Capacità del soggetto di agire, di fare qualcosa. ║ Capacità
di influenzare il comportamento altrui, di attrarre, specialmente nell'ambito di
una relazione amorosa. ║ Virtù, dote particolare. ║ Possesso,
dominio. ║
P. contrattuale: forza grazie alla quale in una
trattativa si riesce a fare accettare il proprio punto di vista. ║ Fig. -
Il quarto p.: la stampa, in quanto capace di influenzare l'opinione
pubblica. ║ Fig. -
Il quinto p.: la televisione e la radio. ║
Fig. -
Assumere pieni p.: disporre di autorità assoluta. •
Mil. -
P. marittimo e
p. aeromarittimo: possibilità
possedute da una Nazione di esercitare utilmente le attività sul mare o
nello spazio aereo per trarne vantaggi economici e militari. • Dir. - In
senso ampio, facoltà di compiere azioni giuridicamente rilevanti, come
manifestazione immediata della personalità, e quindi della
capacità giuridica, di un soggetto; sinonimo di facoltà e talora
di potestà, relativamente al compimento di determinati atti giuridici. In
senso più limitato, particolare autorità data a una persona o ad
un organo in relazione alla carica che ricopre. ║
Divisione dei p.:
teoria politico-costituzionale secondo la quale nello Stato tre differenti
organi devono avere il compito di legiferare, amministrare, rendere giustizia.
║
P. di rappresentanza: autorizzazione, da parte del titolare di un
diritto, all'attribuzione a un'altra persona di compiere scelte in sua vece.
║
P. coercitivi:
p. conferiti al magistrato per l'esercizio
delle sue funzioni. ║
P. discrezionale:
p. esercitato dagli
organi del
p. esecutivo. ║
Verifica dei p.: accertamento dei
p. di rappresentanza e della legittimazione a intervenire nel compimento
di un atto determinato; con valore concreto, insieme delle persone, degli organi
a cui sono devoluti i
p. dello Stato. ║
P. temporale: il
p. politico esercitato dai papi sui possedimenti territoriali della
Chiesa. Viene fatta una distinzione tra
p. temporale del pontefice e
p. generale del papa nell'ordine temporale; quest'ultimo deriva dalla
presenza dell'attività spirituale nell'ordine temporale, mentre il
p. temporale (o
p. civile) si realizza in una istituzione
giuridica di sovranità
sui generis, ovvero come fondamento di
indipendenza del papa nell'ordine internazionale. Il
p. temporale implica
l'autorità sovrana (fra i titoli che spettano al pontefice è
quello di "sovrano dello Stato della Città del Vaticano"),
personale (inseparabile dalla persona del papa) e territoriale. Il
p.
temporale, storicamente formatosi al tramonto dell'Impero romano e consolidatosi
in età medioevale, dopo le controversie tra Chiesa e Impero (nel
Medioevo), e le polemiche tra Stato e Chiesa (dopo il formarsi degli Stati
nazionali), fu al centro delle polemiche politico-religiose nell'età del
Risorgimento. I teologi cattolici ritengono che il
p. temporale trovi il
suo fondamento nella necessità di assicurare l'immunità a chi
esercita la suprema giurisdizione spirituale: il vescovo di Roma, che non
può dipendere da un qualsiasi
p. temporale, fonda la sua
indipendenza sulla sovranità reale esercitata in un preciso ambito
territoriale. Questa dottrina è stata modificata dal Concilio Vaticano II
che, nella
Gaudium et spes, pone le basi per un nuovo rapporto tra ordine
spirituale e temporale: per quanto concerne il conseguimento delle proprie
finalità spirituali, la Chiesa si rivolge all'uomo più che allo
Stato come istituzione, mediante un'opera di responsabilizzazione del singolo
per il conseguimento del fine spirituale. Per quanto concerne, invece, l'ambito
internazionale e la giurisdizione sullo Stato della Città del Vaticano,
è indiscussa la sovranità della Santa Sede, come attributo
inerente alla sua natura, in quanto soggetto di diritto internazionale, e in
conformità alla sua tradizione missionaria nel mondo. • Dir.
