(dal latino
proverbium, der. di
verbum: parola). Breve motto di
antica tradizione, che esprime una norma dedotta dal buon senso o un principio
etico desunto dall'esperienza. ║ Per estens. -
Passare, andare, venire
in p.: diventare proverbiale. Queste espressioni vengono utilizzate in
relazione a determinate qualità di un individuo o di una cosa, che
assurgono a esempio caratteristico
. • Encicl. - Carattere
essenziale del
p. è l'incisività; ad essa contribuiscono
diversi artifici, quali particolari forme metriche, molteplici figure retoriche
(rima, assonanza, allitterazione, metafora, allegoria, ecc.), il dialogo diretto
fra i personaggi e altre simmetrie strutturali. In particolare, un carattere
sintattico presente nella maggior parte dei
p. è la costruzione
binaria, per cui due elementi, regolati da una cesura, stanno fra loro in una
relazione che può essere di equivalenza, causalità o
consequenzialità. Numerosi sono anche i
p. trimembri, costituiti
cioè da tre proposizioni. L'uso dei
p. è accertato in tutte
le società umane, pur differenziandosi per alcuni aspetti: nei popoli a
cultura scritta, i
p. hanno il carattere di sentenze fisse e la loro
forma è simile a quella delle formule magiche e rituali; viceversa, nei
popoli di tradizione orale il sapere espresso dai
p. non è
codificato e cambia dunque spesso nel tempo. L'immutabilità dei temi e
dei motivi è solo apparente: i continui passaggi dalla lingua ai
dialetti, come pure dai significati letterali a quelli figurati fanno sì
che la tradizione dei
p. risulti in continua evoluzione, sia nella forma
sia nel contenuto. Fra gli studiosi è ancora acceso il dibattito sulla
nascita dei
p.: alcuni collocano la loro origine nella sfera dotta della
cultura, altri, invece, nella sfera popolare; una terza corrente di pensiero,
infine, ritiene che i
p. siano nati simultaneamente e indipendentemente
nell'una e nell'altra sfera. Ciò che è certo, comunque, è
quanto segue: fin dai tempi più antichi, l'efficacia dei
p. e la
loro facile accessibilità e diffusione hanno spinto alcune tradizioni
letterarie ad adottare e preferire questo modello di enunciazione. Così
nella letteratura sapienziale orientale e, in particolare, nei
Mishlē ebraici, il cui esempio più celebre è il libro
biblico detto appunto dei
Proverbi; analogamente nella letteratura
postbiblica, in cui il trattato
Pirgē Abō, nella
Mishnāh, costituito prevalentemente da
p., rivestiva una
grande importanza religiosa (basti pensare che ogni sabato, nelle
comunità ebraiche, se ne leggeva una sezione); parimenti nella
letteratura araba, sia in epoca preislamica sia più tardi. Nella Grecia
antica è difficile trovare un genere letterario (specie se popolare) che
sia del tutto privo di
p.; le opere poetiche arcaiche, poi, vi
ricorrevano sistematicamente. Anche nell'antica Roma la commedia e la
letteratura pullulavano di
p., moltissimi dei quali legati alla
religione. A questa tradizione, biblica e classica, si ricollega, infine, il
Medioevo, che tenta di conferire solennità e autorità alle proprie
sentenze o massime, attribuendole a nomi storici o leggendari del passato
(Salomone, Catone, ecc.); è in epoca medioevale, inoltre, che la nascita
della letteratura in volgare inaugura l'ingresso nell'alta cultura anche dei
p. più popolari. La forma, il contenuto e la funzione dei
p. ne consentono una distinzione in varie tipologie che è
opportuno esaminare (anche se spesso caratteri contenutistici e
linguistico-formali si sommano in uno stesso
p. e rendono difficile la
sua classificazione). I
p. enigma, innanzitutto, sono veri e propri
indovinelli (si pensi all'enigma che la Sfinge sottopone a Edipo: "Chi
è che cammina prima con quattro zampe, poi con due e infine con
tre?"); è probabile una loro origine religiosa, comune, del resto,
anche ai
p. canti e ai
p. racconti, che si fondano rispettivamente
su ritornelli cantati e su racconti noti (in genere miti). I
p. epigrammi
sono caratterizzati da una struttura formale a battuta (ad esempio, "Amico
di ventura, molto briga e poco dura"). Nei
p. dialoghi, veri e
propri personaggi, in genere fiabeschi, ma con caratteri ben delineati e
precisi, dialogano fra di loro. I
p. blasone hanno come oggetto gli
abitanti di un paese o di una regione, di cui, in tono di lode o, più
frequentemente, di scherno e satira, descrivono i caratteri (ad esempio,
"Il bergamasco ha il parlare grosso e l'ingegno sottile"). Sulla base
di analogie o di esperienze passate i
p. profetici predicono avvenimenti
futuri (ad esempio, "Se son rose fioriranno"), mentre i
p.
