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Potere.

Capacità del soggetto di agire, di fare qualcosa. ║ Capacità di influenzare il comportamento altrui, di attrarre, specialmente nell'ambito di una relazione amorosa. ║ Virtù, dote particolare. ║ Possesso, dominio. ║ P. contrattuale: forza grazie alla quale in una trattativa si riesce a fare accettare il proprio punto di vista. ║ Fig. - Il quarto p.: la stampa, in quanto capace di influenzare l'opinione pubblica. ║ Fig. - Il quinto p.: la televisione e la radio. ║ Fig. - Assumere pieni p.: disporre di autorità assoluta. • Mil. - P. marittimo e p. aeromarittimo: possibilità possedute da una Nazione di esercitare utilmente le attività sul mare o nello spazio aereo per trarne vantaggi economici e militari. • Dir. - In senso ampio, facoltà di compiere azioni giuridicamente rilevanti, come manifestazione immediata della personalità, e quindi della capacità giuridica, di un soggetto; sinonimo di facoltà e talora di potestà, relativamente al compimento di determinati atti giuridici. In senso più limitato, particolare autorità data a una persona o ad un organo in relazione alla carica che ricopre. ║ Divisione dei p.: teoria politico-costituzionale secondo la quale nello Stato tre differenti organi devono avere il compito di legiferare, amministrare, rendere giustizia. ║ P. di rappresentanza: autorizzazione, da parte del titolare di un diritto, all'attribuzione a un'altra persona di compiere scelte in sua vece. ║ P. coercitivi: p. conferiti al magistrato per l'esercizio delle sue funzioni. ║ P. discrezionale: p. esercitato dagli organi del p. esecutivo. ║ Verifica dei p.: accertamento dei p. di rappresentanza e della legittimazione a intervenire nel compimento di un atto determinato; con valore concreto, insieme delle persone, degli organi a cui sono devoluti i p. dello Stato. ║ P. temporale: il p. politico esercitato dai papi sui possedimenti territoriali della Chiesa. Viene fatta una distinzione tra p. temporale del pontefice e p. generale del papa nell'ordine temporale; quest'ultimo deriva dalla presenza dell'attività spirituale nell'ordine temporale, mentre il p. temporale (o p. civile) si realizza in una istituzione giuridica di sovranità sui generis, ovvero come fondamento di indipendenza del papa nell'ordine internazionale. Il p. temporale implica l'autorità sovrana (fra i titoli che spettano al pontefice è quello di "sovrano dello Stato della Città del Vaticano"), personale (inseparabile dalla persona del papa) e territoriale. Il p. temporale, storicamente formatosi al tramonto dell'Impero romano e consolidatosi in età medioevale, dopo le controversie tra Chiesa e Impero (nel Medioevo), e le polemiche tra Stato e Chiesa (dopo il formarsi degli Stati nazionali), fu al centro delle polemiche politico-religiose nell'età del Risorgimento. I teologi cattolici ritengono che il p. temporale trovi il suo fondamento nella necessità di assicurare l'immunità a chi esercita la suprema giurisdizione spirituale: il vescovo di Roma, che non può dipendere da un qualsiasi p. temporale, fonda la sua indipendenza sulla sovranità reale esercitata in un preciso ambito territoriale. Questa dottrina è stata modificata dal Concilio Vaticano II che, nella Gaudium et spes, pone le basi per un nuovo rapporto tra ordine spirituale e temporale: per quanto concerne il conseguimento delle proprie finalità spirituali, la Chiesa si rivolge all'uomo più che allo Stato come istituzione, mediante un'opera di responsabilizzazione del singolo per il conseguimento del fine spirituale. Per quanto concerne, invece, l'ambito internazionale e la giurisdizione sullo Stato della Città del Vaticano, è indiscussa la sovranità della Santa Sede, come attributo inerente alla sua natura, in quanto soggetto di diritto internazionale, e in conformità alla sua tradizione missionaria nel mondo. • Dir. costituz. - Prima