costituz. - Prima della Rivoluzione francese, il concetto di
p. è
equivalente a quello di sovranità, inteso come sua manifestazione
concreta ed esteriore; impossibile dunque una distinzione tra i
p. dello
Stato. Sulla scorta delle teorie contrattualistiche della società
mercantile inglese del Seicento e di quella francese del Settecento, il concetto
di sovranità subì un'evoluzione intesa a rendere partecipi di essa
le classi sociali emergenti. Da qui nacque la necessità di ripartire i
p. dello Stato tra il sovrano e i rappresentanti del popolo: in
Inghilterra, dopo la rivoluzione di Cromwell, con il
Bill of rights,
imposto al sovrano dal Parlamento il 24 febbraio 1689, si posero le basi della
moderna Costituzione inglese. I teorici della rivoluzione, Locke e Bolingbroke,
distinsero per primi i vari
p. dello Stato, individuandone equilibri e
conflitti. La teoria generale della divisione dei
p., ebbe in origine il
senso di offrire la massima garanzia per le libertà e i diritti dei
cittadini, distribuendo le tre funzioni fondamentali dello Stato moderno
(legislativa, esecutiva e giurisdizionale) in tre
p. o gruppi di organi
diversi e indipendenti (
p. legislativo,
p. esecutivo e
p.
giudiziario); ma la tripartizione dei
p. contiene anche il motivo
dell'organizzazione autonoma del
p., del divenire e manifestarsi
istituzionale del
p. stesso, inteso come espressione di una
collettività. Montesquieu, ne
L'esprit des lois, tenne conto
dell'esperienza inglese, distinguendo i
p. dello Stato in legislativo,
esecutivo e giudiziario e affermandone la loro necessaria separazione e il loro
continuo equilibrio (
teoria della separazione o divisione dei p., ovvero
teoria dei contrappesi). La prima applicazione di questa teoria fu nella
Costituzione federale degli Stati Uniti, sancita nella Convenzione di Filadelfia
del 1787, nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, votata il
26 agosto 1789 dall'Assemblea costituente rivoluzionaria francese e nella Carta
costituzionale della Repubblica francese del 5 fruttidoro anno II (22 agosto
1795). La teoria della separazione dei
p. aveva come scopo di limitare
l'assolutismo regio, scopo che non si conciliava con il principio dell'assoluta
sovranità popolare, sostenuta invece dalle Costituzioni rivoluzionarie
francesi, che comportava la supremazia del
p. legislativo sugli altri
p. Perciò una realizzazione più vicina ai principi teorici
di Montesquieu è contenuta nella Costituzione francese dell'8 giugno 1814
e in quella del 14 agosto 1830, che introdusse la forma di governo detta della
Monarchia costituzionale, presa a modello da tutte le Costituzioni
europee della prima metà dell'Ottocento, come nello Statuto albertino del
1848, e che stabiliva: l'attribuzione al capo dello Stato, e quindi per esso al
Governo, del
p. esecutivo, sia politico sia amministrativo;
l'attribuzione al Parlamento del
p. legislativo e l'attribuzione alla
Magistratura del
p. di giudicare. Tale schema fu superato dal controllo
che il Parlamento ottenne nell'azione di governo mediante l'istituto della
fiducia, con l'introduzione del Governo parlamentare. A fianco dei tre
p.