meteorologici forniscono previsioni sul tempo (ad esempio, "Rosso di
sera bel tempo si spera"). I
p. antitetici sono costituiti da una
frase, che è a sua volta suddivisa in due parti legate fra loro da un
rapporto di opposizione (ad esempio, "Chi ti loda in presenza, ti biasima
in assenza"). Nei
p. alliterativi l'insegnamento è condensato
in poche parole (in genere due) che cominciano con un suono uguale o molto
simile (ad esempio, "Donna danno" oppure "Sposa spesa"). I
p. metaforici o
allegorici sono caratterizzati da un doppio
significato: uno proprio e l'altro traslato o, anche, uno specifico e l'altro
generale (ad esempio, "La gatta frettolosa fece i gattini ciechi"). Ci
sono, poi, vari
p. raggruppati in base alla loro appartenenza ai grandi
settori delle attività primarie (agricoltura, pastorizia, pesca, ecc.) e
delle sfere culturali (astronomia, medicina, diritto, ecc.); tali sono, ad
esempio, i
p. marinari e
agricoli, legati rispettivamente alla
vita dei pescatori e dei contadini, oppure i cosiddetti
p. canone che,
fondandosi sulla consuetudine, sanciscono norme a carattere giuridico,
finalizzate a regolare i rapporti fra gli individui di una comunità (ad
esempio, "Chi rompe paga, i cocci sono suoi"). Una forma particolare
di
p. è il
wellerismo: il termine deriva dal dickensiano
Weller e designa una massima, dal tono talvolta solenne, talvolta ironico,
attribuita a un personaggio della storia o dell'immaginazione (in Campania, ad
esempio, è celebre il detto "Dicette Pulcinella: pe mmare non
c'è taverna"). Molto simili ai
p., infine, sono i
modi di
dire, ovvero frasi usuali, stereotipate, che nel linguaggio comune assurgono
a vere e proprie formule. Alcuni studiosi, tuttavia, propongono di sostituire
alla vecchia classificazione esposta in precedenza nuove categorie che
consentano un'interpretazione geografica e storico-antropologica dei
p.
Al di là della dimensione apparentemente aspaziale e atemporale e
nonostante la rarità dei
p. storici in senso stretto, essi
ritengono, infatti, che vi sia del realismo nei
p. di tutti i tempi: a
loro parere, cioè, ben più di altri prodotti della cultura
popolare, i
p. sono strettamente legati alla storia sociale ed economica
di una determinata zona e alle varie suddivisioni della vita e del lavoro in cui
questa storia si articola (agricoltura, cultura materiale, alimentazione,
mentalità, pietà popolare, ecc.). È stata persino proposta
una speciale branca della paremiologia, cioè della scienza dei
p.