della Rivoluzione francese, il concetto di p. è equivalente a quello di sovranità, inteso come sua manifestazione concreta ed esteriore; impossibile dunque una distinzione tra i p. dello Stato. Sulla scorta delle teorie contrattualistiche della società mercantile inglese del Seicento e di quella francese del Settecento, il concetto di sovranità subì un'evoluzione intesa a rendere partecipi di essa le classi sociali emergenti. Da qui nacque la necessità di ripartire i p. dello Stato tra il sovrano e i rappresentanti del popolo: in Inghilterra, dopo la rivoluzione di Cromwell, con il Bill of rights, imposto al sovrano dal Parlamento il 24 febbraio 1689, si posero le basi della moderna Costituzione inglese. I teorici della rivoluzione, Locke e Bolingbroke, distinsero per primi i vari p. dello Stato, individuandone equilibri e conflitti. La teoria generale della divisione dei p., ebbe in origine il senso di offrire la massima garanzia per le libertà e i diritti dei cittadini, distribuendo le tre funzioni fondamentali dello Stato moderno (legislativa, esecutiva e giurisdizionale) in tre p. o gruppi di organi diversi e indipendenti (p. legislativo, p. esecutivo e p. giudiziario); ma la tripartizione dei p. contiene anche il motivo dell'organizzazione autonoma del p., del divenire e manifestarsi istituzionale del p. stesso, inteso come espressione di una collettività. Montesquieu, ne L'esprit des lois, tenne conto dell'esperienza inglese, distinguendo i p. dello Stato in legislativo, esecutivo e giudiziario e affermandone la loro necessaria separazione e il loro continuo equilibrio (teoria della separazione o divisione dei p., ovvero teoria dei contrappesi). La prima applicazione di questa teoria fu nella Costituzione federale degli Stati Uniti, sancita nella Convenzione di Filadelfia del 1787, nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, votata il 26 agosto 1789 dall'Assemblea costituente rivoluzionaria francese e nella Carta costituzionale della Repubblica francese del 5 fruttidoro anno II (22 agosto 1795). La teoria della separazione dei p. aveva come scopo di limitare l'assolutismo regio, scopo che non si conciliava con il principio dell'assoluta sovranità popolare, sostenuta invece dalle Costituzioni rivoluzionarie francesi, che comportava la supremazia del p. legislativo sugli altri p. Perciò una realizzazione più vicina ai principi teorici di Montesquieu è contenuta nella Costituzione francese dell'8 giugno 1814 e in quella del 14 agosto 1830, che introdusse la forma di governo detta della Monarchia costituzionale, presa a modello da tutte le Costituzioni europee della prima metà dell'Ottocento, come nello Statuto albertino del 1848, e che stabiliva: l'attribuzione al capo dello Stato, e quindi per esso al Governo, del p. esecutivo, sia politico sia amministrativo; l'attribuzione al Parlamento del p. legislativo e l'attribuzione alla Magistratura del p. di giudicare. Tale schema fu superato dal controllo che il Parlamento ottenne nell'azione di governo mediante l'istituto della fiducia, con l'introduzione del Governo parlamentare. A fianco dei tre p. dello Stato, nel frattempo la dottrina individuò il p. municipale e il p. neutro. B. Constant sostenne che in ogni Stato vi fossero delle comunità originarie che dovevano essere garantite, e che, inoltre, la completa divisione dei p. avrebbe portato allo sfacelo dello Stato se non ci fosse stato dall'alto un unico p., detto p. neutro che armonizzasse gli altri. La scuola giuridica tedesca trasformò questa tesi da principio politico in principio giuridico di organizzazione dello Stato moderno e fu propria di tutta la dottrina di diritto pubblico dell'Europa occidentale. La dottrina della separazione dei p., fondata sui concetti della separazione delle funzioni sulla base del contenuto delle loro manifestazioni, e dell'esercizio di ogni funzione da un determinato gruppo