dello Stato, nel frattempo la dottrina individuò il
p. municipale
e il
p. neutro. B. Constant sostenne che in ogni Stato vi fossero delle
comunità originarie che dovevano essere garantite, e che, inoltre, la
completa divisione dei
p. avrebbe portato allo sfacelo dello Stato se non
ci fosse stato dall'alto un unico
p., detto
p. neutro che
armonizzasse gli altri. La scuola giuridica tedesca trasformò questa tesi
da principio politico in principio giuridico di organizzazione dello Stato
moderno e fu propria di tutta la dottrina di diritto pubblico dell'Europa
occidentale. La dottrina della separazione dei
p., fondata sui concetti
della separazione delle funzioni sulla base del contenuto delle loro
manifestazioni, e dell'esercizio di ogni funzione da un determinato gruppo di
organi dello Stato, grazie all'opera della scuola giuridica tedesca, è
posta alla base della concezione dello Stato di diritto, che riconosce solo la
volontà della legge alla base dell'organizzazione dello Stato. La tesi
della separazione dei
p. non può essere concepita
sub specie
aeternitatis, ma è da ritenersi uno strumento per la realizzazione
delle aspirazioni delle classi borghesi del Settecento poiché, con
l'avvenuta partecipazione di tutto il popolo alla vita politica, il Parlamento
è stato investito del
p. sovrano e, dunque, si è posto al
di sopra di ogni altro
p. dello Stato. Da ciò fu conseguente la
necessità di ripartire la funzione di governo tra vari organi dello
Stato, per determinare un equilibrio tra i
p. dei vari organi. La moderna
dottrina sostiene, dunque, contrariamente alla rigida separazione dei
p.,
l'equilibrio dei
p., ovvero la non necessaria separazione dei
p.
(intesi come complesso di organi), tale da influire sullo svolgimento
dell'attività statale nei suoi vari aspetti. Sulla scia di queste
riflessioni, il
p. legislativo è stato distinto in
p.
costituente, che è in grado di modificare le norme costituzionali,
e in
p. ordinario. Il
p. esecutivo è stato distinto
in
p. di governo e in
p. amministrativo: il
p. di
governo, che consiste nel tracciare le direttive generali dell'azione pubblica,
è stato affidato a un apposito organo che agisce insieme alle assemblee
legislative, che, oltre ad approvare i programmi di governo, hanno il
p.
di sindacarne l'azione. Il
p. amministrativo, detto anche
p.
burocratico, è diretto all'attuazione pratica del programma di governo.
Il
p. giurisdizionale è quello che viene di regola mantenuto
separato dagli altri. Sono dunque
p. di diritto pubblico: il Governo
parlamentare, che in sé racchiude il principio della separazione dei
p. e assicura la partecipazione all'indirizzo politico di una
pluralità di organi tra loro equilibrati (corpo elettorale, Parlamento,
Governo, presidente della Repubblica, partiti); i
p. dei soggetti
ausiliari dello Stato; tutti i
p. che siano in correlazione con quelli
dello Stato o dei suoi ausiliari. Ognuno di questi
p. è
inalienabile e intrasmissibile (può esserne delegato l'esercizio, mai
trasferita la titolarità), irrinunciabile, imprescrittibile. I
p.
dello Stato sono detti di regola
funzioni, nel senso che sono esercitati
non per un interesse proprio ma per un interesse altrui o, in particolare, per
un interesse oggettivo. La Costituzione attribuisce al Parlamento il
p.
legislativo, stabilendo una riserva di legislazione a favore di esso; il
Parlamento può adottare con legge provvedimenti di contenuto
amministrativo (le cosiddette leggi-provvedimento). La presenza della riserva su
una determinata materia a favore di un
p. dello Stato fa sì che
nessun altro
p. possa esercitare la stessa funzione, tranne nei casi
stabiliti dalla Costituzione. • Dir. priv. - Secondo un orientamento
dottrinario, il
p., considerato come capacità riconosciuta
dall'ordinamento giuridico di imporre ad altri le proprie scelte nell'interesse
proprio e altrui, può essere collocato tra i diritti soggettivi in
contrasto con la podestà. Secondo un altro orientamento, si deve
distinguere il diritto soggettivo dal
p., interpretando il primo come lo
strumento con cui si consente al soggetto di tutelare i propri interessi, il
secondo come il mezzo per difendere la tutela degli interessi anche altrui; in
entrambi i casi il
p. corrisponde a una situazione giuridica e di fatto,
che si estrinseca in un'attività e in un esercizio dai quali non si
può prescindere. L'uso del termine
p. in diritto privato coincide,
in linea di massima, con diritto soggettivo: il
p. di disporre dei propri
beni è un diritto, come quello di far testamento. Il termine presenta un
connotato particolare nel caso della patria potestà, che è il
p. conferito a entrambi i genitori in seno alla famiglia, anche se
è il padre a esercitarlo a tutti gli effetti. Il
p. è un
aspetto del diritto soggettivo che, nell'ordinamento romano, occupava un ruolo
prevalente, poiché ai soggetti veniva lasciata spesso
l'autoregolamentazione dei propri interessi attraverso la formazione dei
precetti. L'esercizio del
p., invece, che pone come riferimento
l'interesse sociale, si identifica con l'emanazione di precetti oggettivi, e ha
come destinatari i soggetti, mentre, solo in senso tecnico, anche il possesso.
