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Protestantèsimo.

Il patrimonio dottrinale e il complesso dei movimenti religiosi nati dalla Riforma del XVI sec. Le Chiese protestanti sono spesso indicate anche con il nome di evangeliche, perché intendono riallacciarsi direttamente all'insegnamento cristiano primitivo, al vangelo appunto, saltando la mediazione della tradizione ecclesiastica romano-cattolica. Quanto al termine protestante, esso si riferì inizialmente ai firmatari della protestatio, presentata in forma di solenne dichiarazione dei diritti alla seconda Dieta di Spira (19 aprile 1529) dal partito di Lutero, composto da cinque principi tedeschi e da quattordici città. Costoro aderirono pubblicamente alle dottrine di Lutero ricusando le pressioni esercitate dall'imperatore Carlo V, che caldeggiava un ritorno all'ortodossia cattolica. Il termine P. venne poi esteso nel tardo XVII sec. fino a designare tutte le principali confessioni sviluppatesi intorno alle figure dei riformatori, da Lutero stesso (luterani) a G. Calvino (calvinisti), a U. Zwingli (zwingliani) e poi anche gli anglicani, sebbene questi ultimi non si siano mai riconosciuti nella denominazione di protestanti. Al P. appartengono anche sette minori riformate quali gli anabattisti, gli avventisti, i quaccheri, i metodisti. Per la pluralità interna che caratterizza il mondo riformato, è impossibile parlare di un'unica dottrina protestante; infatti tra le Chiese non esiste alcuna unità di carattere giuridico, sebbene vada riconosciuta l'esistenza di una coscienza protestante, per cui i fedeli delle varie professioni riformate ritengono di far parte di un movimento unitario, malgrado le differenze dottrinali. • Rel. - I fondamenti comuni nel P., che sono gli stessi enunciati dai grandi riformatori del XVI sec., sono: la negazione, sul piano istituzionale ed ecclesiastico, del primato del pontefice e della struttura gerarchica della Chiesa di Roma (la sola Chiesa anglicana episcopale ha una propria gerarchia, non riconosciuta dagli altri protestanti); la centralità delle Sacre Scritture come "unica regola di fede" sul piano dottrinale; l'affermazione, di origine luterana, della "giustificazione per sola fede". La Chiesa protestante riconosce come suo unico capo Cristo Gesù, che vi esercita il suo governo attraverso la Parola e lo Spirito Santo, senza alcun intermediario umano. Non essendoci dunque gerarchia ecclesiastica, la Chiesa viene mantenuta in vita dalla predicazione; i pastori protestanti non sono sacerdoti, ma essenzialmente predicatori. Accanto alla predicazione sussistono i sacramenti, anche se ridotti di numero rispetto al credo cattolico; sono tali solo il Battesimo e la Cena, che viene celebrata nella doppia offerta del pane e del vino. La Cena non ha lo stesso valore dell'Eucarestia cattolica, del rinnovarsi del sacrificio della Croce e di presenza concreta e reale del corpo e sangue di Cristo, perché i protestanti negano la transustanziazione (la conversione che nell'Eucarestia si opera, secondo i cattolici, del pane nel corpo di Cristo, e del vino nel suo sangue). Insieme con l'abolizione della maggior parte dei sacramenti, i padri del P. soppressero pure il culto della Madonna e dei santi, in modo che la liturgia riformata, molto semplificata rispetto alla cattolica, ha per centro la predicazione, la preghiera e il canto. Per quanto concerne i dogmi, il P. ne ha alcuni in comune con le altre Chiese cristiane; quelli della creazione dell'uomo, dell'incarnazione di Cristo, della redenzione, del giudizio universale, della vita eterna si trovano in tutte le confessioni di stampo protestante, a partire da quella di Augusta del 1530, redatta da Melantone per incarico di Lutero. Ma si tratta di dogmi proclamati dai primi concili ecumenici e contenuti nei primi "simboli" (il simbolo apostolico e il simbolo di Nicea); altre verità di