prevenzione delle calamità; tutela e promozione delle risorse idriche ed energetiche; tutela e promozione dei beni culturali; manutenzione della rete viaria e dei trasporti; protezione della flora e della fauna; regolamentazione della caccia e della pesca nei territori provinciali e nelle acque interne; organizzazione e controllo dello smaltimento dei rifiuti, rilevamento cashlinkdisciplina degli scarichi delle acque, delle emissioni atmosferiche e dell'inquinamento acustico; gestione dei presidi sanitari e dei servizi di igiene e profilassi pubblica attribuiti all'ente dallo Stato e dalla regione; compiti connessi all'istruzione di secondo grado, artistica e professionale, attribuiti all'ente dallo Stato e dalla regione, ivi compresa la gestione dell'edilizia scolastica; gestione e programmazione di opere di interesse provinciale o di vaste zone intercomunali, di natura economico-produttiva, commerciale, turistica, sportiva, ecc. L'art. 15 della legge configura l'aspetto peculiare nel nuovo assetto dell'ente provinciale, quello della programmazione. Essa si realizza mediante alcuni strumenti: i programmi pluriennali, riferiti alla materia economica, territoriale e ambientale; il piano territoriale di coordinamento, attinente alle questioni di urbanistica; convenzioni e consorzi, che p. e comuni hanno facoltà di istituire quali strumenti attuativi per la gestione comune di funzioni o servizi o per la realizzazione di opere. La legge 142 ha inoltre attivato le procedure per l'istituzione di otto nuove p., in aggiunta alle 95 già esistenti, poste formalmente in essere nel 1992. Esse sono le p. di Biella e Verbania (o Verbano-Cusio-Ossola), in Piemonte; Crotone e Vibo Valentia, in Calabria; Lecco e Lodi, in Lombardia; Rimini, in Emilia Romagna; Prato, in Toscana, mentre Forlì è stata ridenominata Forlì-Cesena. Nel 2001 la Regione autonoma della Sardegna ha istituto 4 province divenute operative nel 2005: Olbia-Tempio, Ogliastra, Medio Campidano e Carbonia-Iglesias, mentre nel 2004 il Parlamento italiano ha istituito le 3 province di Monza e Brianza, di Fermo e di Barletta-Andria-Trani, operative a partire dal 2009. ║ Organi della p.: l'organizzazione dell'ente è basata sulla tripartizione dei suoi organi, Consiglio, Giunta e presidente. Al Consiglio è attribuito il ruolo di indirizzo, di programmazione, di produzione normativa e di controllo sull'esecutivo; alla Giunta spetta il compito di collaborare con il presidente nello svolgimento degli atti amministrativi che non rientrino per legge nelle competenze del Consiglio o del presidente; il presidente, con la L. 25-3-1993, n. 81, è la principale figura istituzionale in ambito provinciale. Egli è organo esecutivo, responsabile dell'amministrazione e del funzionamento organizzativo dell'ente; nomina la Giunta, scegliendo i suoi assessori anche all'esterno del Consiglio; designa i rappresentanti della p. presso enti pubblici, istituzioni e aziende private; subito dopo l'elezione, presenta all'approvazione del Consiglio i membri della Giunta e i propri indirizzi di governo. ║ Legge elettorale: la L. 25-3-1993, n. 81 ha anche modificato il sistema elettorale fino ad allora vigente, pur restando valide le parti della normativa precedente non espressamente abrogate e compatibili con il nuovo sistema. Presidente e consiglieri sono eletti ogni quattro anni a suffragio universale dai cittadini maggiorenni residenti nel territorio provinciale. All'atto della candidatura, ciascun aspirante presidente deve dichiarare il proprio collegamento ad almeno una delle liste di candidati consiglieri; la votazione si svolge con un'unica scheda sulla quale l'elettore indica la preferenza per la carica di presidente e per uno solo dei candidati consiglieri, appartenente o meno alle liste collegate al presidente prescelto. In caso di maggioranza assoluta, il presidente viene nominato eletto al primo turno, in caso contrario, i due candidati che hanno ottenuto più voti accedono al secondo turno di ballottaggio, che si svolge a due settimane di distanza. Nel periodo che intercorre tra i due turni, gli apparentamenti dichiarati tra liste e candidati a presidente restano validi, salvo nuove inclusioni di liste collegate a presidenti che non hanno superato il turno: tali inclusioni devono essere però ufficializzate entro sette giorni dal primo voto. Al ballottaggio l'elettore indica solo la preferenza per un candidato e risulta eletto chi fra i due ottiene la maggioranza dei voti espressi validi. Il Consiglio viene composto secondo il criterio dei collegi uninominali. Se il complesso di liste collegate al presidente vincente ha raggiunto il 60% o più dei voti, i seggi sono ripartiti in base alle preferenze raccolte da ciascuna lista al primo turno; nel caso in cui il 60% dei voti non sia stato raggiunto, esso viene comunque assegnato, e proporzionalmente ripartito, come premio di maggioranza, assicurando così al presidente una maggioranza che lo sostenga in Consiglio. I candidati a presidente non eletti vengono dichiarati eletti d'ufficio, mentre i consiglieri eventualmente nominati assessori devono lasciare il proprio seggio. La carica di presidente e di assessore non può essere esercitata per più di due mandati consecutivi. Presidente e Giunta possono decadere dalla carica solo in seguito a mozione di sfiducia motivata, votata per appello nominale dalla maggioranza assoluta dei componenti del Consiglio; dimissioni, impedimento permanente, decesso, rimozione e decadenza del presidente implicano lo scioglimento delle Giunta e del Consiglio e nuove elezioni. Il Consiglio provinciale può inoltre essere sciolto per decreto del presidente della Repubblica, su proposta del ministero dell'Interno, a causa di: atti gravi contrari alla Costituzione o in violazione della legge; impedimento al corretto funzionamento degli organi e dei servizi provinciali; mancata approvazione entro i termini massimi consentiti del bilancio. In tutti questi casi, contestualmente allo scioglimento viene nominato un commissario per l'amministrazione corrente fino alle nuove elezioni. Gli atti amministrativi delle p., come della regione e dei comuni, sono sottoposti a controllo di legittimità da parte del CORECO (Comitato Regionale di Controllo).