Il legislatore usa spesso il termine
p. per indicare un'autorizzazione da
parte del titolare di un diritto a che un soggetto diverso dal titolare compia
scelte per conto delle altre parti del rapporto. ║ Eccesso di
p.:
locuzione usata in riferimento agli atti amministrativi, giurisdizionali e
legislativi per indicare una situazione di vizio dell'atto. Come vizio degli
atti amministrativi l'eccesso di
p. è costituito dall'esercizio
del
p. discrezionale dell'amministrazione non in conformità
dell'interesse pubblico. In esso si comprendono lo sviamento di
p., in
cui si faccia uso di un atto amministrativo per fini privati; il travisamento
dei fatti, che si verifica quando viene emanato un provvedimento sul presupposto
dell'esistenza o inesistenza dei fatti, esclusa dagli atti; l'errore di fatto e
la contraddizione del provvedimento con altro precedente, che rivela una
direzione della volontà verso fini non sempre identici e non sempre
quelli dovuti; la mancanza di nesso logico tra i motivi e il dispositivo
dell'atto; l'inosservanza di norme interne; la manifesta ingiustizia del
provvedimento. Come vizio degli atti del giudice è il cosiddetto eccesso
di
p. giurisdizionale, che consiste nell'invasione compiuta dal giudice
nella sfera riservata alla giurisdizione ordinaria o ad altra speciale. La Corte
di Cassazione è competente a giudicare i motivi attinenti alla
giurisdizione nei confronti delle pronunce emesse dai giudici ordinari e
speciali. La dottrina, infine, non è d'accordo sull'esistenza
dell'eccesso di
p. legislativo, che viene definito da una tesi
tradizionale come un istituto che non ha ragione di sussistere per l'atto
legislativo, poiché è lo stesso legislatore che determina la
funzione, mentre l'interesse pubblico è valutato dal Parlamento: l'unico
giudice dell'eccesso di
p. legislativo potrebbe essere, nel nostro
ordinamento, la Corte Costituzionale. In certi momenti della storia
costituzionale si è reso necessario attribuire al
p. esecutivo
parte della funzione legislativa, con l'attribuzione dei cosiddetti
pieni
p., che, vietati dalla Costituzione italiana, tranne in caso di guerra,
nell'ordinamento italiano sono stati sostituiti da una particolare delegazione
legislativa, di più ampio contenuto rispetto a quella prevista dall'art.