fede proclamate nei secoli seguenti non sono accettate da nessuna Chiesa protestante. Tutto quello che è necessario alla fede e alla salvezza è contenuto nelle Sacre Scritture dell'Antico e del Nuovo Testamento, autorevoli di per sé, che non hanno bisogno di alcun avallo o garanzia da parte di un'autorità umana, anche perché è lo stesso Spirito Santo a illuminare il lettore credente, aiutandolo a scoprire l'autenticità della parola di Dio. Il principio della salvezza per la sola fede è strettamente connesso all'idea protestante del peccato originale. Mentre per la teologia cattolica l'uomo ha conservato, dopo la caduta, l'integrità della sua natura (incluso il libero arbitrio), perdendo solo i doni soprannaturali e preternaturali, per i protestanti l'uomo è interamente corrotto, nella sua natura stessa: perciò non è libero di salvarsi o di perdersi, ma è irrimediabilmente perduto se non sopravviene un atto sovrano di Dio che ritiene, con decisione libera e gratuita, di considerare giusto perdonarlo. Con il perdono, Dio dà anche la fede; e con la fede il credente sa di essere riconciliato con Dio attraverso l'opera salvifica di Cristo (la passione e la resurrezione): egli è pertanto eletto, cioè predestinato, senza averlo meritato. Nessuno può meritare la salvezza eterna, perché di sua natura l'uomo è peccatore: la salvezza è sempre un dono totalmente gratuito della Grazia divina, che viene dato insieme alla fede. Questa dottrina della predestinazione, già contenuta in nuce nel principio luterano della giustificazione per la sola fede, è stata doviziosamente sviluppata da Calvino, il più rigido assertore del predestinazionismo nell'ambito della Riforma, e poi anche da Giansenio. Scopo del credente non è quello di procacciarsi la salvezza, ma quello di operare per la gloria di Dio, cioè di lavorare con gioia, con riconoscenza, sia in parole sia in opere, all'estensione del Regno di Cristo. È per questo motivo che il P., pur contestando alle opere umane il carattere di mezzi di salvezza, esige ugualmente dai suoi adepti un alto impegno morale: il predestinato, colui che è toccato dalla Grazia, è tenuto a testimoniare del suo stato nella sua professione terrena, svolgendo coscienziosamente il compito al quale è stato chiamato da Dio. Il concetto di vocazione da prerogativa del sacerdozio si estende perciò nel P. anche alla sfera laica, caricando di un particolare significato religioso ogni attività sociale, economica e politica; i predestinati, gli eletti manifestano al mondo e a se stessi la loro condizione privilegiata di uomini amati da Dio. Questo concetto di vocazione laica serve a spiegare in una certa misura la valorizzazione e l'impulso che, proprio a partire dal XVI sec., vennero dati nei Paesi riformati del Nord Europa alle attività pratiche in genere e a quelle economiche in particolare, tradizionalmente considerate inferiori. Luteranesimo e Calvinismo non furono estranei, come da più storici è stato notato, alla nascita dello spirito del capitalismo commerciale e industriale. Alla fine dell'Ottocento e nei primi anni del Novecento, il P. liberale accentuò l'impegno sociale, propendendo verso una "lettura" puramente razionale, storicistica, della Bibbia. Ad esso reagirono, nel primo ventennio del XX sec., numerosi pastori e teologi quali K. Barth, motivati a ritornare alle origini teologiche della Riforma. Dopo gli anni Cinquanta, si assistette a una tendenza ecumenica del P., consistente in un graduale riavvicinamento a tutte le Chiese cristiane: all'ortodossa e alla cattolica. Segno del cauto avvicinamento reciproco tra cattolici e riformati è stata la partecipazione di alcuni protestanti, anche se nella qualità di semplici osservatori, al Concilio Vaticano II conclusosi nel 1965. Successivi momenti di dibattito e preghiera comuni hanno rinsaldato il dialogo tuttora in atto.
Aree di diffusione religiosa in Europa