di organi dello Stato, grazie all'opera della scuola giuridica tedesca, è posta alla base della concezione dello Stato di diritto, che riconosce solo la volontà della legge alla base dell'organizzazione dello Stato. La tesi della separazione dei p. non può essere concepita sub specie aeternitatis, ma è da ritenersi uno strumento per la realizzazione delle aspirazioni delle classi borghesi del Settecento poiché, con l'avvenuta partecipazione di tutto il popolo alla vita politica, il Parlamento è stato investito del p. sovrano e, dunque, si è posto al di sopra di ogni altro p. dello Stato. Da ciò fu conseguente la necessità di ripartire la funzione di governo tra vari organi dello Stato, per determinare un equilibrio tra i p. dei vari organi. La moderna dottrina sostiene, dunque, contrariamente alla rigida separazione dei p., l'equilibrio dei p., ovvero la non necessaria separazione dei p. (intesi come complesso di organi), tale da influire sullo svolgimento dell'attività statale nei suoi vari aspetti. Sulla scia di queste riflessioni, il p. legislativo è stato distinto in p. costituente, che è in grado di modificare le norme costituzionali, e in p. ordinario. Il p. esecutivo è stato distinto in p. di governo e in p. amministrativo: il p. di governo, che consiste nel tracciare le direttive generali dell'azione pubblica, è stato affidato a un apposito organo che agisce insieme alle assemblee legislative, che, oltre ad approvare i programmi di governo, hanno il p. di sindacarne l'azione. Il p. amministrativo, detto anche p. burocratico, è diretto all'attuazione pratica del programma di governo. Il p. giurisdizionale è quello che viene di regola mantenuto separato dagli altri. Sono dunque p. di diritto pubblico: il Governo parlamentare, che in sé racchiude il principio della separazione dei p. e assicura la partecipazione all'indirizzo politico di una pluralità di organi tra loro equilibrati (corpo elettorale, Parlamento, Governo, presidente della Repubblica, partiti); i p. dei soggetti ausiliari dello Stato; tutti i p. che siano in correlazione con quelli dello Stato o dei suoi ausiliari. Ognuno di questi p. è inalienabile e intrasmissibile (può esserne delegato l'esercizio, mai trasferita la titolarità), irrinunciabile, imprescrittibile. I p. dello Stato sono detti di regola funzioni, nel senso che sono esercitati non per un interesse proprio ma per un interesse altrui o, in particolare, per un interesse oggettivo. La Costituzione attribuisce al Parlamento il p. legislativo, stabilendo una riserva di legislazione a favore di esso; il Parlamento può adottare con legge provvedimenti di contenuto amministrativo (le cosiddette leggi-provvedimento). La presenza della riserva su una determinata materia a favore di un p. dello Stato fa sì che nessun altro p. possa esercitare la stessa funzione, tranne nei casi stabiliti dalla Costituzione. • Dir. priv. - Secondo un orientamento dottrinario, il p., considerato come capacità riconosciuta dall'ordinamento giuridico di imporre ad altri le proprie scelte nell'interesse proprio e altrui, può essere collocato tra i diritti soggettivi in contrasto con la podestà. Secondo un altro orientamento, si deve distinguere il diritto soggettivo dal p., interpretando il primo come lo strumento con cui si consente al soggetto di tutelare i propri interessi, il secondo come il mezzo per difendere la tutela degli interessi anche altrui; in entrambi i casi il p. corrisponde a una situazione giuridica e di fatto, che si estrinseca in un'attività e in un esercizio dai quali non si può prescindere. L'uso del termine p. in diritto privato coincide, in linea di massima, con diritto soggettivo: il p. di disporre dei propri beni è un diritto, come quello di far testamento. Il termine presenta un connotato particolare nel caso della patria potestà, che è il p. conferito a entrambi i genitori in seno alla