76. Nel diritto internazionale i pieni
p. consistono nell'attribuzione a
compiere atti internazionali (partecipazione a una conferenza internazionale per
convenzioni collettive, svolgimento di negoziati per la stipulazione di accordi
bilaterali o plurilaterali); essi non attribuiscono la competenza a vincolare
internazionalmente lo Stato in modo definitivo, ma abilitano il titolare di essi
a firmare il testo di un accordo internazionale, che diventa vincolante solo con
la ratifica del capo dello Stato, tranne nel caso in cui l'accordo stesso non
preveda l'immediata entrata in vigore dei pieni
p., o nel caso in cui
l'accordo diventi internazionalmente vincolante per effetto della sola firma,
senza la ratifica (convenzioni di armistizio). All'inizio dei negoziati la
verifica dei pieni
p. è un'operazione preliminare; nelle
trattative bilaterali è determinata dallo scambio dei documenti fra i
capi delle delegazioni; nei negoziati plurilaterali, infine, è svolta dal
ministro degli Affari esteri dello Stato, o dal segretariato dell'organizzazione
internazionale. • Econ. -
P. d'acquisto: quantità di beni e
servizi che può essere acquistata con una unità monetaria. La
moneta, oltre a essere un mezzo di pagamento e di valutazione, è una
riserva di valore e il suo possesso dà il
p. di accumulare valore
o di acquistare beni da consumare o da impiegare produttivamente; il valore
risulta determinato dalla cosiddetta equazione degli scambi e le sue variazioni
risultano dal livello generale dei prezzi. Secondo la teoria elaborata dagli
economisti inglesi Hawtrey e Keynes, la domanda influisce sulla determinazione
del
p. d'acquisto della moneta. Il comportamento della domanda di moneta
influisce principalmente nella determinazione del
p. d'acquisto della
moneta stessa. Gli ulteriori sviluppi di questa teoria hanno teso a spostare
l'indagine sulla spesa come fattore determinante delle situazioni del mercato e
dello stato economico: il livello generale dei prezzi viene fatto derivare dal
rapporto tra il reddito nazionale e il valore della produzione corrente verso il
quale la spesa è stata diretta. ║
P. controbilanciante:
capacità di pochi e grandi acquirenti di circoscrivere il
p. di
mercato delle imprese e di chi concentra nelle sue mani l'offerta di fronte al
p. crescente di chi domina la domanda. ║
P. economico:
p., da parte di organi politici e di autorità preposte
all'attività finanziaria dello Stato, di prendere decisioni riguardanti
l'attività economica di una collettività; spesso partecipano di
fatto le grandi imprese private e pubbliche, le organizzazioni sindacali.
║
P. liberatorio: il
p. di estinguere debiti che hanno le
monete e i biglietti di banca e di Stato a corso legale. ║
P. di
mercato: la capacità di influire sul mercato e quindi sul prezzo di
un prodotto. • Sociol. - Considerato nel suo concetto più generale,
il
p. costituisce uno degli elementi più importanti dell'agire,
anche in quelle relazioni in cui è meno evidente, assumendo particolare
rilievo nei rapporti economici. Nelle teorie micro-sociali, il
p. si
definisce come una particolare modalità dei rapporti sociali, configurati
come relazioni asimmetriche di comando-obbedienza: all'emissione di un comando o
di un consiglio da parte del
soggetto attivo corrisponde una
modificazione nella condotta del
soggetto passivo. Mettendo in relazione
il
p. con la
potenza, M. Weber afferma che il
p.
costituisce un caso speciale della potenza. Come altre forme di potenza, lo
scopo del detentore del
p. non è solo quello di perseguire
interessi puramente economici, anche se la potenza economica rappresenta una
conseguenza frequente del
p. Weber inoltre sottolinea che l'esperienza
mostra come nessun
p. può accontentarsi, per sua volontà,
di fondare la propria permanenza su motivi esclusivamente affettivi o razionali:
ogni
p. cerca piuttosto di suscitare o di coltivare la fede nella propria
legittimità. A seconda del tipo di legittimità alla quale
pretende, risulta diverso anche il tipo d'obbedienza, il carattere
dell'esercizio del
p. e dunque la sua efficacia. Però la
legittimità del
p. non è confermata dal grado di
obbedienza. Si distinguono perciò tre tipi di
p. legittimo: 1)
p. razionale o
legale, che poggia sulla legalità di
ordinamenti statuiti; 2)
p. tradizionale, quando poggia sul carattere
sacro delle tradizioni valide da sempre, e in tal caso i sudditi sono chiamati a
obbedire alla persona del signore designata dalla tradizione e vincolata ad
essa; 3)
p. carismatico, quando poggia sulla dedizione a una persona
(duce) e agli ordinamenti da essa creati o introdotti. Secondo M. Weber il
fenomeno del
p., pur essendo connesso essenzialmente alla presenza di una
persona che dia con successo ordini ad altri, e pur non richiedendo di regola un
apparato amministrativo (per esempio il padre di famiglia esercita il
p.