- Diritto canonico - P. ecclesiastica: gruppo di diocesi limitrofe, afferenti in certa misura all'autorità dell'arcivescovo preposto alla più importante fra loro, che assume il titolo di metropolita (artt. 431 e 432 Cod. Dir. Can.). Tale istituto risale storicamente alla particolare autorità di cui, già nel II sec. d.C., godevano i vescovi delle principali città (metropoli) del mondo romano su quelli dei centri minori, che essi convocavano periodicamente in sinodi e di cui erano i portavoce. ║ In riferimento agli ordini e alle confraternite religiose, ripartizione territoriale cui sono preposti un padre o una madre provinciale, e alla cui autorità afferiscono i conventi e le realtà dell'ordine della zona.

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PROVINCIA

Ente locale comprendente il territorio di più Comuni. Esercita funzioni in materia di viabilità e trasporti (strade provinciali); di edilizia scolastica; di servizi sanitari; di cura del territorio e dell'ambiente. Suoi organi sono il Consiglio provinciale, la Giunta e il presidente.

CONSIGLIO PROVINCIALE

Organo elettivo con compiti di indirizzo e di controllo nei confronti dell'amministrazione provinciale. Rimane in carica cinque anni e l'elezione dei consiglieri è strettamente legata all'elezione diretta del presidente della Provincia. Infatti, una volta eletto presidente chi ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti in primo o secondo turno (ballottaggio), al gruppo o ai gruppi di candidati collegati all'eletto viene attribuito il sessanta per cento dei voti. I restanti seggi vanno agli altri gruppi, proporzionalmente ai voti ottenuti.

GIUNTA

Termine usato con vari significati, sempre riferiti a organi collegiali. Negli enti locali indica l'organo (formato dal sindaco o dal presidente e dagli assessori) che presiede alle funzioni amministrative. Nella scuola, organo ristretto rispetto al consiglio di istituto, composto dal preside o dal direttore didattico e dai vari rappresentanti delle componenti scolastiche (genitori, insegnanti, studenti, non docenti). In Parlamento indica le commissioni che non hanno funzione legislativa: giunta per il regolamento, alla Camera e al Senato; giunta per le elezioni, alla Camera; giunta per le autorizzazioni a procedere, alla Camera; giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, al Senato. Si usa anche per designare l'organo collegiale che assume il potere dopo un colpo di stato, generalmente militare.

ENTI LOCALI

Enti pubblici con competenza territoriale limitata. La Costituzione, all'art. 5, afferma che "La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali" e individua gli enti locali nelle Regioni (attuate operativamente nel 1970), nelle Province e nei Comuni. Essi, detti anche enti autonomi territoriali, si caratterizzano per l'autonomia di cui godono: normativa, nel senso che possono emanare norme giuridiche vincolanti nel loro territorio (per le Regioni, anche leggi regionali; per tutti, regolamenti); statutaria, che consiste nel potere di regolare la propria organizzazione interna; amministrativa, potendo emettere gli atti amministrativi necessari per attuare le loro decisioni (dare concessioni, autorizzazioni, procedere a espropri). Per compiere la loro attività, hanno alle loro dipendenze del personale che forma la burocrazia locale.