(dal greco
paroimía: similitudine), con il compito di classificare
i detti e le sentenze in base alle aree geografiche di appartenenza, studiandone
poi l'evoluzione nel corso del tempo. Tale branca, denominata geoparemiologia,
si propone come fine la stesura di un atlante paremiologico italiano. •
Lett. - Nei primi secoli della letteratura italiana furono numerose e fortunate
le raccolte in rima di
p. Nei secc. XVI-XVIII, vennero pubblicate varie
collezioni di
p., sia latini sia italiani, corredate da veri e propri
commenti. Tra queste, accanto a non meno pregevoli opere anonime, è
opportuno segnalare le seguenti: il
Libro della origine delli volgari
proverbi (1526) di A. Cinzio delli Fabrizi,
Proverbi e facezie (1535)
di A. Cornazzano, il
Giardino di ricreazione (1591) di G. Florio, i
Proverbi italiani (1598) di O. Pescetti, il
Nuovo thesoro dei proverbi
italiani (1604) di T. Butoni, la
Piazza universale di proverbi
italiani (1666) di G. Torriani, il
Saggio di proverbi e detti sentenziosi
italiani (1678) di G. Mühlman, i
Proverbi italiani e francesi
(1679) di G. Du Bois De Gomincourt, la
Ghirlanda di varii fioretti e proverbi
italiani (1688) di G. Fabricio, le
Dichiarazioni dei proverbi (1689)
di G. A. Maniglia, l'
Ingresso al viridario proverbiale (1702) di G.A.
Pazzaglia. Nel XIX sec., il Romanticismo italiano, riaccendendo l'interesse per
la letteratura popolare, favorì la nascita di raccolte sistematiche, e
per così dire scientifiche, di
p. Celebre è la collezione
dei
P. toscani di G. Giusti, nata con fini educativi, da una personale
ricerca linguistica (nella prefazione, infatti, fingendo di scrivere una lettera
a un amico, l'autore afferma: "Ecco i
p. dei quali t'ho parlato le
mille volte, raccolti dalla voce del popolo e messi insieme là là,
quasi via facendo, per istudio della lingua italiana"). L'opera fu
pubblicata postuma da G. Capponi nel 1853; nel 1855, poi, A. Gotti la
arricchì con nuovo materiale proveniente da fonti diverse, aumentando
fino a 3.000 il numero dei
p., che vennero anche classificati in 85
categorie. Senza dubbio, tuttavia, la raccolta più accurata e precisa fu
quella dei
Proverbi siciliani (1880) di G. Pitré; preceduta da una
dissertazione sui
p. italiani, e più in particolare siciliani,
l'opera è una chiara testimonianza della rinascita, nella seconda
metà del secolo, di un interesse prettamente antropologico. Secondo
Pitré, in sostanza, i
p. mettono a nudo "l'uomo tutto nelle
varie condizioni sociali, nei vari momenti della vita, in ogni tempo, in ogni
regione e chi volesse trovarvi ad ogni costo le massime della sana morale o i
precetti che conducono a virtù si ingannerebbe quanto chi nei
p.
non vede se non egoismo, codardia, previgente vergognosa abilità di saper
vivere di gente priva affatto di cuore e di sentimenti. Il
p. contiene la
salute e la malattia dell'umano pensiero, il perpetuo contrapposto alle opinioni
diverse, le differenti maniere di vedere, di sentire, giudicare e quante vi
hanno al mondo preoccupazioni buone o cattive". Notevoli sono anche varie
raccolte regionali da ascrivere a B. Samarani per la Lombardia, G. Tiraboschi
per Bergamo, A. Dal Medico e D. Bernoni per il Veneto, G. Ungarelli per Bologna,
G. Ferraro per il Monferrato, V. Ostermann per il Friuli, G. Vatova per
l'Istria, G. Zanazzo per Roma, G. Tassoni per Mantova, M. Mandalari e R.
Lombardi-Satriani per la Calabria, S. La Sorsa per la Puglia, I. Ciavarini Doni
per le Marche, A. De Nino e T. Bruni per l'Abruzzo, M. Staglieno per Genova. Tra
queste collezioni locali, la più celebre resta comunque quella per la
Corsica e la Toscana, composta da N. Tommaseo. Dei
p., in particolare, lo
studioso sottolineò "la ricchezza di lingua viva" e il
patrimonio di saggezza in essi racchiuso: "Se tutti si potessero
raccogliere e sotto certi capi ordinare i
p. italiani, i
p. d'ogni
popolo, d'ogni età, colle varianti di voci, d'immagini e di concetti,
questo, dopo la Bibbia, sarebbe il libro più gravido di pensieri".