senza apparato amministrativo), si presenta di solito legato all'uno e all'altro
di essi. M. Weber distingue tra il concetto di
Macht, il
p. in
senso proprio, cioè la capacità di far valere la propria
volontà, anche di fronte a un'opposizione, e il concetto di
Herrschaft (signoria), ossia la possibilità di trovare obbedienza
a un comando che abbia un certo contenuto. R. Aron a questa distinzione
concettuale fa corrispondere quella fra
p. potenziale, come rapporto fra
attitudini ad agire, e
p. attuale, in cui si realizza un intervento
modificativo dei comportamenti altrui. B. Russel identifica gli aspetti del
p. in un rapporto di causazione sociale, se sussiste la presenza di
almeno un minimo di volontarietà o di interesse, cioè una
disposizione favorevole da parte di chi produce l'evento di
p. nei
confronti dei suoi effetti. Una tipologia diffusa circa la varietà delle
forme di
p. è quella che distingue tra
influenza, come
insieme dei rapporti di
p. poco strutturati e informali,
p. in
senso forte, che si identifica in quanto tale, e
autorità, che
è il
p. legittimo, cioè condiviso da chi vi è
sottoposto. Nella prospettiva macro-sociologica, poiché, secondo F.
Ferrarotti, si passa dal
p. come relazione al
p. come struttura,
occorre analizzare il modo in cui le disuguaglianze di posizione si esprimono
per effetto dell'influenza e del controllo che certe persone esercitano su
altre. Il problema è di distribuire il
p. politico. • Filos.
pol. - La forma più complessa e più alta di
p. è
quella esercitata dallo Stato, il cui elemento costitutivo è la
sovranità, che indica un
p. che non riconosce nessun altro
p. legittimo al di sopra di sé. La sovranità dello Stato ha
un aspetto interno, in quanto riflette il
p. di comandare e costringere i
sudditi, ed esterno, in quanto riflette il
p. di impedire, nella propria
sfera, l'intromissione di altri Stati. Per quanto concerne il problema del
limite dei
p., si distinguono uno
Stato assoluto, che non
riconosce ai propri sudditi nessun diritto naturale anteriore allo Stato stesso
e uno
Stato limitato, in cui il
p. trova dei limiti nel
riconoscimento dei diritti naturali degli individui, garantiti nella loro
inviolabilità. Nel corso della storia del pensiero sono state elaborate
varie teorie sull'obbedienza, sull'atteggiamento, cioè, di chi subisce o
accetta il
p.: secondo la teoria dell'
obbedienza attiva,
l'autorità deve sempre e in ogni caso essere obbedita; secondo la teoria
dell'
obbedienza passiva, invece, l'autorità può essere
disobbedita quando abusa del
p. o lo esercita contro le leggi naturali e
divine. Secondo altre teorie, di fronte all'oppressione è legittima la
resistenza (teorie della
resistenza). Questa può essere
passiva, se si limita ad astenersi dal fare quello che l'autorità
vuole,
attiva se giunge a promuovere una qualche azione per il
ribaltamento del
p. oppressivo. Molto importante è il problema dei
rapporti e dei reciproci limiti tra
p. (autorità) e
libertà. Altre teorie si pongono su poli opposti, negando per esempio
all'individuo ogni libertà che non sia quella concessa dal
p.
statale (
teorie assolutistiche), sulla base del principio che "tutto
è vietato tranne quello che è permesso"; altre ancora tendono
a negare ogni autorità, in nome di una libertà originaria assoluta
degli individui (
teorie anarchiche). Su posizioni intermedie si collocano
le teorie che riconoscono, nello stesso tempo, all'individuo una sfera di
libertà e allo Stato il
p. di limitarla, offrendo opportune
garanzie (
teorie dello Stato di diritto). • Fis. -
P.
calorifico: il numero di kcal che 1 kg di combustibile sviluppa nella sua
completa combustione a pressione costante, riportando i prodotti della
combustione a 0 °C e a pressione atmosferica. Si distingue in
p.
calorifico superiore, che comprende anche il calore di condensazione di
tutta l'acqua presente nei prodotti di combustione, e in
p. calorifico
inferiore o
effettivo, ottenuto dal precedente sottraendo il calore
di condensazione dell'acqua. ║
P. frenante o
d'arresto: per
un mezzo e per un certo tipo di particelle ionizzanti che lo attraversino,
è la perdita media di energia di una particella per unità di
percorso. ║
P. legante o
coefficiente di cementazione:
caratteristica di alcune pietre di potersi legare tra loro, se ridotte in
pietrisco, in presenza di acqua e sotto adeguata azione di compressione. ║
P. risolutivo: capacità di uno strumento di misura di risolvere,
ossia distinguere, due valori della grandezza da misurare vicini tra loro.