REGIONE

Ente pubblico territoriale previsto dalla Costituzione. Può emanare leggi in qualsiasi materia, ad eccezione di quelle attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato, nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Le Regioni si distinguono in ordinarie e a statuto speciale. Gli organi sono costituiti dal Consiglio, dalla Giunta e dal Presidente.

CONSIGLIO REGIONALE

Organo della Regione con potestà legislative, composto dai consiglieri, in numero da 30 a 80, in proporzione alla popolazione regionale. I consiglieri sono eletti dai cittadini residenti e non possono, contemporaneamente, far parte del Parlamento. Il Consiglio regionale si organizza, come le Camere, in commissioni ed elegge un presidente, che svolge le stesse funzioni dei presidenti delle Camere. Il consiglio delibera, nelle Regioni a statuto ordinario, lo statuto, che disciplina l'organizzazione interna della Regione. Nel caso delle Regioni a statuto speciale, invece, gli statuti vengono approvati con legge costituzionale.

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PARLAMENTO

Indica l'assemblea dei rappresentanti del popolo che, nello Stato moderno, esercita la funzione legislativa (elabora e vota le leggi) e controlla l'operato del Governo. Nel nostro ordinamento, si compone della Camera dei deputati (con sede a Roma, a Montecitorio) di 630 membri e del Senato (con sede sempre a Roma, a Palazzo Madama) di 315 membri più i senatori a vita, nominati dal presidente della Repubblica. Il Parlamento è, pertanto, conosciuto anche come "le Camere". Di solito, le Camere si riuniscono e lavorano separatamente. La Costituzione prevede, però, che in determinate circostanze il Parlamento si riunisca e deliberi in seduta comune: per l'elezione e il giuramento del presidente della Repubblica; per nominare un terzo dei giudici costituzionali e un terzo dei membri del Consiglio superiore della magistratura; per mettere in stato di accusa il presidente della Repubblica per alto tradimento e attentato alla Costituzione.

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Capo dello Stato e rappresentante dell'unità nazionale (art. 87 della Costituzione italiana). Viene eletto per sette anni, quindi più della durata in carica prevista per le Camere, fra tutti i cittadini che abbiano compiuto i cinquanta anni e che godano dei diritti civili e politici. Finora, però, i presidenti sono stati tutti eletti fra i parlamentari. Il presidente viene eletto dal Parlamento, in seduta comune e integrato con rappresentanti delle Regioni. In altri Paesi (come per esempio la Francia e gli Stati Uniti) viene invece eletto direttamente dal popolo. Il presidente della Repubblica, pur non esercitando nessuno dei tre poteri fondamentali (legislativo, esecutivo, giudiziario), ha con essi un rapporto indispensabile. Rispetto al Parlamento: indice le elezioni per il rinnovo delle Camere; promulga le leggi; può inviare messaggi alle Camere; può sciogliere anticipatamente il Parlamento, quando non sia possibile trovare una maggioranza per formare il Governo. Rispetto al Governo: nomina il presidente del Consiglio e i ministri; autorizza la presentazione dei disegni di legge; emana i decreti aventi forza di legge e i regolamenti (Dpr, Decreto del presidente della Repubblica). Rispetto alla magistratura: presiede il Consiglio superiore della magistratura (Csm). Il presidente inoltre: indice il referendum; nomina gli alti funzionari dello Stato; accredita e riceve i rappresentanti diplomatici e, con l'autorizzazione delle Camere, ratifica i trattati internazionali; ha il comando delle Forze armate; può concedere la grazia.

PARLAMENTO

Indica l'assemblea dei rappresentanti del popolo che, nello Stato moderno, esercita la funzione legislativa (elabora e vota le leggi) e controlla l'operato del Governo. Nel nostro ordinamento, si compone della Camera dei deputati (con sede a Roma, a Montecitorio) di 630 membri e del Senato (con sede sempre a Roma, a Palazzo Madama) di 315 membri più i senatori a vita, nominati dal presidente della Repubblica. Il Parlamento è, pertanto, conosciuto anche come "le Camere". Di solito, le Camere si riuniscono e lavorano separatamente. La Costituzione prevede, però, che in determinate circostanze il Parlamento si riunisca e deliberi in seduta comune: per l'elezione e il giuramento del presidente della Repubblica; per nominare un terzo dei giudici costituzionali e un terzo dei membri del Consiglio superiore della magistratura; per mettere in stato di accusa il presidente della Repubblica per alto tradimento e attentato alla Costituzione.