famiglia, anche se è il padre a esercitarlo a tutti gli effetti. Il p. è un aspetto del diritto soggettivo che, nell'ordinamento romano, occupava un ruolo prevalente, poiché ai soggetti veniva lasciata spesso l'autoregolamentazione dei propri interessi attraverso la formazione dei precetti. L'esercizio del p., invece, che pone come riferimento l'interesse sociale, si identifica con l'emanazione di precetti oggettivi, e ha come destinatari i soggetti, mentre, solo in senso tecnico, anche il possesso. Il legislatore usa spesso il termine p. per indicare un'autorizzazione da parte del titolare di un diritto a che un soggetto diverso dal titolare compia scelte per conto delle altre parti del rapporto. ║ Eccesso di p.: locuzione usata in riferimento agli atti amministrativi, giurisdizionali e legislativi per indicare una situazione di vizio dell'atto. Come vizio degli atti amministrativi l'eccesso di p. è costituito dall'esercizio del p. discrezionale dell'amministrazione non in conformità dell'interesse pubblico. In esso si comprendono lo sviamento di p., in cui si faccia uso di un atto amministrativo per fini privati; il travisamento dei fatti, che si verifica quando viene emanato un provvedimento sul presupposto dell'esistenza o inesistenza dei fatti, esclusa dagli atti; l'errore di fatto e la contraddizione del provvedimento con altro precedente, che rivela una direzione della volontà verso fini non sempre identici e non sempre quelli dovuti; la mancanza di nesso logico tra i motivi e il dispositivo dell'atto; l'inosservanza di norme interne; la manifesta ingiustizia del provvedimento. Come vizio degli atti del giudice è il cosiddetto eccesso di p. giurisdizionale, che consiste nell'invasione compiuta dal giudice nella sfera riservata alla giurisdizione ordinaria o ad altra speciale. La Corte di Cassazione è competente a giudicare i motivi attinenti alla giurisdizione nei confronti delle pronunce emesse dai giudici ordinari e speciali. La dottrina, infine, non è d'accordo sull'esistenza dell'eccesso di p. legislativo, che viene definito da una tesi tradizionale come un istituto che non ha ragione di sussistere per l'atto legislativo, poiché è lo stesso legislatore che determina la funzione, mentre l'interesse pubblico è valutato dal Parlamento: l'unico giudice dell'eccesso di p. legislativo potrebbe essere, nel nostro ordinamento, la Corte Costituzionale. In certi momenti della storia costituzionale si è reso necessario attribuire al p. esecutivo parte della funzione legislativa, con l'attribuzione dei cosiddetti pieni p., che, vietati dalla Costituzione italiana, tranne in caso di guerra, nell'ordinamento italiano sono stati sostituiti da una particolare delegazione legislativa, di più ampio contenuto rispetto a quella prevista dall'art. 76. Nel diritto internazionale i pieni p. consistono nell'attribuzione a compiere atti internazionali (partecipazione a una conferenza internazionale per convenzioni collettive, svolgimento di negoziati per la stipulazione di accordi bilaterali o plurilaterali); essi non attribuiscono la competenza a vincolare internazionalmente lo Stato in modo definitivo, ma abilitano il titolare di essi a firmare il testo di un accordo internazionale, che diventa vincolante solo con la ratifica del capo dello Stato, tranne nel caso in cui l'accordo stesso non preveda l'immediata entrata in vigore dei pieni p., o nel caso in cui l'accordo diventi internazionalmente vincolante per effetto della sola firma, senza la ratifica (convenzioni di armistizio). All'inizio dei negoziati la verifica dei pieni p. è un'operazione preliminare; nelle trattative bilaterali è determinata dallo scambio dei documenti fra i capi delle delegazioni; nei negoziati plurilaterali, infine, è svolta dal ministro degli Affari esteri dello Stato, o dal segretariato dell'organizzazione internazionale. • Econ. - P. d'acquisto: quantità di beni