È determinato dalla precisione dello strumento; nel caso, frequente, in
cui l'errore di misura sia di tipo gaussiano, esso può essere
quantificato dalla larghezza della distribuzione gaussiana (quanto minore
è la larghezza, tanto maggiore è il
p. risolutivo). ║
P. risolvente: capacità di uno strumento ottico di fornire
immagini in cui siano ben risolti dettagli dell'oggetto osservato. Per l'occhio
umano, il
p. risolvente è l'inverso dell'
acuità
visiva, definita come la minima separazione angolare, espressa in radianti,
tra due punti che vengono ancora percepiti come distinti. Negli strumenti ottici
il
p. risolvente è normalmente determinato dalle figure di
diffrazione. Nel caso di un telescopio, ad esempio, l'immagine che l'obiettivo
fornisce di una sorgente puntiforme, quale può essere una stella,
è una figura di diffrazione alla Fraunhofer da apertura circolare; si
dice, pertanto, che il telescopio riesce a risolvere due stelle, ossia due
sorgenti puntiformi, se le due figure di diffrazione che ne costituiscono le
immagini appaiono distinguibili tra loro, ovvero, in base al criterio di
Rayleigh, se il massimo centrale di una figura cade in corrispondenza del primo
minimo dell'altra. Secondo tale criterio, il minimo angolo di separazione
è pari a
1.22 λD, dove
λ è la lunghezza
d'onda della luce e
D è il diametro dell'obiettivo; l'inverso di
tale angolo è assunto come misura del
p. risolvente del
telescopio. Nei microscopi, invece, non è rilevante il
p.
risolvente angolare, quanto, piuttosto, il
p. risolvente lineare,
definito come l'inverso della minima distanza tra due punti dell'oggetto, le cui
immagini appaiono distinguibili secondo il criterio di Rayleigh; tale
p.
risulta proporzionale alla quantità
2n sen ω
/ (1.22
λ), dove
n è l'indice di rifrazione dello spazio degli
oggetti osservati e
λ è la lunghezza d'onda della luce. In
fotografia, infine, si dice
p. risolvente di un'emulsione la
capacità dell'emulsione di fornire i più minuti particolari di
un'immagine negativa, se esposta alla luce. ║
P. separatore: per
gli spettroscopi, rapporto
λ/Δλ, dove
λ e
λ + Δλ sono le lunghezze d'onda corrispondenti a due righe
vicinissime, ma ancora distinguibili, nello spettro fornito dallo strumento.
║
P. rotatorio: proprietà di cui godono alcune sostanze,
dette otticamente attive, che fanno ruotare il piano di polarizzazione di una
luce polarizzata che le attraversi. Tale fenomeno si osserva ponendo uno
spessore noto della sostanza in esame tra i due nicol incrociati di un
polarimetro; se la sostanza è otticamente attiva, appare della luce dal
nicol analizzatore. L'angolo di cui è necessario ruotare il nicol
analizzatore per ripristinare l'estinzione è solitamente proporzionale
allo spessore della sostanza; il coefficiente di proporzionalità tra
angolo e spessore prende il nome di
p. rotatorio specifico, e risulta
dipendere dalla temperatura e dalla composizione spettrale della luce impiegata.
Accanto al fenomeno descritto esiste anche il cosiddetto
p. rotatorio
artificiale, che si manifesta in certe sostanze, otticamente non attive, se
sottoposte all'azione di un campo magnetico; a differenza di quanto si verifica
per il
p. rotatorio naturale, in cui il verso della rotazione è lo
stesso qualunque sia la direzione lungo la quale si effettua l'osservazione, la
rotazione appare ora levogira o destrogira a seconda che si osservi il fenomeno
parallelamente oppure antiparallelamente al campo.