Meritano una citazione anche alcune opere che, calandosi nella realtà
contadina del Mezzogiorno postunitario, ben si inserirono nella storia sociale
del loro tempo, guadagnando in attualità e in impulso ideologico. Basti
citare, fra queste,
Persone in Calabria di V. Padula (1864-70),
Le
parità e le storie morali dei nostri villani (1884) di S.A.
Guastella, oltre agli scritti di G. Verga e del suo continuatore C. Alvaro,
celebri per la tecnica narrativa del discorso proverbiato. Tra le raccolte
successive, infine, sono degne di nota le seguenti:
Proverbi napoletani,
a cura di A. Altamura e V. Giuliani;
Proverbi romaneschi (1975), a cura
di G.A. Cibotto e G. Del Drago;
Proverbi calabresi (1970) di F. Spezzano;
Proverbi abruzzesi di G. Porto;
Proverbi marchigiani (1971) di R.
Bellabarba;
Proverbi trentini, ladini e altoatesini (1986), a cura di G.
Sebesta e G. Tassoni;
Proverbi pugliesi (1987), a cura di A. Giovine.
• Teat. -
P. drammatico: breve componimento teatrale (generalmente
di un solo atto), in versi o in prosa, teso a dimostrare la morale del
p.
da cui prende il titolo. In esso tutto è ridotto ai minimi termini: i
dialoghi sono essenziali, l'intreccio assai semplice, i riferimenti all'ambiente
esterno quasi del tutto assenti. Caratteristica peculiare di questo genere di
componimento è l'improvvisazione: solitamente, infatti, veniva recitato
non solo da improvvisatori di professione, ma anche da gentiluomini e dame di
corte. Nato nel XVII sec. alla corte di re Luigi XV, il
p. drammatico
ebbe grande fortuna nella società francese del XVIII sec. Fra i
principali autori, vanno segnalati i seguenti: M. Durand, M. De Maintenon e,
soprattutto, Carmontelle, cui si attribuiscono più di 200 componimenti,
pubblicati in otto volumi fra il 1768 e il 1781. Più che ad altri
è a Carmontelle che si ispira A. De Musset, l'autore dei
p.
drammatici di più alto livello artistico del XIX sec; fra le sue opere
(dapprima destinate alla sola lettura e poi rappresentate con successo)
ricordiamo:
On ne badine pas avec l'amour (1834),
Il ne faut jurer de
rien (1836),
Il faut qu'une porte soit ouverte ou fermèe
(1845),
On ne saurait penser à tout (1849). Altri celebri autori
sono T. Leclerq, E. Scribe, F. Sauvage, A. Romieu, O. Feuillet, G. D'Houville.
Il metro più frequentemente usato fu quello martelliano. In Italia
l'influenza del teatro francese e, in particolare, del
p. drammatico
diede i primi frutti nella seconda metà del XIX sec. Scrissero questo
genere di opere teatrali A. Torrelli (
Chi muore giace e chi vive si dà
pace, 1859), F. De Renzis (
Un bacio dato non è mai perduto,
1867), F. Martini (
Chi sa il gioco non lo insegni, 1872;
Il peggior
passo è quello dell'uscio, 1873), G. Giocosa (
Chi lascia la via
vecchia ..., 1870;
Non dir quattro se non l'hai nel sacco, 1872;
A
can che lecca cenere non gli fidar farina, 1872), L. Di Castelnuovo (
O
bere o affogare, 1872), R. Bracco (
Non fare agli altri ..., 1886).
• Giochi -
Gioco dei p.: gioco di società che consiste
nell'esprimere a gesti (
p. muti) o a parole (
p. parlati) un
p. Nel caso dei
p. parlati, è possibile che il
p.
venga interpretato da più giocatori, ciascuno dei quali, recitando
piccole scene, nomina a caso e di quando in quando le parole che compongono la
massima da indovinare. I giocatori impegnati nella risoluzione sono costretti a
pagare un pegno, qualora non riescano a mettere insieme le parole e a indovinare
il
p. rappresentato.