e servizi che può essere acquistata con una unità monetaria. La moneta, oltre a essere un mezzo di pagamento e di valutazione, è una riserva di valore e il suo possesso dà il p. di accumulare valore o di acquistare beni da consumare o da impiegare produttivamente; il valore risulta determinato dalla cosiddetta equazione degli scambi e le sue variazioni risultano dal livello generale dei prezzi. Secondo la teoria elaborata dagli economisti inglesi Hawtrey e Keynes, la domanda influisce sulla determinazione del p. d'acquisto della moneta. Il comportamento della domanda di moneta influisce principalmente nella determinazione del p. d'acquisto della moneta stessa. Gli ulteriori sviluppi di questa teoria hanno teso a spostare l'indagine sulla spesa come fattore determinante delle situazioni del mercato e dello stato economico: il livello generale dei prezzi viene fatto derivare dal rapporto tra il reddito nazionale e il valore della produzione corrente verso il quale la spesa è stata diretta. ║ P. controbilanciante: capacità di pochi e grandi acquirenti di circoscrivere il p. di mercato delle imprese e di chi concentra nelle sue mani l'offerta di fronte al p. crescente di chi domina la domanda. ║ P. economico: p., da parte di organi politici e di autorità preposte all'attività finanziaria dello Stato, di prendere decisioni riguardanti l'attività economica di una collettività; spesso partecipano di fatto le grandi imprese private e pubbliche, le organizzazioni sindacali. ║ P. liberatorio: il p. di estinguere debiti che hanno le monete e i biglietti di banca e di Stato a corso legale. ║ P. di mercato: la capacità di influire sul mercato e quindi sul prezzo di un prodotto. • Sociol. - Considerato nel suo concetto più generale, il p. costituisce uno degli elementi più importanti dell'agire, anche in quelle relazioni in cui è meno evidente, assumendo particolare rilievo nei rapporti economici. Nelle teorie micro-sociali, il p. si definisce come una particolare modalità dei rapporti sociali, configurati come relazioni asimmetriche di comando-obbedienza: all'emissione di un comando o di un consiglio da parte del soggetto attivo corrisponde una modificazione nella condotta del soggetto passivo. Mettendo in relazione il p. con la potenza, M. Weber afferma che il p. costituisce un caso speciale della potenza. Come altre forme di potenza, lo scopo del detentore del p. non è solo quello di perseguire interessi puramente economici, anche se la potenza economica rappresenta una conseguenza frequente del p. Weber inoltre sottolinea che l'esperienza mostra come nessun p. può accontentarsi, per sua volontà, di fondare la propria permanenza su motivi esclusivamente affettivi o razionali: ogni p. cerca piuttosto di suscitare o di coltivare la fede nella propria legittimità. A seconda del tipo di legittimità alla quale pretende, risulta diverso anche il tipo d'obbedienza, il carattere dell'esercizio del p. e dunque la sua efficacia. Però la legittimità del p. non è confermata dal grado di obbedienza. Si distinguono perciò tre tipi di p. legittimo: 1) p. razionale o legale, che poggia sulla legalità di ordinamenti statuiti; 2) p. tradizionale, quando poggia sul carattere sacro delle tradizioni valide da sempre, e in tal caso i sudditi sono chiamati a obbedire alla persona del signore designata dalla tradizione e vincolata ad essa; 3) p. carismatico, quando poggia sulla dedizione a una persona (duce) e agli ordinamenti da essa creati o introdotti. Secondo M. Weber il fenomeno del p., pur essendo connesso essenzialmente alla presenza di una persona che dia con successo ordini ad altri, e pur non richiedendo di regola un apparato amministrativo (per esempio il padre di famiglia esercita il p. senza apparato amministrativo), si presenta di solito legato all'uno e all'altro di essi. M. Weber distingue tra il concetto di Macht, il p. in senso proprio, cioè