Stats Tweet

Poètica.

Opera filosofica di Aristotele. Databile al 334 a.C. circa, è giunta a noi solo nella parte relativa alla trattazione della poesia tragica. Interrogandosi sulla natura del discorso poetico e sulle sue finalità, Aristotele prende in considerazione il concetto di mimési, da lui considerata come un istinto naturale dell'uomo. Superando la condanna platonica dell'arte, in quanto imitazione della realtà fenomenica, dunque copia di una copia, egli interpreta la mimesi artistica come un'attività che ricrea le cose secondo una nuova dimensione. Nel IX capitolo viene definita la natura della poesia e il suo contenuto: "compito del poeta non è il descrivere cose realmente accadute, ma quali possono in date condizioni accadere, cioè cose le quali siano possibili secondo le leggi della verosimiglianza o della necessità. Infatti lo storico e il poeta non differiscono perché l'uno scrive in versi e l'altro in prosa; la storia di Erodoto, per esempio, potrebbe benissimo essere messa in versi e anche in versi non sarebbe meno storia di quel che sia senza versi; la vera differenza è che lo storico descrive fatti realmente accaduti, il poeta fatti che possono accadere. Così la poesia tende piuttosto a rappresentare l'universale, la storia il particolare". Il poeta è dunque tale solo in virtù della sua capacità mimetica e ricreativa, e la poesia, e l'arte in genere, non dipende dal suo oggetto, dal suo contenuto di verità, ma è tale solo in quanto trasfigura e universalizza tale oggetto, che può anche essere irrazionale e impossibile, purché sia verosimile. Nella P. è trattata fondamentalmente la tragedia, in relazione alla quale viene svolta la riflessione teorica sull'arte. "La tragedia è mimesi di un'azione seria e compiuta in se stessa, con una certa estensione; in un linguaggio abbellito di varie specie di abbellimenti, ma ciascuno a suo luogo nelle parti diverse; in forma drammatica e non narrativa; la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l'animo da tali passioni". Rovesciando l'ottica platonica, viene introdotto il concetto di catarsi, inteso come la possibilità di scaricarsi dell'emotività attraverso il piacere estetico che è in grado di procurare sentimenti ed emozioni, allentando l'elemento razionale che ci domina. Analizzando i caratteri specifici della rappresentazione tragica, Aristotele dopo averne elencato le parti compositive, passa a trattare dei caratteri dei personaggi che devono anch'essi rispondere a criteri di necessità e verosimiglianza. Di notevole interesse è poi la considerazione di Aristotele che nega ogni implicazione di carattere morale alla poesia, la cui valutazione in sede critica sfugge a criteri ad essa estranei; il più grave errore di un poeta è semplicemente "nella incapacità di rappresentare un oggetto nel modo in cui egli si propose di rappresentarlo". Il trattato termina analizzando le differenze fra poesia epica e tragedia e individuando una superiorità di quest'ultima rispetto alla prima, dovuta al fatto che la tragedia comprende in sé tutti gli elementi dell'epica e possiede una più diretta efficacia di mezzi artistici. La P. di Aristotele, tradotta in latino, ebbe una grande diffusione fra il XV e il XVI sec., quando fiorirono numerosi commenti al testo, anche se il senso logico di alcune sue parti venne frainteso e tradito, particolarmente nella drammaturgia rinascimentale, con una interpretazione arbitraria e riduttiva delle famose unità di tempo, luogo e azione.