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA - CSM

Secondo il principio della divisione dei poteri, la magistratura, che indaga e giudica gli atti dei cittadini, deve essere indipendente dal Governo. L'indipendenza, però, non ci sarebbe se i giudici venissero assunti, assegnati a una sede e ad una funzione, promossi o sottoposti a provvedimenti disciplinari (sospensione, allontanamento) da un ministro o anche dall'intero Governo. Perciò è stato previsto dalla Costituzione italiana un organo di autogoverno, che è il Csm (Consiglio superiore della magistratura), presieduto dal presidente della Repubblica e composto da giudici, eletti da tutti i colleghi, e professori universitari di materie giuridiche o avvocati con una certa anzianità, eletti dal Parlamento riunito in seduta comune (cioè, deputati e senatori insieme). È al Csm che compete decidere sulla carriera dei giudici e vigilare sul loro comportamento.

GOVERNO

Organo che esercita il potere esecutivo, utilizzando la pubblica amministrazione. La Costituzione italiana, all'art. 92, afferma che " il Governo della Repubblica è composto del presidente del Consiglio e dei ministri ", che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il Consiglio è un organo collegiale e ciò sta a significare che, sulle materie che non sono di sola competenza di un ministro, il Consiglio stesso decide secondo la regola della maggioranza. Il presidente del Consiglio, nominato dal presidente della Repubblica, coordina l'attività dei vari ministri, in modo che tutti perseguano un fine comune. I ministri, che rappresentano i vertici dell'amministrazione, sono a capo di un ministero, distinto secondo l'attività di cui si occupa (Pubblica istruzione, Difesa, Affari esteri e così via) e di cui fanno parte un gruppo di dipendenti pubblici. Per poter entrare in funzione e continuare a operare, il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.

DIVISIONE DEI POTERI

Principio dello Stato moderno, derivato dalla riflessione del filosofo francese Montesquieu nella sua opera Lo spirito delle leggi (1748). Constatato che il potere si esprime in tre funzioni: quella legislativa, di elaborazione delle norme obbligatorie per tutti i cittadini; quella esecutiva o di Governo, di applicazione delle norme; quella giudiziaria, di applicazione delle norme ai casi concreti con le relative sanzioni per chi non le abbia rispettate; si conclude che, per garantire la libertà, è opportuno che queste tre funzioni vengano esercitate da organi diversi, tra loro indipendenti. Nelle dittature, infatti, il Governo prevale sul Parlamento e gli stessi giudici gli sono sottoposti. Nella nostra costituzione si nota, invece, una centralità del Parlamento, come espressione della volontà dei cittadini, e una autonomia della magistratura.

STATO

Organizzazione politica di un popolo stanziato su un territorio. Gli individui che compongono il popolo sono i cittadini, che hanno diritti e doveri nei confronti dello Stato. Anche agli stranieri vengono generalmente garantiti i diritti inviolabili dell'uomo. Il territorio è delimitato, rispetto a quello degli Stati vicini, dai confini; dal lato del mare il confine è rappresentato dalle acque territoriali, stabilite secondo le consuetudini internazionali. Il territorio comprende, inoltre, lo spazio aereo e il sottosuolo e, convenzionalmente, le navi e gli aerei, in qualsiasi luogo si trovino. Dato che l'organizzazione politica rappresenta una caratteristica fondamentale, si distinguono due concetti di Stato: quello formato, come si è detto, da un popolo stanziato su un territorio e organizzato politicamente (Stato-comunità); quello costituito dall'apparato politico che esercita il comando (Stato-apparato), a cui si affiancano tutti gli enti pubblici che permettono l'esercizio del potere.

MAGISTRATURA

Il complesso degli organi che amministrano la giustizia. Ne fanno parte i giudici che dirimono le questioni fra i cittadini (in sede civile) e che applicano le pene ai colpevoli di reati (in sede penale). Questa parte della magistratura viene chiamata giudicante e ne fanno parte il giudice di pace, il tribunale, il tribunale per i minorenni, la Corte d'appello, la Corte d'assise, la Corte d'assise d'appello, la Corte di cassazione. Un'altra parte della magistratura ricerca i colpevoli di reati e le prove per arrivare alla loro condanna. Questi agiscono come pubblici ministeri e sostengono l'accusa nei processi penali. La magistratura giudicante è organizzata secondo il principio (contenuto nell'art. 101 della Costituzione) per cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge. Quindi, nonostante vi siano diversi giudici e vari gradi del giudizio, non esiste fra i giudici nessuna gerarchia. La magistratura che esercita le funzioni di pubblico ministero, invece, è organizzata in uffici (della Procura della Repubblica nei procedimenti di primo grado e della Procura Generale della Repubblica nei giudizi di appello) con un capo e con magistrati alle sue dipendenze. La magistratura, però, pur essendo formata di dipendenti pubblici, gode di una particolare autonomia nei confronti degli altri due poteri fondamentali dello Stato (quello legislativo del Parlamento e quello esecutivo del Governo).

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Ultima modifica : 12/04/2024 18:01:47

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