la capacità di far valere la propria volontà, anche di fronte a un'opposizione, e il concetto di Herrschaft (signoria), ossia la possibilità di trovare obbedienza a un comando che abbia un certo contenuto. R. Aron a questa distinzione concettuale fa corrispondere quella fra p. potenziale, come rapporto fra attitudini ad agire, e p. attuale, in cui si realizza un intervento modificativo dei comportamenti altrui. B. Russel identifica gli aspetti del p. in un rapporto di causazione sociale, se sussiste la presenza di almeno un minimo di volontarietà o di interesse, cioè una disposizione favorevole da parte di chi produce l'evento di p. nei confronti dei suoi effetti. Una tipologia diffusa circa la varietà delle forme di p. è quella che distingue tra influenza, come insieme dei rapporti di p. poco strutturati e informali, p. in senso forte, che si identifica in quanto tale, e autorità, che è il p. legittimo, cioè condiviso da chi vi è sottoposto. Nella prospettiva macro-sociologica, poiché, secondo F. Ferrarotti, si passa dal p. come relazione al p. come struttura, occorre analizzare il modo in cui le disuguaglianze di posizione si esprimono per effetto dell'influenza e del controllo che certe persone esercitano su altre. Il problema è di distribuire il p. politico. • Filos. pol. - La forma più complessa e più alta di p. è quella esercitata dallo Stato, il cui elemento costitutivo è la sovranità, che indica un p. che non riconosce nessun altro p. legittimo al di sopra di sé. La sovranità dello Stato ha un aspetto interno, in quanto riflette il p. di comandare e costringere i sudditi, ed esterno, in quanto riflette il p. di impedire, nella propria sfera, l'intromissione di altri Stati. Per quanto concerne il problema del limite dei p., si distinguono uno Stato assoluto, che non riconosce ai propri sudditi nessun diritto naturale anteriore allo Stato stesso e uno Stato limitato, in cui il p. trova dei limiti nel riconoscimento dei diritti naturali degli individui, garantiti nella loro inviolabilità. Nel corso della storia del pensiero sono state elaborate varie teorie sull'obbedienza, sull'atteggiamento, cioè, di chi subisce o accetta il p.: secondo la teoria dell'obbedienza attiva, l'autorità deve sempre e in ogni caso essere obbedita; secondo la teoria dell'obbedienza passiva, invece, l'autorità può essere disobbedita quando abusa del p. o lo esercita contro le leggi naturali e divine. Secondo altre teorie, di fronte all'oppressione è legittima la resistenza (teorie della resistenza). Questa può essere passiva, se si limita ad astenersi dal fare quello che l'autorità vuole, attiva se giunge a promuovere una qualche azione per il ribaltamento del p. oppressivo. Molto importante è il problema dei rapporti e dei reciproci limiti tra p. (autorità) e libertà. Altre teorie si pongono su poli opposti, negando per esempio all'individuo ogni libertà che non sia quella concessa dal p. statale (teorie assolutistiche), sulla base del principio che "tutto è vietato tranne quello che è permesso"; altre ancora tendono a negare ogni autorità, in nome di una libertà originaria assoluta degli individui (teorie anarchiche). Su posizioni intermedie si collocano le teorie che riconoscono, nello stesso tempo, all'individuo una sfera di libertà e allo Stato il p. di limitarla, offrendo opportune garanzie (teorie dello Stato di diritto). • Fis. - P. calorifico: il numero di kcal che 1 kg di combustibile sviluppa nella sua completa combustione a pressione costante, riportando i prodotti della combustione a 0 °C e a pressione atmosferica. Si distingue in p. calorifico superiore, che comprende anche il calore di condensazione di tutta l'acqua presente nei prodotti di combustione, e in p. calorifico inferiore o effettivo, ottenuto dal precedente sottraendo il calore di condensazione dell'acqua. ║ P. frenante o d'arresto: per un mezzo e per un certo tipo