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Pragmàtica.

(dal latino pragmaticus, der. del greco pragmaticós: attinente ai fatti). Filos. - Termine, introdotto in ambito filosofico da C. Morris, per indicare una delle tre parti fondamentali della semiotica. Complementare alle due branche della semantica e della sintattica, la p. si occupa, nella visione di Morris, dello studio dei segni in rapporto ai loro utenti, ossia in relazione al contesto e al comportamento segnico e linguistico mediante i quali il processo di significazione si realizza. Tale analisi si colloca all'interno di una concezione generale di carattere pragmatista, in cui la comunicazione è considerata un'interazione tra organismi attuata attraverso un sistema di segni, in cui i segni stessi sono ritenuti entità sociali. Dopo Morris la p. si sviluppa come settore di ricerca autonomo entro la filosofia del linguaggio; si interessa allo studio del significato in relazione sia alle convenzioni sociali e culturali che regolano la comunicazione linguistica, sia alle credenze o alle intenzioni di chi è coinvolto nel processo comunicativo. In base ai principali aspetti di cui tiene conto, la p. si occupa di due fondamentali tipi di problemi: gli atti linguistici, ovvero gli enunciati (asserzioni, domande, comandi, promesse, ecc.) dei parlanti e le cosiddette espressioni indicali (tempi verbali, pronomi personali e dimostrativi, ecc.), ossia aspetti particolari del contesto linguistico degli enunciati, mediante i quali è possibile determinare il significato. Tra i maggiori teorici della p., in epoca più recente si segnalano: Y. Bar Hillel, R. Montague, D. Kaplan, N. Cocchiarella, D. Scott.