di particelle ionizzanti che lo attraversino, è la perdita media di energia di una particella per unità di percorso. ║ P. legante o coefficiente di cementazione: caratteristica di alcune pietre di potersi legare tra loro, se ridotte in pietrisco, in presenza di acqua e sotto adeguata azione di compressione. ║ P. risolutivo: capacità di uno strumento di misura di risolvere, ossia distinguere, due valori della grandezza da misurare vicini tra loro. È determinato dalla precisione dello strumento; nel caso, frequente, in cui l'errore di misura sia di tipo gaussiano, esso può essere quantificato dalla larghezza della distribuzione gaussiana (quanto minore è la larghezza, tanto maggiore è il p. risolutivo). ║ P. risolvente: capacità di uno strumento ottico di fornire immagini in cui siano ben risolti dettagli dell'oggetto osservato. Per l'occhio umano, il p. risolvente è l'inverso dell'acuità visiva, definita come la minima separazione angolare, espressa in radianti, tra due punti che vengono ancora percepiti come distinti. Negli strumenti ottici il p. risolvente è normalmente determinato dalle figure di diffrazione. Nel caso di un telescopio, ad esempio, l'immagine che l'obiettivo fornisce di una sorgente puntiforme, quale può essere una stella, è una figura di diffrazione alla Fraunhofer da apertura circolare; si dice, pertanto, che il telescopio riesce a risolvere due stelle, ossia due sorgenti puntiformi, se le due figure di diffrazione che ne costituiscono le immagini appaiono distinguibili tra loro, ovvero, in base al criterio di Rayleigh, se il massimo centrale di una figura cade in corrispondenza del primo minimo dell'altra. Secondo tale criterio, il minimo angolo di separazione è pari a 1.22 λD, dove λ è la lunghezza d'onda della luce e D è il diametro dell'obiettivo; l'inverso di tale angolo è assunto come misura del p. risolvente del telescopio. Nei microscopi, invece, non è rilevante il p. risolvente angolare, quanto, piuttosto, il p. risolvente lineare, definito come l'inverso della minima distanza tra due punti dell'oggetto, le cui immagini appaiono distinguibili secondo il criterio di Rayleigh; tale p. risulta proporzionale alla quantità 2n sen ω / (1.22 λ), dove n è l'indice di rifrazione dello spazio degli oggetti osservati e λ è la lunghezza d'onda della luce. In fotografia, infine, si dice p. risolvente di un'emulsione la capacità dell'emulsione di fornire i più minuti particolari di un'immagine negativa, se esposta alla luce. ║ P. separatore: per gli spettroscopi, rapporto λ/Δλ, dove λ e λ + Δλ sono le lunghezze d'onda corrispondenti a due righe vicinissime, ma ancora distinguibili, nello spettro fornito dallo strumento. ║ P. rotatorio: proprietà di cui godono alcune sostanze, dette otticamente attive, che fanno ruotare il piano di polarizzazione di una luce polarizzata che le attraversi. Tale fenomeno si osserva ponendo uno spessore noto della sostanza in esame tra i due nicol incrociati di un polarimetro; se la sostanza è otticamente attiva, appare della luce dal nicol analizzatore. L'angolo di cui è necessario ruotare il nicol analizzatore per ripristinare l'estinzione è solitamente proporzionale allo spessore della sostanza; il coefficiente di proporzionalità tra angolo e spessore prende il nome di p. rotatorio specifico, e risulta dipendere dalla temperatura e dalla composizione spettrale della luce impiegata. Accanto al fenomeno descritto esiste anche il cosiddetto p. rotatorio artificiale, che si manifesta in certe sostanze, otticamente non attive, se sottoposte all'azione di un campo magnetico; a differenza di quanto si verifica per il p. rotatorio naturale, in cui il verso della rotazione è lo stesso qualunque sia la direzione lungo la quale si effettua l'osservazione, la rotazione appare ora levogira o destrogira a seconda che si osservi il fenomeno parallelamente oppure antiparallelamente al campo.